...

Il testamento spirituale del cardinal Martini IL PENSIERO

by user

on
Category: Documents
34

views

Report

Comments

Transcript

Il testamento spirituale del cardinal Martini IL PENSIERO
IL PENSIERO COMPIUTO DEL CARD. MARTINI
TUTTI CONOSCONO IL PENSIERO DELL’EX
ARCIVESCOVO DI MILANO, MA IN QUESTI GIORNI
LA SUA POSIZIONE APPARE PIU SISTEMATICA E
COMPLETA.
Il testamento spirituale del cardinal Martini
Da vescovo ha spesso chiesto a Dio: «Perché non ci dai idee migliori? Perché non ci
rendi più forti nell'amore e più coraggiosi nell'affrontare i problemi attuali? Perché
abbiamo così pochi preti?». Oggi, entrato in uno stato d'animo crepuscolare, confida
di domandare a Dio di non essere lasciato solo. Nell'ultima stagione della sua vita
Carlo Maria Martini si confessa ad un confratello austriaco e ne nascono i "Colloqui
notturni a Gerusalemme", appena editi da Herder in Germania, che rappresentano il
suo testamento spirituale. Confessa di essere stato anche in conflitto con Dio, elogia
Martin Lutero, esorta la Chiesa al coraggio di riformarsi, a non allontanarsi dal
Concilio e a non temere di confrontarsi con i giovani. Un vescovo, rammenta, deve
saper anche osare, come quando lui andò in carcere a parlare con militanti delle
Brigate Rosse «e li ascoltai e pregai per loro e battezzai pure una coppia di gemelli
di genitori terroristi, nata durante un processo».
Con padre Georg Sporschill, gesuita anche lui, l'ex arcivescovo di Milano è di una
sincerità totale. Sì, ammette, «ho avuto delle difficoltà con Dio». Non riusciva a
capire perché avesse fatto patire suo Figlio in croce. «Persino da vescovo qualche
volta non potevo guardare un crocifisso perché l'interrogativo mi tormentava». E
neanche la morte riusciva ad accettare. Dio non avrebbe potuto risparmiarla agli
uomini dopo quella di Cristo?
Poi ha capito. «Senza la morte non potremmo darci totalmente a Dio. Ci terremmo
aperte delle uscite di sicurezza». E invece no.
Bisogna affidare la propria speranza a Dio e credergli. «Io spero di poter
pronunciare nella morte questo Si a Dio».
Però, se potesse parlare con Gesù, Carlo Maria Martini gli chiederebbe «se mi ama
nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se
mi accoglierà». I discorsi di Gerusalemme sono come un lungo simposio notturno,
senza bevande, alimentati soltanto dallo scorrere dei ragionamenti, rassicurati dalle
ombre calde di una sera che si prolunga fino all’alba.
C’è stato un tempo – racconta - in cui «ho sognato una Chiesa nella povertà e
nell'umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che
1
concede spazio alle gente che pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio,
specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane. Oggi non ho
più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa».
Eppure a ottantun anni il cardinale, grande biblista, non rinuncia a suggerire alla
Chiesa di avere coraggio e di osare riforme. È essenziale avere la capacità di andare
incontro al futuro. Il celibato, spiega, deve essere una vera vocazione. Forse non tutti
hanno il carisma. Affidare ad un parroco sempre più parrocchie o importare preti
dall'estero non è una soluzione. «La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea. La
possibilità di ordinare viri probati (cioè uomini sposati di provata fede, ndr) va
discussa». Persino il sacerdozio femminile non lo spaventa.
Ricorda che il Nuovo Testamento conosce le diaconesse. Ammette che il mondo
ortodosso è contrario. Ma racconta anche di un suo incontro con il primate anglicano
Carey, al tempo in cui la Chiesa anglicana era in tensione per le prime ordinazioni di
donne-sacerdote (avversate dal Vaticano). «Gli dissi per fargli coraggio che questa
audacia poteva aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come
andare avanti».
Sul sesso il cardinale invita ì giovani a non sprecare rapporti ed emozioni,
imparando a conservare il meglio per l'unione matrimoniale, ma non ha difficoltà a
rompere tabù, cristallizzatisi con Paolo VI, Wojtyla e Ratzinger. «Purtroppo
l'enciclica Humanae Vitae ha provocato anche sviluppi negativi. Paolo VI sottrasse
consapevolmente il tema ai padri conciliari». Volle assumersi personalmente la
responsabilità di decidere sugli anticoncezionali. «Questa solitudine decisionale a
lungo termine non è stata una premessa positiva per trattare i temi della sessualità e
della famiglia». A quarant'anni dall'enciclica, dice Martini, si potrebbe dare un
«nuovo sguardo» alla materia. Perché la Bibbia, ricorda, è molto sobria nelle
questioni sessuali. Assai netta è soltanto nel condannare chi irrompe, distruggendo,
in un matrimonio altrui. Chi dirige la Chiesa, sottolinea, oggi può «indicare una via
migliore dell’Humanae Vitae». Il Papa potrebbe scrivere una nuova enciclica. E
l'omosessualità? Il porporato ricorda le dure parole della Bibbia, ma rammenta anche
le pratiche sessuali degradanti dell'antichità. Poi aggiunge delicatamente: «Tra i miei
conoscenti ci sono coppie omosessuali, uomini molto stimati e sociali. Non mi è
stato mai domandato né mi sarebbe venuta in mente di condannarli». Troppe volte,
soggiunge, la Chiesa si è mostrata insensibile, specie verso i giovani in questa
condizione.
C'è un filo rosso che lega i suoi ragionamenti nella quiete di Gerusalemme. I
credenti non hanno bisogno di chi instilli loro una cattiva coscienza, hanno bisogno
di essere aiutati ad avere una «coscienza sensibile». E vanno stimolati
continuamente a pensare, a riflettere. «Dio non è cattolico», era solita esclamare
Madre Teresa. «Non puoi rendere cattolico Dio», scandisce Martini. Certamente gli
uomini hanno bisogno di regole e confini, ma Dio è al di là delle frontiere che
vengono erette. «Ci servono nella vita, ma non dobbiamo confonderle con Dio, il cui
cuore è sempre più largo». Dio non si lascia addomesticare. Se questa è la
prospettiva ci si può rivolgere con spirito più aperto al non credente o al seguace di
un'altra religione. Con chi non crede ci si può confrontare sui fondamenti etici, che
lo animano. Ed è bello camminare insieme a chi ha una fede diversa.
«Lasciati invitare ad una preghiera con lui - suggerisce con mitezza Martini - portalo
una volta ad un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al
contrario il tuo essere cristiano. Non avere paura dell'estraneo».
2
Per il cardinale la grande sfida geopolitica contemporanea è lo scontro delle civiltà.
Conoscono davvero i cristiani il pensiero e i pensieri dei musulmani - si chiede
Martini - e come fare per capirsi? Tre sono le indicazioni. Abbattere i pregiudizi e
l'immagine del nemico, perché i terroristi non possono davvero fondarsi sul Corano.
Studiare le differenze. Infine avvicinarsi nella pratica della giustizia, perché l'Islam
in ultima istanza è una religione figlia del cristianesimo così come il cristianesimo è
figliato dal giudaismo.
La regola aurea del cristiano - Martini lo ribadisce in questo suo scritto che
assomiglia tanto ad un testamento spirituale - è «Ama il tuo prossimo come te
stesso». Anzi, spiega con la precisione dello studioso della Bibbia, Gesù dice di più:
«Ama il tuo prossimo perché è come te». Da lì sorge l'imperativo a praticare
giustizia. E’ terribile, insiste Martini, invocare magari Dio nella costituzione
europea, e poi non essere coerenti nella giustizia. E qui il cardinale di Santa Romana
Chiesa tira fuori il Corano e legge la splendida sura seconda. Non si è giusti, se ci si
inchina per pregare a oriente o a occidente. Giusto è colui che crede in Allah e
nell'Ultimo Giudizio. Giusto è colui che «pieno di amore dona i suoi averi ai parenti,
agli orfani, ai poveri e ai pellegrini». Chi fa l'elemosina e riscatta gli incarcerati.
«Costui è giusto e veramente timorato di Dio».
Poi torna a riflettere sull'Aldilà. C'è l'Inferno? Sì. «Eppure ho la speranza che Dio
alla fine salvi tutti». E se esistono persone come un Hitler o un assassino che abusa
di bambini, allora forse l'immagine del Purgatorio è un segno per dire: «Anche se tu
hai prodotto tanto inferno (sulla terra) forse dopo la morte esiste ancora un luogo
dove puoi essere guarito».
Non finirebbero mai i discorsi notturni di Gerusalemme. Lo si capisce
dall'andamento quieto delle domande e delle risposte. Come onde che si susseguono.
Martini nel frattempo è rientrato in Lombardia, fiaccato dal Parkinson. A chi lo
ascolta, lascia questo segnale: «Possiamo anche lottare con Dio come Giacobbe,
dubitare e dibatterci come Giobbe, rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e
Maria. Anche questi sono sentieri che portano a Dio».
Marco Politi
(fonte: internet La Repubblica 19-05-08)
3
PROFONDITA’ DI CARLO MARIA MARTINI,
BANALE SUPERFICIALITA’ RATZINGHERIANA
di Francesco Pullia
A chi ha avuto modo di leggere ieri nel quotidiano “La Repubblica” il bellissimo
articolo dedicato da Marco Politi all’ultimo libro del cardinale Carlo Maria Martini,
pubblicato in Germania dalla casa editrice Herder con il titolo Colloqui notturni a
Gerusalemme, sicuramente sarà venuta in mente un’affermazione contenuta in
Chiesa padrona di Roberto Beretta (Piemme, 2006) e riportata da Curzio Maltese ne
La questua (Feltrinelli, 2008): “i soli che in Italia si permettono di parlare
schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che
non hanno più niente da perdere…”
Parole sante. E’ proprio il caso di dirlo…
L’articolo di Politi, Il testamento del cardinale, ne è la riprova. Le citazioni tratte dal
libro, purtroppo non ancora tradotto in italiano, scaturito da un lungo e intensissimo
colloquio tra l’ex arcivescovo di Milano, trasferitosi da qualche anno a
Gerusalemme, e il gesuita Georg Sporschill, oltre a rivelare una neppure poi tanto
velata polemica nei confronti della spinta conservatrice, tradizionalista,
anticonciliare impressa alla Chiesa dal pontificato di Joseph Ratzinger, denotano una
raffinatezza e una profondità difficilmente riscontrabili nel desolante attuale scenario
ecclesiastico. Indice che, nonostante l’età avanzata, il card. Martini possiede ancora
una freschezza e un’intelligenza introvabili in tanti giovani presuli.
Rammarica constatare che ad esprimersi con tanta lucidità e sincerità sia, appunto,
un uomo giunto ormai, ci sia consentito, “al capolinea” e che davvero “non ha più
niente da perdere” mentre all’interno della Chiesa è vigente un rassegnato, deleterio,
silenzio.
Si potrà obiettare che Benedetto XVI è un “fine” teologo e che le nostre critiche
sono immotivate. Da parte nostra consigliamo di leggere con la dovuta attenzione
ciò che è potuto uscire dalla penna di questo papa per darne un giudizio serio,
misurato, spassionato.
Si potrà, allora, riscontrare, di certo, erudizione ma apparirà altresì evidente
l’assenza pressoché totale di originalità e, soprattutto, di quell’amore che innerva e
rende vibrante qualsiasi afflato religioso.
La differenza strutturale e radicale tra Ratzinger e Martini sta tutta qui: da un lato
l’adagiarsi opportunisticamente e comodamente come “nani sulle spalle dei giganti”,
tanto per citare un celebre detto di Bernardo di Chartres, per volgersi, però, indietro,
ignorando e tacitando volutamente quella che potremmo chiamare l’ansia del tempo
(la Chiesa militante, quindi); dall’altro lo sforzo di spingere lo sguardo più in là, di
prefigurare l’avvenire assumendosi l’onere di una parola che sia veramente
profetica, e che pertanto dica, detti, e non soltanto semplicemente ripeta (la Chiesa
militante).
4
Giunto in prossimità della fine dei suoi giorni, Martini sembra animato
dall’intenzione di lasciarci in eredità, di comunicare (non tanto e non solo di
trasmettere) l’inquietudine del e per il verbo, un fermento che si fa strada e scuote
dal di dentro esortandoci ad osare l’intentato.
Ratzinger ama, invece, attardarsi nel reiterato, in una luce riflessa e sfocata da
innumerevoli filtri. E’ un abile, accorto, ripetitore (si consideri quanto faccia in
continuazione ricorso allo stereotipo di Giovanni Paolo II) che utilizza il presente
come pretesto per imporre un ritorno al passato.
Ma torniamo al libro del card. Martini. Le sue parole vibrano perché sono
testimonianza (non ombra) di vissuto, a partire dall’ammissione di avere “avuto
difficoltà con Dio”, trovando difficile capire perché avesse fatto patire il Figlio sulla
croce.
E ancora. C’è stato un tempo – confessa il religioso – in cui “ho sognato una Chiesa
nella povertà e nell’umiltà”, non dipendente dalle potenze di questo mondo, in altri
termini, diremmo noi, non simoniaca.
Più avanti, parla della capacità di andare incontro al futuro, del celibato come scelta
vocazionale e non come imposizione, del sacerdozio femminile e dell’importanza
della donna, sempre misconosciuta, travisata, vilipesa dal maschilismo imperante
nella teologia cattolica, dell’inadeguatezza e negatività dell’Humanae Vitae,
enciclica ostile agli anticoncezionali, dell’omofobia ecclesiastica, dell’esigenza di un
reale dialogo interreligioso senza alcuna posizione di assolutismo e presunta
superiorità (“Non puoi rendere cattolico Dio” perché Dio è al di là degli steccati
eretti dagli uomini) del confronto come opportunità di crescita e maturazione
(“Lasciati invitare ad una preghiera con chi ha una fede diversa, portalo una volta ad
un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo
essere cristiano. Non avere paura dell’estraneo”).
Gesù, afferma Martini, non dice solo “ama il tuo prossimo come te stesso” ma di
più: “Ama il tuo prossimo che è come te”. E aggiunge che è terribile incaponirsi
nell’invocare magari Dio nella costituzione europea e, poi, non essere coerenti nella
giustizia. Significativa la citazione di un detto coranico: non si è giusti solo perché ci
si inchina per pregare a oriente o a occidente.
Giusto, sottolinea Martini, è colui che “pieno di amore dona i suoi averi ai parenti,
agli orfani, ai poveri e ai pellegrini”, chi riscatta gli incarcerati. Già.
Peccato che questa voce sia confinata alla lontananza.
La sua eco, purtroppo, non oltrepassa le spesse mura vaticane.
-------------Da Notizie radicali, 19 maggio
5
VANITA’, INVIDIA E CALUNNIE, VIZI CAPITALI
ANCHE NELLA CHIESA
Un severo ammonimento ai preti dal Cardinal Martini
MILANO - Una durissima lezione per gli uomini di Chiesa, peccatori come tutti gli
altri uomini. E un severo ammonimento ai preti: "Non conformatevi alla mentalità di
questo secolo. Occorre un vero rinnovamento della mente". Malato e sofferente per
il Parkinson, pensava di non farcela, il cardinale Carlo Maria Martini, a predicare gli
esercizi spirituali. E invece, appena tornato da Gerusalemme, è arrivato fino a
Galloro, vicino ad Ariccia, alla casa dei gesuiti, dove si recano i sacerdoti a
meditare. E con loro, interrompendo le omelie di tanto in tanto per sottoporsi ai
controlli clinici, è stato molto chiaro, commentando i brani della lettera di San Paolo
ai Romani, dove si parla del peccato: "Tutti questi peccati, nessuno escluso, sono
stati commessi nella storia del mondo, ma non solo. Sono stati commessi anche nella
storia della Chiesa. Da laici, ma anche da preti, da suore, da religiosi, da cardinali,
da vescovi e anche da papi. Tutti".
Una vera e propria lezione sui "vizi capitali" della Chiesa d'oggi, senza nessun
timore di dire cose sgradevoli. Anzi con la certezza di offrire "una pista di
riflessione". Martini ha voluto parlare dei "peccati che interessano proprio noi come
chierici": anzitutto i peccati "esterni", come le fornicazioni, gli omicidi e i furti,
precisando "questi ci toccano meno di altri, ma comunque ci riguardano anch'essi".
E poi è passato ad esaminare "le cupidigie, le malvagità, gli adulteri". Ha ammonito:
"Quante bramosie segrete sono dentro di noi. Vogliamo vedere, sapere, intuire,
penetrare. Questo contamina il cuore. E poi c'è l'inganno, che per me è anche fingere
una religiosità che non c'è. Fare le cose come se si fosse perfettamente osservanti,
ma senza interiorità".
L'arcivescovo emerito di Milano ha parlato poi dell'invidia, "il vizio clericale per
eccellenza: l'invidia ci fa dire "Perché un altro ha avuto quel che spettava a me?". Ci
sono persone logorate dall'invidia che dicono "Che cosa ho fatto di male perché il
tale fosse nominato vescovo e io no?"". E ancora: "Devo dirvi anche della calunnia:
beate quelle diocesi dove non esistono lettere anonime. Quando io ero arcivescovo
davo mandato di distruggerle. Ma ci sono intere diocesi rovinate dalle lettere
anonime, magari scritte a Roma...".
Carlo Maria Martini, vescovo per 22 anni a Milano, sente il dovere di parlare
esplicitamente ai giovani preti, auspicando un rinnovamento: "Devo farlo perché
sarà l'ultimo ritiro, fa parte delle scelte che fa una persona anziana e in dirittura
d'arrivo, ci sono cose che devo dire alla Chiesa". La sua lezione continua giorno
dopo giorno durante la settimana di ritiro spirituale. "San Paolo parla del "vanto di
fare gruppo", di coloro che credono di fare molti proseliti, di portare gente perché
così si conta di più. Questo difetto grave è molto presente anche nella Chiesa di
oggi. Come il vizio della vanagloria, del vantarsi. Ci piace più l'applauso del fischio,
l'accoglienza più della resistenza. E potrei aggiungere che grande è la vanità nella
Chiesa. Grande! Si mostra negli abiti. Un tempo i cardinali avevano sei metri di
coda di seta. Ma continuamente la Chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili.
Ha questa tendenza alla vanteria".
6
Non fa nomi, Martini, se non quello del papa Benedetto XVI, citato tre o quattro
volte, affettuosamente: "Dobbiamo ringraziare Dio di averlo, anche se poi abbiamo
qualcosa da criticare". Ma Martini è come se volesse anche mettere in guardia
Ratzinger quando, riprendendo le parole del papa, mette in guardia i preti dal "vanto
terribile del carrierismo": "Anche nella Curia romana ciascuno vuole essere di più.
Ne viene una certa inconscia censura nelle parole.
Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male
gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie perché ci
impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire
secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande
disservizio al Papa stesso".
Un quadro fosco, che il grande biblista, dettaglia, come può solo chi conosce
dall'interno i meccanismi di potere della Chiesa: "Purtroppo ci sono preti che si
pongono punto di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano
perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano
per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il
dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole
grande grazia. Ma chi ne esce è libero".
Fonte: LA REPUBBLICA – 5 Giugno 2008
IL CELIBATO INTERPRETATO DAL
SETTIMANALE CATTOLICO
Lettera a Famiglia Cristiana di Carlo Vaj


Gent.mo e rev.mo Direttore,
Chi pensava che il tema dei preti sposati fosse ormai merce
deteriorata e non più appetibile sul mercato mediatico, deve ricredersi ogni volta
che nuovi casi attirano l’attenzione dei cronisti e dei lettori. Sono alcuni risvolti
particolarmente piccanti a far emergere questi eventi, come punta dell’iceberg sulla
massa degli esodi che ogni anno si verificano tra le file del clero cattolico. (Pochi
giorni fa sentivo il celebrante dire durante l’omelia che l’età dei preti nella sua
piccola diocesi era di 72 anni e che l’emorragia si preannunciava inarrestabile).
Ciononostante, a Famiglia Cristiana ogni nuova partenza provoca
un grido di dolore , soprattutto quando ne sono pieni giornali e TV, come nel caso di
don Sante Sguotti, il prete veronese che è uscito sbattendo la porta e gridando tutta
sua rabbia, per il maltrattamento di cui si credeva vittima. Tralascio di commentare
il caso specifico che non conosco nei particolari né giudico il modo scelto dal prete
7
per annunciare la sua scelta, per soffermarmi
affronta l’argomento.
su come il settimanale cattolico
E lo fa nel peggiore dei modi già fin dall’impostazione, affidando a
una Marisa M. ne La posta dei lettori una lettera che non è richiesta di parere al
Direttore, ma un commento vero e proprio al fatto. La risposta del Padre è talmente
simile nella forma e nel contenuto alla lettera da far nascere il sospetto che si tratti
della stessa persona scrivente. Del resto, che bisogno v’era di nascondere sotto
l’anonimato il mittente ? Prenderò, quindi, in pari considerazione entrambi gli
scritti, commentandone gli aspetti per me contradditori e paradossali.
Si dice: Certe scelte non andrebbero esibite in televisione. Si
rischierebbe, altrimenti, di banalizzare un sincero travaglio interiore e confondere
quelle persone semplici, che reagiscono spesso d’istinto, mosse da affetto e
simpatia per il proprio prete. Sono proprio le stesse ragioni, ma per motivi opposti,
quelle che si adducono per non dare in pasto al pubblico i gravi scandali di cui certi
preti, quelli sì davvero disgustanti, si sono macchiati. Occorreva che la vergogna dei
preti pedofili diventasse valanga per accettare che se ne parlasse alla televisione di
Stato. Commentando dal pulpito uno di questi fatti, il mio parroco concludeva: Non
dovete parlarne tra di voi. Io chiamo questo modo di agire totemico. Totem è il capo
della tribù primigenia, il grande capo, il padre-padrone Il potere totemico è perlopiù
maschile e si esercita più facilmente sulla donna. E una donna, non sarà sfuggito a
nessuno, è la persona, vera o fittizia, che scrive a Famiglia Cristiana. E ancora, le
suore che svestono il velo sono ben più numerose dei loro confratelli che lasciano,
ma chi ne parla? Quale presentatore o – ahimè – presentatrice ha il coraggio
d’invitarla ad un forum televisivo? Davvero, se Totem è macho, Tabòò è donna ( nel
senso che ne è dapprima vittima e poi portatrice sana) .
Curiosa davvero è la difesa dei ‘semplici’. E’ vero, Gesù ha
affermato: Guai a chi scandalizza uno di questi semplici, con quel che segue. Eppure
sono proprio i semplici ad approvare l’amore di don Sguotti. Felici di vedere il loro
prete innamorato alla luce del sole, piuttosto che invischiato in ambigue situazioni
parafamiliari. Questo è il sentire comune della gente che crede. E’ vero: forse,
ammetteranno che un prete sposato avrà minor tempo per i suoi fedeli, ma la qualità
dei contatti sarà eccellente, come la donna realizzata nel lavoro offrirà ai suoi figli
sì minor tempo, ma anche entusiasmo anziché frustrazione. Sono argomenti così
vecchi da apparire datati, ma, poiché sono anche comprovati, sarà bene ricordarli.
