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innovare le politiche sociali - Giunta
Provincia Autonoma di Trento Assessorato alle Politiche Sociali INNOVARE LE POLITICHE SOCIALI: QUALE WELFARE PER IL TRENTINO DEL 2000 Materiale di lavoro per la programmazione delle politiche sociali della Provincia Autonoma di Trento Prima presentazione in Giunta Provinciale nella seduta del 5 marzo 2004 a cura dell’assessore Marta Dalmaso Indice Premessa pag. 3 Uno sguardo sulla situazione attuale pag. 9 Quali ordini di priorità per quali politiche? pag. 16 Linee guida di riforma del welfare provinciale pag. 31 Il processo di accompagnamento della riforma pag. 37 2 Premessa Nell’accingermi alla stesura di questo breve documento, che si configura come materiale di lavoro per quanti vorranno far parte del “cantiere”, mi pare opportuno soffermarmi su una breve introduzione politica e metodologica. Anzitutto per dire che riferimento essenziale e imprescindibile dei ragionamenti e delle proposte che sostanziano l’atto di indirizzo è il programma di legislatura con il quale il Presidente Dellai si è presentato agli elettori prima e al nuovo Consiglio provinciale poi. Non ritengo superfluo, quindi, esporre in estrema sintesi quanto esso prevede nella parte che riguarda le politiche sociali intese in senso ampio. L’obiettivo dichiarato è quello di dotare la Provincia di Trento di un nuovo sistema di politiche sociali (non necessariamente e solo pubbliche) in grado di affrontare nodi e criticità dell’oggi e dei prossimi anni, e rilanciare il Trentino come laboratorio di ricerca e innovazione in questo particolare ambito. L’analisi della situazione attuale porta a dire che, per quanto riguarda le politiche sociali, gli interventi della PAT vanno aggiornati rispetto alle trasformazioni che ci sono state negli ultimi vent’anni, soprattutto per far fronte ad alcuni aspetti negativi: - un’eccessiva frammentazione degli interventi (sia legislativi che di gestione); - uno sbilanciamento verso politiche di tipo riparatorio che risultano maggiormente perseguite rispetto a quelle promozionali; - un eccessivo accentramento del potere (a scapito di enti locali e società civile); 3 - la crescita di situazioni di bisogno non coperte da adeguati interventi. A fronte di queste necessità, le linee della riforma che si intende proporre sono le seguenti: - l’opzione decisa verso la sussidiarietà verticale e orizzontale per valorizzare tutte le risorse che possano concorrere alla coesione sociale, che è frutto degli interventi non solo della PAT ma anche degli altri enti pubblici e privati sul territorio; - l’adozione convinta di una concezione moderna ed europea delle politiche sociali come parte integrante delle politiche economiche, nella consapevolezza che “ciò che è buono per la società è buono anche per l’impresa” ed accresce la competitività del territorio; - l’individuazione e l’attivazione di interventi di tipo preventivo e non solo di tipo riparatorio-assistenziale, puntando a non perpetuare le condizioni di bisogno; - stretto coordinamento tra politiche sociali, abitative, formative e del lavoro, favorito dall’istituzione di un assessorato ad hoc; - preferenza forte per l’offerta di servizi in luogo dell’erogazione di sussidi. Gli interventi previsti riguardano la revisione sia dell’intero impianto legislativo sia di alcuni aspetti organizzativi. Per quanto riguarda l’impianto legislativo ci si orienta verso: - l’unificazione delle leggi settoriali in politiche sociali (leggi provinciali n.14/1991 e n. 35/1983, handicap, immigrati e nomadi), con la definizione dei diritti di cittadinanza, con una normativa generale sul reddito minimo, col riordino delle modalità di finanziamento dei diversi servizi, con l’individuazione delle modalità di coinvolgimento del privato nell’erogazione dei servizi, con l’istituzione di un fondo per l’innovazione 4 sociale (a favore sia di progetti degli enti pubblici locali che delle organizzazioni della società civile), con l’assicurazione obbligatoria per la non autosufficienza; - il recepimento e l’integrazione della legislazione nazionale per quanto riguarda la famiglia e i soggetti del terzo settore Sul piano organizzativo si prevede: - il riassetto dell’amministrazione, anche a seguito della nuova attribuzione delle competenze; - il coordinamento con le politiche del lavoro, della casa, sanitarie e della formazione tramite una Conferenza dei servizi; - l’incremento della ricerca e della formazione in questo settore puntando alla valorizzazione e alla specializzazione dell’Istituto regionale di studi e ricerca sociale (IRSRS). Queste, in estrema sintesi, le linee programmatiche da cui partiamo, che richiedono uno sforzo non indifferente nell’elaborazione più circostanziata di analisi, di strategie e di azioni concrete. I primi quattro mesi di legislatura ci hanno consentito di avvicinarci alle numerose e articolate problematiche che insistono sull’Assessorato alle politiche sociali, e di cominciare a conoscere in quali termini e in che misura la Provincia sta offrendo delle risposte. In questa fase ci siamo avvalsi, oltre che di incontri diretti con le realtà interne ed esterne alla struttura provinciale, anche di studi e di indagini recenti quali la relazione della Commissione speciale di studio sulla povertà e l’esclusione sociale che ha concluso i propri lavori nel maggio del 2003 e il Rapporto sulla situazione economica e sociale del trentino a cura dell’Osservatorio permanente del sistema economico-sociale provinciale. 5 Ci siamo confermati nell’opinione che la situazione da cui partiamo è caratterizzata da una buona attenzione ai bisogni e da un’altrettanto valida capacità di risposta. Tuttavia non possiamo nasconderci che leggi, regolamenti e azioni, soprattutto quando si deve agire con e per le persone, in particolare le più deboli, esigono interventi di adeguamento il più possibile coordinati con il mutare dei tempi, perché non si corra il rischio che sia il bisogno a doversi adeguare alle risposte e non viceversa. Ora, in un sistema in cui ogni attore – Provincia, Enti Gestori, Comuni, Terzo Settore, categorie sociali … - sembra aver individuato il proprio ruolo e la propria strada per raccordarsi con gli altri, la necessità di introdurre elementi di novità e di aggiornamento deve fare i conti con l’esistente che non può essere bruscamente interrotto e che per sua natura è poco propenso alle trasformazioni. Non si tratta infatti di cambiare macchinari o sistemi di informatizzazione, né semplicemente di cambiare nome alle cose. Nei servizi alla persona – in particolare per l’assistenza, ma anche per l’edilizia abitativa, il lavoro, la formazione - molto si gioca sui rapporti umani, sulla capacità di leggere e interpretare i bisogni e le risorse, sulla fantasia per mettere in moto reti virtuose di partecipazione e di solidarietà, sull’attenzione a rendere efficaci ed economicamente sostenibili le iniziative che puntano a fare del bene (ma che non solo per le buone intenzioni sono fatte bene). Nei servizi alla persona il “segreto” per l’ente pubblico sta nel riuscire a destare e a sostenere un tessuto sociale che se da una parte ha in sé le domande, dall’altra dispone della capacità e della forza per rispondere a gran parte di esse o quanto meno per concorrere alla soluzione dei problemi. In questo primo documento si è cercato di individuare alcuni filoni di intervento alla luce degli elementi che fino ad oggi siamo stati in grado di rilevare. In qualche caso non ci è stato possibile andare al di là dell’enunciazione perché per definire con maggior precisione le modalità 6 servono più tempo ed una più circostanziata elaborazione. Anche il disegno complessivo con il raccordo tra le varie competenze che sono state accorpate in maniera inedita non è esaurito in queste righe. Già siamo intervenuti con una certa ampiezza sulle politiche