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Dalla parte del paziente - Dott. Lorenzo Castellani

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Dalla parte del paziente - Dott. Lorenzo Castellani
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FOCUS ON
Dalla parte del paziente
Chirurgia dell’anca nel nuovo e nel vecchio Continente
I vissuti di due pazienti raccontati in prima persona
Molto spesso dimentichiamo che accanto alle nuove tecnologie, ai progressi della scienza medica e
alle innovazioni dei materiali non c’è solo un paziente ma una “persona”.
Paure, perplessità, aspettative.
Il vissuto del paziente percepito dall’interno: un’esperienza diretta per capire come chi si trova sul
letto operatorio vive ogni attimo del suo percorso.
Confronto tra due esperienze dirette: l’Italia e l’America, due nazioni, viste attraverso gli occhi di
chi ha vissuto in prima persona un intervento di chirurgia ortopedica maggiore.
articolo di Lorenzo Castellani e Matteo Laccisaglia
Quando la malattia diventa il personaggio principale
Non avevo ancora 50 anni quando sono iniziati i primi
dolori al ginocchio e alla gamba sinistra. Si sono ipotizzate vecchie cadute e antichi traumi per il ginocchio,
mentre una protrusione alle vertebre dorsali sembrava
essere la causa dei dolori alle gambe.
Solo dopo una radiografia al bacino, la diagnosi è stata
quella di displasia congenita alle anche. Ma sia per la
mia struttura taglia small, sia per l’età, la medicina tradizionale mi consigliava di continuare a mantenere la
muscolatura in forza per sostenere il bacino e rimandare
il più tardi possibile l’intervento. Era proprio quello che
volevo sentirmi dire in quel momento per permettermi
di mettere il problema "anca" all’ultimo posto tra le mie
priorità.
Vivevo una situazione personale psicologicamente difficile e tra mille incertezze, l’intervento mi spaventava
molto e l’idea di mettere una protesi mi faceva sentire
“finta”.
Ma tutto è degenerato molto velocemente e in pochi
anni mi sono trovata a gestire un’ulcera, una forte anemia e un’ operazione inevitabile.
Intanto il dolore si faceva sempre più intenso, non c’era
posizione che mi permettesse di alleviare il male: sdraiata, in piedi, seduta, non c’era pace. La notte poi era un
inferno, conoscevo tutti i rumori della strada, del pianerottolo, dei vicini. Cercavo in pillole magiche la possibilità di riposare almeno qualche ora. Di giorno per percorrere un breve tratto di strada, impiegavo un tempo
“
L’intensità del dolore
influisce in modo determinante
sulla qualità della vita
“
interminabile, sforzando la gamba meno danneggiata. I
semafori erano un incubo; abituata come sempre a correre, non mi ero mai accorta di quanto fosse veloce il
passaggio dal rosso al verde, lasciandomi sempre a metà
dell’incrocio.
Un intervento inevitabile
Inevitabile, il giorno del ricovero era arrivato. La paura
contrastava l’insofferenza al dolore e non ricordo quale
fosse più forte. Ma entrata in ospedale mi sono sentita
subito inghiottita in una dimensione diversa. Tolti gli
abiti sani e indossati quelli da malata, si entra in un vortice di controlli, analisi, medicine, medici, infermieri e
la tua malattia diventa il personaggio principale. Poco
sapevo sull’intervento, perché poco avevo voluto sapere, mi spaventava troppo solo sentire il termine "protesi". Poi l’intervento: la preanestesia, l’anestesia epidurale, la sala operatoria, e allora ti accorgi che non puoi più
tornare indietro, che non puoi scappare ancora con le
tue gambe.
Dopo l’operazione sono rimasta in osservazione per tutta
il giorno e la notte in una grande stanza, da me soprannominata "l’acquario". Monitorata ogni momento e
sdraiata nel lettino, tremavo per i postumi dell’anestesia. In quella stanza silenziosa, si sentiva solo il passo di
alcuni infermieri e dei medici che entravano per i controlli. A destra in alto la macchina che recuperava il
mio sangue faceva un rumore continuo. Non riuscivo a
muovermi e in particolare non muovevo la gamba, ma
mi mancava ogni forza per parlare e in quel bianco
silenzio solo la mia mente pensava e pensava e forse pregava per far finire in fretta quella giornata.
La mattina dopo avrei iniziato la fisioterapia. Ma quale
fisioterapia sarebbe stata in grado di farmi compiere
anche un solo piccolo movimento? "Tra pochi giorni
farà anche le scale", mi diceva il fisioterapista entrando
sorridendo e molto sicuro in ogni suo gesto. Qualunque
esercizio, anche il più semplice, mi sembrava impossibile: imparare a sedersi sul letto, ad alzarsi, a muovere i
primi passi sono piccole conquiste quotidiane e in breve
tempo ero in grado di muovermi con disinvoltura con le
stampelle e percorrere quel lungo corridoio, che il primo
giorno avevo misurato a fatica.
