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VIAGGIO Mai un istante di solitudine Pur vivendo

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VIAGGIO Mai un istante di solitudine Pur vivendo
VIAGGIO
Mai un istante di solitudine
Pur vivendo
Giorno per giorno
Accanto agli altri.
Uno scoglio eroso dal mare
Millenni di vita
Dimenticati al sole.
Non c’è vento
Figlio di Eolo:
La tua vita è costretta fra quattro mura!
Un abisso ti circonda:
Sentimenti e parole
Simili al tempo,
vuoto inutile falso.
Ancora a lungo
Figlio di Eolo,
Udrai la voce dello specchio
Senza andare ad infrangerti contro ?
Solo domande sono rimaste nella tua mente.
Bisognerà aspettare un altro secolo?
Un sole rosso come poco tempo fa
La stessa, inutile, situazione.
Ripercorrere la stessa strada
Lungo un tormento che qualcuno vorrebbe,
Ripensando a se stesso,
Eliminare totalmente.
Pessimismo della ragione
Oppure
Utopia della fantasia ?
Non guardare in quello specchio,
Non vedrai alcun riflesso.
Non parlare con te stesso,
Udrai solo il suono delle tue parole.
La realtà !
Viva dirompente accecante
Ma tragicamente
Assurda.
Inutile dar vento alle vele
Quando il mare è in tempesta ?
Non c’è vento,
Figlio di Eolo,
Ma il mare è molto mosso.
Come una talpa al sole
Non vivrei
Con il riflesso d’uno specchio infranto.
Una storia che si trascina stancamente
Ognuno è chiuso nella sua gabbia d’oro.
Dove sei stato ?
La tua infanzia fatta di fame e sentimenti
Trascorsa all’ombra di alberi più alti
Mai pensando di uscire al sole
Dove sei stato ?
Un incidente improvviso
Lascia il ricordo amaro
Di una vita vissuta a metà
Dove sei stato ?
Gli alberi più alti
Opprimevano la tua mente
Mai il tuo spirito
Dove sei stato ?
Il fiore maturava, non cresceva
E la tua vita andava lenta
Troppo lenta per rincorrerla
Dove sei stato ?
Una fiamma bruciava uno scudo ed una bandiera
Non tornare agli avi sembra impossibile
Anche se l’unica realtà visibile
Dove sei stato ?
Il cuore si innalza al di sopra della mente.
STRADE DEL VIAGGIO
La storia distende le sue calde braccia
Intorno al collo d’una umanità
Perduta dimenticata sconfitta.
Sogno e realtà si intersecano
Come rami di specie in via di estinzione.
Poter cullare il vento dolce della vita
Li farebbe forgiare uno scudo protettivo
Contro le scorie dell’anima.
Non andare oltre sempre e per forza
Prova a fermarti ed a posarti dolcemente
Sulla spiaggia di questo mare sconosciuto.
Il sole ti scalda oltre ogni aspettativa
Ed il viaggio rivela o svela
Incognite da affrontare e risolvere.
Non cercare o trovare scuse
Alla tua ineffabile caducità
Comunque, quella valle ti sta aspettando
Stazione dopo stazione
Come un rigagnolo di futuro
Inondato da torrenti di passato.
I sogni dell’era primordiale
Si dilatano e si dipanano
In risapute e riconosciute realtà.
E quel suono consueto
Ti evidenzia la strada
Della partenza e del ritorno.
ADALBERTO FORNARIO
Salina
La sua terra è un lenzuolo dorato
colorato di verde.
Una distesa di lacrime salate
entra in punta di piedi
e si ferma lì,
sulla soglia delle tue palpebre.
Ti lascia dentro una voglia di pianto
che febbrile e dolce
riga il tuo viso.
Gocce di perle incantate scendono a valle
laddove labbra arse dal sole
sono pronte a riceverle.
Lontana
è attorniata dal mare che
come vita e morte,
la avvolge nel ciclo delle sue estati perpetue.
Il destino inquieto di un angolo
ai confini dell’immenso orizzonte.
Attendi che il sole risorga
per portare via la tua incredulità,
la tua malinconia.
Le onde ciclicamente bagnano i tuoi piedi
nella luce argentea cambiano ritmo:
il giorno è vicino.
Ma quanto silenzio ancora …
quanta pace in questa sperduta culla d’amore.
Gli uccelli
Ora so che vorrei volare lontano,
ora non ho più paura di perdermi
tra i soffi del vento.
Sento solo soffici carezze sul mio viso.
Vorrei essere come voi,
librare in un cielo morbido, vellutato.
Farmi invadere dalle correnti calde,
aprire le ali e planare sulla cresta delle nuvole.
Toccherei i granelli di mare,
scivolerei su gocce di sale e di gioia.
Risalirei invasata di pace e libertà,
di amore immenso.
Riesco a vedere tutto da quassù.
Potrei piangere alla vista dell’intero mondo
in un solo sguardo,
potrei lacrimare di felicità,
potrei cadere per il dolore.
Sarò una piccola invisibile parte di voi,
saprò celare la mia razza,
saprò assomigliarvi.
Sarò una donna ma tenterò il volo.
ADRIANA CAPPELLUZZO
Il flauto magico
Chissa’ come,chissa’ quando
il batuffolo adagiato qui nel petto
ha sfogliato fantasie e del respiro della vita s’e’ vestito
facendosi nutrire,lasciandosi incantare
e inseguendo un sogno di tutti i colori disegnato,
trastullando con la punta delle dita i sentimenti,
raccontando l’onda di un fresco sorriso
acceso e riscaldato dalla felicita’,
inseguendo su una guancia
il solco di una lacrima bagnata di dolore,
raccontando le tempeste di neve che a volte confondono un momento.
Ricordo bene il primo giorno che la pagina d’amore
un angelo giro’ per me al suono di una ninna nanna,
che ogni giorno un flauto magico intonava per me,
e il mio sguardo di cucciolo s’incantava sul volto della mamma…
Poi piano piano un vento leggero
ha imparato e entrare senza bussare
sbucciando come un frutto maturo
il melograno delle mie emozioni,
e la tua pelle delicata ,cuore, a cominciato a cambiare
conoscendo l’avventura
e nella fragilita’ s’e’ perso un po’ d’azzurro…
E hai donato amore
e hai sorriso come l’onda del mare che segue la corrente
salutando l’alba dorata,e hai anche sognato
e hai vissuto ,oh,se hai vissuto,
ti sei abbandonato come su un’isola deserta
e hai colto a piene mani mazzi di fiordalisi,
hai visto volare nuvole di farfalle,
ti sei addormentato alla luce di abbaglianti tramonti.
La bellezza a volte ti cullava assoluta
e di lei ti sei cibato,ecco perche’ sei cosi’ forte
e hai tante pagine da sfogliare ancora
e in un angolo dormono sogni o paure gocce di vita,pioggia d’argento
sempre senza nebbia,l’indefinito non ti piace,
e ascolti musica che vive danzando,
e quando il vento sollevera’ le cortine della tua finestra
agitando lievi domande,
tu candido batuffolo colorato di vermiglio,
giglio e rosa, aurora e crepuscolo,
darai un balzo ,sentendo il respiro flautato del sogno,
e canterai ancora.
Il respiro dell’anima
E diro’ il tuo nome
spargero’ la voce
nelle fenditure delle ore
di questi giorni
avari d’incanti e di magie,
e chiamero’ a raccolta
un caro amico
per tramandare aneddoti
della mia fantasia.
