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Scarica qui - Alqualonde
Favola Metropolitana
Autrice: Dicembre
http://alqualonde.altervista.org/
Autrice: Dicembre
Sito:
http://alqualonde.altervista.org
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Favola Metropolitana
Autrice: Dicembre
http://alqualonde.altervista.org/
Attenzione:
• Genere: Yaoi /Contemporaneo
• Il racconto tratta (anche) di religione
• Lessico piuttosto volgare
• Per chi è abituato a leggere Liberaci dal Male, non si aspetti
qualcosa di simile. Vai qui:
http://alqualonde.altervista.org/index.php?al=curiosita_favolametropolitana
per avere dettagli.
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Favola Metropolitana
Autrice: Dicembre
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Stiamo entrambi in silenzio:
ognuno aspetta che l’altro parli,
ma la parola non è il solo mezzo
di comprensione
fra le due anime.
Non sono le sillabe che vengono
Dalle labbra
E dalle lingue
A unire i cuori.
(G.K.Gibran)
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Favola Metropolitana
Autrice: Dicembre
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Pioveva a dirotto quel giorno. Faceva freddo.
Ashley si accese l’ultimo mozzicone di sigaretta che aveva e guardò il cielo, mentre con la
punta del naso cercava di evitare le gocce che gli cadevano addosso.
“Che cazzo fai, si può sapere?”
”Tengo il naso asciutto” rispose senza smettere di stare col naso all’insù
“Tu sei tutto scemo” Mikey – o come lo chiamavano gli altri Mikey il Topo – si schiacciò
contro il palazzo, sperando che la grondaia lo riparasse dalla pioggia battente.
“Tanto il culo dovrai bagnartelo per forza, meglio farlo subito”
Passò una macchina facendo schizzare acqua e fango tutt’intorno.
Il tentativo di Mikey di rimanere asciutto si rivelò subito del tutto vano. Ashley rise e
s’accanì, per l’ultima volta, sulla sigaretta fra le sue dita che non aveva più nulla da dare.
Una seconda macchina passò di lì, con più calma. E si fermò, sull’altro lato della strada.
“Vai tu? Vado io?”
“Quello vuole te Ash, sarà uno di quei ricchi rotti in culo che vogliono i faccini delicati”
Il ragazzo mostrò il dito medio all’amico: “Ci vediamo qui dopo?”
”Se tutto va bene, ci vediamo qui domani”
Ash annuì, dirigendosi verso la macchina che lo aspettava col motore accesso.
Mikey aveva ragione, l’uomo all’interno della macchina era davvero uno di quei riccastri
rotti in culo che si vedono sulle copertine dei settimanali. Ash mascherò il disgusto con un
sorriso che sapeva gli avrebbe aperto i pantaloni e soprattutto il portafogli del tizio alla
guida.
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Favola Metropolitana
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Appena entrato in macchina, l’uomo ingranò la marcia e sgommò via.
Probabilmente, pensò Ash, era la prima volta che faceva una cosa del genere.
Sapeva di dover parlare per primo, doveva mettere il cliente a proprio agio, ma per un
istante si limitò a guardarlo. I pochi capelli che aveva sulla testa gli cadevano
ordinatamente sulla fronte, quasi avesse speso ore dedicandosi ad uno ad uno dei pochi
superstiti in un campo di battaglia semi-deserto.
Più capelli di certo non ne avrebbero fatto un adone. Gli occhiali troppo spessi, tondi, si
appoggiavano sul naso un po’ storto che sembrava facesse fatica a respirare.
Evidentemente era agitato.
“Hai finito di squadrarmi?” chiese lui, con aria stizzita.
“Guardavo i tuoi occhiali. Ho sempre avuto un debole per le montature demodé”
“Li ha scelti mia moglie”
”Quindi immagino non si stia andando a casa tua” gli chiese Ash lascivo, appoggiando una
mano sulla coscia dell’uomo.
“Sono qua per lavoro…Non ho una casa, sono in hotel” disse fermando la macchina “ma
non andiamo in albergo da me. Non voglio che ti vedano”
”Qui?” Ash si guardò intorno. Erano nel parcheggio di un supermercato. Era chiuso e non
si vedeva anima viva in giro.
“Quanto vuoi per un pompino?”
“Vai subito al dunque… hai fretta?” chiese Ash mettendo una mano sull’inguine dell’uomo
e premendoli sull’erezione. L’uomo gemette.
“Quanto?”
“200”
“200 per un pompino? Senza guanto, mi auguro”
“Te lo scordi, amico”
“200 sterline per succhiare del lattice? 500, ma senza niente”
Ricco rotto in culo.
“500, le tue sigarette e te lo succhio senza preservativo, ma non mi vieni in bocca, mi
avvisi prima”
L’uomo annuì, con gli occhi di qualcuno che sta quasi venendo nei pantaloni. Che
tristezza.
Ash sapeva bene che l’uomo non l’avrebbe mai avvertito prima di venire, ma fece
comunque finta di credere alle parole del suo cliente.
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Tese la mano, aspettandosi i soldi.
“E se poi ti do i soldi e scappi? O se non mi piace?”
Ash non roteò gli occhi perché sapeva che sarebbe stato controproducente, ma questo
davanti a lui era davvero un coglione.
“Dove vuoi che me ne vada, qui in mezzo al niente? A piedi poi. Prima il dovere” disse
prendendosi il pacchetto di sigarette dal cruscotto “ poi il piacere” disse aumentando la
pressione sull’inguine dell’uomo
“Va bene, va bene! Però fai in fretta”. Gli diede dieci pezzi da cinquanta freschi, appena
usciti dalla banca. Ash sorrise e se li mise in tasca. Probabilmente, pensò, avrebbe potuto
chiedere ancora di più.
Ma si mise a lavorare.
Le mutande bianche dell’uomo erano già umide e quando Ash gliele abbassò, lasciò che il
pene dell’uomo, finalmente libero, gli sbattesse in faccia. L’uomo gemette. Sì, avrebbe
fatto davvero in fretta.
Difatti ci volle pochissimo perché l’uomo afferrasse i capelli di Ash e iniziasse a rantolare,
muovendo su e giù le anche cercando di prendere lui il controllo.
Ash non glielo lasciò fare, nonostante ciò l’uomo venne dopo pochissimo.
I muscoli dell’addome si contrassero e le gambe si strinsero intorno alla mano che gli
stava accarezzando i testicoli. Ash tolse la bocca dal glande dell’uomo e lo toccò con la
mano, quando questo venne, gridando.
Un grido acuto.
Per poco Ashly non scoppiò a ridere.
Non aspettò che l’uomo si riprendesse del tutto e aprì la portiera quando questi stava
ancora tremando:
“M’avevi detto” cercò di dire lui “ che non potevi tornare a piedi da qui…” con la bocca
secca, faticava a parlare fluidamente.
“E tu m’avevi detto che m’avresti avvertito prima di venire”
“Ah” l’uomo lo guardò colpevole. Con le mutande ancora calate e il pene flaccido, ma
lucido di saliva e sperma, Ash provò un lieve disgusto.
“Au revoir”
”Aspetta!” disse l’uomo cercando di fermarlo “Quanto….” Deglutì “ Quanto per farti
scopare?”
Ash sorrise “Sei un vecchio vizioso” gli sussurrò, alzando due dita.
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Favola Metropolitana
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“Due…Duemila?”
“E non c’è l’opzione senza guanto”
“E dove ti trovo?”
“Stesso posto, stesso bar” disse Ashley allontanandosi “a domani”.
La macchina non partì subito, ma Ash non si voltò indietro quando sentì il motore
accendersi. Aveva già dimenticato tutto, altrimenti non sarebbe sopravvissuto.
Continuava a cadere una pioggia scrosciante e ormai il cielo era completamente nero.
Ash aprì la bocca, per fare entrare la pioggia e togliersi il sapore pastoso dell’ultimo
cliente. E rimase lì, sotto un lampione, a faccia in su con la bocca aperta, per lavarsi un
po’.
Non aveva esattamente idea di dove si trovasse. Sapeva di aver già visto la zona, ma
probabilmente l’avrebbe riconosciuta di giorno. Lì, al buio, poteva essere ovunque.
Iniziava a fare davvero freddo , la giacca zuppa era diventata inutile e Ash si guardò
intorno per vedere se c’era un posto dove scaldarsi un po’.
Il portone di una casa, una banca, due negozi, chiusi e una chiesa, in fondo alla strada.
Probabilmente anche lei era chiusa, ma tanto valeva andare a controllare. Non aveva
voglia di litigare con i padroni della casa del portone, quando questi l’avrebbero trovato
seduto ad insozzare il loro pianerottolo.
Tirò fuori una sigaretta dal pacchetto appena guadagnato. Che stupido, pensò, 500
sterline per un pompino… Mikey non ci avrebbe mai creduto. I suoi prezzi erano alti, ma
l’aveva proprio sparata quando aveva detto 200. Aveva visto uno ricco, evidentemente alle
sue prime volte e aveva detto una cifra qualunque. Mai avrebbe pensato che questi gli
avrebbe offerto di più.
Quella sera se la meritava al chiuso.
Entrò nella chiesa e si guardò in giro: era deserta. Qualche candela bruciava vicino
all’altare e la poca luce che emanava si sfumava in quella elettrica, ma altrettanto debole,
sull’altare. Si sedette su una delle panche in fondo e si strinse nelle spalle, Lì dentro non
faceva così freddo, ma non sufficientemente caldo da riscaldarlo. Si alzò subito e decise di
andare vicino alle candele dove, forse, avrebbe fatto più caldo. Camminò dritto in piedi, sul
corridoio centrale,senza un gesto devoto nei confronti di quel crocifisso che, da dietro
l’altare, sembrava incombere su di lui.
Ash non lo guardò neanche, ma anzi, gli diede le spalle sedendosi vicino alle candele
dove, effettivamente, l’aria era più calda.
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Favola Metropolitana
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C’era un silenzio assoluto, all’interno della chiesa. Ashley sentiva solo il suo respiro e una
goccia d’acqua, che, di tanto in tanto, cadeva dai suoi capelli.
Portò le ginocchia al petto per scaldarsi ulteriormente. Non aveva voglia di andare a casa,
Mikey probabilmente non era ancora tornato e l’idea di rivedere Ian e Patrick a quell’ora di
notte, probabilmente strafatti, non era certo delle più allettanti. Si ricordò del pacchetto
nuovo che aveva in tasca e prese una sigaretta, accendendola con una delle candele lì di
fianco a lui.
“Lo sai che ci sono persone che credono che quelle candele illumino la via dei loro cari
verso il Paradiso…”
Ash sussultò e quasi cadde dalla panca su cui era seduto.
“Cazzo, non ti avevo sentito arrivare”
“E fumare in chiesa, inoltre, è proibito” disse l’uomo appena arrivato, togliendo dalle labbra
di Ash la sigaretta e strappandone via la brace all’estremità.
“Sei uno che non si ustiona facilmente” commentò sarcastico Ash, ma poi guardò stupito
l’uomo che gli stava porgendo il resto della sigaretta, spento.
“Dal sorriso che hai fatto quando l’hai presa, penso che tu la ritenga un bene prezioso.
Sarebbe sciocco buttarla via tutta, no?”
Ash annuì, esterrefatto e riprese la sigaretta.
Guardò l’uomo davanti a sé. Era un prete giovane, poteva avere trenta, trentatrè anni non
di più. I capelli lisci erano ben ordinati sulla nuca e sulla fronte, solo intorno alle orecchie
ricadevano a ciocche sparse, quasi si ribellassero a quel taglio austero. La luce delle
candele non permetteva ad Ashley di capire di che colore fossero. Castani? Biondo scuro
forse?
Portava occhiali piccoli e ovali; minimalisti ma ricercati. Una montatura che ti saresti
aspettato più su un cartellone pubblicitario, piuttosto che su un prete.
“Devo andarmene?”
“No” rispose il prete “ma ho pensato ti avrebbe fatto piacere del tè caldo” Disse
porgendogli un bicchiere di cartone fumante “E’ da quando sei entrato qui che tremi. Ti ho
portato anche questo” aggiunse appoggiando un maglione di fianco ad Ash “così ti riscaldi
meglio”
“Non proprio all’ultima moda” disse con fare impertinente Ash che, comunque, si affrettò a
togliersi la propria giacca. Non vedeva l’ora di avere addosso qualcosa di asciutto.
“E’ del parroco di questa chiesa, ha settant’anni, non puoi pretendere molto” rise il prete.
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“Non sei tu il parroco di qui?” Il primo sorso di tè irradiò così tanto calore dall’interno che
Ash sospirò di piacere.
“Ti sembro così vecchio?” lo rimproverò il prete “No, io sono qui per aiutare il parroco e per
intraprendere la via che mi porterà a Dio”
“Io ne conosco ben altre di vie che ti portano a Dio” commentò Ash fra sé e sé, ma
tenendo sotto controllo la reazione del prete. Reazione che non arrivò. “ E quindi mandi tu
avanti baracca e burattini quando il vecchio dorme?”
“Il reverendo Paul” lo corresse il prete “non sta molto bene in questi giorni, per cui si ritira
presto la sera e io mi occupo delle preghiere serali e di chiudere la chiesa, quando è ora”
”Ma stasera l’hai lasciata aperta”
“C’è sempre qualcuno che potrebbe aver bisogno di ospitalità nella casa del Signore”
“E’ incredibile che ci sia gente che crede davvero a queste cazzate. Io avevo solo freddo”
“Per qualunque motivo sia, sei entrato e questo per me è sufficiente”
“Anche se ho acceso una sigaretta con una candela?”
“Anche se hai acceso una sigaretta con una candela” gli sorrise il prete.
Aveva un bellissimo sorriso, così caldo e rassicurante che Ash si ritrovò a sorridere anche
lui. Forse, anche se erano tutte cazzate le storie raccontate dai preti, rendevano più dolci
le persone che ci credevano.
“Bevi sempre il tè senza niente? Neanche con un goccio di latte?”
“Il tè va bevuto senza nulla, altrimenti perdi tutto il suo sapore”
“Sarà, ma io l’avrei preferito con un po’ di latte”
“Fai anche il pignolo su come ti viene servito il tè?” lo prese in giro il prete.
“E’ quello che mi diceva sempre il Lercio, quando mi offriva i panini…”
“Il Lercio?”
“Sì, l’omino che aveva un baracchino di hotdog all’angolo a Becontree. Faceva i migliori
panini di Londra. Non riusciva mai ad azzeccare il panino che doveva farmi, penso perché
alla fine, non mi ascoltava neanche” Ash si strinse nelle spalle, sorridendo al ricordo
“Perciò è naturale che mi lamentassi, quando mi dava il panino sbagliato.”
“Ma non hai detto che te lo offriva?”
“E che c’entra? Anche offerto, era il panino sbagliato”
“Ne parli al passato…”
Ash sospirò e guardò il prete negli occhi “E’ morto. O almeno, così dicono. E’ scomparso,
al posto suo c’è un altro che fa panini, ma niente a che vedere con quelli del Lercio”
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“Non sai cosa gli sia successo?” chiese il prete.
“Sai come vanno queste cose, uno chiede in giro…magari un po’ qua e un po’ là, ma
nessuno ha notizie certe. Per un certo periodo è anche girata voce che il Lercio avesse
avuto problemi con dei tizi ed un debito da saldare, ma non penso sia vero. Non era da
Lercio fare debiti…Pensa che una volta” spiegò Ash “m’ha prestato un libro. Ha precisato
però, che non me lo prestava, ma che me lo regalava e che io gliel’avrei regalato a sua
volta, quando l’avrei finito. Diceva sempre che non voleva crediti, né debiti con nessuno.
E’ inverosimile che uno così abbia dei debiti, non credi?”
Il prete guardò Ash e annuì “Che libro era?”
“Era un libro di viaggi, sull’Italia e il Mediterraneo”
“Vorresti andarci?”
“Da impazzire, se avessi qualche soldo, partirei domani. Ma sai, per ora è troppo caro
lasciare l’Inghilterra”
“Non sei mai andato all’estero?”
Ash si strinse nelle spalle “Il Galles conta?” e poi rise, divertito.
“L’Italia è molto bella, ti auguro davvero di poterla visitare un giorno”
“Ci sei stato?” chiese entusiasta Ash, ma poi riportò la voce al tono di sempre “Sì, ci andrò
un giorno… Vorrei vedere il mare…caldo”
“Il mare caldo?”
Ashley annuì e il prete rise.
“E’ divertente?”
“No, è che di solito, se qualcuno vuole visitare l’Italia è per andare a vedere Roma, Firenze
o Venezia… E non per vedere il mare caldo…”
“Vorrei andare anche a Roma, Firenze e Venezia, ovviamente. Ma soprattutto, vorrei stare
in riva al mare e che questo sia caldo e brillante, come in quelle foto del libro del Lercio.
Poi la sera potrei andare in giro per città , ma di giorno…” Ash non concluse la frase,
perso fra quelle immagini che aveva visto mille volte, su un libro che non aveva mai più
restituito.
Riusciva sempre a controllare le sue reazioni, dosare le parole e i gesti, ma quando si
lasciava andare, il suo labbro inferiore sfuggiva al suo controllo e tremava, a volte
impercettibilmente, altre volte più marcatamente. Da sempre era qualcosa che non
riusciva a controllare e che lo infastidiva a dismisura.
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Anche in quel momento, fra il ricordo del Lercio e di un possibile futuro, il suo labbro
tremò, sopraffatto da una malinconia improvvisa.
Suonarono le campane.
“Cazzo” scattò in piedi Ash “Mi sa che s’è fatto tardi”. Si girò verso il prete per salutarlo,
ma gli mancarono le parole. Gli sorrise semplicemente e l’altro fece lo stesso.
Corse via, per raggiungere il più in fretta possibile la metropolitana che l’avrebbe portato a
casa.
Arrivò a casa un’ora dopo, quando il sole era già alto in cielo. Inserite le chiavi nella toppa,
Ashley non riuscì subito ad entrare in casa.
“Ma che cazz…”
Il corpo di un ragazzo che russava era steso e impediva il passaggio e così, altri quattro
ragazzi, occupavano la sala, fra bottiglie di birra vuote e fumi di bonghi quasi esauriti.
“Porca puttana, Topo!”
Mickey uscì assonnato dalla sua stanza, vestito di soli boxer.
“Che cazzo ci fanno questi qui?”
“Una piccola festicciola, Ash, dai non te la prendere. Non tornavi più e mi stavo annoiando.
Sono amici…”.