della casa e a breve avremo modo di approfondire la materia complessa che riguarda le politiche del lavoro. Un discorso di sintesi c’è in nuce, ma verrà ripreso quando avremo elementi più chiari su cui lavorare e dopo che, anche all’interno della struttura provinciale riorganizzata secondo le nuove esigenze, avremo avuto il tempo per confrontarci e per condividere il percorso migliore verso un’armonizzazione degli interventi che ci consenta di rendere al massimo con le risorse che abbiamo a disposizione. Di fondamentale importanza sarà poi il contenuto del disegno di legge di riforma istituzionale che avrà sicure ripercussioni anche sull’organizzazione e sulla gestione delle politiche sociali, in particolare per quanto riguarda l’individuazione degli ambiti territoriali con i quali dovranno coincidere i distretti sociali contenuti in questa proposta di riforma del welfare. Va aggiunto poi che è già in atto una riflessione sulle modalità con cui meglio si possa raggiungere l’integrazione socio-sanitaria auspicata da molte realtà che operano nel nostro territorio. Per accennare ancora ad alcuni ambiti particolari, è opportuno chiedersi se, data anche la complessità della materia, le politiche per gli immigrati non richiedano un provvedimento legislativo ad hoc e se la legge provinciale n. 8 del 2003 a favore dei soggetti portatori di handicap vada mantenuta distinta o debba essere ricompresa nel disegno di legge complessivo di riforma. Del disegno di legge che istituisce il fondo per la non autosufficienza si è già cominciata la trattazione in commissione e ci si augura che esso possa essere approvato in aula entro l’autunno del 2004. 7 Ci sono anche alcuni settori che per certi versi potrebbero essere ricondotti alle politiche sociali in senso lato, ma che non si esauriscono in esse (andando ad interessare cultura, politiche giovanili, etc.) e che si ritiene opportuno rinviare ad una riforma generale sul non profit: si fa riferimento qui ad esempio al volontariato organizzato e non, alle associazioni di promozione sociale, alla cooperazione sociale, al servizio civile volontario. Vale la pena inoltre di evidenziare che a livello nazionale il Governo deve ancora definire i LIVEAS (livelli essenziali di assistenza), previsti tanto dalla legge 328/2000 quanto dall’articolo 117 della Costituzione. Essi saranno elemento cruciale per la definizione delle prestazioni sociali esigibili da chiunque si trovi in certe condizioni di rischio e di bisogno su tutto il territorio nazionale, benché si possa presumere che a livello provinciale i livelli essenziali continueranno ad essere più elevati rispetto allo standard nazionale. Un’ultima considerazione: come si è cercato di fare con la recente delibera che ha istituito una commissione interassessorile per le politiche familiari, vogliamo considerare la sensibilità sociale come un fattore che permea tutte le politiche di settore, nella convinzione che a trarne beneficio non saranno solo le politiche sociali. 8 Uno sguardo sulla situazione attuale L’attenzione ai bisogni sociali della popolazione ha rappresentato una caratteristica costante delle politiche pubbliche della Provincia di Trento, come dimostrano l’esistenza di una rete di servizi che ha pochi eguali nel resto del territorio nazionale e una spesa pro capite per l’assistenza tra le più elevate d’Italia. Questa particolare attenzione alle politiche sociali è stata supportata da una normativa provinciale che al momento della sua introduzione e per tutto il decennio successivo si è dimostrata innovativa ed efficace: le leggi provinciali n. 35 del 1983 e n. 14 del 1991 hanno rappresentato in particolare anticipazioni importanti e significative di quanto sarebbe accaduto negli anni successivi sul piano della regolazione delle politiche sociali nelle regioni più all’avanguardia del paese. Sembra di poter dire tuttavia che la carica innovativa che aveva caratterizzato le politiche sociali della provincia di Trento sia progressivamente venuta meno e l’espansione dell’offerta di servizi sia avvenuta con una riflessione non adeguata sulla effettiva capacità di rispondere all’evoluzione dei bisogni. A seguito di diversi problemi, soprattutto di carattere politico, che si sono intersecati tra loro, la legislazione del welfare non è stata significativamente aggiornata né rispetto all’evoluzione dei bisogni, né per tenere conto dell’evoluzione della normativa nazionale. Anche dopo l’approvazione della legge quadro di riforma dell’assistenza (L. 328 del 2000), che prevedeva che regioni e province riformassero i sistemi di welfare locali in base agli indirizzi della nuova norma nazionale entro 60 giorni dall’entrata in vigore della norma quadro, il sistema legislativo provinciale è rimasto invariato. Nel Piano socio-assistenziale provinciale 2002-2003 sono state individuate alcune linee transitorie per la 9 modernizzazione del sistema provinciale di politica sociale in conformità con le linee di indirizzo della legge nazionale, ma la maggior parte delle misure ivi previste non sono state ancora applicate. Le politiche socio assistenziali provinciali sono quindi oggi regolate in base a una pluralità di norme, non sempre tra loro coerenti, approvate nello scorso decennio, se non addirittura negli anni ottanta. Nel frattempo, e in particolare nel corso degli ultimi dieci anni, si è assistito a una trasformazione profonda sia del tessuto economico e sociale, nazionale e provinciale, sia del modo di concepire gli obiettivi e le funzioni delle politiche di welfare. Ambedue richiedono un profondo ripensamento dell’assetto complessivo e dell’organizzazione delle politiche sociali della Provincia di Trento. In generale va innanzitutto rilevato che, se da una parte, nel corso degli ultimi vent’anni, la costante crescita del reddito e dell’occupazione accompagnate da politiche redistributive sicuramente più incisive rispetto alla media nazionale, hanno prodotto una situazione di diffuso benessere e contribuito a mantenere un elevato grado di coesione sociale, dall’altra, le trasformazioni sociali hanno significativamente ridimensionato la tradizionale capacità delle famiglie e delle comunità di far fronte alle esigenze di aiuto dei membri in situazioni, permanenti o temporanee, di difficoltà. La tendenza delle giovani generazioni a posticipare la formazione di una propria famiglia e, più in generale, di formare un nucleo autonomo da quello dei genitori, la riduzione della natalità e il conseguente ridimensionamento del nucleo familiare hanno determinato la progressiva riduzione della funzione di autoaiuto tipica della famiglia trentina. E’ inoltre aumentata progressivamente nel tempo la partecipazione femminile al lavoro extra-domestico, senza tuttavia raggiungere le percentuali auspicate; questo fattore risulta positivo non solo perché ad esso va attribuita buona parte dell’aumento del benessere 10 economico, ma anche perché è innegabile il ruolo importante che la donna riveste nel mondo del lavoro con il suo peculiare e insostituibile apporto. La conseguenza di queste trasformazioni però è stato un aumento progressivo della domanda di servizi alla persona per far fronte sia a bisogni tradizionali che a nuovi bisogni, spesso di servizi specialistici che non rientrano tra le tradizionali competenze dei membri delle famiglie solitamente dedicati alle attività di cura. A questo aumento della domanda il sistema dei servizi di welfare, pur sviluppato, è risultato sempre meno in grado di fornire risposte quantitativamente e qualitativamente adeguate, soprattutto sul fronte della domanda di nuovi servizi. In proposito è sufficiente citare, tra i casi di insufficienza quantitativa quello degli asili nido e dei servizi per la prima infanzia in generale, tra i casi di insufficienza qualitativa le carenze di servizi di sostegno all’adolescenza e la non ancora sufficiente attenzione