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VIAGGIO Mai un istante di solitudine Pur vivendo
VIAGGIO Mai un istante di solitudine Pur vivendo Giorno per giorno Accanto agli altri. Uno scoglio eroso dal mare Millenni di vita Dimenticati al sole. Non c’è vento Figlio di Eolo: La tua vita è costretta fra quattro mura! Un abisso ti circonda: Sentimenti e parole Simili al tempo, vuoto inutile falso. Ancora a lungo Figlio di Eolo, Udrai la voce dello specchio Senza andare ad infrangerti contro ? Solo domande sono rimaste nella tua mente. Bisognerà aspettare un altro secolo? Un sole rosso come poco tempo fa La stessa, inutile, situazione. Ripercorrere la stessa strada Lungo un tormento che qualcuno vorrebbe, Ripensando a se stesso, Eliminare totalmente. Pessimismo della ragione Oppure Utopia della fantasia ? Non guardare in quello specchio, Non vedrai alcun riflesso. Non parlare con te stesso, Udrai solo il suono delle tue parole. La realtà ! Viva dirompente accecante Ma tragicamente Assurda. Inutile dar vento alle vele Quando il mare è in tempesta ? Non c’è vento, Figlio di Eolo, Ma il mare è molto mosso. Come una talpa al sole Non vivrei Con il riflesso d’uno specchio infranto. Una storia che si trascina stancamente Ognuno è chiuso nella sua gabbia d’oro. Dove sei stato ? La tua infanzia fatta di fame e sentimenti Trascorsa all’ombra di alberi più alti Mai pensando di uscire al sole Dove sei stato ? Un incidente improvviso Lascia il ricordo amaro Di una vita vissuta a metà Dove sei stato ? Gli alberi più alti Opprimevano la tua mente Mai il tuo spirito Dove sei stato ? Il fiore maturava, non cresceva E la tua vita andava lenta Troppo lenta per rincorrerla Dove sei stato ? Una fiamma bruciava uno scudo ed una bandiera Non tornare agli avi sembra impossibile Anche se l’unica realtà visibile Dove sei stato ? Il cuore si innalza al di sopra della mente. STRADE DEL VIAGGIO La storia distende le sue calde braccia Intorno al collo d’una umanità Perduta dimenticata sconfitta. Sogno e realtà si intersecano Come rami di specie in via di estinzione. Poter cullare il vento dolce della vita Li farebbe forgiare uno scudo protettivo Contro le scorie dell’anima. Non andare oltre sempre e per forza Prova a fermarti ed a posarti dolcemente Sulla spiaggia di questo mare sconosciuto. Il sole ti scalda oltre ogni aspettativa Ed il viaggio rivela o svela Incognite da affrontare e risolvere. Non cercare o trovare scuse Alla tua ineffabile caducità Comunque, quella valle ti sta aspettando Stazione dopo stazione Come un rigagnolo di futuro Inondato da torrenti di passato. I sogni dell’era primordiale Si dilatano e si dipanano In risapute e riconosciute realtà. E quel suono consueto Ti evidenzia la strada Della partenza e del ritorno. ADALBERTO FORNARIO Salina La sua terra è un lenzuolo dorato colorato di verde. Una distesa di lacrime salate entra in punta di piedi e si ferma lì, sulla soglia delle tue palpebre. Ti lascia dentro una voglia di pianto che febbrile e dolce riga il tuo viso. Gocce di perle incantate scendono a valle laddove labbra arse dal sole sono pronte a riceverle. Lontana è attorniata dal mare che come vita e morte, la avvolge nel ciclo delle sue estati perpetue. Il destino inquieto di un angolo ai confini dell’immenso orizzonte. Attendi che il sole risorga per portare via la tua incredulità, la tua malinconia. Le onde ciclicamente bagnano i tuoi piedi nella luce argentea cambiano ritmo: il giorno è vicino. Ma quanto silenzio ancora … quanta pace in questa sperduta culla d’amore. Gli uccelli Ora so che vorrei volare lontano, ora non ho più paura di perdermi tra i soffi del vento. Sento solo soffici carezze sul mio viso. Vorrei essere come voi, librare in un cielo morbido, vellutato. Farmi invadere dalle correnti calde, aprire le ali e planare sulla cresta delle nuvole. Toccherei i granelli di mare, scivolerei su gocce di sale e di gioia. Risalirei invasata di pace e libertà, di amore immenso. Riesco a vedere tutto da quassù. Potrei piangere alla vista dell’intero mondo in un solo sguardo, potrei lacrimare di felicità, potrei cadere per il dolore. Sarò una piccola invisibile parte di voi, saprò celare la mia razza, saprò assomigliarvi. Sarò una donna ma tenterò il volo. ADRIANA CAPPELLUZZO Il flauto magico Chissa’ come,chissa’ quando il batuffolo adagiato qui nel petto ha sfogliato fantasie e del respiro della vita s’e’ vestito facendosi nutrire,lasciandosi incantare e inseguendo un sogno di tutti i colori disegnato, trastullando con la punta delle dita i sentimenti, raccontando l’onda di un fresco sorriso acceso e riscaldato dalla felicita’, inseguendo su una guancia il solco di una lacrima bagnata di dolore, raccontando le tempeste di neve che a volte confondono un momento. Ricordo bene il primo giorno che la pagina d’amore un angelo giro’ per me al suono di una ninna nanna, che ogni giorno un flauto magico intonava per me, e il mio sguardo di cucciolo s’incantava sul volto della mamma… Poi piano piano un vento leggero ha imparato e entrare senza bussare sbucciando come un frutto maturo il melograno delle mie emozioni, e la tua pelle delicata ,cuore, a cominciato a cambiare conoscendo l’avventura e nella fragilita’ s’e’ perso un po’ d’azzurro… E hai donato amore e hai sorriso come l’onda del mare che segue la corrente salutando l’alba dorata,e hai anche sognato e hai vissuto ,oh,se hai vissuto, ti sei abbandonato come su un’isola deserta e hai colto a piene mani mazzi di fiordalisi, hai visto volare nuvole di farfalle, ti sei addormentato alla luce di abbaglianti tramonti. La bellezza a volte ti cullava assoluta e di lei ti sei cibato,ecco perche’ sei cosi’ forte e hai tante pagine da sfogliare ancora e in un angolo dormono sogni o paure gocce di vita,pioggia d’argento sempre senza nebbia,l’indefinito non ti piace, e ascolti musica che vive danzando, e quando il vento sollevera’ le cortine della tua finestra agitando lievi domande, tu candido batuffolo colorato di vermiglio, giglio e rosa, aurora e crepuscolo, darai un balzo ,sentendo il respiro flautato del sogno, e canterai ancora. Il respiro dell’anima E diro’ il tuo nome spargero’ la voce nelle fenditure delle ore di questi giorni avari d’incanti e di magie, e chiamero’ a raccolta un caro amico per tramandare aneddoti della mia fantasia. Cio’ che scrivero’con l’amore avra’ a che fare, intingero’ la penna nella brezza della sera, di soavi accenti cospargero’ le idee e il delicato profumo della rugiada