Prima di proseguire con le giullare dei misteri medievali
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Prima di proseguire con le giullare dei misteri medievali
LA FAME DELLO ZANNI Presentazione Prima di proseguire con le giullare dei misteri medievali, permettetemi di eseguire un salto in avanti nel tempo e raggiungere il nostro Rinascimento. Questo allo scopo di presentarvi il grammelot, cioè il linguaggio del tutto teatrale inventato dai Comici dell’Arte. All’origine fino a quasi tutto il ‘400 le compagnie di teatro erano composte da attori occasionali e dilettanti. Ma a cominciare dalla compagnia diretta da Pietro Beolco detto Ruzzante (nel primo quarto del ‘500) gli attori cominciarono a riunirsi in gruppi consociati con tanto di statuto e contratto. Rapidamente si formarono diecine di compagnie regolari e di teatranti professionisti a Napoli come in Sicilia, a Roma e in tutto il resto d’Italia. Senz’altro il Veneto con a capo Venezia vide il formarsi di gruppi teatrali la cui fama raggiunse ben presto Parigi, Madrid, Londra fino a Mosca e San Pietroburgo. Quando poi nella seconda metà del ‘500 esplose la Controriforma, l’attacco condotto dalla Chiesa verso gli intellettuali liberi colpì duramente anche le compagnie di attori associati, cioè i teatranti della Commedia dell’Arte che spesso godevano della protezione politica e finanziaria dei principi nelle città dove aveva sede d’origine la loro compagnia. Quei commedianti vennero costretti ad una vera e propria diaspora. Furono centinaia le compagnie che dovettero emigrare in tutti i paesi d’Europa: Spagna, Germania, Inghilterra. La maggior quantità di quei teatranti si stabilì nella Francia. È ovvio che la maggior difficoltà era quella di farsi intendere dagli abitanti di quei paesi che non conoscevano la nostra lingua. È vero che i comici dell’arte possedevano insuperabili doti di gestualità ed erano veri maestri della pantomima, ma dovettero creare qualche cosa che permettesse loro di esprimere più profondamente il discorso del gioco satirico e tragico che andavano proponendo. Cominciarono col impiegare un linguaggio che potremmo definire pseudomaccheronico, cioè composto da sproloqui, apparentemente senza senso compiuto, infarciti di termini della lingua locale pronunciati con sonorità e timbri italianeschi. Via via si perfezionarono fino ad impiegare, oltre ad una straordinaria gestualità, suoni onomatopeici che realizzavano l’immagine delle azioni o stati d’animo a cui si voleva alludere. Questo gioco imponeva agli spettatori l’impiego di una certa dose di fantasia e immaginazione che produceva loro l’insostituibile piacere dello scoprirsi intelligenti. In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei “ Raccolti” furono tra le prime a sviluppare questo genere di rappresentazione. Ma ancor prima della “cacciata” quei comici si erano già esercitati nel loro paese nel gioco di reinventare “idiomi foresti”. Il grammelot più antico è senz’altro quello dello Zanni. Lo Zanni è il prototipo di tutte le maschere della Commedia dell’Arte, padre di Arlecchino, Brighella, Stenterello, Sganarello ecc… però a differenza di quasi tutte le maschere che hanno nomi e comportamenti inventati, questo ha un’origine reale. Zanni era il soprannome che fin dal XV secolo i Veneziani davano ai contadini provenienti da tutta la Lombardia, il Piemonte e le province del Garda e dell’Adda. In particolare i villani di Brescia e Bergamo venivano chiamati “Giani” o “Joani”. Questi antenati dello Zanni assursero all’attenzione della cronaca in conseguenza dell’esplosione di un fenomeno straordinario che si sviluppa in quel periodo: la nascita del capitalismo moderno. Pochi