al problema della casa per le giovani coppie e, infine, tra i casi di insufficienza sia qualitativa che quantitativa quello dell’assistenza domiciliare agli anziani. A questa evoluzione di carattere pervasivo vanno aggiunte alcune conseguenze dell’evoluzione socio-demografica ed economica che stanno già da alcuni anni determinando una domanda specifica di politiche sociali: il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, l’emergere di nuove forme di povertà dovute soprattutto alle difficoltà ad inserirsi in modo soddisfacente nel mondo del lavoro, l’aumento dell’immigrazione e una composizione dei flussi migratori sbilanciata rispetto alla domanda attesa di professionalità, la differenziazione progressiva degli stili di vita e di conseguenza delle esigenze più generali della popolazione sono tutti fattori che sollecitano le politiche sociali. Queste constatazioni portano a sostenere che il sistema di welfare provinciale, per risultare efficace, richiede un profondo aggiornamento della propria capacità di rispondere ai bisogni della comunità provinciale, attraverso 11 una riforma che ne contrasti una certa tendenza all’irrigidimento su settori e modelli ormai datati. Nel disegnare la riforma delle politiche sociali è necessario tenere presente anche la recente evoluzione del modo di concepire queste politiche e la loro collocazione tra le politiche pubbliche. In questa direzione il primo necessario richiamo è alle indicazioni provenienti dall’Unione europea che da qualche anno indica la necessità di considerare anche le politiche sociali come parte integrante delle politiche economiche, ritenendo che la coesione sociale su cui le politiche di welfare direttamente incidono contribuisca a determinare il grado di competitività del sistema Europa. Questo diverso modo di concepire le politiche sociali risulta particolarmente importante nel contesto italiano e trentino caratterizzati tradizionalmente da una forte connotazione assistenziale delle politiche pubbliche in generale. Essa è ben interpretata dalla netta prevalenza dei trasferimenti monetari sull’offerta di servizi, e da una limitata attenzione alla famiglia il cui ruolo di “ammortizzatore sociale” nei confronti di moltissime problematiche, anche complesse, viene spesso dato per scontato senza che da parte dell’ente pubblico siano corrisposti un sostegno ed un riconoscimento adeguati. Sia l’analisi dell’evoluzione dei bisogni che le innovazioni proposte per le politiche indicano quindi che la vecchia filosofia che ha finora sorretto e ispirato le politiche di welfare anche in provincia di Trento, centrata su un’idea di diritti assistenziali, non è più in grado, da sola, di rispondere alla complessità dei problemi in essere e va profondamente innovata. Accanto a queste indicazioni di carattere generale, la proposta di riforma delle politiche sociali di seguito delineata, tiene conto anche di alcuni problemi più specifici al sistema trentino. Il primo problema è quello della spesa: se fino ad ora si è potuto finanziare un sistema di politica sociale realmente ampio, nei prossimi anni, a 12 seguito soprattutto dell’invecchiamento progressivo della popolazione, le risorse disponibili sono destinate a diventare insufficienti ad assicurare sia le prestazioni assistenziali minime ad un numero di cittadini destinato a crescere, sia l’ampliamento delle aree di intervento ricadenti, anche solo in senso lato, tra le politiche sociali. Si pone quindi un problema non solo di allocazione, ma anche di recupero di risorse aggiuntive rispetto a quelle oggi disponibili. Tali risorse solo in parte potranno essere reperite nel bilancio della Provincia e, più in generale, degli enti locali. Una quota crescente di risorse dovrà quindi provenire dalla disponibilità dei privati a finanziare la propria domanda di servizi alla persona e dal rilancio, anche in forme organizzative nuove, di quella solidarietà tra cittadini che ha da sempre caratterizzato le nostre comunità e che negli ultimi anni la disponibilità di risorse pubbliche ha contribuito ad affievolire. Il secondo fronte di difficoltà, peraltro collegato al precedente, è quello dell’efficienza: in passato la relativa abbondanza di risorse ha permesso di finanziare interventi senza che venisse data sufficiente rilevanza alla valutazione dei costi, ivi compresi quelli derivanti dalla previsione, spesso eccessiva, di oneri burocratici a carico della pubblica amministrazione. A tale modalità di gestione delle politiche sociali, attuate sia nella forma dei trasferimenti (indennità varie) che in forma di servizi, non è sempre corrisposto un effettivo incremento dell’equità sociale e della quantità e della qualità dell’offerta di servizi. Risultano ancora carenti sia un reale controllo che un’accurata valutazione sull’esito dei programmi di politica sociale finanziati, sulla relazione tra costi e benefici, nonché sulla coerenza tra risultati ottenuti e priorità dichiarate. Questo tipo di problemi non interessano peraltro solo i servizi pubblici, ma anche quelli erogati da privati, non profit o a fini di lucro, anche a seguito del ricorso a modalità di esternalizzazione non 13 adeguate e diverse a seconda della legge di riferimento e della data di stipula dei contratti. Anche per far fronte alla prevista insufficienza delle risorse è pertanto necessario riformulare secondo logiche e modalità più moderne il sistema di allocazione delle stesse, sviluppando una seria riflessione sui processi di individuazione delle priorità, sui costi e sugli esiti degli interventi attuati. In particolare è necessario valutare comparativamente l’efficienza di interventi realizzati mediante trasferimenti monetari piuttosto che attraverso servizi e di interventi che comportano spesa piuttosto che misure di riduzione della tassazione o delle tariffe, ponendo particolare attenzione ad individuare le situazioni di sovrapposizione di più tipologie di intervento. Il terzo fronte è quello dell’efficacia: esistono attualmente diverse rigidità strutturali nell’organizzazione degli interventi dovute sia alla centralizzazione dei processi decisionali, che alla segmentazione dei programmi di intervento anche quando sarebbe necessaria una loro integrazione. A determinare queste rigidità concorre anche la riluttanza di molti servizi, sia pubblici che privati a coordinarsi in rete per rispondere in modo flessibile e efficace alle dinamiche della domanda. I cambiamenti sociali ed economici che hanno accompagnato la crescita e la differenziazione dei bisogni nell’ultimo decennio impongono tuttavia oggi di ripensare la logica di molti interventi, con l’obiettivo di aumentare il livello di flessibilità delle risposte e la capacità di adattamento delle politiche alle mutate esigenze del territorio. Indicatori precisi e stringenti di efficacia dovranno essere previsti in sede di valutazione dei servizi, pubblici e privati, e ad essi, più che ad altre variabili, dovranno essere condizionati i finanziamenti pubblici. Un ultimo, ma non meno importante, fronte strategico è quello della partecipazione e della responsabilità sociale: al fine di migliorare le 14 modalità di intervento della Provincia anche in questa direzione, potrebbe essere opportuno attivare nuovi processi pianificatori del welfare nel suo complesso attuando modelli partecipativi innovativi legati a codici di condotta etico-sociale. L’adozione di questi modelli consentirà di innovare il tradizionale processo di costruzione degli strumenti pianificatori, migliorandoli, ed adeguandoli alle nuove esigenze che emergono dal confronto con il territorio. 