La semplice comunicazione di don Sante ai fedeli e la semplice
accettazione da parte di questi ultimi non è proprio stata un dramma, come afferma
l’anonima lettrice. Lo è bensì per la chiesa che marchia come tradimento la scelta
dei preti che lasciano – Giuda li chiamò Paolo VI- Fortunatamente e anche grazie
alla vigilanza delle leggi civili, la conseguenza della scomunica non è più il rogo, ma
il diktat punitivo di totem si abbatte ancora sul fedifrago: fino al concordato CraxiCasaroli (1984) al prete laicizzato era proibito accedere ad incarichi pubblici, come
l’insegnamento ( in altre parole, era la condanna a morte per fame) anche se per la
8
gentile signora Marisa La chiesa per loro è, sempre e comunque, Madre benevola e
accogliente.
E’ ancora il semplice e comune sentire del popolo di Dio a scorgere
un nesso strettissimo fra certe patologie sessuali, come la pedofilia, e l’educazione al
celibato. Tutti i sessuologi sono concordi: la potente energia erotica, compressa e
impedita, è destinata a provocare disastri psichici e anche organici irreparabili. Non
si nega, peraltro, l’esistenza di vocazioni particolari alla vita celibe, ed è tra queste
persone mature che la chiesa dovrebbe scegliere i suoi preti.
La chiesa non obbliga nessuno a diventare prete. Parole sacrosante
che, però, non considerano a quali pressioni venivano sottoposte un tempo i giovani
seminaristi. Ora, che tali pressioni si sono allentate, i seminari si sono svuotati: i
pochi alunni rimasti fanno sembrare questi studentati a delle cliniche- come
onestamente chiamava un vescovo il suo seminario. E, sempre a proposito di
maturità, è curioso che la chiesa consideri immaturo e non conceda la dispensa dal
celibato a chi non ha raggiunto i quarant’anni e poi ordini preti a venticinque. Quasi
che
una vita inconsueta ed esclusiva come quella clericale esiga minor
responsabilità di quella richiesta per la via comune della vita di coppia!
Anche a me certe esibizioni picaresche dei preti innamorati un po’
di fastidio lo danno, ma non mi sento ferito come la signora Marisa. Mi chiedo,
peraltro, quale sentimento spinga questi preti a urlare tutta la loro rabbia.
Indubbiamente il non essere ascoltati nella sede per loro propria, la comunità
ecclesiale. Già a partire dal Concilio, il tema celibato è stato avocato a sé dalla
Suprema Autorità, e ogni volta che qualche conferenza episcopale ha accennato a
discuterne, è stata prontamente zittita.
Si preferisce accettare situazioni di compromesso piuttosto che
affrontare il nocciolo del problema. Un prete reduce dall’America latina mi
illustrava la situazione del clero locale: preti con quattro o cinque parrocchie tra loro
distanti , in ognuna della quali c’è una famiglia del parroco! Si può ammettere che il
prete non è un impiegato come un altro, ma neppure la chiesa dovrebbe considerarsi
un’azienda che taglia i ponti con il dipendente che passa alla concorrenza o, peggio
lo punisce con la scomunica (per chi si sposa civilmente) creando, stavolta sì, un
vero dramma alle famiglie coinvolte. Se Famiglia Cristiana vuole essere fedele alla
sua denominazione, può aprire sull’argomento un dibattito in famiglia ( dove, si
dice, vengono lavati i panni sporchi) chiaramente in una forma cristiana,
caratterizzata, cioè, dalla verità e dalla carità. Un primo passo potrebbe essere la
pubblicazione integrale di questa lettera che a questi due principi ha cercato di
uniformarsi.
Cordiali saluti
9
PAPA & SAPIENZA,
MIRACOLI E PANZANE IN DIRETTA TV
lettera di Vittorio Emiliani all’Unità del 18-01-08
Caro direttore,
mi sono visto, a pezzi e a pezzetti, tante trasmissioni
1) il prof. sen. Rocco Buttiglione, un tempo docente in Liechtenstein e ora alla libera
Università San Pio V, era dovunque (persino in contemporanea, miracolo, su Rai2 e
Rai3 la sera tardi) e ripeteva dovunque le stesse identiche cose ridendo a crepapelle
e dando degli ignoranti e quasi degli straccioni ai 67 scienziati firmatari della famosa
lettera. Adesso sappiamo meglio cosa sono per certi cattolici il pluralismo e il
confronto;
2) il clima creatosi alla Sapienza «era lo stesso del giorno dell'assalto a Luciano
Lama, nel 77». Una balla solenne, anche bieca per chi era cronista e ricorda bene il
'77 e quella guerriglia.
Eppure Bruno Vespa (e non lo solo lui) l'ha fatta passare per verità assoluta. «Cosa
doveva andare, il Papa, col giubbotto antiproiettile?», ha mormorato mercoledì sera
il celebre esperto di alcove e potere;
3) sempre da Vespa a mons.Fisichella è scappata una volgarità peraltro illuminante,
quando ha detto a Marco Pannella: «Noi non dobbiamo digiunare per andare in tv»,
e Pannella gli ha risposto, con eleganza: «Siete potenti, prepotenti e, alla fine,
impotenti con questa società».
Il leader radicale aveva fornito le quote percentuali (altissime) delle presenze
televisive nei Tg Rai di questo papa «al quale viene impedito di parlare».
4) Sempre Panella ha ricordato che, invece, le due trasmissioni culturali, quella
protestante (Protestantesimo) e l'altra ebraica (Sorgente di vita) vengono mandate a
notte fonda settimanalmente.
La realtà è persino più avvilente: esse vengono mandate su Rai2 ciascuna ogni
quindici giorni, all'1,20' fra la domenica e il lunedì e replicate sempre all'1,20' fra il
lunedì e il martedì.
Un altro bell'omaggio al pluralismo religioso e culturale, pagato dagli utenti perché
si offendano in quel modo due importanti minoranze religiose.
Nessuno ha niente da dire, anche a livello istituzionale?
5) Che tristezza, infine, i collegamenti con Giuliano Ferrara, ateo devoto
(suppongo).
Al «Foglio» doveva esserci con lui tutta una crème politico-culturale e il cameraman
insisteva ad inquadrare Elisabetta Gardini e, soltanto di sguincio, Barbara
Palombelli.
(fonte: www.chiesaincammino.org)
10
SOFFOCANTE ABBRACCIO VATICANO
di Enzo Mazzi
In Vaticano, in questi giorni, con l'inusuale duplice bacio all'anello pontificio da
parte di Berlusconi e, fatte le debite proporzioni, con l'altrettanto inedita passeggiata
di due amiconi, Ratzinger e Bush, nei Giardini vaticani con preghiera finale,
privilegio mai concesso finora ad un capo di stato, si è consumata in maniera
sfacciatamente provocatoria, l'alleanza strategica mondiale fra il dominio imperiale
imperniato sugli Usa e il dominio del sacro etico-spirituale-religioso incarnato dal
vertice della Chiesa cattolica.
Si è trattato dell’atto finale di un processo che viene da lontano, dal dopoguerra,
quando il vertice vaticano ha dovuto sostituire l’alleanza con le dittature fascista e
nazista, rovinosamente sconfitte, aprendosi al sistema di dominio occidentale
liberale o democratico gloriosamente trionfante e carico di futuro. La parentesi
conciliare sembrava aver interrotto quel processo di compattamento del sistema di
dominio per aprire la Chiesa a un orizzonte profetico di liberazione da ogni
alienazione.
La politica vaticana del dopo-concilio ha richiuso la fessura della speranza. E ora
siamo alla tela del ragno che con robustissimi fili avvolge il mondo e ogni esistenza
umana senza apparenti vie d’uscita.
Soffochiamo senza riuscire a vedere spiragli. La laicità è al minimo storico. «Non
abbiamo bisogno di una nuova laicità» sentenzia Aldo Schiavone alzando lo straccio
bianco della resa. E non servono a molto le sofferenze e i piagnistei di un certo
mondo cattolico per così dire aperto, che qualche volta divengono anche critiche
aperte se non perfino gridate ma solo verso singoli fatti. Non servono perché
rincorrono perennemente gli epifenomeni senza intaccare la radice.
La simbiosi col dominio imperiale è radicata nell’intimo del cattolicesimo. E’ una
connotazione genetica fin dalle sue origini nel quarto secolo. Cattolico infatti
significa letteralmente universale nel senso preciso dell’universalismo imperiale.
Non era cattolico il cristianesimo dei primi due secoli. All’inizio non era neppure
propriamente una religione. La scelta dell’universalismo imperiale al tempo di
Costantino e Teodosio non fu indolore. Creò una profonda spaccatura interna al
cristianesimo. E fu una spaccatura verticale.
Gli strati del cristianesimo più lontani dal centro imperiale ed ecclesiale e
socialmente più umili, in particolare i contadini poveri della Chiesa africana, insieme
ad alcuni loro episcopi, percepirono una tale alleanza fra la Chiesa e l’Impero come
un tradimento radicale del profetismo evangelico. Il loro cristianesimo ribelle fu
brutalmente represso. Esso però divenne quella folata di vento dello Spirito o se si
vuole quel fermento che ispirò molte delle spinte di ribellione creativa e di
liberazione dal dominio del sacro nella storia del cristianesimo. A ben vedere soffia
anche oggi. Più che piangere bisogna saper rischiare affidandosi a quel soffio.
(fonte: Il Manifesto 14-06-08)
11
FERNANDO ARMINDO LUGO MENDEZ (SAN
SOLANO, 30 MAGGIO 1951) E’ UN EX VESCOVO
CATTOLICO, E POLITICO PARAGUAIANO. IL 20
APRILE 2008 E’ STATO ELETTO PRESIDENTE
DEL PARAGUAY.
Vita e attività ecclesiale
La famiglia di mons. Lugo non era particolarmente religiosa; non avrebbe mai visto
suo padre entrare in chiesa; era invece molto portato per la politica. Suo zio Epifanio
Méndes Fleitas era un dissidente del partito Colorado, e fu perseguitato ed esiliato
dal regime del Generale Stroessner. Suo padre fu imprigionato venti volte, e anche
alcuni dei suoi fratelli maggiori furono esiliati. Frequentò i primi anni di scuola in un
istituto religioso a Encarnación, nel frattempo lavorava come venditore ambulante.
All’età di 17-18 anni, contro il parere del padre che desiderava che studiasse legge,
Lugo entrò in una scuola normale (istituto magistrale) e iniziò l’insegnamento in una
comunità rurale. Fu molto benvoluto tra la popolazione, che era molto religiosa, ma
non aveva sacerdoti. Lugo ricorda di essere stato molto coinvolto da
quell’esperienza, in cui scoprì la sua vocazione; decise così, a 19 anni, di entrare nel
Seminario della Società del Verbo Divino. Lugo fu ordinato sacerdote il 15 agosto
1977. Lo stesso anno fu inviato in Ecuador come missionario, per 5 anni. Qui ebbe
l’occasione di interessarsi alla teologia della Liberazione. Ritornò in Paraguay nel
1982, e, dopo un anno, la polizia del regime richiese la sua espulsione. La Chiesa lo
inviò a Roma per ulteriori studi accademici. Lugo ritornò in patria nel 1987, due
anni prima della caduta della dittatura di Stroessner. Fu ordinato Vescovo il 17
aprile 1994, e nominato nella diocesi più povera del paese, nel dipartimento di San
Pedro.
Per potersi candidare in politica, Lugo presentò le dimissioni da Ordinario della
Diocesi di San Pedro l’11 gennaio 2005. Il 25 dicembre 2006 aveva annunciato di
aver chiesto al Vaticano la dimissione dallo stato clericale per seguire le sue
aspirazioni presidenziali.[1] Radio Vaticana il 1° febbraio 2007 ha annunciato che in
una lettera del 20 gennaio il Card. Giovanni Battista Re, prefetto della
Congregazione per i Vescovi, aveva rifiutato la riduzione allo stato laicale ma
comminato la sospensione a divinis, cioè il divieto di amministrare i
sacramenti.[2][3][4]
Il 31 luglio 2008 la Santa Sede, con una decisione senza precedenti, ha accettato la
richiesta di riduzione allo stato laicale di Lugo per l'avvenuta incompatibilità dopo
l'elezione a presidente dello stato sudamericano[5]. Nell'occasione il presidente
neoeletto aveva chiesto scusa alla Chiesa, ed in particolare a papaBenedetto XVI,
per aver disobbedito ad essa candidandosi in politica. Il Pontefice, accettando la
richiesta di Lugo, lo ha esortato ad essere fedele alla fede cattolica e a condurre una
vita coerente con il Vangelo.[6][7]
12
Candidatura presidenziale
Conosciuto come il "vescovo dei poveri", Lugo è visto da molti come la minaccia
più seria al dominio del Asociaciòn Nacional Republicana, meglio nota come
Partido Colorado. Sebbene abbia affermato che trova la presidenza di Hugo Chàvez
in Venezuela interessante, ha preso anche le distanze dai leader populisti del Sud
America, focalizzandosi maggiormente sull'ineguaglianza sociale in Paraguay.
Il 23 febbraio 2007 il Ministero degli Interni paraguaiano offrì a Lugo protezione a
causa di minacce di morte che aveva ricevuto durante le sue attività politiche.[8]
Secondo un sondaggio del febbraio 2007, era da considerarsi il principale favorito
alle elezioni presidenziali. [9][10]
Il 29 ottobre 2007, iscrittosi al Partito della Democrazia Cristiana del Paraguay che
nel frattempo aveva formato una coalizione di più di una dozzina di movimenti e
partiti di opposizione denominata Alleanza Patriottica per il Cambiamento (APC),
ne ottiene la candidatura, mentre Federico Franco, del Partido Liberal Radical
Auténtico, (centro-destra), il più grosso partito di opposizione del Paraguay, è
candidato alla vicepresidenza. [11]
Nonostante il 16 novembre 2007 il presidente dell'Associazione Nazionale
Repubblicana (Partito Colorado), Nicanor Duarte Frutos, annunciasse che il suo
partito non avrebbe iniziato alcun processo per bloccare la candidatura di Lugo[12] è
tutt'ora in corso un dibattito riguardo la sua legittimità in quanto l'articolo 235 della
Costituzione paraguaiana proibisce ai ministri di qualsiasi religione di mantenere
cariche elettive, e papa Benedetto XVI che aveva rifiutato la riduzione allo stato
laicale richiesta dallo stesso Lugo sin dal 2005, l'ha accettata nel 2008.[13]
Elezione
Il 20 aprile 2008, Lugo ha ottenuto il primo posto nelle elezioni presidenziali per
almeno 10 punti percentuali, per quanto senza maggioranza assoluta. La candidata
del partito Colorado, Blanca Ovelar, ha ammesso la sconfitta nella stessa notte,
intorno alle ore 21 locali.
Fernando Lugo è il secondo presidente del Paraguay di sinistra (il primo fu Rafael
Franco, dal 1936 al 1937). È inoltre la prima volta in 61 anni che il partito Colorado
perde le elezioni presidenziali.
Lugo ha assunto la carica di presidente il 15 agosto 2008.
Blog
Lugo iniziò a scrivere un blog sul sito web del quotidiano ABC Color nel marzo
2007.
13
Note
[1] Cfr. can. 1333, § 1-2-3 del Codice di diritto canonico
[2] Notiziario radio Vaticana del 1. febbraio 2007
[3] ZENIT.org : Nota y decreto de suspensión «a divinis» del obispo
paraguayo candidato político
[4] ZENIT.org : Sospeso “a divinis” il Vescovo paraguayano candidatosi alle
presidenziali
[5] http://www.korazym.org/index.php/esteri/6-internazionale/246-paraguay-ilvescovo-lugo-ridotto-allo-stato-laicale
[6] Radio Vaticana del 31/08/2008 : Il Papa concede la "perdita dello stato
clericale" al presidente eletto del Paraguay, Fernando Lugo, già vescovo
emerito di San Pedro
[7] ZENIT.org : Il Papa accetta la riduzione allo stato laicale del Presidente
eletto del Paraguay
[8] Paraguayan Gov't Offers Lugo Protection
[9] Angus Reid Consultants
[10] http://www.repubblica.it/interstitial/interstitial1165360.html
[11] http://www.abc.com.py/articulos.php?pid=368460
[12] Catholic World News : Suspended bishop cleared as presidential candidate
in Paraguay
[13] Impugnation to Lugo will be treated at Colorado Party's executive comitee
(In Spanish)
14
'PERCHE’ RATZINGER RECUPERA IL SACRO'
Il segnale è stato inequivocabile. Prima il Corpus Domini a Roma, poi lo si è visto in
mondovisione a Sidney. Benedetto XVI esige che davanti a lui la comunione venga
ricevuta in ginocchio, è uno dei tanti recuperi di questo pontificato: il latino, la
messa tridentina, la celebrazione con le spalle rivolte ai fedeli.
Papa Ratzinger ha un disegno e lo srilankese monsignor Malcolm Ranjith, che il
pontefice ha voluto con sé in Vaticano come segretario della Congregazione per il
Culto, lo delinea con efficacia. L' attenzione alla liturgia, spiega, ha l' obiettivo di
un'«apertura al trascendente». Su richiesta del pontefice, preannuncia Ranjith, la
Congregazione per il Culto sta preparando un Compendio Eucaristico per aiutare i
preti a «disporsi bene per la celebrazione e l'adorazione eucaristica».
La comunione in ginocchio va in questa direzione?
«Nella liturgia si sente la necessità di ritrovare il senso del sacro, soprattutto nella
celebrazione eucaristica. Perché noi crediamo che quanto succede sull'altare vada
molto oltre quanto noi possiamo umanamente immaginare. E quindi la fede della
Chiesa nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche va espressa attraverso
gesti adeguati e comportamenti diversi da quelli della quotidianità».
Marcando una discontinuità?
«Non siamo dinanzi ad un capo politico o un personaggio della società moderna, ma
davanti a Dio. Quando sull'altare scende la presenza di Dio eterno, dobbiamo
metterci nella posizione più adatta per adorarlo. Nella mia cultura, nello Sri Lanka,
dovremmo prostrarci con la testa sul pavimento, come fanno i buddisti e i
musulmani in preghiera».
L'ostia nella mano sminuisce il senso di trascendenza dell'eucaristia?
«In un certo senso sì. Espone il comunicante a sentirla quasi come un pane normale.
Il Santo Padre parla spesso della necessità di salvaguardare il senso dell'al-di-là nella
liturgia in ogni sua espressione. Il gesto di prendere l'ostia sacra e metterla noi stessi
in bocca e non riceverla, riduce il profondo significato della comunione».
Si vuole contrastare una banalizzazione della messa?
«In alcuni luoghi si è perso quel senso di eterno, sacro o di celeste. C' è stata la
tendenza a mettere l'uomo al centro della celebrazione e non il Signore. Ma il
Concilio Vaticano II parla chiaramente della liturgia come actio Dei, actio Christi.
Invece in certi circoli liturgici, vuoi per ideologia vuoi per un certo intellettualismo,
si è diffusa l'idea di una liturgia adattabile a varie situazioni, in cui si debba far
spazio alla creatività perché sia accessibile e accettabile a tutti. Poi magari c'è chi ha
introdotto innovazioni senza nemmeno rispettare il sensus fidei e i sentimenti
spirituali dei fedeli».
A volte anche vescovi impugnano il microfono e vanno verso l'uditorio con
domande e risposte.
«Il pericolo moderno è che il sacerdote pensi di essere lui al centro dell'azione. Così
il rito può assumere l'aspetto di un teatro o della performance di un presentatore
televisivo. Il celebrante vede la gente che guarda a lui come punto di riferimento e
15
c'è il rischio che, per avere più successo possibile con il pubblico, inventi gesti ed
espressioni facendo da protagonista».
Quale sarebbe l'atteggiamento giusto?
«Quando il sacerdote sa di non essere lui al centro, ma Cristo. Rispettare in umile
servizio al Signore e alla Chiesa la liturgia e le sue regole, come qualcosa di ricevuto
e non di inventato, significa lasciare più spazio al Signore perché attraverso lo
strumento del sacerdote possa stimolare la coscienza dei fedeli».
Sono deviazione anche le omelie pronunciate dai laici?
«Sì. Perché l'omelia, come dice il Santo Padre, è il modo con cui la Rivelazione e la
grande tradizione della Chiesa viene spiegata affinché la Parola di Dio ispiri la vita
dei fedeli nelle loro scelte quotidiane e renda la celebrazione liturgica ricca di frutti
spirituali. E la tradizione liturgica della Chiesa riserva l'omelia al celebrante. Ai
Vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi. Ma non ai laici».
Assolutamente no?
«Non perché loro non siano capaci di fare una riflessione, ma perché nella liturgia i
ruoli vanno rispettati. Esiste, come diceva il Concilio, una differenza "in essenza e
non solo in grado" tra il sacerdozio comune di tutti i battezzati e quello dei
sacerdoti».
Già il cardinale Ratzinger lamentava nei riti la perdita del senso del mistero.
«Spesso la riforma conciliare è stata interpretata o considerata in modo non del tutto
conforme alla mente del Vaticano II. Il Santo Padre definisce questa tendenza
l'antispirito del Concilio».
A un anno dalla piena reintroduzione della messa tridentina qual è il bilancio?
«La messa tridentina ha al suo interno valori molto profondi che rispecchiano tutta la
tradizione della Chiesa. C'è più rispetto verso il sacro attraverso i gesti, le
genuflessioni, i silenzi. C'è più spazio riservato alla riflessione sull'azione del
Signore e anche alla personale devozionalità del celebrante, che offre il sacrificio
non solo per i fedeli ma per i propri peccati e la propria salvezza. Alcuni elementi
importanti del vecchio rito potranno aiutare anche la riflessione sul modo di
celebrare il Novus Ordo. Siamo all'interno di un cammino».
Un domani vede un rito che prenda il meglio del vecchio e del nuovo?
«Può darsi, io forse non lo vedrò. Penso che nei prossimi decenni si andrà verso una
valutazione complessiva sia del rito antico che del nuovo, salvaguardando quanto di
eterno e soprannaturale avviene sull'altare e riducendo ogni protagonismo per
lasciare spazio al contatto effettivo tra il fedele e il Signore attraverso la figura non
predominante del sacerdote».
Con posizioni alternate del celebrante? Quando il sacerdote sarebbe rivolto
verso l'abside?
«Si potrebbe pensare all'offertorio, quando le offerte vengono portate al Signore, e di
là sino alla fine della preghiera eucaristica, che rappresenta il momento culminante
della "trans-substantiatio" e la "communio"». Disorienta i fedeli il prete che volge
le spalle. «è sbagliato dire così. Al contrario, insieme al popolo si rivolge al Signore.
Il Santo Padre nel suo libro Lo spirito del Concilio ha spiegato che quando ci si
siede attorno, guardando ognuno la faccia dell'altro, si forma un circolo chiuso. Ma
16
quando il sacerdote e i fedeli insieme guardano l'Oriente, verso il Signore che viene,
è un modo di aprirsi all'eterno».
