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IL SENSO TI APPARIRÀ VIVEN VIVENDO (HENRY E LE NUVOLE) di Enrico Giacometti ...semplicemente non è la vita che sognai... ...nei miei pensieri di bambino, un mondo grande immaginai per me... (Non è non è – Bruno Lauzi) www.enricogiacometti.com [email protected] Avevo vissuto così, istante per istante, minuto dopo minuto, per una moltitudine interminabile di giornate. Avevo sperimentato come ci si può ubriacare di quotidianità e di lavoro. Mi sembrava che avrei potuto andare avanti così per migliaia d’anni, senza cambiamenti, in un’infinità di giornate di rilassata consuetudine. Mi pareva di aver trovato un equilibrio. I IL VUOTO DEL CIELO Quasi inavvertitamente però un senso indefinito d'inquietudine si era insinuato in me... Ma mi era sembrato sufficiente ignorarlo, lasciandomi sommergere completamente dai mille impegni quotidiani. Due anni... Due anni spariti senza lasciare traccia. Due anni... Uno spazio vuoto nella memoria. Due anni avevo lavorato in quello studio d'architettura. Poi un giorno di primavera… I primi tempi mi sembrava che il lavoro mi facesse bene: mi aiutava a non pensare. La mia vita era diventata di una semplicità e di una regolarità inconsueta. Mi alzavo la mattina presto, facevo colazione al bar, e andavo a lavorare. Una pausa per il pranzo e poi di nuovo a lavorare. Uscivo alle sette, andavo in palestra, tornavo a casa. Mangiavo un boccone, mi facevo venir sonno davanti alla televisione, e mi trascinavo a letto. Non pensavo a niente. Non mi mettevo più tanti problemi, tutto era pianificato, un meccanismo preciso ed inesorabile. ...un giorno normale come tanti altri, come altri mille prima e mille altri dopo, tutti uguali, senza sorprese, di una confortante uniformità e regolarità... ...mentre camminavo per le vie del centro soprappensiero, senza pensare a niente, in un paesaggio senza profondità, un sipario di teatro incollato sullo sfondo... portici e strade di cartone grigio... 3 ...all’improvviso... …lontano... …appena percettibile… 4 …un brusio... un suono… che s’infrange, morbida ed inarrestabile al tempo stesso. ...da una finestra aperta sulla strada... Dove?… Dove avevo sentito quella canzone?… … una chitarra elettrica... una vecchia canzone triste … Quando? … …lenta… suadente… nell’aria.. ...non riuscivo... non riuscivo... …leggera e densa… Poi, un lampo ...una consapevolezza inesprimibile… …pervadeva i portici e le strade... ...una stella cadente di sbieco tra i miei pensieri... …si spandeva come un profumo, saliva su, sopra i tetti, tra i camini e le antenne, fino a perdersi nel cielo... Un significato perduto… Girai lo sguardo attorno... ...i portici ocra... i tetti rossi ...il cielo azzurro… …qualcosa di vago ed indefinibile... …un’antica malinconia immensa… …pensieri fuggenti… …qualcosa ... evanescente... ...qualcosa che io... Una specie di risonanza, di eco, si ripeteva, si ripeteva dentro di me. Cresceva gradualmente, ma con la forza di un’onda 5 Mi sentii mancare il fiato. I portici ocra, i vecchi palazzi, i tetti rossi, cominciarono a trasudare un’antica malinconia immensa. La terra piangeva, il cielo sorrideva. I contorni delle case divennero indistinti, sfumati, ed il suolo sembrava oscillarmi sotto. Puntai i piedi, presi fiato e alzai lo sguardo verso una nuvola bianca che passava rapida nel cielo. Ma quello che vidi non era lo stesso di prima. Tutto un mondo perduto mi si svelò all’improvviso. In un attimo mi accorsi delle acacie in fiore, del profumo che spandevano nell’aria, mi accorsi della primavera, del cielo azzurro, del sole, delle sue sfumature arancio sui portici della città, mi vidi diverso. Di colpo tutto quello che avevo fatto fino allora mi apparve immensamente vano e vuoto, di una vacuità angosciante. 6 Come avevo fatto per tutto quel tempo? Come avevo fatto ad adattarmi a quei meccanismi di routine quotidiana? Lavoro, ufficio, ufficio, lavoro, mangiare, dormire e poi di nuovo il giorno successivo e quello dopo ancora, e così via in un eterno ripetersi, opprimente, disperato. Come avevo potuto? Come avevo potuto pensare che sarebbe riuscito a riempire il vuoto immenso della mia vita? Mi colse una specie di vertigine, di capogiro, come se all'improvviso potesse cessare la forza di gravità, e rischiassi di essere risucchiato nel blu del cielo. Mi affannai a tornare in ufficio e, appena dentro, uno squillo di telefono mi riportò alla mia solita realtà, ai miei soliti noiosi impegni che mi distrassero da quei pericolosi pensieri inquietanti, come se mi fossi chiuso dietro la porta d’un altro mondo. Mi parve che quel maligno incantesimo si fosse spezzato. Ma era solo l’inizio. Qualche tempo dopo, dalla finestra dell’ufficio, gettai lo sguardo verso lo sfondo blu del cielo oltre i tetti rossi... ...nuvole illuminate dalla luce della sera... ...grida di rondini che danzavano nell'aria... 7 Mi venne un nodo alla gola. Fu un attimo, si aprì un breve spiraglio dentro di me, ma fu sufficiente. Pensieri repressi e ricordi a lungo evitati, sgorgarono come un fiotto. Come fantasmi ondeggiavano davanti a me, in ogni parete, in ogni angolo. Mi sentii soffocare. Fu un breve istante, ma bastò a farmi capire che non avrei più potuto tornare indietro alla vita che avevo condotto fino a quel momento. Non potevo più nascondermi. Non aveva senso. Non aveva mai avuto senso. In un attimo era mutato l’aspetto di ogni cosa. La vita mi parve di colpo insostenibile e mi ritrovai a dover cambiare tutto e ricominciare. Un pensiero mi tormentava... Due anni... Due anni, avevo perso in quello studio d’architettura. Due anni... due gocce di sangue rappreso. Quei due anni mi si paravano davanti continuamente come una macchia buia sulla coscienza. All’improvviso divenni consapevole del peccato più grande: sprecare i propri giorni, sciupare l’esistenza dietro cose vane, senza alcuna vera soddisfazione, nascondendosi dietro mille sciocchezze per pigrizia o per paura di affrontare la vita. Ero smarrito come poche altre volte. Non riuscivo a prendere decisioni, e in studio mi allambicca8 vo in misurazioni davanti al tavolo sommerso di squadre, righe e fogli di calcoli, senza trovare soluzioni. Alla fine decisi di ritirarmi per qualche tempo nella mia casa di campagna, da solo, a riordinare i pensieri. Forse era la cosa migliore da fare. Decisi di parlare con l'architetto della mia intenzione di lasciare il lavoro. Mi dispiaceva per lui, perché era un brav'uomo, ed aveva veramente bisogno d'aiuto con tutto il lavoro che c’era. E poi era contento di me: giudicava il mio intervento prezioso e diceva che mettevo allegria nello studio. Forse alludeva a tutta la musica sudamericana che ascoltavo in sottofondo e canticchiavo distrattamente durante il giorno mentre disegnavo. Indugiai un po', cercando l'occasione giusta per dirglielo. Un pomeriggio, in un momento di tranquillità stavamo prendendo un tè in studio. L’architetto sorseggiava con aria soddisfatta. Io continuavo a rimescolare lentamente, assorto nei miei pensieri. L’orologio antico sopra la finestra ticchettava inesorabile un tempo che sembrava dilatarsi. Il silenzio si espandeva. “Come sei pensieroso! Qualcosa non va?”, mi chiese. Non risposi subito. Rimescolai ancora un po’ e bevvi un sorso di tè. “Hai ragione, il tuo tavolo è un disastro!”, disse ridacchiando. “Non mi riferivo al tavolo. E’ nella mia vita che devo far ordine”. Dopo un attimo di perplessità, mi guardò con un improvviso guizzo d’intuito. “Bravo! Finalmente! Era ora! Non sei più un ragazzino! Chi è la fortunata?” “...???...Ah! ...no! ...non intendevo dire quello! Non c’è nessuna “fortunata”.” Sorrisi. Bevvi un altro sorso di te. “Semplicemente, è venuto il momento di mettere un po’ d’ordine nella mia vita e di affrontare tutto quello che fino adesso ho cercato d’ignorare...” Mi guardò perplesso. “Non ti trovi bene qui?” “No, non è questo, qui mi trovo bene. E' solo che devo far ordine nei miei pensieri. Ho rimandato a lungo... Ora non posso più rimandare. E' da tanto che avrei dovuto farlo... Ho bisogno di una pausa... devo riordinare le idee... “No... è solo che ho bisogno di fare un po’ d’ordine...” 9 10 Però non potevo andarmene subito, come avrei voluto: avevo ancora delle pratiche da sbrigare. Ogni giorno che riuscivo a completarne una mi sentivo un passo più vicino alla mia agognata libertà. Pensavo, dal prossimo mese... ...di non venire più... ” Mi guardò serio. E finalmente una sera uscii dallo studio per non tornarvi. “Sicuro che vada tutto bene? Se ho fatto qualcosa che...” “No, assolutamente. Lei non ha nessuna colpa... Sul serio. Sa che io parlo sempre in modo schietto...” “Se è per lo stipendio...” Sorrisi. “No, non è per lo stipendio, lo stipendio va bene. Non ci sono altri motivi. Il motivo è quello che ho detto. Sono problemi miei, che non hanno niente a che vedere col lavoro...” Mi guardò un po' preoccupato. Mescolò a lungo il tè nella tazza, e per due volte fu ad un passo dal farmi una domanda, ma non disse niente. Alla fine mi sorrise bonariamente e disse, “Beh, va bene, dai, prenditi pure una pausa, riflettici sopra con calma... qui c’è sempre un posto per te quando vorrai ritornare... Sempre!”. Mi chiusi dietro la porta di un mondo a cui non appartenevo più, a cui, a dire il vero, non ero forse appartenuto mai... Sul cancello per un attimo mi voltai a riosservare lo studio. Guardai il cortile interno con gli antichi archi rosso mattone, le finestre su cui si riflettevano le nuvole, i miei gelsomini azzurri sul davanzale, l’antico orologio dal quadrante bianco sopra la finestra, e mi sorpresi a provarne nostalgia. Non avevo ancora trovato un equilibrio. Ero come un marinaio di terra che non riusciva a stare a lungo in un posto. La strada mi chiamava sempre. Dovevo andare per nuove terre. E finivo per provare nostalgia di tutti i luoghi dov’ero stato... Mi tese la mano. Gliela strinsi e lo ringraziai, e visto che era un po' giù, per rincuorarlo, gli dissi che avevo già superato altre crisi e che probabilmente sarebbe passata presto anche questa. 11 12 II LA RESA C’era stato un punto della mia vita in cui avevo smesso di sognare e di desiderare. Di lì a smettere di riflettere era stato un attimo. Cosa fosse successo esattamente, non lo so. Ad un certo punto avevo smesso. Il senso della realtà mi aveva preso. Avevo cominciato a credere solo nelle cose concrete quotidiane, come accade quando guardi la realtà ben bene negli occhi e ti abbandoni al suo desolante squallore. Quando avevo finito l’università e da studente ero diventato lavoratore, allora, era finita l’epoca dei sogni. Presto ero entrato in una dimensione diversa, quotidiana, terra terra, una realtà a toni di grigio, luci al neon, pochi chiaroscuri e zone d’ombra dai contorni sfumati. Era un meccanismo naturale ed inesorabile. Entravi nella logica del lavoro, della produzione, del profitto. Impiegavi il tuo tempo a lavorare, lavoravi per guadagnare, guadagnavi per pagarti i piccoli lussi luccicanti che ti permettevano di truccare e camuffare un po’ lo squallore di una vita in realtà vuota. Anche se in alcuni momenti mi rendevo conto di quante cose non andassero nella mia vita, mi sembrava di averne perso il controllo e di non poter far niente per cambiarle. 13 I modelli che mi circondavano non erano certo incoraggianti. Avevo davanti innumerevoli esempi di persone che dopo brillanti promesse di splendore erano finite in un grigiore uniforme come tutte le altre. E allora se non puoi cambiare, a che pro continuare a rimuginarci sopra? Perché sforzarsi in una lotta persa in partenza contro i mulini a vento? Inutile perdersi in sterili congetture. Meglio concentrarsi sul lavoro, su cosa fare stasera, e il fine settimana, dove andiamo per le ferie, quale nuova auto comprare, come investire i propri risparmi... Ecco le cose che diventano importanti e dispotiche, vampiresche e ti succhiano la vita. Alla fine, alla sera cadi nel sonno come svenuto, per ricominciare da capo il giorno dopo. E più o meno volutamente, non c’è tempo per chiedersi il perché di ciò che si fa. “Bisogna essere realisti” ecco qual’era la frase avvelenante che non ti permetteva di vivere la tua vita fino in fondo come avresti voluto. Era una trappola in cui finivano tutti, prima o poi, e pochi riuscivano a venirne fuori. Avevo fiutato il pericolo molti anni prima, eppure c’ero cascato inesorabilmente anch’io. Essere realisti significava abbandonare ogni programma, ogni schema che uscisse dalla consuetudine. Significava in realtà vivere la vita che desideravano altri, forse... non tu. Alla fine prendi la strada più larga e comoda, ti conformi nelle scelte, nei gusti, e nel modo di pensare, e tutti in fila come soldatini. Non è difficile vivere così. Ha anzi una certa comodità. Ac14 quisti una certa velocità all’inizio e poi, preso lo slancio, procedi per inerzia. La tua vita è scandita da impegni e orari precisi, da scadenze da raggiungere una dopo l’altra, come le caselle del gioco dell’oca. Avanti, sempre avanti! Tutto al futuro, mai al presente. Il difetto del sistema è che sempre proiettato in avanti, viene un giorno in cui ti accorgi che la tua vita è già trascorsa e non sai nemmeno tu come. Ti riguardi indietro e ti accorgi di quante cose ti sei già lasciato alle spalle. Il futuro si è accorciato pericolosamente e ormai ti resta solo il presente per riflettere, e un passato con cui fare i conti. Tutto si riassume in poche cose da ricordare... Ti accorgi allora che tutta la tua vita era fatta di niente. La vita, in realtà, è sempre e comunque fatta di niente, ma una vita vissuta così, è stata ancora meno di niente. Ripensai a come vivevo un tempo. Un tempo collezionavo ricordi. Vivevo più intensamente che potevo, ben sapendo che il tempo era breve. Cercavo di raccogliere i momenti più belli e intensi, tentando in qualche modo di conservarli, di non farli fuggire. Ma l’impatto con la realtà della vita mi aveva trascinato inesorabilmente coi piedi per terra, e soprattutto con gli occhi al suolo, senza più correr dietro alle nuvole. Così ad un certo punto non avevo voluto più essere quello che ero. Mi ero sentito stupido, infantile e fuori tempo ad avere ancora dei sogni e dei desideri: la vita vera, quella dura e cruda ti mostrava che i sogni prima o poi finiscono tutti nell’immondezzaio. 15 Il prepotente e grossolano “senso della realtà” ti faceva credere che non ci fosse più spazio e tempo per vivere nuove avventure. Ormai si era adulti, le compagnie si sfasciavano, gli amici si disperdevano, le ex fidanzate diventavano mamme, la parte migliore della vita svaniva, gli infiniti sentieri si riducevano ad uno solo. E i ricordi diventavano nostalgia, e la nostalgia, dolore. Così avevo finito per preferire il vuoto, il nulla, al dolore. E mi sembrava di aver trovato pace. 16 III I FOGLI BIANCHI Presto, però, mi resi conto che avevo pagato un prezzo elevato per essermi abbandonato per tanto tempo a quell’inerzia spirituale. Non avevo più niente da dire, né da scrivere. Niente saliva più alla superficie dei pensieri. Forse ero riuscito, parzialmente, nel mio intento: avevo creato un vuoto interiore. Ma non la pace. No, quella no. Avevo dentro un vuoto vibrante. Un tempo, di tanto in tanto, mi ero fermato a scrivere i miei pensieri, così per ricordarmi chi ero e dove stavo andando. Mi aiutava a schiarire le idee, a riordinarle, a verificare le mie motivazioni. Ora non avevo più nemmeno lo sfogo di scrivere, non avevo proprio niente di buono, di coerente o di definito da dire. Potevo rimanere ore e ore, pomeriggi interi davanti ai fogli di carta perfettamente bianchi. Non avevo più quel getto di parole che mi premeva dentro e che dovevo solo cercare di imbrigliare un po’, controllarne la fuoriuscita come un tempo. No, le parole non sgorgavano più. Avevo solo un po’ di fastidio, d’imbarazzo di stomaco. Niente a che vedere col cuore. 17 Mi ero immedesimato totalmente nella parte dell'uomo qualsiasi, probabilmente inutile e assolutamente sostituibile con mille altri, senza che nessuno potesse accorgersi della differenza. Tutte le grandi possibilità erano svanite e dimenticate. Quando rincontravo nel cassetto i miei vecchi scritti, senza nemmeno leggerli, più volte ero stato lì per gettare tutto. Mi mettevano a disagio, mi ricordavano cose da cui a un certo punto mi ero allontanato e avevo fuggito, quasi spaventato. Però la quantità immensa di ricordi che la mia memoria per anni aveva conservato con cura maniacale, e aveva poi cercato di dimenticare, sembrava donare uno spessore alla mia esistenza, una profondità che altrimenti non possedeva. Benché a volte dolorosi, e intrisi di nostalgia, mi davano un forte senso d’identità, alla quale mi aggrappavo come un punto fisso attorno a cui ruotava la follia del mondo. Poi, però, i ricordi cominciavano a vibrare tutt'insieme come miraggi nella calura e mi stringevano addosso una nostalgia soffocante. Così per due anni avevo sfuggito come un pericolo, tutto ciò che mi avrebbe potuto far riflettere e ricordare. Alla fine il distacco era stato totale: avevo smesso di pensare completamente ai tanti sogni che avevo avuto, avevo rigettato in blocco i miei ricordi, e il mio passato, e in un certo senso, quel “me stesso” che un tempo avevo creduto di essere. Da tempo non riuscivo più a guardare le vecchie foto. Avevo chiuso in un baule su in soffitta i video che avevamo fatto da ragazzi. 18 Poco alla volta avevo smesso anche di frequentare i vecchi amici. La scusa ufficiale che ci davamo gli uni gli altri era che avevamo poco tempo: il lavoro e mille altri impegni ci tiranneggiavano. Ma la verità ... la verità era che a ritrovarci ci veniva una gran nostalgia. Una nostalgia maledettamente dolorosa. A rincontrarci ci ricordavamo inevitabilmente di tanti sogni e desideri che avevamo accarezzato da bambini. E che ci avevano tradito tutti quanti. La nostra vita reale non era nemmeno una brutta copia di quella che avevamo immaginato. E adesso non era più tempo di correr dietro agli aquiloni. Da anni non ballavo più un tango: non volevo più pensieri tristi, nemmeno da ballare. Non ascoltavo più musica, se non allegra e superficiale: musica latinoamericana, fortemente ritmata, allegra, ballabile. Non leggevo più alcun romanzo. Non riuscivo più ad affrontare discorsi impegnati, filosofeggianti. Preferivo le chiacchiere delle mie amiche sul colore dei capelli, sull’opportunità di farsi i colpi luce, e sul miglioramento che avrebbe apportato un rossetto un po’ più chiaro. Non ero più io. In fondo ero riuscito nel mio intento, anche se non me l’ero immaginato così. 19 IV I VENERDÌ SERA Guardandomi e guardando i miei amici, mi fu dolorosamente chiaro che ci eravamo ingrigiti ed intristiti tutti quanti, come avevamo previsto nei nostri peggiori futuri. Era rimasto solo il lato prosaico dell’esistenza e ogni poesia era svanita. Poesia? Ma quale “poesia”? Eravamo appiccicati a terra, schiacciati al suolo dai moduli delle tasse, dalle ritenute d’acconto, dall’Iva trimestrale, dai mutui, dalle rate dell’auto, dalla futilità delle carte timbrate, dall’ottusità della burocrazia. Eravamo caduti nel vortice delle cose inutili che sembrano indispensabili, che ti succhiano il sangue, il tempo e la vita, cercando di focalizzare tutta la tua attenzione. Il futuro ci sembrava sempre più piatto, più scuro e pensavamo solo a come arrivare a fine mese. Non c’era niente di stimolante. Niente d’imprevisto. Si trascorreva ogni istante in attesa del momento successivo, sempre proiettati in avanti, sempre alla ricerca di qualche tempo futuro per cominciare a vivere. Si passava tutta la settimana lavorativa in apnea, in una emorragia folle di giorni invissuti, uno dopo l’altro... Il lunedì mattina era sempre dura ricominciare, ma prendevi la spinta pensando al fine settimana. Il martedì era interlocutorio. 20 Il mercoledì pomeriggio già cominciava a soffiare un po’ aria di venerdì... Il giovedì scivolava via che era un piacere... ...e infine: venerdì... La rapidità era impressionante... ....Lunedìmartedìmercoledìgiovedì. Venerdì... ....Lunedìmartedìmercoledìgiovedì. Di nuovo venerdì All’improvviso era venerdì sera. ...è già venerdì sera... Come c’ero arrivato? Provavo a ripensarci. La settimana era svanita come fumo. ...ma come...? ...proprio ieri... non era lunedì? ...mi sembrava che... ...eppure...? Ti fermavi un momento, ti appoggiavi allo schienale della sedia, ti stropicciavi gli occhi e ti guardavi attorno stupito, ripensando a come fosse già andata la settimana. Poi prendevi un profondo respiro, ti stiravi la schiena, sbadigliavi, richiudevi l'agenda, riponevi le carte e spegnevi la luce, lasciandoti tutto alle spalle con noncuranza. Quando chiudevi la porta dell’ufficio era come se chiudessi a chiave tutti i tuoi problemi. Non se ne andavano affatto, ma era come se non esistessero più. Sapevi che sarebbero stati lì puntuali ad aspettarti il lunedì mattina, con tutte le pratiche che non avevi sbrigato, le 21 bollette che non avevi pagato, le cose che non andavano per niente e non avevi idea di come poterle risolvere... eppure riuscivi a rinchiudere quell'immensa massa d'immondizia ben bene a chiave e a dimenticartene per un paio di giorni. Sapevi che in perenne attesa del fine settimana, se ne andavano più di due terzi della tua vita... eppure... eppure, per quanto precario, ti sembrava di aver trovato un equilibrio. Il venerdì sera comunque era uno strano momento magico, con un aroma tutto suo. L'aria sembrava più leggera. Erano brevi momenti di serenità e d’illusoria incognita che liberavano da tutti i pensieri, nell’ebbrezza di due giorni di vacanza davanti. Ti pareva di ritrovare quel senso di libertà che durante il resto della settimana sembrava irrimediabilmente perduto. Cosa ti avrebbe destinato questo fine settimana? Nuove avventure? Nuovi incontri? Una nuova ragazza? Nuovi amori? Quali infinite, sterminate novità, quali meravigliose opportunità erano appena dietro l'angolo, pronte per essere colte? L'umore si sollevava un po’ da terra, rianimato da queste immense possibilità. Allora ti recavi al bar all’angolo per l’aperitivo, dove cercavi di far prendere quota allo spirito tra pizzette, salatini, Negroni e Cuba Libre. Al secondo cocktail ti sentivi già più leggero. ...un altro sorso, ecco... ahhhh!!... Un paio di bicchieri e già la voce interiore diventava più flebile e meno fastidiosa, si assopiva piano piano, sembrava svanire... 22 Era soltanto una serenità chimica. Non era granché, lo sapevo. Anzi, nei momenti di più cruda lucidità, mi rendevo conto dello squallore intrinseco di tutto ciò. Però... ...però, mi dicevo che, in fondo, tutte le felicità di questo mondo sono costruite su una base materiale... E allora, che a suscitare un’effimera felicità in noi, fossero oggetti... persone... riconoscimenti... traguardi raggiunti ...due etti di cioccolato ...o un paio di cocktail ...alla fine che differenza faceva... ? E allora, il venerdì sera, nel tuo angolo, nella tua nicchia col tuo Negroni in mano, col tuo migliore sorriso, chiacchieravi con persone sconosciute che t’illudevi di conoscere perché li incontravi tutti i venerdì al solito posto. Un po' gagliardo per l'alcool, attaccavi discorso con qualche ragazza tutta imbellettata e tirata per la sera che ti guardava con aria di sufficienza. Sopportavi i discorsi stupidi che facevano con simulata accondiscendenza, con l'intento poi di sdraiarne qualcuna, più tardi, sul sedile dell’auto. “Doc, non sembra anche a te che venerdì scorso, quando ci siamo trovati qua a mangiare, fosse ieri sera?” “Già”. “Proprio ieri sera, intendo dire... come se il resto della settimana non ci fosse stato...” “Già...” “Non riesco a ricordarmi che cos’ho fatto la settimana passata. Non mi viene in mente niente”. “Già, Henry, e alla fine passano così gli anni... E non ti ricordi quasi niente. Perché non hai proprio niente da ricordare...” “E ti sembra che vada bene?” “Che vada bene... non lo so. Ma va così”. Così trascorreva la prima fase della serata. Dopo col mio amico, il Dottore, chiamato così perché era stato il primo di noi a laurearsi, ci trovavamo in pizzeria, sempre al solito posto, dove ordinavamo, io la solita quattro formaggi e lui la solita quattro stagioni. Eravamo diventati schematici anche nel tempo libero. Una volta gli raccontai della mia strana percezione del tempo. 