15 Quali ordini di priorità per quali politiche? In termini generali, per superare le criticità rilevate, il processo di modernizzazione delle politiche sociali provinciali è chiamato ad una riforma incentrata sulla valorizzazione di un modello distintivo di welfare territoriale, sull’integrazione tra le diverse politiche pubbliche con impatto diretto sul livello di benessere collettivo e sulla responsabilizzazione di tutti i soggetti della comunità, pubblici e privati, in una prospettiva capace di coniugare garanzie pubbliche, efficienza ed efficacia, senza rinunciare all’apporto fondamentale della solidarietà sociale come valore culturale fondante del vivere civile. Il richiamo alla dimensione territoriale del welfare trentino rimanda alla necessità e alla opportunità di non perdere di vista gli elementi di peculiarietà e i punti di forza che il contesto territoriale, con la sua cultura, le sue risorse e la sua identità può porre in campo per disegnare le coordinate di un nuovo welfare. Si tratta in particolare di compenetrare tutti questi aspetti territorialmente caratterizzati con le dinamiche di rinnovamento proposte in sede europea e internazionale, valorizzando il principio di sussidiarietà che vede le regioni e le province come i soggetti cui compete riempire le macro linee di riforma proposte di contenuti e programmi capaci di rispondere ai problemi particolari che ciascun territorio esprime. Il principio di integrazione tra politiche diverse non solo risponde alla nuova impostazione delle politiche sociali suggerita dall’unione europea e alla necessità di superare una concezione meramente riparatoria delle politiche sociali, ma diventa fondamentale se si vuole far fronte alle trasformazioni precedentemente individuate e che impongono di ampliare lo spettro degli interventi. Di particolare rilievo risulta non solo la tradizionale integrazione tra 16 politiche sociali e sanitarie, ma anche e oggi soprattutto quella tra politiche sociali e del lavoro, in particolare nella lotta alla povertà e per la conciliazione tra lavoro per il mercato e lavoro di cura, tra politiche per la famiglia e per la casa, con riferimento soprattutto alle giovani coppie, tra politiche sociali e politiche di sostegno al non profit e alle forme di imprenditorialità sociale. Il principio di responsabilizzazione si riferisce invece all’esigenza di rilanciare un disegno di rinnovamento delle politiche di welfare non incentrato soltanto sul ruolo esclusivo dell’ente pubblico, ma capace di dare respiro a tutte le energie e le risorse a livello di comunità. Queste devono contribuire allo sviluppo e al sostentamento dei programmi di intervento sociale non per giustificare il venir meno dell’impegno pubblico a garantire i diritti di tutela per tutti, ma per perseguire la massima espansione degli interventi, in una situazione di inevitabile insufficienza delle risorse pubbliche. Quindi, secondo una logica ormai largamente praticata ma non ancora del tutto chiaramente razionalizzata, per la quale l’ente pubblico, e nel nostro caso in particolare la Provincia, non solo non rifiuta ma anzi incentiva e promuove uno sforzo di responsabilizzazione collettivo nei confronti del bene comune. In coerenza con questi e con i principi contenuti nelle linee di indirizzo politico della legislatura, nonché nel Piano di Sviluppo provinciale e nei documenti di pianificazione sociale provinciale, le priorità del disegno di modernizzazione delle politiche socio assistenziali provinciali saranno quelle indicate di seguito. Ad esse si ispirerà il disegno di legge che sarà presentato nei prossimi mesi. 1) Individuare e quindi sviluppare un modello di welfare territoriale coerente con le indicazioni della politica europea e nazionale e al contempo capace di dare valore e significato ai punti di forza del sistema trentino. 17 Il dibattito sulle politiche sociali e sulla necessità di una loro riforma è attualmente al centro degli interessi della maggior parte dei governi. Sul piano teorico si discute molto sulla superiorità di un modello di welfare rispetto all’altro, contrapponendo, da una parte, i modelli di stampo nordeuropeo a quelli dell’Europa continentale e meridionale e, dall’altra, i modelli a forte presenza pubblica a quelli con attori e sistemi di finanziamento anche di tipo privato. Questo dibattito rischia tuttavia di far dimenticare il fatto che l’Europa si fonda più su una varietà di sistemi di welfare regionali che su sistemi nazionali. Ciascuno di questi sistemi di welfare regionali si caratterizza per finalità, culture, tradizioni e fonti di risorse spesso molto diverse e che rappresentano il vero valore aggiunto in un disegno di politica sociale che voglia massimizzare gli elementi distintivi territoriali. Anche il Trentino ha nel corso degli anni delineato il proprio specifico modello di welfare di cui, nel disegno di riforma, andranno chiaramente individuate e salvaguardate le peculiarità: non per farne fattori di chiusura o elementi che limitano l’innovazione, ma per sfruttare il contributo che essi possono fornire in termini di legittimazione e sostegno allo sviluppo del sistema di welfare locale. In particolare si dovrà porre specifica attenzione a mantenere e rafforzare il senso di solidarietà che caratterizza la comunità provinciale e che si esprime sia nel diffuso favore verso la spesa sociale che nella partecipazione diretta, anche a titolo volontario, alla costruzione del sistema dei servizi sociali. 2) Riportare la persona al centro delle politiche sociali e favorire una politica di sostegno e responsabilizzazione della famiglia e della comunità. 18 Fino a questo momento, lo sviluppo dei sistemi di welfare è stato garantito attraverso il continuo aumento dei servizi istituzionali pubblici o privati a prevalente finanziamento pubblico e della regolazione burocratico- amministrativa del sistema degli interventi. Senza rinunciare alla funzione cruciale di tutela svolta dall’azione pubblica nei confronti di tutti i cittadini e in particolare di quelli in condizioni di maggior bisogno, è tuttavia necessario superare la convinzione che le politiche di welfare debbano essere tutte e solo pubbliche. L’evoluzione e la difficoltà a cui si sono trovate a far fronte le politiche pubbliche di welfare negli ultimi vent’anni hanno dimostrato che il benessere e la tutela delle persone in difficoltà non possono essere perseguiti senza il contributo attivo dei cittadini e delle loro formazioni sociali. In altri termini è oggi possibile affermare che i bisogni degli individui non possono essere mai interamente soddisfatti dal solo sistema dei servizi istituzionali se esso non riesce a compenetrarsi con le relazioni sociali elementari, con le identità e le particolarità delle singole persone e dei territori in cui esse abitano e vivono. Questo impone di definire nuove modalità di funzionamento e di organizzazione dei servizi e, più in generale, delle politiche pubbliche, che devono essere pensati e strutturati in modo da risultare sinergici e complementari all’insieme di relazioni familiari, di vicinato e comunitarie che concorrono a definire di volta in volta l’ambiente e il progetto di vita delle persone. La prima, importante conseguenza di questo modo di concepire le politiche sociali è quella di ritenere prioritario l’impegno a considerare la famiglia, nel suo formarsi e nelle sue diverse articolazioni, nelle sue potenzialità e nelle sue esigenze, nella sua capacità di costruire reti di solidarietà come soggetto che concorre al benessere e alla tutela dei singoli più deboli e di garantire loro supporti adeguati. Il supporto alla famiglia deve concretizzarsi non solo in trasferimenti economici, ma anche, e in molti casi soprattutto, in servizi di sostegno e respiro. Allo stesso modo vanno altresì 19 sostenute le forme di associazionismo sociale, anche quelle più spontanee e meno formalizzate, che concorrono a promuovere l’auto-aiuto, a preservare i tessuti sociali e la coesione tra i cittadini, e a rinforzare il senso di appartenenza alla propria comunità. 