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divino il titolo di questo libro, divina l`aurea proporzione di Pacioli
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PUBBLICAZIONI STORICHE E ARTISTICHE
ANTOLOGIA DELLA DIVINA PROPORZIONE
di
Luca Pacioli, Piero della Francesca
e Leonardo da Vinci
di
D. Contin, P. Odifreddi, A. Pieretti.
La proporzione divina è il tema dell’Antologia, un
argomento affascinante che ha coinvolto i più importanti
protagonisti del Rinascimento e che tutt’oggi stupisce.
La più alta espressione del bello come percezione
umana, ci deriva da come la natura sappia esprimersi con
perfetti rapporti nelle forme, nelle collocazioni spaziali,
nell’equilibrio fra i colori e nelle cadenze musicali.
Inoltre, alla proporzione divina, che è essenzialmente
geometrica e matematica, rispondono sia le parti del
corpo umano, che opere dell’ingegno come i megaliti
di Stonehenge, la pianta del Partenone, la cattedrale di
Notre Dame, le sinfonie di Beethoven, la Primavera di
Botticelli e la Gioconda di Leonardo.
Anno di pubblicazione 2012
Formato cm 21 x 29
Confezione brossura legata
copertina rigida in tela,
ISBN 978-88-95642-83-3
Pagine 358, Illustrazioni 305
€ 89,00
divino il titolo di questo libro,
divina l’aurea proporzione di Pacioli,
divine le storiche illustrazioni di Leonardo.
Piergiorgio Odifreddi
L’Antologia fa comprendere come il tema della divina
proporzione abbia affascinato i più alti ingegni del
Rinascimento: Piero della Francesca, che nel Libellus
espone in nuce le teorie che saranno poi sviluppate
da Luca Pacioli nel De divina proportione e infine
interpretate graficamente da Leonardo da Vinci con i
poliedri.
Nel libro la rilettura attuale della figura di Luca Pacioli
e un inquadramento dei suoi interessi scientifici sono
stati redatti dal matematico Piergiorgio Odifreddi, dal
bibliologo Duilio Contin e dal filosofo Antonio Pieretti.
Duilio Contin, bibliologo, direttore della Bibliotheca
Antiqua di Aboca Museum.
Piergiorgio
Odifreddi,
matematico,
impegnato nella divulgazione scientifica.
scrittore
Antonio Pieretti, filosofo, esperto in linguaggio e
comunicazione.
ABOCA EDIZIONI
Palazzo Bourbon del Monte - Via Niccolò Aggiunti, 75 - 52037 Sansepolcro (AR) - Tel. 0575 733589 - www.abocamuseum.it
Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli:
rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
Duilio Contin
Direttore della Bibliotheca Antiqua
Centro Studi di Aboca Museum
Divina proportione. Opera a tutti gli ingegni perspicaci e curiosi necessaria.
Ove ciascun studioso di Philosophia: Prospectiva Pictura & Sculptura:
Architectura: Musica et altre Mathematice: suavissima, sottile e admirabile
doctrina conseguirà et delecterassi con varie questione de secretissima scientia
È il titolo scelto da Luca Pacioli, che riassume l’universalità dei campi di applicazione
della “divina proporzione”. Le sue proprietà geometriche e matematiche e la sua
frequente riproposizione in svariati contesti naturali, hanno affascinato nei secoli la
mente dell’uomo, che è arrivato a cogliervi col tempo un ideale di bellezza, armonia,
e musicalità; gli appellativi “aureo” (sezione aurea) o “divino” (divina proporzione)
ne sono la prova. Alla proporzione “divina” rispondono le parti del corpo umano,
i megaliti di Stonehenge, la pianta del Partenone, la cattedrale di Notre Dame, le
sinfonie di Beethoven, la successione dei pianeti dal sole, la Gioconda di Leonardo,
la Primavera di Botticelli… e l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Del De divina proportione di Luca Pacioli esistono due soli esemplari manoscritti.
Uno è conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano e l’altro alla Biblioteca
Universitaria di Ginevra. Il testimone ginevrino, che è considerato il più importante
in quanto allestito per il duca Ludovico il Moro, non era stato fino ad oggi mai
riprodotto in facsimile a causa dei gravi guasti provocati sul supporto cartaceo
dall’azione di microrganismi. Ora, un paziente e certosino lavoro di “artigianato
digitale” ha permesso una fedele ricostruzione sia del testo, sia dei seducenti poliedri
disegnati da Leonardo da Vinci e sia infine delle splendide miniature esclusive, che
potranno essere ammirate nella loro bellezza originale.