“Cazzo, Topo, sono parassiti, che si scolano birra sui soldi degli altri “
Ash iniziò a scuotere i ragazzi sul pavimento uno ad uno.
“Dai, Ash, lasciali stare”
“Vaffanculo!” disse rivolto a Mikey e poi, vedendo che gli altri facevano fatica a mettersi in
piedi, li sollevò di forza “Fuori di qui, cazzo!” e senza troppe cerimonie, li buttò uno ad uno
fuori dalla porta, sbattendola alle spalle. Qualcuno protestò, ma le sue parole furono
interrotte da un conato di vomito.
“Ecco, così ora ci ritroviamo con una puzza sul pianerottolo per le prossime tre settimane.
Ti ho detto che non li voglio a casa”
Il Topo si strinse nelle spalle “Non abbiamo fatto niente di male. Tu te ne sei andato col
tuo riccastro e siccome dopo non è passato più nessuno, non sapevano cosa fare, e ci
siamo fatti due birre a casa”.
Ash prese da terra una bottiglia vuota e la buttò nella spazzatura.
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“Tu piuttosto, dove sei stato?” chiese Mikey buttandosi sul divano “ Mi stavo quasi
preoccupando, non vedendoti più tornare…. Cos’è, il ricco rotto in culo t’ha tenuto
occupato tutta sera?”
Ash rise, tirando fuori i soldi dalla tasca e sfogliando ad una ad una le dieci banconote.
“Merda, cinquecento sterline. E che cazzo hai fatto a ’st’uomo?” Poi il Topo sgranò gli
occhi “Non ti sarai fatto scopare senz...”
”Mi prendi per scemo?” tagliò corto Ashely “Un pompino” disse poi, orgoglioso.
“Certo, un pompino al principe Carlo, per quella cifra!”
“No davvero, lui m’ha chiesto quando volevo per un pompino, e io ho sparato una cifra a
caso. Era uno nuovo, di quelli che non s’informano perché si vergognano e allora ci ho
provato.”
“Cinquecento cazzo di sterline. Ash, è troppo pure per te! Ma poi hai dormito da lui?”
“No, siamo stati in macchina, poi sono tornato a piedi”
“E ci hai messo 5 ore”
Ash sospirò “Sono entrato in una chiesa lì vicino…”
Mikey fece una faccia fra l’inorridito e l’incredulo e Ash continuò a spiegare.
“Avevo freddo, perché ero bagnato e non sapevo come tornare perché non conoscevo
bene la zona. Allora ho pensato di entrare in un luogo asciutto e aspettare l’alba” Ash si
appoggiò con la schiena al muro e guardò fuori dalla finestra: la città che si stava
risvegliando “E lì mi sono messo a chiacchierare con un prete”
Mikey scoppiò a ridere “E di che cazzo hai parlato con un prete?”
Ash non rispose subito e si strinse nelle spalle. “Abbiamo parlato del parroco di lì, del
Lercio, del mare…”
“Eh?” Il topo non stava capendo
“Abbiamo parlato di cose… normali...” disse Ash accorgendosi troppo tardi di avere la
voce rotta.
“Di cose normali…” ripetè cercando, questa volta, di mantenere la voce più salda..
Non guardò in faccia l’amico, ma lo sentì schioccare la lingua, come quando il Topo non
capiva qualcosa.
Ash entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle e solo allora lasciò andare il
respiro, quasi lo stesse trattenendo da troppo tempo.
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Avevano parlato di cose normali, come una qualunque conversazione in un qualunque
momento, eppure Ashley sentigli occhi inumidirsi e dovette strizzarli e darsi del coglione,
per non piangere.
Ripensò al prete e si rese conto di non averlo mai guardato, se non all’inizio della
conversazione. Si ricordava bene i suoi capelli e i suoi occhiali, ma quello che gli vibrava
addosso era la sua voce, che l’aveva scaldato dopo la pioggia. Ash guardò il maglione che
aveva ancora addosso e lo strinse fra le mani.
Si tolse le scarpe e i jeans, prima di mettersi a letto sotto le coperte. Non si tolse però il
maglione, che continuava a stringere fra le dita.
Chissà come muoveva le mani, quando parlava, chissà che espressione faceva quando
ascoltava… chissà.
Ash riascoltò la voce del prete prima di riaddormentarsi e solo poco prima di cedere al
sonno si accorse che non gli aveva neanche chiesto il nome.
Pioveva ancora. Orami era da giorni che non smetteva. Mikey e Ashley erano sempre al
solito posto, sotto il lampione e le sua luce al neon.
Ash aveva dormito fino al tardo pomeriggio, poi s’era preparato come sapeva sarebbe
piaciuto ai clienti: un’ombra di matita sul bordo degli occhi e le ciglia, naturalmente lunghe,
pettinate con cura. Troppo trucco gli avrebbe rovinato i lineamenti, che non erano
sufficientemente femminili per stare bene colorati.
Si mise nella borsa il maglione che gli aveva dato il prete. Non sapeva ancora dove
sarebbe finito, quella sera, ma ugualmente se lo portò dietro.
“Pensi che il rott’in culo tornerà?”
”Chi?” chiese Ash “quello di ieri? Ha detto che vuole fare festa, ma dubito che venga…”
”Perché scusa? Se ti ha dato cinquecento sterline, evidentemente gli sei piaciuto”
“Gliene ho chieste duemila per il servizio completo”
Mikey non credette alle sue orecchie “Cazzo, sei impazzito? Duemila! Ce l’hai d’oro?”
Ashley rise e s’appoggiò al muro di fianco a Mikey.
“Ehi, Topo, stasera niente baldoria, ci servono i soldi”
“Con quello che guadagni tu, Ash, siamo al sicuro per mesi”
“Sì, con la differenza che non sono tua madre e non ho intenzione di mantenerti”
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Il Topo roteò gli occhi: “Tanto saremo inchiodati qui ancora per tanto, è giusto darsi una
mano a vicenda”
“Parla per te, io appena posso me ne voglio andare…”
Ashley aveva appena finito la frase, quando ricomparve l’auto del cliente del giorno prima
“Cazzo, è tornato davvero”
“Te l’ho detto che gli devi essere piaciuto! Certo che non è giusto, avessi una faccia come
la tua, porterei anch’io cinquecento sterline a sera a casa…”
Ash sorrise all’amico, prima di dirigersi verso la macchina. Il Topo, purtroppo, aveva
ragione. Quel muso asimmetrico, il naso troppo grosso per le guance incavate e le
orecchie a sventola che gli avevano valso il soprannome, non lo aiutavano di certo a
trovarsi clienti. Ma era un tipo affabile e sapeva comunque lavorarsi le persone con le
quali aveva a che fare, perciò riusciva a compensare con l’esperienza la sua mancanza di
fascino. E poi, come diceva sempre lui, col culo all’insù si è un po’ tutti uguali, quindi alla
fine anche il topo aveva la sua parte.
Stessa macchina, ma soprattutto, stesso abito costoso del giorno prima. Per pagare un
pompino cinquecento sterline quest’uomo doveva essere ricco, ma non sapeva di certo
spendere soldi in vestiti.
“Allora sei tornato” gli disse dolcemente “Ti aspettavo, ma non ero sicuro mi avresti voluto
di nuovo”
Il cliente era ancora agitato, forse più del giorno prima.
“Dobbiamo andare in albergo”
“Se ti agita essere visto con me, possiamo anche andare nel parcheggio. Sono
molto…duttile” e lasciò che quelle parole rimanessero sospese in aria, senza che il suo
cliente potesse fare niente se non trattenere un piccolo gemito.
“No, in albergo. Duemila sterline, ma per tutta la notte. Va bene?”
Era il tipico uomo che aveva bisogno di più riprese per durare un periodo soddisfacente.
Una cosa che doveva fare più per lui che per l’altro, dato che ad Ashley non interessava
assolutamente quanto un cliente durasse. Raramente gli altri si occupavano del suo di
piacere quindi, altrettanto raramente, si occupavano di farlo venire. Ci aveva fatto
l’abitudine e i clienti non sempre lo notavano.
“Non ti preoccupare” disse Ash al suo cliente, appoggiandogli una mano sull’inguine “sono
bravissimo a non farmi notare”
L’uomo sollevò leggermente il bacino per aumentare la pressione “Spero sia vero…”
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Favola Metropolitana
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L’albergo dove andarono era un albergo lussuoso, come Ash se l’era aspettato. Fu
estremamente facile per lui introdursi senza essere visto, l’aveva fatto così tante volte che
ormai, aveva perso il conto.
Quando entrò nella stanza, il suo cliente era già lì, mezzo nudo, senza i pantaloni e con la
camicia semi sbottonata. Ashley camminò verso di lui con passo felino.
“Sei bellissimo” mentì così bene che il suo cliente gli credette immediatamente, ma non
ebbe tempo di dire nulla perché la bocca di Ash succhio via qualunque parola di risposta.
Venne subito, gridando, più forte di quanto avesse già fatto in macchina.
“Non era…” farfugliò l’uomo ma non riuscì a formulare un pensiero coerente.
“Era un piccolo anticipo di quello che ti aspetta, ora però il mio anticipo “ gli disse
tendendo la mano.
L’uomo gli mise dieci pezzi da cento sul comodino e Ash scosse la testa.
“La cifra è duemila”
“Ma…” protestò il cliente”
“Duemila, o me ne vado con quei mille che mi pagano quello che ho già fatto”
L’uomo sospirò e Ashley si sarebbe messo a ridere, ma non si può ridere del cliente. Non
di fronte al cliente stesso.
Duemila sterline vennero appoggiate sul comodino.
Una scopata per duemila sterline, e quando gli ricapitava?
“Duemila” disse titubante l’uomo “Ma ti voglio leccare e ti voglio fottere tutte le volte che
voglio. Ti ho tutta notte”
Per lo meno, pensò Ash, il suo cliente iniziava a mettere da parte le sue inibizioni e
chiedeva esattamente quello che voleva. Anche se era chiaro che non sapeva che cosa
l’avrebbe aspettato.
Ash era terribilmente annoiato, lasciò che l’uomo lo spogliasse fingendo interesse, ma non
vedeva l’ora che tutto finisse.
Il solo spogliarlo, provocò al cliente una nuova erezione che si consumò in un istante,
appena Ash iniziò a strofinare il proprio membro con quello dell’altro.
“No, niente giochetti erotici. Per quelli c’è già mia moglie” disse il cliente ansimando
“Voglio venirti dentro”
Ashley gli sorrise, tirando fuori un preservativo dalla tasca dei jeans buttati per terra. Il
cliente spalancò gli occhi.
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“Mica ti sarai dimenticato del nostro amico, vero?” Ma per l’ennesima volta, l’uomo non fu
in grado di parlare perso fra i suoi gemiti e rantoli, col sesso di nuovo semi eretto.
“Sei così bello…Devo… Io devo scoparti”
“Ma certo” gli sussurrò all’orecchio Ash “Preparami” gli disse poi versando sulle mani del
cliente della vaselina.
Durò tutto pochi minuti, poi di nuovo il cliente venne, rantolando, in un orgasmo che
sembrava non avere pari. Ash guardò l’addome gelatinoso dell’uomo e si sfilò da lui,
accarezzandoglielo.
Lo guardò in volto: aveva un’espressione felice e soddisfatta, quella di chi ha finalmente
dato voce ad un desiderio inespresso da anni.
Si addormentò lì, nudo, senza prendersi la briga di mettersi sotto le coperte.
Ashley pensò che fosse il caso di godersi un po’ la stanza e si preparò l’acqua del bagno.
Si guardò le mani , unte di lubrificante e le tuffò nell’acqua bollente, scoppiando a ridere, in
una di quelle risate isteriche a cui raramente si abbandonava, ma così liberatorie che lì, in
quell’albergo a cinque stelle, con un uomo che russava dall’altra parte della porta,
sembrava l’unica cosa possibile da fare.
Rimase in acqua almeno due ore, continuando a farne uscire di calda, mentre quella
all’interno della vasca si raffreddava. Che ore erano?
Forse le cinque. Si poteva considerare conclusa la nottata?
Lì, fuori dall’acqua, zuppo dalla testa ai piedi, un pensiero lo folgorò: forse la chiesa
sarebbe stata aperta, forse poteva andare lì e per bere un’altra tazza di tè.
Si asciugò in fretta: c’era una certa agitazione nei suoi movimenti, fin troppa aspettativa.
Non aveva neanche idea di dove si trovava…
Stupido.
Si sgridò, ma ugualmente si rivestì in tutta fretta, mettendosi in tasca i soldi.
Uscì dalla stanza dopo pochi minuti: sì, le cinque potevano considerarsi mattina.
L’albergo, si rese conto, era piuttosto lontano dalla chiesa, ma ugualmente distante da
casa sua, quindi tanto valeva incamminarsi. Pur con duemila sterline in tasca, Ashley non
prese in considerazione l’idea di prendere un taxi. Li aveva sempre considerati soldi
buttati. Passò un autobus sul quale salì al semaforo. Gli avrebbe se non altro, risparmiato
un po’ di strada.
Arrivò di fronte a Tesco un’ora dopo e si fermò per un istante a guardare il supermercato.
Il quartiere si stava risvegliando, le luci dei negozi si stavano accendendo e Tesco, un
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monolite in mezzo al parcheggio, seguiva la corrente e, anche lui, alzava le tapparelle.
Ashley si ritrovò a sorridere, pensando che nello stesso parcheggio in cui si trovava in quel
momento, due sere prima aveva fatto un pompino per cinquecento sterline ad uno
sconosciuto. Ma questo Tesco non poteva saperlo.
Il ragazzo si girò nella direzione della chiesa, ma non si incamminò subito. La guardò,
immobile sotto la pioggia cercando di metterla a fuoco.
C’era qualcosa di orribilmente brutto nella sua architettura, di osceno, quasi, nel suo
grigiore e Ash si chiese se, per caso, agli occhi degli altri anche lui non apparisse così.
Imbruttito dal suo lavoro e osceno, nella completa indifferenza nei confronti del mondo che
lo circondava. Non un apatico, quello no, perché il calcio la domenica o due risate con gli
amici smuovevano sempre l’umore, per dieci minuti. Ma qualunque cosa gli capitasse, gli
scivolava addosso senza lasciare traccia e spesso, senza lasciare alcun ricordo di sé. Ash
alzò le spalle, per allontanare quel pensiero inutile. Del resto, non gli interessava poi
molto.
Qualcuno avrebbe potuto obiettare che Ashley poteva essere osceno, ma sicuramente
non era brutto. Ma anche questo pensiero venne accantonato e lasciato cadere, lontano.
Anche quella chiesa, probabilmente, poteva diventare graziosa, a Natale, se addobbata di
lucine e ghirlande. Questo comunque non ne avrebbe modificato la bruttezza essenziale.
Il portone della chiesa era chiuso.
Ash si guardò in torno, per vedere se ci fossero entrate secondarie aperte.
“Ehi, che ci fai qui?” gli chiese un vecchietto con una scopa in mano. “Non vedi che la
chiesa è chiusa?”
Ash alzò il sopracciglio. Aveva scambiato il vecchio per qualcuno che faceva le pulizie,
mentre si rese conto – dall’abbigliamento – che era il parroco.
“La chiesa non dovrebbe essere sempre aperta per i bisognosi?” Chiese facendo un po’ il
verso a ciò che gli aveva detto il suo prete, due sere prima.
“A quest’ora i bisognosi dormono! Vattene a casa ragazzo!”
“Volevo parlare con…” Ashley si fermò un istante in cerca delle parole adatte “Col prete
giovane, quello che era qui un paio di giorni fa…”
“Padre Joshua?”
“Se avessi saputo il suo nome, te l’avrei detto” rispose asciutto il ragazzo.
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Gli occhi del vecchio divennero due fessure, se c’era qualcosa che davvero non
sopportava, erano questi giovani impudenti: “Brutto impertinente, vattene di qui!”
“Ma sono venuto a trovare qualcuno, non voglio andarmene”
“Sei venuto qui per prenderti gioco della chiesa, io conosco i ragazzini come te!”
“Ragazzini… Ho già due volte dieci anni, più qualche anno, non più un ragazzino”
Il parroco aggrottò la fronte, cercando di fare i conti e capire cosa avesse appena detto
Ashley, ma s’irritò ancora di più .
“Mi prendi in giro?”
“Ti avessi offerto una scopata capirei questa tua irritazione…”
Il vecchio divenne rosso in faccia: “Ma tu lo sai con chi stai parlando?” gridò “e lo sai che
questa è la casa di Dio?”
“Se ci ospita, per me va bene anche farlo a casa sua, non è un problema” suggerì Ash
stringendosi nelle spalle.
Il vecchio tremò e brandì la scopa: “Brutto schifoso! Vattene via, che insozzi il mio sagrato!
Prega e che Dio perdoni la tua lingua biforcuta!” Gli inveì contro, cercando di colpirlo con
la scopa.
Ashley si scansò per evitare il prete e tirò fuori il maglione dalla borsa:
”In realtà, volevo restituirgli questo, anche se penso sia tuo”
“Che ci fai col mio maglione? Dammelo!”
Il vecchio lo afferrò, ma Ash non lasciò andare la presa “Lo vorrei restituire a chi me l’ha
prestato. Padre Joshua o chi per lui…”
“E’ mio, dammelo, brutto ladro!” S’intestardì il prete, tirando la maglia a sé, ma il ragazzo
la strinse più forte.
“Ho detto che la voglio riconsegnare a chi me l’ha prestata” e così dicendo, fece un passo
indietro per riprendersi la maglia. Tirata da entrambe le parti, però, questa si scucì nel
mezzo.
“Ecco, guarda cos’hai fatto! L’hai rotta, e ora, prima che me ne venga spedita un’altra, ci
vorranno giorni e io morirò di freddo. Come farò? Come farò adesso?”
Poi il vecchio riprese la sua scopa in mano e guardò il maglione ormai rotto:
“Vattene via, che qui crei solo problemi”
Ash rimase fermo immobile, con il maglione ancora stretto in una mano. Lo fissava, con le
sopracciglia corrugate, lì, slabbrato e scucito, in parte stretto nella sua mano e in parte
buttato a terra.
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Si piegò, per prenderlo dall’altra manica e sollevarlo, avendo paura che se l’avesse
sollevato con la mano che già era stretta intorno alla lana, il maglione si sarebbe rotto
ancora di più.
Lo guardò per un istante, per poi piegarlo con cura e rimetterlo nella sua tracolla. C’era
lentezza nei suoi movimenti, quasi sacralità per un oggetto che l’aveva riscaldato per una
notte intera.