3) Favorire lo sviluppo di politiche sociali attive in grado non solo di intercettare i problemi manifesti, ma anche di agire sulle condizioni che generano tali criticità. Come rilevato nelle più recenti indagini sulla situazione economico-sociale del Trentino, molti dei problemi attuali e futuri del welfare sono la conseguenza di modificazioni sostanziali dei comportamenti generazionali e familiari, come ad esempio la riduzione della natalità, l’aumento del numero di nuclei familiari unipersonali o monoparentali tendenzialmente più esposti di quelli tradizionali al rischio di povertà ed emarginazione, l’aumento dell’età media di uscita dei figli dalla famiglia di origine per costruire un proprio personale progetto familiare, il diffondersi di situazioni di solitudine e di comportamenti a rischio. Fino a questo momento le politiche sociali provinciali non si sono occupate di queste problematiche se non in modo marginale e quando esse hanno generato situazioni di disagio conclamato. Obiettivo del nuovo sistema di politiche sociali deve essere anche quello di porre in essere misure in grado di anticipare l’emergere dei problemi sociali, intervenendo sulle cause strutturali che favoriscono l’emergere di questi squilibri sul fronte socio-demografico, potenziando i servizi di prevenzione del disagio, soprattutto giovanile e aumentando la possibilità di scelta – lavorativa, occupazionale, familiare e riproduttiva - per le persone nelle diverse fasi del corso della vita. Ne consegue la necessità di ridurre la 20 separatezza tra le diverse politiche che concorrono al benessere delle persone e di strutturare i relativi interventi all’interno di una logica unitaria. 4) Sviluppare l’integrazione tra le politiche e i singoli programmi di intervento. La necessità di aumentare i livelli di integrazione delle diverse politiche pubbliche che concorrono al benessere dei cittadini, sottolineata al punto precedente e da qualche anno fortemente sostenuta anche dall’Unione europea, richiede che venga promossa la compenetrazione e il confronto tra gli obiettivi e gli interventi delle politiche del lavoro, della casa, della formazione e della salute. Da questo punto di vista le politiche sociali della Provincia di Trento risultano ad oggi ancora assai poco integrate tra loro e con le altre politiche pubbliche, anche perché regolamentate da una legislazione di carattere settoriale elaborata in periodi diversi. La loro integrazione, anche attraverso una revisione coerente della legislazione e, dove possibile, attraverso l’unificazione in una sola legge di materie simili, è condizione necessaria per innalzare il livello di efficacia ed efficienza dei programmi di intervento. Si deve soprattutto favorire sia lo sviluppo di una rete coordinata di servizi, che una maggiore integrazione degli obiettivi settoriali, realizzando tutte le possibili sinergie tra settori, anche attraverso un uso sistematico di strumenti come gli accordi di programma o i protocolli di intesa. L’interazione tra politiche pubbliche risulta in questo momento e per i prossimi anni di particolare importanza per far fronte a quello che sembra sul punto di diventare uno dei principali problemi sociali, a livello sia nazionale che provinciale: l’aumento del numero di famiglie in condizioni di povertà o in difficoltà economiche. In una economia di piena occupazione e con un tasso 21 di attività ancora basso questo problema va affrontato in primo luogo non solo attraverso interventi tipicamente di welfare o passivi, come il sostegno del reddito (dal reddito minimo di inserimento ai sussidi di disoccupazione per chi ha perso il posto di lavoro), ma attraverso politiche attive del lavoro finalizzate a promuovere la partecipazione al mercato del lavoro. Ma poiché le persone potenzialmente interessate a queste politiche attive sono in gran parte donne adulte, sposate o singole, generalmente con figli, il loro inserimento nel mercato del lavoro è possibile solo se viene garantita una adeguata offerta di servizi per l’infanzia, se viene estesa la possibilità di fruire del part-time, del tele-lavoro e dell’orario flessibile, se viene attivata un strategia di formazione degli adulti adeguata a colmare il gap di conoscenze e abilità che caratterizza questa offerta potenziale di lavoro. E’ evidente quindi come la lotta alla povertà e al bisogno richieda una forte integrazione, cioè un’azione mirata rispetto ad obiettivi comuni, tra politiche del lavoro, della casa, scolastiche, dei servizi sociali e della formazione. Alle politiche sociali intese nel senso tradizionale spetta invece il compito di far fronte alle sole situazioni in cui le altre politiche per qualche ragione non risultano efficaci. 5) Assicurare un livello minimo di garanzie per tutti i cittadini che si trovano in condizioni di esclusione sociale, superando la logica della classificazione e della frammentazione degli interventi. Il sostegno alla comunità e le politiche promozionali non devono comunque ridurre l’impegno a finanziare un livello minimo di prestazioni per tutti i cittadini che si trovano al di sotto di una soglia minima di condizioni di vita, in particolare per quelli che per ragioni diverse non sono in grado di partecipare al mercato del lavoro. Si deve sviluppare a questo riguardo un programma di reddito di cittadinanza unico che consideri tra i criteri di assegnazione, oltre al 22 reddito e all’eventuale patrimonio, anche tutti gli interventi assistenziali realizzati dalla provincia nei confronti del singolo e/o della famiglia. Questa scelta dovrà rappresentare l’occasione per rivedere complessivamente la pluralità delle misure a sostegno del reddito oggi in essere, consentendo di realizzare un sistema maggiormente equo e una razionalizzazione progressiva della spesa pubblica. Va tuttavia sottolineato con forza che l’impegno a garantire a tutti i cittadini condizioni dignitose non deve favorire l’affermazione di una cultura assistenzialistica. L’assistenza, sia sotto forma di trasferimenti che di servizi, deve essere erogata in tutti i casi in cui sussistano necessità e condizioni tali da renderla effettivamente l’unico strumento utilizzabile per tutelare le persone. In ogni altro caso e con diverse forme di gradazione, i programmi assistenziali devono essere integrati da interventi di inserimento lavorativo finalizzati a perseguire l’emancipazione degli individui e la loro autonomia. 6) Favorire la responsabilizzazione e il decentramento delle responsabilità in materia di politica sociale. Attualmente l’organizzazione delle politiche sociali provinciali prevede che l’ente centrale effettui trasferimenti di risorse sulla base di deleghe e non di responsabilità effettive, verso i comprensori ed i comuni di Trento e Rovereto. Questo modello, che pure ha prodotto risultati positivi in termini di erogazione dei servizi, rischia di non coinvolgere sufficientemente gli enti territoriali e le comunità locali per quanto riguarda la scelta dell’utilizzo delle risorse e la valutazione del loro uso. Per recuperare un maggiore equilibrio tra centro e periferia è necessario procedere al progressivo trasferimento di competenze e responsabilità agli enti locali in modo che vi sia una maggiore incentivazione ad un oculato e 23 adeguato uso delle risorse all’interno di un sistema di vincoli e opportunità che segna i confini dei programmi di intervento lasciando agli enti decentrati il potere di allocare le risorse in funzione degli specifici bisogni territoriali. Resta inteso che detto processo di trasferimento di competenze e responsabilità di spesa, da attuarsi nei solchi della riforma istituzionale, deve trovare degli equilibri complessi mantenendo al centro le risorse necessarie a riequilibrare eventuali disparità territoriali e assicurare servizi minimi a tutti i cittadini. Il processo di trasferimento di competenze e responsabilità dall’ente provinciale agli enti periferici per essere efficace e efficiente dovrà essere inoltre supportato e accompagnato da un progressivo investimento sul piano delle competenze, della strumentazione e della professionalità a disposizione degli enti territoriali. La Provincia dovrà sviluppare a tale scopo una funzione di sostegno e consulenza mirata per porre in condizione gli enti territoriali di esercitare progressivamente in modo autonomo e adeguato le proprie funzioni. Con il decentramento delle responsabilità decisionali e gestionali ci si propone quindi di avviare un processo di riqualificazione sostanziale delle funzioni esercitate dall’ente provinciale in una prospettiva moderna di amministrazione pubblica che non dirige meccanicamente ma dialoga e coordina in modo consapevole e proficuo il sistema locale degli interventi. 