lo sanno, ma il capitalismo moderno è nato in Italia. Quando insieme a Franca si recitava negli Stati Uniti, da Boston a New York fino a Washington, ogni sera provavo un senso di incredibile orgoglio nello svelare agli spettatori americani che banche, carte di credito, cambiali sono tutte nostre invenzioni, cioè della nostra borghesia mercantile del cinquecento. Il nuovo capitalismo viveva soprattutto sul movimento di denari legati alle guerra di conquista coloniale; i banchieri erano così importanti che si potevano permettere di donare le proprie figlie in spose a re di tutta Europa, come successe alle figlie dei de’ Medici di Firenze. Senza l’apporto determinante delle banche italiane, in particolare di quelle fiorentine, l’America non sarebbe stata scoperta o almeno sarebbe stata scoperta più tardi. Il nuovo continente non ha il nome di Colombo suo scopritore, ma di Amerigo – Amerigo Vespucci – capitano, figlio di banchieri e banchiere egli stesso. É sintomatico che “America” abbia origine proprio dal nome di un banchiere. A cavallo della Controriforma Venezia gode di uno straordinario sviluppo, le terre conquistate o acquistate grazie all’apporto delle banche in tutto il Mediterraneo fruttano ricchezza sia in denaro che in derrate alimentari, derrate che invadono i mercati della nostra penisola causando grandi sconquassi. Infatti il prezzo delle merci offerte era talmente basso che i contadini non riuscivano più a vendere i propri prodotti. Così questi Zanni disperati abbandonarono le loro terre e si riversarono nelle città e nei porti più ricchi del Nord, in particolare a Venezia. In grandissimo numero gli Zanni scesero a Venezia con le loro donne a cercare lavoro; accettarono i lavori più bassi dallo svuotare latrine al facchinaggio al porto, si adattarono al ruolo di sottoservi, quasi schiavi. Le loro donne, oltre che ricoprire il ruolo di serve e sguattere, si dedicarono alla prostituzione. Il numero delle prostitute in quel tempo, a Venezia, cresceva a vista d’occhio tanto che l’amministrazione della repubblica cominciò a preoccuparsi seriamente e indisse un’inchiesta. È quasi automatico, ancora oggi il governo, quando esplodono calamità che turbano l’opinione pubblica, immediatamente indice un’inchiesta… Poi non se ne fa più niente, ma l’importante è di aver dimostrato una buona volontà. In seguito a quest’inchiesta, La Repubblica di Venezia scoprì che la bellezza dell’11% dell’intera popolazione era dedita alla prostituzione. Detto così non fa neanche tanta impressione, infatti nessuno di loro ha accusato sorpresa o brivido… anch’io comme ho letto questa notizia su un testo di storia non mi sono impressionato più di tanto: 11% è una quantità abbastanza accettabile, ma bisogna saperle leggerle le inchieste, analizzate correttamente spesso infatti riservano sorprese terrificanti. proviamo infatti a rileggere insieme questa percentuale. Cosa vuol dire 11% dell’intera popolazione? Dunque in quel tempo la popolazione era salita a 160.000 abitanti… quindi cominciamo col dividerma in due parti, ottantamila maschi mettiamoli da un lato… si prostituivano anche loro, ma in modo del tutto particolare; poi abbiamo ottantamila femmine, da cui bisogna togliere le anziane, le donne vecchie, ma proprio quelle decrepite perché non appena stavano in piedi: un po’ di rossetto, due cuscini a far da tette qui… e via che funzionavano che è un piacere! Poi togliamo le bambine, quelle col moccio, ma come rimanevano in piedi da sole , andavano bene anche loro. Poi abbiamo le suore, le religiose… per favore, mettiamole da parte senza far ironia o sarcasmo, non è proprio il caso! Poi abbiamo le ricche, le aristocratiche, le nobili che