Il maglione era inutilizzabile.
“E ora, cosa porto a padre Joshua?” chiese, con voce strozzata.
“Cosa?” chiese il vecchio interrompendo nuovamente la sua attività e gracchiando.
Ash alzò lentamente gli occhi sul prete, con l’espressione di chi vede una persona per la
prima volta
“E ora” ripetè cercando di non far tremare quel labbro maledetto che minacciava di farlo
sempre sembrare troppo debole “Che cosa restituisco a Padre Joshua?”
“Ah Padre Joshua, certo! Lui il suo maglione ce l’ha, sono io che ora ne ho uno in meno!
Gli dirò io come sono andate le cose e la prossima volta, starà più attento a non dare a dei
delinquenti come te le mie cose!”
Ash sospirò, e rimase immobile, lì sul sagrato, finché il vecchio non rientrò nella chiesa
dalla porticina sul lato, lasciando che questa sbattesse così violentemente che il ragazzo
sussultò.
Guardò di nuovo la sua borsa e si avvicinò alla bacheca della chiesa, per leggerne gli
orari.
Giovedì, venerdì… C’era messa tutti i giorni.
Prese il foglio e lo strappò dalla puntina che lo teneva attaccato al sughero.
“Qualcun altro potrebbe aver bisogno di leggere gli orari della messa”
Ash si spaventò e si girò di scatto.
“Cazzo! Se ogni volta sbuchi dal nulla così, muoio d’infarto nel giro di due giorni” disse
rivolto al prete che aveva incontrato due sere prima. Si mise il foglio in tasca, piegandolo
in malo modo e poi abbassò lo sguardo.
Non era certo del motivo per cui fosse tornato lì. Per restituire il maglione, è vero, ma ora
che il maglione era stato strappato, non sapeva esattamente come giustificare la sua
presenza lì… Probabilmente sarebbe stato meglio andarsene via.
“No, rimani” gli disse il prete, vedendolo fare un passo indietro “vieni con me, fa troppo
freddo per rimanere qui fuori senza essere ben coperto”
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“Dove stiamo andando?”
“Non avrai paura di seguire un prete, no?”
No, non l’aveva. O meglio, non era il tipo di paura alla quale il prete si riferiva, era un altro
tipo di agitazione, più profonda. Era paura del silenzio che si sarebbe per forza di cose
venuto a creare, dell’inutilità della sua presenza lì.
“E’ meglio che vada” disse.
Il prete lo guardò, attraverso i suoi occhiali piccoli.
“Vieni prima a riscaldarti un po’. Metterò del latte nel tè, questa volta”
Ash sorrise e la sua gamba agì per lui, facendo un passo verso quell’uomo.
Entrarono in una piccola casetta a lato della chiesa.
“E’ piuttosto spoglio” spiegò il prete “Ma funzionale per quel che è”
“E che cos’è?”
“Una casetta”
Ash sorrise: “A cosa serve?” si corresse
“E’ una delle casette intorno all’oratorio” iniziò a spiegare l’altro, camminando per un
corridoio che conduceva ad un cucinino. “ In quella principale ci dorme il parroco, si
tengono le lezioni di catechismo e le lezioni dei cori. In questa e nell’altra casetta ci vivo io,
i ragazzi del seminario che vengono qui. E ci sono un paio di stanze per chi non ha un
posto dove stare ma non vuole passare la notte al freddo”
“I drogati?”
“Anche loro”
“Io non sono un drogato” rispose asciutto Ash.
“Lo so”
“Io no…”
“So benissimo cosa sei” lo interruppe il prete guardandolo negli occhi “Non mi riferivo a te,
rispondevo solo ad una tua domanda”
“Hai detto cosa”
“Mmm?” il prete aggrottò la fronte
“Hai detto ‘cosa sono’”
“E’ quello che ho detto”
“Non chi sono”
”Perché quello non lo so”
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Ash guardò il prete davanti a lui, o meglio, lo scrutò. I capelli castano chiari – ora alla luce
li vedeva bene – erano davvero indisciplinati sulle orecchie…
Ash annuì, pensieroso, accorgendosi solo in un secondo momento di avere la bocca
leggermente aperta.
Forse era per quello che era completamente secca.
“E lo stesso mi fai entrare?” disse con un tono di voce troppo basso, che non riuscì a
correggere
“Anche tu soffri il freddo, mi sbaglio?”
“Mi vuoi qui per scoparmi?” Ash riprese subito il suo solito tono, ma l’altro non ebbe
nessuna reazione.
“No” gli rispose semplicemente.
“Sicuro? Guarda che sono bravissimo” chiese nuovamente, sedendosi sopra la cassettiera
.
“Non lo metto in dubbio, ma non ti voglio qui per scoparti”
Ash guardò di nuovo il prete, i suoi capelli irrequieti ed il suo sorriso sulle labbra, mentre
versava le foglie di tè nell’acqua bollente.
“Hai un modo , come dire, antico, di fare il tè”
“Non mi piacciono gli infusi nella carta”
“Sei visioso” alzò il sopracciglio Ashley.
“Sono viziato” lo corresse il prete, al che il ragazzo non trattenne una risata, che presto si
trasformò in un’altra e un’altra ancora, fino ad avere le lacrime agli occhi.
Anche il prete rise “Sono così buffo?”
“No, è solo che…” Ash cercò le parole adatte “Solo che…” ma poi ci rinunciò, scrollando le
spalle “Sono molto rilassato, credo. E siccome non capita molto spesso, faccio fatica a…”
di nuovo si bloccò. “Ora come ora faccio fatica a parlare” si schermì, arrossendo.
Il prete gli porse una tazza di tè con del latte “prendi, quando ti sarai riscaldato sarà tutto
più facile”
Ashley prese la tazza e se la portò alle labbra, facendosi riscaldare il viso dal vapore, ma
non bevendo.
Il prete prese la sua tazza fra le mani e iniziò a sorseggiarla.
“E’ un quadretto piuttosto carino, non trovi? Di prima mattina, a bere tè. Uno si potrebbe
anche aspettare che ora io debba uscire per andare al lavoro e tu pure...”
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“Se davvero volessimo completare un bel quadretto familiare, dovrei anche offrirti dei
biscotti, che non ho”
“E’ davvero una casa poco accogliente, questa!” sorrise Ash “Neanche dei biscotti fatti in
casa per questo povero figliuolo”
“Vige una certa austerità, qui intorno” disse il prete con aria furtiva, indicando con l’indice il
perimetro della stanza “e non si sa mai cosa possa dire il vecchio se trovasse un
biscottino. La gola del resto, è uno dei peccati capitali!”
Ash scoppiò a ridere: “Sì” fece poi una faccia terrorizzata “E il vecchio è uno che non si
vuole rincontrare una seconda volta nella stessa giornata!”
“Qui tocchi un tasto dolente!” puntualizzò il prete e Ash annuì, pensieroso.
“Certo, non ti invidio” disse poi, ridendo di nuovo.
Non rideva spesso, ma quella mattina gli sembrava così facile ridere che continuava a
farlo
“Certo che sei un prete strano tu” disse d’un tratto Ashley “parli male dei tuoi superiori, dici
cose come scopare senza arrossire… Non mi cacci, anche se ti faccio perder tempo”
“Mi sembra che qualcuno oggi ti abbia già cacciato, e penso che una volta al giorno sia
sufficiente, non trovi?”
Ash s’irrigidì.
“Eri fuori anche tu?”
“Ho sentito parte della conversazione”
“Quindi…” e di nuovo non riuscì a bloccare quel maledetto labbro che tremò “Il
maglione…”
“Non fa nulla”
“Come non fa nulla, me l’avevi dato, s’è rotto e io…”
“Tu niente. S’è strappato. Ho visto cos’è successo, e non fa nulla”
Ash alzò lo sguardo che non s’era accorto di aver abbassato.
“Scusami”
“E di cosa?”
“Ho strappato il maglione…”
“Ma non è stata colpa tua”
Ash si strinse nelle spalle “Neanche del vecchio. Avrei probabilmente dovuto lasciarglielo,
era suo, ma…” Ash sospirò “Ma… cazzo” poi sbottò, cercando in questo modo di coprire
l’imbarazzo “oggi non riesco a parlare!”
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Si strizzò gli occhi con le dita, e di nuovo si ritrovò con la bocca secca “Non avrei avuto la
scusa per tornare, se gliel’avessi lasciato”
Quella confessione stupì così tanto in ragazzo che non notò le mani dell’altro avvicinarsi
alle proprie, incapace com’era di mettere un ordine razionale a quell’insieme di pensieri
che affollava la sua testa.
“Smettila di torturarti le dita, finirai per fartele sanguinare”
Appoggiò la tazza a lato di Ash e gli prese le mani con le sue “Non devi avere scuse per
passare di qui, puoi venire quando vuoi”
Ash si lasciò prendere le mani “Certo” disse “per chiedere poi in giro di quel prete di cui
neanche so il nome.” Poi sorrise: “E’ buffo, io non ho mai avuto buoni rapporti coi preti”
Il prete gli massaggiò le dita: “Joshua, diceva bene il vecchio”
“Ashley” le loro mani si strinsero.
“Ma aspetta un attimo…” Ash alzò le sopracciglia e sul suo viso comparve il sorriso di chi
ha appena scoperto l’altro fare qualcosa che non doveva “Non eri tu quello che l’altra sera
mi ha corretto, quando ho chiamato il vecchio vecchio? Non si doveva chiamare
Reverendo Paul? Mi sembra piuttosto irrispettoso da parte tua, riferirti al tuo superiore
così”
“Beh” padre Joshua si strinse nelle spalle “ vecchio è vecchio e diciamolo, non un buon
prete”
“Non ti tratta bene?”
“Non tratta te bene”
“Non è molto importante” Ash scrollò la testa.
“E’ molto importante. Un prete non dovrebbe comportarsi come lui ha fatto prima. Esistono
già le vecchiette del piano di sotto, oppure gli impiegati in posta che sono acidi e
scorbutici.”
“E’ per quello che sei diventato prete?”
“Per quello cosa?”
“Per far sì che non tutti i preti brandissero scope contro i malcapitati?”
Padre Josh abbassò un istante gli occhi e guardò le loro mani che erano ancora l’una
nell’altra. Le separò, sospirando.
L’aria si fece improvvisamente più fredda e Ash cercò di non perdere quel contatto, ma poi
fu obbligato a lasciare le mani del prete che continuò a guardare.
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“Il tè si raffredda” gli disse padre Josh non notando – o forse fingendo di non notare – il
tentativo del ragazzo di tenere le sue mani nelle proprie
“Sono diventato prete perché vorrei aiutare gli altri…”
“Si diventa medico, in quel caso. O si va in Africa. Non si diventa prete e non si finisce in
una parrocchia di Londra”
Padre Josh sorrise “Non è vero, esiste un certo strato della popolazione…” poi si corresse
“ esistono certe persone che non sono malate o che non vivono in Africa, che posso in
qualche modo aiutare”
“Offrendo tè caldo quando hanno freddo”
“Ti consideri una persona che ha bisogno d’aiuto?”
Ash guardò padre Josh, attirato ancora dal quei capelli ribelli sulle orecchie, poi scosse la
testa “No, non lo sono. Ho un tetto, ho dei soldi che mi danno da mangiare, ho degli amici
con cui divertirmi, ho una televisione dove guardare il calcio… Alla fine, chi lavora in ufficio
tutto il giorno magari sta peggio di me”
Padre Josh sorrise, non ma non lo interruppe.
“Magari, anche l’impiegato in banca non ha voglia di tornare a casa e va a bere al pub…
Alla fine, l’importante è tirare a fine mese e cercare di stare bene…di essere felici”
Di nuovo, quella suo fastidiosa abitudine di dire troppo, di non pensare prima di parlare
quando gli argomenti non erano i soliti che trattava…
Di nuovo, quel maledettissimo labbro inferiore che non stava fermo.
Di nuovo un passo indietro.
“Poi vedi, quando incontro persone come te, al lavoro intendo, traggo anch’io il mio
beneficio. Mi diverto anch’io e mi piace, non è solo un servizio che faccio a loro,
nonostante mi paghino. E’ vero, non sempre va bene, ma uno come te lo scoperei anche
per qualche sterlina” Concluse Ash con quel sorriso che sapeva, era perfetto sulle sue
labbra. “ma è meglio che vada, devo dormire un po’, altrimenti non rimorchio nessuno
stasera, se ho l’aria troppo stanca”.
Ashley scese dalla cassettiera dov’era seduto, ma perse l’equilibrio. Obbligato a fare un
passo in avanti per mantenere l’equilibrio, si avvicinò troppo a padre Josh. La sua mano
agì molto prima che la sua mente potesse capire e andò su quei ciuffi di capelli castani,
per sistemarglieli dietro l’orecchio
“Sembri poco professionale, altrimenti” si obbligò a dire,misurando parola per parola, per
evitare che la sua bocca si seccasse.
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“Almeno non mi scambiano per il vecchio”
“Sei un irrispettoso” sorrise Ash grato che Joshua non avesse detto niente di quella mano
fra i capelli.
“Sono sincero” puntualizzò l’altro “ e peccherei se dicessi menzogne”
“Sono contento di non avere certi problemi” Ashley rise “ Allora, ci vediamo” salutò il prete
alzando la mano “e grazie di nuovo per il tè.”
D’improvviso aveva la necessità di correre via, di scappare. Si accorse di indietreggiare,
ma voleva girarsi e andare via.
Padre Josh non glielo permise, e gli afferrò la mano. Ashley fece scorrere il suo sguardo
dalla mano al viso e poi agli occhi del prete, ma non riuscì a fare nulla se non guardarlo:
troppo dolci per poterlo allontanare.
“Torna” gli disse lui “Se vuoi tornare torna, senza una scusa, solo perché vuoi”
“Così mi farai del tè?”
Padre Joshua sorrise “Se vuoi, oppure se ti va possiamo guardare qualche partita
insieme, o anche solo fare due chiacchiere”
La pelle sotto la mano di padre Joshua era in fiamme:
“Forse” rispose Ash, con gli occhi ancora fissi sull’altro.
Il prete lo lasciò andare “Allora ti aspetto”
Un emerito coglione. Ecco cos’era. Un emerito coglione.
Ashley guardava le vetrine dei negozi scorrere via velocemente, dalla finestra
dell’autobus.
Era agitato ed infastidito con sé stesso. Non sarebbe dovuto tornare in chiesa. Aveva
incontrato padre Joshua una sera, ma quello doveva essere un incontro come tutti gli altri,
fugace e anonimo. E invece era tornato. Stupido coglione.
Non era chiaro ad Ash il perché di quell’incredibile paura. Era una mattina qualunque, su
un pullman qualunque, aveva duemila sterline in tasca e stava andando a dormire. Qual
era il problema?
Un po’ lo erano quei ciuffi disordinati sull’orecchio che, cazzo, non volevano proprio
saperne di stare al loro posto.
Un po’ era quel sorriso e la completa assenza di scherno o cattiveria.
Un po’ erano quelle mani, troppo vicine.
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E un po’ era lui che di capelli disordinati, di sorrisi, e di mani troppo vicine ne aveva
conosciute a bizzeffe, ma nessuna di loro gli aveva messo paura.
E c’era anche quel maglione sbrindellato nella sua borsa. Ora non aveva più nessun
motivo per andare da lui. Perché quindi tornarci?
No, sarebbe stato molto più semplice non andarci più, perché alla fine, non c’era
assolutamente motivo per tornare.
Arrivato a casa fu grato di non trovare i soliti morti sul pavimento.
“Dove cazzo sei stato?”
“A farmi una sega. Mikey, dove cazzo vuoi che sia stato? A lavorare! Tu piuttosto, hai
l’affitto di questo mese?”
”A lavorare fino a quest’ora?”
Ash sentì per un attimo le mani di padre Josh fra le sue e fu tentato di dire al Topo dove
avesse passato le ultime ore, ma pensò fosse meglio tacere. Non avrebbe capito. Perciò
annuì, semplicemente, “L’affitto?”
“Ce l’ho, ce l’ho. Ultimamente sto migliorando… seguendo i tuoi consigli, si guadagna
molto di più”
“Hai comprato i preservativi?”
“Se hai bisogno, puoi prendere quelli nel cassetto”
“Ma scusa, non erano i tuoi?”
Mikey si strinse nelle spalle, guardandosi intorno.
”Non li hai usati”
“I clienti pagano di più senza”
”Cazzo, Mikey, sei proprio un coglione, cosa ti ho detto?”
”O smettila, Ash. Con la tua faccia del cazzo certo che uno può scegliere. Io no, e l’hai
detto anche tu che bisogna pagare l’affitto, no?”
“Sei un cazzone, Mikey, non è la faccia. E’ solo che sei un cazzone. Rischi troppo”
“Ho già una madre, Ash”
“Che non t’ha insegnato un cazzo.”
“Beh” si strinse nelle spalle Mikey “Era troppo impegnata a scoparsi i suoi di clienti per
spiegare a me come si faceva” rise e anche Ash non riuscì a mantenere la faccia seria.
“Sta’ attento Mikey, promettimelo”
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Il Topo annuì, ma Ash sapeva benissimo che, per qualche sterlina in più, il Topo avrebbe
dimenticato immediatamente la sua promessa.
Entrò nella sua stanza e si buttò sul letto, sospirando.
Cercò di scrollarsi di dosso quella sensazione di incompiuto, quella sensazione nostalgica
che aveva addosso, ma non riuscì.
Si rimise a sedere sul letto e tirò fuori il maglione strappato dalla borsa. Lo guardò, brutto e
anonimo, come se lo ricordava, slabbrato e strappato in più punti, scucito in altri. Non si
era reso conto di quanta forza aveva messo, quando aveva tirato per riprenderselo.
Si accese una sigaretta e lo indossò, sopra la sua maglietta di cotone. Brutto e sgualcito, il
maglione comunque conservava l’odore di quel posto. Forse della casetta, forse della
chiesa…
Inspirò l’odore e spense subito la sigaretta, magari l’avrebbe alterato.
Che cosa stava facendo? E che cosa voleva fare?
Perché tornava a casa e l’unica cosa che sembrava avesse senso era piangere?
S’impedì di farlo, ma lasciò che il suo labbro inferiore tremasse, nessuno spettatore ignoto
l’avrebbe visto.
Non era importante, tanto non sarebbe tornato.
Ora bastava dormire, il giorno dopo sarebbe dovuto apparire riposato.