7) Aumentare l’efficienza e l’efficacia degli interventi promuovendo un ruolo dell’ente centrale maggiormente orientato alla programmazione, al coordinamento e alla valutazione. Attualmente l’ente provinciale, proprio perché impegnato soprattutto nella gestione delle politiche sociali e nell’affidamento dei servizi, esercita un 24 controllo quasi esclusivamente di tipo burocratico sulle attività svolte e si occupa solo marginalmente della valutazione di efficacia e di efficienza. Per modernizzare il sistema, è indispensabile realizzare una politica di programmazione, monitoraggio e verifica delle politiche sociali, ridefinendo il ruolo dell’ente provincia da decisore unico a soggetto che pone in essere, coordina e valuta le condizioni per la migliore attuazione dei programmi di intervento. A questo scopo è da sviluppare e realizzare un’attività di programmazione, coordinamento e valutazione più strutturata di quella attuale. Tali attività dovranno essere improntate al confronto e all’interazione con gli enti territoriali, i quali a loro volta saranno chiamati a svolgere in modo progressivo funzioni di programmazione, coordinamento e valutazione a livello locale. Va inoltre realizzato un più adeguato sistema informativo al fine di dotare lo strumento della programmazione di informazioni certe comparabili nel tempo e di un riferimento costante ai costi dei singoli programmi. 8) Favorire lo sviluppo di un welfare plurale Nella realizzazione dei servizi pubblici in generale, e in particolare dei servizi sociali, la Provincia di Trento ha tradizionalmente seguito il principio di sussidiarietà orizzontale preferendo sostenere e finanziare le iniziative private, in particolare di privato-sociale, invece di dar vita a servizi pubblici. Nel tempo si è così venuta consolidando una rete di organizzazioni private impegnate nel sociale che hanno visto crescere progressivamente le proprie dimensioni economiche e finanziarie. Il modo in cui questa forme di delega sono state realizzate e le modalità contrattuali utilizzate hanno tuttavia contribuito a dar vita a forme di quasi-monopolio dell’offerta in alcuni settori, inibendo l’innovazione, precludendo di fatto l’accesso ai finanziamenti pubblici da parte 25 di nuove organizzazioni e, data l’assenza di competizione, senza adeguate garanzie di efficienza. Nel frattempo, il contesto normativo si è modificato: le linee di indirizzo nazionali e internazionali e i vincoli sempre più stringenti stabiliti dalla normativa europea richiedono di introdurre anche nel settore dei servizi sociali garanzie di parità di accesso e forme di confronto concorrenziale tra i diversi produttori. Non è quindi più possibile continuare a favorire nei processi di esternalizzazione né una singola organizzazione, né una specifica forma giuridica. Vanno invece tenuti in maggior conto la qualità e i costi degli interventi. Vanno quindi individuate modalità di selezione in grado di far sì che i servizi vengano assegnati alle organizzazioni che offrono le maggiori garanzie di rappresentatività degli interessi della comunità, che dispongono di basi associative, di sistemi di governance e rendicontazione sociale in grado di massimizzare il lavoro di rete e l’interazione con gli attori del territorio, che sanno attrarre risorse volontarie, e che favoriscono e promuovono, ove possibile, l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Sarà quindi necessario rivedere tutti gli affidamenti in essere e rinegoziarli sulla base delle nuove modalità che verranno definite. 9) Introdurre meccanismi di promozione della qualità e di garanzia del cittadino. Per realizzare un sistema servizi sociali pluralistico e quindi aperto, anche nelle procedure di assegnazione dei servizi a finanziamento pubblico, al contributo che le nuove organizzazioni possono dare, senza abbassare il livello di qualità dei servizi ma, anzi, proponendosi di aumentarlo, è necessario definire un modello di qualità che valorizzi la prospettiva della presa in carico della persona e del lavoro di rete con la comunità. In particolare il modello di qualità a cui le politiche provinciali devono tendere, si 26 qualificherà per la sua capacità di promuovere l’offerta di servizi alla persona piuttosto che prestazioni parcellizzate, erogate in una logica di mero risparmio economico. Per questa ragione alle organizzazioni che si candidano alla produzione di servizi sociali sarà chiesto di proporre progetti costruiti in autonomia e in grado di esprimere la filosofia organizzativa e la carica ideale che le caratterizza. Sarà così possibile promuovere una competizione virtuosa tra organizzazioni che si prefiggono di offrire servizi sociali e di superare rendite di posizione ormai non più giustificabili. Va di conseguenza modificato in modo sostanziale il sistema di affidamento ed esternalizzazione dei servizi attualmente in vigore. Esso è infatti caratterizzato da eccessive rigidità nelle prassi utilizzate, come dimostra il mancato utilizzo di processi di affidamento e di forme contrattuali innovative come l’appalto concorso o la concessione. Inoltre le stesse leggi sono applicate talvolta in modo improprio (ad esempio la legge provinciale n. 35 del 1983, destinata a favorire l’innovazione, è stata trasformata nel corso degli anni in norma di finanziamento di interventi a regime). La pluralità degli obiettivi e delle tipologie dei servizi affidati alla gestione privata inducono a rinnovare questo sistema introducendo una maggiore flessibilità d’uso dei diversi strumenti di affidamento e richiedendo al contempo maggiore chiarezza e rigore nel valutarne l’appropriatezza. 10) Favorire un ruolo attivo del cittadino e della comunità nella programmazione e nella valutazione dei servizi e aumentare il grado di trasparenza, responsabilità e rendicontazione sociale del sistema degli interventi. 27 Il rapporto tra le istituzioni e i cittadini in materia di politica sociale è stato storicamente mediato dalla presenza di una rete di soggetti intermediari fortemente rappresentativi dei bisogni sociali. Allo stato attuale tuttavia i processi di differenziazione e frammentazione dei bisogni rendono tali forme di rappresentanza più deboli e richiedono di attribuire maggiore potere ai cittadini nella programmazione, nel monitoraggio e nella valutazione dei servizi. A questo riguardo, è necessario promuovere strumenti tesi a favorire un migliore dialogo e un’interfaccia tra servizi e cittadini, evitando che siano le sole ragioni dei professionisti a determinare le scelte dei servizi e conferendo agli utenti e ai loro rappresentanti la concreta possibilità di esprimere la propria opinione in merito alle decisioni a cui essi sono direttamente interessati. Si deve aggiungere a questo il fatto che fino ad oggi il sistema di rendicontazione sociale dei programmi di politica sociale è stato scarsamente sviluppato. Le risorse impiegate, le finalità, i programmi e gli esiti sono rimasti pertanto argomenti riservati agli addetti ai lavori. L’impegno a sostenere le politiche sociali, l’interesse dei più deboli e di quanti si trovano in condizioni di bisogno rappresenta tuttavia una questione di pubblico interesse, rispetto alla quale tutti sono chiamati ad esprimere giudizi e valutazioni consapevoli e ad essere responsabilizzati in prima persona. In questa prospettiva andranno sviluppati processi e strumenti finalizzati ad aumentare la trasparenza delle scelte e la rendicontazione sociale dei programmi realizzati da parte sia pubblica che privata. La costruzione del nuovo welfare secondo i principi della responsabilità sociale mira a coinvolgere tutti i portatori di interesse rendendo la comunità sociale protagonista e artefice dello sviluppo e della crescita del proprio sistema. Obiettivo primario in questo settore è la concertazione, secondo le metodiche della responsabilità sociale, degli obiettivi, con l’effetto di ridurre 28 gli squilibri e le sperequazioni poiché si aumenta il consenso sociale, e si facilita l’introduzione di processi innovativi e la promozione di filiere etiche. 