del mattino i miei pensieri stordira’, intenso. Il silenzio ovattato che precede l’inganno, e una nuova alba, arrivera’ a svegliarmi e nemmeno un fiore appena dischiuso disturbera’ il mio sogno… Passera’ una nuvola rosa ,una nuvola bugiarda, e un refolo di vento col suo tenero azzurro, mi sussurrera’ di aspettare… Sara’ come volare… In un cielo d’estate…. Aria chiara e trasparente… Respirerai con l’anima,ascoltando il cuore, tempi ameni coniugherai cantando una musica dolce… In quel momento sarai vicino a me, ti perderai… E ruberemo un attimo d’immenso. ANNAMARIA IMMESI SMORTO La Freccia Freccia che scocca e trapassa il cuore questo è il traguardo dell’amore tristo nel dirlo e osservare: questo succede nell’amare figlio che nasci non ti voltare lascia la terra per il mare ci siamo amati e volato in alto ma colui che scrive ora è un altro freccia scoccata trafitto m’hai il core continua la corsa lontano ma dove? Folletto etereo La cima di una collina l’orizzonte scorre tra punte di rosmarino e rondini danzanti folletti eterei questo posto abitano. La tua danza violata m’incanta come i tuoi fianchi non ancora stanchi di un movimento Sufi. Ti guardo ma ancora di più ti odoro e m’inebri di gentilezza il cuore provocando spasmi e anche dolore. Danzala questa vita Visbranti e sciolinando voli ed io con te per una volta soli. ANTONELLO KAVEEN MILLARELLI PRESENTIMENTO Guarda la nube rossa sopra il monte, nasce una stella già nell’aria pura. Si china ormai alla fine la mia fronte di vita mia che fu rocciosa e dura. Io che t’aprii dell’arte chiara fonte, tu che di gioia e crucci fosti cura, di giovinezza al cuore scava un fronte. La mia discesa allor sarà sicura. Che gusti dell’occaso inizio e avvento, che fonda dentro me divino e umano, che dopo le tempeste scorra lento questo esistere mio che non sia vano. Ma, quando sarà giunto il mio momento, se avrò paura, tienimi la mano. PERDONO Perdono, amore mio, se non t’ho amato quanto m’amavi. Mi sentivo vecchio. Quando tutta te stessa m’hai donato io mi sono guardato nello specchio. Tu eri fresca ed io ero attempato ed al mio corpo io prestavo orecchio. Io ricevevo, ma cosa t’ho dato? Sono scomparso e buonanotte al secchio! Ed ora, che grinzosa è la mia pelle, credevo che tu stessi ormai godendo di giovinezza tua l’ore più belle. Senza il mio amore cosa stai facendo, malata nella tua sedia a rotelle? E’ tutta colpa mia se stai morendo. ANTONIO GIORDANO Odo la campagna spenta Odo la campagna spenta che mi racconta piano la mia storia ed amo questo brusio di foglie mosse lente dalla pioggia, quasi percosse eppure pervase di umor divino sceso sulla terra. Introspezione Non c’è nulla dentro al mio cuore sterile e vuoto nella giornata buia e più silenziosa della notte che l’anima teme invocando giustizia Solo l’amore è ricordo e spettro di dolci momenti sfiorati e bambini, fragili piccoli nani spremuti e adorati, per sempre plagiati e perduti E non trovo nulla dentro a questo cuore malato, stordito o forse rinato da nuova consapevolezza e da Fede, umana mani di servire la Vita. BARBARA BARONE Quando l’erba cresce Molto meglio se in tasca non ho niente irresponsabilità contro il declino. Ho lavorato, ma ora il vuoto sente chi sta intorno con l’idea del villino. Credere a ciò che dicono non vale, mentono i media, per loro un’ora è tutto. Crisi, manca soldi, Natale all’asciutto! Lavorate,Voi, ancora! Capisco l’emigrante. Ho il coraggio: ‘Paese mio ti lascio, non sono saggio. ’ Il figlio è il frutto del lungo viaggio. Piove sempre piove e male non farà i grandi ha deciso sorte e fedeltà noi crediamo ancora in Dio, se arriverà. A Massimo Ti ho visto dentro a un albero e mi parevi spoglio nel cavo del tuo tronco. Migrati son tutti dai rami! Accidenti alla disgrazia di non parlare, solo cinguettare, Suo vizio di città, Sua terra se con maestàde sapesse dirmi perdono. Basterebbe forse il suono: ‘Sorridi tra i denti! ’ Il mio fa sempre frastuono e non lo regalo, albero deriso che poti e poti e non cresci mai, nidi? Solo un tronco, la foto del tuo viso. ps: Scusa l’impudenza al fine ora giungo, se lo vorrai, mi trasformerò in fungo. CARLOTTA NANUT SOGNI VESTITI DI NOTTE Si spengon all’alba i sogni vestiti di notte, consumati come candele accese per misteriosi voti. Aman sciogliersi languidi al primo sole che tocca e fugge al suo solito dover, lassù superbo padrone. Scordati o rammentati appena, i sogni ancor madidi di notte corron a nascondersi altrove. Sfidando nebbie e brume, infilandosi tra catinelle, fiocchi e grandine… Incauti vestiti di notte, per poco sopravvivono al giorno che beffa e ferisce il volteggiar dei sogni. Loro, ottimisti traditi, cedon a luce e realtà, a labile memoria che non sa più tenerli o riprenderli perché tornino al loro giusto posto. Nell’incosciente intimo da dove son sgusciati via così com’erano: sol vestiti di notte. TRA CUORE E REALTÀ Brillano nella penombra di mille sere sconosciute le tante storie perse per strada. Perdute col rammarico di giorni propri rubati da traditrici mani che, false amiche, gettavano acqua sul fuoco che si stava spegnendo tra cuore e realtà. Luccichii di passato feriscono occhi che cercano, brancolano quasi nuotando nel magma eruttato da anime altrove, anime anche mie, anime anche nel cuore mio. E, nel cuore mio imberbe maturo, torna il viso rimasto bello per dispetto grande al tempo. L’unica e non ultima nicchia di giovinezza che resiste facendo a pugni con anni e rughe e rimpianti. Forse pure con rimorsi, chissà… Poco o tanto vale il giorno che appare bisticciando con alba e tramonto. Non sa mai se fecondo sarà, se gioia o tormento per futuro al prossimo angolo… Quello che costringerà il fato a mostrarsi per quello che è e basta: sogno madido di sudore nello sforzo d’avere radici vere. CLAUDIO BECCALOSSI FIORE DI CAMPO Fiore di campo non ti ho dimenticata perchè da quanto te ne sei andata la mia vita è più triste e più affannata. Ti amavo e ti amo ancora davvero, e sarei capace di gridarlo al mondo intero. Ritorna da me Fiore di campo non vedi che senza te mi sento già vecchio e stanco. Ogni volta ritorno, là,dove siamo stati insieme ed ogni volta mi sento gelare il sangue nelle vene. Penso a noi due, i tempi della scuola quando si era una persona sola. Penso a noi due insieme a litigare e subito dopo una parola dolce per poter ricominciare. E penso a noi due in quelle scale a dirci che il nostro amore stava per tramontare. Del tempo nè è passato,adesso, ma io sono