In questa visione si inserisce anche il recupero del latino?
«Non mi piace la parola recuperare. Realizziamo il Concilio Vaticano II, che
afferma esplicitamente che l'uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia
conservato nei riti latini. Dunque, anche se è stato dato spazio all'introduzione delle
lingue vernacolari, il latino non va abbandonato completamente. L'uso di una lingua
sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell'Induismo la lingua di preghiera è il
sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i
monaci buddisti studiano. Nell'Islam si impiega l'arabo del Corano. L'uso di una
lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell'al-di-là».
Il latino come lingua sacra nella Chiesa?
«Certo. Il Santo Padre stesso ne parla nell'esortazione apostolica Sacramentum
Caritatis al paragrafo 62: "Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa
vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei vescovi in sintonia con le
direttive del Concilio Vaticano II. Eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei
fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina". Beninteso, durante
incontri internazionali».
Ridando forza alla liturgia, dove vuole arrivare Benedetto XVI?
«Il Papa vuole offrire la possibilità d'accesso alla meraviglia della vita in Cristo, una
vita che pur vivendola qui sulla terra già ci fa sentire la libertà e l'eternità dei figli di
Dio. E una tale esperienza si vive fortemente attraverso un autentico rinnovamento
della fede quale presuppone il pregustare delle realtà celesti nella liturgia che si
crede, si celebra e si vive. La Chiesa è, e deve diventare, lo strumento valido e la via
per questa esperienza liberante. E la sua liturgia quella che la rende capace di
stimolare tale esperienza nei suo i fedeli».
Marco Politi
(fonte: La Repubblica 31-07-08)
I PRETI, IL CELIBATO E ARIOSTO
“ E chi s’usa beccar dell’altrui carne
diventa ghiotto, ed oggi tordo o quaglia,
diman fagiani, un altro dì vuol starne.
Non sa quel che sia amor, non sa che voglia
la caritade, e quindi avvien che i preti
sono sì ingorda e sì crudel canaglia”.
( L. Ariosto, satira VI )
17
L’AMORE ADDOMESTICATO
"Crescete e moltiplicatevi": l’invito divino a Adamo ed Eva (Genesi 1,28) è forse il
passo della Bibbia ebraica di più lungo corso nelle omelie ecclesiastiche, almeno a
partire da quando l’ingresso del matrimonio nella sfera dei sacramenti ha segnalato
la volontà del clero di addomesticare l’eros. Oggi l’invito di papa Benedetto XVI ne
ripropone la versione antica, di richiamo al dovere di produrre figli senza ricorrere a
metodi contraccettivi "innaturali". Ritorna il volto severo e obbligante in coscienza
del matrimonio cristiano come rimedio alla lussuria, strumento per spegnere il fuoco
dei sensi ("meglio sposarsi che bruciare"), un avvertimento paolino che forse il clero
dovrebbe meditare di più.
Volto antico: chi sfoglia i testi canonici in materia di matrimonio troverà testi di
secoli e secoli fa dove la Chiesa si descrive nata dal costato di Cristo come Eva da
quello di Adamo. Ma si dovrà arrivare al decreto approvato dal Concilio Vaticano II
il 7 dicembre 1965 per trovare una definizione del matrimonio, dei legami tra marito
e moglie e del rapporto coi figli incentrato su di una parola fino ad allora assente:
l’amore, non quello spirituale, non quello divino - quello umano.Parole innovative:
era l’uscita del linguaggio ufficiale cattolico dalla tradizione medievale dell’alleanza
tra un clero celibatario e l’interesse maschile a disporre di una schiava a basso
prezzo, per di più portatrice di dote.
Con quel matrimonio l’amore, quello profano, non aveva nessun rapporto. Le
novelle del Rinascimento ne sono testimoni, come raccontò in un vecchio bel libro
Lucien Febvre, un grande storico francese non sospetto di anticlericalismo. Del
dovere imposto da quella cultura alla donna - dovere di essere sempre e comunque
soggetta al marito e obbligata a concepire e partorire, naturalmente nel dolore approfittarono poteri d’ogni genere pronti ad allearsi con l’egemonia culturale del
clero.
Fare figli, possibilmente maschi, servì di volta in volta a tante cose. In primo luogo a
far crescere la consistenza e la speranza di durata della famiglia e a trasmetterne il
nome - quello maschile, cosa che oggi solo in Italia si ritiene ancora ovvia; ma poi
anche a moltiplicare la popolazione come forza lavoro per i campi e le officine,
come nerbo della potenza statale e carne da cannone. "La grande proletaria si è
mossa", disse Giovanni Pascoli ai tempi di una guerra di Libia di cui paghiamo
ancora i costi. La prole che si muoveva era nata da matrimoni obbligati a far molti
figli. Ed è singolare che oggi si cerchi di pagare i costi di quella sciagurata avventura
con un simbolo indiscutibile dell’amore umano, la Venere di Cirene graziosamente
quanto arbitrariamente sottratta da Berlusconi al patrimonio artistico italiano per
regalarla a Gheddafi (realizzando così una delle più cupe profezie di Federico Zeri).
Lungo i secoli, l’amore umano era rimasto assente dai documenti canonici e ancor
più da quella scienza teologica chiamata a distinguere il lecito e l’illecito degli
accoppiamenti umani una scienza che si insegnava ai preti nei seminari perché
potessero poi interrogare con adeguata competenza in confessione mariti e
soprattutto mogli sulle loro pratiche sessuali.
Ben diverso dal voyerismo mediato dallo schermo televisivo, la confessione ha
18
consentito per secoli di vedere e ancor più di dirigere gli attori nei gesti e nelle
tecniche del momento della riproduzione. Su questo sfondo l’apparizione della
parola "amore" in un documento ufficiale cattolico sul matrimonio dette
l’impressione di una svolta, di una volontà di riprendere contatto con la vita e coi
sentimenti reali di donne e uomini, considerati non più solo come "fedeli", cioè
passivamente obbedienti.
Oggi si riapre la questione della contraccezione. Il rapporto coniugale cessa di essere
visto come il disegno complessivo di una storia di rapporti umani per tornare a
frammentarsi nella meccanica della riproduzione, analizzata nelle sue sequenze da
uno sguardo estraniato e sospettoso. Verrà ascoltato questo appello? Il Papa lo ha
formulato cercando di conciliarlo col linguaggio del testo conciliare ma tornando sul
terreno delle istruzioni tecniche. Lo ha fatto richiamando in vigore quel dispositivo
della "Humanae vitae" con cui Paolo VI cercò di mettere il vino nuovo dell’amore
umano negli otri antichi di una teologia morale impegnata a sorvegliare gli
accoppiamenti, a insinuare tra moglie e marito la presenza del prete.
È un segno dei tempi che nello stesso momento giunga tra le mani dei lettori la
riflessione del cardinal Martini su questo punto: nientedimeno che una domanda di
perdono per la "Humanae vitae". Ripercorrendo il pontificato di Paolo VI il
cardinale milanese ha scritto parole dense e pesanti sulla frattura che si è creata con
quella enciclica oggi riattualizzata dal papa. La gioventù ha detto Martini ha cessato
di chiedere alla Chiesa della "Humanae vitae" istruzioni per l’uso. È avvenuta una
frattura di cui il Papa è stato invitato a tenere conto. Riconosciamo in queste parole
l’esistenza di un mondo cattolico che non ha dimenticato quel documento conciliare
e che non ha cessato di interrogarsi sulla realtà dei tempi e dei sentimenti.
Nella società descritta dal cardinale milanese il messaggio di Benedetto XVI rischia
fortemente di cadere nel vuoto, come lui stesso ha mostrato di rendersi conto. Il
documento papale è dunque con ogni evidenza una risposta all’appello del cardinal
Martini.
Una risposta eloquente che documenta in quale direzione il pontificato attuale
intende muoversi. Del resto, anche prescindendo dalla lettura di quella pagina del
cardinal Martini, al pontefice romano non poteva essere sfuggito un dato di fatto che
è sotto gli occhi di tutti: è proprio l’amore umano la molla che ha contribuito a
rendere oceanici i raduni giovanili nei grandi eventi pubblici così amati in Vaticano.
Un amore con largo uso di contraccettivi "non naturali": lo testimoniano le
descrizioni di quel che si trova sui prati quando la festa finisce.
E allora, perché tornare su quell’antico deposito di istruzioni tecniche? La domanda
si aggiunge alle tante a cui oggi cercano di rispondere i vaticanisti, una
specializzazione del sapere giornalistico che si coltiva soprattutto in Italia.
Una cosa è certa: la questione della contraccezione sembra toccare ben poco
l’opinione pubblica italiana. Il problema della contraccezione e più in generale
dell’educazione sessuale è drammatico non da noi ma nei paesi di quegli altri mondi
che compongono la geografia della fame e della sete. In Italia il passaggio dalla
crescita demografia record del "crescete e moltiplicatevi" alla denatalità anch’essa
da record è avvenuto con una rottura improvvisa e radicale, da parte di un popolo
che si riteneva complessivamente cattolico ma non prestava molta attenzione agli
avvertimenti ecclesiastici.
19
E tuttavia è facile prevedere che avremo altre occasioni di tornare sull’argomento.
Questo appello fa parte di un’offensiva in atto sui diritti e le possibilità di scelta di
tutti noi, credenti e non credenti. Diritti relativi ai momenti cruciali dell’esistenza: la
nascita, la morte. Il matrimonio non poteva mancare: ma è come la tessera di un
puzzle che viene collocata al suo posto. Senza particolare convinzione. Non è la più
importante.
di Adriano Prosperi
(fonte: la Repubblica, 04.10.2008)
* Gianfranco Monaca
20
UN PAPA INCOMPATIBILE
CON LA ‘SAPIENZA’
L’università, se è luogo di libera ricerca e di confronto rispettoso non
solo delle persone ma anche delle tesi sostenute dai vari interlocutori,
è incompatibile con maestri che presumono di possedere essi soli la
verità. E simili maestri, oltretutto, pare che non siano apprezzati
neanche da Gesù di Nazaret che, stando a Matteo 23, 6-10, criticava
gli scribi e i farisei che “amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi
nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare
‘rabbì’ dalla gente".
di Elio Rindone *
La lettera dei 67 professori della ‘Sapienza’, che esprimevano al Rettore
dell’Università la propria indignazione per l’invito rivolto al papa a intervenire
all'inaugurazione dell'anno accademico, e le proteste annunciate per l’occasione da
qualche centinaio di studenti sono state sufficienti al Vaticano per declinare l’invito,
presentandosi come vittima di un’inaccettabile censura. I toni ossequiosi usati
abitualmente da quasi tutti i politici e i giornalisti nei confronti della gerarchia
ecclesiastica hanno evidentemente indotto Benedetto XVI a considerare intollerabile
persino la contestazione di una sparuta minoranza critica. Eppure i motivi per
giudicare decisamente poco opportuna l’iniziativa del Rettore non mancavano
affatto.
Quell’invito, infatti, non pare giustificato dal prestigio dello studioso Joseph
Ratzinger, uno dei tanti professori di teologia, forse neanche tra i più brillanti: se
non fosse diventato papa, pochi si sarebbero accorti di lui al di fuori degli ambienti
ecclesiastici. È la carica che riveste, dunque, che conferisce un peso rilevante alle
sue parole, che del resto riecheggiano quotidianamente su tutti o quasi i mezzi
d’informazione.
L’evento aveva in effetti motivazioni squisitamente politiche: un successo
d’immagine per l’università romana, da un lato, e un’ulteriore occasione per la
gerarchia ecclesiastica per marcare il territorio, dall’altro. Pochi dubbi, infatti, che da
parte del Vaticano sia in atto, e con successo, un’opera di riconquista dell’influenza
da tempo perduta sulla società europea: buoni rapporti con la tedesca Merkel,
conversione al cattolicesimo dell’inglese Blair, riscoperta delle radici cristiane del
francese Sarkozy. Nulla di paragonabile, tuttavia, con i risultati già conseguiti o a
portata di mano in Italia: dall’obbedienza dei politici ai privilegi economici, dalla
sovraesposizione mediatica all’egemonia culturale.
E il discorso inviato, letto e calorosamente applaudito il 17/1/08 all’inaugurazione
dell’anno accademico, riprendendo quanto Benedetto XVI aveva già affermato più
volte in altre occasioni, mirava proprio, come era facilmente prevedibile, a ribadire
la pretesa pontificia che il sapere umano non si separi dalla fede cristiana ma tragga
da essa ispirazione. Ecco, in estrema sintesi, i nodi dell’argomentazione:
21
a) il papa anzitutto presenta la chiesa cattolica come amica della ricerca intellettuale:
non solo la fondazione dell’università romana è stata voluta da Bonifacio VIII ma in
genere “Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo
cristiano, nascere l’università”;
b) quindi sostiene che la ricerca della verità, che si svolge “nel grande dialogo della
sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo
accoglie e sviluppa”, non deve “chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in
particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione
del cammino”; infatti la ragione, quando “diventa sorda al grande messaggio che le
viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici
non raggiungono più le acque che gli danno vita”;
c) infine conclude che per evitare un simile smarrimento della ragione non c’è che
una via: ascoltare il papa, che non è soltanto portatore di un messaggio di fede per i
credenti ma anche “rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di
conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità”. Da
questo punto di vista, quindi, l’insegnamento del papa vale per tutti, perchè egli si
muove su un piano razionale, parlando “come rappresentante di una ragione etica”,
ragione animata tuttavia dalla fede cristiana, che è “una forza purificatrice per la
ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa”.
Vietata la libera ricerca
Anzitutto conviene ricordare, anche se il papa non lo fa, che le scuole di alta cultura
non sono certo una creazione cristiana. Esse esistevano - limitando l’analisi alla
civiltà occidentale - già nel mondo antico: basti pensare all’Accademia platonica o al
Liceo aristotelico, alla eccezionale fioritura di studi scientifici nell’età ellenistica o
alla vitalità culturale che porta alla costruzione della grandiosa biblioteca di
Alessandria d’Egitto. Piuttosto, è quando il cristianesimo diventa religione di stato
che la libera ricerca si fa sempre più difficile. Emblematico ma non isolato, nel 415,
il caso di Ipazia, una donna pagana ammirata per la sua bellezza e famosa per la sua
cultura filosofica e matematica. La folla cristiana, fanaticamente istigata dal vescovo
di Alessandria, san Cirillo, la fa a pezzi: questi, trasportati per le vie della città,
vengono infine bruciati assieme ai suoi scritti.
Un secolo dopo, Giustiniano, sul trono da appena due anni, riterrà ormai maturo il
tempo per assestare un colpo definitivo alla residua cultura pagana, ordinando la
chiusura delle scuole di filosofia di Atene. Così si esprime l’imperatore cristiano
nell’editto del 529: “Noi proibiamo che venga insegnata ogni dottrina da parte di
coloro che sono affetti dalla pazzia degli empi pagani. Perciò nessun pagano simuli di
istruire coloro che sventuratamente li frequentano, mentre in realtà egli non fa altro che
corrompere le anime dei discepoli. Inoltre, che egli non riceva sovvenzioni pubbliche
[...]. Se [...] non si affretterà a ritornare in seno alla nostra santa Chiesa, insieme alla
sua famiglia, ossia insieme alla moglie e ai figli, cadrà sotto le suddette sanzioni, le
loro proprietà verranno confiscate ed essi stessi verranno mandati in esilio”(cfr. RealeAntiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, I, Brescia 1983, p268).
22
Della grande produzione culturale dell’antichità è andato, ovviamente, perduto per
sempre tutto ciò che i secoli cristiani hanno considerato incompatibile con la propria
visione del mondo. Ma non va dimenticato il fatto che anche gli autori cristiani
hanno subito una severa censura, nel caso in cui le loro idee apparissero poco
ortodosse. Ben poco ci è rimasto, per esempio, della sterminata produzione di uno
dei più geniali pensatori dei primi secoli cristiani, Origene (185-255): migliaia di
opere, infatti, sono andate smarrite dopo che nel 543 un sinodo locale, voluto da
Giustiniano e approvato da papa Vigilio, ha giudicato eretiche alcune tesi
origeniane.
Nel medioevo le scuole di alta cultura sono rinate con l’innegabile contributo del
papato, ma altrettanto innegabilmente esse non godevano di piena libertà ma erano
strettamente assoggettate al controllo pontificio. Di fronte al pericolo di possibili
deviazioni in senso puramente scientifico e naturalistico, infatti, l’autorità
ecclesiastica interviene con rapidità ed energia per “subordinare questi studi a dei
fini religiosi e metterli al servizio di una vera teocrazia intellettuale”(E. Gilson, La
filosofia nel medioevo, Firenze 1973, p 474).
Particolare vigilanza i papi esercitano sull’università di Parigi, destinata a diventare
maestra di verità religiosa per tutta l’Europa cristiana: già nel 1215 Innocenzo III,
protettore di quella nascente università, si affretta a vietare che i maestri parigini
insegnino la fisica e la metafisica di Aristotele. Nel 1228 Gregorio IX rimprovera
aspramente i maestri di teologia che “gonfiati come otri dallo spirito di vanità”
osano forzare “nel senso della filosofia pagana il significato del testo sacro la cui
interpretazione, però, è stata chiusa entro confini definiti dall’opera dei Padri;
confini che non solo è temerario, ma empio, trasgredire”(cfr. Gilson, cit., p 477).
Ancor più violento il tono usato nel 1290 dal cardinale Benedetto Caetani, il futuro
Bonifacio VIII fondatore della ‘Sapienza’, inviato come Legato pontificio a Parigi:
“Tutti codesti maestri s’immaginano di godere presso di noi di un’immensa
reputazione di sapienti; noi li giudichiamo, al contrario, come sciocchi, giacché
hanno infettato col veleno della loro dottrina e le loro persone e il mondo intero”(cfr.
J. Le Goff, Genio del Medioevo, Milano 1959, p 120).
In sostanza, che la chiesa medievale non garantisse la libertà di ricerca è più che
certo. Nel 1141, per esempio, Abelardo viene condannato come eretico dal sinodo di
Sens, nel 1277 Sigieri di Brabante, preside della facoltà delle Arti, viene privato
della cattedra a Parigi, nel 1327 Marsilio da Padova, rettore dell’università, deve
fuggire da Parigi e rifugiarsi presso l’imperatore Ludovico il Bavaro, che nel 1328
darà ospitalità anche a Guglielmo di Occam, costretto a sua volta a fuggire da
Avignone per salvare la pelle. Nel 1329 Giovanni XXII farà gettare alle fiamme il
De Monarchia di Dante, morto da otto anni.
E con la fine del Medioevo la situazione non è cambiata affatto. Tralasciando i
processi più famosi, come quello di Bruno e di Galilei, può essere utile ricordare due
casi meno noti. Alla fine del XV secolo Pico della Mirandola pubblica Novecento
Tesi perché siano oggetto di libero dibattito tra studiosi di diverse discipline e
diversi orientamenti culturali, riuniti a Roma per un grande convegno. Nel 1487
Innocenzo VIII dichiara eretiche sette di quelle tesi e infondate altre sei, ne vieta la
23
lettura e la stampa e ordina l’arresto del giovane e brillante intellettuale.
Agli inizi del XX secolo Ernesto Bonaiuti, affermato studioso del cristianesimo
primitivo, invita la chiesa romana a riformarsi, tornando al messaggio evangelico
originario. Nel 1926 il Sant’Uffizio emana contro di lui la più solenne delle
scomuniche: lo scomunicato vitando non poteva essere avvicinato dai cattolici,
perché altrimenti venivano anch’essi scomunicati e, se entrava in una chiesa, doveva
esserne subito espulso e il luogo riconsacrato. Privato della cattedra universitaria
perché si era rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al fascismo, Bonaiuti non
sarà riammesso alla docenza dopo la caduta del regime proprio perchè scomunicato.
Se, alla luce di dati storici difficilmente contestabili, la chiesa romana appare
tutt’altro che amica della libera ricerca intellettuale, risulta davvero incomprensibile
l’invito rivolto al massimo rappresentante di un’istituzione che ancora oggi si mostra
tanto ostile nei confronti del libero pensiero. Non è possibile dimenticare, infatti, che
il card. Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, per
oltre un ventennio ha esercitato un ferreo controllo sui teologi cattolici, ridotti a
semplici ripetitori del verbo vaticano.
Da papa, poi, ha esteso il suo raggio d’azione tentando di esercitare, grazie a politici
compiacenti, un potere censorio anche sui pensatori che non dipendono dall’autorità
ecclesiastica. Il 21 settembre 2007, nel corso dell’udienza ai partecipanti all’incontro
promosso dall’Internazionale Democratica di Centro e Democratico-Cristiana (IDC),
presieduta dall’On. Pier Ferdinando Casini, Benedetto XVI ha chiesto infatti ai
presenti di adoperarsi “a far sì che non si diffondano, né si rafforzino ideologie che
possono oscurare o confondere le coscienze e veicolare una illusoria visione della
verità e del bene”.
Una voce privilegiata
Se entriamo, poi, nel merito dell’argomentazione, ci imbattiamo in tre affermazioni
che non sono affatto equivalenti: la ricerca della verità deve svolgersi ‘nel grande
dialogo della sapienza storica’; non deve ‘chiudersi davanti a ciò che le religioni ed
in particolare la fede cristiana hanno ricevuto’; essa, quando ‘diventa sorda al grande
messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un
albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita’. Con passaggi
che possono sfuggire a una prima lettura, il papa in realtà sta operando una reductio
ad unum del tutto ingiustificata. La ragione, infatti, può trovare ispirazione in
diverse tradizioni sapienziali, poetiche e religiose: la mitologia greca, l’induismo, il
buddismo, l’islamismo... che per tanti aspetti non sono convergenti tra loro. La
tradizione cristiana è solo una fra le tante.
Ma lo stesso cristianesimo conosce diverse confessioni: ortodossa, luterana,
calvinista, battista, metodista... Anche in questo caso la tradizione cattolica è solo
una fra le tante. Lo stesso cattolicesimo, poi, ha offerto nel corso dei secoli una
straordinaria molteplicità non solo di interpretazioni del vangelo, di esperienze
spirituali, di scuole teologiche che non è possibile ridurre ad unità, ma anche di
definizioni dogmatiche tra loro incompatibili, come sa chi conosce la storia dei
24
dogmi. Questa enorme varietà di esperienze e di idee pare venga ridotta da
Benedetto XVI a un solo messaggio: la ‘fede cristiana’ come è proposta oggi dalla
chiesa romana.