si prostituivano anche loro, ma … a prezzi inaccessibili. Ebbene il restante numero delle femmine corrisponde proprio all’11% dell’intera popolazione. Tutte!! Una delle situazioni tragiche che hanno portato allo splendore il capitalismo moderno sono sempre state le crisi. Il fenomeno aumentava le differenziazioni che già esistevano, gente che navigava nella ricchezza e gente ridotta alla fame. “La fame dello Zanni” è il titolo di questo brano e il personaggio che io vi presento è uno zanni, un facchino delle valli di Bergamo e Brescia senza lavoro che da giorni non tocca cibo. Il comico che per primo s’è cimentato nel rifare il verso allo zanni disperato per la fame non conosceva certo il dialetto autentico degli zanni, né tanto meno lo comprendeva il pubblico che assisteva alla sua esibizione. Il comico doveva quindi inventarsi un grammelot bresciano bergamasco infarcito di termini veneti truccati da lombardesco delle montagne. Eccovi il testo e la descrizione de “La fame dello Zanni”. Testo (Lo zanni barcolla, si muove come un ubriaco) Greulot, nachì stulò (le espressioni in grassetto sono tutte invenzioni onomatopeiche)… me tengo ‘na fame, ‘na sgandula che pe’ la desperasiùn u zervél me stropia a sgroll. Deo che fame! Gh’ho ‘na fame che me magnaria anca un ogio (mima di cavarsi un occhio) e me lo ciuciaria ‘me ‘n’ovo (succhia l’immaginario uovo). Un oregia me strancaria! (Fa il gesto di strapparsi un’orecchio) Tuti e doi l’oregi (li mastica con avidità)… ol naso cavaria (esegue). Oh, che fame tegno! Che me enfrocaria ‘na man dinta la boca, ziò in tol gargaroz fino al stomego e caò in pratosciò guiu (mima tutta l’azione) e stroncaria da po’le budele, tute le tripe a stroslon fragnao (mima di cavarsi le budella tirandole fuori attraverso la gola, quindi le arrotola sul braccio)… stropian cordame – srutolon (finge di strizzarle per ripulirle dalle feci. Squote la mano nel gesto di liberarsi da tanta zozzeria). Merda! Deo quanta merda de repien! (Soffia come in un lungo tubo e ne ottiene un pernacchio dai timbri grevi e profondi con contrappunto di falsetti scurrili) FRUUOOOH… SPROH… FESCIOUAAAH… TRIFIHIEE! (Scuote l’immaginaria canna di budella, quindi inizia a masticarla e ingoiarla come fosse una interminabile salsiccia. Mastica e commenta) Sgnagui que brossolo smagnasent lüganegosa… Gne, gna gnitraguì (rutto finale emesso con soddisfazione. Si accarezza il ventre salendo fino alla gola. Deluso e disperato) Ohi, la fame che tegno! Me magnaresse i monti, le valàde, le nivule (punta lo sguardo in alto lontano) E, bon par ti, Deo, ch’et sit lontan! At magnaria tüto ol treangolo in sü la crapa, i cheruben d’entrono (pausa, poi ridendo crudele)… at gh’hai paura, ah?! (Si rivolge al pubblico come scorgendolo solo in quell’istante) Ohi, quanta zente!… smonluat specandot… me voraria sciernir i pì tenerin e poe ciuciarmei fin a i osi. Deo che fam! Straguonante!(Barcolla)… moro! Sento strabocarse le budela che sbate come campane en drofegnam direndon direndooola (muove fianchi a sbattere e fa oscillare il ventre. All’istante si blocca e si guarda intorno sopreso) En do son mi? Cosa che m’è capitò? Una cusina?! Son derentro a ‘na cusina imbostonada de stuvie (stufe), padele, pentolon e marmite… ohi!, gh’è anca roba da cusinare! Presto (quasi dandosi ordini) cata ‘sto pentolon, piàsalo sul fogo strabuscen che svurgula. Agua! (mima di afferrare un bacile e rovescia acqua nella marmitta sul fuoco. Sbatte un gran ventaglio per incitare le fiamme) Fogo, fogo… boia! De tüti i diavuli, sprugit fiame d’enferno… büje! BLIC BLOC BLIC Sale! ‘Na bela salada gosa (esegue) la canela (mima di afferrare un bastone da polenta e con quello agita l’acqua) Vaì! Sbordela, che mo te dago de grignire (masticare) (fa il gesto di afferrare un sacco e lo solleva) Pulenta… oh, Santa pulenta, mais spulentàt (rovescia il contenuto del sacco nel paiolo. Nello sbattere il sacco, questo gli cade nella gran pentola) Ohi demoni! Me tromborlà ol saco in tel bujon! (Afferra il bastone e con quello muove dentro la pentola nel tentativo di ripescare il sacco ormai vuoto. Non ci riesce) Maladicto sacon,vegne fora! Sorte! No ti vol sortir? Bon, buie puranco, bestia! Te magno anca ti.