Ormai era Dicembre inoltrato, faceva un freddo cane.
Solito posto, solita ora, questa volta però schiacciati vicino alla parete del palazzo, per
ripararsi dal freddo.
Ashley non era più tornato in chiesa, ormai era qualche settimana che aveva ricominciato
la sua routine. Casa-letto; letto-lavoro; lavoro-casa. Monotono, forse, ma lui ci era
abituato.
Eppure non passava giorno in cui non pensasse alla sua chiesa o a padre Josh, a quanto
il tè in bustina fosse cattivo e a quanto cazzo facesse freddo, in quella città di merda.
Bisognava coprirsi o stare al caldo. Lui non aveva né più il maglione, né tanto meno un
posto dove scaldarsi, quindi continuava con quello che sapeva fare meglio.
C’era qualcosa che ancora non capiva bene di se stesso: che cosa sperava di trovare in
Joshua? Ben presto si era reso conto che quella domanda era posta in maniera sbagliata.
Che cosa aveva trovato in Padre Joshua?
C’erano state risposte semplici, altre più complesse.
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C’era stata quella completa assenza di compassione che ad Ashley era sfuggita all’inizio e
che ora l’aveva imbrigliato in un pensiero costante. Ma probabilmente, c’era stata
l’interruzione della solita vita, del solito tran tran, che l’aveva illuso che, forse, qualcosa da
fare può esserci.
Ed era per quello che il pensiero di padre Joshua continuava a rimanere vivo sulla sua
pelle e preponderante nella sua mente: padre Joshua significava l’illusione che si potesse
desiderare qualcosa. Fosse anche prendersi una tazza di tè.
Ma quella sera si doveva solo lavorare.
“Ehi, Ash, cazzo pensi?”
Ash non rispose.
“Guarda che quella macchina sta aspettando te”
Un’auto nota, nera, da ricco.
Anzi, meglio, da ricco rott’in culo.
“Sei tornato?” chiese Ash al suo cliente, appena entrato in macchina.
“Sì, disse l’altro “ ho una settimana di lavoro qui e…”
“La moglie non c’è” gli concluse la frase Ash avvicinandosi al collo dell’uomo.
L’annusò.
“Ah, ma qui vedo che ci siamo dati da fare, quando non c’ero io eh?”
“Sono andato a Leeds per lavoro..:”
”E certo, avevi bisogno di qualcuno che ti scaldasse la notte, ti capisco” Ash fece scivolare
la voce lungo il collo dell’uomo e la mano lungo l’inguine.
“Ma sei pazzo? Sto guidando!”
”E non è più eccitante?”
Il cliente era già duro.
“I ragazzi di Leeds sono molto più economici di te” disse il cliente, cercando di contenere
un gemito.
“Ma anche molto più brutti. Oltre che dei provinciali. Sai quanto costo, non si possono fare
sconti, neanche agli amici” ma Ash sapeva di aver giù vinto sulla trattativa quando infilò la
mano sotto le mutande dell’uomo e vi trovò un pene gonfio e umido. L’uomo sterzò
improvvisamente e inchiodò sul ciglio della strada
“Cazzo, succhiamelo! Subito. Voglio scopare la tua bocca, voglio…” Non trattenne il
gemito quando la lingua di Ash gli toccò il glande.
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“Cosa aspetti?”
”I soldi”
L’uomo tirò fuori trecento sterline: “Queste sono sufficienti, ora, puttana, fa’ il tuo dovere”
afferrò i capelli di Ash e trascinò la sua faccia sull’inguine, gridando quando Ash iniziò a
prendersi sapiente cura del suo membro. Non lasciò niente di trascurato, i testicoli, il
perineo, finchè non infilò un dito nell’ano dell’uomo per premere la prostata. L’uomo venne
così violentemente che Ash fu sicuro che qualcuno, sulla tangenziale l’avesse sentito
gridare.
“Brutta zoccola schifosa, chi ti ha detto di mettermi un dito in culo?”
”Ti è piaciuto però…”
Il cliente sorrise, ancora estasiato “Con le trecento sterline che ti ho dato ci pago anche il
servizio completo”
Ash sospirò. Inutile protestare, sapeva bene che duemila sterline non gli sarebbero
ricapitate e si lasciò condurre dal proprio cliente al letto dell’hotel.
Uscito dalla stanza d’albergo ebbe come un deja vù. La mattina fredda, l’idea di andare in
chiesa… Tirò fuori il foglio degli orari che ancora conservava. Magari, dopo così tanto
tempo, avrebbe potuto…
Dall’entrata principale entrò un uomo sulla sessantina, barcollando. Lo squadrò e gli
sorrise, passandosi la lingua sulle labbra.
Il lavoro era il lavoro, tanto non era importante andare in chiesa. Tanto ormai, aveva
deciso di non farlo più.
Ormai era il 23 Dicembre. Quant’era che non vedeva padre Joshua? Settimane? Mesi?
Ash alzò le spalle, scrollandosi di dosso il pensiero. Si prendeva in giro, quando si
prometteva che ci avrebbe pensato per l’ultima volta, ma ogni volta accettava di crederci,
con indulgenza. Ogni volta si fidava delle bugie che lui stesso raccontava. Ogni volta era
sicuro che proprio lì, in quel momento, avrebbe smesso. Perché era logico e non farlo non
aveva senso.
Ingannarsi era piacevole, riusciva a farlo vivere in pace per qualche ora, per poi ricadere in
fallo per un nonnulla.
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La città era stracolma di gente che s’affrettava per negozi; le vetrine erano agghindate a
festa. Lustrini, luci, melodie ricorrenti avevano invaso la città. La notte precedente, poi
aveva nevicato e la neve appesantiva gli abeti che sembravano spuntare ovunque.
Erano belli, pensò Ashley, nella loro solitudine: grandi ed imponenti, sovraccarichi di neve
e di luci, tenevano compagnia ai passanti senza neanche saperlo. Il ragazzo sorrise,
chiedendosi se i bastoncini appesi all’albero di fronte a lui fossero davvero di zucchero. Ne
prese uno, bianco e rosso.
“Ehi, non puoi prenderlo così, devi pagarlo!”
Ash affrettò il passo per allontanarsi, ma si girò a vedere chi avesse parlato: una vecchia.
Non l’avrebbe mai inseguito, perciò scartò il bastoncino di zucchero e cominciò a
succhiarlo.
Voleva tornare a casa, quella sera non sarebbe uscito, non avrebbe fatto niente. Quella
sera meritava solo di essere vista attraverso la finestra, lei con le sue mille luci colorate.
Stava per scendere in metropolitana, quando una vetrina catturò la sua attenzione e si
mise a guardarla. Senza accorgersene, si ritrovò dentro al negozio, fra scaffali di legno e
della musica classica in sottofondo.
“Posso aiutarti?” gli chiese una signorina coi capelli raccolti e l’aria di chi non vede l’ora di
tornare a casa.
“Vorrei un maglione. Quello là fuori…”
“Ma i maglioni esposti sono tutti in cashmere” lo interruppe frettolosamente lei.
“E mi auguro anche siano di ottimo cashmere” rispose Ash infastidito. Era capace di
imitare lo snob, era capace di diventare chiunque all’occorrenza. I suoi vestiti dimessi
avrebbero solo aumentato il divertimento.
“Certo, della migliore qualità. Aveva già un modello in mente?” chiese lei continuando ad
avere quell’aria di sufficienza che stava dando sui nervi ad Ashley.
“Posso parlare col responsabile del negozio?”
La commessa s’irrigidì “E perché?”
”Preferirei essere servito da lui, il personale non mi pare all’altezza dell’importanza del
locale” Sapeva fingere benissimo.
Il responsabile del negozio si presentò solerte “Posso esservi d’aiuto?”
”Spero lo possiate essere di più della vostra commessa che s’è lasciata trarre in inganno
dai miei vestiti, ignorando quanto sia divertente, spesso, confondersi con la gente” Ash
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sapeva di essere troppo bello perché il negoziante lo scambiasse per una puttana, e il suo
sorriso era il via libera per qualunque cosa volesse.
“La perdoni, signore, sa sotto le feste, siamo tutti un po’ stanchi…”
“Vorrei fare un regalo e ho pensato che uno di quei maglioni in vetrina fosse l’ideale”
“Se posso darle un consiglio, questi” suggerì il negoziante tirando fuori una pila di maglioni
di vario colore “sono in assoluto del miglior cashmere sul mercato”
Ashley toccò il primo, era così morbido che gli parve seta.
“Perfetto. Ne avete uno nero?”
”Che taglia signore?”
”Una in più della mia…”
La manciata di minuti trascorsi all’interno del negozio sembravano aver raffreddato
ulteriormente il clima. Una volta uscito, Ashley guardò il sacchetto che teneva fra mani.
Settecento sterline di puro cashmere e una voglia matta di correre per darglielo subito.
Non aveva i soldi che aveva speso, facevano parte delle duemila sterline prese al cliente
per una mezza-nottata. Aveva pensato di tenerle via, per il suo viaggio in Italia, ma la
vetrina coi maglioni all’interno era parsa lì per lui.
Si diresse verso casa, col sacchetto in mano. Avrebbe dato il maglione a padre Joshua?
Forse sì, magari no. Ora era meglio tornare a casa per evitare di correre in direzione
opposta. In direzione della chiesa.
Non c’era nessuno, Ashley si chiese dove fosse finito il Topo, ma fu felice di trovare la
casa deserta.
Accese la stufetta per scaldare un po’ l’ambiente: il riscaldamento non andava, una volta
non l’avevano pagato ed il contratto era stato rescisso. Da allora avevano tenuto solo
l’acqua calda e l’elettricità. Di quelle non si poteva fare a meno.
Appoggiò sul letto il sacchetto, troppo lussuoso per quell’ambiente e, di nuovo, lo guardò.
Era decisamente una presenza ingombrante.
Si infilò sotto strati e strati di coperte, ma non si addormentò subito, il giorno si stava
spegnendo e le luci per la strada erano una bella compagnia. Si sentivano i rumori degli
autobus, qualche schiamazzo…ma soprattutto si vedevano le scie colorate rifrante dalla
neve. Ed erano così luminose, loro con la loro intermittenza, che nascosero il sacchetto ad
Ashley che non voleva vederlo.
Vederlo avrebbe significato capire perché era lì.
E questo non voleva farlo.
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Cosa cazzo ci faceva lì?
Lui, di certo non lo sapeva. Non aveva voluto…O meglio, non aveva pensato… O meglio
ancora, non aveva. E basta.
Ma alla fine, era lì, sotto la neve che si appoggiava sui suoi capelli e sul suo cappotto, di
fronte alla chiesa che avrebbe dovuto dimenticare.
Tremò. Non poteva di certo sperare di vedere padre Joshua lì, in quel momento: era da
poco passata la mezzanotte ed era Natale. Forse dentro la chiesa, non certo lì davanti.
Che cosa ci facesse, quindi, inchiodato di fronte al portone, non era assolutamente chiaro.
E poi aveva un sacchetto in mano. Ash alzò la mano per controllare se effettivamente lo
stesse ancora stringendo fra le dita. Era così agitato che non sapeva cosa fare, forse
sarebbe stato meglio andarsene via e non tornare davvero più, come continuava a dirsi
più volte al giorno, da molto tempo a questa parte.
La chiesa era brutta. Anche agghindata a festa, anche con le lucine che tanto piacevano
ad Ashley, la chiesa era orribile, ma in fondo, non era molto importante. Entrò.
In fondo, si disse, perché no?
Com’era diversa la chiesa quella sera, gremita di persone e di luce, Ash ebbe
l’impressione di entrarci per la prima volta. Qualcuno cantava, ma il ragazzo non riusciva a
vedere chi, i fedeli erano in piedi e sembravano contenti. Persino il crocefisso vicino
all’altare sembrava meno minaccioso della sera in cui era entrato per la prima volta.
Ashley lo guardò e di nuovo, camminò nel corridoio centrale. Ash scrollò le spalle, come a
rispondere ad una muta domanda che non valeva la pena ascoltare. Lui non c’entrava
niente lì e di certo non era venuto per prestare ascolto a nessuno, né tanto meno per
inginocchiarsi. Era lì solo per una tazza di tè. Era lì solo perché non aveva nient’altro da
fare.
Si mise in fila per prendere l’eucaristia, il vecchio – o reverendo Paul come padre Joshua
lo aveva chiamato - tremava nello spezzare il pane e la sua voce monocorde
accompagnava la gente verso la propria ostia, ma portavano lui verso quelle mani, e tanto
gli bastava.
Chissà davvero perché era lì.
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Il prete lo vide e Ashley ebbe la netta sensazione che dietro quegli occhiali, i suoi occhi
s’allargassero per lo stupore. Forse semplicemente si stava anche lui chiedendo perché il
ragazzo fosse lì ad aspettare l’eucaristia.
Lo guardò, dritto negli occhi. Guardò quel viso sognato di nascosto e guardò quelle mani
che tremarono per un istante, prendendo l’ostia.
“Il corpo di Cristo”
“Amen”
Padre Joshua appoggiò l’ostia sulla lingua di Ashley. Le dita del prete erano sulla sua
lingua, quale persuasione migliore?
Forse indugiarono un istante, o così Ash credette. Con la punta della lingua leccò l’indice
lungo e affusolato del prete e chiuse le labbra intorno al polpastrello, succhiandolo
velocemente, mentre l’altro ritraeva la mano.
Di nuovo lo guardò, per poi girarsi velocemente e andarsene.
L’aveva fatto davvero? L’aria gelida del Natale lo investì, appena uscito dalla chiesa. La
messa non era finita, ma Ashley era comunque uscito, per cercare di raffreddarsi il viso.
Appoggiò le spalle alla parete della chiesa e sospirò, guardando il vapore uscire dalla sua
bocca e sparire poco dopo.
Stringeva ancora forte il sacchetto e di nuovo si chiese se non fosse il caso di andar via e
di tornare a casa.
Il portone si aprì e le persone all’interno cominciarono ad uscire, probabilmente la messa
era finita e Ash non sapeva ancora cosa fare.
Perché era lì?
Perché?
Perché era stupido, ecco perché. Probabilmente solo perché era proprio un cretino.
Una mano gli afferrò il polso: “Pensavo che fuggissi”
“Non ho fatto in tempo” gli disse in tono troppo basso Ash.
“Vieni dentro. Qui fuori rischi di ammalarti” Padre Josh non lasciò andare la mano di Ash e
lo condusse nella casupola dov’era stato tempo prima.
“Non devi celebrare?”
“No, la messa è finita, non preoccuparti”
“Non devi…?”
“Non devo”
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“Non..?”
”No”
Ash abbassò lo sguardo, mordendosi quello stupido, fottutissimo labbro che cominciava a
tremare. Che idea del cazzo venire lì.
“Pensavo che non saresti più tornato”
Ash si strinse nelle spalle: “Effettivamente non avevo intenzione di farlo” disse una mezza
verità “ma volevo vedere come te la passavi”
“Ho sperato che saresti tornato”
Ash alzò di scatto gli occhi, cercando quelli dell’altro: “Perché?” chiese.
“Perché volevo bere un tè insieme…”
A quel sorriso poteva credere. Cazzo, avrebbe creduto a qualunque cosa accompagnata
da quel sorriso.
“Allora posso sperare in una tazza calda di tè?”
Il prete sorrise “Certo”
“Col latte”
“Ovviamente”
Ci fu un attimo di silenzio, poi padre Josh sospirò: “Perché hai fatto la Comunione?” chiese
in tono serio.
“Senza motivo” Ashley si trovava fin troppo a proprio agio nei suoi panni strafottenti e fu
grato, in quel momento, di poterli reindossare “Volevo provare”
Ma padre Josh non glielo lasciò fare: “Perché?”
“Non per motivi religiosi o cazzate simili, sai come la penso”
“In realtà non lo so, non me l’hai mai detto. Ma da quel poco cui hai accennato, posso
intuirlo. E allora perché?”
Ashley non era del tutto sicuro: “Perché volevo vederti” si strinse nelle spalle, alzando le
sopracciglia “Me l’hai detto tu che potevo no?”
Padre Josh sorrise: “Mi potevi vedere in qualunque altro momento”
“Ti ha dato fastidio che ti leccassi le dita?” Ash la pose come mezza domanda.
Ovviamente gli aveva dato fastidio, ma lui non ne era per niente pentito.
“Non mi ha dato fastidio, no”
Di nuovo il viso di Ash cercò gli occhi del suo interlocutori “Menti”
”Lo sai che è peccato”
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Ashley stava per rispondere, ma si fermò con gli occhi su quel viso e scoppiò a ridere.
Rise di una risata insensata, ma serena “Chissà se il vecchio m’ha visto!” disse cercando
di smettere di ridere. “Lì per lì non ho proprio pensato a farmi notare”
“Gli avresti provocato un infarto” Anche padre Joshua cercò di mantenere un tono serio,
cedendo però immediatamente alla risata contagiosa dell’altro.
“Certo che sei un tipo strano, non sei preoccupato?”
“Ore voglio solo bermi un tè con te”
“Anche se ti ho leccato le dita?”
Padre Joshua non rispose, ma porse la tazza fumante al ragazzo.
“Perché non mi rispondi?”
“A cosa?”
“Alla mia domanda”
“Se non sono preoccupato che mi hai leccato le dita? No, hai qualcosa di contagioso di cui
dovrei essere messo a conoscenza?”
Ashley sospirò, esasperato: “Non era quello che intendevo”
“Ci sono delle cose che fai che mettono a proprio agio te, e non mettono a disagio me”
Ashley non capì che cosa stesse dicendo il prete e lo guardò confuso.
“Non capisco…”
Padre Josh stava per rispondere quando furono interrotti da un grido “Padre Joshua!!
Padre Joshua!!” lo chiamò una voce femminile.
Il prete si allontanò da Ash e corse fuori dalla cucina, verso quella voce.
Ashely la sentì di nuovo, questa volta rotta dal pianto.
“Padre Joshua” e così seguì anche lui il prete.
Nel corridoio, vicino alla porta d’entrata, c’era una donna – una ragazzina meglio – con un
bambino in mano. Piangeva a dirotto, incapace di trattenersi
“Mi scusi, se arrivo a quest’ora…” cercò di dire, fra i mille singhiozzi.
Padre Joshua la guardò con quel suo sguardo così dolce che probabilmente la ragazza si
sentì rincuorata anche solo per quello.
“Carrie, cos’è successo?”