23 “A me non sembra che vada bene! S’invecchia punto e basta! Che vita è? Che viviamo a fare?” “Ti sento polemico stasera”. Sorrisi. “Non ce l’ho con te. Sono arrabbiato con me stesso. Possibile che non si riesca a far di meglio che aspettare il fine 24 settimana? Si passa la settimana in una specie di animazione sospesa, fino a questi due giorni di vacanza... Che poi non va molto meglio. Passano in fretta, e non è che si faccia granché. Il venerdì aperitivo, pizza e a ballare... Il sabato sera al pub a bere qualcosa ...la solita gita fuori porta la domenica... Mi sento di sciupare il mio tempo, di sprecare la mia vita. Mi sembra di averne perso il controllo...” “Non essere drammatico. Non va poi così male... e poi non siamo i soli a fare così”. E forse ci stiamo sbagliando tutti quanti... pensai. “Non so... mi sembra che siamo addormentati... narcotizzati... trasognati... non sappiamo più nemmeno se siamo vivi o siamo morti...” Tutto passa, tutto finisce prima o poi... Perché dovrebbe essere diverso...? Questo mi ripetevo. Eppure... ... eppure nei momenti in cui ero forse più lucido mi sembrava tutta una demenza senza senso... Osservavo tutta quella gente che come me aveva atteso tutta la settimana per cominciare a vivere... ...e c'era chi si ubriacava, chi andava a mignotte, chi si faceva un paio di righe per tirarsi su, chi un cannone con gli amici, chi ballava fino alle quattro e fino allo sfinimento... Alla fin fine tutti espedienti per non pensare... “Beh, adesso...” Ecco cos'avevano in comune. “Perché ...la chiami vita questa?...” Stratagemmi per spegnere la mente per un po', per sospendere quell'incessante rumore psichico che ti faceva una testa così, e consumava un sacco di energie in pensieri inutili e molesti. Un paio di bicchieri e la testa si calmava. “Insomma ... è così... ... è quel che è... ...è così... che altro vorresti fare?” Ecco! … ascolta!... ...ahhh!... ...il silenzio... Già, che altro vorresti fare, Henry?... Perché poi non dovrebbe andare bene anche così? In fondo, boh? che c'è poi da fare in 'sta vita balorda? Chi l'ha stabilito...? Cos’è realmente importante? 25 Ecco la nostra felicità... 26 Felicità chimica a buon mercato, da quattro soldi, pericolosa ed effimera. Eppure bramavi quei brevi momenti di vuoto di pensieri. In quegli attimi sembrava scaturire da dentro un senso di libertà precaria, ma profonda. E in quel senso evanescente di libertà era nascosta una sottile felicità... Sì, la felicità sembrava proprio sgorgare semplicemente dal fermare quell'elaboratore che continuava a ponderare, a misurare, a giudicare e valutare incessantemente e continuava a spingerti a fare delle cose, a farti desiderare di essere altrove, di essere con qualcun altro, a farti aspettare il prossimo appuntamento, la prossima novità... a farti attendere domani per cominciare a Vivere, insomma a farti desiderare di non essere mai lì dove eri... Comunque, a parte qualche debole moto d’insofferenza, alla fine anch’io come gli altri, mi ero conformato e macerato in quella trita routine, trascinando la mia esistenza di settimana in settimana. Così erano state i miei giorni in quei due anni: di fine settimana in fine settimana, perennemente in attesa. ...due anni? In verità, potevano essere anche quindici. O forse in qualche modo era così da tutta la vita, da quand'ero bambino, dalle elementari. Sì, forse sì... Forse era una cosa profonda che mi portavo dentro da molto tempo, praticamente da sempre, ora me ne stavo rendendo conto. E forse era proprio quello il motivo per cui mi era risultato così difficile riconoscere il problema e individuare la disfunzione: la forza dell'abitudine aveva nascosto il disagio a lungo. 27 28 V LE NUVOLE Cominciò così uno dei periodi più indefinibili della mia vita. Era appena terminata la parte piovosa della primavera e già si sentiva il respiro dell'estate che soffiava leggero sui campi di grano e di erba medica. Lasciato il lavoro, mi ero ritirato in semi-eremitaggio nella mia casa di campagna. Solo saltuariamente scendevo in città a fare acquisti. Mi nutrivo soprattutto dei prodotti dell’orto che coltivavo assieme ad un contadino mio amico, in una specie di ritorno alla natura, così, tra l’altro, non dovevo preoccuparmi troppo a prepararmi da mangiare. Alla mattina presto mi alzavo e facevo qualche lavoro: strappavo le erbacce, innaffiavo, vangavo, raccoglievo qualche frutto. Un po’ di lavoro fisico mi faceva bene. Avevo cominciato ad appassionarmi di giardinaggio da quando mi accorsi che mi aiutava a rilassarmi. Mi aiutava a creare una specie di oasi protetta dove ritirarmi periodicamente e trovare sollievo dalle tensioni e dalle preoccupazioni della vita. Inoltre, la continua trasformazione e l’alternarsi delle fioriture, mi rendeva meno pesante il trascorrere delle stagioni, con quel senso di continuo rinnovamento che sa trasmettere la natura. 29 Sul finire dell’inverno il profumo della lonicera sbocciata timidamente ai primi raggi del sole, m’illudeva di una primavera imminente. Gli ellebori vicino al laghetto e ai margini delle strade inducevano alla speranza. Il calycanthus riempiva l’aria di un profumo antico e nostalgico. Mi ricordava la mia infanzia, mia madre che l’aveva piantato nel giardino di casa, dove restava, dimesso e poco appariscente fino ai primi giorni dell’anno nuovo, quando miriadi di calici gialli di un profumo inebriante facevano l’occhiolino al primo sole. Fiorivano i bianchi bucaneve, gli allegri crochi, le primule selvatiche. Un mattino ti alzavi e sentivi le viole nell’aria. Sbocciavano i narcisi, le giunchiglie e i tulipani, annunciando marzo. I prugni selvatici diventavano nuvole bianche, i peschi si ammantavano di rosa. E poi la natura accelerava con l’allungarsi delle giornate ed i primi tepori, e in rapida successione fiorivano gli alberi di giuda, i lillà, i glicini, i maggiociondoli, i filadelfi, le iris, le rose, le spiree, le ninfee. E poi gli hemerocallis, le buddleie, i rhyncospermum, gli ibischi, gli oleandri, le lagerstroemie. Quando sul finire di agosto vedevi spuntare i primi ciclamini, seguiti dai colchici e dagli astri, capivi che l’estate volgeva al termine. Seguivano le lespedeze, gli aconiti, e i chrysanthemum. Le foglie arrossivano, e ingiallivano accendendo l’autunno degli ultimi colori. Gli osmanti e gli eleagni riempivano l’aria di profumi delicati. Tra le foglie cadenti spuntavano le bacche scarlatte dell’evonimo e lilla del callicarpa. Ed era già momento di piantare le viole del pensiero e i cavoli ornamentali che rallegravano un po’ l’inverno nelle brevi pause di sole. Curando le piante, tagliando l’erba, vangando, zappettando, 30 concimando, diventavo partecipe di quegli eterni cicli di trasformazione. In quei giorni miti di primavera, finite le mie semplici mansioni quotidiane, mi sdraiavo per ore ed ore, fino a sera, sul ripido prato dietro casa, tra le ginestre in fiore e l’erba medica, ed osservavo le nuvole nel cielo azzurro sopra le colline. Scorrevano leggere e spensierate e mi davano un senso di mistica serenità e di libertà. Lasciavo i miei pensieri correre dietro alle nuvole, inseguendo ogni immagine che mi suggerivano. Volevo riuscire a spezzare definitivamente quelle false catene mentali che mi legavano al passato, m’impedivano di andare oltre, e, come una forte risacca, mi rigettavano senza posa sulla spiaggia dei ricordi. Quando avevo abbandonato il lavoro e mi ero ritirato in campagna a riflettere, all’inizio non avevo detto niente a nessuno. Non ne avevo parlato né a Francesca, né ad Antonella, né al Dottore, né a Gigler. Non avevo troppa voglia di dare spiegazioni. Avevo soltanto voglia di pace e di tranquillità. Doveva essere un lungo viaggio compiuto in solitudine nei meandri di me stesso. Dovevo far ordine nella mia vita e nei miei pensieri. Non ero più sicuro di aver fatto le scelte giuste... In qualche modo sentivo di avere ancora dei conti aperti col passato. Volevo ripercorrere la mia vita passo, passo, fino ad individuare i passaggi volontari e quelli obbligati, ripetermi le mie ragioni per le scelte fatte, per esser sicuro che non fossero state solo casuali. E volevo capire cosa dovevo fare ora per andare oltre. 31 32 VI L’ETA’ DELLE DISILLUSIONI Avevo raggiunto quell’età in cui gli amici, anche i più scapestrati, cominciano a sentirsi vecchi, a rintanarsi in casa, a fare pericolosi progetti per il futuro, e ad ammogliarsi. Non avevo ancora raggiunto la seconda fase dell'età umana, quella delle disillusioni, degli avvocati e delle cause di divorzio, nella quale, dopo anni di repressione matrimoniale, si rivive una seconda giovinezza quarantenne, dandosi alle smodatezze più sfrenate, spese processuali permettendo. Alcuni amici si erano dispersi per il mondo da cui, ogni tanto, ricevevo cartoline con bizzarri paesaggi, e variopinti francobolli di paesi che mettevano alla prova le mie conoscenze di geografia. Io ero rimasto e quasi sempre ero solo. Frequentavo solo qualche amica, frequenza disinteressata senza le complicazioni del sesso, a parte qualche piccola tentazione, di tanto in tanto, con qualcuna delle più carine, che però generalmente riuscivo a controllare. Era una situazione precaria, perché sapevo che prima o poi tutte si sarebbero legate stabilmente a qualche ragazzo geloso che avrebbe ostacolato la nostra frequentazione. Erano tempi duri, ma resistevo. Vedevo spesso soprattutto Francesca. Era stata per un certo periodo la ragazza di Dan, un mio caro amico, ed io ero stato 33 assieme ad una amica di lei. Poi col tempo le coppie si erano sciolte, ma tra noi era rimasta una bella amicizia. Avevamo un pezzo importante di passato in comune che ci legava profondamente. Il tempo non era servito a placare il suo dolore. Non voleva dimenticare, vi opponeva una strenua resistenza con tutte le sue forze. Era dura, molto dura, anche per una ragazza forte come lei. Non si era ancora arresa all’oblio, come fanno tutti, prima o poi, per tornare a vivere. Aveva paura di dimenticare anche il più piccolo particolare di Dan. Era sempre più bella, bella di una bellezza triste, bella del suo dolore. Era diventata più pacata col tempo, più saggia, avendo riposto tutta la sua pazzia in quell’amore impossibile, alla cui fine senza appello non voleva arrendersi. Le volevo un gran bene, e tante volte mi sono domandato se non fossi innamorato di lei. In ogni caso era un innamoramento che non aveva bisogno del sesso. Mi bastava averla lì con me. Da quando Dan era morto, si era abbandonata ad una castità naturale, senza sforzo, senza tentazioni. Viveva appartata in un ritiro dal mondo quasi monacale e praticamente frequentava solo me. Gli altri uomini non li vedeva proprio, benché ne avesse vari attorno a lei. Tante volte avevo cercato di dissuaderla, di farla ragionare, di convincerla a rifarsi una vita. Una volta si arrabbiò per tutti i tentativi che facevo di presentarle dei ragazzi. 34 “Ma sono qui!” “Sto bene così, Henry! E non c’è bisogno che ti impegni tanto. Ti ringrazio per l’interessamento, ma non ho bisogno di niente.” “E invece sì! Non hai neanche trent’anni, sei bella, giovane, e te ne stai in casa a far le ragnatele. E questo lo chiami normale?” “Senti, non ho capito: vuoi liberarti di me? Perché mi sembra che tu voglia sbarazzarti di me. Se vuoi che me ne vada, se sono troppo invadente, non hai che da dirlo, non è necessario che mi appioppi a qualcun altro che mi porti via. Me ne vado da sola!”. Mi fece un gran tenerezza. “No, Frenci, sai quanto sto bene con te. E non sai che male che mi fa quando penso che prima o poi qualcuno ti porterà via e praticamente non ci vedremo più. Perché succederà così... incontrerai qualcuno che sarà geloso di noi... e non ci vedremo più... Ma non voglio essere egoista, ti voglio troppo bene. E tenerti tutta per me non è il tuo bene”. “Ma neanche il mio male!” La abbracciai. Mi strinse forte. “So già che mi mancherai”. 35 “Mi mancherai!” A volte mi domandavo come sarebbe stata la mia vita senza di lei. Di tanto in tanto vedevo anche Antonella. Antonella... Non saprei come definire la nostra relazione. Potrei dire che era stata la mia ragazza... ...ma da subito era stato un rapporto così insolito e altalenante... ...ci lasciavamo, tornavamo insieme, ci lasciavamo di nuovo... Amava i drammi, le sceneggiate e cercava sempre l’occasione per inscenarne di nuovi. A volte il nostro rapporto diventava pesante come il piombo. Spesso mi domandavo perché non la facevo finita con una storia così. Però quando la rivedevo, ricordavo subito la risposta. Era alta e snella, aveva lunghi capelli neri e lisci, occhi verdi provocanti. Sempre elegante, curata, sexy: d’altronde era una modella. Per strada tutti si giravano a guardarla, tutti cercavano di attaccare discorso con lei. 36 Era davvero d’una bellezza e d’uno charme fuori dal comune e tenerla tra le mie braccia o nel mio letto, mi faceva sentire importante, e fortunato che fosse mia. Ma era solo un’illusione... In realtà apparteneva solo a se stessa. Era una donna libera ed indipendente e ciò costituiva il suo fascino ed anche il mio cruccio. Ed era quello che mi aveva reso così difficile lo staccarmi da lei una volta per tutte, e tra alti e bassi aveva fatto durare a lungo la nostra relazione. Da subito il nostro accordo era stato che la nostra sarebbe stata una relazione libera, ovvero in teoria non stavamo insieme, eravamo soltanto due “amici”. Ci frequentavamo secondo i nostri desideri, che poi erano i suoi capricci, in realtà, perché io avrei preferito una relazione regolare con lei. Di tanto in tanto non ci vedevamo per un po’ e ognuno aveva le sue avventure. Poi, sentiva nostalgia di me e tornava. E io, ovviamente, secondo lei, dovevo esser pronto ad accoglierla a braccia aperte... E spesso mi faceva pure delle scenate se frequentavo qualche ragazza! VII ECHI DEL PASSATO Un pomeriggio una moto si fermò al mio cancello. Mi sollevai per guardare. Ma chi?... Spense il motore e si avvicinò al campanello, mentre si slacciava il casco. “Gigler!” Si voltò e mi vide. Mi fece un cenno con la mano. Oltre agli impegni per le sfilate, che la facevano assentare spesso, a volte se ne andava via, spariva per qualche tempo e non c'era verso di trovarla. Ormai erano quasi due mesi che non la vedevo e non era rintracciabile da nessuna parte. Ero un po’ preoccupato, temevo si fosse cacciata in qualche guaio. “Aspetta che vengo ad aprirti”. “E bravo Gigler! Che sorpresa! Hai fatto bene a passare!” “Bravo Henry! Che combini?” “Niente di ché, mi godevo l’aria e mi bevevo una birretta. Vieni, che ne ho una anche per te, bella fresca” 37 Ci sedemmo sul prato e stappammo le birre. 38 “Salute!” “...nel senso che ...facevo cose senza nemmeno sapere perché le facevo...” “Ah, che bella arietta! Si sta proprio bene!”. “Uhmm... proprio come fanno tutti... Che c’è di strano?...” Sorrisi. “Esatto, come fanno tutti... Ma io non ce l’ho più fatta ad andare avanti senza trovare un senso in ciò che facevo. Senza sapere più dove stavo andando, né perché, mi sentivo di sprecare la mia vita. Molti si limitano a guardarla passare tra lavori insulsi e impegni futili... finché un giorno si accorgono che ormai è andata... Quando mi sono reso conto che stava accadendo anche a me, mi sono rifiutato di proseguire oltre. Ho deciso che era meglio fermarsi un attimo a riflettere.” “Come va, Henry?” “Bene, dai. Qui si sta sempre bene”. “Mi han detto che hai lasciato il lavoro...” “Già...” “E che fai adesso?” Mi misi ad osservare una nuvola. “Niente, per ora sto qui” “Non so tu, Gigler... ma a me la vita appare spesso veramente assurda... Dannarsi a correre dietro a tante cose che non durano... che da un momento all’altro finiscono... Costruire... costruire... per cosa?...” “A fare che?” “A godermi l’estate e a riflettere” “A riflettere su cosa?” “Ah, se cominci a ragionarci sopra così, è finita!” “Su tante cose... Sto cercando di fare un po’ d’ordine. Mi sembrava di aver perso un po’ la direzione della mia vita.” “In che senso?” 39 “Delle volte mi domando se sono io quello strano. La gente sembra così adattata a vivere alla superficie... Io ci ho provato, ma non ci sono riuscito. Non riesco ad andare avanti a lungo se non trovo un significato in quel che faccio. 40 E il continuare a sopravvivere e tirare avanti, per sopravvivere e tirare avanti ancora, e così via, per me non è sufficiente. Non riesco a trovarvi alcun senso. Normalmente si vive proiettati in avanti. Si trascura il presente quasi fosse un intralcio da scavalcare per raggiungere una meta futura. E sempre a correre e ad affannarsi... Ma il trucco del domani che finalmente ci soddisferà... la carota appesa al bastone che ci fa correre, non riesce più ad ingannarmi. Non so... forse sono io quello anormale... però... Boh? ” Si accese una sigaretta. “Anch’io a volte mi domando per cosa triboliamo... Invece di goderci la vita subito, adesso... rimandiamo, rimandiamo...” Sospirai. “Viviamo al domani... perché l’oggi, smarrito in mille impegni inutili, coi ritmi che ci lasciamo imporre dal mondo, sembra troppo insulso...” , risposi, “Ma l’oggi è insulso a causa nostra... che invece di seguire la voce del cuore, seguiamo la voce del mondo che ci ha ipnotizzati come un pifferaio magico... E tutti dietro!... Questa è la cruda verità. Ci siamo adagiati in una vita di comodo su modelli precostituiti, che ci garantisce un certo apparente confort, ma poche soddisfazioni. E così invece di vivere la vita che vorremmo veramente, ci limitiamo a campare, a tirare avanti... 41 Pur di assicurarci una presunta sicurezza, accettiamo tutte le limitazioni possibili... ci consegniamo ad una vita mediocre, lasciando morire tutti i nostri sogni e desideri... per paura di rischiare... Senza renderci conto che una vita così, è già un’anticipazione della morte, è una morte mentale, peggio di quella fisica. Si diventa zombie... morti viventi...” Sospirò. “Già, proprio così... Mi domando cosa si tenta di preservare... cosa ci sia da preservare in una vita vissuta così. Si cerca di prolungare l’esistenza ad ogni costo, accettando perfino che sia a malapena di sussistenza... per raggiungere il glorioso traguardo di diventare vecchi e rincoglioniti e morire in un ospizio!” Gli passai una birra. L’aria era immobile. Un falco descriveva ampi cerchi nel cielo. “Dedicare tempo ad inseguire obiettivi degni è importante e giusto...”, continuai. “È che ho perso di vista i miei obiettivi... E poi, comunque, non si può destinare tutto al futuro. Ho voglia di vivere subito, non domani... voglio sentirmi vivo adesso. In fondo, qualsiasi cosa abbiamo fatto o non fatto, ottenuto o non ottenuto, il risultato finale non cambia... Tutto finisce in niente comunque... ”, continuai. “Ti capisco... A volte, quando mi sento stressato da quello che faccio e mi sembra di sprecare la mia vita, mollo tutto, salgo in moto e vado a farmi un giro... In moto almeno mi sento vivo... ...l’aria fresca, la velocità... fluire con la strada... Forse non è 42 granché... Eppure, per quanto poco, ha il sapore della Vita...” ero certo!” Annuii con la testa. Rimasi in silenzio per un po’ ad osservare una nuvola accesa dal tramonto, che pareva un grande aquilone rosso. Ci facemmo una gran risata. “Pensa che differenza rispetto a come vivevamo un tempo... le scorrerie che facevamo per discoteche e locali vari sul tuo furgonaccio bianco, con tutta la compagnia... alla perenne caccia di avventure e di ragazze...” “Vivevamo alla giornata” continuai, “con la beata incoscienza dei ragazzi... che forse poi incoscienza non era... Che disastri che abbiamo fatto!... Eppure non rinnego nemmeno una delle cose fatte!... se non che dovevamo farne ancora di più!... Mi domando se non eravamo più saggi di adesso...” Mandò giù un sorso di birra. “Già... ci penso spesso... Partivamo e non sapevamo nemmeno dove saremmo andati... quella era Vita! E quante cazzate abbiamo fatto? Al volante del furgone... guida spericolata a manetta... in controsterzo... Abbiamo rischiato la pelle più di una volta...” disse ridacchiando, “...e tu che stavi sempre davanti di fianco a me, perché avevi paura che mi addormentassi...” “No, Gigler, non è che avevo paura che ti addormentassi: ne 43 “Avessimo potuto continuare così!...”, proseguì, “Ci fossimo riusciti davvero! Non so che darei per rifare anche solo una di quelle uscite... proprio come un tempo... con tutti i régaz... io, tu, il Doctor e gli altri... Magari!” Rimase in silenzio per un po’. Sospirò. “Forse potremmo anche riuscirci...”, continuò, “Ma è lo spirito che è diverso...” “Già... non si può tornare indietro... Anche le rimpatriate che di tanto in tanto abbiamo fatto a casa di qualcuno... Hai visto che ormai siamo diversi... La vita ci ha smorzati. All’epoca vivevamo alla giornata... ma non come adesso, che ci barcameniamo tra lavoro e mille altre puttanate, senza sapere dove andiamo e senza goderci nemmeno il presente... Allora assaporavamo il momento fino in fondo, senza pensare al domani... Sentivamo che la parte bella e fresca della vita stava svanendo in fretta. Il futuro appariva incerto e oscuro. Altro che incoscienti! Siamo più incoscienti a vivere come viviamo adesso! Ci calavamo completamente nel presente. E facevamo bene... facevamo proprio bene... col senno di poi, confermo che fa44 cevamo bene. Vedendo come siamo adesso, ribadisco che avevamo ragione... Sapevamo che ci aspettava tutto questo. Eppure non siamo riusciti ad evitarlo... Anche se forse siamo riusciti a prolungare la nostra adolescenza più di tanti altri... E abbiamo fatto bene!... alla faccia di chi diceva che eravamo immaturi!...” “Sì, lo penso anch’io... Avevamo ragione...” Aspirai profondamente. Buttai fuori il fumo e mi misi ad osservare una scia di aeroplano che il vento stava disperdendo. “...e siccome non avevo ancora voglia di buttarmi giù da un ponte... mi sono ritirato qui a riflettere... Sto cercando risposte... Non so se ci riuscirò... Eppure non posso fare a meno di tentare...” Rimanemmo in silenzio per un po’. Avevo lo sguardo perso in lontananza, oltre le colline. I grilli cantavano la sera ormai imminente. “In quei momenti di lucidità che ti appare evidente la grande vacuità dell’esistenza... così breve e precaria...”, ripresi, “svaniscono tutte le illusioni... Resta un grande vuoto... e una grande malinconia... Presto seguiti da un menefreghismo e disprezzo totale nei confronti dell’esistenza stessa ... E da una specie di follia autodistruttiva che ti fa desiderare di anticiparne la fine. E allora ti viene voglia di premere di più sul gas, andare più forte per accorciare i tempi, bruciare più in fretta, rischiando il tutto per tutto, e farla finita con tutta questa farsa insensata, fonte d’innumerevoli preoccupazioni e sofferenze. Tanto, nulla per nulla...” Terminai la birra con un ultima grande sorsata. Mi offrì una sigaretta e mi fece accendere. “Grazie...” 45 46 “Cos'è che non va?” VIII “Niente”. SCIROCCO “Su, dai, ti conosco bene, conosco bene quella faccia. Cosa c'è?” “Cosa c'è?... c'è che... Finalmente, un giorno di maggio, Antonella si rifece viva. Parlammo per un po’ del più e del meno quasi ci fossimo visti il giorno prima. Poi, come se niente fosse, mi raccontò che frequentava un uomo, un tipo che aveva una ventina d’anni più di lei, con un figlio piccolo. Era andata a vivere da lui, e, diceva, stavano bene insieme. Le aveva addirittura proposto di sposarlo... ...andare a convivere con un uomo che ha già un figlio... a fare da madre ad un bambino che non è nemmeno tuo... ma sei sicura?..." "Beh, perché?... non sarò mica la prima!..." "Ho capito, ma, voglio dire, così in quattro e quattr'otto... sposarsi... mettere su famiglia..." La notizia mi piombò addosso come un macigno. Antonella era fatta così; per lei passavo con noncuranza dal ruolo di fidanzato a quello di amico e viceversa, a seconda dei casi. Ora mi toccava il ruolo di amico. Restai in silenzio vari minuti. "Beh prima o poi bisogna pur mettere ordine nella propria vita..." "Sì, d'accordo, ma bisogna anche raggiungere la maturità necessaria. Sono cose che nascono lentamente, non s'improvvisano. " “Che c'è, non dici niente?” "Perché, secondo te non sarei adatta?" “Eh,? Non dici niente?”, insisté. "...insomma... se devo dirti la verità... adesso come adesso... mettere su famiglia, fare i lavori domestici... ai fornelli... fare la mamma... con tutta una banda di marmocchi strillanti che 48 “Cosa devo dire...?” 47 ti corrono attorno? Tu? Ma sei sicura?!? perché, scusami, ma proprio non ti ci vedo!” "Mah?" “Perché allora credi che continui a frequentarti?” “Beh, che vuol dire?...” “Ah, non lo so, non lo so proprio...”, risposi brusco. “Vuol dire quel che ho detto... Almeno ne sei innamorata ?” “Non lo sai? Non credi che ti voglia bene? ...Eh?” “Beh, è un uomo molto affascinante e mi adora”. “Mah?” “Ma lo ami ?” “Non ci credi?” “Ma sì... e poi col tempo... quando ci conosceremo meglio...” “Insomma, ma cosa ti è venuto in mente? Famiglia, bambini, sposarsi... così, tutto in un colpo... Ma cosa ti è successo?” “Ne dubito fortemente”. Mi guardò indispettita. Si accese una sigaretta. “Fa proprio piacere sentirsi dire queste cose... dopo tanto che ci conosciamo...”