sempre qui sfinito e senza scampo mentre cerco di gridare: "Ritorna da me Fiore di campo". IN MORTE DI MIA MADRE Perdonami mamma,per non averti capita. Perdonami mamma per averti ogni tanto ferita. Tu per noi sei sempre stata la migliore delle mamme e da tale ti sei sempre comportata. Però nessuno ti capì mai veramente così che tutti ti credevano malata di mente. Ma solo io sapevo che non era vero tu sei sempre stata, una persona viva,simpatica e giocherellona. Ti piaceva sempre scherzare anche per questo non hai mai saputo odiare. Adesso madre mia ci hai lasciato qui da soli e sei andata via sei partita per un viaggio lungo quanto la luce del giorno da cui però non vi è mai stato un ritorno. E quindi adesso che non ci sei tutti si chiederanno perchè, come mai. KELLY D'OSTILIO Contratto con la vita Dopo aver silenziosamente rivolto lo sguardo all’orizzonte, all’abbraccio della speranza, all’eco mutevole dei pensieri, all’eterno mantra dei ricordi, alla certezza che ogni certezza fugge, al calore e all’affilata lama delle parole, all’irriproducibile disegno dei passi sulla polvere degli anni, al sentiero verso il bivio enigmatico della verità, alle mani che notturne catturano lucciole: per filtrarne la luce e poi …………………………………………………………………dischiudersi, al dubbio e al sibilo sotterraneo dell’angoscia, alla pausa del respiro tra un ordine scomposto di stelle, al riflesso del cielo su migliaia di auto incolonnate verso un altrove vago e ………………………………………………………………… indifferente, alla nostalgia che filtra attraverso un bagliore inatteso, all’isola che c’è in qualche abracadabra dalle sillabe dimenticate, al cuore che batte il ritmo del mai sempre mai e ricomincia da capo, ai no mascherati dal suono apparente dei sì, alla fusione dei chilometri in un’unica splendente galassia priva di ……………………………………………………………………..distanze, alla volgarità che tacita la perfezione della bellezza, all’ingannevole vela nera nell’ultimo sguardo di Tristano, al grumo di sciocchezze che inciampano tra un passo e l’attesa dell’altro, allo squillo del telefono disperso nella lentezza dell’oscurità, alla sfrontata impazienza del dolore, alle preghiere che intercettano lo stupore dell’oltre, al pianto in agguato tra selve di sogni disfatti, alla vertigine del silenzio primordiale, al brusio degli ammassi stellari, alle alghe danzanti nelle cale di arcipelaghi misteriosi, alla paura che balbetta attraverso le ombre, all’arabesco fluttuante di ogni linea di confine, agli elfi che popolano i paesaggi dell’infanzia, alla danza di una piuma in un soffio di luce, alla lenta rotazione di una sedia a rotelle con il suo occupante, alla monotona perfezione ritmica di un metronomo e a quella del respiro …………………………………………………………..che si addormenta, alle giocose parabole dei pipistrelli, a Orfeo implorandolo di non voltarsi, al tocco feroce della realtà e a quello paradisiaco della menzogna, all’ipotesi costante di un albatro che spicca il volo verso la consistenza ………………………………………………………………… dell’azzurro, alla melodia ancestrale delle onde e delle nuvole, alla malinconia che ripete riflessi e lontananze, all’amplesso dolcissimo dell’appartenersi, al velo fresco dell’alba sulle sponde del sonno, all’idiozia degli spari in qualche massacro oltre il muro qui a fianco, alla rosa selvatica che s’arrampica sulla croce d’una tomba, al mistero infinito del tempo risucchiato nel DNA, alla filastrocca dirompente della pioggia e alle lacrime che la trasformano …………………………………………………………………….in poesia, alle catacombe dove si ripete un eterno sospiro, all’eco del cuore nello stillicidio di una fleboclisi, alla levità delle farfalle morfidi, alla linea di penombra tra la vita e i letti d’un reparto geriatrico, alla meravigliosa orchestrazione di un libro e del suo incanto, al ronzio delle mosche sullo spettro dell’indolenza, al sorriso di un bimbo che scopre di capire, all’impazienza delle biscrome che fuggono mutevoli su scale divergenti, all’imperfezione della felicità, al sordo trepestio dei ripensamenti, all’alibi inconsistente per ogni nuovo ritardo, al pennacchio di fumo della nave del solito Pinkerton, alla tavola imbandita per il ritorno del figlio, al fruscio degli oleandri nel turbine dello scirocco, al vomito rappreso in una sofferenza opprimente, alle ambigue fluorescenze dei segni zodiacali, allo stormo di rondini che al primo equinozio ritorna, alla rigidità di un vecchio ammorbidita nella sua ombra, al penetrante respiro dei prati dopo la dissolvenza d’un temporale, al salmone più testardo del viaggio torrenziale dell’acqua, al brivido della luce una frazione di secondo prima del buio, allo strano effetto silenzio che sprigiona la parola morte… e dopo aver considerato tutto questo e aver rivolto lo sguardo ancora oltre, sottoscrivo per una distanza incalcolabile di tempo, il mio contratto con la Vita: Come me, lei sarà melodiosa e concreta, unica e ribelle, sognatrice quanto serve per abbracciare il mio abbraccio e stringerlo indissolubilmente come una madre per sempre riamata dal figlio. TABLEAUX Il rosa. Le trasparenze del rosa festeggiano un ventilare d'oleandri. Possibile stilare un elenco di gradazioni emotive? E' un flusso di archi e intervalli, di tattili arcobaleni. L'indaco e il viola. Si allineano sui picchi dei monti, cupi, cupe le parole dei giorni, artiglianti. Il senso del nulla davanti ad un televisore spento. Eppure una volta, tanto tempo fa, fioriva il chiacchiericcio sull'uscio di casa nel rosa delle sere d'estate, e qualche tiepida primavera era la più confortevole placenta. L'azzurro. "Où sont les neiges d'antan?" ripete l'esitazione di un ricordo e la memoria diventa cristallo, incessante ripetizione di luci, neve che rinchiude nei suoi miracoli il silenzio. Scrollando la tela, piccoli fiocchi cadevano, l'immagine diventava immaginario, impercettibile ronzio di galassie. Verde. Rimbalzano sul prato le stelle. Tra fili d'erba e crocchi di trifogli... la falce con il suo sorriso lunare. Cespugli, il coro polifonico del vento e delle foglie. Poi l'orchestrazione a scacchiera dei grilli. Riprendono, tra le pause, la battuta successiva in levare, non considerano il tempo, lo respirano. E questo loro può bastare. Giallo. Solo color di ginestre. Ovunque. Sempre un castello, un campanile dalle nebbie, dall'acqua risorge. Io col fiato mozzo. L'ombra reale si intuisce. Ma nulla di più. Straripa un torrente e giugno, ridendo, galleggia a pancia in su. Arancio. Banale parlare di tramonti. Ma un