“Mi ha picchiata di nuovo e io ho preso il bambino e sono scappata…Non ne posso più,
padre! Non sapevo dove andare e sono corsa qui. Fuori nevica e io non ho fatto in tempo
a prendere niente…”
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“Shhh” le disse lui mettendogli una mano sulla spalla “stasera puoi stare qui, non ti
preoccupare. Così puoi stare al caldo, insieme al bambino e poi domani decidiamo cosa
fare”
”Non voglio tornare a casa!”
”Non ci pensare adesso, hai bisogno di dormire…Vieni con me.” e così dicendo. Prese la
mano della ragazza e la condusse attraverso una porta che Ash non sapeva dove
conduceva, mentre lui rimase lì attonito, a fissare il punto dov’era prima la ragazza.
Padre Joshua gliel’aveva detto, quello era un posto dove venivano accorti i bisognosi,
quelli che per un qualunque motivo, cercavano riparo e lui era uno di quelli. Guardò per
terra e strinse gli occhi, nel tentativo di combattere qualcosa dentro di lui che neanche
sapeva.
Era andato lì per niente, solo per una tazza di tè e padre Joshua l’aveva accolto, proprio
come faceva con chiunque altro avesse bussato alla sua porta.
Lui come ogni altro era capitato lì per caso e aveva trovato riparo, come ogni altro era
stato riscaldato da quel sorriso bellissimo che solo padre Joshua sembrava possedere.
Si guardò le mani: teneva ancora stretto il suo sacchetto.
Che idiota, era lì per niente, con un sacchetto inutile per le mani, che gli tremavano come
le labbra, ma non c’era niente che Ash potesse fare per fermarle.
Avrebbe fatto meglio a lavorare quella sera, qualcuno a Natale in fuga da una famiglia
opprimente lo si trova sempre. Avrebbe di sicuro fatto degli ottimi affari, e invece era lì con
un desiderio così intenso di piangere per qualcosa che non sapeva.
Avrebbe davvero fatto meglio a scopare con qualche sconosciuto.
Velocemente fece quei pochi passi che lo separavano dalla porta d’uscita, ma sull’uscio di
dovette fermare un istante perché fu investito da una folata di vento e neve che gli penetrò
nelle ossa.
“Non andare”
Ashley non aveva alcuna intenzione di girarsi. Se l’avesse fatto, sarebbe rientrato e,
cazzo, non era davvero il caso.
“E’ meglio che vada”
”Resta” sentì la voce dell’altro più vicina “resta qui ancora un po’. Carrie ora dorme di
là…Non c’è nessun altro”
“Magari qualcun altro arriva”
”Magari, ma io vorrei che tu restassi”
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Veramente voleva che Ashley restasse? Non poté fare a meno di controllare e vedere la
mano dell’altro leggermente protesa e quel viso che – avrebbe giurato – diceva la verità.
“Vieni di là con me, ho una cosa da darti”
Ashley prese la mano del prete, non riuscì impedirselo.
“Anch’io” disse in tono così basso che ebbe il dubbio lui stesso di aver pronunciato quelle
parole.
“Anch’io” ripeté più ad alta voce “Anche se è solo una sciocchezza”
Padre Joshua sorrise, intrecciando le sue dita con quelle dell’altro e conducendolo
attraverso il corridoio, in una stanza con una scrivania e dei libri.
“Passo il mio tempo qui quando ne posso dedicare un po’ allo studio”
“Filosofia?” chiese Ashley indicando i libri sulle pareti
”Quelli sono filosofi greci. Sì, comunque, sono laureato in Filosofia, è sempre stata una
mia passione”
Laureato, già. Niente di nuovo, vero? Ma Ash non sapeva niente di filosofia.
Abbassò lo sguardo: “Io di filosofia so ben poco. Nietzche può contare?”
Il prete sembrò molto stupito: “L’hai letto?”
”Qualche cosa, ma non tanto…Platone, Socrate… Aristotele invece” disse passando un
dito sui libri di poco prima “li conosco solo di nome”
“Se ti interessa, puoi prendere i libri che sono qui”
“Ma non li capirei” Appena pronunciata la frase, Ash si mise una mano sugli occhi.
Quanto cazzo era patetico? No, era stata una pessima idea rimanere lì. Anche se si
sentiva bene, anche se era felice, era stata un’idea veramente del cazzo.
“Io…”
“Era questo quello che volevo darti” Padre Joshua interruppe il ragazzo prima che Ash
potesse, di nuovo, tentare la fuga. Il prete si sporse su uno scaffale e ne tirò fuori un libro.
Era alto e spesso, ma Ashley non capì che libro potesse essere fino a che non l’ebbe in
mano. Ma in quel momento fu davvero troppo tardi, perché si rese conto di piangere solo
quando ormai le lacrime gli avevano inondato il viso. Le mani gli tremavano e il labbro
inferiore era così fastidiosamente fuori controllo che Ash dovette morderselo. Ugualmente,
però, non riuscì a smettere di piangere
Padre Josh si avvicinò a lui preoccupato “Cos’è successo” Ash non osò alzare lo sguardo.
Tentò di asciugarsi gli occhi con le mani.
“Me ne devo andare, io non posso rimanere qui…Fa troppo male”
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Ashley lasciò cadere per terra il sacchetto che stringeva nel pungo e passò la mano,
finalmente libera, sulla copertina del suo libro.
“Per favore, rimani” la voce del prete era confusa, ma Dio com’era bella. Avrebbe dovuto
tacere, stare zitto, smettere subito di parlare. E invece Ash voleva che continuasse a farlo.
Con la vista annebbiata dalle lacrime e gli occhi fissi sulla copertina del suo libro, il
ragazzo non sentì il prete avvicinarsi e sollevare la borsa di carta che Ashley aveva fatto
cadere per terra
“E’ questo per…”
“No” Ashley quasi gridò “è brutto, non aprirlo”
“Ma è per me?”
Ashley annuì, tremando “Io … è brutto, non voglio che …Guarda invece tu cosa m’hai
regalato”
Padre Joshua tirò fuori il maglione in cashmere, e non riuscì a trovare le parole “Ma…”
“Scusami…”
Padre Joshua si avvicinò ad Ash e gli prese il viso fra le mani, obbligandolo ad alzare lo
sguardo “Spiegami, io …non capisco. Questo maglione è bellissimo” gli sussurrò,
asciugandogli le lacrime
“Non è vero” rispose Ash chiudendo gli occhi e rabbrividendo per mani dell’altro sulla
propria pelle “E’ un regalo così insignificante... Tu invece… Un libro di fotografie e poesie
sul Mediterraneo…”
Padre Joshua aspettò che Ashley continuasse, non togliendo le mani dal suo viso.
Ash singhiozzò “Ti ho parlato del mare d’estate una volta sola. La prima volta che ci siamo
visti … Perché te ne sei ricordato? Come hai fatto a ricordartene?”
Padre Josh gli sistemò i capelli e lo guardò in volto “Ma il maglione è bellissimo”
“Ma questo è un mio desiderio” rispose Ashley indicando con forza la copertina del libro
“come hai fatto a ricordartene?” e di nuovo non riuscì a trattenere le lacrime, incapace di
smettere di vergognarsi di quello che aveva portato.
Padre Joshua si avvicinò ulteriormente, e spinse Ash fra le sue braccia, nascondendogli il
viso nel suo collo.
Com’era caldo lì, fin troppo bello. Senza accorgersene Ash si strinse ancora di più al
prete, stringendo le sue spalle e inalando il suo odore.
“La tua fragilità mi confonde, Ash… Mi porti uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto
e ti senti inadeguato solo perché in cambio hai ricevuto un libro di foto e poesie sul mare.
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Tenti di scappare ogni volta, quando sei con me e…” il prete sospirò, tremando all’alito
caldo sul suo collo “sembra che pensi che sia sbagliato che tu sia qui, che non dovresti
esserci perché, in fondo, non è importante. Si strappa un maglione per colpa di un vecchio
cocciuto e tu lo ripieghi e lo guardi quasi avessi perso la più cara fra le cose… Perché
Ash?” Padre Josh passò una mano fra i capelli del ragazzo. “Quando cerchi i miei occhi,
quando mi guardi in faccia, sembra che cerchi la conferma di non essere inadeguato, che
anche io…” ma il prete non finì la frase perché Ash si strinse a lui quasi a nascondersi in
quell’abbraccio, tremando.
Rimasero lì, senza dire niente, aspettando che Ashley si calmasse un pochino.
“Scusami” disse poi al prete, scostandosi leggermente “E’ che…”
“Non ti preoccupare, va bene così” lo interruppe il prete asciugandogli le lacrime.
“Dove posso lavarmi la faccia?” chiese Ash imbarazzato.
Padre Josh gli indicò il bagno, ma non lo seguì e Ash così ebbe modo di guardarsi in
faccia a lungo, nello specchio e cercare di sgonfiare quegli occhi rossi con l’acqua fredda.
Era un imbecille. Ash non capì se era maggiore l’imbarazzo per aver regalato il maglione
al prete oppure quello per essere scoppiato a piangere come un bambino. Forse entrambi.
Ma quel pentimento, quella voglia di fuga, piano piano stavano scemando. Ash si rese
conto che la paura di venire in chiesa e la sua volontà di continuare a negare, negare e
negare ancora che voleva assolutamente tornare, stavano sfumando e lasciando posto ad
un’unica altra cosa e ad un unico altro nome.
Raddrizzò le spalle e si guardò dritto allo specchio.
Sapeva esattamente che cosa avrebbe dovuto fare ora e sapeva anche di essere molto
bravo.
Ritornò nella stanza dove lo stava aspettando Padre Joshua e gli sorrise, guardandolo
dritto negli occhi. Si avvicinò a lui, invadendo subito il suo spazio personale e gli diede un
bacio sulle labbra che, come già sapeva, erano divine.
Il prete non fece niente, né si mosse e Ash allora gli sfilò gli occhiali, per vederlo meglio e
per accarezzargli le palpebre, seguendo poi le carezze a lievi baci. Giurò di sentire il prete
tremare leggermente, ma padre Josh non si mosse. Solo quando Ash tornò sulla sua
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bocca, separando le labbra con la lingua e succhiando lievemente il labbro superiore,
padre Josh si mosse.
Bruscamente si separò da quel contatto, afferrando Ashley per le spalle e allontanandolo
da sé.
“No” disse con voce roca.
”Non vuoi?” chiese Ashley, ma padre Joshua ci mise un attimo di troppo a rispondere, un
secondo in più a guardarlo negli occhi.
E Ashley era troppo bravo per non leggere ciò che era scritto sulla pelle dell’altro.
Ciononostante, padre Josh non gli permise di avvicinarsi, lo tenne stretto per le spalle,
ancora un attimo, prima di lasciarlo andare.
“Raccontami di te” ridisse poi, riprendendo gli occhiali che Ash teneva ancora in mano.
“Cosa?” Ashely era sicuro di aver sentito male.
“Voglio sapere di te”
“Vuoi sapere perché sono finito a battere?” Ashley alzò le sopracciglia e sorrise, di quel
sorriso ironico più volte dispensato a chicchessia.
“Anche”
Ash fece spallucce “Non è che sia una storiona tutta lacrime e depressione…
“Raccontamela lo stesso”
“Certo che sei strano eh? Davvero te ne frega di saperlo? Adesso?”
“Non te l’avrei chiesto, altrimenti”
Ash si avvicinò di nuovo al prete, sfiorandogli con le dita la bocca “Certo che sei proprio
strano” gli sussurrò vicino alla guancia, ma poi lui stesso si allontanò.
”Avevo otto anni, non mi facevano entrare in casa, io ero annoiato e allora ho pensato ad
un diversivo” cantilenò con occhi di sfida, guardando padre Josh.
Perché cazzo voleva sapere che cosa l’avesse portato sulla strada, poi, era un mistero.
Fosse stato perché suo padre lo scopava da mattina a sera, oppure perché era annoiato e
fare sesso lo divertiva, qual era la differenza?
Quale cazzo era la differenza, si chiese, mentre guardava il prete e aspettava una parola,
o una risposta.
Era molto meglio, prima, quando poteva baciarlo. Ora invece si trovavano uno da una
parte della stanza e l’altro dall’altra.
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“Io vorrei saperlo davvero” bisbigliò il prete e avesse potuto imprecare lì, Ashley l’avrebbe
sicuramente fatto, Ma non riuscì a dire una parola o a pensare chiaramente, perché quella
voce e quello sguardo sembravano così sinceri che lui ci credette.
Stupidamente, lui ci credette.
“Stasera hai proprio deciso di farmi piangere” disse abbassando gli occhi.
Non c’era autocommiserazione, nella sua voce. Semplicemente preferiva non parlarne.
Ma Ash si rese conto che non era assolutamente in grado di dire di no a padre Joshua.
Si sedettero l’uno accanto all’altro, il ragazzo con le gambe al petto e il viso appoggiato
sulle ginocchia:
”Quello che ti ho detto è vero, è così che sono finito a vivere con Mikey e a fare sesso per
soldi”
Si strinse nelle spalle “Mikey è il mio amico, il ragazzo con cui divido l’affitto della casa
dove abito… Lo chiamiamo il Topo. E’ un po’ una testa di cazzo perché non si riguarda,
ma in fondo è uno buono…” Guardò il prete “Ma nella mia vita non è successo né più né
meno di quello che ti ho detto prima. Mia madre è morta quando mi ha partorito e la mia
matrigna mi lasciava fuori casa e chiudeva la porta. Non so cosa facesse, ero troppo
piccolo. Ora posso solo avanzare ipotesi, ma potrei anche sbagliarmi …” sulla faccia di
Ash si dipinse un’aria di totale indifferenza. “Sinceramente non mi interessa saperlo. Mi
lasciava da mangiare sull’uscio, se si ricordava e io l’aspettavo sull’uscio di casa, da
quando finiva la scuola a quando si decideva a farmi entrare. Poi ha cominciato a
dimenticarsi di farmi entrare, oppure aprire la porta di notte. Io, capitava che
m’addormentassi lì, ma d’inverno fa troppo freddo per rimanere fermo, seduto ad
aspettare…” Ash prese fiato e sospirò “Quindi ho deciso, una sera, di andare a dormire
nell’albergo vicino casa. Una bettola fatiscente... Avevo otto anni e pensavo che i piccoli
non pagassero tanto quanto i grandi” al ricordo della sua ingenuità, sorrise “Quando mi
hanno detto che non avrei potuto dormire lì, se non per una cifra che non possedevo, non
sapevo cosa fare. Avevo troppo freddo per tornare sull’uscio di casa, ma neanche potevo
rimanere lì gratis.
“Fu il portiere quindi a propormi un’alternativa, per rimanere.” Il labbro, di nuovo quel
maledettissimo labbro, gli tremò “Lui fu il mio primo uomo e la prima persona che mi
procurò qualche cliente. Aveva una percentuale, troppo alta, sui miei soldi, ma all’inizio
permetteva che dormissi al caldo. Poi sono cresciuto e me ne sono andato” Scrollò le
spalle, disinteressandosi completamente delle sue parole.
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“Contento?” parlare di quello che era successo lo nauseava, ma non ne faceva più un vero
dramma. Era andata così, niente di più. C’è chi nasce fortunato e chi meno. Lui era a metà
della scala. “Voglio dire, mi poteva andare anche peggio…Alla fine adesso ho un tetto
sulla testa, mangio due volte al giorno…” allargò gli occhi, spiegandosi al prete “Si
sopravvive, insomma”.
“Tua madre non è morta” gli disse il prete, calmo.
Ash s’irrigidì.
“Certo che è morta”
“So chi è tua madre e so che non è morta. Come so che ha denunciato la tua scomparsa a
otto anni, ma poi ha ritirato la denuncia, quando è stata rinchiusa per furto…”
“E tu come lo sai? No, assolutamente no! Ti assicuro che quella non è mia madre. La mia
vera madre è morta quando m’ha partorito”
“Ashley guardami”
“Che cosa vuoi, si può sapere?” Ash gli gridò contro “Che cazzo vuoi da me, perché non
mi credi?” Era agitatissimo, e padre Josh gli afferrò le mani “Calmati”
“NO! No…” ma il grido iniziale, si trasformò in un singhiozzo “No che non mi calmo, perché
non mi credi?” Di nuovo non riuscì a trattenere le lacrime, nonostante stesse facendo di
tutto per fermarle “Mia madre deve per forza essere morta quando m’ha partorito!
Altrimenti perché mi avrebbe tenuto fuori casa? Non è mia madre quella che mi
dimenticava sull’uscio, solo qualcun altro che ha preso il suo posto dopo che io sono
nato…no”
“Shhh… calmati” gli sussurrò il prete all’orecchio, prendendolo fra le sue braccia
“Scusami…. Ho sbagliato”
Ash si lasciò prendere in quell’abbraccio avvolgente, cercando di rallentare il suo cuore.
“Fa’ l’amore con me” gli sussurrò nel collo, poi spostò il viso per guardare il suo prete in
faccia “Fa’ l’amore con me” gli disse di nuovo, ma senza la spocchia di prima: la voce gli
tremava e il tono era troppo flebile perché padre Josh potesse rispondere.
Scosse solo la testa, nonostante non riuscisse a staccare gli occhi da quelli di Ash.
“No” poi trovò la forza di dire.
“Perché? Perché?” Ashley, di nuovo, si aggrappò al prete, incredulo di quell’ennesimo
rifiuto. “Perché sei un prete? Non ti piaccio? Non sono bello a sufficienza? Non valgo...”
Ma padre Josh lo zittì con un leggero bacio a fior di labbra.
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“Non devi fare l’amore con me per stare qui. Non devi fare l’amore con me per dormire qui.
Qui puoi stare solo perché vuoi, senza niente in cambio…”
Ash s’immobilizzò. Fermo, fissò il prete davanti a lui, senza più singhiozzi e lacrime, come
se stesse trattenendo il respiro.
Si morse il labbro, prima che questo iniziasse a tremare, e appoggiò di nuovo la testa
nell’incavo del collo di padre Joshua.
Lì riprese a piangere, in silenzio, senza dire più nulla, solo aggrappandosi alla tonaca di
padre Josh per evitare di tremare. E il prete lo lasciò piangere fra le sue braccia, tenendolo
stretto a sé e accarezzandogli i capelli.
Finché Ash non s’addormentò e il suo respiro si fece più regolare.
Il prete lo fece adagiare sul divano, coprendolo con alcune coperte che prese dal
ripostiglio.
Gli portò il suo cuscino. In fondo lui non ne aveva bisogno.