Il risultato delle mie ricerche e osservazioni bibliografiche, effettuate nell’ambito
delle attività del Centro Studi Aboca Museum, si configura come una rassegna dei
commenti al De divina proportione inerenti sia ai due già menzionati manoscritti
(l’ambrosiano e il ginevrino) sia alla versione a stampa del 1509, realizzata a Venezia
presso la tipografia di Paganino de’ Paganini.
La lettura dei commenti antichi e moderni intende sottolineare le analogie e
le diversità fra i due codici e riaprire la discussione sulla paternità dei disegni dei
poliedri attribuita a Leonardo da Vinci. Alcuni antichi commentatori ci presentano
infatti l’artista Leonardo come l’incisore degli stessi suoi disegni su matrici per
stampa, matrici che tuttavia – occorre precisarlo – non sono mai state né rinvenute
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli: rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
Maestro dell’Epitalamio di Giasone del Maino. De divina proportione: Ludovico il Moro,
particolare da una miniatura, ms. 210, Biblioteca Universitaria di Ginevra (1498).
né pertanto utilizzate; sappiamo in realtà che fu invece compito e merito del giovane
stampatore Alessandro Paganino dedicarsi alle incisioni silografiche delle figure
geometriche dell’edizione veneziana.
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli: rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
Ambrogio de Predis. Ludovico il Moro, ritratto dal manoscritto Ars Minor
di Aelius Donaus (1496 ca.).
La prima parte di questa rilettura bibliografica è dedicata agli scritti relativi
al codice di Ginevra e comprende alcune schede catalografiche di indiscusso
valore storico, come quelle di Jean Senebier (1779) e di Hippolite Aubert (1911),
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli: rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
un Feuilleton dal Journal de Geneve (1917), una minuziosa recensione di Laura
Bertacchi (1982) e alcune pagine di un recente catalogo dell’esposizione ginevrina
La Renaissance italienne a cura di Noémie Etienne (2006).
I saggi proposti relativi all’aspetto artistico prendono in esame in particolare
le miniature del manoscritto di Ginevra, attribuite dalla storica dell’arte Cristina
Quattrini al celebre Maestro dell’Epitalamio di Giasone del Maino. Lo storico
Bernard Gagnebin, in un suo recente catalogo, riferisce la sua convinzione che
i poliedri di Ginevra siano stati disegnati da Leonardo a mano, mentre quelli del
codice Ambrosiano sarebbero stati tracciati “à la règle”.
Seguono i commenti all’edizione a stampa del 1509: iniziando dal Tractato de
Architectura, con le meticolose sintesi di Argante Ciocci e le analisi di Margaret
Daly Davis, si passa al Libellus de quinque corporibus regularibus, con le severe
osservazioni di Giorgio Vasari e il preciso esame tecnico dei matematici Enrico
Gamba e Vico Montebelli, per concludere con l’Alfabeto dignissimo, esaltazione
grafica delle lettere capitali, con riferimenti a due importanti “disegnatori” che
avevano preceduto e seguito Pacioli: Felice Feliciano e Ludovico Vicentino.
Il critico Herman Zaft intuisce uno stretto rapporto con le lettere raffigurate in
un trattato di Albrecht Dürer, conseguenza della plausibile ipotesi di un incontro di
Luca Pacioli con il maestro tedesco. E cita anche le belle forme create da Geofroy Tory,
umanista e tipografo francese contemporaneo di Luca. Seguono le osservazioni del
bibliografo Giacomo Manzoni e quelle dell’appassionata studiosa Angela Nuovo,
che ci aiuta a comprendere l’entusiasmo e l’impegno dello stampatore Alessandro
Paganino nel seguire e migliorare l’attività paterna.
I commenti che si riferiscono alla collazione fra i due manoscritti e la
comparazione con l'opera a stampa sono raccolti nella sezione successiva.