Cio’ che scrivero’con l’amore avra’ a che fare,
intingero’ la penna
nella brezza della sera,
di soavi accenti
cospargero’ le idee
e il delicato profumo della rugiada del mattino
i miei pensieri stordira’,
intenso.
Il silenzio ovattato che precede l’inganno, e una nuova alba,
arrivera’ a svegliarmi
e nemmeno un fiore appena dischiuso disturbera’ il mio sogno…
Passera’ una nuvola rosa ,una nuvola bugiarda,
e un refolo di vento col suo tenero azzurro,
mi sussurrera’ di aspettare…
Sara’ come volare…
In un cielo d’estate….
Aria chiara e trasparente…
Respirerai con l’anima,ascoltando il cuore,
tempi ameni coniugherai cantando una musica dolce…
In quel momento sarai vicino a me,
ti perderai…
E ruberemo un attimo d’immenso.
ANNAMARIA IMMESI SMORTO
La Freccia
Freccia che scocca
e trapassa il cuore
questo è il traguardo
dell’amore
tristo nel dirlo
e osservare:
questo succede
nell’amare
figlio che nasci
non ti voltare
lascia la terra
per il mare
ci siamo amati
e volato in alto
ma colui che scrive ora
è un altro
freccia scoccata
trafitto m’hai il core
continua la corsa
lontano
ma dove?
Folletto etereo
La cima di una collina
l’orizzonte scorre
tra punte di rosmarino
e rondini danzanti
folletti eterei
questo posto abitano.
La tua danza violata
m’incanta
come i tuoi fianchi
non ancora stanchi
di un movimento Sufi.
Ti guardo
ma ancora di più
ti odoro
e m’inebri
di gentilezza il cuore
provocando spasmi
e anche dolore.
Danzala questa vita
Visbranti
e sciolinando voli
ed io con te
per una volta
soli.
ANTONELLO KAVEEN MILLARELLI
PRESENTIMENTO
Guarda la nube rossa sopra il monte,
nasce una stella già nell’aria pura.
Si china ormai alla fine la mia fronte
di vita mia che fu rocciosa e dura.
Io che t’aprii dell’arte chiara fonte,
tu che di gioia e crucci fosti cura,
di giovinezza al cuore scava un fronte.
La mia discesa allor sarà sicura.
Che gusti dell’occaso inizio e avvento,
che fonda dentro me divino e umano,
che dopo le tempeste scorra lento
questo esistere mio che non sia vano.
Ma, quando sarà giunto il mio momento,
se avrò paura, tienimi la mano.
PERDONO
Perdono, amore mio, se non t’ho amato
quanto m’amavi. Mi sentivo vecchio.
Quando tutta te stessa m’hai donato
io mi sono guardato nello specchio.
Tu eri fresca ed io ero attempato
ed al mio corpo io prestavo orecchio.
Io ricevevo, ma cosa t’ho dato?
Sono scomparso e buonanotte al secchio!
Ed ora, che grinzosa è la mia pelle,
credevo che tu stessi ormai godendo
di giovinezza tua l’ore più belle.
Senza il mio amore cosa stai facendo,
malata nella tua sedia a rotelle?
E’ tutta colpa mia se stai morendo.
ANTONIO GIORDANO
Odo la campagna spenta
Odo la campagna spenta
che mi racconta piano la mia storia
ed amo questo brusio di foglie
mosse lente dalla pioggia,
quasi percosse eppure pervase
di umor divino sceso sulla terra.
Introspezione
Non c’è nulla
dentro al mio cuore
sterile e vuoto nella giornata
buia e più silenziosa della notte
che l’anima teme invocando
giustizia
Solo l’amore è ricordo e spettro
di dolci momenti sfiorati e
bambini, fragili piccoli nani
spremuti e adorati, per sempre
plagiati e perduti
E non trovo nulla
dentro a questo cuore malato,
stordito o forse rinato
da nuova consapevolezza e da
Fede, umana mani di servire
la Vita.
BARBARA BARONE
Quando l’erba cresce
Molto meglio se in tasca non ho niente
irresponsabilità contro il declino.
Ho lavorato, ma ora il vuoto sente
chi sta intorno con l’idea del villino.
Credere a ciò che dicono non vale,
mentono i media, per loro un’ora
è tutto. Crisi, manca soldi, Natale
all’asciutto! Lavorate,Voi, ancora!
Capisco l’emigrante. Ho il coraggio:
‘Paese mio ti lascio, non sono saggio. ’
Il figlio è il frutto del lungo viaggio.
Piove sempre piove e male non farà
i grandi ha deciso sorte e fedeltà
noi crediamo ancora in Dio, se arriverà.
A Massimo
Ti ho visto dentro a un albero e mi
parevi spoglio nel cavo del tuo
tronco. Migrati son tutti dai rami!
Accidenti alla disgrazia di non
parlare, solo cinguettare, Suo
vizio di città, Sua terra se con
maestàde sapesse dirmi perdono.
Basterebbe forse il suono: ‘Sorridi
tra i denti! ’ Il mio fa sempre frastuono
e non lo regalo, albero deriso
che poti e poti e non cresci mai, nidi?
Solo un tronco, la foto del tuo viso.
ps:
Scusa l’impudenza al fine ora giungo,
se lo vorrai, mi trasformerò in fungo.
CARLOTTA NANUT
SOGNI VESTITI DI NOTTE
Si spengon all’alba
i sogni vestiti di notte,
consumati come candele
accese per misteriosi voti.
Aman sciogliersi languidi
al primo sole che tocca
e fugge al suo solito dover,
lassù superbo padrone.
Scordati o rammentati appena,
i sogni ancor madidi di notte
corron a nascondersi altrove.
Sfidando nebbie e brume,
infilandosi tra catinelle,
fiocchi e grandine…
Incauti vestiti di notte,
per poco sopravvivono
al giorno che beffa e ferisce
il volteggiar dei sogni.
Loro, ottimisti traditi,
cedon a luce e realtà,
a labile memoria
che non sa più tenerli
o riprenderli perché
tornino al loro giusto posto.
Nell’incosciente intimo
da dove son sgusciati via
così com’erano:
sol vestiti di notte.
TRA CUORE E REALTÀ
Brillano nella penombra
di mille sere sconosciute
le tante storie perse per strada.
Perdute col rammarico
di giorni propri rubati
da traditrici mani
che, false amiche,
gettavano acqua sul fuoco
che si stava spegnendo
tra cuore e realtà.
Luccichii di passato
feriscono occhi che cercano,
brancolano quasi nuotando
nel magma eruttato da anime
altrove, anime anche mie,
anime anche nel cuore mio.
E, nel cuore mio imberbe maturo,
torna il viso rimasto bello
per dispetto grande al tempo.
L’unica e non ultima
nicchia di giovinezza
che resiste facendo a pugni
con anni e rughe e rimpianti.
Forse pure con rimorsi,
chissà…
Poco o tanto vale il giorno
che appare bisticciando
con alba e tramonto.
Non sa mai se fecondo sarà,
se gioia o tormento per futuro
al prossimo angolo…
Quello che costringerà
il fato a mostrarsi
per quello che è e basta:
sogno madido di sudore
nello sforzo
d’avere radici vere.
CLAUDIO BECCALOSSI
FIORE DI CAMPO
Fiore di campo
non ti ho dimenticata
perchè da quanto te ne sei andata
la mia vita
è più triste e più affannata.
Ti amavo e ti amo ancora
davvero,
e sarei capace
di gridarlo al mondo intero.
Ritorna da me Fiore di campo
non vedi che senza te
mi sento già vecchio e stanco.
Ogni volta ritorno,
là,dove siamo stati insieme
ed ogni volta mi sento
gelare il sangue nelle vene.