tramonto non sempre scompare. Restano appunti, virgole sospese su sferiche autostrade: lì noi vaghiamo correndo, con un tramonto da urlo alle spalle, che ci insegue, immemori d'un principio del tutto meraviglioso e casuale. Rosso magenta. Il limite tra il silenzio e un grido. L'aria febbricitante di rose. Tralci e maggio che si trattiene nella perfezione del sonno, di ciliegie dolci, dolci... La mia brughiera è un affresco della memoria, l'attraversa un vento di betulle. Lì crescono radici verso il cielo. Non si muore mai del tutto, lì. Rouge. Se parlo di papaveri? Osserviamoli fiorire con qualche ondeggiante carezza alla Monet. Il sangue? Non è un discorso per principianti. Indispensabile il sangue: immaginarlo come un fiume nel cosmo e noi, invisibili globuli gettati a casaccio, qua e là, nell’universo. et Noir. L'ossidiana, lucifavole tra i ciottoli lungo il mare. Il vulcano dormiva con gli occhi socchiusi. Disegnavo con un carboncino sul muro: paperi alla Walt Disney, macchie nere, l'allegria originaria del silenzio. Una mano di gesso et voila il BIANCO, LA TELA HA PIU’ SPESSORE ORA. ELISA GHIRARDI IL RESPIRO DEL TEMPO Incessante stilla il gocciolio del tempo. Un brivido d’ombre percorre il raggio che si spegne. E gli anni ci sfilano davanti, burattini colorati che si muovono su assi sconnesse, trascinando persone, passioni, inconsce pulsioni. Incalzano i pensieri, comprimono, schiacciano, poi, svagati e sconnessi, si spingono via dalla mente, bianche vele sospinte lontano dal vento. Lascia in dono lacrime e memorie la pietà dell’onda. Tutto sembra sospeso nell’attesa di un incrocio d’eventi, di un presagio improvviso, che arresti l’esitare del destino. La vita intanto è intenta nel suo gioco. Ci sfiora l’attimo. Si dipana l’istante del tempo che infinito si distende nella fuga dei giorni. Solo un’eco resta nel flusso inarrestabile del mondo e un lungo interrogarsi senza risposte. Come fu la nostra vita nel tempo? Fu una sterminata prateria fiorita, immersa nel vento, dove noi correvamo a perdifiato per acchiappare scintille di dolcezza? Oppure fu un miraggio, un portento che guardava avanti senza sapere cosa ci fosse intorno? L’io è l’essenza, l’espressione della vita culminante? O invece una misera sovrastruttura in balia degli istinti, una cera modellata dalla realtà che ci circonda, aggrappata al fluttuare incerto di apparenze? E noi come reagiamo agli eventi? Con l’istinto della sopravvivenza, che la natura ci ha dato fin da quando ci ha proiettati nel mondo? O con la coscienza, con il pensiero dell’io che pensa se stesso per confluire nel noi dell’amore e dell’accoglienza? Le strade dell’amore sono lunghe e sinuose, perché l’amore è limpido o appannato, è puro ed innocente o traboccante di ombre insidiose e di bugie di suoni. Il mondo è un piccolo granello in balia delle apparenze, sempre in sospensione su un’instabile scala di valori. Le sfumature son solo dei colori. E noi siamo cieli di pietra, scricchiolii di fragili foglie, bacche confuse in balia del vento, ombre assopite al guinzaglio di giorni spenti. E avanziamo piano, carretti stremati su pietre antiche, scheggiate. Raccogliamo dai cesti del passato, sprezzante del dolore che esibiamo, crudo, una manciata di nostalgie a celebrare sull’altare delle mani il triste trionfo del tempo, che, accovacciato sotto rami di foglie immobili, respira lento, lento. E intanto corrono gli anni. Si consumano eventi. VOGLIO TORNARE Voglio tornare alla mia campagna prima che la nebbia dell’autunno si distenda grigia sulla terra, per camminare sulle ultime bacche ed ascoltare i sussurri del vento, che rincorrevano me, bambina, quando scioglievo nastri d’azzurro, sogni leggeri come voli d’aria. Si snoda sui pendii dell’esistenza la strada chiusa al vuoto delle attese, ardenti aspettative, anime arrese. Scalfisce il duro argine del tempo, che attento veglia sentieri assopiti, sospiri affranti e silenzi che sovrastano pianti. Brividi d’ombra accolgono il pulsare lieve della luna, opaca luce al vivere dei giorni. Affondano nell’anima e incutono paura. Ma io continuerò a ricercare. - Non ho pauraCamminerò sul sentiero avvolto nel mistero. E ritroverò la mia terra che vive in ogni spiga che cresce tra le pietre, nell’aspro e intenso balsamo del mosto, nel grano di speranza nella madia, nel pianto di rugiada del mattino, nell’innocenza pura di una rosa. Mi scalderò alla fiamma di un camino, abbarbicata al fuoco di un destino, le mani giunte sulle macerie d’erba che impigliarono la mia storia nel vento, quel gelido mattino di novembre. Ma questo è solo un folle volo trasversale, di vita in coro con la resa, che mi conduce a ricercare l’ infanzia stropicciata sull’orlo di una nuvola di luce, gracile bimba che non si vuole arrendere ai fuochi fatui di un pallido tramonto e alla sera che vacilla, ombrosa. EMILIA FRAGOMENI QUESTO MONDO NON E’ DEI MORTALI E questo mondo Non è dei mortali Se lo accendi tutto tu Questa storia Non è dei mortali Quando la racconti tu Tu che sei sopra Le cose Le vedi E le penetri Come una pallottola Nel petto infuocato del giorno Come una saetta Nel ventre oscuro della notte Parli delle cose Le vedi Le senti Le tocchi Infine le bruci E tutto ricomincia. MILLE FIORI DI COBALTO Tu che tocchi l’elemento Te ne vai senza spavento Ora dimmi Qual è lo stadio Della tua coscienza? Dove porti i tuoi fianchi In questo giorno nuovo? E ancora non hai visto Ancora non sai La meraviglia di ciò che cambia Anche se lo cambi In giallo Verde Mille fiori Di cobalto. FABRIZIO SCISCI RUMORI O dolci rumori a volte servite a svegliar l’animo mio Avvolto in un grande mormorio, Di giorno mi svegliate Di notte mi ridestate Da quel pensier fugace. SOGNO O soave sogno di prima giovinezza Lontano , romito , fallace, sei accarezzato , sfiorato, e mai realizzato. GABRIELE FAVA DOMANI Se pensi a domani vedi la strada che hai tracciato oggi il sogno che rincorri la voglia di vita di ogni minuto. Ma che cos’è “domani” ? Un giorno che non esiste ancora un baluginio d’infinito nella tua mente. Domani mi alzerò domani starò meglio domani combatterò ancora….. E’ un bellissimo quadro dipinto dei colori che preferisci Un disegno che inizi oggi e che un destino arridente forse, ti lascerà terminare. GIUSEPPINA CAZZOLA Vita da circo Ti vidi al circo, elefante in una piazza di città, vecchio, sperduto, non più tu. L’ occhio tuo una pozzanghera Opaca di periferia. Tornando a casa ti portai con me ingombrante non giustificato. Eri