Anche chi ritiene che la ricerca razionale faccia bene a confrontarsi con la sapienza
storica e a cercare spunti di riflessione nelle tradizioni religiose, non può tuttavia
non chiedersi perché, per non inaridirsi, la ragione debba ascoltare ‘in particolare la
fede cristiana’? Una simile condizione privilegiata rispetto alle altre religioni
andrebbe giustificata con argomenti razionali, cosa che Benedetto XVI non fa. Non
solo: presentandosi come custode del patrimonio sapienziale cristiano, il papa dà
l’impressione che sui punti fondamentali i cristiani siano concordi, il che non è
affatto vero. Cristiani, infatti, sono anche i luterani, che, per esempio, rifiutano l’idea
di legge naturale così cara all’attuale pontefice. Il docile ascolto oggi richiesto da
Benedetto XVI nei confronti delle religioni e in particolare di quella cristiana dovrà
forse essere riservato, quando sarà possibile parlare senza ambiguità, solo alla fede
cattolica e al magistero che ne custodisce il deposito?
Ma se questo insegnamento risulta sempre meno credibile a milioni di fedeli ed è
contestato dagli stessi teologi cattolici - quando non sono messi a tacere - non si
vede perché invece proprio i pensatori contemporanei, anche se non credenti,
dovrebbero accoglierlo ‘criticamente e insieme docilmente’. Non, si badi, vagliarlo
criticamente per accettarlo o rifiutarlo: questo è ovviamente dovere di chiunque sia
seriamente impegnato nella ricerca intellettuale. Accoglierlo ‘criticamente e insieme
docilmente’ significa ben altro: se è possibile metterne in discussione i dettagli, il
nucleo del patrimonio sapienziale della chiesa cattolica per Benedetto XVI va
accettato necessariamente se non si vuole che l’albero del sapere inaridisca.
Forse è proprio questa pretesa di possedere la verità che l’istituzione universitaria –
luogo che dovrebbe essere, al contrario, finalizzato alla ricerca della verità – fatica
ad accettare. Una comunità universitaria, giustamente critica nei confronti di una
religiosità dogmatica, credo che si confronterebbe invece volentieri con un tipo di
religiosità, totalmente assente dall’orizzonte di Benedetto XVI, come quella di
Gandhi. Profondamente religioso, questi era convinto che in tutte le fedi la verità
fosse mescolata all’errore e che gli uomini dovessero cercare il granello di verità
insito in ciascuna di esse.
Consapevole del fatto che la conoscenza progredisce a poco a poco, scriveva sul
settimanale Harijan : “Le opinioni che mi sono formato e le conclusioni cui sono
giunto non sono definitive. Potrei modificarle in qualsiasi momento”(28/3/1936).
Appassionato ricercatore della verità, Gandhi non era affatto un relativista ma si
definiva “un comune mortale che procede dall’errore verso la verità”(ivi 3/6/1939),
e quindi era sempre disposto a mettere in discussione le proprie convinzioni: “Non
posso dare alcuna garanzia che farò o crederò domani quello che faccio o ritengo
vero oggi” (ivi 3/3/1946).
Lontano dal dogmatismo di chi considera i propri testi sacri l’unica autentica
rivelazione divina, affidata alla propria infallibile interpretazione, Gandhi ritiene che
nessuna autorità sia in possesso di un patrimonio di verità che i fedeli debbono
25
accogliere docilmente. La ricerca della verità è compito di ciascuno, e perciò a chi
gli chiede a chi spetti il compito di stabilire quale sia la verità, sul settimanale
Young India risponde: “Tale compito spetta all’individuo stesso”(21/1/1920).
Il meno che si possa dire è che Benedetto XVI non chiarisce affatto per quali motivi
proprio alla fede cristiana nella versione cattolica e non, per esempio, a una
religiosità di tipo gandhiano, assolutamente rispettosa della libera ricerca, dovrebbe
essere riservata dagli studiosi un’accoglienza privilegiata.
Una ragione da purificare
Il papa, infine, afferma di poter parlare anche ai non credenti ponendosi sul piano
dell’argomentazione razionale: ‘come rappresentante di una ragione etica’, egli
intende offrire ‘un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante
per l’intera umanità’. Se il dialogo si svolge sul piano della ragione, perché gli
studiosi, credenti o meno, dovrebbero rifiutarlo? Per un motivo semplicissimo:
perché un vero confronto può realizzarsi solo tra soggetti che si riconoscono come
ugualmente impegnati nella ricerca della verità e tutti disposti a mettere in
discussione le proprie certezze. Non c’è invece alcuna possibilità di dialogo con chi
ritiene che le proprie tesi siano incontestabilmente vere e che chi non le condivide
attenta con ciò stesso alla dignità dell’uomo, essendo con tutta evidenza indotto in
errore da una ragione non sufficientemente pura.
Purtroppo è proprio questa la posizione di Benedetto XVI. Egli infatti ha ribadito più
volte quanto sosteneva nel 2002 come prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede, e cioè che ci sono valori indiscutibili che non sono confessionali in
quanto per essere riconosciuti non presuppongono la professione di fede cristiana,
che la chiesa cattolica tuttavia ha il merito di confermare e tutelare sempre e
dovunque. Ne consegue che le concezioni morali diverse da quella cattolica sono
espressione di un pluralismo etico che testimonia la decadenza e la dissoluzione
della ragione e dei principi della legge naturale (cfr. Nota Dottrinale circa alcune
questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica,
nn 5 e 2).
Quindi l’intangibilità della vita umana dal concepimento al termine naturale, per
esempio, per il papa non è una tesi opinabile ma una verità fondata sulla legge
naturale. Ma come si fa a stabilire che si tratta di una verità e non di una semplice
opinione, dal momento che, se è vero che alcuni pensatori portano argomenti a
favore di questa tesi, è altrettanto vero che altri pensatori ne portano in senso
contrario?
È a questo punto che Benedetto XVI getta sul piatto della bilancia il peso della sua
autorità: vera è la tesi che appartiene a una lunga tradizione di saggezza morale, di
cui il papa è in qualche modo il ‘rappresentante’. Questa mossa, però, sposta il
livello del dibattito: non siamo più su un piano puramente razionale, in cui una tesi
vale quanto valgono gli argomenti che la supportano. Siamo su un altro piano:
infatti, per vedere proprio nel vescovo di Roma il custode di ‘un tesoro di
conoscenza e di esperienza etiche’ è necessario un atto di fede, e non una fede
qualunque ma specificamente cattolica, e per giunta di tipo tradizionale.
Né sembra sufficiente a giustificare la fiducia nel papa quale garante della verità
26
etica l’argomento per cui protagonisti del dibattito pubblico sono prevalentemente i
partiti politici che, mirando a conseguire la maggioranza in parlamento, tendono a
preoccuparsi più di interessi particolari da soddisfare che del bene oggettivo da
salvaguardare, sicché “La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta
dalla sensibilità per gli interessi”. Per riconoscere che i partiti sono mossi spesso
dalla leva dell’interesse basta infatti l’uso della ragione, ma per credere che il
Vaticano sia sempre mosso dalla sensibilità per la verità occorre una fede addirittura
cieca!
In effetti, sebbene Benedetto XVI voglia far mostra di parlare in nome della ragione,
la sua impostazione implica indubbiamente delle premesse che esulano dal piano
razionale. Essa, infatti, presuppone una tesi che il papa dà per scontata ma che
scontata non è: la fede cristiana, è ‘una forza purificatrice per la ragione stessa, che
aiuta ad essere più se stessa’. Dietro quest’affermazione c’è evidentemente la
dottrina del peccato originale, che avrebbe ferito la natura umana, sicché oggi
l’uomo, facile preda dell’errore, può trovare soccorso, anche per quanto riguarda le
verità naturali, nella rivelazione divina custodita dalla chiesa.
Ora, che la ragione umana sia fallibile è assolutamente certo: la tesi, invece, che la
fede risani i guasti di un’umanità segnata dal peccato originale - la cui storicità si
basa del resto su una discutibilissima interpretazione della Bibbia - è tutta da
dimostrare, e non pare che la storia della chiesa possa confermarla. Basti pensare a
grandi teologi cattolici, come Tommaso d’Aquino, per i quali l’inferiorità della
donna e la schiavitù sono realtà iscritte nella natura, o a papi come Innocenzo IV,
che autorizzano nei tribunali dell’Inquisizione l’uso della tortura. Tali idee non sono
certo sostenute oggi dal magistero ma non possono essere giustificate ricordando che
i loro autori, la cui ragione era certamente purificata dalla fede, subivano i
condizionamenti del loro tempo: bisognerebbe altrimenti riconoscere che simili
condizionamenti potrebbero esserci anche oggi, con conseguenze devastanti per chi
pretende di purificare la ragione altrui.
È evidente, in ogni caso, che l’idea che una ragione non animata dalla fede cattolica
sia particolarmente esposta all’errore rende impossibile un confronto paritetico, e
non solo con il pensiero laico, irrimediabilmente inficiato dal suo relativismo, ma
anche con le altre religioni e persino con le altre confessioni cristiane. Del resto, la
Dichiarazione Dominus Jesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo
e della Chiesa, firmata nel 2000 dal card. Ratzinger come prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede, afferma ciò esplicitamente. La parità vale
per le persone ma non per le convinzioni, che non stanno affatto sullo stesso piano:
“La parità, che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle
parti, non ai contenuti dottrinali” (n 22).
Alla luce di queste considerazioni, pare del tutto comprensibile l’inopportunità di
offrire, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, una nuova tribuna per
affermare le sue posizioni dogmatiche a un’autorità che ancora oggi, come scriveva
Gilson riferendosi al medioevo, mira a instaurare ‘una vera teocrazia intellettuale’ e
che, con sovrano sprezzo del ridicolo, nel corso dell’Angelus del 20 gennaio a
piazza S. Pietro, ha avuto il coraggio di invitare i «cari universitari ad essere sempre
rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare [...] la verità e il bene».
L’università, se è luogo di libera ricerca e di confronto rispettoso non solo delle
persone ma anche delle tesi sostenute dai vari interlocutori, è incompatibile con
27
maestri che presumono di possedere essi soli la verità. E simili maestri, oltretutto,
pare che non siano apprezzati neanche da Gesù di Nazaret che, stando a Matteo 23,
6-10, criticava gli scribi e i farisei che “amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi
nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ‘rabbì’ dalla
gente. Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro maestro e voi
siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ‘padre’ sulla terra, perché uno solo è il
Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ‘maestri’, perché uno solo è il
vostro Maestro, il Cristo”.
(fonte www.italialaica.it (15-5-2008))
* Elio Rindone, nato a Palermo il 4/6/1944, docente di storia e filosofia in un liceo classico di
Roma, ha conseguito il baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense e,
nei tre anni successivi, ha condotto un lavoro di ricerca sul pensiero antico e medievale in
Olanda presso l’Università Cattolica di Nijmegen. Tra le sue pubblicazioni: L’ispirazione
della S.Scrittura dal Vaticano I al Vaticano II (Centro di formazione cristiana, 1982), Attualità
del pensiero greco. Quattro saggi (Centro di formazione cristiana, 1985), Per comprendere
l’eucarestia (Edizioni Augustinus, 1989), Ma è possibile essere felici? (Il Pozzo di
Giacobbe,2004), oltre a vari articoli su Aquinas.Rivista internazionale di filosofia, Critica
liberale, Il Tetto e sul sito www.ilgiardinodeipensieri.com
* (fonte: Noi Siamo Chiesa)
28
ELUANA E… LE ALTRE
La scorsa estate una coppia di rondini aveva ristrutturato sotto il portico un vecchio
nido e vi aveva deposto le uova. Sapemmo della schiusa quando vedemmo i genitori
alternarsi freneticamente nel portare il cibo e udimmo un debole pigolio. Già
aspettavamo di vedere i piccoli, quando un mattino sotto il nido scorgemmo cinque
cadaverini implumi. Per qualche motivo ( forse la stagione avanzata o la presenza di
qualche animale indesiderato ) i genitori avevano buttato i loro piccoli. E’ uno tra i
tanti casi di eutanasia attiva nel mondo animale di cui parlano i naturalisti. Gli
animali sanno che cosa è vita.
Si dirà che l’uomo non è una bestia. D’accordo, ma … Nei diari di guerra della
ritirata di Russia si legge che talvolta, un soldato, non accettando di lasciare il
commilitone, con i piedi congelati, solo nella neve, gli sparava il colpo di grazia.
Non mi consta che, tornato in patria, sia stato condannato per omicidio da qualche
tribunale civile o militare, né che gli siano stati negati i sacramenti dalla chiesa.
Ergo, in alcuni casi si può uccidere per pietà.
Si obbietterà che non bisogna pensare con la pancia ma occorre lucida razionalità,
soprattutto in casi ove si tratta della vita. Giusto, ma … è poi così sensato escludere
il cuore o il buon senso o il comune sentire ? Proviamo, tuttavia, ad ascoltare la
voce della ragione, della scienza che, sull’argomento, ha incominciato a parlare fin
dal 1950. Si distinguono quattro stadi di vita vegetativa: si parla di morte cerebrale,
di stato vegetativo vero e proprio, stato di coscienza minima e condizione di chiuso
dentro. Ne parla con competenza Gilberto Corbellini su IL SOLE 24 Ore di
domenica 3 agosto in un articolo cui rimando il lettore. Il tratto comune ai quattro
stadi è l’incapacità del paziente di sopravvivere senza l’artefatto, cioè senza la
macchina. Nello stadio di coscienza minima si ha, inoltre, consapevolezza della
sofferenza che, perciò, diventa atroce. La condizione di chi vive con la macchina e
per la macchina è un simulacro di eternità, entro i miserabili confini di uno spazio
nutritivo- terapeutico che non è ospedale, né casa, né cella, né culla, né tomba, ma
soltanto un’agghiacciante metafora del nulla ( Guido Ceronetti, sullo stesso
numero de Il SOLE 24 Ore)
Un altro pensiero si affaccia alla mente, terribile: l’avanzata prepotente del business:
ve le immaginate le cliniche della sopravvivenza, le aziende della tecnica della vita (
surrealista commistione di parole ), gli ultimi ritrovati delle protesi psico-corporee,
una vera manna per la disoccupazione medica e per gli improvvisati padri spirituali
alla Giuliano Ferrara ?
Dice di non vedere con lo stesso occhio chi ha il dono della fede. La vita precede
qualsiasi diritto di disporne. E’ un ritornello che risuona ormai come un disco rotto,
che fugge davanti alla realtà, anzi la mistifica, perché nessuno obbligherebbe
nessuno a staccare la spina ma metterebbe colui che lo desidera al riparo dalle
29
conseguenze penali. La vita ad oltranza non denota, al contrario, una vera mancanza
di fede nella vita oltre la vita ?
Vorrei, infine, cancellare ogni dissimulazione, ogni perbenismo totemico. Si
racconta che negli ultimi giorni di Papa Giovanni Paolo II, si prospettava una terza
ospedalizzazione. Il papa pose ai suoi consiglieri la domanda: -Che cosa trarrò da
tale espediente ? - Da due a quattro settimane di vita in più fu la risposta brutale –
Non se ne parla nemmeno fu la conclusione altrettanto spietata del papa. Fra la
decisione di Pier Giorgio Welby che stacca la spina e quella di Karol Woijtyla che
rifiuta il ricovero non vi è differenza di sostanza. In entrambi i casi si è permesso che
la natura facesse il suo corso.
Il resto sono quisquilie.
Carlo e Luciana Vaj, [email protected]
LA QUESTIONE CATTOLICA
Fra le tanti questioni che affliggono il nostro paese c’è anche la questione cattolica.
In nessun’ altra nazione del mondo il cattolicesimo è diventato un problema.
Semmai altre religioni sono state all’origine di difficoltà: così la minoranza
protestante nella cattolica Irlanda o la minoranza cristiano-maronita nel Libano
islamico.
Ma una questione cattolica no, in nessun paese occidentale, né in Europa né in
Nord-America né in America Latina. Soltanto in Italia, che pure viene definita da
molti studiosi delle religioni “il giardino del papa” in quanto sede storica del
Vicario di Cristo in terra.
Forse proprio per questo esiste in Italia una questione cattolica ignota in altri
paesi: è un nostro privilegio ma anche una nostra croce della quale faremmo
volentieri a meno. In tempi di monarchia i re di Francia venivano chiamati “maestà
cristianissima” e i re di Spagna “maestà cattolica”. Il re d’Italia invece non è mai
stato definito sulla base della religione probabilmente perché i papi l’hanno sempre
considerato un usurpatore , almeno fino al Concordato del 1929.
Ma anche nell’Italia concordataria e repubblicana continua ad esistere una
questione cattolica. Esiste per i cattolici e per i laici, per lo Stato italiano e per il
Vaticano.
30
Oggi questo problema è diventato più che mai acuto perché mai la Chiesa ha
avuto tanto potere, neppure quando la Democrazia cristiana governava. Neppure
allora la Chiesa, il Vaticano, la Santa Sede, la Conferenza episcopale italiana hanno
avuto il potere che hanno oggi.
Naturalmente questa affermazione va dimostrata ed è quello che ora proverò a fare
cominciando con l’aspetto più vistosamente materiale del problema e cioè con i
benefici economici che la Chiesa riceve dallo Stato italiano.
Il nucleo centrale del sostegno finanziario che lo Stato offre alla Chiesa è
costituito dal famoso otto per mille prelevato dall’erario sull’imposta personale di
tutti i contribuenti e destinato in larga misura al finanziamento delle parrocchie e di
altre istituzioni ecclesiastiche secondo criteri decisi dalla Conferenza episcopale cui
il gettito di questo prelievo viene versato. Si tratta di oltre un miliardo di euro, una
cifra che è in assoluto la più elevata tra quelle destinate da paesi e governi cattolici
europei al sostegno dei preti con cura di anime.
La Chiesa italiana è infatti la più ricca di tutte le Chiese cattoliche nazionali, al
punto di poter effettuare prestiti alle consorelle che versano in difficoltà e a poter
stanziare cospicui contributi a fondo perduto per Chiese di paesi africani e asiatici
nonché per iniziative missionarie in varie zone del mondo.
Ma il sostegno finanziario non si esaurisce all’otto per mille: vanno messi in conto
una serie di sgravi fiscali in favore di iniziative anche commerciali di enti religiosi, il
finanziamento di scuole cattoliche, il finanziamento dell’insegnamento cattolico
nelle scuole pubbliche, la manutenzione e il restauro di opere d’arte disseminate
nelle chiese italiane e di loro proprietà.
Il complesso di queste provvidenze arriva ad una cifra complessiva che supera i
sei miliardi di euro, ma non esaurisce questa complessa materia, come documenta il
libro “La questua” di Curzio Maltese di recentissima pubblicazione.
Non era mai accaduto prima che la Chiesa avesse tanti doni da uno Stato.
La prospettiva a breve termine è di un ulteriore e cospicuo aumento di tali benefici
con le conseguenze che ne derivano sul potere complessivo della gerarchia
ecclesiastica nel nostro paese.
Eugenio Scalfari
(fonte: L’espresso del 26.06.08)
.
31
CELEBRAZIONE DEL XXX DI VOCATIO
ROMA 5, 6, 7 SETTEMBRE 2008
1.
RELAZIONE INTRODUTTIVA STORICO – TEOLOGICA DI
LORENZO MAESTRI
Il presidente Mauro Del Nevo, aprendo il convegno, saluta tutti i presenti,
annuncia che per motivi di salute lascia la presidenza dell’Associazione
VOCATIO e comunica che ha dato incarico a Lorenzo Maestri, direttore della
rivista di VOCATIO, di tenere la relazione storico-teologica di questi 30 anni di
Movimento.
Maestri prende la parola, e dopo aver invitato l’assemblea a un minuto di silenzio
per ricordare la morte, nel mese di agosto, di Umberto Lenzi, prete sposato
americano ma di origine del Trentino e che sempre è stato molto vicino a
VOCATIO, e dopo aver letto una lettera molto significativa di un prete sposato di
Torino (che viene pubblicata a pag. 48) inizia la sua relazione, divisa in quattro
parti: la storia, la teologia, la prassi, il futuro.
1)
la storia
“Dalle oltre 500 lettere che VOCATIO ha nel suo archivio abbiamo i documenti che
la nascita dell’Associazione risale al 1978: nasce per merito di una piccola rivista
DIMENSIONI SACERDOTALI che viene spedita gratuitamente a tutti i parroci
italiani da un gruppo di preti che si incontrano a Bologna in un locale messo a
disposizione da Antonio Monti che finanzia anche le prime attività del gruppo di cui
segretario è Aldino Ricci. La mente teologica è Piero Barbaini, ex-prete e ordinario
di Storia all’Università di Parma (non prete sposato). Non dimentichiamo anche la
presenza assidua di Michele Campanozzi.
VOCATIO tiene il suo primo congresso a Roma il 29 giugno 1982 (SS.Pietro e
Paolo). Nel secondo congresso sempre a Roma nel 1984, vengono precisate le linee
fondamentali di VOCATIO poi riassunte nella sua carta d’identità e pubblicata nel
primo Numero della nuova rivista SULLA STRADA: anno 1987.
In questi anni VOCATIO insieme con ORMA (l’altra associazione dei preti
sposati italiani) organizza il primo congresso della FEDERAZIONE
INTERNAZIONALE DEI PRETI SPOSATI che si tiene in Ariccia (Roma) nel 1985
(sono presenti 14 associazioni Europee, una associazione del Nord-America e una
del Sud-America).
Nel 1993, il nostro storico e teologo PIERO BARBAINI, dopo 15 anni di
VOCATIO, pubblica in SULLA STRADA (n.28/93) un breve bilancio e a pg.61
così leggiamo:” Dopo quindici anni di percorso e di condivise esperienze si
impongono alcune riflessioni sulla possibilità di consolidamento e di rilancio delle
nostre scelte, sulla validità ed efficacia degli strumenti operativi di cui ci siamo
dotati.
1Il prete che si lega per amore con una donna, il prete che si sposa, ma più
incisivamente la crisi di identità complessiva del prete nella chiesa e nella società
32
contemporanea, rimangono il dato storico, sociale ed ecclesiale da cui nasce
VOCATIO. Questa radice non va mai velata, messa in secondo piano.
Geneticamente il Movimento si riproduce attraverso questo dato di fatto.
2Tuttavia l’orizzonte in cui sfocia questa presa di coscienza della propria
crisi, non si riduce affatto all’intento di traghettare il prete sposato nella chiesa
istituzionale, bensì nel diventare soggetto provocatore di un rinnovamento
dell’esperienza di fede e di una rifondazione dell’aggregazione cristiana. Questo
salto qualitativo del nostro percorso configura l’identità profonda di VOCATIO, e
ne costituisce la specificità, rispetto ad altri movimenti affini.
Constatiamo oggi che questa fisionomia del Movimento è stata determinante nello
sciogliere molteplici ambiguità durante il passato quindicennio, anche se ribadiamo
il proposito di rispettare le scelte altrui, e comunque di sollecitare il confronto e la
solidarietà verso quegli obiettivi che vengono ritenuti condivisibili”.
A me sembra che queste parole di Barbaini siano ancora valide in questo 2008.