Penso a noi due,
i tempi della scuola
quando si era una persona sola.
Penso a noi due insieme
a litigare
e subito dopo
una parola dolce
per poter ricominciare.
E penso a noi due
in quelle scale
a dirci che il nostro amore
stava per tramontare.
Del tempo nè è passato,adesso,
ma io sono sempre qui
sfinito e senza scampo
mentre cerco di gridare:
"Ritorna da me
Fiore di campo".
IN MORTE DI MIA MADRE
Perdonami mamma,per
non averti capita.
Perdonami mamma per
averti ogni tanto ferita.
Tu per noi sei sempre stata
la migliore delle mamme
e da tale
ti sei sempre comportata.
Però nessuno ti capì mai veramente
così che tutti ti credevano
malata di mente.
Ma solo io sapevo che non era vero
tu sei sempre stata, una persona
viva,simpatica e giocherellona.
Ti piaceva sempre scherzare
anche per questo
non hai mai saputo odiare.
Adesso madre mia
ci hai lasciato qui da soli
e sei andata via
sei partita per un viaggio
lungo quanto la luce del giorno
da cui però
non vi è mai stato un ritorno.
E quindi
adesso che non ci sei
tutti si chiederanno
perchè, come mai.
KELLY D'OSTILIO
Contratto con la vita
Dopo aver silenziosamente rivolto lo sguardo all’orizzonte,
all’abbraccio della speranza,
all’eco mutevole dei pensieri,
all’eterno mantra dei ricordi,
alla certezza che ogni certezza fugge,
al calore e all’affilata lama delle parole,
all’irriproducibile disegno dei passi sulla polvere degli anni,
al sentiero verso il bivio enigmatico della verità,
alle mani che notturne catturano lucciole: per filtrarne la luce e poi
…………………………………………………………………dischiudersi,
al dubbio e al sibilo sotterraneo dell’angoscia,
alla pausa del respiro tra un ordine scomposto di stelle,
al riflesso del cielo su migliaia di auto incolonnate verso un altrove vago e
………………………………………………………………… indifferente,
alla nostalgia che filtra attraverso un bagliore inatteso,
all’isola che c’è in qualche abracadabra dalle sillabe dimenticate,
al cuore che batte il ritmo del mai sempre mai e ricomincia da capo,
ai no mascherati dal suono apparente dei sì,
alla fusione dei chilometri in un’unica splendente galassia priva di
……………………………………………………………………..distanze, alla
volgarità che tacita la perfezione della bellezza,
all’ingannevole vela nera nell’ultimo sguardo di Tristano,
al grumo di sciocchezze che inciampano tra un passo e l’attesa dell’altro,
allo squillo del telefono disperso nella lentezza dell’oscurità,
alla sfrontata impazienza del dolore,
alle preghiere che intercettano lo stupore dell’oltre,
al pianto in agguato tra selve di sogni disfatti,
alla vertigine del silenzio primordiale,
al brusio degli ammassi stellari,
alle alghe danzanti nelle cale di arcipelaghi misteriosi,
alla paura che balbetta attraverso le ombre,
all’arabesco fluttuante di ogni linea di confine,
agli elfi che popolano i paesaggi dell’infanzia,
alla danza di una piuma in un soffio di luce,
alla lenta rotazione di una sedia a rotelle con il suo occupante,
alla monotona perfezione ritmica di un metronomo e a quella del respiro
…………………………………………………………..che si addormenta,
alle giocose parabole dei pipistrelli,
a Orfeo implorandolo di non voltarsi,
al tocco feroce della realtà e a quello paradisiaco della menzogna,
all’ipotesi costante di un albatro che spicca il volo verso la consistenza
…………………………………………………………………
dell’azzurro,
alla melodia ancestrale delle onde e delle nuvole,
alla malinconia che ripete riflessi e lontananze,
all’amplesso dolcissimo dell’appartenersi,
al velo fresco dell’alba sulle sponde del sonno,
all’idiozia degli spari in qualche massacro oltre il muro qui a fianco,
alla rosa selvatica che s’arrampica sulla croce d’una tomba,
al mistero infinito del tempo risucchiato nel DNA,
alla filastrocca dirompente della pioggia e alle lacrime che la trasformano
…………………………………………………………………….in poesia,
alle catacombe dove si ripete un eterno sospiro,
all’eco del cuore nello stillicidio di una fleboclisi,
alla levità delle farfalle morfidi,
alla linea di penombra tra la vita e i letti d’un reparto geriatrico,
alla meravigliosa orchestrazione di un libro e del suo incanto,
al ronzio delle mosche sullo spettro dell’indolenza,
al sorriso di un bimbo che scopre di capire,
all’impazienza delle biscrome che fuggono mutevoli su scale divergenti,
all’imperfezione della felicità,
al sordo trepestio dei ripensamenti,
all’alibi inconsistente per ogni nuovo ritardo,
al pennacchio di fumo della nave del solito Pinkerton,
alla tavola imbandita per il ritorno del figlio,
al fruscio degli oleandri nel turbine dello scirocco,
al vomito rappreso in una sofferenza opprimente,
alle ambigue fluorescenze dei segni zodiacali,
allo stormo di rondini che al primo equinozio ritorna,
alla rigidità di un vecchio ammorbidita nella sua ombra,
al penetrante respiro dei prati dopo la dissolvenza d’un temporale,
al salmone più testardo del viaggio torrenziale dell’acqua,
al brivido della luce una frazione di secondo prima del buio,
allo strano effetto silenzio che sprigiona la parola morte…
e dopo aver considerato tutto questo
e aver rivolto lo sguardo ancora oltre,
sottoscrivo
per una distanza incalcolabile di tempo,
il mio contratto con la Vita:
Come me, lei sarà melodiosa e concreta,
unica e ribelle, sognatrice quanto serve
per abbracciare il mio abbraccio
e stringerlo indissolubilmente
come una madre per sempre riamata dal figlio.
TABLEAUX
Il rosa.
Le trasparenze del rosa festeggiano un ventilare d'oleandri.
Possibile stilare un elenco di gradazioni emotive?
E' un flusso di archi e intervalli, di tattili arcobaleni.
L'indaco e il viola.
Si allineano sui picchi dei monti, cupi, cupe le parole dei giorni,
artiglianti. Il senso del nulla davanti ad un televisore spento.
Eppure una volta, tanto tempo fa, fioriva il chiacchiericcio
sull'uscio di casa nel rosa delle sere d'estate, e qualche tiepida
primavera era la più confortevole placenta.
L'azzurro.
"Où sont les neiges d'antan?" ripete l'esitazione di un ricordo
e la memoria diventa cristallo, incessante ripetizione di luci,
neve che rinchiude nei suoi miracoli il silenzio. Scrollando la tela,
piccoli fiocchi cadevano, l'immagine diventava immaginario,
impercettibile ronzio di galassie.
Verde.
Rimbalzano sul prato le stelle. Tra fili d'erba e crocchi di trifogli...
la falce con il suo sorriso lunare. Cespugli, il coro polifonico del
vento e delle foglie. Poi l'orchestrazione a scacchiera dei grilli.
Riprendono, tra le pause, la battuta successiva in levare, non
considerano il tempo, lo respirano. E questo loro può bastare.
Giallo.
Solo color di ginestre. Ovunque. Sempre un castello, un campanile
dalle nebbie, dall'acqua risorge. Io col fiato mozzo. L'ombra
reale si intuisce. Ma nulla di più. Straripa un torrente
e giugno, ridendo, galleggia a pancia in su.