(Rapidissimo abbandona il bastone e afferra un mazzo di rami secchi, lo immerge nel fuoco, lo ritira incendiato e lo infila in un immaginario camino) Fogo, fogo (sempre dandosi ordini) ‘na marmita padela su ‘sto fiameton incalorado (agita la padella e vi rovescia qualcosa) Oeli, songia, bütiro (grasso di maiale). (Fa saltare il soffritto. Mima di gettare aglio e altri sapori) Ali, scigola, rosamrì… sbati, salta. (Abbandona per un attimo la padella e afferra qualcosa su un ipotetico tavolo) Carna! Carnasa santa morbedosa (afferra un coltellaccio) a tochi! (Mima di calare fendenti rapidi sul pezzo di manzo. Ritrae veloce l’altra mano e la osserva preoccupato) Boia! Per ‘na sfirzola no’ me tajavo un dido… l’ongia: me son tajà giosto l’ongia! (Raccoglie i tocchi di carne e li scaraventa nella padella. Quindi la solleva facendo volare la carne per poi riprenderla da gran giocoliere) Diaol inzopa! Me burlà tüto (si china raccogliendo i tocchi da terra e li ributta nella padella) Vino (finge di afferrare una piccola damigiana e versa il vino, si ritrae come aggredito da una fiammata di vapore. Quindi annusa) Che parfumo! Bon, bon che apreso te magno! (Si ricorda all’istante della polenta. Afferra il bastone e lo remena dentro il paiolo) Zira, sgorlassa pajon brucugnant! (Si rigetta sulla padella e la agita mentre con l’altra mano mena la polenta. Sculatta con natiche e ventre per darsi il tempo) Struja, sbacchia, smena svalugné scorievò (come ispirato, lascia ogni cosa per recarsi più in là sul palcoscenico. Mima di attizzare un altro fuoco. Ci pone sopra una pentola e rapidissimo versa strutto e altri ingredienti per il soffritto) Grasa de purzel, bogna de stüsa, arborì canèla (getta velocemente ogni ingrediente come in un rito religioso. Mima di rincorrere un pollo) pulastu vegne chi-ló… che t’ha scueli (allunga il braccio e con velocità da gatto afferra il pollo e gli torce il collo. Emette grida disperate da pennuto scannato) CAIECOOO SGRIEE IOCCHIRECHE… TOC! (Si osserva la mano destra dopo uno scatto repentino) Sé stacà: gh’ho strampà neto la crapa! (Si porta l’immaginaria testa del pollo alla bocca e la divora in un botto) Bon! (Getta il pollo nella pentola e la solleva con scatti da maestro cuoco. Uno sguardo rapido all’altra padella dove frigge la carne. Allunga un braccio, con la mano afferra il manico e fa saltare la padella. Anche l’altra mano agisce in contrappunto. Girando netto sul dorso, afferra il bastone e rimesta la polenta, ma le pentole sono tre e lo Zanni può agire solo con due braccia. Quindi spregiudicato, come fosse prassi normale, si infila il bastone fra le natiche e agitando le medesime continua a far saltare padella e pentola eseguendo una danza davvero spassosa e funzionale) Stralup pelosoo vuoi, vuoi, balengo patrafé spignì, vuoi, vuoi! (Con scatti rapidi abbandona quella danza, afferra la padella del primo fuoco e rovescia il manzo stracotto dentro la marmitta della polenta. Infila il bastone nel paiolo e rimesta con forza, gridando) Ah, pulentun, carnassa svergula impastò! (Quasi come indemoniato si avventa sull’altra padella) Polastro, a vegni… te magni straculò! (Afferra