tu dentro noi tutti noi tristemente umani. A mio padre Questa sera, seduta lontana dal colle di Pentimele che per ultimo ti accolse, con quattro fave novizie tra le mani rinnovo il mese di marzo mai tornato. Le mimose che t’ ho recato gialle combattono la nebbia di quel tardivo inverno. Saperlo numerare sarebbe già chiarore ora che alla distanza innumerevole del tempo e delle maree non più m’ ossessiona saperti tra i piccoli cipressi, lì presso il laghetto della conca. GIOVANNA MORABITO Fuga coraggiosa Corro via, ma tanto lo so che tutto è vano e, nella corsa, io mi stanco. Tu sei sempre all’agguato, tu, bella ed egoista, che proprio non li sai accettare i no. Mi ami e mi vuoi, mentre io imprimo nella sabbia del mondo il mio passaggio e poco vado avanti e scorre il tempo che il vento già l’ha cancellato. Lascio agli altri un fuggevole ricordo e tutto, prima o poi, si dimentica, ma tu non lo scordi il tuo mestiere. Scappo e mi affatico ed il sudore del vivere mi scorre addosso, con le gocce delle delusioni o del troppo riso che concimano, per pochi istanti, una terra di passaggio. Con gli occhi ad un futuro incerto ed un po’di cuore al passato, mi accorgo, infine, che tu sola sei il prima ed il dopo, Morte. Forse con il tempo imparerò a ricambiare il tuo affetto, ma, per ora, sbraita a e urla, disperati e fatti prendere dall’ansia. Sei solo una donna tradita: la Vita mi fa da amante. Metafora di Ailema Fragile luna, che vivi di luce riflessa e ti macchi di una superbia vana e debole, mi dispiace: non ti vorrei vedere esposta ai meteoriti e alle intemperie di questo tuo piccolo e strano universo. Anche quando hai smesso di illuminare la mia notte e, offesa e sciocca, hai voluto soffocarmi nelle nubi, non sono riuscito ad odiarti. Ho disprezzato il tuo carattere, così rovinoso rispetto la già offesa superficie, e un po’mi è mancata la tua insolita presenza. A te auguro la bizzarra vivacità delle comete, l’ imparare a vivere e il vedere gli errori del tuo distorto moto. Ecco, l’unico sincero canto per te che ti fai stella e non sei che sabbia e terra. GIOVANNI PIZZA NON RIDETE DEL POETA Non ridete del poeta se ancora s’attarda ai suoi alti uffici e si ostina a lenire amori perduti o consolare amanti traditi, se non vuol lasciare nella tenebra sognatori smarriti. Che c’è da ridacchiare se si ferma a confortare assetati di giustizia e puri di cuore se vuol assistere chi viene storpiato dal male di vivere se continua a cantare l’audacia di andare controcorrente il coraggio a difesa del perdente la lotta a servizio del pezzente. Non è colpa del poeta se tace e si rintana, se dal palco s’allontana per far posto ad una puttana. NERO MARE Il male non è la miseria, il male è quando il sangue si fa freddo sudore, e dopo il dolore arriva il terrore, è il sole rovente che non scioglie il ghiaccio nel cuore, è frugare nella cenere che era la nostra capanna, è scavare terra rossa per cercare radici, e scoprire le proprie ossa. E’ fatto di frammenti il male, anzi l’orrore: quelli dei parenti sparsi nella savana, brandelli di affetti impolverati ed insepolti. Meglio partire, che abituarsi al male ed al suo fetore. Meglio questo barcone col suo tanfo di gasolio e di carne malconcia. Meglio questo mare assetato di sangue africano. “Debout, wake up, sveglia!” Meglio questi ordini che schiaffeggiano l’aria in una lingua ignota e rabbiosa, “Su, è l’ora, fratello” “Odemije,è quella l’Italia?” “No, Abdou, è solo Lampedusa. IGINO MAZZIERI STAGIONI DI POESIA AUTUNNO Filtra il tempo nella clessidra vuota di sogni.. Struggo l’imago e coloro il paesaggio di profumi autunnali. INVERNO Scheletri d’azioni a lungo represse accompagnano ore annoiate. Un grido s’innalza furioso a spaccare sommesso gabbie di ghiaccio scolpite da mani amorose. PRIMAVERA Corre il vento tra steli d’erba e s’arrampica su per la collina. Bagliori verdi s’accendono vividi a svegliare l’attimo sopito dell’anima. ESTATE Una bella mattina di giugno assolato ritrovo me stessa, spiga di grano protesa a rincorrere sprazzi di luce dorata. LINA LOLLI Sul viso tuo il conto degli anni Non lifting né peelings né laser o filler ha conosciuto il viso tuo per prevenir le rughe, né miracolosi trattamenti hai tu inseguito che vanamente oggi la donna moderna sollevano da cupa angoscia sua, con fatui rimedi che di poco il tormento dello spietato specchio le rinviano, per finta cancellando i veri fastidiosi segni del passato! Il viso franco tuo tutto il conto degli anni andati sereno dipana e solchi a me rivela che tu hai sempre attraversato e il pianto spesso da sola versato per chi, alla vita rubati, hai tu perduto nel fiore degli anni vivendo tra le montagne alte del Nord, lontane già da anni le calabre calde spiagge e la terra bella di suoni natìa. Di figli parlo e dello sposo tuo mancati, amati ancora molto nel gesto di fiori sul grembo, tra il verde dei cipressi di Casale ad addobbare tre tombe di gigli e bianchi crisantemi. Fascio di rughe trapuntano lievi compunti sorrisi, disegnano la folla di profondi pensieri, volti al Regno dei Cieli dove hai portato i figli tuoi a forza di preghiere e preghiere. E la Vergine Immacolata, pazza di te, madre orfana di figli sotto la Croce, canta ogni ora la lenta nenia arbreshë, come alla sagra del Patrono. E anch’io inseguo nel ballo le morbide movenze delle gonne ricamate che compagne di giuochi indossano ora per te e la danza popolare avviano nel cerchio duplice della vallja1. E le sorelle tue più grandi e adolescenti intonano, nel racconto commosso di feste lontane la dolce korexhina del fidanzamento inneggiano felici: « Profshe dit e rrofshe viet, rrofshe sa dafsh vet 2» E gli occhi celesti trepidano d’amore ancora al pensiero pur nel sogno infranto della vita. Con dignità sospiri e forza emanano quei segni degli anni così fondi e larghi nel tempo passato fuori da frivole femminili aspettative. 1 vallja : danza popolare arbreshë ultimi due versi della Korexhina ( coregina ), composizione di versi augurali intonati da un coro di parenti, sotto la finestra dei promessi sposi. Traduzione: « La tua vita sia di tanti giorni, di tanti anni quanti ne desideri!» 