. Sospirò forte e disse: “Ci si stanca, Henry... ...ci si stanca della mancanza di punti fissi nella propria vita... Lui mi dà un senso di sicurezza e di solidità”. Rimanemmo a lungo in silenzio senza neanche guardarci. Nessuno faceva la prima mossa. “Tutto quello che non ho mai saputo darti io, insomma”. “Devo andare adesso”. Mi guardò con un'espressione a metà tra il senso di colpa e la compassione: “Non è questo che volevo dire”. Mi accorsi che indugiò parecchio, più del dovuto, a cercare le chiavi dell’auto nella borsetta. Si aspettava che le dicessi qualcosa per farla restare. Ma non dissi niente, rimasi immobile sul prato con le mani intrecciate dietro la testa ad osservare una nuvola che passava. Si voltò un momento a guardarmi con le chiavi in mano. 50 “Ma è quello che pensi”. “Dai, smettila, non dire così. Sai che ho grande stima di te". 49 Ma io continuavo a fissare il cielo. Scosse la testa, si alzò e se ne andò. Ero stato forse eccessivamente duro con lei, ma in verità, ero stanco di essere soggetto ai continui capricci delle donne e di quei discorsi che mi ero sentito fare centinaia di volte fino alla nausea: tutta la mia vita era assillata da donne che cercavano una posizione sociale. Non si poteva, semplicemente, stare bene insieme, e basta? La famosa illusione malefica della stabilità... In una vita che muta continuamente, tra anni che fuggono senza rimedio con accelerazione crescente, era un’assoluta chimera, né più, né meno. L’unica vera costante della vita è il cambiamento. Ma la gente non lo capisce, non lo vuole capire. ...e allora via, pronti ad inseguire illusioni di sicurezza e di durata, dove non è possibile trovarle... E poi con Antonella avevo sempre dovuto essere particolarmente paziente, ne avevo sopportate tante, troppe. Quando la vedevo tornare da me con gli occhi bassi, mi dimenticavo tutto, ma quando ci ripensavo a mente lucida, mi davo dello stupido ingenuo. No, no, altro che! Non ero stato affatto troppo duro! Anzi avrei dovuto incazzarmi, invece! Che diavolo! In fondo mi aveva scaricato per uno che aveva quindici anni e passa più di me, con un figlio piccolo... Per la stabilità!... Macché, macché stabilità ... Balle!... Per la grana! altro 51 che! Per la fresca!... ecco la verità! La moneta ... E poi mi viene a raccontare delle puttanate per giustificarsi... ...la “stabilità”... Cazzate! Che ipocrisia! Insomma ero in quel tipico stato d’animo che... ... come dire... ...riassumendo... ...ti sembrano tutte delle troie. Per fortuna Francesca mi telefonò, distogliendomi da quei pensieri. Grazie a Dio non erano tutte come Antonella. Era un po' che non ci vedevamo. Mi chiese se mi andava di prendere un caffè insieme. Le dissi di venire da me, ché non avevo molta voglia di uscire. Quando arrivò, la abbracciai stretta, stretta. Rimase un po' meravigliata da quel mio slancio di affettuosità, a cui mi abbandonavo raramente, e capì che c'era qualcosa che non andava. “Cosa c'è, Henry ?”, disse mentre ricambiava l’abbraccio. “Niente. Semplicemente ti voglio bene”. 52 guancia. Sorrise e mi abbracciò più stretto. “Qualcosa non va ?” Sospirai: “Ma, no, non più di tanto... Ormai ci ho fatto l'abitudine a queste sue improvvisate...” “No”. “Sicuro?” “Hai rivisto Antonella ?”. “Beh, insomma... ormai...” Sbuffai. “Sì, ci sono rimasto male.... ...è libera, non è la mia donna. Ha il diritto di fare ciò che vuole. Sono io il cretino.” Il suo intuito riusciva sempre a sorprendermi. “...sì... è venuta a trovarmi oggi pomeriggio...” “Come sta?”. “Sei soltanto innamorato. Non essere troppo duro con te stesso!” “Bene... Bene...” “Innamorato!… Non esageriamo! ...”. “Cosa fa adesso?” “Non ti raccontare delle balle! Sei innamorato!” “Adesso... ...adesso ...è andata a convivere... Sta con un uomo... un uomo di vent'anni più vecchio di lei... con un figlio piccolo... Parla di sposarsi... mettere su famiglia. Dice che le dà “sicurezza”...” “Ma no! ... è soltanto attrazione fisica, ecco... quello sì ...dai... E’ che in fondo non ho alternative interessanti, è un po’ che non conosco nuove ragazze.” “Accidenti, Henry!”, disse scuotendo la testa. Mi guardò compassionevole. “È solo che mi ha colto di sorpresa. Non me l'aspettavo. Sta senza farsi vedere per due mesi e poi arriva con questa bella novità...” “Ci sei rimasto male ?”, disse mentre mi accarezzava una 53 Bevvi un sorso di birra. 54 “Vabbé. Raccontati pure quel che vuoi. Sai come la penso”. Nuvole illuminate dal sole nell'aria della sera. Il fresco cominciava a scendere dai boschi. “Stai tranquillo, la conosci bene ormai. E’ facilmente prevedibile come andrà a finire: una mattina si alzerà, le sembrerà di percepire qualcosa di diverso nell’aria, lo saluterà e gli dirà che le dispiace, ma deve assolutamente andare, ringraziandolo per tutto quello che ha fatto per lei, e lasciando un altro cuore infranto, da suicidio. E poi la vedrai tornare, ci puoi contare”. “Dammi una sigaretta, va là”. “Tieni” Mi accesi la sigaretta e aspirai profondamente. Le nuvole sulla collina avevano preso un tono rosa acceso. Sbuffai il fumo con aria insofferente: “Sono stanco di tutti questi suoi cambiamenti d'umore. Sono stanco. Stanco...” “E’ un pensiero che prima o poi ci coglie tutti... la “stabilità”, la “sicurezza”... ma la conosci, vedrai che non durerà...” Sospirai. “Ma sì, forse hai ragione”. Le sorrisi. Mi offrì un'altra sigaretta. “Antonella cerca quell’equilibrio che le è sempre mancato... Ma quando non sai bene su quali basi fondare il tuo comportamento, tutto appare possibile. Così cambia umore e opinioni come il vento, ma il suo carattere di fondo resta sempre uguale. È sempre lei, irrequieta, instabile... la puoi riconoscere in ogni suo gesto. Adesso le sembra importante avere punti fissi nella vita, avere una famiglia, come se la chiave della sua realizzazione fosse lì, come se fosse il rimedio per la sua insoddisfazione... Ma poi tornerà alla vecchia strada di sempre, e ti verrà a cercare, vedrai.” Aspirai una forte boccata di fumo che bruciava i polmoni. “Una volta li sopportavo meglio, ma adesso... E poi fa dei discorsi di sicurezza economica, di posizione sociale... di tutte le puttanate che non ho mai tollerato! La credevo diversa. Sentire anche da lei questi discorsi che ho sentito pronunciare da centinaia di donne e che mi hanno sempre dato il voltastomaco, mi ha veramente nauseato”. Si accese una sigaretta. 55 Mi faceva sempre bene parlare con lei. Alternavamo i periodi in cui ci raccontavamo le nostre piccole disgrazie. Adesso toccava a lei sopportare. L’abbracciai. Era davvero una buona amica. “Ma dimmi, Henry... per il resto, come te la passi?” “Aspetta che vado a prendere qualcosa di fresco da bere”. 56 Tornai con una bottiglia di Sauvignon bello freddo come piaceva a lei, un paio di calici e dei salatini. “Beh, sono delle occupazioni che mi prendono tutto il giorno”. “Davvero?”. “Fantastico!”, disse con gli occhi che le brillavano, “Grazie, Henry, ti meriti un bacione”. Mi dette un bacio con lo schiocco su una guancia, lasciandomi un segno di rossetto che si affrettò a cancellare con le dita, ridendo. “Certo”. “E qual’è l’occupazione che ti prende la maggior parte del tempo? ...fare il giardiniere?...”, disse con aria ironica. “No, riflettere”. “Alla nostra, allora”, disse alzando il bicchiere. “Cioè...?” “Alla nostra”. “Pensare, ragionare insomma.” “Ahhh!!! Avevo proprio una gran sete!” Mi guardò con aria perplessa. Bevvi due grandi sorsate fresche di vino, respirai a fondo, buttai fuori l'aria stantia assieme ai pensieri molesti, e la vita ricominciò a sorridermi. “Sul serio?”. “Sì” “Allora cos’è che mi volevi domandare?”, le chiesi dopo un altro paio di sorsi. “E a cosa pensi?”. “Come te la passi”, rispose sgranocchiando un salatino. “Mah, devo rifare un po’ d’ordine tra i miei pensieri”. “Mah, niente di ché, penso, mangio, dormo, aggiusto il giardino e coltivo un po’ l’orto”. “E col lavoro come va?” “Bene... l’ho lasciato” “Tutto qui?” 57 “Dici sul serio?” 58 Rimase a guardarmi diffidenza, per capire se stavo scherzando. Il silenzio riempiva l’aria tra di noi. I pensieri cercavano di condensarsi in un discorso sensato, ma le frasi uscivano a epigrammi, rade, come le mie emozioni. “E adesso dove lavori?” “Un giorno di primavera… “Non lavoro” …per le vie del centro… “Ma scherzi?” .fin su nel cielo una canzone… “No” Un’immensa malinconia… Rimase a guardarmi per un po’, perplessa. …nuvole bianche oltre i tetti rossi … “Ma come... ? Non capisco... andavi bene... L’architetto aveva una gran stima di te... Mi sembrava anche che ti piacesse... Cos’è successo?” … ricordi… “Sì” …fantasmi…” “Non ce la facevo più” Davanti ai miei occhi ripassarono le nubi candide, fioccose di quel giorno di primavera, le rondini che volteggiavano allegre e malinconiche tra i camini. “Eri sotto pressione?” “Una vertigine… “No, non esattamente... Ma non potevo più andare avanti così”. …un senso di libertà perduta… … un vuoto immenso…” “Scusami, ma non ti seguo. Cos’è successo allora?” “Cos’è una poesia?” “Non so se riuscirò… È successo tutto così all’improvviso...” 59 “No, no,...”, mi fece sorridere, “...ma potrebbe esserlo... 60 …piuttosto un requiem… ..un requiem per una vita passata, una vita finita, anni perduti... Ancora molta strada da percorrere... Tanta polvere, ragnatele e nidi d’ombra...” Mi sorrise. “...non so ...non so se riesco...” Rimase in silenzio per un po'. vendo rinfrescanti Mojito colmi di ghiaccio, avevo la forte tentazione di lasciar passare la vita così, in una sorta di torpore catalettico, senza pensare più a niente, .in una specie di estraniazione totale... Alla fine ho ceduto, ho lasciato il lavoro, e mi sono ritirato qui. Sto quasi tutto il giorno sdraiato sul prato a riflettere. Sembra assurdo... non è molto, lo so... ma così mi sento vivo. Non Vivo come quando viaggio, eppure vivo. In ufficio mi sentivo più assurdo che mai. Mi sono ricordato di tante cose, di tutto quello che avevo smarrito... ”. “...vedi Frenci… ...non mi spaventano né la fatica, né le difficoltà.... Rimanemmo in silenzio per un po'. Mi spaventa l'assurdità... “Sei in ritiro spirituale, allora”. Mi spaventa la vacuità, l'inutilità... “Una specie”. ...trascorrere una vita a tribolare per ottenere chissà cosa, come se questo potesse dare un senso alla mia esistenza... Il sole stava tramontando dietro la collina illuminando il bosco sul versante di fronte. I merli cantavano nell'aria della sera. Non avevo nessuno scopo particolare. Non trovavo nessuna vera soddisfazione e realizzazione in ciò che facevo. Cercavo di farlo al meglio e credo anche che lo facessi bene, prendendolo con sufficiente impegno. Ma non avevo ambizioni, né vi trovavo alcun obiettivo degno. Pensavo soltanto al fine settimana. In certi sabati pomeriggio, dormicchiando sull’amaca e be61 “E stai raggiungendo la santità e la pace dei sensi?”, disse con aria ironica. “Ti sembra che l’abbia raggiunta?” “No, non direi...” 62 IX I PEZZI DI UN UOMO Mio nonno diceva che un uomo è fatto di tanti pezzi e quando ne manca uno si vede subito. Se ne usciva spesso con questi proverbi ed aneddoti, figli naturali delle riflessioni di una lunga vita. Mi tornò in mente un giorno, osservando dall’alto della collina la vecchia casa di campagna del nonno, ora mia, sovrastata da greggi di nuvole spensierate. I pezzi d'un uomo... Ma di quali pezzi è fatto veramente un uomo...? Dei ricordi?... quelle fragili tracce che delineano la propria personalità, quel senso di unicità che differenzia dagli altri? Ma cosa sono i ricordi, se non flebili echi di un passato che non esiste più? Effimeri, evanescenti, eppure senza di essi la propria identità crollerebbe come un castello di carte. Restai un po’ soprappensiero. In un certo senso, evitare i ricordi, era stato come rinnegare me stesso. 63 E il risultato era che la mia esistenza aveva perso spessore, la mia anima si era spenta, scolorita, e credo che tutti quelli che mi conoscevano se ne fossero accorti. No, non potevo fingere che mi mancasse un pezzo, perché, appunto, quando ne manca uno, si vede subito. E poi i ricordi sono difficili da evitare, ci circondano continuamente, sempre in agguato negli odori dell'aria, nei gesti quotidiani, nei piccoli oggetti che si possono ritrovare malauguratamente nel fondo d'un vecchio cassetto. Un giorno mi era capitata in mano una mia vecchia agenda telefonica che non avevo voluto buttare via. Conservare gli oggetti era un vizio che avevo ereditato da mia mamma e dai miei nonni. Era piena di vecchi numeri telefonici che ormai non telefonavano più a nessuno. Non ne avevo dimenticato nemmeno uno. Ogni numero corrispondeva ad un periodo diverso della mia vita. C'era l'epoca del 34.25.59 con cui telefonavo alla mia vecchia zia, c'era l'epoca del 27.09.38 con cui telefonavo ai miei nonni, l'epoca del 54.25.56 con cui telefonavo ad Elena, quello del 77.10.31 con cui telefonavo a Dan, e tanti altri ancora. Erano numeri a cui nessuno avrebbe risposto più. Però rimanevano nella mia memoria come codici d'accesso al passato. Servivano a ricordarmi cose che non appartenevano più al presente, o meglio, che non esistevano più. 34.25.59 e subito appare l'immagine d'un appartamento in una vecchia casa popolare, un'antiquata macchina da cucire, un pianoforte scordato, e una vecchina dal sorriso bonario col 64 suo scialle grigio sulle spalle. 27.09.38 e mi sembra di vedere l’immagine autunnale, scura come un antico quadro fiammingo, di una coppia di anziani, seduti in una stanza in penombra. Mi appare l’immagine di mio nonno che tamburella pensosamente le dita sul tavolo davanti a un solitario, mentre la nonna sbuccia una mela, tra mobili austeri di noce scuro e una vecchia pendola alla parete che ticchetta lentamente e rumorosamente le ore. Adesso al numero di Elena rispondevano persone sconosciute che non avrebbero capito la mia commozione nel rifare una volta ancora quel numero. Ma il 77.10.31 era forse quello che mi metteva più malinconia di tutti. M’immaginavo un telefono appoggiato per terra, suonare da solo in un appartamento vuoto che non aveva trovato ancora acquirenti; suonare disperatamente nella solitudine per richiamare invano il proprio padrone che mai più sarebbe andato a rispondere. Niente è più triste d'una cosa che non servirà mai più. appariva sulla scena per un attimo, ma quando cercavo di concentrarmi sul suo volto, più mi sforzavo, più mi sfuggiva. Forse il mio inconscio non voleva ricordare cose dolorose, anni della mia vita fondamentali, ma irrimediabilmente lontani e irripetibili, ai quali non riuscivo a pensare più senza sentirmi male. Alla fine restava un buco, ed era come se mancasse un pezzo alla mia vita. I ricordi... ...effimeri dati ad accesso casuale.... Ogni volta che mi veniva in mente Dan, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordarmi la sua faccia. Mi venivano in mente tanti particolari, ma non riuscivo a ricordarmi il suo viso. Mi ricordavo il suo modo di sorridere, la sua risata contagiosa, il suo sguardo profondo, la sua espressione indecifrabile quando suonava il pianoforte, ma erano solo brevi lampi, il suo viso completo era sfumato, come ad alzarsi al mattino con gli occhi appannati. Nel mio ricordo 65 66 X I BIVI Un giorno, ascoltando la radio, una canzone triste di un film malinconico di trent’anni prima mi gettò addosso uno strano incantesimo, come fossi riportato indietro a quei tempi. Ricordavo bene quel periodo, le mode, l’abbigliamento, le automobili. Ma soprattutto ricordavo bene le speranze. Mi rivedevo bambino, davanti un futuro incognito, trent’anni di vita in un paese in rapida crescita: possibilità infinite, sogni illimitati, campi fertilissimi dove sarebbe cresciuto qualsiasi desiderio. Mi rivedevo, sul far della sera, in una piazza polverosa di un paesone di mare, di quelli cresciuti troppo in fretta negli anni dello sviluppo economico, attorniata da palazzoni che sembravano voler scrutare il mare al di là dell’orizzonte, come a voler interrogare il futuro nella brezza salmastra carica d’odori incogniti. Ero un bambino e il futuro era una specie di sogno, qualcosa di fluido ed evanescente, un mistero, pieno d'infinite possibilità... Rimpiangevo pochissimi momenti del passato, nella loro realtà. Del passato mi mancavano soltanto i sogni, lo sconfinato fu67 turo ignoto, un’immensa tela bianca che la fantasia poteva colorare a piacimento. Ecco cos’è che mi mancava davvero: quei sogni che trainavano la mia esistenza, che davano uno scopo apparente, e mi rendevano più leggeri e facili da sopportare anche i momenti più duri. Mi mancava di poter osservare la vita con davanti trent’anni di possibilità meravigliose e suadenti... Ma ora mi osservavo dall’altro capo di quei trent’anni e non avevo ancora incontrato quelle cose incantevoli e luccicanti. E anzi ne erano svanite a migliaia come miraggi. La storia che era stata raccontata fino a quel momento era molto più anonima, molto più banale, e sembrava che ormai non ci sarebbero più state svolte, colpi di scena o finali a sorpresa. A lungo avevo esplorato le diramazioni del passato, cercando di capire se avevo sbagliato da qualche parte, provando a ripercorrere nel pensiero i bivi alternativi e cercando uno sviluppo differente di una vita parallela. È una tentazione che colpisce tutti. La famosa illusione di cambiare il passato... L’unico effetto è che la vita rimane paralizzata dal rimpianto. E poi, in fondo, se avessi potuto tornare indietro, non avendo il dono della preveggenza, avrei fatto sicuramente le stesse scelte e gli stessi errori... ...che altro avrei potuto fare in mancanza di conoscenze, in mancanza di dati precisi per poter scegliere davvero...? 68 Nient'altro. XI Avrei fatto le stesse scelte e gli stessi errori. Era solo un'illusione malefica che avrei potuto far qualcosa di diverso. Quello fu il pensiero che mi piacque di più. IL FILM Sono ad una festa. Dan mi saluta sorridente, mentre sale in auto. Provo a dirgli qualcosa, ma faccio una gran fatica come se mi mancasse la voce. Cerco di agitare le braccia per farmi notare, ma mi accorgo di essere lontano. Allora corro, corro per raggiungerlo, per fermarlo e corro, corro…corro… ma sento che la sua auto si allontana sgommando velocissima. Il motore accelera sempre più e le gomme stridono in lontananza... Mi sveglio sudato di soprassalto. Dalla notte maledetta dell’incidente ho rifatto mille volte quel sogno. Un crampo allo stomaco mi accompagna il risveglio ed un senso di oppressione mi dura tutta la mattina. Non avrei potuto far nulla di più di quel che avevo fatto. Ma sì... certo... Allora era forse così che dovevano andare le cose. 69 All’ennesima volta che ebbi quel maledetto incubo, decisi di affrontare i fantasmi. Aprii la botola e salii in soffitta. Erano anni che non ci andavo. Fu come entrare direttamente nei miei ricordi. C’erano oggetti di famiglia di generazioni. Vecchi giocattoli, bauli, album di fotografie, vestiti fuori moda e fuori taglia, le lucine di Natale, vecchi presepi, addobbi, libri ingialliti, og70 getti di dubbio gusto, vecchie radio dei primi del novecento, odore di naftalina, polvere e ragnatele. Aprii e tirai fuori da un vecchio baule, dove era rimasto ad aspettarmi, fedele, per tutto quel tempo, il filmato che aveva fatto Dan il giorno del matrimonio di Elena. Elena... ...quante emozioni collegate a quel nome… Elena era stata la mia ragazza per qualche mese, e non c’era nessun motivo particolare per cui avrei dovuto ricordarmi di lei. Come non mi ricordavo quasi più delle tante ragazze, avventure passeggere, che avevano incrociato la mia vita. Eppure non l’avevo dimenticata. Non so spiegarmelo. Ma mi era rimasta in qualche modo dentro. Forse era capitata in un momento particolare in cui sentivo più che mai la mancanza di una ragazza. A volte mi domando se quello che solitamente chiamiamo amore, non sia solo questione di mancanza di opportunità. Non avevo mai guardato quel filmato. L’avevo evitato per molto tempo. Rappresentava una specie di resa dei conti col passato. Mentre scendevo di sotto, gettai una rapida occhiata a tutti quegli oggetti lassù. Ognuno di essi raccontava una storia. Ognuno voleva raccontarmi la sua storia. Il vecchio armadio scheggiato da una bomba americana nel quarantacinque... 71 ...il manichino da sarta che un giorno la vecchia zia… Scesi in fretta e richiusi velocemente la botola. Mi sedetti sul divano, accesi lo schermo e cominciai a guardare il filmato del matrimonio di Elena. Un messaggio dal passato. Rividi la chiesa e l’altare, i gladioli rosa e bianchi, la luce che scendeva da una vetrata colorata sopra gli sposi. Riascoltai la musica di sottofondo, un adagio per organo, malinconico come un tramonto. Mi prese una stretta al cuore. Poi il lancio di riso e la marcia nuziale, mentre la sposa si proteggeva col velo. Nella ripresa Elena apparve all’improvviso in primo piano col viso incorniciato dal velo nuziale. Era ancora più bella di come la ricordassi. Capelli castani, lisci. Occhi bruni, dolci. Labbra perfette. Non l’avevo mai più rivista, e non ci eravamo nemmeno più sentiti per telefono. Anche il suo viso nei miei ricordi era rimasto a lungo sfumato. La sua voce, mentre nel video scherzava con Dan, mi buttò addosso un cumulo di ricordi. Mi sentii opprimere come se mi mancasse il respiro. Poi mi rividi... C’era un mio primo piano, mentre Dan diceva delle cretinate. Fa sempre uno strano effetto osservarsi dall’esterno. A vedermi da fuori, non molto del mio vero sentimento trapelava. A dire il vero, sembravo anche allegro. Nell’inquadratura successiva ero solo, in disparte, all’ombra d’un albero. Elena mi veniva incontro per salutarmi, reggen72 dosi l’abito. Non avevo mai visto la scena da quell’angolatura. Nella ripresa non si riusciva a sentire quel che dicevamo. Solo io lo ricordavo. Era l’addio. Un vero addio. Dopo quel giorno le nostre vite si erano separate definitivamente, nonostante la promessa di rivedersi. Forse era stato meglio così, ma il vecchio “lontano dagli occhi…” aveva funzionato poco. Poi ci fu un primo piano di Francesca che rideva avvicinandosi, e copriva l’obiettivo con una mano. Apparvero una serie di scene da mal di mare, di piedi e cielo, e delle voci: “Adesso basta! …dammi ‘sta telecamera Dan” “No lascia!” “Dammela qui. Fammi filmare un po’ anche me”. Alla fine la spuntò Francesca che cominciò a filmare. E apparve Dan… Sembrava lì come in un giorno qualsiasi, come se potessimo incontrarci da un momento all’altro. Scherzava e diceva delle battute. Mi fece sorridere, addirittura riuscì anche a farmi ridere. Ma subito la malinconia mi si richiuse sopra. Il dolore entrò in me come un muro nero, la tristezza si fece di piombo e scesi giù nell’abisso dei sentimenti, fin sul fondo. Dan mi aveva dato il filmato qualche giorno dopo. Avrei voluto buttarlo via subito. Ma non lo feci per rispetto a Dan. Ma forse non era quella la vera ragione... Forse non avevo avuto la forza di dimenticare. Forse, dopotutto, non avevo voluto buttar via una parte della mia vita. Un pezzetto di me. Forse era per lo stesso motivo che non avevo buttato via i 73 miei scritti, né la mia vecchia agenda telefonica. Dimenticare... Ecco il dilemma. ...dimenticare due persone scomparse dalla mia vita definitivamente? Un amico morto ed una ex fidanzata sposata con un altro?... Una parte della giovinezza andata... il sentiero davanti più breve e con meno possibilità di svolta. Quanti progetti che avevamo vissuto insieme… Quanto fumo... Mi prese una nostalgia che avrei preso il telefono e avrei chiamato subito Elena, solo per sentire che di quegli anni non tutto era scomparso. Il dolore assunse tutte le sue sfumature e mi scese giù nel profondo dell'anima. Mi sentii veramente male. Che senso aveva ricordare, per poi sentirsi così? Aveva senso serbar ricordo di cose tanto dolorose? Ma in fondo quei ricordi erano una parte della mia vita... ...e come sarebbe stata la mia vita senza di quella parte? Già …come sarebbe stata? Mi venne un’idea bizzarra …eppure… …eppure… riguardando quel video mi resi conto... ...che se la mia vita fosse stata un’interpretazione …una spe74 cie di recita... se fossi stato semplicemente un attore calato nella parte… …se ci fosse stato un Padreterno che un giorno mi avesse preso in disparte e mi avesse detto : “Guarda Henry!” e mi avesse fatto rivedere la mia vita daccapo, come in un filmato... ...se l'avessi rivista complessivamente, allora avrei detto... ...che era una bella storia, malinconica, struggente, strappalacrime a volte ...altre tragicomica e grottesca, ma pur sempre bella... Già, se l’avessi vista dal di fuori, invece che dal di dentro, da una prospettiva più distaccata, come se fosse la vita d’un altro, avrei detto che era una vita densa, difficile a volte, ma piena. E quel senso di vuoto che mi aveva preso in certi momenti, era soltanto perché non avevo più voluto guardare dentro di me. 75 XII LE LETTERE MAI SPEDITE Ricercando i pezzi di me stesso