Arancio. Banale parlare di tramonti. Ma un tramonto non sempre
scompare. Restano appunti, virgole sospese su sferiche autostrade:
lì noi vaghiamo correndo, con un tramonto da urlo alle spalle, che
ci insegue, immemori d'un principio del tutto meraviglioso e casuale.
Rosso magenta.
Il limite tra il silenzio e un grido. L'aria febbricitante di rose. Tralci
e maggio che si trattiene nella perfezione del sonno, di ciliegie dolci, dolci...
La mia brughiera è un affresco della memoria, l'attraversa un vento
di betulle. Lì crescono radici verso il cielo. Non si muore mai del tutto, lì.
Rouge.
Se parlo di papaveri? Osserviamoli fiorire con qualche ondeggiante carezza
alla Monet. Il sangue? Non è un discorso per principianti. Indispensabile
il sangue: immaginarlo come un fiume nel cosmo e noi, invisibili globuli
gettati a casaccio, qua e là, nell’universo.
et Noir.
L'ossidiana, lucifavole tra i ciottoli lungo il mare. Il vulcano
dormiva con gli occhi socchiusi. Disegnavo con un carboncino sul muro:
paperi alla Walt Disney, macchie nere, l'allegria originaria del silenzio.
Una mano di gesso et voila il
BIANCO,
LA TELA HA PIU’ SPESSORE ORA.
ELISA GHIRARDI
IL RESPIRO DEL TEMPO
Incessante stilla il gocciolio del tempo.
Un brivido d’ombre percorre il raggio
che si spegne.
E gli anni ci sfilano davanti, burattini
colorati che si muovono su assi
sconnesse, trascinando persone,
passioni, inconsce pulsioni.
Incalzano i pensieri, comprimono,
schiacciano, poi, svagati e sconnessi,
si spingono via dalla mente, bianche
vele sospinte lontano dal vento.
Lascia in dono lacrime e memorie
la pietà dell’onda.
Tutto sembra sospeso nell’attesa
di un incrocio d’eventi, di un presagio
improvviso, che arresti l’esitare del destino.
La vita intanto è intenta nel suo gioco.
Ci sfiora l’attimo.
Si dipana l’istante del tempo che infinito
si distende nella fuga dei giorni.
Solo un’eco resta nel flusso inarrestabile
del mondo e un lungo interrogarsi
senza risposte.
Come fu la nostra vita nel tempo?
Fu una sterminata prateria fiorita,
immersa nel vento, dove noi correvamo
a perdifiato per acchiappare scintille
di dolcezza?
Oppure fu un miraggio, un portento
che guardava avanti senza sapere
cosa ci fosse intorno?
L’io è l’essenza, l’espressione della vita
culminante?
O invece una misera sovrastruttura
in balia degli istinti, una cera modellata
dalla realtà che ci circonda, aggrappata
al fluttuare incerto di apparenze?
E noi come reagiamo agli eventi?
Con l’istinto della sopravvivenza, che
la natura ci ha dato fin da quando
ci ha proiettati nel mondo?
O con la coscienza, con il pensiero
dell’io che pensa se stesso per confluire
nel noi dell’amore e dell’accoglienza?
Le strade dell’amore sono lunghe e sinuose,
perché l’amore è limpido o appannato,
è puro ed innocente o traboccante di
ombre insidiose e di bugie di suoni.
Il mondo è un piccolo granello in balia
delle apparenze, sempre in sospensione
su un’instabile scala di valori.
Le sfumature son solo dei colori.
E noi siamo cieli di pietra, scricchiolii
di fragili foglie, bacche confuse in balia
del vento, ombre assopite al guinzaglio
di giorni spenti.
E avanziamo piano, carretti stremati
su pietre antiche, scheggiate.
Raccogliamo dai cesti del passato,
sprezzante del dolore che esibiamo, crudo,
una manciata di nostalgie a celebrare
sull’altare delle mani il triste trionfo
del tempo, che, accovacciato sotto rami
di foglie immobili, respira lento, lento.
E intanto corrono gli anni. Si consumano eventi.
VOGLIO TORNARE
Voglio tornare alla mia campagna
prima che la nebbia dell’autunno
si distenda grigia sulla terra,
per camminare sulle ultime bacche
ed ascoltare i sussurri del vento,
che rincorrevano me, bambina,
quando scioglievo nastri d’azzurro,
sogni leggeri come voli d’aria.
Si snoda sui pendii dell’esistenza
la strada chiusa al vuoto delle attese,
ardenti aspettative, anime arrese.
Scalfisce il duro argine del tempo,
che attento veglia sentieri assopiti,
sospiri affranti e silenzi che sovrastano
pianti.
Brividi d’ombra accolgono il pulsare
lieve della luna, opaca luce al vivere
dei giorni. Affondano nell’anima
e incutono paura.
Ma io continuerò a ricercare.
- Non ho pauraCamminerò sul sentiero avvolto
nel mistero.
E ritroverò la mia terra che vive
in ogni spiga che cresce tra le pietre,
nell’aspro e intenso balsamo del mosto,
nel grano di speranza nella madia,
nel pianto di rugiada del mattino,
nell’innocenza pura di una rosa.
Mi scalderò alla fiamma di un camino,
abbarbicata al fuoco di un destino,
le mani giunte sulle macerie d’erba
che impigliarono la mia storia nel vento,
quel gelido mattino di novembre.
Ma questo è solo un folle volo trasversale,
di vita in coro con la resa, che mi conduce
a ricercare l’ infanzia stropicciata sull’orlo
di una nuvola di luce, gracile bimba che
non si vuole arrendere ai fuochi fatui
di un pallido tramonto e alla sera che
vacilla, ombrosa.
EMILIA FRAGOMENI
QUESTO MONDO NON E’ DEI MORTALI
E questo mondo
Non è dei mortali
Se lo accendi tutto tu
Questa storia
Non è dei mortali
Quando la racconti tu
Tu che sei sopra
Le cose
Le vedi
E le penetri
Come una pallottola
Nel petto infuocato del giorno
Come una saetta
Nel ventre oscuro della notte
Parli delle cose
Le vedi
Le senti
Le tocchi
Infine le bruci
E tutto ricomincia.
MILLE FIORI DI COBALTO
Tu che tocchi l’elemento
Te ne vai senza spavento
Ora dimmi
Qual è lo stadio
Della tua coscienza?
Dove porti i tuoi fianchi
In questo giorno nuovo?
E ancora non hai visto
Ancora non sai
La meraviglia di ciò che cambia
Anche se lo cambi
In giallo
Verde
Mille fiori
Di cobalto.
FABRIZIO SCISCI
RUMORI
O dolci rumori a volte servite a svegliar l’animo mio
Avvolto in un grande mormorio,
Di giorno mi svegliate
Di notte mi ridestate
Da quel pensier fugace.
SOGNO
O soave sogno di prima giovinezza
Lontano , romito , fallace,
sei accarezzato , sfiorato,
e mai realizzato.
GABRIELE FAVA
DOMANI
Se pensi a domani
vedi la strada che hai tracciato oggi
il sogno che rincorri
la voglia di vita di ogni minuto.
Ma che cos’è “domani” ?
Un giorno che non esiste ancora
un baluginio d’infinito nella tua mente.
Domani mi alzerò
domani starò meglio
domani combatterò ancora…..
E’ un bellissimo quadro
dipinto dei colori che preferisci
Un disegno che inizi oggi
e che un destino arridente
forse, ti lascerà terminare.
GIUSEPPINA CAZZOLA
Vita da circo
Ti vidi al circo, elefante
in una piazza di città,
vecchio, sperduto, non più tu.