11) Introdurre meccanismi di sostegno alla spesa sociale in grado di assicurare lo sviluppo progressivo del sistema degli interventi e l’equità sociale. La pressione della spesa sociale diventerà nel giro di pochi anni difficilmente sostenibile a seguito dei processi di mutamento socio-demografico della popolazione. Sul fronte opposto il costo dei servizi non è destinato a ridursi bensì ad aumentare come effetto dell’aumento del costo del lavoro in assenza di significativi incrementi di produttività. In questo scenario è necessario superare la prospettiva di intervento universalistico della spesa sociale introducendo meccanismi selettivi tesi a favorire la compartecipazione alla spesa in base al reddito. E’ in particolare necessario attivare in modo sinergico con gli obiettivi delle politiche sociali il fondo obbligatorio per la non autosufficienza che sarà chiamato a finanziare nei prossimi anni un settore di spesa che rischia, se non governato, di generare difficoltà difficilmente sormontabili per il finanziamento dei programmi di intervento. Gli interventi di sostegno alla spesa vanno realizzati in una prospettiva graduale e differenziata, al fine di rendere il disegno politicamente perseguibile e di favorire la reale e convinta corresponsabilizzazione dei cittadini e della comunità. Andrà inoltre promosso un maggior contributo della società civile al sostegno della spesa per i servizi sociali. Gli enti privati che collaborano con l’amministrazione pubblica per la produzione di servizi sociali risultano oggi in gran parte fortemente dipendenti dal finanziamento pubblico fino a essere in 29 alcuni casi palesi forme di vera e propria para-amministrazione, sia in termini di modalità di funzionamento organizzativo che di rigidità di costo e organizzazione. Parte della normativa vigente non favorisce, anzi espressamente ostacola la ricerca di forme di finanziamento integrative o aggiuntive rispetto a quelle previste dalla pubblica amministrazione, limitando in questo modo la capacità imprenditoriale di tali organizzazioni e ostacolando il rapporto che le stesse possono intrattenere con i vari attori della comunità che potrebbero essere resi compartecipi della loro gestione: donatori, enti finanziatori, volontari. E’ indispensabile restituire agli enti privati la possibilità di integrare in modo virtuoso finanziamento pubblico e comunitario, anche perché questo mix costituisce una reale garanzia di maggiore rispondenza ai bisogni e alle sollecitazioni provenienti dalla società civile che rischiano di essere offuscate nel caso in cui l’unico committente dei servizi è l’amministrazione pubblica. 30 Linee guida di riforma del welfare provinciale La modernizzazione delle politiche sociali provinciali rappresenta un impegno politico e culturale verso un aggiornamento continuo e progressivo del ruolo della Provincia per la promozione e la tutela del benessere dei cittadini della provincia, sia vecchi che nuovi, in una prospettiva di dialogo tra generazioni, culture e territorio. Per porre in pratica un processo di modernizzazione del welfare il primo fondamentale passaggio è rappresentato dalla formulazione e approvazione di un nuovo disegno di legge sulle politiche sociali che riunifichi, semplificandola e rendendola più efficiente e efficace, l’attuale pluralità di norme esistenti. Tale disegno di legge conterrà e declinerà normativamente i principi precedentemente elencati ed è da intendersi come atto principale di attuazione della riforma delle politiche sociali provinciali. Parallelamente si dovrà lavorare per individuare degli strumenti e delle modalità che consentano il miglior raccordo possibile tra tutti gli interventi che concorrono a costituire il sistema di welfare o interagiscono con esso. Per quanto riguarda il nuovo disegno di legge si prevede: 1. accorpamento all’interno di un unico disegno delle materie attualmente trattate dalle leggi provinciali n. 35/1983, n. 15/1985, n. 14/1991, e per alcuni aspetti la L.P. n. 6/1998; 2. l’istituzione del fondo unico provinciale per le politiche sociali in cui confluiscono le attuali risorse destinate al finanziamento della gestione ordinaria dei servizi e le risorse aggiuntive delle ex leggi speciali (ad es. L. 285/1997). La distinzione del fondo in risorse 31 destinate alla spesa corrente e risorse destinate all’innovazione da far confluire in un fondo appositamente destinato fondo per l’innovazione sociale (composto da una quota pari ad almeno il 15% delle risorse); 3. il superamento del principio della delega e il compimento di quello del trasferimento di responsabilità dirette agli enti territoriali sulla base di quanto stabilito dalla riforma istituzionale provinciale ed in conformità con quanto già previsto dalla L.P. 14/91 e successivamente non attuato con l’attribuzione all’ente provinciale della responsabilità della programmazione sociale, del coordinamento e della valutazione per quanto riguarda i principi generali e la garanzia delle soglie minime di intervento; 4. l’attivazione di misure finalizzate a rendere possibile all’ente provinciale lo svolgimento dei suddetti compiti tra cui: - l’istituzione di un tavolo di programmazione provinciale composto da ente centrale ed enti gestori territoriali a cui affidare il compito di definire le linee guida della programmazione sociale annuale integrativa a quella standard già contenuta nei piani annuali o pluriennali; - l’istituzione di un sistema informativo sociale provinciale finalizzato a consentire l’esercizio di funzioni programmatorie e di valutazione da parte dell’ente centrale; - il trasferimento delle responsabilità della programmazione aggiuntiva rispetto a quella standard agli enti territoriali; - la subordinazione del trasferimento agli enti territoriali delle risorse destinate attraverso all’innovazione, lo strumento alla realizzazione del piano di iniziative territoriale definite integrato in 32 conformità con quanto stabilito dalla L. 328/00 e già realizzato nella gran parte delle regioni italiane; 5. l’istituzione di un programma di reddito minimo di inserimento provinciale da estendere quale sostituto degli attuali sistemi di sostegno al reddito per le persone in condizioni di deprivazione economica e computato sulla base di un calcolo sul reddito e sul patrimonio attraverso l’applicazione dell’ICEF attivando le misure per evitare l’uso assistenzialistico dello strumento; 6. la riorganizzazione del sistema dei servizi territoriali attraverso: - l’istituzione dei distretti sociali territoriali (da armonizzare se non da far coincidere con i distretti sanitari) in cui confluiscono le risorse e le funzioni attribuite attualmente ai servizi sociali degli enti territoriali; - l’attivazione dei servizi di segretariato e informazione sociale all’interno dei distretti sociali presso gli enti territoriali finalizzati a gestire attività di informazione e promozione della cittadinanza attiva; - l’attivazione delle équipe multidisciplinari per il funzionamento