in vecchi cassetti, bauli e album di fotografie, un giorno, aprendo un vecchio quaderno di appunti, ritrovai una lettera d’amore che non avevo spedito. Era una lettera di dieci anni prima, ma avrebbe potuto essere stata scritta in un’altra vita. Ci sono fasi dell’esistenza così diverse per stile, idee, ambiente, amicizie, gusti e interessi che potrebbero essere altre vite, come se la “nostra vita”, quella con cui ci identifichiamo, fosse in realtà un collage grossolano di vite differenti. Pertanto, senza ricorrere alla mistica, posso dire che nelle mie vite precedenti, a lungo avevo cercato il cosiddetto amore perfetto, eterno, assoluto. A lungo ci avevo creduto. L’amore sembrava donare alla vita uno spessore ed una profondità che altrimenti si stentava a trovare. Sembrava riempirla di significato. Avevo avuto varie ragazze, brevi avventure veloci, rapidamente cominciate e finite, e presto dimenticate. Ma chissà perché, quelle rare volte che mi ero innamorato davvero di una ragazza, frequentandola e conoscendola giorno dopo giorno, non ero mai stato ricambiato... Era una cosa strana, a 76 ripensarci... ma era andata così... Beh, a parte con Antonella... Ma era stata una relazione così inconsueta... L’amore... Ricordavo bene come iniziavano i sintomi del malanno: giorno dopo giorno il lento scivolare nei suoi sorrisi, il vivere di un suo sguardo, fin a sentire la propria identità perdersi nei suoi occhi. Pian piano non facevi altro che pensare al suo sorriso, alla sua bocca, al suo collo, alla sua pelle. Al suo profumo. Se sorrideva la giornata diventava bella. Se scherzava con te la vita aveva un senso. Ma cosa mi aveva portato in fin dei conti il cosiddetto “amore”? Soltanto ore e notti agitate. Speranze eteree. Effimere gioie illusorie. Momenti struggenti, sentimenti violenti, e alla fine tanta sofferenza... Aprii la busta, un messaggio giunto da dieci anni prima, che aveva finito, imprevedibilmente, per essere stato scritto per me stesso. Appena cominciai a leggere, un ombra scura ridiscese su di me. “…Tu non sai che battaglia sto combattendo... Se solo potessi sentire la nostalgia che mi attanaglia in alcuni momenti, capiresti quanto sia grande la forza d’animo per tirare avanti. Le notti sono tremendamente lunghe, interminabili, come quando si è malati e l’alba non viene mai. 77 La mia malattia sei tu. Sono andato lontano, in un paese di mare, perché i soliti luoghi riecheggiavano senza fine i miei pensieri. Ho pensato che una distesa d’acqua sterminata potesse attutirli senza riverberarmeli contro. Credevo che lasciandoti un po’ da sola forse avresti sentito nostalgia di me e ti sarebbe venuta voglia di vedermi. Ho passeggiato a lungo sul porto nel vento, da solo, tra scalinate, pergolati, giardini pensili, scivolando tra le ombre proiettate dai lampioni, col vento che mugghia la mia solitudine nelle strade deserte e fredde. Non c’era anima viva, nemmeno la mia. Il vento sibilava tra gli alberi, e le sartie ritmavano una sinistra melodia tintinnante. Fuori dall’alone giallastro dei lampioni, la notte buia si stendeva in tutta la sua crudeltà. La luce verde del faro appariva remota e irraggiungibile, sperduta nel mare. Ho aspettato a lungo, invano,una tua telefonata. E adesso la notte, il mare, le stelle mi sembrano assolutamente inutili. Tu non sai il vuoto che sento dentro. E non sai la presa che mi stringe il cuore. Davvero non avevo nessuna voglia di innamorarmi di te. Proprio non ne avevo bisogno. E ho lottato, non sai quanto ho lottato, quanto ho combattuto quel sentimento che non volevo. Vorrei che il vento mi portasse via questo amore, che lo gonfiasse come una vela e me lo strappasse di dosso. Forse la mia anima sanguinerebbe per un po’, ma tornerebbe alla pace così tanto desiderata. Al nulla di ogni giorno, forse, ma 78 alla pace… della vita quotidiana... una mano di colore con cui ravvivare il grigiore della consuetudine, per sfuggire alla monotonia... Mi venne un vecchio brivido a rileggere la mia lettera. Ormai erano anni che ero alla deriva sentimentale. Era passato tanto tempo che non ricordavo quasi più il viso della ragazza alla quale l’avevo scritta. A tratti, però, avevo rivissuto le stesse cose con Antonella. Avevo cercato all’esterno un rimedio per la mia insoddisfazione. Ma la mia insoddisfazione aveva radici ben più profonde e non poteva essere anestetizzata servendosi dell’amore come una droga... Visto da questa prospettiva l’amore non poteva curarmi proprio niente, non più di una bottiglia di vino... Avevo sempre saputo che legarsi ad una creatura mortale, affidare la propria felicità all’esistenza di un’altra persona era pericoloso, estremamente pericoloso. La brevità e la precarietà stessa della vita umana la rendevano in sé una scommessa molto rischiosa e la sofferenza un destino molto probabile. Ma allora perché dannarsi tanto per l’amore?... Perché rischiare così? Cosa avevo sperato di trovare, veramente, nell’amore? Era una domanda che non mi ero mai posto onestamente. Osservai il cielo fuori dalla finestra. C’era una nuvola rosa illuminata dal tramonto. Rimasi un po’ soprappensiero con la lettera in mano. Una risposta affiorò in me, sorprendente. ...Un sogno, mi dissi.. Avevo cercato un sogno... ...un sogno che mi permettesse di staccarmi dallo squallore 79 Rimasi soprappensiero per un po’, cercando d’assimilare quella nuova consapevolezza. Più di una volta mi ero detto razionalmente, che quel sentimento che provavo per Antonella non era un amore buono, sano. Ero vincolato da una forte passione che mi aveva impedito di staccarmi da lei completamente. Ma si poteva veramente definire Amore? In verità, spesso si chiama “amore” quella malsana passione fatta di gelosia, senso del possesso e attrazione fisica che lega un uomo ad una donna... Ma quello è più simile ad una droga: ti giochi l’anima per una breve ebbrezza... Lo desideri e lo disprezzi al tempo stesso... In quell’attimo di chiarezza, cominciai a vedere tutto da una prospettiva diversa. Con stupore mi accorsi che quello che avevo chiamato “amore”, per quanto forte e struggente, nonostante le sofferenze e 80 le gioie che mi aveva procurato, in verità era ancora un sentimento immaturo. E non era nemmeno così nobile come avevo creduto... Improvvisamente mi sentii leggero, sollevato da un peso immenso. E finalmente, cominciai seriamente a distaccarmi da Antonella. XIII SOTTO LE NUVOLE Era passato parecchio tempo dall'ultima volta. Ero sdraiato sul prato ripido dietro casa, tra l'erba alta, con le dita intrecciate dietro la testa e un paio di birre ancora fresche di fianco a me. Avevo riconosciuto subito l’auto, ma non mi ero mosso. Vidi che entrò dal cancello, bussò alla porta più volte, e poi cominciò a fare il giro del giardino. Poi mi vide e mi venne incontro. “Ciao, Henry” Si chinò su di me, mi dette un bacio su una guancia e si sedette sull'erba. “Ciao Anto”, risposi, senza muovermi. Il mio sguardo era nel cielo. Passammo qualche minuto in silenzio. “Cosa guardi?, mi disse. “Le nuvole”, risposi. 81 82 L'osservazione era banale, c'erano decine di nuvole che sembravano conigli. Vedeva solo delle nuvole. Non c’era da aspettarsi molto di più... “Perché?” “Mi piacciono” Guardò alto nell’azzurro. Una grande pace riempiva il cielo, dove le nuvole scivolavano leggere. A volte le nuvole mi parevano vertiginosamente alte. Ogni tanto, invece, mi pareva che allungando la mano avrei potuto sfiorarle. Altre a volte la prospettiva s’invertiva come se io fossi sospeso sopra di loro e potessi caderci sopra. “Cosa ti piace?” Un vento leggero faceva rabbrividire le foglie dei pioppi. Faticavo a parlare. In quel silenzio la mia voce mi risuonava estranea. “…le forme ... mi suggeriscono idee... ricordi...” Tornò a guardare in alto. “Tipo?...” Non risposi. Si sdraiò di fianco a me. Rimanemmo in silenzio a lungo. “...sembra proprio un coniglio. Ti ricordi quella volta... era primavera... sarà stato quattro cinque anni fa... Stavamo per sdraiarci su un prato, quando è saltato fuori tra i nostri piedi un coniglio nascosto... Che spavento che ci ha fatto prendere! Te ne ricordi ?” Mi sorprendeva un po' che se ne ricordasse. Non parlava spesso del passato, ed era difficile capire se ci pensasse mai. Per lei c’era solo il futuro. Reagiva con violenza alla malinconia e alla nostalgia, buttandosi nell'azione. Bloccava tutti i sentimenti struggenti sul nascere, li afferrava per la gola con l’aggressività dell'istinto di sopravvivenza. “Te ne ricordi, Henry ?... C’eravamo conosciuti da poco... Era primavera. I prati erano pieni di viole... Te ne ricordi ? Ti ricordi le risate e le lotte che facevamo sul prato? Ci ruzzolavamo come dei bambini... Tornavo a casa piena d’erba... te ne ricordi?... Eh?...”, chiese con un tono quasi supplichevole. Alla fine le mie labbra si dischiusero. All'improvviso disse: “Guarda quella nuvola, Henry! Sembra un coniglio. Lo vedi? Il muso, le orecchie...” 83 “Me ne ricordo. 84 Era una lepre, comunque.” “Una lepre?… Certo, una lepre...” “Erano bei momenti...”, disse, “...eh?! Vero?...” Il silenzio creò un vuoto immenso e le distanze parvero ingigantirsi. pioppi. Aprii la bocca, ma non uscì nessun suono. L’aria rendeva i pensieri più leggeri. I momenti scorrevano con una velocità indefinibile e a tratti sembravano rallentare ed accelerare, e ingorgarsi come la corrente d’un ruscello. Poi il momento si fermò sopra di noi nel cielo azzurro. Con un lungo respiro, si fece largo un’idea che prese la mia voce. “Vero?...” Le foglie dei pioppi sfarfallavano alla brezza ammiccando in toni argentati. Il passato mi apparve benevolo, come un vecchio amico che non vedi da tempo ed è tornato a trovarti. “Spesso non ce n'è bisogno, a ben pensarci, si scopre che le cose vanno bene anche così. Si può anche riniziare dal punto in cui si è arrivati”. Appoggiò la testa sulla mia spalla. Le cinsi la vita col braccio. Mi sentivo di nuovo in sintonia con lei. “Erano bei momenti”, risposi. Sentii un sospiro trattenuto a fatica. Rimase in silenzio qualche minuto ad osservare le immagini che le passavano davanti agli occhi. “Ci sono delle volte che bisognerebbe poter ricominciare tutto da un certo momento...”, disse. Bevvi un lungo sorso di birra. “Sì, bisognerebbe poter ricominciare tutto da un certo punto”, continuò. Il vento amplificava il silenzio facendo frusciare le foglie dei 85 “A volte, però, poter cancellare tutto quello che c'è stato dopo sarebbe molto meglio”, riprese. Una nuvola oscurò il sole. Di nuovo la mia voce si fece largo a fatica in mezzo a tutto quel silenzio. “...serve anche quello per capire il valore delle cose importanti... E' necessario bruciare molte energie e spesso anche molta vita per capire quello che conta veramente... Quando, però, si sono esaurite le energie nocive, finalmente si può stare tranquilli, senza più sentire le voci maligne che ti chiamano dentro...” 86 La nuvola passò ed il sole tornò ad illuminarci. XIV “Forse hai ragione”, rispose, “ma tante volte mi sembra che non sia servito a niente, di non aver imparato nulla e di non essermi mai mossa dal punto di partenza...” Da quella volta Antonella prese l’abitudine di venirmi a trovare di pomeriggio e di sdraiarsi sul prato accanto a me a guardare il cielo e le nuvole. I discorsi erano dilatati nel tempo e le risposte giungevano sempre dopo lunghe pause, seguendo i ritmi coi quali si susseguivano le nuvole nel cielo. SEMPLICEMENTE NON È LA VITA CHE SOGNAI Uno dei pensieri più malefici che ti possono cogliere è quello di non aver vissuto la vita che avresti voluto, come se ad un certo punto tutto fosse andato maledettamente storto. È una sensazione terribile, tra le più deprimenti in assoluto, una specie di demone malvagio che ti opprime e ti vessa. Un pensiero che ti distrugge, che ti toglie la voglia di vivere, che ti fa ammalare, che ti può perfino uccidere. Semplicemente accade che cominciano ad infilarsi una serie di cose che non vanno per il verso giusto... e un giorno ti rendi conto che non sei padrone della tua vita... All’improvviso ti afferra questa pesante sensazione e capisci che tutta quelle idee di controllo e di libero arbitrio sono solo delle fesserie. Da quel momento ti accorgi che la tua vita corre in derapate, contenute all’inizio, poi sempre più ampie, e alla fine stai correndo come un matto e stai guidando alla cazzo. Ma non riesci a farci niente, non ci sono freni, il volante non sterza al punto giusto, le gomme sono lisce, e la tua vita va sempre più forte e sbanda sempre di più. 87 Spesso mi ero lamentato che nella mia vita non era andato bene un accidenti di niente. Tutto era andato a puttane. 88 Che cazzo di vita!, mi dicevo. Avevo battagliato e imprecato a lungo contro la mia sorte bastarda che non mi aveva concesso nemmeno quel minimo che dovrebbe esserci nella vita di un uomo. Tutto sembra sempre lì lì pronto per essere afferrato, ma è sempre due passi davanti a te. ... amori svaniti... finiti in niente... ...amici perduti... ...promesse di successo e di carriera finite nel cesso... ...lotta quotidiana con conti da pagare... multe... tasse... ...soldi sempre scarsi... ...frustrazione a volontà... Cazzo, ce n'era da riempire un treno, e da piangersi addosso per una vita intera! E a lungo mi era sembrato davvero di aver tutte le ragioni per farlo. tempo. ...semplicemente PUF! si erano sgonfiate, scoppiate come bolle di sapone... Sembravano della massima importanza, cercavano di focalizzare tutta l’attenzione... e poi, all’improvviso ...scomparse, andate così com’erano arrivate... Certi obiettivi, certi scopi che mi ero prefisso, che li avessi raggiunti oppure no, ora sembrava non avere più importanza. Ero cambiato io? Erano cambiate le mie esigenze? Mah? Alla fine, si erano rivelate soltanto cose caduche ed effimere, proprio come le nuvole... ...apparivano e svanivano in un attimo... ...come le nostre stesse vite... Un giorno osservando le nuvole che mutavano incessantemente in un gioco infinito di forme inconsistenti, mi colse un pensiero, una consapevolezza improvvisa... Sapevo a livello intellettivo che niente dura, che tutto è destinato a mutare, a finire, a estinguersi... al più tardi ad essere perduto con le nostre vite... ...ma capirlo profondamente, sentirlo con ogni fibra di se stessi... capire il senso profondo della caducità... ... ed esserne consapevole in ogni istante... ...no... ...quello, in verità, no... Sembra un pensiero ben noto, un concetto semplice, ma in realtà è difficile da realizzare nel suo senso profondo. In verità non vogliamo rendercene conto. Altrimenti non riusciremmo ad impegnarci in niente, soprattutto nelle cose a lungo termine. Nella nostra percezione ci accorgeremmo che la vita svanisce troppo in fretta tra faccende vane. E allora preferiamo non pensarci. 90 Mentre osservavo quello strano gioco di forme vaporose che si creavano e si dissolvevano, apparivano dal nulla e nel nulla scomparivano, ripensai a tante cose che mi avevano preoccupato nel corso degli anni... ...che ne era stato?... Dov’erano finite? Semplicemente erano svanite, così, da un giorno all’altro, e a volte non me ne ero nemmeno reso conto, se non dopo molto 89 Come ci si potrebbe impegnare per qualcosa che non dura? E allora costruiamo cose, pur sapendo che hanno una scadenza, pensando che dureranno per il tempo che servono e poi ...e poi quando sarà necessario... allora le lasceremo andare... punto saldo. Non c'è salvezza in questo mondo. Non c'è salvezza per nessuno. Già, sembra facile... Ma non è affatto facile imparare a lasciar andare. Anzi, è una delle lezioni più difficili da apprendere di questa vita. In realtà, dentro di noi non crediamo davvero che le cose non durino. Questa è la nostra illusione nascosta. In verità, la nostra intenzione è di costruire per sempre. Non vogliamo affatto lasciar andare, il pensiero ci turba e cerchiamo di evitarlo. E allora viviamo trasognati come se le cose al mondo fossero eterne e la nostra vita non avesse termine. Forse sarebbe una forma di saggezza inconsapevole anche quella, se non finissimo per poi dannarci l’anima alla ricerca spasmodica di cose da conquistare e da ottenere. Anzi, forse proprio il senso di precarietà e di fragilità ci spinge a inseguire l’illusione di consolidare le nostre esistenze con possedimenti e beni, accumulando esperienze e ricordi. Così ci affanniamo, senza riflettere, tutto per costruire castelli di nuvole sulle nuvole. Ma non si può costruire niente sul niente... Il niente rimane niente... In quel momento rivelatore divenni profondamente consapevole che non esiste proprio nulla a cui potersi aggrappare, niente a cui potersi appoggiare, non ci sono ancore, nessun 91 Era un pensiero durissimo, pesantissimo, come un macigno, come una montagna, come un intero pianeta... ...eppure era un pensiero tagliente come una spada, come un laser, un pensiero che tagliava e vaporizzava in un attimo strati su strati d’illusioni... Ciò che non si può evitare, va accettato. Passato il momento di disorientamento, dinnanzi all’inevitabilità, il pensiero, invece di essere disperante, diventava estremamente liberatorio. Liberava dal peso del fare, dal peso di ottenere, dalla ricerca affannata. E mostrava una via più leggera. Che differenza che farebbe vivere con la costante consapevolezza della caducità! Quante cose si cesserebbero di fare, e quante altre si farebbero con cuore infinitamente più leggero! Quanti fantasmi che svanirebbero in un colpo, e quanto scarso significato assumerebbero tante cose che ci sembrano indispensabili! Ma non è affatto semplice trovare un giusto equilibrio. 92 È difficile impegnarsi a costruire cose, a dedicare loro del tempo, quando ci si ricorda che sono effimere. XV E non si riesce ad evitare di affannarsi quando ci si dimentica che sono fugaci. IL MALESSERE A chi non la conosceva, Antonella dava l’impressione di una ragazza frivola e superficiale. Ed effettivamente a volte faceva dei discorsi fatui con un’aria da diva che l’avresti presa volentieri a schiaffoni. Certo quando la incontravi, la bellezza era il suo principale biglietto da visita, ed anch’io all’inizio ero stato colpito soprattutto da quello... Però a conoscerla bene, quando gettava la maschera, non era affatto stupida, né superficiale. Aveva molti interessi e una buona cultura. Era un aspetto che non mostrava a tutti. Coi più si divertiva a interpretare la parte della bambola stupida e facile, per poi prendersene gioco, illudendoli di abboccare alle loro esche malamente camuffate. Ma tra noi era partita in modo completamente differente, per gradi, come un’amicizia e a me aveva lasciato presto trapelare il suo lato nascosto. E se era durata parecchio, se pur in modo altalenante, era proprio per quello, perché una donna, per quanto bella, se non è anche interessante, ti stanca subito. Un pomeriggio venne a trovarmi che sembrava pensierosa. “Ciao Henry, come va?” 93 94 “Ciao Anto! ...bene, dai... Tu?” ma adesso...” “Insomma...” “È un senso d’insoddisfazione?...” “Che hai fatto?” “Sì” “Niente. Niente di ché...” “Un senso d’insoddisfazione generico... non ben definito? ...” “E allora?...” “Sì” “Non so... non saprei dirti... “Una specie di malessere latente?...” ...però... boh?... non sono a posto...” “Proprio così” “E cosa c’è di strano? ...tu non sei mai stata a posto!” dissi ridacchiando. “Capisco” “Capisci?...” “E dai, Henry! Dico sul serio! Non mi sento a posto...” “Sì, capisco. Capisco perfettamente”. “In che senso?” “Capita anche a te?” “Non so... non saprei... ...ed è quella la cosa strana... So che c’è qualcosa che non va, ma non saprei dirti cosa... “Certo! Capita a tutti. Fa parte della natura umana” So solo che... non sono felice... non mi sento felice... E non saprei dirti perché... Non ho particolari problemi, anzi le cose in generale stanno andando bene... Dovrei essere felice... Ed è proprio quella la cosa strana... A volte davo la colpa ad una serie di cose che non andavano... 95 “Sì. Guardati in giro: conosci qualcuno che possa definirsi realmente “felice”? Pensa ai tuoi amici, alla gente che frequenti... Ne conosci qualcuno?... E il resto del mondo? 96 “Dici sul serio?” È in continuo conflitto. Ti sembra felice?” sazione... ma non sapresti dire a cosa è dovuta... Riesci solo a sentire che c'è... Sospirò. “A dire il vero... no!” È tanto che ci rifletto sopra, che cerco di analizzarlo... “Quel senso d’insoddisfazione fa parte di tutti noi. È una specie di malattia spirituale. Da un certo punto di vista siamo tutti malati... tutti gravemente malati... Tutti insoddisfatti, febbricitanti, con malattie spirituali dolorose... A volte vere e proprie cancrene... Alcuni che sembrano a posto, si sono arresi ad una specie di quiete apparente, ma è solo una calma fittizia... Cercano d’ignorare la realtà... ma andando a scavare in profondità, sotto sotto ...si svela sempre quel senso di inappagamento, latente, oscuro...” “...siamo tutti insoddisfatti... tutti malati... Non avevo sentito nessuno ammetterlo così francamente.” “Ho soltanto guardato in faccia ciò che i più cercano di schivare. Semplicemente perché ad un certo punto non ho più potuto ignorarlo. Ho dovuto guardare la realtà dei fatti. E ho dovuto chiamare le cose col loro nome...” “Ma cos’è questo malessere? Da cosa è generato?” “È difficile da capire... È un malessere vago e indefinito... e quando cerchi di analizzarlo, sfugge. Ed è per questo che è così difficile da scacciare. Andando a fondo percepisci solo quella strana fastidiosa sensazione... ma non sapresti dire a cosa è dovuta... 97 ...è come un senso di mancanza... ...una specie di senso d’incompletezza... Ma non saprei dirti cosa manca veramente... Sembra sempre che ci manchino centomila cose... Ma quello che ci manca davvero è la felicità... Apparentemente siamo tutti protesi alla ricerca della felicità... ...di quell’effimero stato precario che chiamiamo felicità... La cerchiamo nel piacere... come se fossero due sinonimi. Così diventiamo affamati di vita, e la fame anima ogni nostra azione e ci spinge spesso a compiere le cose più assurde e pericolose...” “È vero. Il piacere diventa una specie di fissazione... Una mania... Come se il piacere in sé potesse dare un senso alla vita... Bisogna averne di più, sempre di più... e non basta mai...”, disse. “...e poi ovviamente cerchiamo in ogni modo di evitare il dolore...”, continuai, “come se si potesse avere un piacere eterno. Senza renderci conto che piacere e dolore sono due facce della stessa medaglia. Non sono due opposti, ma complemen98 tari. Non si può avere uno dei due senza l’altro. Così siamo presi nel ciclo alterno delle maree, tra la fuga dal dolore e la ricerca del piacere. tali questioni di fronte a milioni di persone che vivono ogni giorno in condizioni di vita drammatiche, tra guerre, carestie, dittature, lottando quotidianamente per la sopravvivenza... E non appena ci rendiamo conto che non c’è niente che ci possa soddisfare veramente a lungo, quando ci rendiamo conto che inseguiamo cose effimere che non possono saziarci, e che anzi è proprio la brama a causare la nostra sofferenza... ...allora cerchiamo di trovare almeno la serenità... o la pace...” Però... Rimasi in silenzio per un po’. Mi accesi una sigaretta. “Ma più che altro si cerca un senso...”, continuai. “Sullo sfondo della morte che ci aspetta al termine... con la consapevolezza che le cose di questo mondo non durano... che tutto quel che abbiamo fatto finirà in niente, come noi stessi, del resto... ci si domanda che senso ha tutto questo... È stato il mio chiodo fisso per anni e anni... e lo è ancora... Alcuni evitano semplicemente questa domanda... Almeno finché possono... finché ci riescono... Ma io non posso più, e continuo a rifletterci sopra...” Avevo la gola secca. Bevvi un sorso di birra fresca. Non c’erano nuvole, solo un cielo estivo biancastro, pieno di foschia per la calura. “Si potrebbe pensare che sia un'indagine oziosa di uno che ha tempo da perdere...” continuai, “...che addirittura ci sia quasi da vergognarsi ad occuparsi di 99 ...però... il fatto è che in quelle situazioni ciò che spinge avanti è la speranza di un domani migliore. Non c’è tempo per pensare, e si rimanda la Vita ad un futuro momento ipotetico quando tutto andrà bene... quando sarà finita la miseria... quando la guerra finirà... quando il tiranno sarà rovesciato... quando tornerà la democrazia... quando regnerà la giustizia... quando il lupo dormirà con l’agnello... insomma, quando finalmente verrà la mitica età aurea che esiste solo nel pensiero. Ma la realtà è che quando finalmente la sopravvivenza fisica non costituisce più un problema, quando finalmente, o purtroppo, rimane il tempo per riflettere, allora riaffiorano quei problemi irrisolti ed inquietanti, d’importanza capitale, anche se a lungo ignorati, che circondano l'esistenza umana e che sono sempre stati lì, insidiosi, nel fondo, in agguato, nascosti sotto altri problemi più immediati. Appaiono le domande che, almeno una volta, quali comete portatrici di sventura, hanno attraversato i pensieri di tutti e tutti hanno sempre evitato come un pericolo oscuro e fatale... Sono domande scarne ed essenziali, antiche quanto l’uomo... ... apparentemente risapute... trite e ritrite... ma ancora irrisolte... Un giorno ti assalgono all’improvviso, compaiono come un lampo tra gli altri pensieri... e diventano così forti che non puoi più ignorarle. Tutte le altre questioni perdono 100 Mi accesi una sigaretta e aspirai a fondo. C’era una cappa di afa opprimente e il canto delle cicale sembrava amplificare la calura. d’importanza. Alla fine si torna sempre lì, al nodo cruciale... ...il senso della vita... Se non riesci a rispondere a questa domanda, tutto il resto non conta, tutte le altre attività si riducono a passatempi di bambini, che fanno giochi e imitano gli adulti con grande solennità, come se fossero cose serie...” Restammo in silenzio per un po’. “Sì...”, disse, “...resta la questione fondamentale... Provi ad ignorarla perché non sai cosa rispondere...” “Già... E si finisce quasi per provare nostalgia per quei tempi passati in cui c’era da preoccuparsi solo della sopravvivenza fisica. Ora c’è da trovare una ragione di sopravvivenza spirituale. Ed è molto più difficile...” “E tu che risposta hai trovato, Henry?” “Per ora solo nuove domande... Solo nuove domande...” Con due sorsi finii la birra. Ogni volta che mi occupavo di tali questioni, il mondo sembrava acquisire una pesantezza enorme. Era inevitabile. Eppure non potevo far a meno di pensarci. 