L’ occhio tuo una pozzanghera
Opaca di periferia.
Tornando a casa ti portai con me
ingombrante non giustificato.
Eri tu dentro noi tutti
noi tristemente umani.
A mio padre
Questa sera, seduta
lontana dal colle
di Pentimele che per
ultimo ti accolse, con
quattro fave novizie
tra le mani rinnovo
il mese di marzo mai
tornato. Le mimose
che t’ ho recato gialle
combattono la nebbia
di quel tardivo inverno.
Saperlo numerare
sarebbe già chiarore
ora che alla distanza
innumerevole del
tempo e delle maree
non più m’ ossessiona
saperti tra i piccoli
cipressi, lì presso il
laghetto della conca.
GIOVANNA MORABITO
Fuga coraggiosa
Corro via,
ma tanto lo so che tutto è vano
e, nella corsa, io mi stanco.
Tu sei sempre all’agguato,
tu, bella ed egoista,
che proprio non li sai accettare i no.
Mi ami
e mi vuoi,
mentre io imprimo nella sabbia del mondo
il mio passaggio
e poco vado avanti e scorre il tempo
che il vento già l’ha cancellato.
Lascio agli altri un fuggevole ricordo
e tutto, prima o poi, si dimentica,
ma tu non lo scordi
il tuo mestiere.
Scappo e mi affatico
ed il sudore del vivere mi scorre addosso,
con le gocce delle delusioni o del troppo riso
che concimano, per pochi istanti,
una terra di passaggio.
Con gli occhi ad un futuro incerto
ed un po’di cuore al passato,
mi accorgo, infine, che tu sola
sei il prima ed il dopo,
Morte.
Forse con il tempo imparerò a ricambiare il tuo affetto,
ma, per ora, sbraita a e urla,
disperati e fatti prendere dall’ansia.
Sei solo una donna tradita:
la Vita mi fa da amante.
Metafora di Ailema
Fragile luna,
che vivi di luce riflessa
e ti macchi di una superbia
vana e debole,
mi dispiace:
non ti vorrei vedere esposta
ai meteoriti e alle intemperie
di questo tuo piccolo e strano universo.
Anche quando hai smesso
di illuminare la mia notte
e, offesa e sciocca,
hai voluto soffocarmi nelle nubi,
non sono riuscito ad odiarti.
Ho disprezzato il tuo carattere,
così rovinoso rispetto la già
offesa superficie,
e un po’mi è mancata la tua insolita presenza.
A te auguro la bizzarra vivacità delle comete,
l’ imparare a vivere
e il vedere gli errori del tuo distorto moto.
Ecco, l’unico sincero canto
per te che ti fai stella
e non sei che sabbia e terra.
GIOVANNI PIZZA
NON RIDETE DEL POETA
Non ridete del poeta
se ancora s’attarda
ai suoi alti uffici
e si ostina a lenire
amori perduti
o consolare
amanti traditi,
se non vuol lasciare
nella tenebra
sognatori smarriti.
Che c’è da ridacchiare
se si ferma a confortare
assetati di giustizia
e puri di cuore
se vuol assistere
chi viene storpiato
dal male di vivere
se continua a cantare
l’audacia di andare
controcorrente
il coraggio a difesa
del perdente
la lotta a servizio
del pezzente.
Non è colpa del poeta
se tace e si rintana,
se dal palco s’allontana
per far posto ad una puttana.
NERO MARE
Il male non è la miseria,
il male è quando il sangue
si fa freddo sudore,
e dopo il dolore
arriva il terrore,
è il sole rovente
che non scioglie
il ghiaccio nel cuore,
è frugare nella cenere
che era la nostra capanna,
è scavare terra rossa
per cercare radici,
e scoprire le proprie ossa.
E’ fatto di frammenti
il male, anzi l’orrore:
quelli dei parenti
sparsi nella savana,
brandelli di affetti
impolverati ed insepolti.
Meglio partire,
che abituarsi al male
ed al suo fetore.
Meglio questo barcone
col suo tanfo di gasolio
e di carne malconcia.
Meglio questo mare
assetato di sangue africano.
“Debout, wake up, sveglia!”
Meglio questi ordini
che schiaffeggiano l’aria
in una lingua ignota e rabbiosa,
“Su, è l’ora, fratello”
“Odemije,è quella l’Italia?”
“No, Abdou, è solo Lampedusa.
IGINO MAZZIERI
STAGIONI DI POESIA
AUTUNNO
Filtra il tempo
nella clessidra
vuota
di sogni..
Struggo l’imago
e coloro
il paesaggio
di profumi autunnali.
INVERNO
Scheletri d’azioni
a lungo represse
accompagnano
ore annoiate.
Un grido
s’innalza
furioso
a spaccare
sommesso
gabbie di ghiaccio
scolpite
da mani amorose.
PRIMAVERA
Corre il vento
tra steli d’erba
e s’arrampica
su per la collina.
Bagliori verdi
s’accendono
vividi
a svegliare
l’attimo
sopito
dell’anima.
ESTATE
Una bella mattina
di giugno assolato
ritrovo
me stessa,
spiga di grano
protesa
a rincorrere
sprazzi di luce dorata.
LINA LOLLI
Sul viso tuo il conto degli anni
Non lifting né peelings né laser o filler
ha conosciuto il viso tuo per prevenir le rughe,
né miracolosi trattamenti hai tu inseguito
che vanamente oggi la donna moderna sollevano
da cupa angoscia sua, con fatui rimedi che di poco
il tormento dello spietato specchio le rinviano,
per finta cancellando i veri fastidiosi segni del passato!
Il viso franco tuo tutto il conto degli anni andati
sereno dipana e solchi a me rivela che tu hai sempre
attraversato e il pianto spesso da sola versato per chi,
alla vita rubati, hai tu perduto nel fiore degli anni vivendo
tra le montagne alte del Nord, lontane già da anni
le calabre calde spiagge e la terra bella di suoni natìa.
Di figli parlo e dello sposo tuo mancati, amati ancora molto
nel gesto di fiori sul grembo, tra il verde dei cipressi
di Casale ad addobbare tre tombe di gigli e bianchi crisantemi.
Fascio di rughe trapuntano lievi compunti sorrisi,
disegnano la folla di profondi pensieri, volti al Regno dei Cieli
dove hai portato i figli tuoi a forza di preghiere e preghiere.
E la Vergine Immacolata, pazza di te, madre orfana di figli
sotto la Croce, canta ogni ora la lenta nenia arbreshë,
come alla sagra del Patrono. E anch’io inseguo nel ballo
le morbide movenze delle gonne ricamate che compagne
di giuochi indossano ora per te e la danza popolare avviano
nel cerchio duplice della vallja1. E le sorelle tue più grandi
e adolescenti intonano, nel racconto commosso di feste
lontane la dolce korexhina del fidanzamento inneggiano
felici: « Profshe dit e rrofshe viet, rrofshe sa dafsh vet 2»
E gli occhi celesti trepidano d’amore ancora al pensiero
pur nel sogno infranto della vita. Con dignità sospiri
e forza emanano quei segni degli anni così fondi e larghi
nel tempo passato fuori da frivole femminili aspettative.
1
vallja : danza popolare arbreshë
ultimi due versi della Korexhina ( coregina ), composizione di versi augurali intonati da un coro di parenti, sotto la
finestra dei promessi sposi. Traduzione: « La tua vita sia di tanti giorni, di tanti anni quanti ne desideri!»
2
Interni con bambino
Un’ intima culla d’amore
protegge il sogno
a lungo accarezzato.
Assopendosi nel limbo,
pastose coperte vellutate
e tenere flautate voci
tutto l’avvolgono.