con le mani il pollo, ma si scotta) Ohi, che brusatada! La furzina (forchetta) SGNAC (Infila il pollo con un forcchettone. Quindi afferra un coltellaccio e mena fendenti verticali sul pollo)A tochi te fago polun anca a ti… STRAC STRAZAC! Boia ol dido, me son tajàt ol dido! (mima di afferrare il tocco di dito che è rotolato a terra. Lo raccoglie e lo avvicina al tronco mozzo piagnucolando) ol me dido, poareto destacà! No gh’ho pì el dido (lo osserva, lo solleva avvicinandolo al viso, quindi voracissimo se lo mangia) Bon! (Quindi rovescia il pollo fatto a pezzi dentro la marmitta della polenta, infila il bastone e lo agita “roversando” e sbattendo il pastone succoloso. Afferra i manici del gran paiolo, pianta bene i piedi a terra, solleva il paiolo e, inarcando le reni e spingendo il ventre in avanti, attacca le labbra al paiolo. Si ingoia tutto il pastone fumante. Rimette a terra la marmitta a mezzo svuotata, afferra il bastone ne rimena i bordi per intingerli nel restante papocchio. Si porta alla bocca il bastone a mo di mestolo una, due,tre volte finché non finisce per infilarsi in gola tutto il bastone. Lo Zanni resta impalato. Si agita, da botte a scatto col ventre, il petto e le natiche finché fa a pezzi il palo e lo digerisce con gran rutto finale. Perplesso si porta le mani alla bocca ed esclama) Pardon! (Una lieve pausa. Lo zanni sembra risvegliarsi. Si guarda intorno, si palpa il ventre. Lamentoso, addolorato) L’è staìto un insognamento… tüto sojamente un suegno. No’ è vera, no’ gh’ho magnao… (si guarda la mano) nemanco ol me dido m’e magnò! (Piange) Stuveico smalarbeto vignon! Imperchè m’è fàiti ‘sti schersamenti de bofoneria (Piange ed emette un lamento quasi infantile) EHIEE, OHIEEE (Il lamento si trasforma nel ronzio acuto di un moscone) VUHEEE VUHIII (Lo zanni lo segue mentre l’insetto fastidioso gli vola intorno. Il moscone compie evoluzioni beffarde intorno al suo naso, poi allarga i giri, va via. L’insetto sembra sparito, ma ritorna più insolente che mai e va a posarsi sul naso dello zanni che resta bloccato con gli occhi che si incrociano sulla sua canappia. Le dita di una sua mano s’arrampicano lungo il collo mentre quelle dell’altra scendono dalla nuca. Cercano di circondare il moscone: veloce la mano che sta sulla fronte scatta e afferra l’insetto infame. Sprizzando gioia inaudita lo zanni urla) L’ho catao! L’ho catao! (Sbircia fra le dita serrate e esclama radioso)Bello! (Torna a sbirciare, quindi al pubblico) Grosso, grasso! (Infila due dita della mano libera fra quelle dell’altra chiusa a trappola. Mima di estrarre, stretto fra due dita, il moscone. Lo mostra al pubblico con gesto trionfante) Va che bestia! (Stupefatto) Che animal! (Gli stacca una zampina e la mostra) Un parsiutto! Va che giambon sbrigulante! (L’azzanna, mastica vorace e ingoia goloso mugolando per il piacere. Quindi afferra l’altra gambina e la descrive) Ohi questa che grassonassa! Straprosiutto d’un gambeton! (Lo sbrana con sospiri e deglutisce ispirato. Considera la carcassa dell’insetto ed esclama) Oh, le aline… bele quatro aline! (Le stacca delicato e le inghiotte rapido. Assapora) Bone… dolze e gh’è dei disgrasiò che i büta via! (Osserva ispirato quel che rimane dell’insetto) Che petoron: questo me lo magno tüto entrego (mima di afferrare da una saccoccia una piccola saliera. La scuote come per cospargere il succulento boccone di sale. Quindi porta l’ultimo tocco alla bocca, lo mastica lento come per goderne lo straordinario sapore. Mugola a ogni masticata ed emette un grido quasi a imitare un orgasmo da infarto. Deglutisce, con un gran sospiro si batte una gran manta sul petto e trionfante se ne va esclamando) Che magnàda!