“Porca di quella puttana di tua madre, Ash. Si può sapere dove cazzo sei stato?” Mikey
uscì dalla propria stanza gridando.
“In giro…”
“Che cazzo vuol dire in giro? Io mi stavo già preoccupando… Ho chiesto ai ragazzi se
t’avevano visto, ma nessuno sapeva dov’eri”
Ash, scavalcò un tizio riverso sul suo pavimento “Quante volte t’ho detto che non voglio
‘sta gente in casa, Topo?”
“Ah, certo, sentilo. Ash, tu scompari per 2 giorni interi e torni a dettar legge?”
“Fino a prova contraria, pago metà affitto”
“Metà affitto un paio di palle, io oro preoccupatissimo”
“Vedo” commentò Ash guardandosi intorno e vedendo almeno una cinquantina di lattine di
birra sparse sul suo pavimento.
“Non fare così, Ash, davvero, io ero preoccupato. Non sapevo dove cercarti. Cazzo,
Ashley, per quello che ne so, potevi anche essere morto stecchito, ucciso da un pazzo
psicopatico!”
Ash scosse la testa “Vedi troppi film”
“Raccontalo a Charlie” poi Mikey si fece velocemente il segno della croce “che riposi in
pace”
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“Charlie è stato investito da un’auto”
“E quindi è meno morto?”
Ragionare con Mikey era impossibile.
“Sono stato fuori. Con un cliente prima e a celebrare Natale dopo”
Il topo aggrottò le sopracciglia, troppo folte.
“E con chi?”
”Topo, devi sfoltirti le sopracciglia, non ti danno un’aria intelligente”
“Se fossi intelligente, Ash, non mi lascerei chiamare Topo”
Ash sorrise, il suo amico non aveva tutti i torti.
Anche Mikey rise, con quel sorriso felice che lo faceva apparire più bello.
”Stasera sei dei nostri?”
“Ovvio, dove vuoi che vada?”
“L’altra sera è passato di nuovo quello che ti prende sempre…quello ricco”
“Ah sì, lo sposato!”
”E’ persino sceso dalla macchina per chiedere di te”
“S’è fatto vedere?” Cazzo, devo averlo stregato”
“Tu ci scherzi, Ash, ma quello sembrava preso sul serio! Mi dovrai spiegare le tecniche
che usi…”
“Per cinquecento sterline ti faccio vedere la pratica” scherzò Ash.
“Succhiamelo” gli rispose Mikey facendogli il dito medio
”Quello per sole duecento”
E tutt’e due scoppiarono a ridere rumorosamente, incuranti di chi dormiva per terra.
Dalla strada si vedevano ancora lampeggiare le lucine di Natale, nonostante il Natale
fosse già passato. Ashley aveva sempre trovato malinconico che gli addobbi natalizi
coprissero la città anche quando Natale era finito, ma comunque si ritrovò a guardare quel
filo di campanelle rosse, blu, bianche, gialle, verdi…Fino a che una macchina non si fermò
davanti a lui.
Sempre lui, sempre il solito…Fintanto che pagava bene, Ash non aveva problemi a
riandare con lo stesso cliente.
“Ehi, Topo, io vado” sussurrò a Mikey prima di avvicinarsi alla macchina.
“Sì, e se stasera non fai tardi, ci trovi dal Grigio, pensavamo di andare a farci una birra…”
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“Non lo so, lo sai che i ragazzi del Grigio non mi piacciono tanto. Al più ci vediamo a casa.
Tu sta’ attento”
“Cazzo, Ash, ultimamente cosa t’è preso? Lo spirito materno natalizio?”
“Topo, che cazzo è lo spirito materno natalizio?”
“Che ne so, quella cosa che ti fa preoccupare”
Ash sorrise ”Sei proprio scemo! Tu sta’ attento che poi lo spirito materno natalizio mi
passa”.
Mikey alzò la mano per salutarlo.
Ash salì in macchina, disinvolto come sempre.
“Ciao” salutò il suo cliente, avvicinandosi al suo orecchio “Dove mi porti stasera?” gli
chiese prendendogli in bocca il lobo…
L’uomo gemette: “I giorni scorsi dov’eri? T’ho cercato”
“Ero a lavorare” mentì Ash “Qualcuno era arrivato prima di te”
Il cliente s’irrigidì un pochino “Avresti dovuto aspettarmi”
“Ma tu non m’hai detto che saresti tornato. Altrimenti l’avrei fatto di sicuro”
“Se continui così farò un incidente” ma nonostante le sue parole, il cliente si sporse verso
Ash per dare al ragazzo migliore accesso alle sue orecchie e al suo collo “Comunque
andiamo in albergo, domani parto e torno a casa e voglio godermi l’ultima sera”
Ash sorrise, e staccò la bocca dall’uomo per poi passargli la mano sulla coscia , fino
all’inguine “Allora mi prenderò ottima cura di te”.
A dire il vero, quella sera non aveva assolutamente voglia di stare lì, in quella macchina,
con quello sconosciuto.
Nessuna delle volte precedenti aveva davvero avuto voglia, tuttavia l’essere lì o l’essere
altrove gli era così indifferente che tanto valeva fare un po’ di soldi.
Ma quella serata era diverso, sarebbe rimasto a casa, magari avrebbe visto un film e
avrebbe pensato un po’ a quello che gli era successo ultimamente. Solo per mettere un
po’ di ordine nella sua testa.
Invece era lì.
Ash sospirò leggermente, in fondo essere lì o altrove andava comunque bene.
In albergo lasciò che l’uomo lo spogliasse: non aveva mani delicate, né particolarmente
esperte.
Ash si ritrovò a pensare alla povera moglie di quell’uomo: se aveva difficoltà a sfilare dei
jeans, probabilmente di fronte ad un reggiseno si trovava nel panico.
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Era così distratto che si accorse solo all’ultimo momento che il cliente s’era messo in
ginocchio, di fronte a lui.
“Oggi voglio fare godere un po’ anche te”
“Averti dentro di me mi fa sempre godere” gli disse Ash, ma diligentemente allargò un po’
le gambe e si appoggiò alla parete dietro di sè “ma se mi prendi in bocca mi farai
gridare…”
Che voce suadente e roca riusciva a usare…
L’uomo non aspettò nessun altro invito e iniziò a succhiare il pene di Ash.
Doveva pensare a qualcosa. Doveva assolutamente fare qualcosa, perché il tocco della
lingua del cliente sul suo glande aveva qualcosa di disgustoso, per non parlare della
totale incapacità dell’uomo.
Cazzo, come se non avesse imparato niente dai pompini che Ashley gli aveva fatto! Non
stuzzicava, non invogliava, non stimolava…Leccava solamente, neanche avesse in bocca
un cono gelato.
Per poco Ashley non scoppiò a ridere a quel pensiero.
Guardò in basso e vide un uomo pelaticcio, seminudo e semieretto, che come un
forsennato attaccava il suo pene che non ne voleva sapere di essere gratificato.
Ash tolse immediatamente gli occhi e appoggiò la nuca al muro, chiudendoli. Non poteva
permettersi di ridere, e neanche poteva permettersi di non fingere che il cliente fosse il più
grande esperto di sesso orale degli ultimi cinquant’anni.
Si ritrovò a chiedersi se anche Padre Joshua non fosse capace di fare pompini.
Che pensiero irrispettoso…
Ma invece che farlo sorridere, questo lo eccitò. Probabilmente Padre Joshua non aveva
mai fatto sesso orale con nessuno, magari non aveva mai fatto sesso punto. E questo
sarebbe stato un peccato, perché nudo sarebbe stato proprio bello. Ashley era sicuro che,
anche se davvero Padre Joshua fosse stato vergine, sarebbe stato attento alle esigenze
del proprio amante, avrebbe ascoltato i suoi sussurri e i suoi gemiti e avrebbe scoperto,
nel giro di poco tempo, il corpo dell’altro. Avrebbe tratto piacere dal vedere il suo amante
godere.
E se fosse stato lui quell’amante, se solo avesse potuto essere lui quell’amante, allora si
sarebbe divertito a scherzare con lui, a giocare e riprovare, e fare l’amore più volte fino a
che entrambi non sarebbero stati esausti. Lui non avrebbe avuto fretta, se padre Joshua
avesse voluto imparare, gli avrebbe donato il suo corpo per farlo, per accarezzarlo ogni
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volta che voleva. Gli sarebbe bastato, in cambio, avere il suo odore addosso, sapere che
Padre Josh lo trovasse bello, che lo trovasse eccitante …e che padre Joshua stesse bene
anche per merito suo.
E poi…E poi aveva davvero importanza che padre Joshua fosse esperto a letto? No,
anche solo l’idea di quelle labbra sulla propria pelle avrebbero … E di quelle mani su di
lui…e del suo alito …
Quando Ashley venne strinse le spalle del cliente e si piegò in avanti, non aprendo gli
occhi e non riuscendo a controllare il tono della propria voce.
Aveva le gambe che gli tremavano e il fiato pesante. Aprì gli occhi e si ritrovò davanti
quelli dell’uomo che l’aveva pagato per stare lì.
“Chi cazzo è Josh?”
“Merda” fece in tempo a dire, prima che il cliente lo sbattesse violentemente contro il muro
“Chi cazzo è Josh, si può sapere?”
Ashley evitò il pugno che seguì la frase, scansandosi all’ultimo momento.
Doveva uscire di là, le cose si stavano mettendo malissimo. Si guardò intorno
velocemente, per trovare i suoi pantaloni e non riuscì ad evitare i calci - sulle ginocchia a e
nello stomaco - dell’uomo che sembrava impazzito.
“E’ un altro cliente? E’ uno che ci sa fare? Dimmi com’è, razza di puttana maledetta!! Io ti
ammazzo!”
Ashley si riparò il viso da un altro pugno che l’uomo cercò di rovesciargli contro , prese i
pantaloni e si lanciò verso la porta.
Doveva uscire di lì, subito. Prima che riuscisse a raggiungere l’uscita, però, sentì un dolore
violento prima alla testa, poi alla schiena e vide passargli di fianco il bracciolo di una sedia.
Inciampò, sotto il colpo, e per poco non cadde per terra, ma quella sarebbe stata davvero
la sua fine.
L’uomo continuava a gridare, però Ash non lo sentiva più, sentiva solo dolore e aveva
paura.
Merda merda merda.
Arrivò alla porta e la spalancò, correndo per le scale nudo, coi pantaloni in mano. Il cliente
lo seguì, ma in corridoio probabilmente si rese conto di essere lui stesso nudo e si fermò,
gridando per le scale.
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Ashley corse per le rampe il più velocemente possibile, e solo dopo cinque piani si fermò
ansimando, quando sentì qualcuno urlare al suo aggressore di tacere, a quell’ora della
notte.
Aveva male alle gambe e alla schiena. Se la toccò. Sanguinava. Aveva anche il labbro
ferito e una guancia gli bruciava.
S’infilò i pantaloni e sospirò. Per lo meno era vivo.
Era stato una fottutissima testa di cazzo, però questa volta se l’era cavata.
Era la regola numero uno, mai pensare ad altro, mai far capire al cliente di non essere il
solo e il più importante. Il cliente ovviamente sapeva che lui era una puttana, niente di più,
però era importante illuderlo per il tempo passato insieme. Ogni cliente contento portava
più soldi e più favori, il cliente scontento poteva reagire male come quello di prima…
Era proprio un cretino.
Ashley sospirò, ritrovandosi nella hall dell’albergo . Si fermò un istante, incerto su cosa
fare. Era scalzo e coi soli pantaloni, fuori la notte era gelida.
“Te ne devi andare!” gli gridò il custode notturno dell’albergo “abbiamo un buon nome da
conservare!”
Il buon nome, certo.
Il freddo che lo investì fu così intenso che quasi lo fece gridare, ma per lo meno, attenuò il
dolore della schiena e sulla faccia.
Iniziò a tremare. Non passava nessuno, non avrebbe potuto sperare in un passaggio. Non
aveva neanche i soldi per un taxi, non aveva nulla.
Si chiese se padre Josh avesse un telefono, ma non avrebbe saputo come cercarlo…
Iniziò a camminare, poi accelerò il passo e iniziò a correre. Rimanere lì fermo non
l’avrebbe certo scaldato, almeno così forse, non sarebbe morto di freddo. L’asfalto gli
tagliò subito i piedi: gli faceva male dappertutto, ma cos’altro poteva fare?
Se non avesse avuto freddo e dolore, sarebbe scoppiato a ridere. Come s’era ridotto?
Semi nudo, di notte, scappato via da una stanza d’albergo perché aveva sperato di fare
l’amore con un prete. E ora stava correndo da quel prete, perché non era in grado di
pensare ad altro.
Probabilmente era impazzito, o magari non era riuscito a scappare dall’albergo e ora era
morto, sulla moquette di un albergo lussuoso.
Bella fine di merda.
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Arrivò di fronte alla chiesa, il cuore gli batteva all’impazzata e il suo fisico era così stanco,
che, appena fermo, Ashley vomitò sul sagrato.
Il vecchio non avrebbe apprezzato, probabilmente.
Si sentì svenire e non si rese conto di entrare dalla porta sempre aperta della casa di
padre Josh e di chiamarlo. Capì solo di essere fra le sue braccia e questo fu sufficiente
per lasciarsi andare.
Probabilmente perse i sensi, perché quando capì di nuovo dove si trovava, era avvolto da
strati di coperte, sdraiato in un letto che non era suo.
“Ti sei ripreso…” Padre Joshua era seduto sul bordo del suo letto con un’aria angosciata.
“Sono svenuto?” chiese Ash con voce impastata.
“Sei rimasto privo di sensi per un’ora, continuavi a tremare e…” Padre Josh non riusciva a
finire la frase, si passò una mano sugli occhi “eri ghiacciato”
Ash si mise a sedere, toccandosi il viso “M’hai medicato tu?”
“Ho solo pulito un po’ le ferite e tolto le schegge dalla schiena. Ma era più importante
scaldarti”
Ash guardò il prete negli occhi, cercando la sua mano sopra le coperte: “Grazie”
“Cos’è successo?”
Il ragazzò alzò le spalle “Un cliente un po’ violento…”
Il prete fece per dire qualcosa, ma poi, ci ripensò, rimanendo in silenzio. Prese la mano di
Ash, stretta nella sua, e se la portò alle labbra, baciandogli le dita o poi il palmo e
cercando parole che non esistevano fra la sua agitazione che non scemava.
“Ho detto il tuo nome…” disse Ash e, nel silenzio assoluto di quella stanza, quel bisbiglio
rimbombò.
“Cosa?” Padre Josh aggrottò la fronte.
“ Quando sono venuto, stavo pensando a te, e ho detto il tuo nome” Ashley distolse lo
sguardo dal prese, mordendosi il labbro. “Io…” lottò con tutte le sue forze contro le lacrime
che reclamavano libertà “ho fatto proprio una cazzata” sorrise tristemente, ancora
incapace di guardare il prete. “Sono proprio patetico”
Padre Joshua aprì la bocca per replicare, ma fu subito interrotto.
“Non dire che non è vero. Io sono innamorato di te. E non è forse patetico? Una puttana
che si è innamorato di un prete…Cazzo, dev’essere davvero la cosa più patetica che
abbia mai sentito!” Vinsero le lacrime, che iniziarono a scendere lungo le guance di
Ashley. “Io non penso ad altro che a te. Sempre, ovunque… Più cerco di non farlo, più…Ti
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penso quando sono a casa, ti penso quando mi addormento. Ti penso quando vado a letto
con qualcun altro. Cazzo!” Sbottò, asciugandosi le lacrime e ridendo di se stesso “Ti
penso anche quando faccio il tè…” alzò gli occhi per guardare in faccia il prete: ormai che
cosa poteva fare?
Padre Joshua lo guardava, immobile, con gli occhi fissi su di lui.
Separò la mano da quella di Ash e il ragazzo percepì il distacco come una violenza e
sussultò. Ma subito dopo quella stessa mano fu appoggiata sulle sue labbra, poi fu fatta
scorrere sulla guancia e dietro la nuca.
Si avvicinarono l’un l’altro così lentamente che Ash non capì neanche di muoversi. Solo
quando il prete lo baciò, il ragazzo capì che cosa stava succedendo. E se il primo bacio fu
un bacio casto, come quelli della notte di Natale, il secondo era già diventato un bacio
esigente, il terzo un bacio così intenso da farti dimenticare tutto.
Se questa era la ricompensa, se queste labbra, questo bacio, queste mani erano il premio
per quel che era stato, allora… allora forse lui poteva davvero sorridere e lasciarsi andare.
Non erano importante tutti gli uomini di prima, non erano importanti i suoi piedi feriti, la
sedia rotta o il freddo di quella notte. Non era per nulla importante il freddo degli anni
passati perché, se questa era la ricompensa, allora ne era valsa la pena. Ogni minuto,
ogni attimo, li avrebbe rivissuti per un altro bacio così, e poi un altro, e un altro ancora…
Ashley attirò Josh a sé, lasciandosi abbracciare in un bacio sempre più caldo. Staccò la
bocca da quella di Josh, per continuare a baciarlo sulla guancia. Baci umidi che lasciarono
tracce di saliva sulla guancia del prete e che facevano rabbrividire la pelle una volta
abbandonata per un bacio altrove. L’alito caldo di Ash e la sua lingua nell’orecchio, fecero
gemere Josh che si rifugiò nell’incavo del collo di Ash, per poi succhiarglielo.
Il collo, bianco e perfetto, Ashley lo voleva. Si diresse verso il mento e poi scese, ma esitò.
Portò la mano al collarino di Padre Josh e lo strappò via, lasciandolo cadere per terra.
Ora avrebbe avuto libero accesso. Cercò di sollevarsi dal letto per mettersi a cavalcioni
sopra Josh, ma un dolore pungente gli fece uscire tutta l’aria dai polmoni.
“Devi ripos...”
Ash mise un dito sulle labbra di Josh e scosse la testa.
”No, Ashley, hai lividi e ferite ovunque, non puoi…”
Ashley tremò “Baci tutti così?” Lo aggredì, ma non riuscì a nascondere la tristezza che
impregnava la sua voce “Tutti quelli che vengono qui, tutti i bisognosi. Li baci tutti così?”
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Padre Josh guardò Ash, non c’era bisogno di alcuna risposta. Lo baciò di nuovo, ma
questa volta non perse il controllo.
“Devi dormire e riposarti, hai male anche solo a muoverti…”
Ash si sdraiò, senza staccare gli occhi da Josh che gli stava rimboccando le coperte.