Nel tempo che pur fugge
lente passano le ore
e giorni, settimane e mesi
scandiscono i passi arcani
della nuova vita
nella commossa attesa dei parenti
e cartilagine
e molli cutanei tessuti
quei suoni e l’urna calda
continuamente cibano
nello sbocciare che si schiude
dolce nel battito d’ali.
Piano si distende,
intravedendosi appena,
il minuscolo tallone
nel tondo materno grembo
e stupiscono, il primo
incedere suo vedendo,
i genitori impazienti
e, mentre nel tepore
il seme divino prende posto
nell’adorato figlio,
s’animano d’aspettative
entrambi i loro tesi interni
assaporando tutti gli istanti.
MARCELLA FERRARO
IL CASTELLO DI BOVA
Ha lasciato l’impronta
sulla roccia del castello
la regina armena,
come chi dimentica l’ombrello
non appena spunta il sole.
Il castello incatena lo sguardo
sulla Montagna che fuma,
il triangolo sputafuoco
vestito di lava rappresa.
Lì accanto,
magico mondo di pietre,
il paese dalle cinque dita
- che il mare non vedechiede pietà al cielo.
Il castello di Bova
è una perla adagiata sulla montagna,
luogo di rapaci,
miracolo delle anime semplici.
Vertigine di ginestra gialla,
suono di tempo in un’otre,
l’eternità in un ciottolo,
la storia in un respiro.
Castello famelico
fantastico incantastorie
profondo ispiratore
di fiabe bambine,
luogo di leggende e fate,
nidi d’aquila e musica del mare.
Castello curioso
sulla montagna aspra,
magico baule di misteri socchiusi,
alle spalle i boschi
davanti al cuore il mare.
MADRID 11 MARZO 2004
Vogliono fermare il movimento
quell’oscuro desiderio
così pieno di te, così pieno di me,
che prima di pensare mi fa trovare in strada
sotto il sole, dentro la nebbia , al ritmo della pioggia.
Vogliono fermare il movimento:
la marea delle parole che sgorga dalla gola
si trasforma in urla rinchiuse in un pozzo di dolore.
Vogliono sabotare il movimento
l’energia del mare e del vento.
Vogliono uccidere il movimento
tanto per fare, per ammazzare il tempo.
Vogliono arrestare il movimento
e il tempo vivo,presente e futuro,
alzare fra i giorni i muri anneriti dell’oblio.
Vogliono soffocare il movimento,
farci respirare con un polmone annerito dal fumo.
Vogliono che si perdano le tracce del cammino e, sazi,
si cibano delle briciole che ha lasciato cadere un bambino.
Vogliono che regni la paura
e che il fiato resti appeso ad un lampione.
La paura che ci lega ad una sedia,
che ci lascia muti a guardare
passare i treni, sbocciare le rose
senza ripiantarne i semi.
Il movimento si muove già,
giù per i pendii, nelle piazze, nelle vie.
Il movimento vincerà per non essersi fermato
all’angolo della strada
sotto l’ombra del rischio
e la sudicia coperta del terrore.
Si muove il tuo pensiero, e la mia mano, e il suo desiderio.
Si muovono i miei giorni verso i giorni
e i miei sorrisi trasportati dal tempo,
le mie lacrime affluenti del mare e del vento.
Si muovono le parole, i sogni
i colori delle cose e, movendosi,
cambia il mondo, sbocciano le rose.
Si muovono i miei passi nella tua direzione
e tu mi aspetti piano in una stazione.
MARIA NATALIA IIRITI
26marzo
mi manchi così
mi arrampico sui muri
con occhi drogati
mi appoggio agli spigoli
e le punte dei piedi
sorseggiano piano pavimenti caldi
mi giro sui fianchi
allo specchio che cola
chiedo ti prego
che si alzino angoli di bocca
ma colano giù come pittura fresca
giù sempre più giù
andata e ritorno
altalene di sguardi
e corro in corde di vocali e consonanti
buttate a saltellare
schiacciate sotto tram
vicoli ciechi
e autostrade che ci vedono benissimo
e un cucchiaio d'argento
per svuotare il mio cuore
che riempi ogni attimo
e che non sa contenere
questi passi di un cielo lontano
neanche troppo lontano
di un vulcano al sapore di neve
sorpreso di neve
assalito di neve
e foglie che tremano
con punte di sole
che graffiano pelle e
l'odore di capelli impazziti
e un blu che mi pervade
denso e assopito
pieno avvolgente
sognante
io chiamo il mio sogno
io canto il mio sogno
io prego il mio sogno
pieno di suoni vicini alla vita
che sfiorano il vero
e lo vanno a cercare
e sempre ti trovo in questo vagare
e bocche come grotte vuote
parlano di quel che è giusto
e di quel che è sbagliato
e non riesco ad ascoltare
io sono in un altro luogo
lontano da loro
lontano dal loro oro di latta
lontano nel mio sogno permeante
nel blu avvolgente
con gli occhi chiusi sbarrati
e i tuoi che cerco
nel mio corpo
e il tuo corpo che cerco
nei miei occhi
e si incrociano i momenti
per un attimo si incontrano
tutto sparisce
e posso sorridere
e pensarti e trovarti
e alzarmi sulle punte dei piedi
per cercare le tue labbra
per stendermi verso di te
tutta
hai vinto ogni cosa
e posso solo
amarti
Tieni
Un nuvolio opaco nel fondo
Dello stagno nero
Che è il mio ventre assente
A me stessa
Dove sta sbattendo questa finestra?
Dove andranno a disintegrarsi i vetri?
E i frammenti delle mie unghie?
Sembrano morte
Pezzi inutilmente brillanti
Pazza davanti ad un cappello
Ma cose vuol dire?
Il cappello è vuoto
La mia testa è vuota
Le mie mani sono vuote
Se ci fosse una via d’uscita
La percorrerei?
E se ci fosse una via d’entrata?
Come posso fare senza una gamba,
o senza un rene
o senza un fegato seppur infiammato
come posso sopravvivere mutilata?
Mutilata muta, mutata
Davvero vorrei sdraiarmi in te
Riposare e poi bruciare e poi rinascere
Nessuna pelle che ci divida
Mi manchi, ho un mancamento
Sverrò
Con la faccia sopra ad un tappeto in decomposizione
Così appiattita
Sul pavimento
Da non capire neppure
Che è un pavimento
Se solo potessi vomitare
Lo farei
Se potessi lo farei e rifarei
Sentir solo la terra che sposto dietro di me
Come se terra davanti non ne esistesse
Il disegno è già lì prima di tracciare il primissimo segno?
Davvero?
Allora non c’è speranza
Eppure quel disegno muto ancora
È proprio speranza.
Non ho più parole
Le parole tacciono e urlano
Sono dei
Che si burlano di noi
Che si compongono, si distillano, piangono, ridono
Mi sembra di sentirle morire
In me
Non appartengono a loro stesse
Ho paura. Ho paura di entrare nel nero delle parole scritte in nero.
Non mi appartengono e io non appartengo loro.
L’oro è nei tuoi occhi. L’amore è un mistero.
L’amore,l’amore, l’amo il re?
Non mi serve un re qualsiasi
Il mondo partorisce miliardi di servi che si credono re
Per me non esiste
una qualsiasi cosa, un qualsiasi re,un qualsiasi giorno,
un qualsiasi respiro
Ogni mio respiro è una preghiera
Non è generico il peso che porto sulla schiena
E non è giovane la mia schiena
Né immatura
Tutti gli esseri che mi hanno preceduto
Siedono sulle mie spalle
Agitando le loro sedie
L’odore delle tue mani non è qualsiasi
I tuoi occhi mi sospendono
Mi trattengono
Immobile, sorpresa
Un’eclissi di sole in un luogo perduto.