101 “...visto da una certa prospettiva il mondo è assolutamente assurdo...”, continuai, “Cos’ha realmente da offrirci l'esistenza?” Mi guardò seria. “Anche se apparentemente le nostre vite sono migliori di quelle delle persone che vivono in condizioni di estrema miseria, lottando ogni giorno per la sopravvivenza fisica ...anche se pensiamo di essere fortunati e che a loro la vita non abbia offerto molto ...anche se possiamo permetterci dei lussi luccicanti... alla fine le nostre vite, sostanzialmente, non sono molto meglio... Anche noi combattiamo la nostra battaglia quotidiana imposta dall’ambiente in cui viviamo ...per le rate del mutuo, per la carriera, per uno stipendio migliore, per la posizione sociale, per la pensione... tutte cose, se non futili, secondarie, ma alla quali attribuiamo grande importanza... e che comunque sono fonte di preoccupazione e di logorio... Agiamo schiavizzati dalle convenzioni, dai nostri lussi splendenti che ci imprigionano in belle gabbie dorate. Sciupiamo buona parte della nostra vita in impegni privi di reale importanza... ...e sempre di fretta, sempre di corsa, sempre proiettati verso il prossimo impegno, sempre proiettati nel domani... un domani che ci libererà dalle nostre schiavitù, un futuro immaginario che magicamente ci concederà di fare ciò che realmente amiamo, invece di essere occupati in attività prive di alcuna 102 vera soddisfazione...” “È vero... ...andiamo avanti... avanti ... sempre avanti... E speriamo sempre che domani sarà meglio. ...corriamo dietro a tante cose... ...e spesso non sappiamo nemmeno perché...” “In realtà facciamo molte cose per consuetudine... perché tutti fanno così... Viviamo come robot, spinti automaticamente in ruoli dalle illusioni create dalla società, assorbite inconsciamente... L’ironia è che spesso sappiamo vedere la miseria negli altri e non riusciamo a vederla in noi. Non riusciamo a vedere la pochezza della nostra vita. Sì, a ben pensarci, anche se in condizioni esteriori differenti, tutti condividiamo la stessa misera sorte umana. Vuoto misero alcuni... vuoto dorato altri... Comunque pur sempre vuoto... senza alcuno scopo reale...” Non si muoveva una foglia. Il cielo sembrava un muro bianco, compatto. “Ce la mettiamo tutta per nascondere il vuoto...” continuai, “Alcuni inseguono obiettivi grandiosi. Provano ad ottenere quella celebrità che, sperano, durerà oltre la loro morte e li illude che la loro vita non sarà stata sprecata. E si buttano a capofitto nelle imprese più azzardate... I più finiscono per passare solo momenti di grande frustrazione. Pochissimi hanno successo. E ancora meno riescono a godersene i frutti. È solo un’altra chimera. 103 Prima o poi il tempo cancella tutto. Pensa a quante persone famosissime al loro tempo, ora sono praticamente sconosciute. Nella migliore delle ipotesi un breve trafiletto su un libro di storia, in mezzo ad una schiera di altri nomi più o meno ignoti. E chi ci pensa più? Chi se ne ricorda? Il mondo è pieno di mausolei in rovina che celebrano le gesta di qualcuno che non interessa più a nessuno e di statue che servono da cagatoio ai piccioni...” Restammo in silenzio per un po’. “Sì, hai ragione, Henry... ci perdiamo in mille programmi e progetti per cercare di dare un senso alla nostra vita... Ma questo senso si stenta a trovarlo... Eppure non mi sembra vero che non abbia senso... che non vi sia alcun significato... né scopo... Ci dev’essere una soluzione... una risposta...” “Una risposta?... Mio padre una volta buttò lì una frase che non ho più dimenticato... Stava parlando, in studio, con un collega, che gli aveva raccontato di un loro amico che era morto improvvisamente, e disse: “Di che ti meravigli? Siamo qui per caso!” Siamo qui per caso... ...per caso... 104 ...ecco tutto il senso di un’esistenza... Per caso! E tu che ti arrovelli a riflettere sullo scopo. A riflettere sul senso di tante vicende delle quali non riesci a capire il significato. ...sul senso di una morte che prima o poi giunge, assurda e crudele, e ti porta via tutto... Ti domandi se c’è un Dio che regge le fila di un universo indecifrabile, se abbiamo un libero arbitrio, se c’è un destino, se possiamo cambiare le nostre condizioni... Domanda pure, che senso ha questa esistenza improbabile e incomprensibile! E ogni altra spiegazione è troncata sul nascere...” E poi giunge la sentenza... siamo qui per caso... Non riesco a credere che siamo davvero qui per caso...” Tutto qui... “Già, neppure io... ...per caso la vita generata dalla materia inanimata... ...nessuno vuole accettarlo... ...per caso la vita diventata consapevole di sé... Eppure “per caso” è forse la risposta giusta. ...per caso venuti all’esistenza... Nessuno scopo... nessun significato particolare... nessun senso nascosto dell’esistenza... Si accese una sigaretta. “...per caso... ...non so, Henry... ...eppure non riesco a credere che questa vita sia solo un evento accidentale... ... per caso... ...per caso... ...ecco la risposta dura e inesorabile che dissipa come un sole crudele e implacabile tutte le nebbie dell’illusione. La risposta è pesante e definitiva almeno quanto quella del corvo di Poe, che gracchiava continuamente “Mai più! Mai più!”. 105 ..soltanto per caso...” 106 Ho dentro di me l’eco dei racconti che coloravano le nostre serate afose trascorse all’osteria davanti ad una birra ghiacciata, quando dentro le volute del fumo delle sigarette, le immagini sembravano prendere vita… L’Africa... ...per noi come parlare di un’altra galassia... Ecco, se mi fermo un attimo e tendo l’orecchio, mi pare ancora di sentire la sua voce... Mi sembra di udire ancora l’eco delle sue storie inverosimili. Mi viene da sorridere a ricordarle... XVI NUVOLE SCURE A Josh, che ci ha insegnato che si può morire veramente Una nuvola avanzava in un lento turbine scuro dall’aspetto fatale ed inquietante. Era cupa e minacciosa. Il suo aspetto, nonostante tutto, mi era familiare. “…un giorno mi dimentico di fare il pieno e rimango senza benzina in mezzo alla savana a cinquanta chilometri dal villaggio più vicino”. In un lampo mi apparve il viso d'un vecchio amico, eternamente giovane, col suo sorrisone bonario, che rendeva semplice ogni cosa. Tutti gli volevano bene e la sua spontaneità faceva sembrare, anche a quelli che l'avevano appena conosciuto, di conoscerlo da sempre. Da anni si era trasferito in Africa e tornava alla sua vecchia casa europea solo d’estate, per salutare gli amici. “Hai dimenticato di far benzina...?” Le sue avventure africane accendevano la nostra fantasia, ci portavano il sole torrido dell’equatore, i profumi speziati della foresta, i versi misteriosi della savana, gli strani riti ed i canti ipnotici degli sciamani. E a noi che eravamo immersi nello smog e la vista era rinchiusa dagli alti muri dei palazzi di fronte, sembrava che vivesse cento vite, non una sola. 107 “Già. Avevo caricato la macchina, ma nella fretta... Era una pista deserta che attraversava la savana. Una strada polverosa piena di buche. Non passa mai nessuno, se non una volta ogni due giorni... a volte anche tre o quattro... Ormai faceva sera, e dovevamo passare per forza la notte lì, accampati, e aspettare che prima o poi passasse qualcuno... Tra l’altro eravamo proprio in mezzo ai gatti...” “Gatti?” “Quelli grossi...” “Azz!” 108 “Dico al mio aiutante “Dobbiamo accamparci per la notte... Ci pensi tu?” Sai loro sono abituati... Loro vanno... si fermano dove capita... No problem... Ha raccolto della legna ed ha acceso un bel falò”. “E tu che hai fatto ?” “Beh, niente, faceva tutto lui …ho steso una stuoia e mi son sdraiato a riposare”. senza un chiodo. Pensa che non sono mai riuscito a spiegargli come si avvita un bullone... Sul serio, non scherzo... Quando c’era da cambiare una gomma non capiva da che parte andava svitato, e poi invece di riavvitarlo cercava di inchiodarlo a martellate. Invece con un machete in un oretta ha costruito una capanna per la notte. Avevamo un po’ di provviste, ha preparato da mangiare e poi si è messo a suonare un tamburo”. “E avete passato la notte così?”. “A riposare? In mezzo ai leoni?!?” “Sì, ma c’era il fuoco acceso” “A beh, allora… Non era meglio stare in auto?” “Si sta più scomodi” “Ma è più sicuro!” “Sì, buonanotte! Un leone ci mette un secondo a sfondare il vetro!”. “Beh... effettivamente...” “Intanto col machete si è messo a costruire una capanna, molto più robusta dell’automobile! Dovevi vedere com'era bravo. Ce l’hanno scritto nei geni. Ed era incredibile vedere cosa riusciva a fare, con un machete, 109 “Sì. È bellissimo stare all’aperto nella savana, si vedevano le sagome nere delle acacie sul rosso del tramonto. Si udivano i versi degli elefanti e i ruggiti dei leoni. Il tamburo sembrava il cuore dell’Africa, tum tu turu tu tum tu turututum... Nel buio, lontano dalle luci delle città, sembrava di poter toccare le stelle. Ce n’erano migliaia. Qui da noi non se ne vedono tante. Bellissimo. E’ stata una gran serata...” Una gran serata in mezzo ai leoni... Solo lui poteva viverla così. Prendeva tutto con grande serenità, non si scomponeva mai. Credo che la parola sconforto o depressione per lui fossero prive di significato. Aveva sempre mille storie da raccontarci. “Avevo comprato un fuoristrada, un nuovo modello che di110 cevano che andasse dappertutto. Allora mi dico: vediamo se è vero! Vedo una buca larga, piena d'acqua, in mezzo alla strada, accelero e provo a superarla. ...solo che era una buca per lavori in corso, profonda due metri! PLUF ! ci sono finito dentro fino al collo!... Poi ci sono volute trenta persone a spingere e a tirare per far uscire la jeep. Ho perso anche le scarpe nella melma”. “…una volta mentre ero in vespa, mi ferma un vigile moretto, che non avevo né luci, né libretto, niente. Mi dice: “Ti devo far la multa” “Ma va là, gli dico, non ho mica tempo! Devo andare a far delle compere e sono già in ritardo”. Ci metteva sempre di buonumore. Aveva un modo incredibile di risolvere i problemi, e non si perdeva mai d'animo. Quanti ricordi… Ricordavo bene quell’ultima estate di tanti anni fa, un’estate ormai perduta nell’abisso del tempo, nel gorgo della clessidra che inesorabilmente tutto inghiotte e sommerge... Quella volta era rimasto più a lungo per varie vicissitudini. Era impaziente di ritornare, sembrava quasi che avesse un appuntamento... Il mal d’Africa lo richiamava, non vedeva l'ora di ripartire e di ritornare alla sua terra adottiva, di rivedere finalmente la bianca cima maestosa del Kilimangiaro nell'aria vibrante della savana, invece di tutta la nebbia piovigginosa dell'autunno cittadino. Avevamo vent’anni... facevamo festa... cantavamo... Una sera, poco prima che ripartisse, suonavamo la chitarra insieme. “Ma io ti devo far la multa!”. “Sì, ho capito, ma ci vuole troppo tempo! Senti perché non vieni con me in città e poi quando ho finito mi fai la multa?”. Lui sale e andiamo in giro a fare compere per tutto il giorno, mi da anche dei consigli sugli acquisti. Poi ci beviamo una birra al bar. A sera tardi lo riporto indietro, lo scarico e mi dice: “Va be', buona notte” “Buona notte”, gli rispondo e me ne vado”. Tutte le volte che ci ripensavo mi faceva ridere. 111 Una settimana dopo, era morto, laggiù in Africa. Un malore dissero... Un malore, a ventisette anni? La morte coglie sempre impreparati, è vero, ma di quell’evento riuscivo solo a pensare che non era nemmeno una dissonanza, una nota stridente, ma proprio una cosa senza senso, una risposta sbagliata ad una domanda che non era stata fatta. Ricordavo bene la sua vitalità, la sua gioia di vivere, il suo 112 ottimismo congenito... Ma dopo tanti incidenti in auto, aereo, e serpenti, leoni, malaria, ragni e predoni, morire di un malore a ventisette anni? Assurdo. Sapevamo, l’avevamo sentito dire, che ad un certo punto la vita finisce, ma fino ad allora, non ci credevamo veramente. Era una cosa che riguardava gli altri, non noi. A lui sembrava che dovesse andare sempre tutto bene ed era proprio l'ultima persona che pensavi potesse morire. Immaginavo che se avesse potuto raccontarci la sua fine, avrebbe detto con grande tranquillità come se niente fosse, nello stile dei suoi racconti africani, qualcosa del tipo: “Improvvisamente comincio ad avere uno strano senso di malessere e mi dico “Ma che diavolo succede ? “ e in due minuti diventa tutto nero. “Ma va là, non sarà mica la morte?, mi dico”. E sono morto per davvero! Che fregatura!” Così amo ricordarlo. Pensavo che il suo spirito potesse insegnarci molto: vivere nel buonumore fino all'ultimo senza preoccuparsi troppo del futuro o della nostra sorte... e poi quando arriverà la nostra ora... beh, allora noi siamo là a disposizione, sempre pronti ad andare, senza rimpianti, senza nostalgie, senza pensieri di avere ancora cose da fare in sospeso... La nuvola scura continuò a contorcersi ed oscurò il sole. Divenne densa e fatale. Un soffio freddo mi fece rabbrividire la 113 pelle. Si fece largo nella memoria il ricordo d’una stanza d’ospedale, bianca, asettica, impersonale, come il nulla. Un corridoio lungo, bianco, sfocato, con tante porte chiuse su altrettante vite. Si entrava solo col camice e la mascherina. Poi si aprivano e si richiudevano delle porte in successione con degli scatti che rimbombavano cupamente nel vuoto e si entrava nell’ultimo domicilio di una persona. Dieci metri quadri, un letto d’acciaio, lenzuola bianche, muri bianchi, camice bianco, viso bianco, come un fantasma. Una vista su un parco con alberi dalle foglie appena spuntate, che frusciavano mestamente in un mondo e in una vita ormai remoti. E poi fiale, flebo, medicinali, siringhe e cuscini. Un fisico gracile spossato dalla malattia, e soprattutto dalla cura inutile e dolorosa. Un viso pallido, su una testa liscia senza più capelli, che nonostante l’oltraggio, non aveva perso la sua femminilità. Un sorriso bonario e stanco. Tutti pensavamo di avere ancora un po’ di tempo. La primavera era ormai nell’aria, già si sentiva profumo di viole, e le giornate si allungavano, anche se le notti erano ancora lunghe e buie. Si parlava del più e del meno come un giorno qualsiasi, con davanti una lunga schiera di giorni comuni. Ma il tempo finì senza preavviso, una maledetta domenica d’inizio febbraio... C’è chi dice che la morte sia una trasformazione, un passaggio, il parto dell’anima che finalmente nasce alla vera vita, abbandonando il corpo che ne era il grembo. Forse per alcune persone anziane può apparire così. Il fisico 114 si stanca, invecchia, si sfibra, s’indebolisce pian piano. Poco alla volta non si riescono più a fare alcune cose che erano abitudine quotidiana. Il peso dei ricordi e della vita passata, delle persone amate scomparse, i vecchi amici che ogni anno ai raduni sono sempre meno, conciliano col pensiero della fine. Ed invogliano ad andare. Per altre persone, invece, sembra un parto prematuro o addirittura un aborto, e diventa dura da accettare. Ma il finale è sempre lo stesso: le molecole dei nostri corpi si scindono, si degradano, e gli atomi che le compongono si riciclano e si riorganizzano in nuove strutture e nuove forme. E quegli aggregati di atomi, generati da stelle in ere remote, appartenuti nel tempo a soli, a pianeti, ad animali e chissà a cos’altro, e che chiamavamo per nome, torneranno nel gioco eterno della materia e dell’energia, separandosi e ricombinandosi, giungendo chissà dove nello spazio e nel tempo. Sì, niente si crea, niente si distrugge: tutto si trasforma in nostalgia. XVII L’ERRORE Con le vacanze estive rimasi solo sul prato ad osservare le nuvole. Le città erano diventate deserte. Sembravano essere rimasti solo i grilli e le cicale. Soltanto qualche rara automobile interrompeva un silenzio corposo. Stavo bene, non soffrivo affatto la solitudine. Anzi il fatto che tutti fossero partiti in vacanza, mi faceva sentire particolarmente giustificato a non far niente e stare sul prato a meditare. Una sera un’auto si fermò al mio cancello. Mi sollevai a guardare. Chi? ... Francesca! “Ciao, Frenci! Che sorpresa!” “Ciao Henry! Come stai? Volevo vedere come te la passavi. Dove sei finito ? E’ un po’ che non ti fai vivo”. Mi dette un bacio su una guancia. 115 “Che sorpresa Frenci! Hai fatto bene a venire!” 116 Si sedette di fianco a me con le gambe raccolte. Le passai una birra ancora fresca. Si mise ad osservare le colline in lontananza. “Mah?... prendo quel che viene. Come sempre... Sai com’è fatta...” “Che fa adesso?” “Che pace che c’è... Ogni volta che vengo, capisco perché hai deciso di ritirarti qui... ” “È in Grecia con delle amiche” “In Grecia...? come in Grecia?... Ma non era tornata...?” C'era una leggera brezza fresca e dal campo di erba medica saliva un profumo delicato che sapeva di pulito e di cose buone. “Sì, ma è anche ripartita.” “Ma come...? ...e che ti ha detto?” “Come va, Henry?” “Ho saputo che Antonella è tornata!” “Che mi ha detto? Mi ha detto ...che aveva voglia di rivedere le sue amiche... che ultimamente le aveva un po’ trascurate... ...che aveva voglia di mare ...che era tanto che non andava in Grecia…” “Già. Avevi ragione, Frenci” “E non ti ha proposto di andare con lei?” “Visto?” , disse con un sorriso. “E tu come stai, Frenci?” “No, diceva che le sue amiche si sarebbero sentite imbarazzate ad andare in giro con una coppia … eccetera, eccetera… le solite cazzate...” “Soliti alti e bassi” “E tu?” “Mhhh...? O bassi e fondi?” “E io niente. Aveva già deciso lei. Sai com’è fatta”. “...bassi e fondi... Ma dimmi piuttosto di te e Antonella. Sono curiosa...” “E ti ha piantato così?” “Bene”. 117 118 “Direi di sì”. “...è difficile stabilire... Non disse niente, scosse solo la testa. ...perché...” “Ma va bene... ... va bene così…”, dissi. C’era un pensiero bizzarro che già da un po’ girava ai margini della mia mente. Mi era venuto leggendo una biografia. Mi accesi una sigaretta e presi una profonda boccata di fumo. Il fumo uscendo lentamente dalla mia bocca, da sdraiato, in uno strano effetto di prospettiva sembrava creare le nuvole del cielo. ...fumo nient’altro che fumo, come i nostri stessi pensieri... “Frenci, …ti ho mai raccontato la storia di Berlioz?” “Sì. Va bene così...” “Il musicista?”. “...in che senso?...” “Sì”. Un falco volteggiava nel blu. Presi un’altra boccata di fumo. “No... ma cosa c’entra?...” “Di...?” “Berlioz” “La conosci la storia?” “Nel senso che … boh?... chi può dirlo?… forse è un bene così…” “No”. “Allora stammi a sentire. È una bella storia” “Mah?...” disse alzando le spalle. “Ma sì... in fondo, a volte... “Sentiamo” ...è difficile stabilire se…” Mandai giù un sorso di birra. 119 “...quando Berlioz era un giovane compositore esordiente, conobbe una bella attrice irlandese che recitava in un opera di Shakespeare. Si chiamava Harriet. 120 Fu un colpo di fulmine. Se ne innamorò a prima vista e cominciò a tempestarla di lettere d’amore e di fiori. Ma, invece di fare colpo, lei cominciò ad evitarlo in tutte le maniere”. “Ci credo”. “D’altronde rivelare subito il proprio amore ad una donna, soprattutto appena incontrata, non è mai stata una tecnica vincente. In queste cose ci sono regole ferree che vanno rispettate, dico bene?”. “E poi non si conoscevano neanche!...” “Infatti. Bisogna darle atto che un tipo che non conosci nemmeno, che ti manda fiori e regali, professandoti un amore eterno, può proprio sembrare uno squilibrato... E le faceva pure scenate di gelosia pubblicamente, come se fosse stata la sua donna!”. “Te la faccio riascoltare un giorno o l’altro. Il tema dell’opera è quello di un giovane artista che dopo una forte delusione d’amore, assume una dose letale di oppio. La sinfonia comincia con un motivo ricorrente, un’idea fissa che rappresenta l’ossessione per lei. Man mano, la realtà comincia a deformarsi sotto l’effetto della droga, finché lui sogna di trovarsi ad un ballo con lei. È una scena di apparente armonia, ma non dura: la sua gelosia lo rende folle, e preso da un impeto di rabbia, la uccide. La sinfonia continua con lui che, pentito e distrutto dal dolore, viene condannato e trascinato al patibolo. Con l’avanzare dell’effetto dell’oppio la realtà si deforma sempre più fino a diventare un incubo. E la sinfonia termina con lui che in preda alle allucinazioni immagina di essere stato trasportato all’inferno, dove una ridda di demoni e streghe, tra i quali anche lei, sono là a tormentarlo per l’eternità... L’opera fu un successo straordinario. Era molto moderna e all’avanguardia per l’epoca... “E poi si meravigliava se lo prendeva per matto!”. E il bello sai qual’è?” “Insomma, nonostante tutti gli sforzi del povero Berlioz, lei lo evitava in tutte le maniere. La sua sofferenza per quell’amore non corrisposto, gli dette una grande ispirazione. Compose un’opera che chiamò « La Symphonie Fantastique ». La conosci ?” “La devo aver sentita…” 121 “No...” “È che Harriet ascoltando quella bellissima opera e venendo a sapere che era stata scritta per lei, rimase profondamente colpita e affascinata da quel giovane compositore che fino allora aveva respinto, prendendolo per matto. Accettò d’incontrarlo e ne nacque un’intensa, struggente storia d’amore”. 122 “Noi donne siamo ancora più matte!”. “Già! E dopo neanche un anno erano sposati. In apparenza, a volte, la realtà è più incredibile del più fantasioso romanzo”. “Già. Ma non è tutto... A forza di bere, divenne sempre più malata e fu colta da una paresi. Poteva parlare e muoversi a malapena. Alla fine morì...” “Che fine triste!” “E’ il termine giusto. Si era in pieno Romanticismo. Ma la domanda è: la storia finisce così?” “Già... ma la storia non è ancora finita. Lui si risposò con una cantante lirica, e dopo quel grande amore travagliato, gli sembrò di ritrovare la serenità. Ma dopo pochi anni anche lei morì e restò di nuovo solo” “Finisce così?” “Accidenti... e poi?” “No, non finisce così... assolutamente... “Poi, rimasto vedovo, partì per una grande tournée trionfale in Russia, dove fu accolto con tutti gli onori e poi... “E’ una storia molto bella, molto romantica”. ...dunque... … e poi non me lo ricordo più... Passato il grande idillio iniziale, poco dopo il matrimonio cominciarono a sorgere i primi problemi... Non erano tutte rose e sinfonie... Lei era in crisi perché la sua carriera d’attrice era in declino ed era invidiosa del successo di lui... Inoltre era gelosa perché gli giravano attorno molte donne. Così cominciò a bere e ciò, ovviamente, peggiorò le cose. Divenne un litigio continuo. La loro relazione si trasformò in un inferno. Alla fine divorziarono”. Ma la cosa importante, che ti volevo far capire, è... ...