Porgi l’altra gamba
Era fine maggio e faceva molto caldo. Mi piaceva guardare dalla finestra le rondini, i tetti rossi dal sole e
sognare di uscire, ma avevo anche paura di trovarmi da
sola per la strada. Una sera una visita inattesa avrebbe
di nuovo cambiato i miei programmi. Il chirurgo mi
consigliava di operare anche la seconda anca e di non
rimandare l’intervento di sei-otto mesi come previsto
inizialmente.
Lo guardavo piangendo e mentre la sua voce si faceva
metallica e lontana, io ripensavo all’anestesia, alla sala
operatoria, all’acquario e alla mia vita. Non ero riuscita
a capire i pro e i contro che mi elencava, avevo solo percepito la parola "inevitabile": non si può evitare. E tutto
è ricominciato in meno di 24 ore, ma tutto è anche finito e tornata a casa con le mie stampelle ero certa di non
riprendere più a camminare.
Il ritorno alla vita
Eppure un po’ per volta, giorno dopo giorno in un mese
camminavo da sola senza più sostegni. Ho ripreso tutte
le attività che svolgevo prima: non posso dire di non
ricordare di avere due protesi, però a volte mentre scendo con gli sci da una delle mie piste preferite dimentico
tutto quello che ho passato per tornare a sentire la neve
sotto i miei scarponi.
Soluzione mininvasiva
e una protesi metallo-metallo
per tornare a correre
Da maratoneta professionista capite bene come sia stato
duro scoprire di non poter più andare avanti con un’anca
completamente consumata. Le mie prestazioni erano in
calo continuo e l’unica scelta per continuare a correre era
la sostituzione protesica della mia articolazione. Diventa
come una dipendenza, dopo anni di allenamento non si
può più fare a meno di correre.
La visita medica ortopedica ho scelto di farla a New York,
dopo aver cercato su internet quale fosse il miglior centro
per questo genere di chirurgia. Con il vantaggio che si
tratta di solo 80 miglia da casa mia, distanza percorribile,
traffico permettendo, in circa due ore di macchina.
Sulla base delle informazioni ricevute durante i colloqui
ambulatoriali, ho deciso di optare per la chirurgia miniinvasiva. Questo significa che avrei avuto lo stesso
intervento, ma è come se si giocasse a fare l’incisione il
più piccolo possibile in rapporto ovviamente alle tue
dimensioni: tanto più magro e piccolo di costituzione
sei, tanto più è piccola l’incisione. Inoltre ho scelto che
mi venisse impiantata una protesi metallo-metallo per
la sua resistenza e per il fatto che si può utilizzare una
testa molto grande che permette un ampio movimento e
una maggiore stabilità. Data la mia professione mi è
sembrata la scelta ideale.
Un paziente deciso e caparbio
Una volta deciso sono andato avanti per la mia strada e
sono entrato in ospedale la mattina stessa dell’intervento. L’intervento è stato fatto in anestesia locale con un
farmaco per sedarmi e permettermi di dormire durante
la chirurgia. Mi sono svegliato verso le 3 del pomeriggio
in terapia intensiva post-operatoria e devo dire che non
“
Motivazione e compliance
del paziente fanno la differenza
in qualsiasi terapia
“
ho alcun ricordo della sala operatoria.
In prima giornata ho provato ad alzarmi con un girello
per la prima volta. Ho camminato tre passi avanti e tre
indietro. Mi girava la testa e così la fisioterapia è terminata subito. Un po’ probabilmente era anche dovuto al
controllo del dolore con la morfina.
In seconda giornata mi hanno sospeso tutti gli antidolorifici e mi ha sorpreso molto che l’atteso dolore non sia
arrivato per niente. Ho percorso mezzo corridoio con il
girello e sono tornato indietro. Nel pomeriggio ho camminato per tutto il corridoio senza mai avere giramenti di
testa.
In terza giornata mi è stato permesso di provare a fare le
scale usando un bastone.
In quarta giornata ero in grado di camminare con le stampelle e salire agevolmente le scale. Per questo sono stato
dimesso.
Missione compiuta
Ho avuto un problema nel viaggio di ritorno dato che
per il traffico dovuto ad un incidente ci sono volute più
di 3 ore per tornare a casa e questo mi ha causato un po’
di rigidità all’anca operata, paradossalmente non mi ha
causato dolore se non alla schiena!
Nel giro di una settimana dall’intervento ero completamente mobile e senza dolore. A 6 settimane ho lasciato
le stampelle e ho potuto ricominciare a guidare la macchina.
Consiglierei a tutti di superare le proprie paure e sottoporsi ad una chirurgia che permette di tornare a godere
della vita, ricominciando a fare tutto quello per cui vale
la pena vivere!
L’unico problema del metallo-metallo? La scorsa estate ho
viaggiato in Italia per le ferie e il metal detector in aeroporto è suonato! Istintivamente ho messo la mano in
tasca a cercare il certificato medico che attesta la presenza della mia protesi... non è stata una buona idea!
Comunque da allora in avanti ho sempre considerato di
arrivare con largo anticipo in aeroporto e ho dovuto abituarmi ad essere costantemente perquisito.
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