“Perché faccio sempre quello che mi dici?” sussurrò Ash a Joshua quando il prete ebbe
finito con le coperte.
“Perché sai che ho ragione” gli disse l’altro accarezzandogli i capelli, ma Ash scosse la
testa.
“E’ perché sono un cretino e ti amo” si strinse nelle spalle e affondò la testa nel cuscino,
senza più osare guardare padre Joshua negli occhi. Cercò di calmarsi e di rallentare il suo
cuore, ma istintivamente si leccò le labbra, per ricercare il sapore di Josh su di sé.
“Sto bene, Mikey, non ti preoccupare”
“Cazzo, mi farai morire di crepacuore, ma dove sei?”
“Sono … al sicuro, tu però di’ agli altri di non salire in macchina con quel tizio”
“Ti ha fatto male?”
“E’ stato un po’ violento, ho dei lividi qua e là, ma guariranno presto…. Chi è che c’è al
bar, sento casino in sottofondo”
“I soliti e il Grigio che gioca a biliardo”
“Sono stato fortunato a trovarti al primo colpo, non sapevo come altro fare ad avvertirti”
“Ma non puoi camminare?”
“Non è quello, posso…è che ho delle cose da sistemare, e per ora non posso tornare a
casa”
“Delle cose da sistemare? Col cliente?”
”Ma no, quello l’ho lasciato nudo che imprecava contro di me l’altra sera.”
“E allora che cosa hai da sistemare?”
“Cose, Mikey, te ne parlo poi, va bene?”
“Non mi piace che hai questi segreti”
“Che tu abbia, Mikey, si dice che abbia”
”Hai, abbia, non mi piace per un cazzo lo stesso”
Ashley si mise a ridere.
“Sono da Joshua”
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“Mi sono già perso…”
“Sono dal prete, ti ricordi?”
“E che cazzo ci fai da…. Ooh” Mikey s’interruppe e per un attimo, al telefono, si sentì solo
il sottofondo del bar “E’ un brutt’affare?”
“E’ un brutto affare, sì”
”Ma quanto brutto?”
“Tanto brutto Mikey”
“Ahia” il Topo fece un’altra pausa.
“Ma è un prete...e poi ci sono le regole…”
“Lo so che è un prete e conosco bene anche le regole, ma…”
“Ma è un brutto affare”
“Già…” sospirò Ash, non sapendo cos’altro dire “Mikey… io non…” ma poi si interruppe di
nuovo “E’ meglio che metta giù adesso. Volevo solo che non ti preoccupassi per me, non
vedendomi tornare a casa. E che avvertissi gli altri che quello è uno pericoloso”
“Lo farò Ash, non ti preoccupare, lo farò. Tu cerca di stare bene”
“Io sto bene”
“Sai cosa intendo”
Ash annuì, ma il Topo non poteva vederlo, quindi dopo un po’ rispose “Sì, cercherò. Tu
invece non frequentare troppo quelle teste di cazzo, va bene?”
“Allora torna presto Ash”
“D’accordo, ci vediamo presto Mikey”
“Ciao”
Ash schiacciò il pulsante per interrompere la comunicazione, ma rimase a guardare la
cornetta del telefono per un po’.
Sospirò appoggiandola sul comodino: non aveva idea di quello che avrebbe dovuto fare.
Rimanere lì? Scappare via?
Voleva fare tutt’e due le cose.
Si guardò i piedi, le gambe e il torace: aveva ancora lividi e tagli, ma muoversi gli faceva
meno male di qualche giorno prima.
Era notte, probabilmente le due o le tre, Ashley non sapeva dirlo con precisione e si ritrovò
là davanti, con la mano sulla maniglia e il cuore nelle orecchie. Varcare quella porta,
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entrare nella stanza dove padre Joshua dormiva voleva dire trovarsi definitivamente ad un
bivio.
Tutto in lui gridava di entrare e tutto in lui gli diceva di fare un passo indietro, di tornare
nella sua stanza e di dimenticare, di andarsene da lì e scomparire.
C’era silenzio assoluto nel corridoio e la pochissima luce che filtrava da una finestra lo
illuminava per metà.
Ash girò il pomello ed entrò, facendo attenzione a non fare nessun suono, nessun rumore.
Chiuse la porta dietro di lui e si dovette abituare al buio quasi totale della stanza. Si
sentiva il respiro leggero del prete, e il suo, dissonanti perché uno troppo veloce rispetto
all’altro.
Camminò lentamente verso il letto del prete e cercò, con gli occhi, di intravederne i
lineamenti, ma non resistette ad appoggiargli le mani sul viso e tracciarne il profilo.
Padre Josh si svegliò di soprassalto, non capendo cosa o chi l’avesse toccato. Ash lo
afferrò ai polsi, dandogli il tempo di capire che era lui. Padre Josh lo guardò, senza dire o
fare niente, con le braccia intrappolate.
“Shhh” gli disse Ash appoggiando lievemente la bocca sul suo orecchio. Quel sussurro si
diffuse nella stanza, fino a farla immergere di nuovo nel totale silenzio.
Ashley salì sul letto, accarezzò la bocca del prete con le dita, poi passò al collo, fino ad
arrivare al bottoni della sua maglia. Non si fermò al primo, non esitò.
Josh rimase immobile a guardare Ashley mente gli slacciava il pigiama, stando attento a
non toccare la pelle. Si fece sfilare la giacca del pigiama senza protestare, senza dire
nulla. Ci fu il fruscio della maglia che cade per terra, poi di nuovo nulla.
Ashley si sfilò la sua di maglia, con un gesto fluido e la lasciò cadere a fianco di quella di
Josh. Rimase fermo , per un istante. Ormai non si poteva tornare più indietro e se mai
davvero aveva voluto qualcosa, era appoggiare le labbra sul petto di quell’uomo. Si piegò
il avanti, con la punta della lingua toccò un capezzolo, poi con le labbra, poi coi denti, poi
di nuovo con la lingua…
Non un rumore in tutta la stanza.
Ash proseguì baciandogli la linea di muscoli che corre fra il petto e le anche, lasciando
umida la strada, che col respiro si gelava. Josh ebbe un brivido, ma non gemette,non
disse nulla.
Arrivato all’anca Ashley prese a risalire lungo il fianco, con piccoli baci delicati fino alla
spalla, poi al braccio. Non resistette alla tentazione di mordicchiare l’incavo del gomito,
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ma non vi indugiò troppo, proseguì sull’avambraccio, il palmo e le dita che prese in bocca
e succhio, per un momento.
Poi di nuovo si fermò, cercando nel buio e nel silenzio Josh che lo guardava, con le labbra
dischiuse.
Ashley tremò, c’era qualcosa di così intenso in lui che pensò il suo cuore si fermasse in
quell’istante, mano nella mano con Josh, nel buio di una stanza silenziosa.
Portò la mano dell’altro sulla parte sinistra del suo petto ed ebbe la sensazione che il suo
battito diventasse di entrambi e che si potesse udire. Appoggiò la bocca sull’altro
capezzolo, ma risalì sulla spalla, e poi sul collo, fino ad arrivare sul mento e sul viso, ma
arrivato alla bocca, si fermò di nuovo. Gli tremò il labbro. Quello stupido, maledettissimo
labbro che non ne voleva sapere di rimanere sotto controllo, gli tremò prima che potesse
fare niente per fermarlo.
Forse per il tremore, forse per il respiro, forse per curiosità, ma fu Josh a chiudere quella
distanza infinitesimale fra di loro, fermando lui quel labbro con il proprio.
Allora Ashley gemette, incurante del silenzio che li avrebbe nascosti, dissipandolo.
Non ci si poteva più nascondere.
Josh affondò le mani nei capelli di Ashley, avvicinandolo a sé per avere tutto di quel
bacio e dalla pelle nuda che combaciava perfettamente alla sua.
Un bacio dopo l’altro, Ash coprì il viso del prete con le proprie labbra, non avendo mai a
sufficienza del suo sapore, poi l’orecchio, e poi ancora il viso… Spostò leggermente il
proprio peso sopra il prete per far meglio combaciare le loro parti intime, ma Josh si tese
così tanto che Ashley desistette subito.
Scese col viso, quindi, lasciando che i suoi capelli accarezzassero la strada segnata dai
baci e che le sue mani si occupassero dei pantaloni di entrambi che erano diventati di
troppo. La voce e i gemiti di Joshua sembravano sufficienti per farlo impazzire. Sarebbe
potuto venire col solo suono della sua voce?
Sì, in quel momento, con le gambe di Josh che gli si stringevano intorno per non
permettergli di allontanarsi e la sua pelle che reclamava baci, sì. Era sicuro di sì.
Arrivato alle anche, volutamente ignorò l’inguine per scendere lungo l’interno coscia e far
gridare Josh. Non voleva né poteva stuzzicare troppo i sensi del prete, non sapendo
quanto questi fosse in grado di resistere però, Dio, la sua mano bruciava e non riuscì ad
evitarle di accarezzare il suo pene con le dita, prima e la lingua dopo.
Josh gridò il suo nome.
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Era presto, era troppo presto, ma lui semplicemente non riuscì a farne a meno. Non s’era
mai trovato con questo senso di foga addosso e questa perdita di controllo. Non riusciva
più a controllare le carezze, la pressione, i tempi o i ritmi, era completamente succube del
suo desiderio.
La sua lingua e la sua bocca seguivano solo l’ordine dei gemiti di Josh.
I muscoli del prete si contrassero, e Ashley si sentì afferrato per le spalle e sollevato con
forza
“No” riuscì a dire il prete “non così…”
Ashley non capì cosa volesse dire Josh, ma ugualmente si lasciò baciare.
“Ti voglio vedere…voglio vedere il tuo viso”
Ashley appoggiò la propria fronte su quella di Josh e sorrise, così felice da perdere il
senno.
Poi esaudì il desiderio di Josh e assecondò il suo – prendendo il prete dentro di sé.
Iniziò a muoversi ritmicamente, cercando di non staccare il volto da quello dell’altro, ma
era troppo tardi per qualunque volontà o pensiero.
“Ti amo”
Vennero insieme. Josh strinse a sé Ash per averlo ancora più vicino, e il ragazzo si portò
le labbra del prete all’orecchio. Afferrò il prete per la nuca per avvicinare la bocca al
proprio orecchio:
“Dimmelo ancora…Dillo…”
Poi caddero esausti, Joshua sulla schiena e Ashley e sopra di lui, ansimante.
Non dissero niente per un po’, poi Ash si sollevò leggermente per guardare Josh in viso. Il
prete arrossì.
“Sei il primo che arrossisce d’imbarazzo…”
Josh distolse lo guardo, quasi pudico e si coprì gli occhi con la mano, non riuscendo però
a trattenere a sua volta, una risata.
Ashley inizò a giocare coi capelli di Joshua
“Dimmelo ancora” gli chiese.
“Ti amo”
***
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Ormai è il primo di Dicembre. Quest’anno ha nevicato e tutta la città è ricoperta di bianco.
A guardarla così, dalla finestra, sembrerebbe una città incantata. Questo solo perché da
qui non riesco a sentire i rumori sulle strade. Mi ritrovo spesso a guardare fuori dalla
finestra, la sera, quando ho finito di lavorare e torno a casa. Preparo un po’ di tè – a volte
metto addirittura del latte – e guardo le mille luci di una Londra indaffarata. Forse dovrei
fare qualcos’altro, accogliere gli inviti di chi mi chiede di uscire, andare al cinema… Ma
non riesco, ogni giorno, l’unica cosa che desidero fare è tornare a casa, chiudere la porta
alle spalle e stare in silenzio. Prego, certo. Nonostante tutto prego ancora perché il mio
amore per Dio non è mutato, nonostante molte altre cose lo siano. Non so se sarò mai
perdonato per quel che ho fatto, ma questo non fiacca di certo la mia devozione.
E’ passato un anno da quando ho incontrato Ashley, da quando s’è rifugiato infreddolito in
chiesa. Sono passato dieci mesi da quando ho fatto l’amore con lui e altrettanto tempo è
passato da quando non lo vedo più.
La mattina dopo, quando mi sono svegliato, Ashley non c’era, se n’era andato. Non mi
sono accorto di nulla, né che lui si alzasse dal letto, né nient’altro.
Appena ho visto che non c’era più, ho capito che non sarebbe più tornato, eppure l’ho
comunque sperato. Ho aspettato, uno due, tre giorni…
Poi quando l’evidenza ha prevalso, ho ammesso a me stesso che già sapevo che non
sarebbe tornato indietro.
Forse avrei dovuto cercarlo, come mi rimprovera spesso Sylvia, ma non ho potuto. Ashley
ha svelato tante cose di me e del mio animo, fra cui anche quest’orgoglio a cui
m’aggrappo da quel giorno. Avrei potuto cercarlo? Forse, ma alla cieca, chiedendo a
persone e in luoghi che io per primo non conoscevo. Non sapevo neanche dove abitava…
Non ho neanche tentato, è vero. Ma per cosa? Per rivederlo e farmi dire quello che già
sapevo?
Ashley aveva bisogno di me, l’ho aiutato e tutto è finito, com’era giusto che fosse. Io mi
sono esposto, io ho scelto di aiutare i bisognosi. E un dopo non ha senso, perché una
volta aiutati, devono essere in grado di camminare con le proprie gambe.
A volte mi arrabbio con lui, lo accuso di essersi preso gioco di me e di aver approfittato
della mia indulgenza; altre volte invece, so che è colpa mia, perché il motivo per cui mi
sono innamorato di Ashley è il motivo per cui Ashley se n’è andato: la sua completa
incapacità di gestirsi emotivamente.
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Avevo già incontrato prima di lui, ragazzi nelle sue stesse condizioni,: alcuni erano
arrabbiati, altri catatonici. Nessuno di loro era nudo emotivamente. Non ero assolutamente
preparato ad affrontare una persona così. E mi sono innamorato di lui, fin da subito
probabilmente, fin da quando m’ha sorriso perché gli ho restituito la sigaretta accesa con
le candele.
Per una persona come me, quel sorriso è stata una richiesta d’aiuto e una domanda
d’amore.
Mi rendo conto sia un paradosso, ma nel suo aver bisogno di me io trovo sicurezza, nella
possibilità di aiutarlo trovo forza.
E come un pazzo, non sono più riuscito a liberarmi .
Poi semplicemente, Ash ha reagito di conseguenza, andandosene quando era tempo che
se ne andasse.
Per me era diverso, io ero irrimediabilmente perso.
Oppure, più semplicemente, Ashley era troppo bello per resistergli e io sono molto più
superficiale di quando mi piace credere.
Ho cercato di fare un passo indietro.
Ogni volta che lui si avvicinava io ho tentato…Persino il nostro primo bacio lo ricordo
ancora così vivo sulla mia pelle che mi chiedo come possa averlo interrotto e come possa
aver finto indifferenza così bene.
Dopo qualche settimana da quella notte, ho deciso che ormai, la mia tonaca non aveva più
senso su di me. Ho lasciato la chiesa, ho lasciato il reverendo Paul non senza problemi
dalle alte sfere. Ma in quel momento non potevo pensare a loro, riuscivo a pensare solo
da Ashley.
Nessuno, tranne Sylvia, sa il motivo per cui ho abbandonato i voti: ho amato un ragazzo e
ho goduto del suo corpo.
Per molti, questo, sembrerà un motivo insufficiente, dato che tantissimi prelati hanno vite
segrete pur vestendo l’abito nero. Per me è diverso, non sono riuscito a conciliare il
sacerdozio con Ashley, né per altro ho potuto scegliere.
Ora insegno filosofia e sono a capo di una piccola comunità di recupero. Alcuni sanno che
ero un prete, altri no, ma alla gente comune questo non importa. Per loro un prete o è un
pedofilo o è una brava persona. Non avendomi mai visto con ragazzini, io appartengo di
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diritto alla seconda categoria. Ecco perché non me ne sono andato da Londra. Forse
anche perché spero che Ashley così possa trovarmi.
Che presunzione, volere che sia lui a cercare me…
Ashley ha fatto di me un uomo presuntuoso.
Non sono nascosto. Anche se vorrei farlo. Ecco perché non esco e rimango a casa, in
compagnia di una tazza di tè e della città. Non sono ancora forte a sufficienza per
accettare che lui non ha più bisogno di me. Lo so e lo capisco, ma non posso accettarlo.
Senza il suo bisogno io perdo di senso, senza di lui non mi rimane che questa tazza di tè e
le mie preghiere ad un Dio che forse, non m’ascolta più.
Non posso pentirmi di quello che ho fatto, non voglio farlo. Ugualmente spero che Lui
possa capire.
E’ buio, nella stanza, non ho acceso la luce e rimango fermo, a guardare fuori dalla
finestra… Ho appena aperto la busta dei miei esami del sangue. Sono andato a ritirarli
oggi, ma non ho voluto aprirli fino ad adesso.
Test dell’HIV negativo, chissà perché non ne ho mai avuto alcun dubbio.
Quando ho fatto l’amore con Ashley non ho assolutamente pensato a chi fosse lui, al
rischio di poter contrarre il virus, facendo lui la prostituta da chissà quanto tempo. Quello
che era stato non era importante, esisteva solo lui, lì, in quel momento. Invece qualche
giorno fa, passando di fronte a uno di quei banchetti per la racconta di fondi per la ricerca
contro l’AIDS, m’è venuto in mente e per un attimo quella notte è ritornata sulla terra,
abbandonando quello stato di onirica perfezione che ormai ha acquisito, nella mia mente.
E se fosse in ospedale, da qualche parte, malato? E se Ashley non fosse potuto venire da
me perché ammalato e solo?
Ho subito scansato il pensiero e riso di me, riso della mia ingenuità e del mio continuo
ingannarmi.
Squilla il telefono.
“Josh, ciao”
“Ciao Sylvia”
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“Inutile chiederti come va…”
“Va tutto bene”
“Mmm” dice lei, ma non sembra convinta “Ho visto che è tutto spento e ho pensato che a
casa non ci fosse nessuno”
“Preferisco stare un po’ al buio…”
“Joshua non...”
“Ti prego Sylvia, non ricominciare. Non oggi…per favore” la prego, perché non ho la forza
di discutere con lei quanto il mio atteggiamento non sia produttivo. Secondo lei dovrei
reagire, dovrei fare qualcosa. Ma sinceramente non so che cosa. Prima avevo Dio, ora
vivo il senso di colpa di averlo tradito.
E Ashley non è qui con me.
Che cosa c’è da fare?
“Va bene, non oggi, ma così non va”
Annuisco. Non mi vede, ma so che capisce
“Sono sotto casa tua, mi apri?”