2 Interni con bambino Un’ intima culla d’amore protegge il sogno a lungo accarezzato. Assopendosi nel limbo, pastose coperte vellutate e tenere flautate voci tutto l’avvolgono. Nel tempo che pur fugge lente passano le ore e giorni, settimane e mesi scandiscono i passi arcani della nuova vita nella commossa attesa dei parenti e cartilagine e molli cutanei tessuti quei suoni e l’urna calda continuamente cibano nello sbocciare che si schiude dolce nel battito d’ali. Piano si distende, intravedendosi appena, il minuscolo tallone nel tondo materno grembo e stupiscono, il primo incedere suo vedendo, i genitori impazienti e, mentre nel tepore il seme divino prende posto nell’adorato figlio, s’animano d’aspettative entrambi i loro tesi interni assaporando tutti gli istanti. MARCELLA FERRARO IL CASTELLO DI BOVA Ha lasciato l’impronta sulla roccia del castello la regina armena, come chi dimentica l’ombrello non appena spunta il sole. Il castello incatena lo sguardo sulla Montagna che fuma, il triangolo sputafuoco vestito di lava rappresa. Lì accanto, magico mondo di pietre, il paese dalle cinque dita - che il mare non vedechiede pietà al cielo. Il castello di Bova è una perla adagiata sulla montagna, luogo di rapaci, miracolo delle anime semplici. Vertigine di ginestra gialla, suono di tempo in un’otre, l’eternità in un ciottolo, la storia in un respiro. Castello famelico fantastico incantastorie profondo ispiratore di fiabe bambine, luogo di leggende e fate, nidi d’aquila e musica del mare. Castello curioso sulla montagna aspra, magico baule di misteri socchiusi, alle spalle i boschi davanti al cuore il mare. MADRID 11 MARZO 2004 Vogliono fermare il movimento quell’oscuro desiderio così pieno di te, così pieno di me, che prima di pensare mi fa trovare in strada sotto il sole, dentro la nebbia , al ritmo della pioggia. Vogliono fermare il movimento: la marea delle parole che sgorga dalla gola si trasforma in urla rinchiuse in un pozzo di dolore. Vogliono sabotare il movimento l’energia del mare e del vento. Vogliono uccidere il movimento tanto per fare, per ammazzare il tempo. Vogliono arrestare il movimento e il tempo vivo,presente e futuro, alzare fra i giorni i muri anneriti dell’oblio. Vogliono soffocare il movimento, farci respirare con un polmone annerito dal fumo. Vogliono che si perdano le tracce del cammino e, sazi, si cibano delle briciole che ha lasciato cadere un bambino. Vogliono che regni la paura e che il fiato resti appeso ad un lampione. La paura che ci lega ad una sedia, che ci lascia muti a guardare passare i treni, sbocciare le rose senza ripiantarne i semi. Il movimento si muove già, giù per i pendii, nelle piazze, nelle vie. Il movimento vincerà per non essersi fermato all’angolo della strada sotto l’ombra del rischio e la sudicia coperta del terrore. Si muove il tuo pensiero, e la mia mano, e il suo desiderio. Si muovono i miei giorni verso i giorni e i miei sorrisi trasportati dal tempo, le mie lacrime affluenti del mare e del vento. Si muovono le parole, i sogni i colori delle cose e, movendosi, cambia il mondo, sbocciano le rose. Si muovono i miei passi nella tua direzione e tu mi aspetti piano in una stazione. MARIA NATALIA IIRITI 26marzo mi manchi così mi arrampico sui muri con occhi drogati mi appoggio agli spigoli e le punte dei piedi sorseggiano piano pavimenti caldi mi giro sui fianchi allo specchio che cola chiedo ti prego che si alzino angoli di bocca ma colano giù come pittura fresca giù sempre più giù andata e ritorno altalene di sguardi e corro in corde di vocali e consonanti buttate a saltellare schiacciate sotto tram vicoli ciechi e autostrade che ci vedono benissimo e un cucchiaio d'argento per svuotare il mio cuore che riempi ogni attimo e che non sa contenere questi passi di un cielo lontano neanche troppo lontano di un vulcano al sapore di neve sorpreso di neve assalito di neve e foglie che tremano con punte di sole che graffiano pelle e l'odore di capelli impazziti e un blu che mi pervade denso e assopito pieno avvolgente sognante io chiamo il mio sogno io canto il mio sogno io prego il mio sogno pieno di suoni vicini alla vita che sfiorano il vero e lo vanno a cercare e sempre ti trovo in questo vagare e bocche come grotte vuote parlano di quel che è giusto e di quel che è sbagliato e non riesco ad ascoltare io sono in un altro luogo lontano da loro lontano dal loro oro di latta lontano nel mio sogno permeante nel blu avvolgente con gli occhi chiusi sbarrati e i tuoi che cerco nel mio corpo e il tuo corpo che cerco nei miei occhi e si incrociano i momenti per un attimo si incontrano tutto sparisce e posso sorridere e pensarti e trovarti e alzarmi sulle punte dei piedi per cercare le tue labbra per stendermi verso di te tutta hai vinto ogni cosa e posso solo amarti Tieni Un nuvolio opaco nel fondo Dello stagno nero Che è il mio ventre assente A me stessa Dove sta sbattendo questa finestra? Dove andranno a disintegrarsi i vetri? E i frammenti delle mie unghie? Sembrano morte Pezzi inutilmente brillanti Pazza davanti ad un cappello Ma cose vuol dire? Il cappello è vuoto La mia testa è vuota Le mie mani sono vuote Se ci fosse una via d’uscita La percorrerei? E se ci fosse una via d’entrata? Come posso fare senza una gamba, o senza un rene o senza un fegato seppur infiammato come posso sopravvivere mutilata? Mutilata muta, mutata Davvero vorrei sdraiarmi in te Riposare e poi bruciare e poi rinascere Nessuna pelle che ci divida Mi manchi, ho un mancamento Sverrò Con la faccia sopra ad un tappeto in decomposizione Così appiattita Sul pavimento Da non capire neppure Che è un pavimento Se solo potessi vomitare Lo farei Se potessi lo farei e rifarei Sentir solo la terra che sposto dietro di me Come se terra davanti non ne esistesse Il disegno è già lì prima di tracciare il primissimo segno? Davvero? Allora non c’è speranza Eppure quel disegno muto ancora È proprio speranza. Non ho più parole Le parole tacciono e urlano Sono dei Che si burlano di noi Che si compongono, si distillano, piangono, ridono Mi sembra di sentirle morire In me Non appartengono a loro stesse Ho paura. Ho paura di entrare nel nero delle parole scritte in nero. Non mi appartengono e io non appartengo loro. L’oro è nei tuoi occhi. L’amore è un mistero. L’amore,l’amore, l’amo il re? Non mi serve un re qualsiasi Il mondo partorisce miliardi di servi che si credono re Per me non esiste una qualsiasi cosa, un qualsiasi re,un qualsiasi giorno, un qualsiasi respiro Ogni mio respiro è una preghiera Non è generico il peso che porto sulla schiena E non è giovane la mia schiena Né immatura Tutti gli esseri che mi hanno preceduto Siedono sulle mie spalle Agitando le loro sedie L’odore delle tue mani non è qualsiasi I tuoi occhi mi sospendono Mi trattengono Immobile, sorpresa Un’eclissi di