2)
la teologia
In questi 30 anni, nei vari Movimenti italiani e internazionali, e quindi anche in
VOCATIO, sono quasi sempre state presenti due anime:
la prima a cui interessava solo il matrimonio del prete (i discorsi su una
chiesa più evangelica, meno gerarchica, meno imbottita di dogmi, inventati dal
potere ecclesiastico, vedi per es.l’infallibilità, i sette sacramenti…fino al secolo XII i
sacramenti erano solo due…la transustanziazione, la successione apostolica,
ecc…non interessano), e quindi quest’anima aspetta solo un reinserimento in questo
tipo di chiesa com’è attualmente.
la seconda anima, oltre a un celibato non più obbligato, porta avanti anche
il discorso di un rinnovamento della chiesa, più evangelica, meno gerarchica…una
chiesa “altra”, diversa, dove siamo tutti fratelli…una chiesa dove i preti non sono
una casta sacerdotale di potere, ma svolgono una funzione, un ministero…(pensiamo
alla lettera 1 Cor.12:” ci sono vari carismi, quello delle guarigioni, quello della
presidenza, quello della parola, quello della sapienza, quello della
profezia,ecc…come in un corpo umano ogni membra ha la sua funzione…). Una
chiesa dove l’eucarestia, il pane veniva spezzato nelle case private (vedi Vogelsdoc. di Maguzzano) e la presidenza era del paterfamilias…
VOCATIO ha sempre dato più importanza alla seconda anima, ma ha sempre avuto
rispetto per coloro che la pensavano in modo diverso
Per dimostrare il valore di questa seconda anima non dimentichiamo i relatori
dei molti nostri congressi del passato: Franco Barbero, Ortensio Da Spinetoli, ecc
Citiamo per esempio il congresso di Ariccia (1991) e il relatore Piero Barbaini in
cui diceva:”…che la chiesa nella sua storia ha inventato dogmi per difendere la sua
struttura di istituzione: cioè l’impianto ideologico-dogmatico della chiesa cattolica
nei suoi canoni emergenti non era finalizzato a far crescere le coscienze nella
sequela di Gesù, bensì a garantire l’apparato nella sua forma di potere”.
Importante anche citare Salvatore Loi , nel medesimo congresso di Ariccia, in cui
diceva :”…il sistema sacro/profano ha condizionato la terminologia e la sostanza
del dato rivelato anche e, forse, soprattutto attraverso l’interpretazione sacerdotale
del ministero ordinato. Mentre è ormai assodato che mai il Nuovo Testamento usa
termini sacerdotali per indicare i ministri della chiesa, ben presto il ministero degli
episcopi-presbiteri fu interpretato con termini sacerdotali, prima in forma
33
metaforica(Clemente Romano, Didachè), poi, a partire dal III secolo, in modo
reale”.
Loi, continuando il suo discorso si esprime in questi termini:”Dopo le timide e
ambigue aperture del Concilio Vaticano II, l’ideologia del sacro e del profano con
cui faceva corpo la concezione sacerdotale del ministero, fu messa in crisi
dall’esegesi biblica e dalla teologia, compresa, quella cattolica. Si vide con molta
chiarezza che non si conciliava con il messaggio cristiano, per il quale non esistono
né spazi, né tempi, nè individui sacri di fronte a un mondo vuoto di Dio.
Tutta la creazione prende essere da Dio e da Lui è continuamente sostenuta.
Cristo e la Chiesa come assemblea di credenti sostituiscono il tempio: e, più in
generale, l’uomo che adora in spirito e verità è l’autentico luogo di Dio. Non c’è
separazione tra tempo di Dio (storia della salvezza) e tempo dell’uomo (storia
profana) come non c’è separazione in Gesù tra divino e umano: nella sua persona
e nella sua storia Dio si è fatto veramente carne.
Non esistono in particolare persone sacre che abbiano esclusivo accesso a Dio.
Cristo è venuto ad abolire il muro di separazione tra gli uomini affinché tutti
fossimo riconciliati con Dio e avessimo accesso a Lui con piena fiducia (cfr.Ef.2,18;
3,12; Rom.5,1).”
Loi concludendo la sua relazione, dice che:”…sotto il papato di Giovanni Paolo
II è ritornato lo schema sacro-profano e quindi è ritornata la concezione
sacerdotale del ministero presbiterale” e cita il card. Ratzinger che nella sua
relazione al sinodo dei vescovi che aveva come tema la formazione dei sacerdoti nel
mondo contemporaneo fa continuo riferimento al Concilio di Trento.
Anche il nuovo codice di diritto canonico (1983) testimonia la ripresa della
visione sacra del ministero ordinato, che viene qualificato più volte come sacro
(cfr.cc.232,233,256)”.
(Queste due relazioni integrali si possono trovare in SULLA STRADA n.20/1991)
Oggi, dopo 30 anni, dobbiamo constatare che le due anime sembrano avvicinarsi: in
Italia il movimento ORMA è scomparso con la morte di Paolo Camellini; a livello
internazionale mi sembra che la federazione Nord-Atlantica parli di ministeri
nuovi(vedi congresso di Vienna 2008). Su questo punto ci potrà dare qualche
informazione il rappresentante della Federazione Europea, Paul Bourgeois, che è qui
presente e a cui dopo daremo la parola.
3)
la prassi
Le idee camminano sulle gambe degli uomini, quindi non possiamo dimenticare le
divisioni anche all’interno di VOCATIO. Però mi sembra di dover constatare in
piena coscienza che queste divisioni sono avvenute più per motivi caratteriali delle
persone che per motivi ideologici: qui sono costretto a citare DREWERMAN, che
ha scritto, nel suo libro fondamentale I FUNZIONARI DI DIO :”…i preti sono come
i treni…ognuno va sul suo binario…”.
In termini scientifici, scrive Drewerman, i preti hanno un grande super ego, cioè
vogliono il potere, vogliono essere sempre i primi, mai i secondi, commettono errori
infantili enormi e non li riconoscono, perché loro non sbagliano mai, ecc.ecc.
Con queste persone è impossibile lavorare insieme…ognuno va per la sua
strada…sono fattori di psicanalisi.
34
4)
il futuro
Bisogna superare queste debolezze umane…ognuno deve portare il suo
mattone…SPERARE CONTRO OGNI SPERANZA…la nostra vita deve essere
spesa…spezzata…affinchè più nessuno abbia a soffrire quello che abbiamo
sofferto noi…QUESTO E’ IL SENSO DELLA VITA…questa è la nostra eucaristia
di tutti i giorni!
In concreto dobbiamo unire tutte le forze per due scopi principali: 1) l’abolizione
della legge del celibato obbligatorio, 2) costruire una chiesa”altra”, diversa, più
evangelica, dove veramente siamo tutti fratelli, dove non ci sono più i capi, i capetti,
ecc.
IN CONCRETO:
prendere atto che questa chiesa gerarchica è matrigna (Papa Montini, uno
dei papi più intelligenti di questi ultimi anni – basta ricordare che concedeva a tutti
la dispensa ai preti che facevano domanda a Roma…11.000 domande…11.000
dispense… - eppure nella storia è conosciuto come il papa che ha definito gli expreti come Giuda…traditori…ma quale tradimento?…quella di aver rotto una legge
ecclesiastica che va contro al progetto di Dio:” Non è bene che l’uomo sia solo…”).
Prendere atto che è in corso una nuova Inquisizione con i guanti di velluto:
non dimentichiamo il caso Valsecchi, professore di teologia morale alla facoltà
teologica di Milano (gli tolgono la cattedra perché ha osato criticare la Humanae
Vitae). Non dimentichiamo come è stato trattato don Milani, cacciato a Barbiana e
muore a 42 anni..Non dimentichiamo come è stato trattato Leonardo Boff: messo
sotto torchio dal card. Ratzinger, castigato con un anno di silenzio assoluto, lui che
aveva scritto…preferisco camminare con la mia chiesa che con la mia
teologia!…Come è stato trattato don Franco Barbero, condannato senza possibilità di
ricorrere in appello…Pensiamo agli 8.000 preti sposati decaparesidos…alle 30.000
suore … uscite dai conventi e scomparse nel nulla…Esiste un SILENZIO
PESANTE , controllato dal potere ecclesiastico, su ogni caso di defezione da parte
di preti, suore, religiosi, ecc.
NOSTRO COMPITO E’ ROMPERE QUESTO SILENZIO: non
dimentichiamo quello che ha scritto Martin Luther King:”…non ho paura della
violenza dei criminali, ma del silenzio degli onesti…”. Non dimentichiamo quello
che dice la Bibbia..il silenzio è corresponsabilità (Ez.33, 7-9)
Papa Ratzinger è peggio di Wojtyla: non dimentichiamo che il card.
Ratzinger era in chiaro contrasto con papa Wojtyla quando chiedeva perdono per i
peccati della Chiesa. Dobbiamo smetterla anche di chiamare papa Ratzinger , grande
teologo, …sono 40 anni che non studia più teologia (basta guardare il suo
documento sulla Formazione dei preti nel mondo contemporaneo…continua a citare
il Concilio di Trento, 1500…).
IN PARTICOLARE DOBBIAMO ESSERE UNITI IN ALCUNE LOTTE
a)
Denunciare la legge ecclesiastica del celibato obbligatorio che va contro il
progetto di Dio:”Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia
simile”.
b)
Denunciare l’ipocrisia della gerarchia ecclesiastica cattolica che obbliga il
prete sposato ad abbandonare il suo ministero, mentre vescovi e preti che hanno due
o tre donne, ma tutto clandestino, continuano tranquillamente il loro ministero.
35
c)
Denunciare la pedofilia del clero, autentica conseguenza della repressione
sessuale imposta col celibato obbligatorio. Questa pedofilia del clero, arrivata a
fatica sui giornali è solo la punta di un grande iceberg.
d)
Denunciare questa chiesa istituzionale matrigna, che ogni giorno proclama
la sacralità della vita fin dal grembo materno, e poi getta sulla strada un prete
sposato con la moglie incinta al sesto mese, togliendogli la cattedra di religione,
perché è un prete sposato.
CONCLUSIONE: HO UN SOGNO
UNA CHIESA “ALTRA”, DIVERSA, una chiesa in cui siamo tutti fratelli, una
chiesa senza preti, una chiesa senza gerarchia, senza mediatori, dove si realizza la
parola di Gesù di Nazareth:”…dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in
mezzo a loro” (Mt.18,20).
Dove :” …il vero Dio si adora né nel tempio di Gerusalemme, né sul monte
Garizim, ma in spirito e verità” (vedi la pagina della samaritana – Gv., cap.4)
Dove:”… si spezza il pane nelle case private…” (Atti 2,42; Atti 2,46)
Dove, veramente si realizza la pagina della prima lettera alla chiesa di Corinto cap.
12:”…Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di
ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è
Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare
dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio
della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio della
scienza…a un altro il dono delle guarigioni…il dono della profezia…Ma tutte
queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno
come vuole”. (I Cor, 12).
Infine non dimentichiamo che il Gesù dei Vangeli non solo era estraneo al mondo
sacerdotale del suo tempo, ma era avversario ( vedi la parabola del buon
samaritano – Lc.10,25 – o meglio ancora vedi la condanna a morte di Gesù a firma
dei sacerdoti del suo tempo – Lc.19,47 ss. – Mc. 11,15ss. - Gv. 11,47ss.).
36
2.
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “PRETI SPOSATI NELLA
CHIESA CATTOLICA”
DA PARTE DI MAURO
CASTAGNARO A NOME DEL MOVIMENTO “NOI SIAMO
CHIESA”
Mauro Castagnaro ha curato questo libro cercando la collaborazione di teologi e
teologhe, preti sposati, preti ortodossi, pastori della Chiesa Riformata, etc.
Ne è uscito un testo (290 pg.) a firma di quattordici autori. In frontespizio
troviamo questa scritta:”Pagine altre… lungo i sentieri della differenza
e subito dopo la dedica A Giuseppe Barbaglio , noto biblista e prete sposato, morto
il 28 marzo 2007 .
Le prime 38 pagine sono a firma di Rinaldo Fabris, docente di Esegesi del Nuovo
Testamento alla Scuola teologica del seminario di Udine, Trieste e Gorizia e
presidente dell’Associazione biblica italiana. L’autore scrive in modo chiaro e
inequivocabile che in tutto l’Antico Testamento i sacerdoti erano sposati: l’unica
condizione posta era quella di non sposare una prostituta:”…I sacerdoti saranno
santi…non prenderanno in moglie una prostituta o una donna già disonorata…”
(Lv.21,8).
Nel Nuovo Testamento, continua l’autore, solo le lettere pastorali parlano dello
stato di vita dei vescovi, presbiteri e diaconi e del rapporto tra ministero e
matrimonio, e in modo chiaro sta scritto a pg.41 :”…il vescovo sia irreprensibile,
non sposato che una sola volta…sappia dirigere bene la propria famiglia, perché se
non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa?”.(I
Tim..3,2 ss.).
Fabris continua a pg.43 che nella lettera a Tito si traccia il profilo dell’episkopos
e del presbyteros e troviamo scritto:”…il candidato deve essere irreprensibile,
sposato una sola volta…” (Tito 1,6).
L’autore fa capire, in tutto il suo intervento, che se la gerarchia cattolica in altre
pagine del Nuovo Testamento (come per esempio la pagina degli “…eunuchi per il
regno dei cieli…”) ha pensato bene di trovare la prova provata del celibato per i
preti, ha commesso un errore di interpretazione , perché il tema di quella pagina non
era il celibato, ma se il marito poteva ripudiare la moglie (questa era la questione
posta dagli apostoli a Cristo). Nel lavoro di esegesi è necessario prestare molta
attenzione al contesto!
Giovanni Cereti, presbitero, docente di Teologia ecumenica all’Istituto di studi
ecumenici “San Bernardino” di Venezia, nel suo intervento da pg.49-68, parla delle
origini del celibato che sono note a tutti: a) il tabù del sesso è di origine pagana, vedi
le Vestali e il fuoco sacro…
b)
una delle cause fondamentali sono state certamente le correnti filosofiche
greco-ellenistiche, manichee, per cui nella fondamentale antitesi tra carne e spirito,
la carne doveva essere mortificata per esaltare lo spirito e il matrimonio era definito
“obscoenis cupiditatibus inhiare” cioè stare attaccati a oscene cupidità ( papa
Siricio, anno 384,Dz.89); correnti filosofiche che hanno trovato terreno molto fertile
in S.Agostino, S.Gerolamo,ecc.
c)
un altro motivo fondamentale e molto utile alla gerarchia ecclesiastica è
quello di avere persone disponibili a tempo pieno e senza oneri familiari
d)
infine, l’autore ricorda i motivi economici, di potere, di carattere storico,
durante la lotta delle investiture tra Papato e Impero per cui i patrimoni terrieri,
37
enormi, della Chiesa, non dovevano essere divisi nelle successioni ereditarie tra i
figli dei vescovi e dei preti..
Serena Noceti, ecclesiologa, docente di Teologia sistematica all’Istituto superiore di
scienze religiose “Beato Ippolito Galantini” di Firenze e componente del Consiglio
di presidenza dell’Associazione teologica italiana, nel suo intervento pg.87-99,
sottolinea l’importanza di “desacralizzare” il presbitero. Scrive:” Gli studi storici
correlano il primo affermarsi della lex continentiae e del celibato per i ministri
ordinati a quel graduale processo di sacerdotalizzazione e sacralizzazione del
ministero che ha interessato la Chiesa fra il III e il VI secolo. In questo periodo si
assiste alla progressiva marginalizzazione di quella novità radicale di un “sacerdozio
dell’esistenza”, che chiede di rendere culto a Dio nel dono di tutti se stessi per amore
(Rm 12,1-2) e si configura come un “adorare Dio in spirito e verità” (Gv 4), che
svuota la tradizionale contrapposizione divisa tra sfera sacra e sfera profana, tipica di
ogni religione, e che è al cuore del riconoscimento neo-testamentario di Gesù
sacerdote nel dono della sua vita (Lettera agli Ebrei) e del popolo di Dio investito di
una funzione sacerdotale-regale (I Pt 2,4-10).
L’autrice sottolinea:”…Ricominciare a ordinare uomini sposati aiuterebbe a
comprendere la storicità delle forme ministeriali, ad attestare la non storicità di una
Chiesa che, per opera dello Spirito Santo, continuamente è rinnovata perché adempia
la sua missione messianica.”… e conclude:”…Ritornare alle motivazioni che hanno
portato alla introduzione del celibato e a un cambiamento nella prassi originaria e
accogliere le preoccupazioni per la vita di una Chiesa ad esse sottese aiuterebbe a
cogliere e accettare come oggi la stessa volontà di Chiesa e gli stessi bisogni
profondi chiedano una ulteriore trasformazione di questa legge ecclesiastica
secolare, che la nuova visione di ministero consegnata dal Concilio Vaticano II
permetterebbe e che l’attuale situazione di troppe comunità cristiane senza eucaristia
richiede con urgenza”.
Heinz-Jurgen Vogels, prete sposato tedesco, teologo, nel suo intervento pg.69-86
sottolinea il …”diritto degli apostoli di condurre con sé la sposa (1 Cor 9,5) diritto
conferito da Cristo e non può essere abrogato dal legislatore ecclesiastico”.
Scrive l’autore:”…Oggi gli esegeti sono d’accordo che la sorella di cui parla il testo
di Paolo è una cristiana e che la donna è la sposa, la quale gli altri apostoli , i
fratelli del Signore , Simone e Giuda Taddeo e Cefa Pietro di fatto hanno condotto
con sé e Paolo e Barnaba avrebbero potuto condurre a loro volta se l’avessero
voluto” (Il diritto delle comunità ad un prete in conflitto con l’obbligo del celibato,
in “Concilium”,3,1980, H-J Vogels) .
L’autore continua citando il Concilio Vaticano II in cui uno dei padri conciliari il
card. Julius Dopfner, arcivescovo di Monaco di Baviera, nel suo intervento del 15
ottobre 1965 si domandava in quale modo un dono di grazia, “che il Padre concede
ad alcuni”, come afferma il n.42 della Lumen Gentium, rifacendosi a Mt 19,11 e 1
Cor 7,7, possa essere imposto come obbligo a tutti i preti”.
Rosario Mocciaro , prete sposato, della comunità di base di San Paolo a Roma e
docente di Psicologia dello sviluppo alla facoltà di Psicologia dell’Università “La
Sapienza” di Roma, nel suo intervento pg. 161-168, ricorda alcuni fatti che non
favoriscono molte speranze e scrive:”…il clamoroso stop imposto da papa Montini
al dibattito appena iniziato durante l’ultima sessione del Concilio Vaticano II è
l’esempio più eclatante di una serie di interventi inibitori della Curia romana
38
finalizzati a chiudere qualsiasi spiraglio che possa significare, anche solo
indirettamente, l’avvio di un nuovo corso in materia”.
E Mocciaro non dimentica:”…la sottile apertura del cardinale Claudio
Hummes…il quale, appena nominato da papa Ratzinger prefetto della
Congregazione per il Clero, si era lasciato sfuggire qualche espressione meno rigida
a proposito della possibilità di ordinare persone già sposate: nel giro di 24 ore quelle
dichiarazioni, riprese da tutta la stampa internazionale come il possibile segnale di
inizio di un nuovo corso col pontificato di Benedetto XVI , sono state drasticamente
ridimensionate”.
Giovanni Monteasi, prete sposato, segretario di Vocatio e direttore dell’Ufficio di
pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Sessa Aurunca, portando la sua
esperienza, a pg.183 cita subito il grande teologo K.Rahner:” Se finora, nella Chiesa
l’istituzione si è protetta dagli abusi possibili della libertà e del carisma, oggi
incombe l’impegno di proteggere la libertà e il carisma dagli abusi dell’istituzione”.
Più avanti scrive:”…Il presbitero che lascia il tempio per mettersi sulla strada che
porta verso Gerico assieme a una donna per aiutare l’uomo sofferente è ritenuto
dalla gerarchia ecclesiastica un traditore, ma non lo è. Esiste, infatti, una fedeltà a
Dio che non può essere ricondotta all’autorità della Chiesa”.
Più avanti Monteasi scrive:”…La concezione secondo cui l’obbedienza alla
volontà di Dio passa attraverso l’autorità dei superiori ha provocato molte volte
gravi danni di coscienza e spesso drammi irreparabili”.
Concludendo il suo intervento Monteasi cita Carlo Carretto:”…Quale è stata la
volontà di Dio nell’istituzione dell’eucaristia? Cristo aveva detto – fate questo in
memoria di me – o – siate celibi?”. Allora come è possibile che per il solo fatto di
essere sposati, l’autorità ecclesiastica neghi la possibilità di consacrare il corpo di
Cristo nell’assemblea dei fedeli?”.
Ausilia Riggi, già suora e vedova di don Giacomo Pignata, fa parte del
Coordinamento delle teologhe italiane e dell’Associazione “DONNE CONTRO IL
SILENZIO” , chiude il volume dopo altri sette autori di notevole interesse.
Con grande semplicità e freschezza, non violando l’anonimato, ci offre alla nostra
conoscenza oltre cinquanta testimonianze di donne clandestine che vivono o
hanno vissuto un rapporto di amore con un prete. Sono uno spaccato eccezionale di
storie, di vita, di sentimenti…che non avrebbero mai visto la luce del sole!
Un vero grazie ad Ausilia che con il suo sito (www.donne-cosi.org) veramente ha
rotto questo MURO DEL SILENZIO che nemmeno la gerarchia ecclesiastica
conosce…..o forse conosce o immagina, ma che usa tutte le sue forze affinché
questa triste realtà della vita della Chiesa cattolica non abbia mai a vedere la luce.
(l.m.)
39
3. TAVOLA ROTONDA: ESPERIENZE DEI PRETI SPOSATI IN
QUESTI TRENT’ANNI E PROSPETTIVE FUTURE
a cura di Franco Brescia
Perché un sogno di Chiesa fedele al Vangelo, non violenta e dunque rispettosa e al
servizio dell’uomo potesse avverarsi, ho aderito, qualche decennio fa,
all’associazione VOCATIO fondata da alcuni preti sposati e dalle loro compagne nel
1978. Ma i sogni, proprio perché tali, sono una forza traente, qualcosa di utopico e
quindi non realizzabili nell’immediato. E’ per questo che siamo ancora qui e
quest’anno celebriamo trent’anni dalla nascita di Vocatio con obiettivi che
richiedono tempi lunghi.
Senza voler fare delle commemorazioni non possiamo però dimenticare i tanti
che hanno camminato con noi “sulla strada” ed ora sono presso il Padre e forse
sanno che quel sogno non è poi così irrealizzabile.
Tanti altri si sono messi in
cammino con noi, ma per motivi di salute non hanno potuto partecipare a Roma al
convegno del trentesimo anniversario. Ci sono poi tanti laici e soprattutto preti in
ministero che condividono i nostri obiettivi e spingono perché non molliamo, ma
lottiamo anche per loro che non possono o non se la sentono di fare una scelta
coerente con quello che pensano o con la loro situazione di vita.
E’ per questa condivisione di obiettivi che l’associazione “Noi Siamo Chiesa”, e
per essa Mauro Castagnaro, ha curato per l’edizione la meridiana il volume “Preti
sposati nella Chiesa cattolica” che è stato presentato al Convegno dallo stesso
Mauro. Egli ha rilevato come la frammentarietà sia una caratteristica dell’agire
clericale, ma anche una modalità di chi da quella casta tenta di uscire e lo fa in modo
individualistico. Cerca di risolvere il suo problema, ma non si unisce ad altri perché
sia possibile una maggior forza nell’azione collettiva.