è che nella realtà le storie vere, al contrario dei romanzi, non s’interrompono mai ad un certo punto... Sempre nuovi personaggi e nuovi attori intervengono, scrivendo una storia perenne ed infinita, dove il buono ed il cattivo, il bene ed il male, la poesia e la prosa sono strettamente intrecciati e continuamente si alternano in chiaroscuri di luce ed ombra. Le storie vere non hanno mai un inizio, né una fine e quindi non sono né tristi, né allegre, né romantiche, né squallide...” “ È un finale squallido!” “Cosa mi vorresti dire?” 123 124 “Che siamo noi che consideriamo un bene o un male le nostre vicende personali a seconda da quale punto le osserviamo, non sono le vicende in sé... Dipende solo fino a che punto ci spingiamo con lo sguardo. Un evento può essere giudicato positivo o negativo solo se, arbitrariamente, e artificialmente, lo si circoscrive e lo si separa dal resto. Ma in realtà non è mai isolato” un evento... Rimasi soprappensiero. Le nuvole sulla collina si accesero di toni arancio. Il vento poco alla volta le disperse. Un’idea prese forma in me. Soltanto in un contesto finito può esistere il male... Perché il bene ed il male sono solo in funzione del sistema di riferimento assunto... Rimanemmo in silenzio a fumare nell’aria della sera, osservando le colline illuminate dal sole, i chiaroscuri delle ombre delle nuvole sul verde dei boschi. “Non avevo mai visto le cose da questo punto di vista...”, disse. Cos’avevo detto?... “Nemmeno io” C’era qualcosa che le avevo detto che … non so... mi sembrava che ci fosse da capire qualcosa d’importante… “Devo ragionarci sopra… Quindi vorresti dire ...che in fondo ... in fondo le nostre vite, non sono poi così male… O meglio che non si può decidere…” Un falco disegnava ampi cerchi nel blu. Di tanto in tanto lanciava un grido. Respirai lentamente. “Esatto. Non possiamo decidere. Perché non ci sarà mai un risultato definitivo” Dunque... ma allora... Rimase in silenzio per un po’. L’aria stava rinfrescando. ...tutti i problemi nascono solamente dalla tendenza a giudicare!!! Ecco l’errore! Un raggio di sole fece capolino tra gli alberi. “Bello”, disse, “non sappiamo più neanche se va bene o va male... Bene!... le nostre certezze stanno aumentando!”. Non potendo conoscere la catena infinita di cause ed effetti, non è possibile fare alcuna valutazione definitiva e sensata di 125 Mi venne da ridere, e anche a lei. Bevvi un altro sorso di birra e mi sdraiai a guardare Venere 126 che già brillava nel cielo. XVIII “C’è molta speranza in tutto questo, però. Niente è definitivo. Mai!” BARLUMI Sorrise. “E il vero dono è che non ha senso mettersi troppe preoccupazioni, perché i risultati a lungo termine delle nostre azioni, sfuggono alla nostra comprensione e al nostro controllo”. Rimase un po’ soprappensiero con lo sguardo perso in lontananza. Prese un profondo respiro e si mise sdraiata di traverso con la testa sul mio petto a guardare gli ultimi bagliori del giorno. La sera divenne molto luminosa ed una grande pace scese nella valle e su di noi. Finalmente uno spiraglio di luce buona entrò in me e cominciò a diradare una nebbia grigia che mi avvolgeva da molto tempo, forse da sempre, ed era andata infittendosi. A lungo, ogni volta che avevo riflettuto sul perché della mia insoddisfazione mi ero dato questa semplice risposta: …Troppe cose non sono andate come avrebbero dovuto… La causa era ovvia, il motivo evidente: le cose non erano andate per il verso giusto, dunque non avevo potuto essere felice. Semplice e logico. Questione chiusa. Avevo sempre dato per scontato che la sofferenza fosse generata dalle circostanze avverse, qualcosa di esterno a me su cui avevo scarso controllo. Ma poi un giorno, un dubbio mi colse all’improvviso. ... sono davvero gli avvenimenti, a generare la sofferenza e la felicità?... 127 Sembrava una domanda bizzarra, e la risposta scontata. Solitamente si pensa che gli stati d’animo siano generati dagli eventi, fino al punto di arrivare a credere che siano pratica128 mente contenuti in essi. Ma mi resi conto che lo stato d’animo non è dovuto all’evento in sé, ma solo alla valutazione che se ne fa. E la valutazione è strettamente soggettiva, al punto che lo stesso evento può essere giudicato all’opposto da persone diverse. Ma allora come si è formato il proprio personale criterio di valutazione? La risposta era sorprendente. Mi resi conto che in realtà avevo assorbito dal mondo per osmosi, opinioni, desideri e modi di pensare, che erano effimeri, arbitrari e mutevoli con le varie mode e culture. Me ne ero lasciato influenzare e li avevo assimilati al punto da credere che fossero miei. Ma non c’era davvero niente di personale: erano soltanto un fascio di idee raccolte a casaccio con le quali, inconsapevolmente, mi ero dettato una lunga serie di rigide regole da soddisfare per potermi ritenere felice. Col solo effetto di allontanarmi costantemente dalla felicità. In verità io, soltanto io ero la fonte di tutte le mie emozioni. Solo io ero responsabile della mia sofferenza e della mia felicità. Era sorprendente che non fossi riuscito a capirlo prima. Ma oltre a non aver mai messo in discussione la valutazione di un avvenimento, mi resi conto di aver commesso un errore ancor più grossolano. Tutto nasceva dall’aver dato per scontata la veridicità di ciò che era accaduto. Il problema non era soltanto quello di stabilire se un evento fosse positivo o negativo, il problema era proprio di stabilire cosa fosse accaduto... Sembrava un pensiero assurdo, ma, in fin dei conti ...com'e129 ...com'erano andate davvero le cose? Cos’era successo realmente? Esistevano eventi oggettivi? Non era affatto una domanda retorica. Pensandoci bene non era assolutamente facile stabilirlo. Avevo preso per vera la ricostruzione di molti avvenimenti, ma tutto era stato visto tramite il filtro riduttivo e parziale della mia mente. In verità avevo frammentato, spezzettato la Realtà grossolanamente, avevo ricomposto i frammenti alla buona, li avevo appiccicati insieme, incastrati a martellate e li avevo chiamati avvenimenti. Avevo creato io un rapporto del tutto arbitrario di causa-effetto. Ma ogni effetto in realtà ha innumerevoli cause concomitanti e ogni causa genera una cascata interminabile di effetti. Mi resi conto che la mia ricostruzione degli avvenimenti era solo una delle infinite possibili. Non ne esisteva una soltanto. Anzi, in assoluto non ne esisteva proprio nessuna. Erano solo collage di frammenti di Realtà che potevano essere assemblati a piacimento e dare origine a disegni completamente differenti, pur utilizzando gli stessi ritagli. Fu una rivelazione potente, colma d'innumerevoli implicazioni. Visto che facevamo dipendere la felicità dal verificarsi di eventi che in fondo non erano né positivi, né negativi, perché erano sempre e soltanto delle ricostruzioni ed interpretazioni del tutto arbitrarie e parziali di una Realtà infinita, compresi che alla fine non è necessario che accada niente di particolare per poter essere felici... 130 Per essere felici, per quanto possa sembrare incredibile, è sufficiente scegliere consapevolmente di esserlo a prescindere da ciò che sembra accadere, perché in fondo esiste solamente una catena infinita di cause ed effetti senza risultati definitivi. XIX LE STANZE CHIUSE Il problema di fondo è che la nostra visione è sempre parziale e limitata. Non riusciamo mai ad avere uno sguardo d'insieme dell'esistenza, cogliendone tutti gli aspetti. Qualcosa ci sfugge sempre. A volte ci lasciamo influenzare dalla sfumatura colta in un istante e ne trascuriamo infinite altre. Così la Realtà assume tanti aspetti a seconda di chi la osserva, come se ci fossero tanti mondi nel Mondo, ciascuno con pochi contatti sporadici e fugaci con gli altri, come se vi fossero tante stanze chiuse con poche porte che nessuno si prende la briga di oltrepassare. In verità, siamo tutti rinchiusi nel nostro infimo personale ritaglio di mondo. Ricordo l'aria convinta di certi contadini seduti tranquilli sull'uscio come se il mondo finisse di là dalla vigna... ...l'espressione apatica di vecchi col cappello seduti a giocare a carte al bar, come se l'essenza della vita fosse nel fondo d'una bottiglia... A volte capita di sfiorare per un attimo questi altri mondi diversi, ma coesistenti, come quando si viaggia in auto lenta131 132 mente per qualche sperduta strada di campagna. Si apre uno spiraglio, appaiono spezzoni d’immagini, inquadrature di vite differenti, ritagli d’esistenza… XX LA MIA VITA? …una ragazza che si pettina allo specchio pensando all'abito per il ballo... … su una sedia a dondolo un’anziana signora che spera nel domani… …aerei a diecimila metri d'altezza verso isole tropicali… …bambini spensierati all’uscita dalla scuola nei pomeriggi di maggio… …un camionista che consuma la sua vita su strade interminabili… …un muratore con cappello di carta di giornale che fischia contento spingendo una carriola… …vecchi col basco che giocano a bocce nel sole primaverile... E poi altrove, ancora più in là, ma contemporaneamente, altri mondi nel mondo, altre prospettive, altri punti di vista... …un ammalato grave che dispera di tornare alla vita... …un carcerato che graffia un pezzo di muro, ripensando alla sua vita sbandata... …città dell'est dove la vita e la morte sono scandite a colpi di mortaio... Differenti prospettive della stessa realtà, a volte patetiche, angoscianti, allegre, divertenti, spensierate, opprimenti, allucinate, monotone... Frammenti dello stesso mondo che non si riesce mai a vedere nel suo aspetto completo. 133 Dopo qualche giorno ritornò Francesca. “Ciao Henry, ho pensato di passare a trovarti!” “Hai fatto benissimo, Frenci!” “Ho portato delle birre fresche! E delle patatine!”, disse alzando un sacchetto. “Brava, Frenci! Tu mi vizi!”, dissi ridacchiando. Ci mettemmo a sedere sul prato. Si cominciava a star bene, il fresco della sera scendeva dal bosco. I grilli cantavano allegri. “Sai Henry, ogni volta che vengo qui mi sembra di essere un po’ in vacanza”. Sorrisi. “Come te la passi, Henry?” “Al solito Frenci.” 134 “Ho riflettuto molto, sai Henry, su quello che mi hai detto l’altra sera...” “Cioè?” “...che una vicenda può essere giudicata un bene o un male solo se la si interrompe arbitrariamente ad un certo punto... ...ma nella realtà gli avvenimenti non sono mai isolati... nella realtà le storie non s’interrompono mai... vi è sempre una cascata di effetti che si protende all’infinito... E non ci sarà mai un risultato definitivo... Quindi non si può decidere se un evento è stato un bene o un male, dipende fino a che punto ci si spinge con lo sguardo...” Sorrisi. “Proprio così Frenci! Vedo che mi hai seguito!” “Sì. È stato il pensiero più bello e incoraggiante che ho sentito dopo tanto tempo!” Sorrisi. “E il bello, Frenci, è che non solo la valutazione in termini di bene o di male, ma anche la ricostruzione dei cosiddetti “avvenimenti” è del tutto arbitraria, e spesso totalmente fasulla. Fasulla, perché assolutamente soggettiva ed incompleta... piena di omissioni e interpretazioni... E non è solo una speculazione filosofica, ma è proprio ciò che accade! Frenci, viviamo una vita fondata su memorie completamente inventate che si basano su fatti essenzialmente fasulli! È difficile da accettare, ma è proprio così.” 135 “...anche le nostre memorie sono fasulle?” “Ma certo! I nostri ricordi e le nostre percezioni, sono ingannevoli e fuorvianti. Per me è stata una rivelazione inaspettata... davvero... eppure mi sono reso conto che nella mia vita ho operato moltissime ricostruzioni del tutto false degli avvenimenti... Molte cose non sono andate come ho creduto, e molte cose probabilmente non sono accadute affatto...” “...questa poi!...” “Ascolta Frenci, senti questa... Alle scuole medie mi ero preso una bella cotta per una ragazzina... È stato il mio primo amore... Anche adesso quando ci ripenso, la ricordo bellissima. Aveva un sorriso dolce... un fare dimesso... un po’ timida... castana... occhioni bruni... Non facevo altro che pensare a lei... Ma sai come sono i primi amori... non si hanno termini di paragone... non si ha esperienza... Non sapevo come comportarmi. Un giorno finalmente trovai il modo di stare soli...” Mi riapparve davanti la scena che nella memoria avevo rivissuto innumerevoli volte. 136 “Eravamo in un campo di grano in un giorno di fine primavera.... proprio dietro la scuola media... ...un cielo azzurro luminoso e schietto... Aveva un viso dolcissimo. Le sue labbra mi attiravano. Avrei vo- A lungo, ogni volta che ci ripensavo mi sentivo a disagio.” “Che triste, Henry! Il primo amore che finisce così...” mi guardò con tenerezza. luto baciarla, ma era il mio primo bacio ed ero troppo agitato. Capii che non ce l’avrei fatta, e non potendone più di quella tensione, presi il coraggio a due mani e le chiesi se voleva fidanzarsi con me...” Mi venne da sorridere a ripensarci. Mi fermai ad inseguire i ricordi, trasportati leggeri dalle nuvole. Mi accesi una sigaretta. C’era una nuvola che come il fumo si dissolveva lentamente nell’azzurro del cielo. “... e com’è andata a finire?...”, domandò curiosa. “Com’è andata a finire?...” Ridacchiai. “È finita che... ...che disse che ero matto e scappò via!... Ecco com’è finita!” “Già, Frenci. È una storia che non avevo mai raccontato a nessuno...” Mi accarezzò una guancia con un sorriso comprensivo. Aspirai una boccata di fumo. “Per caso, un giorno, dopo molti anni, la rincontrai... Mi fece una gran festa, e ci fermammo a prendere un caffè in un bar e a chiacchierare un po’. Fu davvero una sorpresa rivederla dopo tanto tempo, e soprattutto ricevere un’accoglienza così calorosa e amichevole da parte sua. Era ancora una ragazza carina, anche se crescendo, secondo me non si era mantenuta così bella come da ragazzina. Mi raccontò che si era sposata ed aveva due bambine. Ovviamente era passato tanto di quel tempo che la cosa non mi faceva più alcun effetto. Mi veniva da ridere. Eh, sì Frenci... si dimentica... col tempo si dimentica... tutto si trasforma... i sentimenti evaporano... i visi si cancellano... È così... “Da quella volta mi evitava sempre. Fu una grande delusione. Per molto tempo rimase come il simbolo dei miei insuccessi amorosi. 137 Ricordammo il tempo passato, le scuole medie... quelle macchiette dei professori... i vecchi compagni... ...qualcuno si era sposato... qualcuno aveva fatto carriera... alcuni avevano dei bambini... 138 Qualcuno non c’era più... Infine fu lei a tornare all’episodio di quel pomeriggio di primavera, quando, nel campo dietro la scuola media le avevo confidato il mio amore... Ero davvero sorpreso che se ne ricordasse, e ancor di più che ne parlasse. Ne parlava con gli occhi bassi ed un sorriso imbarazzato. Mi disse arrossendo: “Sono stata una sciocca a scappare via così... Mi piacevi molto. Ma ero troppo imbarazzata. Non avevo mai avuto un ragazzo, e nessuno me lo aveva mai chiesto. Sei stato più coraggioso di me. Sei stato molto tenero”. Rimasi a guardarla a lungo, stupito. Capisci, Frenci? Di colpo un pezzo della mia vita, del mio passato girò su se stesso di centottanta gradi... Improvvisamente uno degli episodi che avevano in qualche modo segnato la mia adolescenza, divenne falso. Avevo pensato che fosse scappata perché non le piacevo per niente, che avevo sbagliato tutto... ...ed invece era proprio il contrario. Mi ero costruito un castello d’insuccessi amorosi su una pietra inesistente. Fu la prima volta che mi accorsi con stupore che perfino il passato, anche se già accaduto, è instabile e mutevole.” “Frenci, dammi retta, le ricostruzioni dei fatti sono sempre false ...o perché parziali... o perché mal interpretate... o perché basate su dati incompleti...” “Il passato è sempre fasullo Frenci.”, continuai, “È una specie di favola che ci raccontiamo. Vedi, ci aggrappiamo ai ricordi, al nostro passato perché sembra donarci uno spessore... una consistenza che altrimenti non si trova... Sembra costruire la nostra personalità, alla quale ci aggrappiamo con le unghie come fosse il nostro bene più prezioso, nel tentativo di preservarla ad ogni costo. Ci sembra di non saper più chi siamo, senza. Ed è proprio per quello che diamo un gran valore ai nostri ricordi, al nostro passato... li consideriamo come parte di noi stessi, della nostra identità... Anche se a volte è fondata sulla sofferenza... Meglio una personalità pesante fondata su ricordi dolorosi, che però ci danno un forte senso d’identità, che rischiare di non sapere più chi siamo... Il nulla ci spaventa più perfino della sofferenza. Ma se il passato è fasullo... ...se la “storia” della propria vita è costruita su eventi di fatto inesistenti... Rimanemmo in silenzio per un po’. “Effettivamente è successo anche a me... ...un pezzo della tua vita che improvvisamente cambia completamente senso...” 139 ...allora la propria identità, quella che viene chiamata “io”, quella che crediamo essere noi stessi, fondata su una storia fasulla, che consistenza può avere? Cos’è?... Cosa può essere, se non un fantasma inconsistente? 140 È un pensiero duro, molto duro. XXI La nostra identità, la nostra personalità, tutto ciò che crediamo di essere... IL TEMPO DEL SOGNO ...nient’altro che un fantasma inconsistente... È un pensiero difficile da accettare, eppure l’evidenza è davanti agli occhi.” Rimase in silenzio. Anch’io rimasi pensieroso, mentre riflettevo su ciò che mi era venuto in mente. Mi accesi una sigaretta. Era una consapevolezza disorientante. Ovunque cercassi, non c'era niente che potesse definirsi “vero”. Riguardando a quel fascio evanescente di ricordi di presunti eventi, mi resi conto che erano soltanto fantasie, né più, né meno, e che era assolutamente impossibile stabilire se fossero stati veri o no. I ricordi, in fondo, erano come la memoria di un sogno, svanito all'alba lasciando solo effimere impressioni. Agosto stava giungendo rapidamente al termine. C’era ancora un caldo torrido anche se l’estate era ormai agli sgoccioli. Ben presto i primi temporali avrebbero spazzato via la calura. Francesca aveva preso l’abitudine di venire a trovarmi verso sera quando cominciava a fare un po’ di fresco. Bevevamo un po’ di birra, spizzicavamo qualcosa di freddo, visto che col caldo veniva poca voglia di spadellare, chiacchieravamo e ci facevamo compagnia. “Hai visto, Henry, come si sono già accorciate le giornate?” “Già, Frenci. L’estate finisce sempre troppo in fretta. Non sono mai riuscito a farci l’abitudine. Mi coglie sempre di sorpresa.” “Anche me. Sembrava ieri che era giugno... e poi... in un attimo... siamo alla fine d’agosto... E l’autunno è alle porte, anche se adesso con questo caldo non sembra...” 141 “Già, e sai quanto odio il freddo, l’inverno ed il maltempo. L’ho sempre odiato... 142 Fin da bambino alla fine di un’estate, il pensiero del freddo incombente, dei giorni corti e bui, delle piogge e della neve, dei raffreddori e delle influenze, ingessati nei maglioni e nei cappotti, per mesi chiusi in casa, mi rendeva triste... mi gettava sempre addosso una malinconia profonda...” “Anche a me!” “Nei cupi pomeriggi invernali scrutavo oltre la finestra appannata e schizzata dalla pioggia, con lo sguardo perso in lontananza. Quei giorni grigi interminabili mi sembravano un riempitivo senza scopo, un inutile spreco di tempo, in attesa della vera Vita che per me si svolgeva d’estate, al caldo, all’aria aperta. Dalla finestra del palazzone, guardavo oltre i tetti umidi, nebbiosi e fumosi della città, e sognavo il sole e il mare al di là dell’orizzonte. Immaginavo le palme da cocco, le lagune d’acqua tiepida e cristallina che avevo visto soltanto nelle riviste. Mare... caldo... sole... luce viva ... colori brillanti... Ecco il posto giusto per me, non il luogo opaco a toni di grigio in cui abitavo... Da allora mi era rimasta la convinzione che cambiando luogo, la mia vita avrebbe potuto essere più piena e più felice. Ma adesso non ne sono più così sicuro...” “Perché, Henry? Dici che non è facile adattarsi a vivere in un altro paese? Che saltano fuori nuovi problemi?...” “Beh, quello senz’altro... ci sono sempre dei problemi da af143 frontare... non è tutto rose e fiori... Comunque sono situazioni pur sempre affrontabili e risolvibili. Il vero problema è un altro...” Mi accesi una sigaretta. Non si muoveva un filo d’aria. Nonostante fosse ormai sera, faceva molto caldo. “È davvero sufficiente andarsene?...”, continuai, “...è sufficiente cambiare luogo?... ... non è così semplice...” “Perché dici così?” “...perché in realtà, ovunque andiamo, ci troviamo sempre nello stesso luogo... Ecco il vero problema... Viviamo sempre in un mondo personale fatto di pensieri. Sempre smarriti all’interno di noi stessi. Perennemente imprigionati, nel nostro angusto mondo mentale. Un mondo dispotico che a volte diventa pesante come il piombo, e spesso assomiglia più ad un inferno, anche se ormai ne siamo talmente assuefatti, che non lo vediamo più come tale, ma semplicemente lo riteniamo l’unico possibile. Ovunque andiamo ci portiamo dietro noi stessi. E se non troviamo un’armonia in noi stessi, non la troveremo da nessun’altra parte. Non è sufficiente andarsene. 144 È l’ennesima illusione. Certo, a volte cambiando luogo può capitare che s’inneschino una serie di trasformazioni positive che mutano il nostro modo di vedere le cose... Ma è molto più facile che avvenga il contrario... ...che ci portiamo dietro i nostri problemi irrisolti anche in capo al mondo...” “Sì, probabilmente hai ragione... ...non possiamo scappare... non possiamo andarcene da noi stessi...” “Frenci, in verità, il mondo, il vero mondo è dentro di noi. Crediamo di conoscere il mondo esterno, ma ciò che conosciamo sono soltanto i nostri pensieri sul mondo. Tutto quel che possiamo conoscere è solo una ricostruzione mentale. Conosciamo la Realtà esterna solo tramite percezioni che si riducono a segnali elettrici che vengono interpretati e ricostruiti dal cervello, completamente influenzati da noi stessi, dal nostro umore, dalle nostre esperienze passate... Il mondo è sempre totalmente “colorato” da noi stessi, tanto che non è realmente possibile parlare di proprietà del mondo a priori. Non ha veramente un senso.” “Ma ora compare una domanda più inquietante...”, continuai, “Fino a che punto?... Fino a che punto ricostruiamo la nostra Realtà? Questo è il vero nocciolo della questione. E se non fosse solo un problema di esatta ricostruzione o di 145 corretta interpretazione degli avvenimenti...?” “In che senso?” “Accadono veramente degli avvenimenti? Esistono davvero delle “cose”, là fuori? O gli avvenimenti e le cose esistono soltanto dentro di noi, solo nelle nostre menti...?” “Come?” “E se non accadesse niente là fuori? E se le nostre menti non sono semplicemente i filtri con cui viene ricostruita ed interpretata la Realtà?... Se non si limitano a ricostruirla, ma la creano proprio?... Completamente, dal nulla?...” “Ma come? Che dici?...” “È un dubbio pazzesco, me ne rendo conto ...ma se la nostra percezione è fondamentalmente fasulla, e la nostra interpretazione è del tutto arbitraria, niente potrebbe essere ciò che appare.... Portato all’estremo, potrebbe essere tutta una specie di grande allucinazione... ...tutto puro pensiero...” Mandai giù un sorso di birra. Era un’idea inquietante. Sembrava pura follia, eppure... “Si torna all'antico problema irrisolto a monte di tutto, ancora 146 prima di tutte le materie scientifiche... fisiche, chimiche e biologiche... L'antico problema irrisolto e irrisolvibile della percezione... ...l'antico problema che ha messo a nudo che non c’è possibilità alcuna di provare che tutto quello che ti circonda, sia dotato di realtà ed esistenza intrinseca indipendente... Che non è possibile provare in alcun modo che esiste una realtà oggettiva esterna... Tu solo “sai” d’esistere a causa di un senso radicato dentro di te, anche se non ti è possibile “provarlo” in alcun modo. Ma dell’esistenza di ciò che è “là fuori”, non puoi dire niente”. “Per quanto possa sembrare strano, il fatto che tu mi parli e mi dica “Sono qui”, non dimostra niente”. “Un momento, aspetta... come sarebbe a dire?...” “Ma è pazzesco!... “Vedi Frenci... tutto è mediato dai sensi. Se i sensi c’ingannano... il discorso è finito... visto che non abbiamo alcuna possibilità di riscontro se non tramite i sensi... E cercare di verificare la validità dei sensi tramite i sensi è un paradosso, una tautologia irrisolvibile”. “Lo so... Eppure, in fondo, non è quello che accade anche di notte quando si sogna? Incontriamo nel sogno persone dall'apparenza reale... interagiamo con loro, parliamo e ci rispondono, sembrano dotate di volontà e d’identità propria ... nel sogno mangiamo cibi che sembrano assolutamente veri come sapore, odore, consistenza ...sogniamo di far l'amore con una ragazza e tutto sembra estremamente reale... tocchiamo oggetti, percorriamo distanze, visitiamo luoghi e all'apparenza è tutto assolutamente reale, e giureremmo che è tutto vero... Ma è soltanto immaginazione... Crediamo di osservare delle cose, e invece siamo soltanto di fronte ai nostri stessi pensieri. Tutto proiettato dalla nostra coscienza, che nel sogno fa da attori, da spettatore, da palcoscenico, da oggetti, da spazio e da tempo... Poi ci svegliamo e, dopo, quello che sembrava essere la real148 “Ma scusa... va bene che la percezione e l’interpretazione possono essere influenzate dalle proprie idee... però anche se la ricostruzione non è perfetta, comunque ha sempre una base oggettiva...” “E quale sarebbe la base oggettiva?” “Beh, puoi sempre confrontarti con le altre persone... Se per esempio chiedi a me se c’è quell’albero, te lo posso confermare... magari non lo vedo esattamente come te... però...” 147 “È una falsa prova. Io non posso saper niente di quello che succede al di fuori di me, se non tramite i sensi. E i sensi mi possono ingannare in mille modi. Non posso sapere per certo nemmeno se tu esisti o no, se sei solo un frutto della mia fantasia... un’allucinazione...” “Ma come? Sono qui!” tà, ci appare per quel che è: tutto un frutto della nostra mente. Ma allora come fare a stabilire che anche questa “Realtà” dello stato di veglia non sia soltanto un prodotto della mente? E se fosse solo un altro sogno con un senso di realtà e di durata? E se in verità non fosse proprio mai successo niente, e tutta la mia esistenza fosse fatta della stessa sostanza dei sogni ?...” “Ma è assurdo! Henry, ma che dici?” “Assurdo? Per quanto sembri assurdo e folle, e ammetto che lo sia davvero... a ben pensarci non è più strano di quello che insegna la fisica... Scendendo nei profondi recessi della materia si scopre che tutto è costituito dalle stesse poche particelle che non sono oggetti in senso tradizionale. Neutroni, protoni, elettroni... Non sono “solidi”. Sono solo energia. Elementi intangibili, impalpabili, indefiniti, che assemblati in gruppi innumerevoli assumono la parvenza di oggetti materiali, con una forma e una posizione precisa... Ma ogni oggetto materiale che ci circonda, dalle sedie agli alberi, dai nostri corpi fino ai pianeti e le stelle, pur apparentemente solido, è fatto di qualcosa di etereo. Pertanto, che sostanza può avere l’intera Realtà che è costituita di elementi inconsistenti?” Rimase a lungo perplessa ad osservarmi in silenzio. “Quelli che chiamiamo oggetti sono in verità soltanto degli 149 insiemi di relazioni costruite dalla mente. Ogni oggetto viene definito e conosciuto soltanto come insieme di qualità ricavate dalle percezioni. Ed è conoscibile esclusivamente tramite quelle. Le percezioni sensoriali sono l’apparente anello di congiunzione tra il mondo esterno e la mente, ma in verità non sono altro che mente e non esistono indipendentemente da essa. Basti pensare a quel che succede quando si è incoscienti: i sensi dovrebbero trasmettere gli stimoli lo stesso, eppure non si percepisce niente. È la mente che dà forma alle percezioni sensoriali. I sensi e la mente sono una cosa sola. E quindi anche la mente ed i presunti oggetti sono una cosa sola, perché qualsiasi oggetto si riduce solo ad un insieme di ipotetiche qualità che in verità sono create dalle percezioni sensoriali, ovvero dalla mente. In altre parole le qualità degli oggetti, sono soltanto qualità create dalla mente, totalmente. Quindi, gli oggetti non sono altro che mente. Cioè, in altri termini, non esiste una qualche sostanza indefinita alla quale vengono attribuite delle qualità da parte della mente. No. Gli oggetti nella loro essenza sono solo fenomeni psichici, soltanto apparenze, e non hanno alcuna proprietà o qualità al di fuori della mente che li percepisce. Pertanto le percezioni durante lo stato di veglia, non sono molto differenti da quelle durante il sogno: tutto avviene nella mente che si proietta immaginariamente all’esterno coi presunti sensi. Riassumendo, la Realtà è completamente mentale. Non solo per la sua conoscibilità, ma nella sua essenza. 