OLIVIA VOLPI
incroci
Ti guardo: sei fermo all’incrocio,
le auto ti sfiorano. Folate di fumo
salgono fino ai piani più alti
delle case. Il frastuono delle ruote
dei TIR è assordante tra fanalini rossi
delle auto in fibrillazione
continua nel buio. Il semaforo
è verde davanti a te ma tu continui
a non muovere un passo.
Vorrei aprire la finestra,
gridarti: «Non fare scemenze!
Attraversa! Questo, forse,
è l’ultimo via libera della giornata».
Ma non sono in grado di dare consigli,
così continuo solo a guardarti.
Da ore non muovi un passo.
Assomigli a qualcuno capitato a quest’incrocio
per un errore cretino e che ora non sa
quale direzione scegliere nel suo deambulare
senza mèta e senza destino.
Mi è venuta voglia di scendere le scale,
uscire in strada, venirti vicino,
scuoterti, dirti:
«È solo un semaforo! Forza!
Non recitare la parte
della donzelletta smarrita nel bosco.
Non fare teatro! Non vedi?
Sta diventando ancora una volta
verde! Questa - pensaci bene forse è l’ultima occasione
che ti è rimasta, non ne avrai altre».
Ma è così profonda l’inadeguatezza
che mi sfibra che non saprei condividerla
con la tua.
Così, da dietro i vetri, continuo solo
da ore a guardarti:
rimani sempre lì
perso all’incrocio della tua vita
mentre le ore si susseguono le une alle altre
e tu non riesci a far altro che restare
immobile come un palo al chiarore
di una lampadina sparuta.
(Non so ancora per quanto
resisterà questo filo
di tungsteno che ancora ci illumina.)
stanze
Puoi riconoscere il nitido disegno di Dio
sulla linea del coltello che hai infilzato
sul tavolo come nell’amarezza
e nella rabbia che hai nascosto per anni
nell’anima. Così quand’afferri il coltello
e lo scagli con violenza
sulla porta di legno, poi l’osservi
lì conficcato vibrare e ti senti pervadere
da un’immensa serenità quasi tranquilla,
quasi serena, mentre il pulviscolo danza
nell’aria posandosi in spigoli
scabri e in angoli
oscuri della tua stanza.
Staccando il coltello, soppesandone
la sua lama tagliente, nell’apprezzarne il filo
così acuminato provi la stessa disposizione d’animo
di chi schiaccia la mano
su una piastra rovente che brucia
e invece di staccarla preme ancora di più,
con più fermezza il palmo
su quella lastra che gli ustiona la pelle
così da affidarle ogni giorno, ogni ora,
ogni istante e ogni parte di sé
che si consuma
con la sua ansia,
con la sua inadeguatezza
e ogni sua intima pena.
PAOLO BORSONI
La preghiera degli emigrati
Partimmo poveri e stanchi,
con un pezzo di cielo per mano
e tanta speranza.
Lasciammo le illusioni
al tempo e ai ricordi
e cercammo un'altra vita
tra i grattacieli e le periferie
incolte.
Incontrammo giorni nuovi
di miseria e d'umiliazione;
di nostalgia e di dolore.
E soli,
per marciapiedi affollati d'indifferenza,
trovammo il nostro domani.
Ormai figli del mondo,
partorimmo nuove generazioni,
e non più tornammo tra i vicoli ciechi
e i giardini incolti della nostra infanzia
felice
a cantare filastrocche d'amore
o a raccogliere fiori di campo.
Ma tutto lasciammo
tra i ricordi di ieri
e il domani che verrà.
PAOLO TULELLI
IL PIGIAMA BLU
Piedi caldi
sul pavimento freddo,
occhi stanchi
che stropicci con i pugni.
Nella tua stanza silenziosa
danzano i fantasmi,
sei troppo grande
per aver timore,
ma così piccolo
per trovare il coraggio;
e allora,
dolce creatura
dal pigiama blu,
sogna e vieni da me,
abbraccio il tuo cuore
e sciolgo le tue paure,
solo per questa notte
ti cullerò io,
fino alla fine del buio;
domani, sarai tu,
dolce creatura,
non mia,
a farmi capire
l’inizio del giorno.
ALIBI
Il sole intiepidisce l'aria
o forse è l'aria
a raffreddarne i raggi,
così le paure mutano le parole
ricatto di un sogno possibile
i desideri sfumano come vapore
sull'asfalto caldo dopo un temporale;
il cappio che fino a poco fa
strozzava il respiro
trasformato all'improvviso
nell'unico appiglio
per non rimanere immobili
ma dondolare
bersaglio sicuro che sfugge così
ad un futuro migliore;
quanto spaventa il poter essere felici,
quanto terrore fare quel salto,
meglio prendere fiato ogni tanto
mentre il tempo scorre impetuoso
verso quell'unica direzione
senza poter tornare indietro mai.
Tutto si può fingere
o far credere a se stessi
per nascondere le prove,
per sopravvivere nel proprio buio...
illusi che sia l’unica nostra luce.
Ma le lacrime che scivolano sul tuo viso
non mi inganneranno mai...
avranno sempre il sapore
di bisogno d'amore e voglia di noi.
SONIA ROLANDO
Prigioniero
Solo,
dai ricordi divorato.
Cercando di fissare il tempo
che dalle mani invece sfugge.
E nella solitudine,
sento,
sottile e sereno,
il profumo della vecchiaia.
Neanche il cielo m’aiuta.
Quello spicchio di luna
caduto nel mare
è come una lama
finita nel cuore.
Vorrei andar via,
ma alto è il recinto
e troppo grande
il peso delle cose care.
CARMINE ORTALE
È...brezza d’estate
Nell’aria odorosi
palpiti e desii
d’incontri avventurosi.
Inviluppano la brezza
nella notte tersa
dei cieli d’agosto.
Pelli d’ebano
e sguardi languorosi.
Non suggelli d’amore
ma sospiri
di beffa
accendano cattive
le illusioni:
che del vivere
spiazzano il posto!
17 Agosto 2008
Glauco
Il tuo nome rievoca antiche gesta
che dei greci furono noti miti.
Dai tuoi occhi variabil beltà desta
colori c’amore pinge d’inviti.
E il bel profil greco arguto si presta
a fierezza e onor d’agir mai sopiti,
mediterranea bruna la tua testa:
manca l’arme de’ cavalieri arditi!
Ma il nome antico nobil di passato
di miti, gloria, colori, guarnisce
il forte e gentil onesto operato.
E se non fossi mio fratello amato
in egual il mio verbo s’abbellisce,
di sonetto al tuo cuore dedicato.
23 Luglio 2008
ZELDA GRADILONE
QUANDO SARAI VECCHIA…
Quando sarai ben vecchia
e l’ombra dei ricordi
ti offuscherà la mente di pensieri,
tra i tanti avvenimenti che disperi,
tra quelli vergognosi e inverecondi,
che disapprovi e pure a te nascondi,
tra quelli che hai evitato e che rimordi
avrai da ricordare che già vecchia
sei stata amata da Giovannantonio.
Quando sarai sperduta ed isolata
e tutto ormai è futile e perduto
e sarai sola, inutile e avvizzita,
ti rammaricherai d’aver sprecato
questa occasione che ti è stata data,
e per dar consolazione alla tua sorte
potrai solo dire alla morte:
Giovannantonio ha di me goduto.