Perché la nostra non resti un’azione isolata, Vocatio aderisce alla Confederazione
Internazionale dei Preti Sposati e a suo nome Paul Bourgeois, è intervenuto portando
i saluti anche del presidente Pierre Collet e chiedendoci una maggiore partecipazione
ai collegamenti europei e internazionali.
All’inizio dei lavori del Convegno Lorenzo Maestri, direttore della nostra rivista,
dopo un breve richiamo alla storia dell’associazione, ha letto i saluti di carissimi
amici che non potevano essere presenti ai nostri lavori e ha dato la parola al
presidente di Vocatio Mauro Del Nevo che, dopo un lavoro ventennale, ha chiesto di
passare la mano. Per quanto già sapessimo delle sue difficoltà a continuare ad avere
questa responsabilità, ciò nonostante questa comunicazione ci ha lasciati un po’
interdetti per il problema che ci si poneva davanti. Ne abbiamo tenuto conto nella
prosecuzione dei lavori.
Seguiva la Tavola Rotonda che prevedeva la partecipazione di Giovanni Franzoni,
Chino Piraccini e Nadia Giaquinta, Giovanni Monteasi e Anna Maria Tufano, Natale
Mele e Anna Ferretti.
Giovanni Franzoni ha sottolineato la scelta coraggiosa che fanno le mogli dei preti
per i pregiudizi di cui può essere oggetto la copia, e la donna in particolare, a causa
della misoginia di fondo che pervade la parte più retriva della struttura ecclesiastica.
Anche le difficoltà economiche, che spesso all’inizio vanno affrontate, fanno sì che
occorra molta energia fisica e morale nel cominciare un tale cammino. Anna ha visto
un punto di forza, per l’esperienza sua e di Natale, nel sostegno morale ricevuto
40
dalle rispettive famiglie. Annamaria ha notato quanto sforzo sia necessario perché
il coniuge possa scuotersi di dosso l’impalcatura clericale costruita in tanti anni di
seminario prima e di appartenenza alla casta poi.
Giovanni Franzoni ha allargato il discorso ai diritti delle donne, compagne dei
preti, che non vogliono o non possono lasciare la struttura ecclesiastica e a quelli dei
loro figli. Occorre parlarne apertamente soprattutto oggi, in quanto giustamente, ma
con tante resistenze da tante parti, si apre la discussione sull’opportunità del
riconoscimento delle coppie di fatto da parte di uno Stato che voglia essere
veramente laico e sui diritti dei soggetti più deboli. Giovanni si esprime in termini
forti nei confronti del concubinato del clero, in quanto posizione per certi versi
comoda, anche se ingiusta, pesante e frustrante per la donna, in particolare per la
tolleranza di cui è oggetto da parte della gerarchia che chiude, aggiungiamo noi, in
tal caso entrambi gli occhi per non discutere una legge troppo “discutibile”.
Nadia e Chino hanno affermato che, senza il sostegno forte di un punto di
riferimento come la Comunità di Sorrivoli, per loro tutto sarebbe stato molto più
difficile.
Natale Mele nella relazione su “La famiglia del prete sposato”, parlando del
percorso fatto con Anna, ci ha offerto elementi che vanno in senso contrario rispetto
alla “invisibilità” di cui certa parte di chiesa vorrebbe che le nostre famiglie fossero
dotate. La loro coppia, coinvolgendo anche i figli, in piena visibilità, si è fatta
promotrice di accoglienza e di aiuto, in una forma di pastorale familiare della quale
si sono sentiti destinatari.
Ci siamo lasciati con l’impegno di riunire i gruppi regionali entro il 31 ottobre p.v.
per esprimere i nostri pareri sugli incarichi da rinnovare, a partire da quello del
presidente, sui problemi posti dalla rivista da rilanciare, rivedendone l’impostazione
come sottolineato specialmente da Mauro Castagnaro e sugli obiettivi da porci
almeno a breve termine. Ne terrà conto il consiglio nazionale che Mauro Del Nevo
convocherà entro il 31 dicembre ’08 per dare nuovo vigore ad un’azione che nella
nostra chiesa è essenziale per noi e per tanti cristiani che, preti o laici, ora si sentono
stretti e costretti da una “legge” che opprime sia l’uomo che lo spirito.
Franco Brescia
Giovanni Franzoni: Vocatio
Obbiettivo fondamentale e fondante dei preti sposati e delle loro mogli, associati
in Vocatio è, fin dalla costituzione dell’associazione, la riforma della prassi teologica
e disciplinare della Chiesa cattolica romana nei confronti della legge canonica che
vincola il clero di rito latino al celibato obbligatorio. Quella dei preti sposati non è
quindi una lobby che rivendichi una immagine, una dignità o dei diritti particolari
per i suoi associati ma un movimento molto più ambizioso: un impegno collettivo,
personale e di coppia, per liberare una Chiesa che, anche quando emargina e
colpevolizza, è nonostante tutto amata.
Logica conseguenza di questa impostazione è la corresponsabilità del movimento
con quanto si muove nel corpo ecclesiale a livello di presa di coscienza e di richiesta
di ascolto e riconoscimento.
41
E’ da questo punto di vista che ho voluto richiamare l’attenzione del movimento,
nel recente convegno, sul movimento delle donne, compagne di preti o vescovi
nell’esercizio del loro ministero, condannate con i loro figli ad una sorta di
clandestinità, per consentire all’uomo che amano di mantenere il proprio ruolo
pastorale nella comunità ecclesiale. Ho portato quindi l’attenzione dell’assemblea
sulle roventi contraddizioni del concubinato ecclesiastico, riprovato ma ampiamente
tollerato dalla gerarchia..
Ne parla Odette Desfonds nel suo libro Rivali di Dio (Datanews) che, prendendo
spunto da una poco felice frase di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi,
smaschera il tabù che l’amore fra un uomo e una donna possa togliere qualche cosa
all’impegno apostolico o all’amore di Dio. L’amore umano, che trova normalmente
sbocco in una condivisione di vita e coniugio, nella fatica quotidiana, nelle gioie,
nell’impegno per gli altri e nel sacrificio, fino spesso a coronarsi nella nascita e nella
educazione dei figli, nulla toglie all’amore di Dio ma anzi gli dà concretezza e
visibilità. Come nota la Desfonds spesso il prete è proclive a estroflettersi e ad
assumere la guida e il giudizio nei confronti delle persone con cui esercita il suo
ministero. La donna che sta accanto al prete non di rado è un richiamo all’umiltà del
servizio.
Questo non significa che sia poco fruttuosa la condizione monastica e il celibato
ma è preziosa quando è volontaria e rinnovata in ogni stagione della vita.
La condizione della donna che, stante l’attuale legislazione per la Chiesa latina,
vive il suo rapporto con un ecclesiastico nell’ombra, è umiliante e profondamente
ingiusta. A questo si aggiunga che l’ingiustizia diviene ancor più pesante quando i
figli di questo amore nascono e crescono senza una chiara figura paterna di
riferimento, in molte realtà sociali appaiono ancora come diminuiti nella dignità e
sono esclusi dall’asse ereditario; questo non può essere compensato con benefici o
favori nepotistici.
Potrebbe quindi essere compito di Vocatio aprire la questione e invocare una
sanatoria che implichi la legalizzazione formale dei rapporti concubinari che oggi
dilagano in molte regioni della cattolicità. La sanatoria è stata fatta per i ministri di
culto anglicani che lasciavano la loro Chiesa per convertirsi al cattolicesimo,
scontenti per il fatto che nella Chiesa anglicana si era aperta la prassi
dell’ordinazione delle donne. Benché fossero sposati e con prole è stato considerato
possibile ammetterli al ministero nella Chiesa cattolica. E’ pensabile che la
riparazione alla violazione di diritti umani fondamentali, quali quelli della donna e
della prole, sia prioritaria anche nel caso che le situazioni concubinarie siano state
attuate e tollerate nella Chiesa cattolica romana.
Giovanni Franzoni
42
Anna e Natale di Napoli
L’esperienza della nostra coppia nasce con premesse definite. Personalmente ero
disponibile, anche se a malincuore, a sopportare la limitazione del celibato pur di
realizzare la vocazione sacerdotale. Ero entrato da ragazzo e avevo vissuto tutto
sommato una positiva esperienza religiosa, di studio e di socializzazione. Superata
con successo la maturità classica, dentro di me mettevo in discussione la
prosecuzione del seminario.
Mentre pensavo e ripensavo i pro e i contra come per avventura, fui coinvolto in una
attività, per la verità non scelta, ma ugualmente molto travolgente. L’azione cattolica
della mia parrocchia era condotta da un Prete, grande trascinatore di giovani e
ragazzi. Mi affidò di punto in bianco quaranta ragazzi, divisi in quattro squadre,
perché con “la tua esperienza – diceva - di cultura e di pallacanestro passeranno
bene l’estate” , “farai il GREST” (Gruppo Estivo). Laconico! Detto da un
personaggio come lui, severo ed esigente, suonò come sfida e come atto di grande
fiducia. Sotto gli occhi di tutti inizialmente scettici cominciai con intelligenza e
serietà. Proseguii con l’entusiasmo di chi si vede circondato d’affetto, di stima, di
attese. Le cose dovettero andare proprio bene se l’Assistente, così era chiamato il
nostro sacerdote in Azione Cattolica, con mia somma sorpresa, dato il caratteraccio
che si ritrovava, mi salutò con tenerezza e mi disse: “adesso che torni a studiare in
seminario (Lui lo dava per scontato io non tanto) non ti dimenticare dei tuoi ragazzi.
Tutto quello che impari o impari a fare è per loro. Da quel anno non ho mai più
smesso di fare il GREST.
Era il 1964. Diventai Sacerdote nel 69 in un bagno di folla e di entusiasmo
collettivo. In 6 anni i quaranta si erano moltiplicati a dismisura. Le cose in questo
campo dovettero andarmi proprio bene anche in seguito (Movimento Studenti,
comunità giovanile di Nostra Signora del S. Cuore). Non a caso l’ultimo incarico
ricoperto in ministero fu quello di Assistente Diocesano dei Giovani dell’Azione
Cattolica.
Intanto avevo seguito con attenzione critica gli eventi del Concilio e sul piano
teologico culturale non mi sono mai sentito un convertito, come tanti che prima si
sono convertiti al Concilio e poi pentiti.
Le cose (teologie biblico teoretiche/liturgiche e pastorali) le ho imparate come prima
e unica verità credibile di una chiesa autorevole conciliare. In questo senso nutrii la
speranza che anche la limitazione del celibato fosse presto eliminata. Intanto, in una
mini inchiesta sul celibato, effettuata tra gli ordinati dell’ultimo anno e quelli che
sarebbero stati ordinati nei due anni successivi, la mia classe compresa, inserii una
domanda apparentemente innocente: “Se domani fosse eliminata l’obbligatorietà del
celibato, saresti in grado di delineare i tratti di una donna adatta a fare la moglie del
Prete?” “Ne hai mai avuto una
idea concreta?”. 35 su 36
risposero
affermativamente.
Quando presentai questo compitino nell’ora di Pastorale e ne esposi i risultati, si
fecero un sacco di risate. Eravamo tutti “spiritualmente” fidanzati. Mi buscai
un’ammonizione con cartellino giallo dall’Arcivescovo. Credo per prevenire le
rivalse di certi soggetti in diocesi a Lui non favorevoli. Degli altri: Professori, Preti,
Monsignori, Rettori etc, nessuno mi disse niente. Mi guardavano e … sorridevano.
In verità erano un po’ tutti convinti che il celibato stava per “crollare”. E invece no!
43
Dopo qualche anno anch’io passai dal fidanzamento”spirituale” a quello reale. Mi
innamorai di una persona che veramente a distanza di oltre trenta anni è la donna più
idonea a fare la moglie di un prete. Anna ha condiviso le mie scelte e non per farmi
piacere, perché ci crede più di me nella necessità di seguire il Signore a partire dagli
ultimi. Sapevo che mi avrebbero tolto l’esercizio pubblico dei sacramenti e questo
mi è costato non poco. Sia mio padre che il Cardinale Ursi rassegnati hanno
affermato che ero stato un “Buon Prete”. Sapete perché? Perché facendo il prete non
mi ero fatti i soldi! Ma che avessi contratto un legame con una donna era una cosa
normale per l’uno e … un po’ anche per l’altro.
Ursi si premurò di disporre la pratica per la dispensa. Seguii a malincuore le
istruzioni, ma dopo mesi arrivò la risposta negativa del “Prefetto” Ratzingher attuale
Papa. Motivazione: dagli atti risulta che è uno dei migliori preti della diocesi e non è
bene che se ne vada..
Per continuare ad essere un “Buon Prete” correvo il rischio di non essere nemmeno
cristiano. Certe testardaggini non le capisco e non le capirò mai. Come non capirò
mai la proposta di un Vescovo mio amico che mi consigliava di intrattenere con
Anna un rapporto di forte amore “spirituale” per servire il Signore. Ho sempre
pensato, con il Santo di Tricarico, che l’ottimo è nemico del bene. Questo (posto
che il celibato sia “l’ottimo”) lo dovrebbero credere e affermare proprio quelli che
tifano a oltranza per la santità sacerdotale solo se celibataria. Bando alle chiacchiere,
decidemmo di sposarci ugualmente e con la benedizione di tantissimi che si erano
legati a me e ad Anna come in un abbraccio forte di famiglia. Mi sono convinto
presto che se vuoi fare il prete non sempre è urgente e indispensabile che tu sia
abilitato a celebrare pubblicamente i sacramenti, finchè ci sono ancora quelli che lo
fanno con il beneplacito della chiesa.. Non ho mai fatto folla per riprendere a
celebrare da sposato.
Anna ed io, liberi da impegni istituzionali, ci siamo dedicati alla lettura collettiva
della Parola , alla pastorale familiare con l’accoglienza e il servizio silenzioso,
concreto e continuo alle coppie e alle famiglie in difficoltà senza alcuna
preclusione. Tutto questo senza interrompere la frequenza domenicale e la
collaborazione in parrocchia, quando richiesta e nei limiti assegnati. In questo
periodo, mentre Anna cresceva in competenza pastorale, io a fatica imparavo a fare
il marito e l’impiegato, smettendo il ruolo del “saputo” e del pretino (non ho detto
cretino!) servito e riverito. Nel nostro nuovo lavoro di “volontariato” pastorale, due
esperienze riteniamo veramente forti: l’aiuto alle parrocchie con parroci molto
anziani o malati e la costituzione della Comunità famiglie.
Nel primo caso siamo stati accolti con amore e grande rispetto. Per intenderci facevo
con Anna tutto quanto ritenessimo necessario per una moderna comunità
parrocchiale. Talvolta il successo delle iniziative attirava l’attenzione un po’
contrariata dei “potenti” della Chiesa, ma ogni volta ci salvava la inflessibile tenacia
dei nostri parroci anziani e la buona fama che godevamo e spero godiamo ancora tra
amici arrivati in alto loco, Cardinali, Arcivescovi e Vescovi anche famosi. In
ambedue i casi, durati uno 10 anni e l’altro 8, i rispettivi successori, preti giovani in
carriera, che Dio ce ne liberi, hanno fatto di tutto, spesso in modo subdolo, perché
“mi facessi i fatti miei” facendomi sentire ospite indesiderato in una chiesa che
pretendo sia anche casa mia.
Queste due storie hanno fatto maturare in noi e nei nostri figli, ormai cresciuti e
inseritisi senza problemi nel comune lavoro pastorale, di ricercare una continuità
44
nel servizio al Signore e ai fratelli, nel potenziamento delle iniziative della
Comunità (CFC, Comunità Famiglie Camaldoli). E’ ovvio che se decidi di correre
da solo, la corsa è sempre in salita. Non hai più gli appoggi politici e economici di
cui godi in ministero e nelle istituzioni. Anzi devi solo sperare che non ti pongano il
bastone tra le ruote. Come è anche naturale che alcuni amici diventino “vecchi”
amici. Non tutti se la sentono di associarsi a te, di seguire le tue scelte e la tua sorte.
Timorosi di dispiacere ai personaggi della “chiesa” istituzione, fanno finta di non
capire e di non … vederti. Non sono stati molti in verità e assolutamente non c’è
stato alcun risentimento. Sembrano dirti con lo sguardo ”non è colpa mia, cerca di
capire”.
Poi capitano anche a loro delusioni, incomprensioni e contrasti e … allora hanno
vergogna di rientrare a pieno titolo nel gruppo; mostrano nostalgia dei “bei tempi”.
Noi proviamo a convincerli che non è successo niente, ma non sempre ci riusciamo.
Certe cicatrici non si cancellano, come quelle delle vecchie scottature.
Ad onor del vero, lo dico con riconoscenza, affetto e grande stima, abbiamo
incontrato anche adesso preti intelligenti che senza paura e senza remore ci onorano
della loro fiducia. In pratica ci affidano i corsi di formazione prematrimoniale.,
ritenendoci più esperti dei consueti catechisti.
Quello che siamo e facciamo attualmente nella CFC, si può riassumere in tre
verbi: ascoltare, dialogare, proporre.
Ascoltare vuol dire non negare a nessuno un po’ del tuo tempo sempre e dovunque ti
trovi. Nel luogo di lavoro, negli incontri di quartiere, nelle vacanze. Il dialogo
incomincia con un sorriso di assoluta condivisione delle gioie e delle angosce che ti
raccontano. Si aggiungono poche parole e l’invito a riprendere il discorso con
comodo, dove e quando si vuole. Dialogo vuol dire non giudicare mai, tanto meno
ritenere assurdo o totalmente inaccettabile quello che ascolti, anche quando l’altro
protestasse tutta la sua disperazione. Prevalentemente si tratta di problematiche di
coppia, di eventi drammatici, di malattia o di vere e proprie disgrazie. Noi viviamo
le vicende nostre e degli altri allo stesso modo e con pochi punti di
riferimento/principi: Post factum infectum fieri nequit, nella nostra lingua: chell ch’è
stato è stato, mo che ci vuò fa? Nei casi di disastri creati dai figli: si ‘o ciuccio t’ha
dato nu cavacio, ce vuò taglia a coscia? Tradotto: se l’asino ti ha colpito con un
calcio, gli vuoi tagliare la gamba?
Altra massima da esprimere dopo l’ascolto di guai anche seri: “non è successo
niente!” Poi con calma si passa all’esame delle possibilità. Preferibilmente dopo una
buona e salutare distrazione, si intraprende senza sicumera e senza saggismi
un’analisi delle cose e soprattutto subito si propone un rimedio. Fosse anche solo
quello di prolungare l’ospitalità presso di noi per prolungare almeno la fisica
lontananza dal problema. Il resto si vede con calma. La gente non è così cretina da
non capire quello che ha fatto o quello che è accaduto. E’ in difficoltà a vedere dove
va a finire e come possa ritornare a star bene con se stessa e con gli altri. Qui li devi
aiutare! Forse siamo stati noiosi, ma questa è la nostra presentazione (CFC) in
www.cfc-napoli.org.
Sembra facile, ma non lo è. Per questo Anna ed io leggiamo, studiamo, parliamo tra
noi due continuamente, ci ripassiamo i dialoghi più complicati.
Prova e riprova cerchiamo sempre delle soluzioni. Fossero anche quelle di
organizzare cene e cenette per creare un’atmosfera. Così facendo, almeno io, sono
diventato più chiatto che santo. La nostra casa è sempre aperta. Diversamente come
45
potremmo ospitare il Signore che dice:” Venite a Me voi tutti che siete affaticati e
oppressi e Io vi darò un sollievo”. (detto tra noi: gli affaticati/disoccupati, e gli
oppressi (preti e suore innamorati compresi) aumentano a vista d’occhio. Ma non lo
dite in giro che vi diranno che è solo colpa loro … si arrangiassero!). Negli ultimi
tempi siamo un po’ “preoccupati”, perché questa “benedetta” abitudine di cercare e
farsi cercare dagli altri, ha contagiato i nostri figli e si finisce che non siamo mai
soli. Quando a cena siamo i soliti sette/ nove di famiglia, a qualcuno di loro scappa:”
ma stasera non c’è nessuno?” Oppure: “Stasera chi viene? Posso portare ….” Anna
talvolta giustamente protesta: “ma almeno ditemelo in tempo …!”. Per fortuna sulla
nostra collina c’è il più grande mercato di pane e carne all’ingrosso!
Noi non sappiamo dire, ora, se abbiamo risposto bene alla domanda del tema: parlate
della vostra esperienza di coppia.. Forse siamo usciti fuori tema? Ci appelliamo alla
clemenza del Maestri. Lo diciamo spesso, anche nelle alte sfere, “se non vi andiamo
a genio così, un po’ scherzosi, un po’ estemporanei, passate ad altri”. Non si è mai
sentito dire che uno con una faccia di peste, abbia creato speranza intorno a se.
Adesso lo possiamo ben dire, dopo che abbiamo vissuto e viviamo dentro di noi e
nella nostra intimità familiare, esperienze particolarissime di estrema drammaticità e
sofferenza. Come padre Abramo, saliamo sul monte del sacrificio, ripetendoci a
vicenda ogni tanto: “ Deus providebit”. Nella nostra lingua: nu poco e pacienzia!
Lassammo fa Dio!
Anna e Natale di Napoli
Chino Piraccini e Nadia
Cari Amici di Vocatio
Quando Nadia ed io siamo partiti per partecipare a Roma al 30° anniversario di
Vocatio, ci siamo sentiti come la zanzara della vecchia barzelletta dell’arca di Noè.
Per chi non ricordasse la simpatica barzelletta faccio memoria. All’entrata dell’arca
della salvezza c’è una lunga fila di animali che premono per entrare. Davanti,
mastodontico, un elefante e dietro una zanzara che trova il parcheggio sul sedere del
pachiderma. Questo infastidito sbotta: “ohè, cominciamo a spingere?!?!”. “Oh mi
scusi, non l’avevo vista!!!!!”, risponde la zanzara.
Quando pensiamo ai nostri piccoli gruppi (pusilli greges), a Vocatio, alle diverse
comunità di base, a Sorrivoli, e li mettiamo in relazione alla potenza del Cupolone
romano, ci sovviene il senso della barzelletta sopra citata. La zanzara non riesce
neppure a suscitare il minimo solletico all’elefante che dall’alto sghignazza:
cominciamo a spingere?!
Ma se le zanzare cominciano a moltiplicarsi, e magari a trasformarsi in zanzare-tigri
che anche di giorno non danno tregua al sedere del pachiderma che lo sollecitano a
fare memoria del vangelo e della chiesa delle origini (cose che la zanzara non aveva
visto nell’elefante) come chiesa del futuro, allora vale la pena essere zanzare.