sole in un luogo perduto. OLIVIA VOLPI incroci Ti guardo: sei fermo all’incrocio, le auto ti sfiorano. Folate di fumo salgono fino ai piani più alti delle case. Il frastuono delle ruote dei TIR è assordante tra fanalini rossi delle auto in fibrillazione continua nel buio. Il semaforo è verde davanti a te ma tu continui a non muovere un passo. Vorrei aprire la finestra, gridarti: «Non fare scemenze! Attraversa! Questo, forse, è l’ultimo via libera della giornata». Ma non sono in grado di dare consigli, così continuo solo a guardarti. Da ore non muovi un passo. Assomigli a qualcuno capitato a quest’incrocio per un errore cretino e che ora non sa quale direzione scegliere nel suo deambulare senza mèta e senza destino. Mi è venuta voglia di scendere le scale, uscire in strada, venirti vicino, scuoterti, dirti: «È solo un semaforo! Forza! Non recitare la parte della donzelletta smarrita nel bosco. Non fare teatro! Non vedi? Sta diventando ancora una volta verde! Questa - pensaci bene forse è l’ultima occasione che ti è rimasta, non ne avrai altre». Ma è così profonda l’inadeguatezza che mi sfibra che non saprei condividerla con la tua. Così, da dietro i vetri, continuo solo da ore a guardarti: rimani sempre lì perso all’incrocio della tua vita mentre le ore si susseguono le une alle altre e tu non riesci a far altro che restare immobile come un palo al chiarore di una lampadina sparuta. (Non so ancora per quanto resisterà questo filo di tungsteno che ancora ci illumina.) stanze Puoi riconoscere il nitido disegno di Dio sulla linea del coltello che hai infilzato sul tavolo come nell’amarezza e nella rabbia che hai nascosto per anni nell’anima. Così quand’afferri il coltello e lo scagli con violenza sulla porta di legno, poi l’osservi lì conficcato vibrare e ti senti pervadere da un’immensa serenità quasi tranquilla, quasi serena, mentre il pulviscolo danza nell’aria posandosi in spigoli scabri e in angoli oscuri della tua stanza. Staccando il coltello, soppesandone la sua lama tagliente, nell’apprezzarne il filo così acuminato provi la stessa disposizione d’animo di chi schiaccia la mano su una piastra rovente che brucia e invece di staccarla preme ancora di più, con più fermezza il palmo su quella lastra che gli ustiona la pelle così da affidarle ogni giorno, ogni ora, ogni istante e ogni parte di sé che si consuma con la sua ansia, con la sua inadeguatezza e ogni sua intima pena. PAOLO BORSONI La preghiera degli emigrati Partimmo poveri e stanchi, con un pezzo di cielo per mano e tanta speranza. Lasciammo le illusioni al tempo e ai ricordi e cercammo un'altra vita tra i grattacieli e le periferie incolte. Incontrammo giorni nuovi di miseria e d'umiliazione; di nostalgia e di dolore. E soli, per marciapiedi affollati d'indifferenza, trovammo il nostro domani. Ormai figli del mondo, partorimmo nuove generazioni, e non più tornammo tra i vicoli ciechi e i giardini incolti della nostra infanzia felice a cantare filastrocche d'amore o a raccogliere fiori di campo. Ma tutto lasciammo tra i ricordi di ieri e il domani che verrà. PAOLO TULELLI IL PIGIAMA BLU Piedi caldi sul pavimento freddo, occhi stanchi che stropicci con i pugni. Nella tua stanza silenziosa danzano i fantasmi, sei troppo grande per aver timore, ma così piccolo per trovare il coraggio; e allora, dolce creatura dal pigiama blu, sogna e vieni da me, abbraccio il tuo cuore e sciolgo le tue paure, solo per questa notte ti cullerò io, fino alla fine del buio; domani, sarai tu, dolce creatura, non mia, a farmi capire l’inizio del giorno. ALIBI Il sole intiepidisce l'aria o forse è l'aria a raffreddarne i raggi, così le paure mutano le parole ricatto di un sogno possibile i desideri sfumano come vapore sull'asfalto caldo dopo un temporale; il cappio che fino a poco fa strozzava il respiro trasformato all'improvviso nell'unico appiglio per non rimanere immobili ma dondolare bersaglio sicuro che sfugge così ad un futuro migliore; quanto spaventa il poter essere felici, quanto terrore fare quel salto, meglio prendere fiato ogni tanto mentre il tempo scorre impetuoso verso quell'unica direzione senza poter tornare indietro mai. Tutto si può fingere o far credere a se stessi per nascondere le prove, per sopravvivere nel proprio buio... illusi che sia l’unica nostra luce. Ma le lacrime che scivolano sul tuo viso non mi inganneranno mai... avranno sempre il sapore di bisogno d'amore e voglia di noi. SONIA ROLANDO Prigioniero Solo, dai ricordi divorato. Cercando di fissare il tempo che dalle mani invece sfugge. E nella solitudine, sento, sottile e sereno, il profumo della vecchiaia. Neanche il cielo m’aiuta. Quello spicchio di luna caduto nel mare è come una lama finita nel cuore. Vorrei andar via, ma alto è il recinto e troppo grande il peso delle cose care. CARMINE ORTALE È...brezza d’estate Nell’aria odorosi palpiti e desii d’incontri avventurosi. Inviluppano la brezza nella notte tersa dei cieli d’agosto. Pelli d’ebano e sguardi languorosi. Non suggelli d’amore ma sospiri di beffa accendano cattive le illusioni: che del vivere spiazzano il posto! 17 Agosto 2008 Glauco Il tuo nome rievoca antiche gesta che dei greci furono noti miti. Dai tuoi occhi variabil beltà desta colori c’amore pinge d’inviti. E il bel profil greco arguto si presta a fierezza e onor d’agir mai sopiti, mediterranea bruna la tua testa: manca l’arme de’ cavalieri arditi! Ma il nome antico nobil di passato di miti, gloria, colori, guarnisce il forte e gentil onesto operato. E se non fossi mio fratello amato in egual il mio verbo s’abbellisce, di sonetto al tuo cuore dedicato. 