Quando sarai soltanto vecchia e stanca
privata ormai di ogni desiderio
e nulla più ti attira né ti manca,
ti sembrerà una fiaba, e invece è vero
che una volta un uomo compiaciuto
hai stretto tra le braccia guancia a guancia
e con lui e di lui tu hai goduto.
Ricorderai le risa e i giorni lieti
trascorsi come zingari felici,
la passione provata, il desiderio
vissuto sempre nuovo ogni mattina,
il gusto dei miei baci,
i tuoi atteggiamenti da bambina,
noi in silenzio, mano nella mano…
… e quella strana e mistica empatia
che ti faceva dire, sembra ieri,
le parole che io stavo pensando
ed io indovinavo i tuoi pensieri.
Ricorderai quel tuo ragazzino,
la cura che avevi dei miei affanni
e il mio parlarti
tenendo sempre il cuore aperto in mano.
Ricorderai le liti, i nostri alterchi,
i miei silenzi, le tue musonerie,
ricorderai quanto fossi attento
a cogliere ogni errore nel tuo dire,
ricorderai le rabbie, le mie grida,
le mie esplosioni con cui ti ho atterrita,
quando subliminavi la mia vita
lanciandomi una inerme e sciocca sfida.
Quando il silenzio della tua vecchiaia
intenderà la becera babele
di quel linguaggio inutile e infedele
con cui la gente elude il quotidiano
e la sua vita si vive con ignavia
non avendo di sé alcun rispetto
(comprendendo che questo era il motivo
per cui hai voluto andartene lontano)
afferrerai con gelido stupore
il senso della mia filosofia
e che per te avevo un grande amore
e un estremo bisogno di compagnia,
di una persona con cui parlare e dirsi,
di una donna da vivere e da amare
che amasse con la stessa mia follia.
Ma tu hai rifiutato questo amore
che ti voleva prendere per mano
per fare insieme e in gioia questo viaggio
per dare un altro senso alla tua vita
e trovare la forza di accettarci
facendoci reciproco coraggio.
Allora potrai farti consolare
da un solo pensiero in fondo al cuore
per riportarti la gioia di un vissuto
che io ti ho dato e tu hai ricevuto,
in modo che la morte sia stupita,
sorpresa dal tuo splendido sorriso
perché tra i tanti affanni che hai subito,
nel corso di una vita vuota e ingrata,
a fronte degli amori non avuti,
per quanto tu lo abbia abbandonato,
quest’uomo solo t’ha veramente amata.
10 AGOSTO
Ieri è stata una fervida giornata
che ho parlato con cento e più persone.
Ti piacciono i film di cappa e spada?
Ricordi Ciranò de Bergerac
e il suo racconto
dei cento e più notturni assalitori?
Cento!
Ebbene, sono stanco di parlare,
è proiezione che non ha ritorno,
un gioco a vuoto
in una città superba
una città senz’anima e morente,
un incubo futuro, da fantascienza,
un luogo di espiazione senza fondo,
dove i mostri divorano la carne
e annientano la mente.
Eppure, si diceva, in altri tempi,
ne fa più la parola che la spada
e nessuno ha pensato di correggere
la persona intelligente,
affabulante,
il segnato da Dio, il maledetto
del quale tutti restano sgomenti,
un solitario, un paria ed un reietto.
Sto diventando folle certamente
se riesco a confessarlo a questa gente,
spettacolarizzo a un pubblico demente
che sembra che ti ascolti, ma non sente.
Perché hanno cambiato le parole
e per tutte ho fatto un solo esempio:
pensa un poco al termine: interesse,
mutato esattamente nel contrario.
Ecco che si manipola la mente
cambiando senso al vocabolario,
spacciando l’ignoranza tra la gente
così che ognuno ignori il suo calvario
e scacci chi gli spulcia la coscienza.
Invece c'è una sola differenza
che se incontri un demente screanzato
fra questi cento cavalier pagati
con la spada lo uccidi, ma a parole
non riuscirai mai a fargli niente.
Allora qualche cosa va cambiata
e se il parlare è arma ormai spuntata,
non resta che star solo, e in silenzio
o denunciare quel che accade adesso
facendolo nei modi che è concesso.
E ricordarsi, se sei in quarantena,
che, anche se il proverbio non l’accenna,
la cosa ch’è puntuta più di spada,
quando non hai parola,
è la penna.
GIOVANNANTONIO MACCHIAROLA
FUGA DALLA REALTÁ
Una coltre di nuvole,
dal colore indeciso,
sorveglia la mia anima
piagata da un’aria gelida e pungente,
quasi ostile,
quasi a volere presagire
il puntuale arrivo
di un improvviso temporale…
…e quando sopraggiunge
inaccettabile
è la consapevolezza di non poter far nulla
per evitare del suo imperversare
i rigurgiti,
che, come una frusta, violentano la mia mente
volutamente assoggettata
ad uno stato di assoluta incoscienza
per schivare, se pur inevitabili,
le lacrime di pioggia che, come un orologio,
scandiscono il battito del nostro tempo
e segnano la durata della nostra sofferenza…
… ma
se i miei occhi assistono
a quello che al di fuori appare e
che in realtà
non posso evitare…
il mio cuore guarda al di là della superficie,
là dove regna il sereno
e dove splende sempre il sole!
ASSENZA
Credo di esserci ma non ci sono
ed intorno a me
solo una quiete
sospesa nello spazio
in un tempo senza tempo.
Le mie parole, i miei gesti, la mia essenza
si disperdono in un interminabile sentiero
senza uscita…
… vuoto e confusione, assenza e disperazione
è in me la follia,
che come un turbine violento
rapisce la mia mente ed assoggetta il mio corpo
ad uno stato di impotenza;
dagli altri solo pietà e distacco
per la mia riconosciuta anormalità,
ma dentro di me
una voce spinge prepotentemente per farsi sentire
e per gridare al mondo intero
che di anormale
c’è solo la sua indifferenza!
DONATELLA CALARCO
ERA SCRITTO. DA SEMPRE..
Io aspettavo. Anche tu,
qualche cosa cercando.
Buchi nei giorni da riempire
di che, non sapevamo.
Passarsi accanto:
il vento si fa melodia
e il nulla al tempo si sposa.
Era scritto. Da sempre..
Ignari solo noi.
Vuote le mani.
Togli i panni a chi eri
per cambiare colore alla vita.
E le ore si fanno merletti.
E parole non bastano più.
Ora ho te dentro gli occhi
e te fra le dita.
TUTTE QUELLE NON RISE DA BAMBINA
Ne ho tante assai riposte di risate,
tutte quelle non rise da bambina:
che nessuno sentisse, inopportune;
chiuse in vasi di vetro e sotterrate,
arrotolate ai giochi ed alle corse,
che, negati, con cura ho messo via
da accarezzare lievi come i sogni
or che il tempo con polvere appassita
ha coperto di allora le ferite.
E adesso voglio ridere, lo sai?,
e correre e giocare a nascondino
e scherzare con tutti, spudorata
come la bimba che non sono stata:
non importa se di anni ormai ne ho tanti:
quelli ho avvitato in barattoli di ferro
e l’ho sepolti nei vuoti di memoria
che addormentano il tempo nella mente.
Vivere voglio volando anche senz’ali
e senza corde suonare una chitarra,
voglio rompere schemi e prigionie:
basta coi sogni, non voglio fantasie;
canzoni e risa che ho tenute al buio
voglio vestire del sole di stamani
e vivere ogni gioia non vissuta
che non restino fiori profumati
inutilmente chini e scoloriti
a rinsecchire ai bordi della via.
ANNAMARIA CARDILLO
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