La zanzara Sorrivoli è un gruppo di “ricerca e confronto” aperto non solo ai preti
sposati, ma a quanti avvertono il senso della fraternità e del dialogo come “conditio
sine qua non” per leggere i segni del tempo e cercare di capire quali sono le
emergenze del mondo in cui viviamo e quali riflessi si vivono in questa nostra
46
chiesa. Ci chiediamo che cosa significa essere cristiani, essere chiesa e quale
testimonianza siamo in grado di vivere senza tradire in radice il Vangelo.
Il nostro Sorrivoli è, si può dire, un abbozzo di comunità di base (“dove sono due o
tre uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”Mt18). Ci conforta quanto avviene
in diverse comunità di base, da Pinerolo a Bologna, da S.Paolo in Roma a
Napoli….Ecco, il gruppo di Napoli può ridare forza a Vocatio come servizio attivo
perché ha una vitalità contagiosa che infonde Speranza.
Nadia e Chino di Cesena
Anna e Giovanni Monteasi
Siamo qui per testimoniare sul perché della nostra scelta matrimoniale e del nuovo
ruolo di vita di coppia.
Allorché decidemmo di uscire dalla struttura ecclesiastica (e non dalla Chiesa)
Anna Maria ed io, lo comunicammo con questo annunzio:”Non rinunzia, né
abbandono, ma sacerdoti in due per annunziare ai poveri la buona Novella”.
Da qui è partita la nostra sofferta disobbedienza al celibato obbligatorio imposto
per legge ecclesiastica soltanto ai preti di rito latino. La mia personale decisione non
è stata frutto di una sterile contestazione, di crisi d’identità o di occasionale
sbandamento, ma è nata dalla consapevolezza di poter essere testimone più credibile
della buona Novella.
E’ stata la volontà di perdere le proprie certezze per donarsi completamente ai
fratelli, assieme ad una donna, con gli stessi ideali di annunzio e di servizio.
Abbiamo iniziato la difficile avventura, come pellegrini, disposti a vivere più
nella incertezza della tenda di Abramo che sicuri nel tempio di Salomone. Il tempio
mi faceva vivere protetto, con la convinzione di essere possessore di verità e maestro
insindacabile. Fuori dal tempio invece ho sperimentato quotidianamente la vanità e
l’ambiguità delle certezze conculcate. A differenza del tempio che ti dà l’occasione
di incontrare la gente che conta, spesso lontana dai poveri, la strada ti fa conoscere
l’umanità, quella vera, bisognosa di comprensione e di quella originalità evangelica
che conosce soltanto la legge dell’amore attraverso una proposta religiosa, più
esperienziale che culturale e cultuale.
Operando in tale direzione abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con le
varie realtà esistenti sul territorio, di porgerci in atteggiamento di ascolto e di
collaborazione con le varie iniziative presenti sia nel mondo laico che nella Chiesa
locale.
Il merito maggiore è di ANNA Maria perché si è confermata fin dalla partenza
ottima compagna di viaggio. Pubblicamente le sono riconoscente perché ha
dimostrato che l’essere “sacerdoti in due” non era uno slogan, bensì una vera
missione da compiere in due.
47
Nonostante le nostre sconfitte, delusioni, incomprensioni, sofferenze e
scoraggiamenti, siamo ancora sulla breccia, convinti che il Signore, camminando
avanti a noi ci spianerà la strada del nostro difficile cammino.
Anna Maria a sua volta si è rivolta ai presenti con questo messaggio:” La scelta è
stata difficile ed impopolare, ma sono contenta del presente e guardando al futuro
mi auguro che la scelta di pochi diventi di tutti e le donne, privilegiate da Gesù per
aver dato loro l’annunzio della sua resurrezione, siano oggi come allora, portatrici
della buona Novella, assieme ai loro mariti.
E’ un sogno? Speriamo proprio di no”.
Anna e Giovanni Monteasi
LETTERA DI UN PRETE SPOSATO DI TORINO ALL’ASSEMBLEA
DELLA CELEBRAZIONE DEL XXX DI VOCATIO
Cari amici di Vocatio,
E’ per me una gioia fare un bel salto nel passato e riandare al primo incontro con
Vocatio. Erano già passati parecchi anni dalla mia entrata nell’incognito mondo
della laicità; anni dediti alla professione e, implicitamente, all’opera di
disintossicazione mentale ed emotiva. Il lavoro di depurazione procedeva a gonfie
vele e non sentivo alcun bisogno di riannodare vecchi rapporti con il mondo
clericale, fosse pure quello di chi aveva condiviso con me la scelta di lasciare.
Volevo respirare a pieni polmoni l’aria della libertà. Il filo che riannodò i contatti fu
un’intervista di Stampa Sera a Piero Barbaini che parlava dell’Associazione Vocatio
e delle sue finalità. Ne condivisi subito gli obiettivi e telefonai senza indugio a Piero
che m’indirizzò al compianto Giacomo Pignata, mio concittadino e compagno di
viaggio. Con lui e con la moglie Ausilia ho spartito questi trent’anni, quasi mai in
prima persona ma senza mai disattendere la legge sacra dell’amicizia e della
condivisione. Mi ha sorretto con entusiasmo giovanile Lorenzo Maestri che mi ha
onorato della sua amicizia e della sua fiducia nel chiamarmi a collaborare a SULLA
STRADA.
Nel gruppo non ho visto degli ex preti ma persone in cammino alla ricerca di una
nuova identità e il fatto non ha creato in me quel trauma che mi sarei aspettato né
mi ha fatto ripiombare nei vecchi condizionamenti. Se è sicuro che l’abito non fa il
monaco, è altrettanto vero che non basta sostituire la tonaca con anonimi Jeans per
dire che non si è più preti. E’ l’abito mentale quello che più conta e, forse quello,
l’avevo già svestito al tempo dell’Università quando, alla fine di un lavoro di
gruppo, avevo dichiarato che ero un prete e il commento unanime era stato: Non
l’avremmo mai immaginato! E tra me e me avevo pensato quanto fossero ciechi i
superiori del seminario a non accorgersene.
Queste note personali hanno attinenza, più di quanto non sembri, con le finalità di
Vocatio tra le quali emerge l’educazione alla laicità. Il cammino di questi trent’anni
alla ricerca della secolarità è stato non privo di sofferenze, talora anche oppresso da
mortali inquietudini, ma sempre progressivamente lineare. La chiarezza concettuale
che distingue tra spiritualità e clericalismo ecclesiale si è sempre più affinata fino a
presentare, in alcune sensibilità dell’Associazione, una riscoperta del genuino
messaggio evangelico.
48
Cambiare non è facile. Certe forme patologiche riscontrate nella struttura ecclesiale,
come la difesa della vera fede, il fanatismo che rifiuta il diverso usque ad sanguinis
effusionem, la tendenza alla scomunica fanno parte della storia della chiesa fin dalle
sue origini e permangono in certi atteggiamenti di chi dai suoi vincoli si è sciolto.
Occorre esserne consapevoli e mantenere fede al principio dell’unità nella diversità.
La globalizzazione con la tendenza al pensiero unico trova nella chiesa un solido
appoggio.
Una delle leggi totemiche, Totem si accompagna a Totem, prospera più che mai.
Troppa democrazia disturba. La nostra associazione, inserita in federazioni più
ampie, dove tutte le opinioni sono ammesse, è la dimostrazione che andare in
controtendenza si può. E i risultati di trent’anni di lavoro sono sotto gli occhi di tutti.
Le contraddizioni stanno facendo scoppiare la struttura ecclesiale, proprio per
mancanza di dialogo e di democrazia: la schizofrenia fra la dottrina e la prassi,
l’ipocrisia dei grandi principi contraddetti dai comportamenti, sono atteggiamenti
non più tollerabili nell’epoca della comunicazione globale. L’esempio dei preti
pedofili è la dimostrazione planetaria che la repressione sessuale presenta dei conti
salati. Il celibato non sarà il tema d’elezione o di rivendicazione di Vocatio ma è
emblematico, assieme al tema dei divorziati e risposati, dell’eutanasia, delle coppie
gay, della procreazione assistita, di un perverso modo di agire. Far emergere le
contraddizioni è segno di laicità. Un bell’augurio per i prossimi anni ?
Squarciamo il velo del tempio. Ma prima quello che copre ancora le nostre menti!
Grazie.
Carlo e Luciana Vaj
LETTERA DI NICOLA PALUMBI
Cari amici,
congratulazioni. E’ bello – e – buono che abbiate organizzato un fare
memoria nel 30° di fondazione. Grazie.
Oggi non mi è possibile essere presente, come accadde allora alla fondazione.
Permettetemi una riflessione. A me sembra che i sogni delle origini si siano un po’
annebbiati.
L’urgenza dell’immediato e del contingente li ha troppo spesso emarginati e
sostituiti.
Solo una lettura critica dell’oggi e un suo giudizio biblico, storico e teologico
responsabile possono risuscitare i sogni e farli ridiventare profezia.
Leggerò con interesse gli atti del Convegno.
Auguro a tutti la pienezza del Dono del Padre del Crocifissorisorto.
Nicola Palumbi
Con stima e amicizia
Argenta, 15.08.08
49
VERBALE ORGANIZZAZIONE INTERNA DI VOCATIO
In merito al punto organizzazione interna l’Assemblea, dopo aver ascoltato la
proposta di Maestri (presidente Franco Brescia, vicepresidente Chino Piraccini,
direttore Rosario Mocciaro, segretario Giovanni Monteasi) e dopo vari interventi che
suggerivano un po’ di tempo per consultare i vari gruppi regionali, decideva
all’unanimità che i vari gruppi regionali, cioè Lombardia, Emilia Romagna,
Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania, entro il mese di ottobre portino a
conoscenza del presidente uscente Mauro Del Nevo le loro decisioni. Dopo di
che il presidente uscente convochi entro il 31 dicembre il Consiglio Nazionale.
Per tutti coloro che sono in ricerca di un luogo di accoglienza
(ex-religiosi, ex-preti, ex-suore) per i momenti più difficili della
loro vita, quando abbandonano la vita religiosa! …
PER INFORMAZIONI:
Lorenzo Maestri e Rosangela
e-mail [email protected]
tel. 0332-534161
Giuseppe Zanon e Daniela
e-mail [email protected]
tel. 030-9038725
cel. 338-2067339
50
LETTERE DAL CONCILIO VATICANO II,
di Helder Camara, ed. San Paolo
Nell'epistolario conciliare di Helder Camara si avverte, più di quanto possano le
storie accademiche del Concilio Vaticano II (1962-1965), il palpito del profetismo
della Chiesa "serva e povera" misurarsi con il sistema vaticano, ma anche con le
esigenze di equilibrio di Paolo VI per riformare la Chiesa senza rischiare fratture. La
curia non sopportava il regime di "Chiesa provvisoria", creato dal più vasto dibattito
della sua storia millenaria, e questi documenti confermano dal vivo che in Vaticano
si lavorava per la chiusura del Concilio prima della seconda sessione (furono invece
4) e per la liquidazione delle riforme. Le lettere descrivono le tecniche del
sabotaggio. Il migliore alleato del vescovo brasiliano, il primate belga cardinale
Suenens, prevedeva fin dall'ottobre del '65 che “se la curia continuerà a essere la
stessa metterà a rischio tutto lo spirito del Vaticano II; il pericolo di persecuzioni
contro i "progressisti" e contro coloro che si battono per una curia rinnovata sarà
reale». Il fervore creativo di Camara si salda alla sua capacità di analisi della
complessità della sfida di rappresentare in un'assemblea egemonizzata dagli europei
le aspettative del Terzo Mondo per una Chiesa «che si faccia un bagno di Vangelo e
diventi serva invece di essere Signora». Chiede a Paolo VI, che lo venerava, di
strappare il papato al ruolo di re temporale con misure concrete: il congedo del
corpo diplomatico, la chiusura delle nunziature, l'abbandono del Vaticano al servizio
della cultura sotto il patrocinio dell'Unesco.
Il prestigio del Papa forse crollerebbe se si sbarazzasse dei beni «che scandalizzano
tanto»? Però, obietta Camara, l'essenziale per un Papa non è il prestigio, essenziale è
«che faciliti alla gente l'identificazione fra Cristo e il suo rappresentante sulla terra.
Essenziale è che l'umanità non veda nella Chiesa un Regno in più, un impero in
più”. Vorrebbe l'abolizione della festa di Cristo Re, l'abbandono della figura del Dio
giudice.
Considera letale l'atteggiamento “di chi si presenta come il possessore del
monopolio della verità e di chi pretende di ricostruire la cristianità alla moda del
mondo medioevale occidentale.” In anticipo sui tempi, profetizza che il Papa chieda
perdono agli Ebrei, preghi coi musulmani, ascolti anche gli Atei, si circondi di un
consiglio di vescovi e veri laici (“non clericali”) per governare la Chiesa. Sollecita
una nuova enciclica sociale che ispiri etica e spiritualità dello sviluppo e una dottrina
sulla giustizia sociale su scala globale e non eurocentrica come le altre: è il seme
della Populorum progressio.
Il linguaggio di una Chiesa «divisa tra uomini che vivono sulla terra e teologi che
vivono sulle nuvole» gli appare poco universale, astratto, moralistico, condizionato
da un anticomunismo unilaterale: «Se non partiamo dai segni dei tempi non saremo
ascoltati. Se sbattiamo all'inizio i nostri grandi misteri i moderni aeropagiti ci
51
lasceranno a parlare alle mosche». Cosa è rimasto dei semi sparsi quando si
svegliava prima dell'alba a pregare e scrivere le lettere dei suoi Angeli agli amici?
All'ombra della statua equestre di Costantino in San Pietro, il "vescovo rosso"
rabbrividiva presentendo quel «mostro di pietra al galoppo in Basilica con in groppa
il Re». Dopo oltre 40 anni la sua domanda riecheggia: «Chi ha detto che l'era
costantiniana è finita?».
Giancarlo Zizola
(fonte: “Il Sole 24 Ore” del 18.05.08)
L’ENTITA’ di Eric Frattini, Fazi Editore
La clamorosa scoperta del servizio segreto Vaticano: Intrighi, omicidi,
complotti degli ultimi cinquecento anni.
Signor Frattini, quando nacque l’Entità?
EF: Quando il cardinale Miguel Ghislieri fu nominato capo dell’Inquisizione a
Roma, creò una vera e propria rete di spionaggio per scoprire gli eretici presenti nei
territori papali. Per lui il Santo Ufficio era una delle “società segrete” con maggior
potere del suo tempo. Quando nel 1566 Ghislieri venne eletto Sommo Pontefice, con
il nome di Pio V, decise di creare un primo servizio di spionaggio più o meno
ufficiale, utilizzando quelle stesse reti che proprio lui aveva creato per
l’Inquisizione.
Di cosa si occupa l’Entità?
EF: In una prima fase (e da qui trae il suo nome la Santa Alleanza), la sua funzione
fu quella di stabilire un’organizzazione che aiutasse a spodestare la protestante
Isabella I di Inghilterra e mettere sul trono la cattolica regina di Scozia Maria
Stuarda, e restaurare così il cattolicesimo in Inghilterra. Nel corso degli anni, l’Entità
fu un apparato utilizzato dal Vaticano per combattere dalle truppe di Napoleone
durante l’occupazione di Roma al comunismo in Polonia all’epoca di Giovanni
Paolo II. E così via fino ai giorni nostri.
L’Entità si occupò di molte operazioni segrete: quali sono le più importanti?
EF: Credo che sia stata la cosiddetta Operazione Convento o “Corridoio vaticano”.
Questa operazione consistette nell’aiutare dei criminali di guerra a fuggire tramite
una rete di monasteri, conventi e organizzazioni religiose di Roma. Furono aiutati a
fuggire Adolf Eichmann, Josef Mengele, il dittatore croato filonazista Ante Pavelic,
Hans Fishbock, il carnefice olandese, e molti altri. Pio XII fingeva di non vedere
questa rete di evasione creata dallo spionaggio papale e dalle organizzazioni
religiose vicine alla Croazia.
52
L’Entità opera ancora oggi?
EF: Certo che sì. In questo momento, per il Vaticano la doppia gerarchia cattolica in
Cina, quella autorizzata da Pechino e quella autorizzata dal Vaticano, è un grosso
problema. Inoltre l’Entità è molto attiva in zone come il Brasile, dove ogni anno,
secondo dati dell’Annuario Pontificio, il cattolicesimo perde centomila fedeli che si
uniscono a gruppi come gli evangelisti, i mormoni e Scientology. L’Entità opera lì
dove il Vaticano può avere interessi in gioco come succede con qualsiasi altra
agenzia di spionaggio del mondo, come la CIA, la BND tedesca o l’MI6
britannico…
AVVISO AI NAVIGANTI
Suggeriamo alcuni siti internet dove è
possibile trovare documentazione sulle
problematiche affrontate da Vocatio:
www.vocatio2008.it
www.chiesaincammino.org
http://nuovisacerdoti.altervista.org
www.noisiamochiesa.it
www.donne-cosi.org
www.ildialogo.org/pretisposati
http://web.tiscali.it/chiesalternativa
www.cdbitalia.it
www.viottoli.it
www.mocova.org
53
Egr. direttore,
il prete Ruggero Conti di 55 anni, testimonial per la campagna
elettorale di Alemanno e da lui nominato garante delle politiche per la
famiglia, è stato arrestato dal gip di Roma alla fine di giugno per violenza
sessuale aggravata e continuata su sette ragazzini. All’avvocato del prete,
che ha subito chiesto la revoca della custodia in carcere, il Tribunale del
Riesame ha risposto il 19 luglio con parere negativo e, per settembre, è
probabile una convocazione in procura del vescovo Gino Reali.
Questo vescovo, più di una volta, aveva ricevuto lamentele dai genitori delle
vittime ma l’unico provvedimento che ha preso (come di solito avviene nelle Curie)
è stato quello di ordinare al pedofilo di allontanarsi per un mese dalla sua parrocchia
e ora si dichiara “stupito e costernato” del suo arresto.
Visto che in Italia il Concordato lascia il Vaticano libero di decidere in completa
autonomia della sorte dei preti italiani pedofili che finora non hanno mai scontato i
loro reati, non ci sentiamo sufficientemente rassicurati dalla recente dichiarazione di
papa Ratzinger in Australia ad un convegno giovanile:” i preti pedofili devono
essere consegnati alla magistratura”.
Anche perché il papa non ha mai messo in relazione le nevrosi e le malattie dei
preti, frati e suore con il clima sessuofobico di seminari e conventi e con il
persistente divieto più assoluto di sposarsi. E non ha mai proposto di abolire gli
assurdi privilegi che il clero italiano continua ad avere in tutti i campi, compreso il
modo di scontare le pene.
Chiediamo agli organi di informazione non asserviti alla Chiesa che ci facciano
conoscere gli esiti giudiziari di questo ennesimo caso di danneggiamento grave di
bambini/e e ragazzini/e affidati/e a parrocchie e istituti religiosi da genitori fiduciosi.
Chiediamo allo Stato di uscire al più presto dalla secolare sudditanza al Vaticano.
LA LEGGE PER ESSERE GIUSTA DEVE ESSERE UGUALE PER TUTTI , e un
eventuale risarcimento in denaro, fosse pure cospicuo, non deve bastare per
sgravarsi dei delitti commessi.
Sanremo, 4 agosto 2008
Sonia De Benvenuti e Antonio De Angelis, prete sposato
RISPOSTA A DON LEONARDO ZEGA
Caro Don Leonardo Zega,
vorrei formulare, in qualità di laico cristiano, alcune riflessioni, in merito al
commento di Matteo Verzelli, da Te pubblicato sulla rivista “Oggi”, nella rubrica “I
dubbi dell’anima”, del 30 aprile 2008, n. 18, pag. 21.
Prendo atto della chiarezza e sincerità con cui papa Benedetto XVI ha voluto
chiedere scusa alle vittime dei preti pedofili americani e dell’asprezza con cui ha
giudicato certi trasferimenti affrettati e superficiali, senza rendersi conto della
gravità della situazione provocata da vescovi e cardinali, che con questi
54
provvedimenti cercavano di differire il problema, ma non di risolverlo.
Mi sembra di capire come questo papa in fatto di teologia, preferisca toni chiari e
sostanziosi, scevri da dubbio (al quale forse siamo stati abituati), e come tenda a
concepire una fede quasi in termini cartesiani; l’elogio della razionalità umana, che
quasi per il papa tedesco, non sembra che condurre alla fede. Ma nella realtà cosi’
non avviene. E come anche nella pratica, sia poco propenso a dialogare con la
cultura laica e tener maggiormente conto delle conclusioni del Vaticano II.
Prova ne siano le spalle rivolte al popolo di Dio (hanno solo valore di simbolo? O
sono anche spalle voltate al concilio a dimostrazione della superiorità del Papa?
Dove sono andate le aperture conciliari di Paolo VI? E prima ancora le liturgie locali
del Card. Giulio Bevilacqua, allora parroco di Chiusure in Brescia e del card.
Giacomo Lercaro, il papa rosso della diocesi di Bologna, e moderatore del Concilio?
Perche’ ora dobbiamo assistere, in tempi di aperture planetarie, ad una
europeizzazione della curia romana stile Giovanni Paolo II: mentre Paolo VI aveva
voluto esplicitamente l’internazionalizzazione della stessa?
Mi sembra di aver capito come egli preferisca “il pochi ma buoni”, su cui potremmo
anche essere d’accordo, perche’ potrebbe sembrare un’osservazione dettata da buon
senso e razionalità, che noi applichiamo a tanti altri settori della vita e
dell’esperienza umana. Ma se per caso, metti fuori il naso dalla tua piccola
parrocchia per visitare siti e chiese oltre gli angusti confini della tua chiesuola, tu ne
trovi “tanti e mediocri”, anche di preti, che non fanno eccezione. Ed allora che fare?
Non basta abolire e distruggere occorre creare e costruire in positivo. Per quanto
concerne la formazione culturale, spirituale ed affettiva del sacerdote non si tratta
solo di necessità di controllo continuo, non e’ solo questione di seminari da
chiudere: chi ne ha fatto esperienza ora non ha piu’ dubbi. Ma e’ soprattutto la
mentalità della chiesa ufficiale, di fronte alla visione della donna in se’ e nella
società, nella chiesa e nella morale sessuale, proposta in maniera cosi’poco credibile
e scarsamene praticata, che fatica a cambiare.
C’è tutta un’epoca preconciliare che non vuole per nulla essere messa in discussione.
La chiesa deve ancora rivedere criticamente il suo ’68 postconciliare. La chiesa non
ha ancora risolto questo problema della visione negativa delle realtà mondane, da in
inserire in una visione cristologica, ed ecclesiologica piu’ inclusive e solidali.
La Chiesa cita sempre i Vangeli, esalta la figura di Cristo e della Samaritana, delle
donne bibliche ha fatto un monumento retorico; ma poi e’ estremamente maschilista
nelle sue gerarchie, nelle sue commissioni, nelle sue istituzioni. Quante donne ci
sono nello Stato della Città del Vaticano? Sarebbe interessante un’indagine non
pilotata a questo proposito.
Infine per rispondere alla domanda posta da don Leonardo Zega, penso che non
basterebbe un papa ed un intero papato, per abrogare la legge ecclesiastica sul
celibato obbligatorio: sarebbe forse necessario un altro concilio preparato ad hoc.