23 Luglio 2008 ZELDA GRADILONE QUANDO SARAI VECCHIA… Quando sarai ben vecchia e l’ombra dei ricordi ti offuscherà la mente di pensieri, tra i tanti avvenimenti che disperi, tra quelli vergognosi e inverecondi, che disapprovi e pure a te nascondi, tra quelli che hai evitato e che rimordi avrai da ricordare che già vecchia sei stata amata da Giovannantonio. Quando sarai sperduta ed isolata e tutto ormai è futile e perduto e sarai sola, inutile e avvizzita, ti rammaricherai d’aver sprecato questa occasione che ti è stata data, e per dar consolazione alla tua sorte potrai solo dire alla morte: Giovannantonio ha di me goduto. Quando sarai soltanto vecchia e stanca privata ormai di ogni desiderio e nulla più ti attira né ti manca, ti sembrerà una fiaba, e invece è vero che una volta un uomo compiaciuto hai stretto tra le braccia guancia a guancia e con lui e di lui tu hai goduto. Ricorderai le risa e i giorni lieti trascorsi come zingari felici, la passione provata, il desiderio vissuto sempre nuovo ogni mattina, il gusto dei miei baci, i tuoi atteggiamenti da bambina, noi in silenzio, mano nella mano… … e quella strana e mistica empatia che ti faceva dire, sembra ieri, le parole che io stavo pensando ed io indovinavo i tuoi pensieri. Ricorderai quel tuo ragazzino, la cura che avevi dei miei affanni e il mio parlarti tenendo sempre il cuore aperto in mano. Ricorderai le liti, i nostri alterchi, i miei silenzi, le tue musonerie, ricorderai quanto fossi attento a cogliere ogni errore nel tuo dire, ricorderai le rabbie, le mie grida, le mie esplosioni con cui ti ho atterrita, quando subliminavi la mia vita lanciandomi una inerme e sciocca sfida. Quando il silenzio della tua vecchiaia intenderà la becera babele di quel linguaggio inutile e infedele con cui la gente elude il quotidiano e la sua vita si vive con ignavia non avendo di sé alcun rispetto (comprendendo che questo era il motivo per cui hai voluto andartene lontano) afferrerai con gelido stupore il senso della mia filosofia e che per te avevo un grande amore e un estremo bisogno di compagnia, di una persona con cui parlare e dirsi, di una donna da vivere e da amare che amasse con la stessa mia follia. Ma tu hai rifiutato questo amore che ti voleva prendere per mano per fare insieme e in gioia questo viaggio per dare un altro senso alla tua vita e trovare la forza di accettarci facendoci reciproco coraggio. Allora potrai farti consolare da un solo pensiero in fondo al cuore per riportarti la gioia di un vissuto che io ti ho dato e tu hai ricevuto, in modo che la morte sia stupita, sorpresa dal tuo splendido sorriso perché tra i tanti affanni che hai subito, nel corso di una vita vuota e ingrata, a fronte degli amori non avuti, per quanto tu lo abbia abbandonato, quest’uomo solo t’ha veramente amata. 10 AGOSTO Ieri è stata una fervida giornata che ho parlato con cento e più persone. Ti piacciono i film di cappa e spada? Ricordi Ciranò de Bergerac e il suo racconto dei cento e più notturni assalitori? Cento! Ebbene, sono stanco di parlare, è proiezione che non ha ritorno, un gioco a vuoto in una città superba una città senz’anima e morente, un incubo futuro, da fantascienza, un luogo di espiazione senza fondo, dove i mostri divorano la carne e annientano la mente. Eppure, si diceva, in altri tempi, ne fa più la parola che la spada e nessuno ha pensato di correggere la persona intelligente, affabulante, il segnato da Dio, il maledetto del quale tutti restano sgomenti, un solitario, un paria ed un reietto. Sto diventando folle certamente se riesco a confessarlo a questa gente, spettacolarizzo a un pubblico demente che sembra che ti ascolti, ma non sente. Perché hanno cambiato le parole e per tutte ho fatto un solo esempio: pensa un poco al termine: interesse, mutato esattamente nel contrario. Ecco che si manipola la mente cambiando senso al vocabolario, spacciando l’ignoranza tra la gente così che ognuno ignori il suo calvario e scacci chi gli spulcia la coscienza. Invece c'è una sola differenza che se incontri un demente screanzato fra questi cento cavalier pagati con la spada lo uccidi, ma a parole non riuscirai mai a fargli niente. Allora qualche cosa va cambiata e se il parlare è arma ormai spuntata, non resta che star solo, e in silenzio o denunciare quel che accade adesso facendolo nei modi che è concesso. E ricordarsi, se sei in quarantena, che, anche se il proverbio non l’accenna, la cosa ch’è puntuta più di spada, quando non hai parola, è la penna. GIOVANNANTONIO MACCHIAROLA FUGA DALLA REALTÁ Una coltre di nuvole, dal colore indeciso, sorveglia la mia anima piagata da un’aria gelida e pungente, quasi ostile, quasi a volere presagire il puntuale arrivo di un improvviso temporale… …e quando sopraggiunge inaccettabile è la consapevolezza di non poter far nulla per evitare del suo imperversare i rigurgiti, che, come una frusta, violentano la mia mente volutamente assoggettata ad uno stato di assoluta incoscienza per schivare, se pur inevitabili, le lacrime di pioggia che, come un orologio, scandiscono il battito del nostro tempo e segnano la durata della nostra sofferenza… … ma se i miei occhi assistono a quello che al di fuori appare e che in realtà non posso evitare… il mio cuore guarda al di là della superficie, là dove regna il sereno e dove splende sempre il sole! ASSENZA Credo di esserci ma non ci sono ed intorno a me solo una quiete sospesa nello spazio in un tempo senza tempo. Le mie parole, i miei gesti, la mia essenza si disperdono in un interminabile sentiero senza uscita… … vuoto e confusione, assenza e disperazione è in me la follia, che come un turbine violento rapisce la mia mente ed assoggetta il mio corpo ad uno stato di impotenza; dagli altri solo pietà e distacco per la mia riconosciuta anormalità, ma dentro di me una voce spinge prepotentemente per farsi sentire e per gridare al mondo intero che di anormale c’è solo la sua indifferenza! DONATELLA CALARCO ERA SCRITTO. DA SEMPRE.. Io aspettavo. Anche tu, qualche cosa cercando. Buchi nei giorni da riempire di che, non sapevamo. Passarsi accanto: il vento si fa melodia e il nulla al tempo si sposa. Era scritto. Da sempre.. Ignari solo noi. Vuote le mani. Togli i panni a chi eri per cambiare colore alla vita. E le ore si fanno merletti. E parole non bastano più. Ora ho te dentro gli occhi e te fra le dita. TUTTE QUELLE NON RISE DA BAMBINA Ne ho tante assai riposte di risate, tutte quelle non rise da bambina: che nessuno sentisse, inopportune; chiuse in vasi di vetro e sotterrate, arrotolate ai giochi ed alle corse, che, negati, con cura ho messo via da accarezzare lievi come i sogni or che il tempo con polvere appassita ha coperto di allora le ferite. E adesso voglio ridere, lo sai?, e correre e giocare a nascondino e scherzare con tutti, spudorata come la bimba che non sono stata: non importa se di anni ormai ne ho tanti: quelli ho avvitato in barattoli di ferro e l’ho sepolti nei vuoti di memoria che addormentano il tempo nella mente. Vivere voglio volando anche senz’ali e senza corde suonare una chitarra, voglio rompere schemi e prigionie: basta coi sogni, non voglio fantasie; canzoni e risa che ho tenute al buio voglio vestire del sole di stamani e vivere ogni gioia non vissuta che non restino fiori profumati inutilmente chini e scoloriti a rinsecchire ai bordi della via. ANNAMARIA CARDILLO