150 E non ha senso parlare di una Realtà esistente di per sé, separatamente dal sistema psichico che la percepisce” Mi ascoltava seria. Bevve un sorso di birra. “Secondo il senso comune esistono delle cose, fatte di materia, qualcosa di solido, concreto, esistente di per sé. La materia inanimata, in seguito a lunghissimi e misteriosi processi, ha preso vita e si è evoluta in forme sempre più complesse fino a generare i nostri corpi, che tramite il cervello hanno sviluppato quella che viene chiamata “coscienza”. In questo modo riduttivo, la coscienza sembra essere un sottoprodotto accidentale della materia. Un universo fatto di materia ha generato casualmente quella specie di fantasma che viene chiamato coscienza... Ma la Realtà primaria è la Coscienza. É la Coscienza che dona realtà alle cose. Il mondo esterno è derivato e secondario. Senza una coscienza osservante e discriminante, gli oggetti, le forme, lo spazio e gli eventi, come potrebbero essere definiti? Che proprietà avrebbero? O è soltanto una pura astrazione mentale priva di reale significato, pensare all’esistenza di queste cose in sé e per sé, senza qualcuno che ne sia consapevole? E il tempo, che sembra scandire il succedersi degli eventi... cosa sarebbe senza di una Coscienza che percepisce ed è consapevole di questo mutare delle cose? La Realtà fondamentale è la Coscienza. Ciò che in termini di fisica viene chiamato l’Osservatore. È quella che fa da arbi151 ter, da termine di confronto e di paragone, che discrimina e classifica. Tutte queste procedure che costituiscono la determinazione della Realtà non hanno senso di per sé, senza una Coscienza osservante e discriminante. La Coscienza soltanto è il metro di determinazione della Realtà. E non si limita a misurare, ma nell’atto di misurare dà proprio forma alla Realtà, con quei determinati rapporti. Ed è per quello che la Realtà fisica è così ben descritta dalla matematica, cosa che è sempre stata considerata un mistero, fin dai tempi di Pitagora: perché la Realtà fisica è completamente determinata e creata dalla Coscienza, e quindi da una entità che opera tramite principi logici di confronto e di misurazione. La Coscienza ha creato dapprima la Realtà e poi la matematica con la quale ha descritto i principi del proprio funzionamento...” Rimanemmo in silenzio per un po’. “Riesci sempre a spiazzarmi coi tuoi ragionamenti... Sono sempre così contrari al senso comune... eppure hanno una logica... per quanto paradossale...” “È solo che la gente non si pone le domande giuste... o forse è meglio dire che non si pone proprio domande...”, dissi sorridendo. “Ci sono tante cose che vanno contro il senso comune... eppure sono vere... Pensa soltanto a quanto tempo c’è voluto prima che qualcuno capisse che la terra è tonda... Eppure apparentemente non è quello che ti dicono i sensi... 152 Ricordo che fin da bambino, ero molto piccolo, ho avuto a tratti l’impressione, anzi, la forte sensazione che la vita fosse tutta un'illusione, un grande sogno ad occhi aperti... Ma ogni volta ho abbandonato presto il pensiero. L’idea era troppo spaventevole e generava un senso di libertà assoluta e di solitudine a cui non ero preparato. Però non mi ha mai abbandonato del tutto e negli anni ho scoperto che molti altri hanno avuto la stessa impressione. Impressione?... o forse è meglio dire intuizione? Forse c'è dentro di noi una parte celata che sa che tutto questo è soltanto una specie di grande miraggio... In fondo, se questo fosse davvero un grande sogno, molte cose assurde avrebbero improvvisamente un senso... Molte ingiustizie di questo mondo svanirebbero in un istante... Per altri, però... che dire... sarebbe tutto inconsistente... e tutto quello che facciamo, tutto quello che siamo... ...tutto fatto di niente... tutto un sogno... soltanto un sogno...” “Già, proprio così...” “Che strana ironia...”, continuai, “...tutti desideriamo vivere una vita da sogno... E forse, senza saperlo, siamo stati esauditi...” Le ultime luci della sera rendevano le cose indistinte ed irreali. Mi accesi una sigaretta. Si vedevano le prime stelle, e la luna stava sorgendo dietro la collina. “..ma non nel senso che intendiamo noi... Forse più che una vita da sogno... ...abbiamo soltanto fatto un sogno di vita...” “ma certo è soltanto un sogno!...” Non è successo niente di grave... anzi non è successo proprio niente! ...era soltanto un incubo ad occhi aperti!... Tutto tornerebbe. Sarebbe la logica spiegazione che ci libererebbe in un istante da tutta la sofferenza, proprio come a svegliarsi da un incubo molesto...” “Magari! Sarebbe bello! Per certi versi... 153 154 Per altri scienziati che invocano effetti quantistici complessi, i pensieri sono generati casualmente. Pertanto i pensieri, e di conseguenza, la volontà, le scelte ed i desideri, semplicemente accadono, appaiono senza ragione; fenomeni su cui non si ha alcun controllo, pur con l'illusione di averlo. XXII MIRAGGI Avevo ormai compreso che il vero fondamento della Realtà è la coscienza. Sembrava un passo avanti. Eppure tutto quello che la Scienza sapeva dirci della coscienza, non era granché, e non era nemmeno tanto convincente... Secondo alcuni scienziati la coscienza sarebbe solo un sottoprodotto di reazioni chimiche e fisiche complesse che avvengono spontaneamente nei nostri cervelli, un po’ come l'ossigeno che combinandosi col ferro, genera la ruggine. Pertanto, i pensieri, la volontà, le scelte ed i desideri non sarebbero altro che gli effetti di cause naturali, il risultato di un grande meccanismo che va avanti da sé autonomamente. Portando avanti il ragionamento, il libero arbitrio è solo un’illusione... Per alcuni ricercatori la coscienza sarebbe il risultato di un programma genetico autoconfiguratosi nel corso della selezione naturale. In breve, la coscienza non sarebbe altro che una versione di programma d’elaboratore molto avanzata che ci permette di rispondere all’ambiente nel quale viviamo e condiziona il nostro comportamento. 155 Comunque la si guardasse, dal punto di vista scientifico, il libero arbitrio appariva soltanto una chimera. Ma anche più semplicemente, osservando il sorgere dei propri pensieri, ci si accorge che appaiono dal nulla, aleggiano per un po’ e al nulla ritornano. Su di essi non si ha alcun dominio, e in effetti non è possibile prevedere in anticipo il prossimo pensiero che verrà in mente. I pensieri e quindi le scelte, i desideri, i sogni, le aspirazioni, semplicemente accadono. Era un bel calcio al libero arbitrio. Eppure sembrava assurdo che non si potesse esercitare alcun tipo di controllo sui propri pensieri. Era un’idea strana e disorientante. Ed era ancora più strano rendersi conto che il pensiero stava ragionando su se stesso come un cortocircuito, un serpente che si morde la coda. Il pensiero che pensa se stesso, e con sgomento... ...si rende conto di essere soltanto... qualcosa d’illusorio... 156 Un evento accidentale... XXIII Un miraggio... CONOSCERETE LA VERITÀ... Un fantasma... L’idea che l’esistenza fosse soltanto un sogno, un gioco della coscienza in se stessa con un senso illusorio di concretezza e di durata, era decisamente liberatoria. Cambiava istantaneamente la prospettiva, e tante situazioni moleste perdevano d’importanza. La vita per un po’ abbandonava la propria pesantezza. Certo era difficile mantenere costante quella consapevolezza quando il mondo sembrava reclamare continuamente la propria realtà. Comunque poteva essere la risposta conclusiva a tutte le domande, la soluzione definitiva a tutti i problemi. Subdolamente, però, presto compariva un nuovo interrogativo... Se è tutto falso, tutto virtuale, che senso ha?... A che scopo questo sognare?... Era una specie di malanno spirituale accidentale ...o aveva un significato ben preciso...? Riflettendoci, c’era qualcosa che non tornava... 157 Se la Realtà, è solo uno stato onirico, proprio come un sogno 158 notturno... Era pazzesco... eppure... ...com’era possibile che io avessi tanta fantasia per sognare tutte queste cose incredibili, così dettagliate e straordinariamente complesse? Com’era possibile che fossi in grado di produrre dei sogni così meravigliosi, e degli incubi altrettanto spaventosi? Io ...tanta fantasia...? Non era verosimile. E allora, se non da me, da dove proveniva il sogno? Era pur necessario un sognatore! Era necessaria una fantasia straordinaria per sognare tutto ciò! Una fantasia sovrumana! Non può essere... ...non è possibile... ...ma allora io... ...io... Mi accesi una sigaretta. Aspirai a fondo. ...io... ...un personaggio... Una cosa simile... avrebbe potuto soltanto... ...soltanto un personaggio... ... avrebbe potuto ...soltanto... ...soltanto.... L’ultimo pezzetto di terraferma - me stesso - mi si sgretolò sotto i piedi. Impallidii. ... fantasia sovrumana....? ...soltanto un personaggio... Un pensiero allucinante mi colpì all’improvviso. Anzi, una persona... Oh, mio Dio! ...soltanto una “per-sona”... solo una maschera... All’improvviso mi sentii cadere la pressione sotto i piedi. Mi girava la testa. Una terribile consapevolezza mi schiaffeggiò all’improvviso. Tutti i dati erano davanti ai miei occhi. 159 ...un simulacro... Ecco il colpo di grazia. 160 “Conoscerete la Verità e la Verità vi renderà liberi...” Tutto svanito. Tutto a puttane. Non restava più niente. Nemmeno io. Ci avevo sempre sperato... Oh, quanto ci avevo sperato!... Ma che ironia... Ora che avevo intravisto la Verità, non era affatto come me l’aspettavo. Era più esatto dire: Ma no, no... non può essere!... ...è spaventoso!... Conoscerete la Verità... Era assurdo, assolutamente assurdo... ...e la Verità... ...no... questo scherzo qui, proprio... Cercavo... cercavo... un’altra idea... un appiglio... qualcosa a cui aggrapparmi ... eppure... Era il pensiero più terribile che mi fosse venuto in mente. Ero stato trafitto all’improvviso dalla cruda verità. ...vi farà scomparire... Una persona... Perché non rimarrà più nessuno che possa porsi la questione di essere libero o no... ...soltanto una persona... Rabbi, che brutto scherzo!... che brutto scherzo!... Che ironia, pensai, ci siamo perfino chiamati “persone” da soli... Se all’improvviso mi fossi svegliato all’Inferno sarebbe stato un gioco, in confronto. Che fosse un sospetto latente in noi...? Ripensai a tante teorie, a tanti insegnamenti appresi nel corso degli anni, cercando un antidoto a quel pensiero. Per assurdo, ce n’era uno che spiccava su tutti... 161 162 XXIV LA NAUSEA Cominciò così un periodo tremendamente difficile. All'inizio ero stato preso da un senso di disorientamento per la rivelazione dell'assoluta inconsistenza della mia vita, fondata su interpretazioni di avvenimenti ricostruiti arbitrariamente e fondamentalmente fasulli. Ero diventato consapevole che viviamo perennemente, non nella Realtà, ma in un inconsistente mondo mentale soggettivo. La mia stessa identità costruita su eventi e fatti insussistenti era diventata evanescente. Il senso di smarrimento era aumentato ancora, quando avevo compreso che la realtà stessa potrebbe addirittura non essere altro che una specie di grande allucinazione, un lungo sogno ad occhi aperti. E aveva raggiunto l’apice quando avevo capito l’aleatorietà e l’evanescenza dei pensieri su cui non si ha alcun controllo... Mi trovai così, come a galleggiare nel vuoto, sospeso, senza più un solo punto fisso, senza più niente a cui potermi aggrappare. Tutto mi appariva una specie di grande inganno. Una gran presa per il culo. Come si poteva apprezzare l’esistenza, quando non si sapeva nemmeno se fosse vera o fasulla? 163 E la cosa che m’infastidiva di più era dovermi occupare e preoccupare di tutte le infinite cose meschine di ogni giorno che continuavano a tediarmi, senza nemmeno sapere se fossero reali o immaginarie. Si tribolava inutilmente per una montagna d’illusioni! Che immensa fregatura! Mi sentivo l’assurdità in persona. Avevo una gran rabbia e un senso di disgusto e di disprezzo per l’intera esistenza. Se avessi potuto, avrei dato fuoco all’universo intero. Fu un periodo duro, molto duro. Alla mattina quando mi alzavo da letto, mi domandavo perché lo facevo. Che senso aveva tutta questa pantomima? ...tutta questa commedia assurda?... Perché continuare? Non era meglio farla finita subito con questa farsa senza senso? Questa grande corsa affannata verso il nulla che comunque ci aspettava alla fine? Il mondo era diventato completamente grigio e insulso per me. Avevo solo una grande nausea. Era il momento più basso di tutta la mia vita. Ero giù, molto giù. Molto più che depresso. Immerso fino al collo in una vita inutile ed insensata. L’esistenza mi era diventata insostenibile. Non riuscivo a smettere di pensarci, né a trovare alcuna soluzione, né a trovare pace. Non c’era scampo. Non c’era via di fuga. Eppure non volevo arrendermi. Stavo ore sul prato a rifletterci sopra inutilmente, mentre le nuvole si addensavano, si con164 torcevano, si annodavano su se stesse come i miei pensieri. XXV IL BLU Un giorno, mentre la mia mente continuava a macinare in continuazione sempre gli stessi pensieri come un disco rotto, un cane che rode un vecchio osso, mi addormentai sul prato, esausto. Non so per quanto tempo dormii. Ricordo che mi risvegliai pian piano e quando aprii gli occhi non vidi nient’altro che azzurro. ...solo azzurro... L’intero campo visivo era occupato dal cielo. Niente nuvole, né colline, né alberi, niente. Soltanto azzurro. Rimasi per un tempo indefinito come svuotato, senza pensieri. E la cosa strana era che mi sentivo bene. Restavo immobile per paura che l’incantesimo si spezzasse. La mia mente era calma, ferma, immobile... Si era come cortocircuitata. Il pensiero compulsivo si era bloccato. E ora finalmente stavo bene. 165 Mi fu evidente, allora, che la fonte principale dei miei problemi, erano davvero i miei stessi pensieri. Erano proprio loro che mi avvelenavano la vita, che me la 166 rendevano un inferno. L’unica soluzione era di smettere di dar loro peso, se volevo tirare avanti. Tirare avanti non aveva realmente importanza, ma almeno, mi sarei sentito meglio. Per questa esistenza effimera, che durava un battito di ciglia, probabilmente fasulla, preoccuparsi non aveva nemmeno senso. Di questo vuoto nel vuoto, non era caso di darsi pena. Che fosse andata come fosse andata... che importanza aveva, alla fin fine...? In fondo chi era rimasto davvero da non poter accettare la nuda realtà? Chi era rimasto quando si era dissolta la mia identità? Ma sì... ...ma sì... aveva un suo senso... Così feci. Ricominciai la vita di sempre, di giorno in giorno, senza rifletterci sopra, come fanno tutti. Bene, il cerchio si era chiuso. Ero tornato esattamente al punto di partenza. Avevo compiuto una specie di giro della morte, che mi aveva portato esattamente al principio. Tutto quel casino per ricominciare da capo... Eppure non ero proprio riuscito a trovare niente di meglio. Non ce l’avevo fatta ad andare oltre. Non ero riuscito a trovare alcuna soluzione. Un caos pericoloso aveva avvolto la mia vita per un po’ e avevo rischiato perfino la pelle. Adesso era il momento di tornare al nulla ordinato di tutti i 167 giorni. Di nuovo alla superficie, per continuare a galleggiare. Avevo perso la speranza di trovare un senso in quel che facevo e alla vita che conducevo. Così smisi di cercarlo. Ormai la mia priorità era solo quella di svagarmi, distrarmi. Ora vedevo la mia vita soltanto come un intermezzo illusorio che faceva da spartiacque tra due nulla, il grande nulla prima ed il grande nulla dopo. E il nulla durante. Ecco tutto. Cercavo solo di farla passare il meglio possibile. Mi tagliai i capelli, smisi di fumare, e ricominciai a correre e ad allenarmi. Andai a trovare alcuni vecchi amici che era un po’ che non vedevo, e cominciai a sfogliare gli annunci di lavoro. Erano i primi di settembre e ormai l’estate stava finendo. 168 ...quindici anni... XXVI Erano gli anni leggeri, quelli. L’Età della Salsa. Quanto mi ero divertito!... così, senza tanti problemi... LA DANZA ...♪ dicen que la fe mueve las montañas ... Una sera andai a ballare in un locale dove suonavano musica latina. Era parecchio che non ballavo, e ne avevo proprio voglia. Distrazione era diventata la mia parola d’ordine. La musica era bella carica, l’atmosfera allegra, calda. Avevo fatto bene ad andarci. Proprio bene. Ne era valsa la pena. Un paio d’ore di ballo, un paio di habana-cola e mi ero sentito come nuovo. Avevo anche rimediato un numero di telefono... Seduto al tavolino, osservavo la gente che ballava convinta, alcuni di piombo, altri tipo orsi con un tempo tutto loro. Aveva un certo fascino quel movimento caotico. L’osservavo con curiosità, come un naturalista il comportamento degli animali. Era un bel marasma di suoni, di luci e di persone. Chi saliva, chi scendeva... qualche diva provinciale da discoteca che dava spettacolo con movimenti sinuosi, controllando con rapide occhiate di aver tutti gli occhi puntati addosso... Sì, un bel guazzabuglio... La musica latina mi aveva riportato indietro di quindici anni. 169 Sentila Henry, te la ricordi? Quanto l’hai ballata! Quanti ricordi! Mi rammentavo bene il periodo, l’atmosfera. Andavo a ballare praticamente tutte le sere. Ancora non conoscevo Antonella. Ogni settimana uscivo con qualche ragazza diversa. E quella biondina...? Come si chiamava pure...? Che fine avrà fatto? ... hasta el sol de hoy no la he vuelto a ver ♪... Quante cose erano cambiate in quei quindici anni. Che carosello di persone, di volti, di atmosfere. Quante cose, apparentemente stabili e durature, sfumate... Quante persone che si erano avvicendate. Alcuni avevano già messo su famiglia... ...altri...? ...chissà che fine avevano fatto... Una danza, proprio una danza... Tentavo di non farmi trascinare dal pensiero, ma neanche a farlo apposta una serie di salse revival cercavano di riportarmi di forza nel passato. 170 ... Cuando la tarde se pone en el malecon... ♪♪ Anche questa... quanti ricordi!... A Cuba... a la Cueva... una disco in una grotta. Spesso saltava la luce e si rimaneva a lume di candela... Quante vite erano già passate? Quale incarnazione era? Quando è stato? Un milione d’anni fa? Possibile soltanto quindici anni...? Quante cose cambiate... Ma non in meglio. No, proprio no. Tutto si era complicato maledettamente. Se ripensavo a quanti bei sogni avevo, in confronto allo squallore attuale... Che brutta piega che aveva preso... che brutta piega... E ora mi rimaneva soltanto... STOP!!! Basta coi pensieri inutili e controproducenti!!! Non sai nemmeno se sia reale ‘sta vita! Che senso ha il rimpianto? Ok!, giusto, giusto... basta, basta... Mi bevvi un altro bel sorso di habana-cola. Mi sentivo già meglio. Mi guardai attorno concentrato sull’esteriore, senza più perdermi nei pensieri. Ma sì, balliamoci sopra... Adocchiai una ragazza carina ad un tavolo, mi alzai e le chiesi di ballare. 171 Accettò con un sorriso. Ecco, così andava bene, fluivo di nuovo col ritmo. Musica ...colori ...lampi d’immagini roteanti... le intravedi un momento e sono già svanite... ...Que importa ? Que me va aumentar la depresión, Que vas a vivir en el alcohol, Que importa?.. ♪ La musica operava una misteriosa alchimia. Avvolgeva tutto in un’atmosfera magica, sognante, ridava colore alla quotidianità, l’insulso pareva diventare espressivo, il grigiore e lo squallore consueti sembravano diventare improvvisamente pieni di significato. L’esistenza stessa sembrava riacquistare una dimensione di profondità, solitamente smarrita. Invece di un’accozzaglia di eventi sconnessi ed insignificanti, sembrava comporre un disegno... uno schema sfuggente... Ogni pezzo sembrava trovare una propria collocazione. Riplasmato dalla musica, tutto, pur nella più assoluta frivolezza, sembrava aver acquisito un’imprevista cadenza logica e sensata. Che strano, pensai. Ogni evento per quanto squallido e mediocre appariva uno dei tanti aspetti, inscindibili, di una Realtà infinita e perennemente mutevole. E su tutto quello ci ballavo sopra. Piroettavo, facevo volteggiare la ballerina, ci divertivamo, ridevamo, scherzavamo. 172 Ma sì. Tutto ok!... Che importa, in fondo? E va bene allora! Balliamo sui nostri guai... balliamo su tutto ciò che abbiamo smarrito... balliamo sugli amori perduti e sugli amori che verranno... balliamo sugli anni passati... balliamo sui ricordi... balliamo sulla vita che se ne va... balliamo sulle mille esperienze senza senso... balliamo dinnanzi al vuoto e nel vuoto... balliamo sull’assurdità... balliamo su tutto... ma sì... ...Que importa?.. Que importa?.. ♪ Mi sentivo proprio leggero, in pace. E poi accadde l’imprevisto... Di fianco a me c’era una coppia che discuteva animatamente. Lei, un po’ stizzita, gli diceva: Dopo un paio di brani tornai al tavolo sudato e soddisfatto, svuotato di pensieri nocivi. Avevo fatto bene, proprio bene ad andare a ballare. Mi sedetti rasserenato, con la strana, imprevista sensazione che stessi vivendo, non per puro caso, ma per una qualche ragione importante. “Tu corri, corri... sei frenetico! ...sembra che tu non veda l’ora di finire!...Balli come se non aspettassi altro che d’arrivare in fondo! Si balla per ballare, non per arrivare alla fine!”