dei distretti sociali degli enti territoriali; - l’attivazione del profilo di coordinatore del distretto sociale da definire sulla base delle funzioni organizzative e gestionali svolte; 7. l’introduzione dell’obbligatorietà della stipula di protocolli per l’integrazione socio sanitaria per tutti i distretti sociali del territorio provinciale; 8. istituzione di un tavolo pubblico–privato per il welfare come luogo di confronto permanente sulle tematiche sociali, al quale siedano 33 rappresentanti delle istituzioni, delle realtà che concorrono alla realizzazione del sistema di welfare e delle organizzazioni sindacali e datoriali; 9. l’aggiornamento dei principi di coordinamento e indirizzo per l’affidamento dei servizi agli enti fornitori privati da realizzarsi attraverso: - l’istituzione di un nuovo albo degli enti privati produttori di servizi coerente con le linee della legislazione europea e nazionale in materia di concorrenza che sostituisca l’attuale albo previsto della L.P. n. 14/1991; - l’introduzione di un sistema di accreditamento degli enti fornitori finalizzato a garantire la qualità dei servizi indipendentemente dalla natura giuridica dell’ente fornitore attribuendo rilevanza : a. alla professionalità degli operatori; b. agli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro; c. alla capacità di interagire in modo collaborativo con le realtà del territorio e le risorse sociali della comunità; d. al rispetto dei trattamenti economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia di previdenza e assistenza; e. alla capacità di valorizzare in termini progettuali la presenza del volontariato all’interno dell’organizzazione ; f. all’impegno, ove possibile, di favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate; g. alla presenza di strumenti di trasparenza e partecipazione dei portatori di interesse; 34 - lo sviluppo di un nuovo sistema di contracting-out dei servizi adeguato all’evoluzione della più recente normativa europea e nazionale da realizzarsi attraverso: a. l’individuazione di criteri guida per l’affidamento dei servizi che siano in grado di premiare le caratteristiche di efficienza e efficacia dei servizi; b. l’introduzione dell’uso dell’appalto concorso per l’affidamento di servizi di particolare complessità sociale; c. l’attivazione di un piano di adeguamento delle vecchie convenzioni e affidamenti rispetto alle linee di indirizzo del nuovo sistema di contracting-out; d. la ridefinizione dei costi dei servizi sulla base del principio di omogeneità del costo; - l’attivazione di un sistema di monitoraggio e valutazione continuativa dei servizi erogati dagli enti produttori privati da realizzarsi attraverso: a) l’introduzione dello strumento della Carta dei servizi per tutti gli enti produttori di servizi finanziati dall’ente provinciale; b) l’attivazione di un sistema di rendicontazione finalizzato alla valutazione delle attività svolte; 10. l’indizione, ove possibile, di istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali, con i soggetti del terzo settore; 11. l’introduzione di un sistema armonizzato di compartecipazione alla spesa proporzionale al patrimonio e al reddito per tutti i servizi erogati dall’ente provinciale in via diretta o convenzionata; 35 12. l’armonizzazione del funzionamento del Fondo provinciale per la non autosufficienza da programmare in modo coerente con il piano di sviluppo dei servizi per le persone non autosufficienti. 36 Il processo di accompagnamento della riforma Il processo di applicazione di una riforma ha due aspetti: uno di tipo normativo che garantisce il riferimento legislativo e giuridico per l’avvio della riforma e l’altro organizzativo-professionale finalizzato a consentire di tradurre la riforma in pratica. La necessaria attenzione sul primo aspetto non deve distogliere l’interesse dalla progettazione e dal controllo del secondo poiché il vero punto debole di ogni processo riformatore è rappresentato dalle resistenze e dagli ostacoli che si frappongono alla norma nel momento in cui essa deve essere tradotta nella concreta prassi di gestione dei programmi di intervento. Per favorire una efficace e efficiente implementazione della riforma saranno poste in essere azioni finalizzate a: 1) promuovere informazione e comprensione circa le finalità della stessa tra i soggetti interessati alla sua implementazione allo scopo di disporre delle basi sociali minimali del consenso necessarie per attivare il cambiamento; 2) promuovere lo sviluppo delle conoscenze delle competenze e degli strumenti necessari per motivare e porre in condizione gli operatori di tradurre il processo di riforma in pratica; 3) attivare programmi di monitoraggio e valutazione degli esiti della riforma in modo da consentire un aggiornamento del suo processo di implementazione sulla base dei risultati conseguiti e delle difficoltà che eventualmente possono emergere nella sua traduzione in pratica. 37 La prima fase sarà caratterizzata dall’ascolto e dal confronto con istituzioni, formazioni politiche e soggetti sociali del territorio al fine di definire concretamente insieme le linee di implementazione della riforma di cui il presente documento definisce direzione e punti cardine. La necessità di questo processo, che dovrà essere finalizzato all’esplicitazione concreta degli obiettivi della riforma e alla chiarificazione della necessità dei cambiamenti proposti, si basa sulla convinzione che tanto maggiore è il consenso e la comprensione circa le linee di una riforma, tanto maggiori sono le possibilità di tradurla in pratica in modo efficiente ed efficace. La seconda fase riguarderà l’avvio di un processo di formazione, aggiornamento e qualificazione del personale interessato alla riforma, per evitare che il processo di innovazione delle politiche sociali incontri ostacoli tali da metterne in dubbio gli esiti. L’obiettivo è lo sviluppo e l’aggiornamento delle professionalità operanti all’interno dei servizi sia centrali che territoriali. L’innovazione del sistema delle politiche sociali provinciali richiede un aggiornamento non solo dell’impianto ma anche delle professionalità e delle conoscenze a disposizione dei funzionari provinciali e degli operatori dei servizi. Le innovazioni non possono riguardare solo il piano normativo e strategico: se vogliono essere efficaci devono essere sostenute infatti nella pratica quotidiana dal sapere e dalle motivazioni di chi operativamente è chiamato a tradurre le riforme in pratica. Per tale motivo, è indispensabile attuare uno sforzo di accompagnamento e aggiornamento in grado di supportare le direttrici del cambiamento attraverso il coinvolgimento attivo di funzionari e operatori, da attuarsi nell’ambito di un programma di formazione e aggiornamento in tutte le fasi di realizzazione della riforma: propedeutiche, di attuazione e di monitoraggio. Verrà avviato, a partire dalla primavera 2004 38 un programma di formazione e aggiornamento da realizzarsi in collaborazione con enti di ricerca e intervento e gli uffici competenti della Provincia, sotto il monitoraggio del comitato del Piano di Sviluppo Provinciale. La terza fase riguarda infine il monitoraggio e la valutazione della riforma al fine di correggerne gli errori e di migliorarne gli esiti. Oggi più che mai è necessario costruire e implementare politiche e programmi al contempo efficienti ed efficaci. In entrambi i casi i livelli di efficienza ed efficacia non possono essere dati per scontati ma vanno verificati sul campo in linea con quanto indicato da tutti i principali documenti di politica sociale a livello europeo e nazionale. Per compiere tale lavoro di monitoraggio e valutazione la provincia si avvarrà del contributo dell’Istituto Regionale di Studi e Ricerca Sociale (IRSRS) attraverso apposite convenzioni e dell’Università di Trento inserendosi nell’ambito dell’accordo quadro Provincia-Università. 39