Per questo la Chiesa ha estremo bisogno di valorizzare i laici che sono disponibili,
ad inginocchiarsi davanti a Cristo ed a rimanere in piedi davanti ai Papi: coscienti
cioe’ dei propri diritti e dei propri doveri. E far rientrare, quel grosso esercito di preti
sposati, che potrebbero rendere un grande servizio ad una chiesa solidale aperta e
moderna. Perche’ potrebbero coniugare scienza e fede, esperienza e vita, in maniera
piu’ autentica e credibile.
55
Purtroppo invece, questa chiesa si nutre ancora di mezze misure di laici devoti, che
ragionano come preti, e adesso anche di atei devoti e sottomessi; con i risultati di
una mediocrità e scarsa credibilità che sono sotto gli occhi di tutti.
Carlo Castellini
RISPOSTA DI GIUSEPPE ZANON A FAMIGLIA CRISTIANA
Spett.le 'Colloqui col Padre',
leggo il vostro articolo 'Cari ex preti, risparmiateci i vostri piagnistei!' sul n°33 di
'Famiglia cristiana' del 17-08-'08, pag. 9 ; voglio provare a rispondervi.
Innanzitutto dispiace non sapere chi scrive, dal momento che la firma 'U.Pierino' non
dice niente; gli ex preti saranno anche piagnistei ma hanno il coraggio di venire allo
scoperto, con firma completa.
Piagnistei, riferito pure solo ai pochi che si fanno vedere in televisione, mi sembra
riduttivo dal momento che sui 100.000 preti che hanno lasciato in questi ultimi
quarant'anni, c'è di tutto, chi non vuole più saperne di niente, chi rimpiange l'altare
ed il pulpito, e in mezzo c'è la grande maggioranza che fa un ragionamento
semplice: ma se 'Salus animarum suprema lex-la salvezza delle anime è la suprema
legge' perchè la Gerarchia ecclesiastica attuale si ostina a vietare il ministero
sacerdotale a quei sacerdoti che hanno conservato la fede in Cristo e l'attaccamento
alla loro vocazione sacerdotale solo per la norma giuridica del celibato obbligatorio,
discutibile, come si sa, e senza togliere niente al grande valore del celibato come
carisma del Signore?
Perchè si continua a presentare l'efficienza organizzativa delle unità parrocchiali
come soluzione alla carenza dei preti, quando si sa che i preti scarseggiano e basta ?
Ho parlato di 'attuali gerarchie ecclesiastiche' non di Chiesa, perchè questa
comprende anche Cristo Gesù, suo capo, ed il popolo di Dio che possono anche
pensarla differentemente.
Non mi sembra quindi corretto parlare di ex preti piagnistei. E se ne vuole una
conferma, veda un sito di essi, del quale mi occupo come redattore
www.chiesaincammino.org, già propositivo nel titolo, nelle voci di prima pagina e
nel suo insieme.
PS: mi permetta di correggere la voce 'ex preti' che è teologicamente sbagliata,
perchè preti si è per sempre, dato il carattere, come sarebbe per un cristiano che, per
il battesimo ricevuto, cristiano rimarrebbe sempre, anche se cambiasse religione.
Cordiali saluti
Giuseppe Zanon
56
LETTERA DAL MO.CO.VA. MEDJUGORJE
Mette incinta una suora e plagia i “veggenti”
La Santa Sede corre ai ripari
1)
P.Tomislav Vlašic, direttore spirituale dei “veggenti”, mette incinta
2)
La Congregazione per la Dottrina della Fede, dicastero supremo della
una suora croata e ha un bambino.
chiesa, il 30 maggio scorso lo accusa ufficialmente di plagio e di
immoralità sessuale.
3)
I veggenti (plagiati o complici) nuotano frattanto da anni nel business.
MO. CO. VA.
(Movimento Conciglio Vaticano II)
CONTINUIAMO
LA
PUBBLICAZIONE
DELLE
LETTERE DALLA RACCOLTA DI ALDINO RICCI
INIZIATA CON IL NUMERO PRECEDENTE
Ancona 24 marzo 80
Spett. Direzione,
non so come ho potuto leggere “Dimensioni Sacerdotali”,
perché io sono cappellano, invece la copia era indirizzata al parroco, che non può
certo condividere le vostre idee e i vostri scopi, essendo anziano, arretrato.
Io sono un sacerdote…Condivido in pieno il vostro Movimento e mi auguro
possa rafforzarsi, espandersi e farsi sentire.
Non so quando, ma con ogni probabilità io pure lascerò il ministero. E questo pur
sentendomi felicemente prete nella pastorale e nella vita scolastica, perché voglio
poter vivere anche la dimensione dell’amore umano e sessuale.
Da anni mi sento a disagio, ma nel medesimo tempo immensamente felice per una
“grande amicizia” di una ragazza. Non ho problemi di coscienza, ma solo pratici in
quanto occorre sempre fingere e nascondere, sempre col pericolo di essere rimosso.
Non posso continuare così; ma dopo cosa mi aspetta?
Vorrei poter andar via, lontano:
Saluto e vi auguro buon lavoro
lettera firmata
57
Pistoia 1 aprile 80
Carissimi amici,
ho ricevuto, letto e meditato sia il primo numero del nostro
giornale “Dimensioni Sacerdotali”, sia l’invito all’incontro di Bologna.
Personalmente sono entusiasta delle vostre inziative (ne ho conosciuta una analoga
in Olanda).
Ho desiderato più volte venire a conoscervi personalmente e dare il mio
contributo alla vostra azione.
Come tesi di laurea a Firenze ho lavorato per diversi anni sul CELIBATO
ECCLESIASTICO , raccogliendo immenso materiale sul tema, a partire dal
Concilio Vaticano II, su quanto avveniva nel mondo (pubblicazioni, ricerche, prese
di posizione, ecc), utilizzando anche il materiale schedato da Centro “Pro Mundi
Vita” di Bruxelles,
Non avevo soldi per pubblicare la mia tesi che fu ben accolta alla Facoltà di
scienze politiche di Firenze. Poi mi sono sposato (nel 74) , abbiamo due bimbe (3 e
4 anni); mi dedico con entusiasmo sia al lavoro professionale, sia all’impegno
politico, sia alla famiglia.
Condivido in tutto il contenuto del giornale, i vostri progetti e vi sono vicino.
Il mio sacerdozio è completamente secolarizzato, laicizzato, svestito del sacrale,
mitico, religioso…è addirittura politicizzato.
Scusate la fretta, volevo almeno farmi vivo per inviarvi i miei auguri di vita, di
gioia, di fede.
lettera firmata
Torino 2 aprile 80
Carissimo Direttore,
anche se non la conosco personalmente, mi è gradito inviarle
gli auguri di buona e santa Pasqua. Ho ricevuto il periodico “Dimensioni
Sacerdotali” e il bigliettino in cui mi si chiedeva di esprimermi circa una mia
adesione al Movimento. Mi permetta allora di esternare il mio pensiero.
Io provengo da una struttura religiosa, lasciata ormai da dieci anni: la prospettiva
di trovarmi nuovamente inquadrato in un’altra struttura, certo più elastica, non
alienante almeno nei principi, ma pur sempre struttura, non mi si confà. Amo la
libera scelta, l’impegno di coscienza assunto momento per momento con me stesso,
l’uomo spirituale che non è giudicato se non da Dio, la dimensione libera non
vincolante.(…)
Iddio sa scrivere giusto su righe sbagliate : se lo vorrà potremo essere utili ancora
alla Chiesa. Ormai le rivendicazioni nostre sono sulla bocca di tutti: spetta ora alla
Chiesa compiere il primo passo. Ci ha sbattuti fuori sul sagrato: quando vorrà ci
spalancherà le porte.
Anche i gradini esterni e non solo l’altare fanno corpo unico con tutta la Chiesa.
Con queste mie riserve, non ho voluto sig. direttore, né smorzare entusiasmi, né
tanto meno mettere in crisi il lavoro di anni, portato avanti da persone ben più
qualificate di me; prima di aderirvi voglio essere ben sicuro con la mia coscienza.
Leggerò sempre con interesse la rivista e sarò unito fraternamente con voi.
In Cristo e nel Suo amore, un abbraccio.
lettera firmata
58
Avellino 13 maggio 80
Spett. Direzione,
aderisco al Movimento, che è voluto da Dio. Suggerirei di
partire segreti ed una volta che si siano formati dei gruppi ovunque, allora agire
apertamente, fino ad essere anche perseguitati per la giustizia, ma senza imprudenze,
senza cozzare con la Chiesa.
Molti non scrivono né parlano perché sanno che il Papa è duro; altri peccano e
non possono chiedere perché verrebbero scoperti, fingono e dicono che va bene
così; ridotti al silenzio dal demonio muto! Altri pensano alle ricchezze, agli onori,
alle adulazioni; altri ancora sono apatici.
Molti vescovi poi dicono che tutto va bene; pur vedendo tragedie, fanno finta di
niente, allo scopo di non perdere le grazie di Roma e dei Dicasteri romani.
In un opuscolo sorto di recente in contrapposizione al n.1° di “Dimensioni
Sacerdotali” e diffuso particolarmente nel Meridione si danno 26 risposte ai quesiti
posti dall’organo di “Vocatio”: a queste 26 risposte che minacciano l’inferno,
risponderei che i loro estensori non hanno avuto modo di approfondire il problema
che è problema di fede. Cioè non considerano che è di fede rispettare la legge del
matrimonio, il sacramento del matrimonio, e che non si può né si deve negare la
grazia al sacerdote di rito latino.
Sottoporrei a questi signori la Legge Eterna Morale, che non è legge fisica e farei
considerare cha l’Autorità umana, sia ecclesiastica, sia civile, deve uniformarsi, nel
fare leggi e precetti, unicamente a detta Legge Eterna Morale e non contrastarla o
modificarla, pensando di far meglio di Dio.
Importantissimo per riuscire: formare gruppi di sacerdoti, gruppi di laici che si
riuniscono per la programmazione e l’azione con riunioni programmate per i capigruppo nelle quali si comunicano e si ricevono decisioni ed iniziative ( Suggerimenti
del Concilio Vaticano II). Gli stessi Padri Conciliari dicevano:” Roma non
concederà se non si muove la base e se non si muove subito e con energia…Roma
cederà solo davanti alla forza. I vescovi cioè minacceranno noi sacerdoti di
sospensione, ecc. Ma se i gruppi saranno tanti e ci sarà intesa, ognuno dei colpiti
potrà dire: Lei, eccellenza mi sospende e minaccia, ma nella mia persona sospende
tutti i sacerdoti e domenica prossima nessuno di noi celebrerà messa; tutti insieme
diremo ai fedeli, mettendoci davanti alla porta della chiesa, che i vescovi non ci
ascoltano nelle nostre necessità e ci maltrattano e tiranneggiano”. (…) Dio non ha
dato a noi, sacerdoti, una natura diversa da quella degli altri uomini, né un vangelo
diverso e particolare, né mezzi di salvezza diversi dai 7 sacramenti che non sono in
contraddizione tra loro, perché, se così fosse, il Signore sarebbe diviso in se stesso e
il suo Regno crollerebbe…
lettera firmata
Sassari 20 maggio 80
Spett, Direzione,
da poco conosco di nome codesta comunità e non dovrei
permettermi alcun consiglio. Ma il vivo desiderio che la vostra iniziativa abbia
successo mi spinge ad alcuni suggerimenti.
59
1)
Avere il coraggio e lo zelo di combattere, non per distruggere ma per
riedificare nelle stesse verità, meglio interpretate e meglio adattate
all’uomo, un mondo migliore in una novella Chiesa.
2) Non accettare passivamente certe imposizioni dall’alto, ormai superate e
nocive.
3) Difendere i diritti umani, negati dall’attuale Papa, in seno alla Chiesa,
specialmente verso il clero, con abuso di potere, con imposizione di
tirannia e con astuzia ben studiata ed applicata.
4) Iniziative di ogni genere per la libertà del celibato dei preti. Non
accontentarsi solamente della dispensa (ora negata anche questa), ma
arrivare alla concessione di lasciare liberi i preti di sposarsi e continuare il
ministero.. Bruciare le tappe.
5)
L’astuzia di papa Wojtyla è ignorare il problema, non parlarne e
tirare alla lunga.
A tutti i miei auguri
lettera firmata
Venezia 16 luglio 80
Cari amici,
Bravi, sono con voi! Ottima la vostra iniziativa, il sindacato, le stanze
a disposizione, il tentativo di assicurare un titolo riconosciuto dallo Stato a quanti lo
vogliono (è la chiave di ogni possibile emancipazione: l’indipendenza economica).
Io però non credo più nelle suppliche e nelle argomentazioni teologiche, o nelle
ragioni derivanti dagli umori della gente, se cioè è disposta ad accettare o no.
Ho visto troppa gente schiacciata dal rullo compressore dell’ “istituzione
ecclesiastica”.
C’è una sola ragione che potrà spingere la gerarchia, e questo papa in particolare, a
considerare il problema “matrimonio dei preti”: la necessità, il bisogno dei preti.
Occorre creare questa condizione!
Niente suppliche, niente lettere aperte, niente dispense umilianti e benevoli
concessioni implorate come favori; se di diritto si tratta, il diritto si esercita e basta!
Tutte le altre cose servono solo a fornire argomentazioni a coloro che non ne
hanno bisogno, perché più che convinti dei loro diritti.
Non ne vogliono sapere? Fa lo stesso.
Non concedono dispense? Se ne fa a meno.
Non c’è altra strada.
Con le lettere aperte e udienze papali otterrete solo compassionevole attenzione, vi
saranno solo riservate preghiere per sacerdoti in difficoltà….!
E’ tempo di adesioni concrete, di decisioni libere oltre il blocco gerarchico: la
struttura non può rinnegare se stessa, ha bisogno di servi devoti e quindi celibi!
Da questa struttura non mi attendo niente! Mi interessa comunque la vostra
iniziativa e, a tempo opportuno, mi farò vivo…
Vi saluto…mi perdonerete l’anonimato, ma sono un parroco e vi immaginate
quanto mi costi non potermi firmare.
E’ il prezzo della pagnotta…
lettera non firmata
60
Bergamo 9 ottobre 80
Carissimo segretario,
perdonami se non mi sono fatto vivo prima.
Auguriamoci che la nostra opera (mi ci metto anch’io) vada avanti. Personalmente
sono pessimista: questo papa estero è meno aperto di papa Montini: ha tolto anche le
dispense, creando così in molti preti una doppia vita o costringendoli a sposarsi in
municipio: ho delle esperienze in merito anche recenti.
E’ amaro e pagano il dare alla verginità fisiologica (in realtà solo giuridica…) un
peso determinante, mentre alla carità reale (non verbale) e alla povertà vissuta per il
bene dell’altro non si dà peso se non nelle prediche e insomma nell’amaro e ipocrita
verbaiolismo di vertice e di base.
(…)
Un caro abbraccio
lettera firmata
Forlì 21 novembre 80
Spett. Redazione,
il parroco di……vivamente si rallegra con codesta spett.
Direzione per la “veramente ispirata” campagna, effettuata a pro della libertà di
scelta del celibato sacerdotale.
Premetto subito di dire questo non nel mio interesse……poiché ho la bella età
di…78 anni!
Ma lo dico perché sono più che convinto che nelle nostre innumerevoli parrocchie di
montagna tra non più di 10 anni (per esagerare) non ci sarà più un solo parroco.
lettera firmata
Lecce 10 dicembre 80
Carissimi amici di “Vocatio”,
vi scrivo perché dopo le cocenti docce fredde
ricevute da parte del nostro Papa in questi ultimi tempi in materia di celibato
ecclesiastico, improvvisamente vi ho conosciuti attraverso il bollettino “Dimensioni
Sacerdotali” e vi prego di avere la bontà di leggermi sino in fondo.
Vi chiedo scusa se scrivo a macchina, se mi firmo con un nome non mio e se
imbuco la presente lettera in un paese vicino.. Il S.Padre mi obbliga ad un
mortificante anonimato da cui spero di poter uscire quanto prima per presentarmi a
voi con le mie vere generalità.
Sono una donna di 40 anni e da ben 18 anni amo un don….Lui ha 48 anni e circa
8 giorni fa mi ha fatto leggere il bollettino che gli avete spedito.
Non so se riuscirò a farmi capire, almeno in parte, ciò che viviamo intimamente
da quando abbiamo appreso che voi, con molto coraggio, avete preso l’iniziativa di
affrontare un problema che è reale e che ormai è giunto il momento di affrontare per
il bene di tutti.
Io avevo solo certezze approssimative di quanto il celibato fosse anacronistico e
non rispettoso del messaggio evangelico; ma ora, leggendo “Dimensioni
61
Sacerdotali”, ho avuto modo di approfondire ulteriori elementi che mi confermano
quanto il celibato sia ostinatamente difeso e imposto dal Papa, dal vecchiume curiale
e da una frangia di notabili ecclesiastici integristi.
Quando Gesù sul lago di Galilea (che ho avuto la fortuna di visitare) disse:” Vieni e
seguimi”, non guardò certamente se gli Apostoli avessero o no la fede al dito dei
coniugati o non.. Disse semplicemente:”Vieni e seguimi”.
Perché quelli osano ancora non considerare la parola di Gesù? Ebbene io ho
trovato in voi degli interlocutori che cercavo da tempo. Mi date la possibilità di
sperare ancora in un miracolo, che è nascostamente desiderato da moltissimi in
questa Chiesa che amiamo tanto e dalla quale mai ci siamo sognati di uscire.
Amo di un amore immenso e sublime un sacerdote che ha la “colpa” di essere
tale.
Nel 1962 fu mandato come parroco nel mio paese; io operavo in parrocchia e un po’
alla volta la nostra intesa sul piano operativo sociale ci portò ad un rapporto più
intimo.
Lentamente, ma costantemente, ci cercavamo, perché moltissimi motivi ci
legavano a vicenda.
Col passare degli anni, io notavo in lui una educazione eccessivamente unilaterale
che aveva ricevuto in seminario e di cui non aveva colpa: capivo che, sotto sotto,
nascondeva un animo d’oro, che io lentamente e discretamente dovevo scoprire e
valorizzare. Così è stato.
Ha ora una tale sicurezza psichica ed insieme abbiamo raggiunto un tale
equilibrio sociale-affettivo che, se potessimo manifestare alla luce del sole, sarebbe
forse l’invidia di tante coppie scombussolate e nevrotiche della società moderna.
Ora, L. è esageratamente umile, riflessivo, buono, comprensivo e amico di tutti.
Io sono l’unica persona che lo capisco meglio e sa cogliere il vero significato delle
difficoltà esistenziali degli altri. Per tutti questi anni, se da una parte ci siamo
scambievolmente arricchiti di nuove dimensioni affettive, umane, sociali,ecc.
dall’altra abbiamo amaramente rincorso un sogno mai realizzato: di avere un figlio
che entrambi abbiamo desiderato tanto.
A volte lui, esasperato, era deciso di chiamarlo alla vita, ma poi insieme abbiamo
dovuto rifiutarlo….quanta amarezza in ciò che dico! Ora voi ci riaccendete le
speranze.
Continuando la mia rapida storia, vi dico che abbiamo anche captato qua e là
fugaci notizie su movimenti o su richieste di abolizione di questa legge disumana del
celibato imposto.
Commentando insieme i vostri scritti e soprattutto la lettera aperta al Papa,
abbiamo capito quanto siate stati decisi a rimuovere questa assurda legge. Ovunque
c’è nell’aria l’esigenza di vedere anche i sacerdoti sposati; ora si parla molto
diffusamente di questa necessità.
La gente non sopporta più il pastore d’anime avulso dal contesto sociale,
impreparato socialmente e non calato nella dinamica della vita.
Anche i vari sacerdoti ai quali devo confessare questa colpa, che per me non è
tale, sono mortificati e mi dicono che L. è in un certo senso fortunato ad avere me
all’ombra della sua vita.
Il rimorso e lo scrupolo mi prendono per molto tempo se non esercito a
sufficienza la carità sul campo del lavoro e se non uso la pazienza con l’infanzia, e
così via, mentre non mi sento intimamente in colpa per amare lui.
62
Il nostro rapporto è talmente sincero e totale sotto gli aspetti che ha fatto di noi,
due persone equilibrate, discrete e capaci di amare gli altri sino in fondo.
Circolano voci che il “concubinato ecclesiastico” è vissuto visibilmente ed il
nostro Papa continua a chiudere gli occhi. Se avessi avuto la fortuna di trovarmi in
S.Pietro il venerdì santo dello scorso anno, in confessione gli avrei raccontato la mia
storia, che ho raccontato a voi e che è simile a quella di moltissimi altri nostri fratelli
e sorelle. Avrebbe ancora scrollato le spalle?….
Grazie per avermi letta. Vi stringo fraternamente la mano nella speranza di
potervi un giorno, non lontano, conoscere insieme con L.
Beatrice (pseudonimo)
Parma 2 gennaio 81
Egr. Direttore,
ho letto con grande interesse “Dimensioni Sacerdotali” e ne
condivido pienamente gli obiettivi.
Sarà comunque una lotta molto dura, irta di difficoltà e incomprensioni; sarà
forse una voce che grida nel deserto; è necessario tuttavia farsi sentire e non
scoraggiarsi, anche se i centri di potere delle alte gerarchie sembrano inespugnabili.
Sarò lieto di partecipare a qualche incontro e contribuire alle vostre iniziative.
Indico anche un altro sacerdote che desidera il giornale.
lettera firmata
(continua)
PENSIONE E ASSISTENZA IN GENERALE
PER IL CLERO
1-
informazioni di carattere generale: ALBERTO MILANI cell.
347.9957167
2- i sacerdoti che abbandonano il ministero non devono
dimenticare che esiste una legge dello Stato
(SOSTENTAMENTO CLERO n.222 del 20 maggio
1985) che all’articolo 27 prevede i casi…
“abbandono della vita ecclesiastica”.
63
ABBONATEVI
PER IL 2009 a
SULLA STRADA
Abbonamenti
Ordinario € 25,00
Sostenitore € 50,00
CCP 18036004
intestato a Associazione Vocatio
via Ostiense 152/b
00154 Roma
Questo è l’ultimo numero che viene inviato a
chi non ha ancora rinnovato l’abbonamento
La persistenza e consistenza degli abbandoni del ministero sacerdotale in Italia (e nel mondo) nasce
da esperienze diverse e sfocia poi in situazioni di vita altrettanto diverse da costituire una ricchezza e
una fonte di informazioni e di stimolo per tutti quelli che hanno intrapreso questo percorso o che
pensano di intraprenderlo.
Altrettanto ricca sarebbe l’esperienza dell’abbandono della vita religiosa femminile, ma su queste
donne è calato oltre che l’ovvio silenzio della chiesa gerarchica, anche il silenzio della stampa.
Tutti coloro che conoscono uomini e donne che hanno vissuto queste esperienze sono invitati a
segnalare il loro indirizzo al direttore della rivista, che provvederà a inviare loro gratuitamente il
prossimo fascicolo.
64
Fly UP