. Fu una specie di lampo. Che strano... ...cosa...? Rimasi un po’ soprappensiero soppesando quella curiosa inaspettata impressione. Ma ...aspetta... aspetta... cosa?... Curioso... strano davvero... Come...? Be’ comunque fosse, era un pensiero vantaggioso che mi faceva sentire meglio... Che importanza aveva in fondo? Bevvi ancora un paio di sorsi di Habana Cola ....ahhhhh!... ...e mi sentii rimesso a nuovo, pronto per affrontare anche un altro migliaio di vite, se necessario. Cos’è che...? 173 ...aspetta... Mi girava la testa... Mandai giù un sorso di Habana Cola. 174 ...si balla per ballare, non per arrivare alla fine... La vita trova un senso in se stessa! Ma certo!... La vita è una celebrazione fine a se stessa! Altri due sorsi e finii il bicchiere. Ma certo! Ma certo!!!... Ecco la risposta che mi permetteva di tornare alla vita! Ora avevo finalmente capito. Che il contenuto della mia vita fosse vero o fasullo, che fosse reale o un sogno ad occhi aperti, non aveva importanza. Non c’era nessun bisogno di alcun altro scopo particolare. Proprio come un’opera d’arte. Pur non avendo nessuna utilità, trova il proprio valore in sé. E allora, che la vita fosse anche un castello di nuvole ...si poteva continuare a costruire su quel castello... ...che fosse anche un’effimera danza di pensieri, di immagini e di suoni, si poteva continuare a danzare!... Sembravano pronunciate per me. Si balla per ballare!... Ecco la risposta, semplice e profonda. Dopo tanto riflettere e cercare, in un attimo, nel modo e nel posto più improbabile, mi era giunta la risposta. Si danza senza alcuno scopo particolare... Eppure danziamo... danziamo lo stesso.... Ma certo!... La danza trova il proprio significato in sé! Non ha alcun altro scopo! Ecco la risposta! Poteva essere applicato anche all’esistenza. Mi sentii salire un brivido forte lungo la schiena, fin sopra ai capelli. Si vive per vivere!... Non è necessario alcun altro scopo! 175 Mi prese un gran senso di leggerezza. Mi veniva voglia di ridere. Ma certo, ma certo ...una danza... ! soltanto una danza! ...leggera, come una danza... Non c’è problema!... Solo cambiamenti di ritmo... musiche allegre e musiche tristi... musiche cupe e musiche solari... ritmi veloci e ritmi rallentati... ritmi fluidi e ritmi sincopati... Non c’è proprio altro da fare che danzare!... Non c’era nessun altro scopo particolare, e proprio quella era la bellezza! Andava proprio bene così, comunque fosse anda176 ta! Era proprio il pensiero che la vita dovesse avere un altro scopo al di là di se stessa, a creare problemi. Fu un giorno benedetto. Riguardandomi indietro, compresi che tutte le cose pesanti e sgradevoli che mi erano capitate, erano servite a distaccarmene. La sofferenza me ne aveva allontanato. Mi aveva permesso di osservare tutto da una prospettiva differente. Era servita a lasciar cadere i rimpianti e le nostalgie. D’altronde che senso aveva conservare rimpianti per cose o situazioni che non si sapeva nemmeno se erano davvero esistite? Era solo un falso problema generato da una mente velata dall’illusione. Erano solo fantasmi. Soltanto immagini fugaci apparse nella mia coscienza... ...come quei lampi di luce mentre ballavo... ...una favola romantica e tragica di quelle che fanno piangere le donne... ...una favola divertente, una barzelletta, di quelle che fanno ridere... ...potevamo riconoscerla come una grande avventura... ...oppure vederla semplicemente come un’opera d’arte perennemente mutevole che trovava il proprio valore in sé. E ogni tocco chiaro o scuro, forte o leggero, allegro o cupo, ogni cancellatura, serviva ad impreziosirla e renderla unica. Tutto andava bene così. Tutto contribuiva a comporre l’opera. Ogni aspetto ne diventava una parte insostituibile. Mi fu evidente la libertà insita nella rivelazione. Di fronte all’impossibilità di una ricostruzione obiettiva degli avvenimenti, di fronte alla catena infinita di cause ed effetti, all’inaffidabilità della memoria, alla casualità e inconsistenza intrinseca dei nostri pensieri, tutta la storia della nostra vita, il nostro passato, il nostro presente, il nostro futuro diventava una specie di favola, proprio una favola, né più, né meno... E potevamo raccontarcela come preferivamo. Potevamo raccontarci una favola spaventosa di quelle che fanno paura ai bambini... 177 178 XXVII ADDIO AL PASSATO All’improvviso mi sentii come se avessi compiuto un ciclo completo: nascita, crescita, infanzia, adolescenza, maturità, anzianità, vecchiaia... Infine mi sembrò di rinascere, pur senza morire. In verità, mi ero sempre sentito vecchio, come se avessi addosso qualche milione di anni, come se tutta la mia vita fosse stata un dejà-vu di un’esistenza passata. Momento dopo momento, avevo anticipato il futuro sapendo cosa aspettarmi, con la sensazione maligna che la parte bella e fragrante della vita fosse già passata e irrimediabilmente perduta... Ma era stata soltanto un'illusione malefica della mia stessa mente che aveva velato la realtà con una nebbia di consuetudine e di nostalgia. Ora mi sembrava di tornare a nuova vita, pur essendo ancora nella stessa vita di prima, senza ulteriori reincarnazioni. Non c’era bisogno di cambiare niente. Non era affatto necessario che rinventassi il mio passato. Non m’importava più, non mi interessavano più le sue polverose ragnatele, i nidi d’ombra e di nostalgia. Il mio passato andava bene anche così, perché il mio passato semplicemente non esisteva più. Erano solo immagini effi179 mere, come a ricordare un sogno al mattino... Compresi chiaramente che si vive sempre e soltanto nel momento attuale, non nel passato, e nemmeno nel futuro... Il passato è fatto solo di ombre che si stagliano dietro di noi, proiettate dalla luce incalzante del presente. E il futuro è solo una fantasticheria... Come per incanto tutti quei momenti passati che avevo sentito, già mentre li vivevo, sfuggirmi irrimediabilmente, furono incatenati al loro posto, bloccati in uno specchio magico che li conservava immobili come una foto, dove potevo osservarli senza inquietudini. Riesaminai quella imponente, ma effimera costruzione mentale chiamata memoria. Mi venne da sorridere. Era davvero bella e luccicante. Una bella storia, davvero una bella storia. Appariva come una immensa, meravigliosa giostra di suoni, di luci e di colori, di volti, di paesaggi ...un carosello di situazioni in continuo mutamento... una danza di forme che si accrescevamo e si sgretolavano... come immagini accelerate di sbocciare di fiori... E se tendevo l’orecchio mi pareva di sentire pure una melodia... la colonna sonora finale di un film romantico... ...o cos’era...? Forse piuttosto una fuga di Bach, un contrappunto di note che s’inseguivano, s’intrecciavano e creavano una figura geometrica incredibilmente complessa e dettagliata, che si dissolveva nell’infinito... La memoria... 180 ...baci a tutti!... vi voglio bene!... ....che bizzarra meravigliosa costruzione!... Una luce soffusa di nostalgia... una patina di malinconia... un forte senso di esistenza... Era tutto quello che avevo creduto di essere. Ma c’era di più, molto di più, infinitamente di più. Adesso lo sapevo. Ora osservavo i ricordi con umorismo, con ironia distaccata, proprio come a ripensare ad un sogno al mattino. Ne osservavo le note di colore, come fossero un quadro, una rappresentazione. Ma cosa sono alla fin fine?... ...fantasia, soltanto fantasia.... E proprio come un sogno al mattino, viene il momento di lasciarli andare. Ma in fondo che fretta c’è ?... M’immaginavo alla stazione ...una lunga fila di ricordi... un treno che parte pieno di vecchi amici... Ti soffermi a guardarli ancora un attimo con affetto e ironia... ...Addio!... ...agiti la mano col fazzoletto bianco, mentre si allontanano... ...Addio!... 181 ...li vedi diventare sempre più piccoli fino a perdersi in lontananza... Poi ti giri e torni alla tua vita di sempre. Finalmente fui liberato dalla sensazione maligna che nella mia vita ci fosse stato qualcosa che era andato maledettamente storto. Mi abbandonò definitivamente il pensiero malevolo che solo in un punto del passato avrei potuto cambiarla per renderla simile a quella che desideravo per me, e che ora non fosse più possibile farlo. Così, finalmente libero dal passato, mi sentii leggero e anzi, mi resi conto che, avevo voglia di vedere ciò che si nascondeva dietro alla svolta successiva. Cosa mi avrebbe riservato questa imprevedibile, effimera, danza di forme chiamata esistenza? Quali meravigliosi sogni luccicanti erano ancora in serbo? Erano sogni, soltanto sogni, nel vero senso del termine, ora lo sapevo per certo; sogni nella fantasia prima di viverli, sogni nel ricostruirli mentre si vivono, e sogni nel ricordarli. Una rappresentazione, soltanto una rappresentazione nella coscienza... Ma ora li osservavo proprio come un film: per un po’ ti ci immedesimi e fai finta di crederci. E anche se non c’è niente di reale, è divertente lo stesso. Inaspettatamente, si ricreò un’immagine d’infinite potenziali182 tà come avevo trent’anni prima, quand’ero bambino. Era una bella sensazione. Mi avrebbe aiutato a trainare la mia vita, innalzandone la qualità, sollevando in volo il mio animo al di sopra delle paludi inutili dei malumori, fino a mostrarmi che al di là, esistevano ancora campi verdi e fertili, vette innevate, oceani immensi. Ed al di sopra di tutto la sterminata ampiezza del cielo dove pascolavano nuvole serene. Mi colse un senso di libertà quasi da vertigine, un’ebbrezza di pace interiore, ed i miei occhi si volsero definitivamente in avanti, riaprendosi ad osservare la vita. 183 XXVIII IL CIELO Di giorno in giorno sentivo la pace diventare più profonda. Ora i pensieri si addensavano come le nuvole nel cielo, si agitavano un po’ e sgusciavano via come se non mi riguardassero nemmeno. Ormai non guardavo più le nuvole. Non m’interessava più quel gioco di forme inconsistenti. Piuttosto ero attratto dall’azzurro oltre le nuvole, quell’infinito spazio silenzioso. Fissavo lo sguardo nel blu e la mente ne rimaneva assorbita, si quietava e sembrava perfino fermarsi. Piano piano sembrava diluirsi e dissolversi. Era uno stato indefinibile. Mi sembrava di perdere i confini di me stesso. A volte la cosa mi disorientava, e dopo, quando ci riflettevo, mi sembrava una cosa strana. Qualcosa d’insolito era successo davvero. Quando avevo smesso di pensare compulsivamente, fu come se avessero tolto un velo grigio e opaco dal mondo. I colori mi apparvero più vivi, le luci più intense, tutto sembrava più brillante, più nitido. Mi fu evidente che il pensiero getta un velo opacizzante sul mondo, una coltre di consuetudine sulle cose, che filtrate da esso appaiono monotone e insipide. 184 Ora c'era un grande silenzio. Quando smisi di ragionare incessantemente, fu come se mi fossi liberato di una zavorra che mi schiacciava a terra. La mia mente si schiarì e mi sentii liberato dal peso di una montagna. Finalmente mi sentii libero, davvero libero, senza obiettivi, senza mete, senza ricerca incessante e opprimente di risposte, senza la continua riflessione sul da farsi. ...e pace... ...una grandissima pace... e anche, sì, un sottile senso di gioia.... Strano... Avevo smesso di pensare al futuro... ...un sottile, ma profondo senso di gioia... Avevo dimenticato il passato... Ecco, quello proprio non me l'aspettavo.... Ora sapevo che non c'era niente, proprio niente da fare in particolare... nessuna meta da raggiungere... nessun obiettivo da conquistare... Erano solo illusioni, fantasmi... C’era già così tanta Vita attorno, senza andarla a cercare chissà dove! Ma prima, distratto dal rumore continuo della mente che ponderava, valutava, giudicava, non ero riuscito ad apprezzarla. Ora assaporavo semplicemente l'attimo che sembrava espandersi, espandersi, mentre il tempo sembrava quasi arrestarsi. Stavo così bene, semplicemente... ...essendo... Mi guardavo attorno un po' sorpreso e divertito da quell'inaspettato cambiamento. Mi sembrava di librarmi in aria. Avevo quasi voglia di ballare. Mi sembrava che fosse stato tutto uno scherzo divertente. 185 186 XXIX OLTRE LE NUVOLE Una domenica verso metà settembre l’architetto venne a trovarmi. Fu davvero una sorpresa e mi fece un gran piacere rivederlo. Ci sedemmo al tavolino in giardino con una bottiglia di Bianco di Custoza ghiacciata e chiacchierammo a lungo del curioso periodo trascorso in campagna. Gli raccontai delle strane idee che mi erano venute. Mi ascoltò a lungo con interesse. “...quindi vorresti dire che la felicità è solo questione di punto di vista? È solo questione d’interpretazione?” siamo. Come, non so ...un qualcosa di triste e cupo ...come pensare a noi separati da quello che accade ...in una dimensione dove siamo consapevoli, ma non possiamo interagire, dove guardiamo la vita che va avanti senza di noi, sepolti in eterno in una specie di dimensione triste e cupa... una specie di Ade, insomma, dove le anime rimangono come ombre... Ma la morte non è “un’esperienza”. Se siamo morti, non c’è nessuno che sia lì ad osservare. E se siamo coscienti, non siamo morti, ma vivi”. “Ci devo riflettere... ...ma tu sostieni che non solo l’interpretazione può essere sbagliata, e quello ci può stare, si sa che a volte sbagliamo a valutare le cose... ma che addirittura l’intera ricostruzione sia sempre fasulla! Sempre! Sempre completamente inventata! Sempre completamente influenzata dai nostri schemi mentali, che abbiamo appreso dal nostro ambiente” “Esatto. Ogni evento genera una cascata di altri eventi, in una sequenza infinita e senza esiti definitivi. Sta solo a noi la scelta di essere felici o tristi, perché si tratta davvero di una scelta. Possiamo raccontarci la storia come preferiamo, perché non c’è mai un vero finale”. “Esatto” “E la morte, allora?” “Sempre che accada qualcosa là fuori...” “La morte è un finale che non si può “vivere” mai. Per noi c’è soltanto vita. Se non c’è vita non ci siamo noi. La morte si può solo immaginare mentre si è vivi. È solo la fantasia che allucina, adesso, un futuro in cui non ci 187 “Cioè?” “Cioè viviamo in una Realtà, secondo te, completamente mentale. Senza alcuna attinenza con quello che succede veramente là fuori...” “Cioè, potrebbe essere tutta pura allucinazione. Come quando sogniamo di notte. Tutto è creato dalla nostra 188 stessa mente. Crediamo di vedere cose, persone, di interagire con esse, ma è tutto immaginato. E non ce ne rendiamo conto fino al risveglio. Sembra follia, ma se ci si pensa bene, conosciamo la realtà esterna solo tramite i sensi. Se i sensi c’ingannano, siamo fregati e non abbiamo alcun modo di saperlo”. “Ma come? Ma che dici? E gli strumenti, le apparecchiature scientifiche?” parola, Le chiedo soltanto di analizzare attentamente il problema da solo e poi di trarre le Sue conclusioni... Stia attento a come sorgono... da dove provengono... se sono prevedibili...” “Mah, non so ...ci rifletterò... ...però... ...se fosse vero... sarebbe tutto...” mi guardò perplesso. “Già...” “Sono false prove, perché la lettura di un apparecchiatura, il risultato di un esperimento viene verificato sempre attraverso i nostri sensi, alla fin fine... Quindi se i sensi c’ingannano...” “Tutto quello che facciamo... tutto quello che crediamo di essere...” “Già...” Smaniava sulla sedia, muovendosi in continuazione, come fosse arroventata. Si era fatto serio e pensieroso. “Però... però ci dev’essere... ...adesso non riesco... ma ... c’è qualcosa che non mi torna... ci dev’essere qualcosa di sbagliato ...” “La nostra realtà : puramente mentale... ...è assurdo... ...follia...” Si passò una mano sul viso. Si fermò un momento a riflettere. Rimase in silenzio per un po’ “E tu sostieni anche che i pensieri sono casuali, completamente casuali... Ma sei sicuro? È assurdo... pazzesco...!” “Una follia... A ben pensarci, però... ...ma no...no... ...così diventa tutto inconsistente... ...è angosciante!” “Lo so”, gli dissi sorridendo. “Lo so. Me ne rendo conto. Non Le chiedo di credermi sulla 189 190 “Sei andato troppo in là col pensiero... ... troppo in là... Torna qui tra noi!” pezzetti di qualcosa, nel senso comune: sono soltanto energia. Qualcosa d’impalpabile, indefinito, sfumato. Questa è la realtà scientifica di noi stessi e di tutto ciò che ci circonda”. Mi fece ridere. Bevvi un sorso. “E poi dove ti porta?... Dove.. ?” Si versò un altro bicchiere di vino. Mi veniva da ridere. Poveraccio. Mi vedevo in lui. Capivo bene come si sentiva. Mi aveva fatto esattamente lo stesso effetto solo qualche tempo prima. Ma adesso mi sembrava tutto soltanto un grande scherzo. “Se ci pensiamo bene, la Scienza stessa ci mostra che c’è qualcosa di strano nella Realtà...”, dissi. Alzò gli occhi a guardarmi, attento. “La fisica insegna che tutto è fatto di atomi, noi compresi. Ogni oggetto, anche il più compatto, è una specie di reticolato di atomi molto distanziati, tenuto insieme da forze elettromagnetiche. Lo spazio “vuoto” tra gli atomi è talmente grande che si può tranquillamente affermare che praticamente siamo fatti interamente di vuoto. Sei poi analizziamo l’interno degli atomi, tra il nucleo centrale e l’orbita degli elettroni la distanza è enorme ed è tutto spazio “vuoto”. E perfino i neutroni e i protoni che formano il nucleo sono costituiti da quark, che a loro volta sono piccolissimi. E i quark e gli elettroni non sono 191 “Vuoto nel vuoto”, continuai. O, in altre parole ...siamo fatti della stessa sostanza dei sogni... L’avevano già capito centinaia d’anni fa”. Si era fatto molto serio. Deglutì e bevve un altro sorso di vino. “Mi stai facendo girare la testa... Ma allora tutto questo ... cos’è? ...tu dici che è vuoto... che è fasullo... Se tutto è vuoto... ...ma...che senso ha...?” disse con un ampio cerchio della mano. Gli sorrisi. “È così come è”, risposi. “Ma deve pur avere un significato?!” Gli sorrisi. “Eh?! in tutte le tue elucubrazioni... con tutte le tue domande...” disse, sporgendosi in avanti. 192 Sorrisi. Colto da un’improvvisa intuizione, rimase a bocca aperta. Cominciai a ridere. “...eh? e allora dimmi ...che senso ha?” “Oh, andiamo... Non mi dirai... non mi dirai...” Riempii il bicchiere d’acqua e lo bevvi. Adesso mi sembrava tutto uno scherzo così divertente... Lo guardai serio e poi annuii lentamente con la testa. “O mio Dio! Vorresti dire... vorresti dire...” “Ma poi quando dici che è un sogno... proprio...”, disse guardandomi, “...mi spaventi... hai proprio toccato il limite... ...un sogno... Risi forte per l’espressione che aveva. Uno scherzo... uno scherzo meraviglioso!! Si fece silenzioso e rimase per un po’ a fissarmi. Era sbiancato. Tutto questo potrebbe essere soltanto un sogno, secondo te... Ma.... ma... come fai a dire una cosa così...? Ma te ne rendi conto? ... E poi... se anche fosse vero quel che dici... ... se fosse vero... ...il sogno di chi?” Sorrisi e lo fissai negli occhi. Mi veniva da ridere. Era davvero un grande scherzo. Il più grande scherzo che si potesse immaginare. “Di chi? ...beh, io un’idea ce l’avrei...”, risposi. Mi guardò perplesso. Lo guardai fisso con un mezzo sorriso per un po’ e poi strizzai un occhio. 193 “Ma allora...? Allora...?”, riprese, “Qual’è il senso?... Se è un sogno... soltanto un sogno... ...qual’è il senso di tutto questo...? Qual’è il senso di questa vita? Eh? ...non mi dirai che non ha significato!... Eh?” “Beh, detta così... Il Senso della Vita... Cacchio! È la domanda delle domande!..”, dissi ridacchiando. Rimanemmo un po’ in silenzio. Si stava proprio bene, il sole obliquo di settembre scaldava ancora. Una farfalla color vinaccia con disegni blu, tipo occhi, si appoggiò sul mio bicchiere sbattendo le ali, ammiccando allegra. “Qual’è, allora? Con tutte le tue elucubrazioni... Qual’è il senso?...” 194 La destinazione è proprio il viaggio stesso.” Lo guardai negli occhi. Sorrisi. Il senso della vita... Mi sembrava così incredibile fino a poco tempo prima... ...una risposta impossibile... Adesso mi sentivo così in pace. Mi sembrava che io e il blu del cielo fossimo una cosa sola. Il senso della vita... Un falco veleggiava alto nel cielo in ampi cerchi. C’era un silenzio carico d’attesa. Mi sembrava che il mondo avesse un’espressione beffarda. Bevvi un sorso d’acqua. Lo fissai negli occhi. Mi guardò pensieroso e fu sul punto di farmi una domanda. “La Vita è una celebrazione fine a se stessa”, proseguii, “Semplicemente. Come un’Opera d’Arte ...di nessuna utilità... ma apprezzata per la sua bellezza... Come un’Aria, una Melodia Fuggente. Bella in sé, senza alcun altro scopo particolare”. Sorrise. Sembrava sollevato. Si appoggiò allo schienale e rimase in silenzio per un po’ con un sorriso sulle labbra. “E ogni nota, ogni accordo, allegro o triste, grave o leggero , armonico o stridente, serve a comporre la sinfonia”, continuai. Sembrava soddisfatto. Gli occhi gli brillavano di vitalità. “La vita trova senso in se stessa”. L’architetto mi guardò perplesso. “Anche se è destinata a terminare, e tutto quello che facciamo svanirà nel nulla. Trova senso mentre la si vive”, continuai. “Non c’è nessuno scopo, nessuna meta da raggiungere. Niente da fare in particolare, se non vivere. Ci si può porre degli obiettivi, ma non bisogna credere di dover aspettare di averli raggiunti per cominciare a vivere. È saggio vivere Ora. 195 “In qualche modo, l’ho sempre pensato anch’io. Ma non ero mai riuscito ad esprimerlo così”. Gli sorrisi. C’era una certa allegria contagiosa nell’aria. Alzò il bicchiere, “Alla Vita allora!” Mi versai un bicchiere di vino e lo sollevai, “Alla Vita!”. Bevve un sorso di vino e poi prese un bel respiro profondo. Guardò lontano verso le colline, “Si sta bene. È proprio un 196 bel posto”. XXX Gli sorrisi. SERENO “ E adesso che farai?” Mandai giù un sorso di vino. Una nuvoletta passò rapida davanti al sole. “Boh? Non ci ho ancora pensato. Non ha molta importanza. Comunque sia, va sempre bene”. Bevve un ultimo sorso. “Beh, se ti va... c’è parecchio lavoro da fare in studio, adesso... Che ne dici? Te la senti?” Ecco che il cerchio si chiudeva... Sorrisi. “Ma certo! Volentieri!” 197 Così sul finire dell’estate, rividi il cortile interno con gli antichi archi color mattone, le finestre su cui si riflettevano le nuvole, l’antico orologio dal quadrante bianco e i miei gelsomini azzurri che mi aspettavano allegri sul davanzale. Dalla finestra spalancata dell’ufficio, contro lo sfondo blu del cielo oltre i tetti rossi, rividi le nuvole rosa illuminate dal tramonto, udii le grida delle ultime rondini che danzavano nell'aria ...e mi sentii a casa, di ritorno dopo un lungo viaggio sul far della sera. Vissi piacevoli momenti di armonia in quegli ultimi giorni di settembre. La sera uscivo dallo studio sereno, sotto interminabili tramonti rossi. Le giornate si accorciavano sempre di più e presto la notte avrebbe sovrastato il giorno. Stormi di uccelli già migravano verso sud e di rondini ce n’erano rimaste ormai poche. Infine un giorno l’estate si arrese all’autunno. Quei bei settembri tiepidi con giornate limpide e luminose, spazzate dal vento e solcate da grandi nuvole bianche, divennero presto un ricordo. La pioggia cadde per giorni interi infradiciando ogni cosa. Nubi pesanti e vapori densi avvolgevano la cima delle colline, tingendo il paesaggio di sfumature di grigio. 198 L’autunno era arrivato impietoso, anzi l’inverno, visto il freddo che faceva. La pioggia ticchettava contro i vetri, sciogliendo e impastando i colori del paesaggio, e di notte le luci lontane che colavano lungo il finestrino dell’auto. Il maltempo non mi metteva più di cattivo umore, ero sereno, in pace. Però quel clima non mi piaceva affatto. Perché il vero sole risplende dentro. Bologna 1994 – 31/12/2013 18/02/2015 Certo, tutta la nostra realtà è mentale, e quindi non aveva davvero importanza dove mi trovassi... Ma volevo scegliermi come raffigurarmi la mia realtà ...anche se ormai non ero affatto sicuro che avesse senso un’affermazione così. Comunque... che importanza aveva? ATTENZIONE: questo testo è tutelato dalle norme sul diritto di autore. Ai navigatori di questo sito ne è concessa unicamente la lettura rimanendo all'autore la piena ed esclusiva proprietà dell'opera nonché il diritto di utilizzazione economica in qualsiasi forma e modo. Nel quadro che avevo cominciato a dipingere fin da bambino, mi ero sempre visto su uno sfondo di palme, al sole, su isole tropicali. L’avevo dipinto di toni d’azzurro e di verde. L’avevo dipinto di luce e di toni caldi. Col mare, le nuvole primaverili che correvano leggere tutto l’anno, e le rondini anche d’inverno. Era solo questione di tempo... prima o poi me ne sarei andato da quella regione col suo schifo di clima. Nuove avventure mi attendevano, ne ero certo. Ero tranquillo, perché sapevo che, anche in quel momento, da qualche parte nel mondo, il sole splendeva ancora, e anche sopra di me, oltre le nuvole, il cielo era sereno : bastava solo che mi sforzassi col pensiero e mi sembrava di vederlo. 199 200