“Sylvia…” non ho proprio voglia di vederla, voglio stare ancora un po’ qui seduto, davanti
alla finestra e poi andare a letto, aspettando che un’altra giornata ricominci come quella di
oggi, e quella prima e quella prima ancora.
“Dai non farti pregare. Due chiacchiere, un tè e poi me ne vado, promesso. Solo due
chiacchiere…”
Non oso dirle di no, in fondo so che lo fa per il mio bene.
“Sali che ti apro”
Poco dopo sento il campanello di casa suonare e, senza neanche accendere la luce, vado
ad aprirle.
Ci metto un attimo per metterlo a fuoco: lì nel corridoio illuminato, c’è Ashley che mi
guarda, coperto da un cappello di lana e una sciarpa che gli nascondono quasi tutto il viso,
ma – cielo – è Ashley.
Lo guardo e in un attimo sono arrabbiato, arrabbiatissimo con lui. Sono in panico. Sono…
“La ragazza…” dice lui con voce secca indicando qualcuno che non c’è dietro alle sue
spalle “M’ha detto..” ma non riesce a concludere la frase
Annuisco, Sylvia l’avrà mandato qui, mi chiedo solo come l’abbia trovato.
Mi scosto dalla porta di casa mia e gli faccio cenno di entrare. Lui è titubante e si toglie il
cappello che gli lascia i capelli arruffati e morbidi. Vorrei sistemarglieli, ma non posso
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toccarlo. Ritorno alla mia finestra e lo guardo, mentre chiude la porta dietro di sé e si
avvicina al centro della stanza, guardando per terra. Non dice niente, ma non gli posso
dare la soddisfazione d’iniziare io per primo la conversazione. Lo stringerei a me, ma non
posso parlare.
In mezzo alla stanza, vicino ad un tavolino tondo c’è Ashley e io sono lontano, alla
finestra.
“Io…” comincia lui con voce flebile “ ti ho cercato”
Non mi riesce di trattenere un suono sarcastico al quale risponde sgranando gli occhi e
guardandomi, nel buio.
“Mikey è morto”
Per un attimo non capisco di chi stia parlando e penso che capisca la mia confusione
perché mi spiega.
“Mikey era il mio amico, il ragazzo con cui condividevo la stanza…”
Certo Mikey il Topo, ora ricordo e annuisco.
“La mattina, ho chiamato il Grigio, il pub vicino casa nostra dove speravo di trovarlo…”
la chiama la mattina, senza specificare quale, ma è inutile, perché capisco benissimo a
quando si riferisce.
“L’avevo sentito il giorno prima e gli avevo spiegato la situazione… che io…” non riesce ad
andare avanti e io non gli do il minimo aiuto per farlo. Lo guardo e sto così male da non
riuscire a muovermi. Ugualmente, non posso dargli alcun appiglio. Forse per orgoglio,
forse per rabbia, forse per tutta quella serie di peccati che Dio più volte ha condannato a
noi mortali e che io, uno ad uno, abbraccio impotente.
Sospira e cerca di riprendere a parlare “Sapeva bene di me…” non osa aggiungere e te,
ma fa un gesto con la mano che lo sottintende e mi guarda, per vedere se ho capito.
“Avevo bisogno di parlargli, era tutto troppo…” si mette le mani nei capelli e di nuovo
s’interrompe.
Era tutto troppo. Quasi mi viene da ridere.
“Il Grigio m’ha detto che Mikey era morto, l’avevano trovato davanti a casa… Un’overdose,
hanno detto, ma sono cazzate” dal sussurro di prima, passa ad un tono più alto e stringe i
pugni. Ce l’ha con chi ha detto che il suo amico è morto d’overdose, quasi volesse
difendere la memoria di Mikey il Topo.
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“Sono un mare di stronzate perché Mikey non prendeva niente, se non di tanto in tanto,
ma mai niente di troppo pesante…Ma si sa, quella è la fine di ogni puttana, quindi il caso è
stato chiuso quasi subito”
Stringe il cappellino fra le mani perché sa che deve continuare. Per quanto penoso, sa che
se è arrivato qui, a casa mia, la morte di Mikey non può giustificare la sua assenza per un
anno.
“Ho perso la cognizione del tempo”
Non vorrei proprio ridere, ma sono così ferito che non posso fare a meno di farlo. Una
risata breve e sarcastica, poi la sopprimo, ma lui la sente e lo vedo tremare e mi fa una
tale tenerezza che la mia rabbia rischia di scomparire, ma non mi muovo, né dico nulla. Ho
passato troppe notti a guardare fuori dalla finestra e a chiedermi di lui, di dove fosse, di
cosa facesse, se mi pensasse. Ho passato troppo tempo a ricordarlo, perché io ora possa
fare qualcosa.
Al mio sorriso lui sussulta, mi guarda e poi riabbassa gli occhi, stringendo ulteriormente il
cappellino fra le mani.
“Ho passato molto tempo fermo, immobile, a casa nostra, cercando di capire che Mikey
non ci fosse più… Sulla sua tomba abbiamo messo una foto in cui ci siamo io e lui, l’estate
dell’anno scorso. Dicono che porti male mettere la propria foto su una tomba, ma io non
ho voluto che la tagliassero. Io e lui siamo sempre stati insieme…”
Lo guardo e sento la disperazione di aver perso il suo unico amico, non voglio però
incrociare il suo sguardo, adesso, non vorrei che mi fraintendesse.
“Non so quanto tempo sia passato, so che ad un certo punto sono venuti a sbattermi fuori
di casa…Quando sono tornato in chiesa non c’eri più…”
Di nuovo, la mia bocca si muove prima che io possa capirlo “Del resto il prete era lì per
aiutarti no?”
Questa mia rabbia mi perderà, io stesso non mi riconosco. Io stesso che mi vantavo di
trovare gioia nell’aiutare gli altri, mi irrito al pensiero di essere stato usato da Ash.
Lui aggrotta le sopracciglia e mi guarda ferito: “Io ero con te… e lui moriva!” mi dice con
voce afona, “Lui moriva, e io…” poi tace di nuovo e si passa una mano sugli occhi, quasi a
schermare la colpa che prova per non essere stato con Mikey.
Poi sospira e riprende da dove l’avevo interrotto.
“Te ne sei andato dalla chiesa …”
“Non mi sono strettamente attenuto al comportamento consono ad un prete, tu che dici?”
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Non ho freno. Il sarcasmo nella mia voce è volutamente lì per ferirlo e mi fa stare
malissimo.
“Ma io ti ho cercato, non sapevo dove…”
“Mi hai trovato no? Si dice meglio tardi che mai” sorrido e mi giro a guardare la finestra,
non riesco più a rimanere immobile di fronte a lui.
“Cosa credi?” dice lui gridando, e quel tono mi coglie così impreparato che ritorno subito
sui miei passi e lo guardo, stupito.
“Cosa credi” ripete lui “Che non ti abbia cercato? Ho passato mesi a cercarti, mesi a…” si
mette la mano in tasca cercando qualcosa, poi tira fuori un plico di fogli stropicciati e li
butta con rabbia sul tavolo “Non eri da nessuna parte, eri scomparso, eri… “E’ più forte di
me, quella voce, quelle mani…tutto è più forte di me perciò mi avvicino. Lo spazio, prima
incolmabile, ora mi appare nullo.
Non vorrei ma mi avvicino a lui e al tavolo dove sono sparpagliati tanti foglietti, tovaglioli
stropicciati, pezzi di giornale e con la mano li distribuisco meglio, per vedere cosa c’è
scritto. Ci sono numeri di telefono, indicazioni stradali, nomi. Non capisco, finché non ne
leggo uno con scritto Carrie e il suo numero di telefono.
“Questo è…” ho il respiro così accelerato che devo interrompere la frase a metà per non
soffocare.
“Ho trovato persino Carrie, ma non sapeva dove fossi finito”
“Il Reverendo Paul...?”
“Lui è la prima persona a cui ho chiesto, ma non m’ha ascoltato e m’ha cacciato fuori dalla
chiesa. Si è ricordato di me…Per giorni sono andato da lui pregandolo di dirmi dove fossi,
ma lui non m’ha mai risposto.”
Lo guardo e sono felice lui continui a mantenere lo sguardo abbassato perché non voglio
che veda lo sgomento sul mio viso. Padre Paul era così rancoroso? E davvero lui aveva
contattato e cercato tutte le persone scritte sui foglietti stropicciati, per trovarmi?
“Ho iniziato a chiedere alle persone che andavano a messa… ma nessuno ha saputo dirmi
che fine avessi fatto. Una donna, un giorno, m’ha detto che avevi lasciato il sacerdozio e
che ti eri trasferito fuori Londra… Così ho iniziato a cercarti Mi hanno detto che eri a York,
prima, poi a Liverpool, poi mi hanno detto che a Londra c’è un archivio dove vengono
scritti e conservati i nomi dei prelati …Io non so niente di queste cose, per cui non potevo
che fidarmi”
“Ma non esiste nessun archivio”
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Ashley sorride, con quei sorrisi timidi ed impacciati che amo così tanto che quasi
dimentico la mia rabbia, ma lui riprende a parlare.
“In poco tempo ho finito tutti i soldi che avevo messo via…e non ho più potuto andare a
cercarti fuori Londra. Sai, da quella notte, dieci mesi fa, non ho più…”
Non riesce a trovare le parole e io non riesco a perdonarlo. Ancora cerco di ferirlo come
non vorrei.
“Ma come” dico stizzito “prima non riuscivi a parlare serenamente d’altro e adesso non
riesci neanche più a dirlo?” Inizio a sillabare “Sco-pa…” ma vengo interrotto da lui che mi
afferra per la collottola. Per un attimo mi sembra che mi abbia schiaffeggiato
“Smettila…sta’ zitto” non trattiene le lacrime “Taci”. E stringe più forte il mio maglione.
Si accorge solo dopo che indosso il maglione che m’ha regalato lui.
Ashley ha messo in luce moltissime cose di me che ignoravo: sono orgoglioso, sono
testardo, sono presuntuoso. E sono anche uno stupido sentimentale.
Guarda il maglione, poi guarda me con i suoi occhi grandi e stupiti.
“Ho trovato lavoro in una pasticceria” dice lui arrossendo “All’inizio il padrone m’ha preso
per una settimana, per prova… Non avevo neanche una residenza da dargli come
garanzia, non si fidava…”
Stacca le mani da me e inizia a torturarsele, come fa quand’è agitato. Il cappellino è
caduto per terra, non so bene quando.
“Poi ha notato che molte ragazze entravano per conoscermi e compravano da lui per fare
colpo su di me” arrossisce ulteriormente “Il capo dice che le ragazze sono le clienti più
difficili da attirare perché hanno paura di ingrassare. Ora il negozio è pieno…”
Sorrido, senza cattiveria questa volta. Lui non mi vede perché guarda in basso e io non mi
faccio sentire.
“E m’ha dato anche un letto per dormire. E’ lì che ho incontrato Sylvia. E’ entrata ieri, ma
non per comprare qualcosa… M’ha subito chiesto se mi chiamavo Ashley”
Evidentemente era attenta tutte le volte che le ho parlato di lui, attenta a tutti i dettagli che
le ho ripetuto mille volte…Scuoto la testa incredulo.
Ma questo pensiero mi riporta alla mente tutta la sofferenza dell’anno passato. Davvero
non riesco a dimenticare? La sensazione d’abbandono è così profonda da fare
incredibilmente male.
“Perché sei qui?” gli chiedo. E’ una domanda legittima, penso, dopo quasi un anno in cui
non lo vedo.
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M’ha cercato, dice di aver girato l’Inghilterra per trovarmi, ma lo stesso voglio sapere
perché è qui, perché un anno dopo troppe cose sono cambiate.
Mi guarda e trema, apre la bocca per dire qualcosa, ma non riesce a trovare la parole.
Io aspetto, non ho fretta, ma non posso in alcun modo aiutarlo.
Si guarda nervosamente in giro, stringendosi le labbra fra i denti e sospira, per trovare il
coraggio.
“Se potessi…”
E già voglio interromperlo, ma lui alza una mano e mi fa segno di tacere
“Se potessi fare diversamente lo farei, ma non è per questo che sono qui. Sono qui perché
non penso ad altro che a te dal giorno in cui sono entrato nella tua chiesa e volevo tu lo
sapessi. Volevo essere sicuro che non ci fossero dubbi e che…e che lo sapessi, ecco”. Mi
guarda negli occhi, poi sposta lo sguardo sui foglietti sparsi sul tavolo e sorride “Molti mi
hanno dato numeri di altrettante persone, sono contento di averti trovato”. Sorrido anch’io,
ci saranno almeno una cinquantina fra numeri ed indicazioni stradali, mi chiedo perché
non abbia rinunciato prima.
Lo vedo lottare contro le lacrime, quando mi riguarda “Forse ti sembrerà egoista, ma
volevo che sapessi che sono… Insomma che io…Che quello che ho detto un anno fa non
era per la foga di un momento passeggero; che sono veramente innam…” si interrompe e
si passa una mano fra i capelli e poi sulla bocca, tremando “Non volevo che sminuissi il
mio sentimento pensando che fosse solo un’infatuazione sciocca, un qualcosa di
passeggero e superficiale.” Sospira cercando di sorridere. Vedo nei suoi occhi che quello
che ha detto non è esattamente quello che aveva pensato di dire, ma lo stesso, cerca di
sorridere. “E poi” dice, per concludere “ e poi mi chiedevo se potessi, una qualche volta…
Se potessi venire a trovarti. Vorrei vederti, una volta ogni tanto …”
Scioccamente avevo frainteso pensando che la premessa fosse la parte principale del suo
discorso.
Questa è la parte principale del discorso. Ma capisco subito l’errore perché Ashley non
riesce più a trattenere le lacrime e perché gli trema leggermente il labbro inferiore, che non
riesce a controllare se non mordendoselo. Troppo tardi, perché l’ho visto.
Non esiste più rabbia, né rancore, non esiste più niente se non la consapevolezza che io
sono pazzo di lui. Se dovessi dire perché non l’ho abbracciato appena l’ho visto sulla
porta, non saprei farlo; perché fossi ferito, non lo ricordo. Fra me e me sorrido, forse non è
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vero che sono innamorato della sua bellezza o della sua necessità di me, forse amo solo
quel labbro ribelle che non obbedisce mai al suo padrone. Forse, ma non ha importanza.
Gli asciugo le lacrime su una guancia e la sento bollente, sotto le dita. Lui mi guarda, per
cercare di capirmi.
“Dimmelo di nuovo” questa volta sono io a chiederglielo, ma non gli lascio il tempo di
rispondermi, perché devo baciare quel labbro. Lui sussulta e io glielo chiedo di nuovo,
nell’orecchio, fra quei capelli disordinati.
“Dimmelo ancora”
Mi abbraccia, sento il suo respiro sul collo e i suoi baci che si fanno strada verso il mio
orecchio
“Ti amo” lo sento dire e poi non sento più niente.
Devo baciarlo. Giorni, nottate passate fra rabbia, fra disperazione e abbandono, ora devo
solo baciarlo. E’ un bacio lungo seguito da un secondo, da un terzo bacio, ma è un bacio
solo che continua. Mi stringe forte a sé, con le braccia e con una gamba. Lo sollevo, allora
anche con l’altra mi cinge la vita e si aggrappa a me continuando a baciarmi. E’ nel suo
sorreggersi su di me che io acquisto di senso.
Sono un pazzo e probabilmente un egocentrico.
Sono innamorato.
Quando si stacca dalla mia bocca abbiamo entrambi il fiatone. Io lo appoggio sul tavolo,
sopra quei foglietti sparpagliati che conserverò come un miracolo. Non voglio che si
stacchi da me, voglio le sue gambe intorno alla vita e le sue braccia sulle mie spalle.
Lo guardo, ancora non ci credo, ma finalmente espiro, nascondendomi nel suo collo.
“Oddio” e probabilmente tremo.
“Quando ho visto l’appartamento buio, ho pensato che non ci fossi…” mi sussurra
nell’orecchio, quasi mi stesse raccontando cose successe mille anni fa “Non sai quante
volte ho temuto di averti perso… ma quest’appartamento buio, questa sera, mi sembrava
darmene conferma…”
E’ un suicidio, credo. Probabilmente questo ragazzo mi farà morire prima che me ne
accorga, senza che possa difendermi. La sua voce in casa mia e le sue mani sulla mia
schiena dissipano qualunque preoccupazione. E’ un suicidio, ma stare senza di lui è
impossibile.
“Vuoi appendere sulle finestre le luci natalizie?”
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“Posso davvero?” Mi guarda negli occhi, entusiasta come se avesse appena ricevuto un
regalo “Possiamo mettere quelle intermittenti, sulle finestre, ma anche sul balcone…Così
posso guardarle…”
“Dico qualche luce, e già fai progetti su tutta la casa?” Non resisto alla tentazione di
prenderlo in giro, ma lui non capisce subito e s’adombra.
“No, non volevo essere invadente… Lo compro io un filo, non…”
Lo fermo, prima che continui, con un dito sulle labbra. Sono così morbide che mi ci
soffermo un po’ troppo.
“Sciocco, scherzavo, possiamo mettere tutte le luci che vuoi. E non c’è bisogno che le
compri, le ho…da qualche parte”
Lui sorride, rasserenato, ma ancora incredulo
“E non voglio neanche tu rimanga a dormire dal pasticcere” metto enfasi in quest’ultima
parola. Ash ha messo in luce tante cose di me e mi ritrovo, oltre ad essere orgoglioso,
presuntuoso e sentimentale, anche ad essere fastidiosamente geloso.
Mi guarda e mi capisce fin troppo bene, perché il suo labbro trema e lui se lo morde,
ridendo.
Quel labbro è la mia perdizione.
Quando quelle stesse labbra sono su di me gli lascio fare quello che vuole, lascio che mi
insegni e che mi guidi senza porre nessuna resistenza e, questa volta senza nessun
imbarazzo, lo amo tutta notte.
E’ caldo, sensuale ed irresistibile.
Quando mi sveglio, la mattina dopo, per un istante mi coglie il panico, poi sento il suo
respiro sul mio petto e le sue gambe ancora intorno alla mia vita. I suoi capelli disordinati
sanno di biscotto e sanno di me, allora richiudo gli occhi.
Poco prima di riaddormentarmi penso a Sylvia e a come ringraziarla per avermi salvato, e
penso ad Ashley, che è mio.
Dicembre
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