Bernardino Baldi nel suo trattato Le vite inedite di tre matematici, aveva ben
descritto il codice del francescano di Sansepolcro, attribuendo a Pietro Soderini,
gonfaloniere fiorentino, il merito di aver promosso e incoraggiato la versione a
stampa con l’aggiunta di due operette: una che «…esattissimamente insegna le forme
e le regole de gli antichi Caratteri Latini», un’altra «…ne la quale si fabbrica la
scala a gli Architetti et agli scultori». Possiamo avanzare l’ipotesi che già nel codice
manoscritto offerto al Soderini, del quale si è persa traccia, ci fossero degli scritti
supplementari che si ritrovano inseriti nell’opera a stampa.
Prendendo spunto dalle parole di Bernardino Baldi viene introdotta la questione
sugli schemata scalpta, le forme materiali dei poliedri che sarebbero state offerte da
Pacioli al Duca di Milano Ludovico il Moro, che «… di pretioso metallo e fine
gemme meriterieno essere ornati».
La comunicazione di Giovan Battista De Toni al Reale Istituto Veneto di
Scienze, Lettere e Arti (1905-1906), ripetuta e ampliata negli Atti della Società dei
naturalisti e matematici di Modena (1911), è un’attenta analisi bibliologica.
Don Ivano Ricci, acuto estimatore e concittadino del matematico di
Sansepolcro, nel suo contributo storico del 1940, sottolinea che Pacioli “si vantava
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli: rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
Maestro dell’Epitalamio di Giasone del Maino. De divina proportione: Luca Pacioli,
particolare da una miniatura, ms. 210, Biblioteca Universitaria di Ginevra (1498).
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli: rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
di quelle figure [leonardesche] delineate con tutta perfezione di prospettiva”; il
letterato Roberto Marcolongo, pochi anni dopo, si pronuncia sulla datazione dei
due manoscritti, affermando: “Nel più vecchio codice del De divina proportione,
ora alla Biblioteca civica di Ginevra…”. Seguono le dettagliate osservazioni della
celebre letterata Giuseppina Masotti Biggioggero, e del grafico e bibliografo
Franco Riva che, nella seconda metà del XX secolo, hanno commentato vari
facsimili e anastatiche.
Il compianto studioso Augusto Marinoni ci propone una lunga ed esaustiva
analisi del lavoro pacioliano, sottolineando alcuni passi dell’autore nei quali
parla di “pratica speculativa detta algebra et almucabala”, di “radici sorde» e di
aspra critica verso “li moderni edificii costruiti da sedicenti architetti che mai non
videro le coperte de lo excellentissimo volume del nostro dignissimo e gran matematico
Vitruvio”.
Lo storico della lingua italiana Enzo Mattesini ci offre un prezioso contributo
che descrive “l’impasto espressivo” del linguaggio di Luca Pacioli, che noi possiamo
immaginare orgoglioso di scrivere e pubblicare anche in volgare per favorire la
diffusione del sapere. Non troviamo purtroppo lo spazio, nella nostra rassegna,
per inserire pagine dedicate ai rapporti del "divino nombre" con la musica, con
la natura e con le arti chiamate minori, portando ad esempio i componimenti di
musicisti antichi e moderni e le tarsie con i poliedri di Giovanni da Verona.
Conclude la raccolta il confronto fra le immagini dei due manoscritti e quelle
dell’edizione a stampa del 1509.
Ora alcune considerazioni finali.
È indubbio che quello della “divina porportione” è il tema che ha unito alcuni
dei massimi protagonisti del Rinascimento italiano quali Piero della Francesca,
Leonardo da Vinci e Luca Pacioli : Il Libellus di Piero espone “in nuce” le teorie
esposte da Luca nel De divina proportione, mentre Leonardo le recepisce e le
interpreta graficamente.
È palese che i due manoscritti (l'ambrosiano e il ginevrino) siano certamente
trascritti dallo stesso copista, con scrittura umanistica rotonda, che ha ripetuto quasi
sempre le medesime parole sulle pagine corrispondenti dei due codici; come dirò in
seguito, si possono ritenere opera del calligrafo Giovan Battista de' Lorenzi.
Le figure dei poliedri sono 60 in entrambi i manoscritti, ma due di esse
sono diverse: in quello dell’Ambrosiana c’è la Piramis laterata exagona vacua,
contrassegnata dal numero LXI, mentre in quello di Ginevra c’è una figura forse
incompleta, molto particolare, che reca la scritta Hec figura est superflua ex errore
(senza numerazione).
Inoltre il Poliedro contrassegnato con il numero XLIII, Columna laterata triangula
solida, è lo stesso sui due testi, ma disegnato con una diversa angolazione.
Nella pubblicazione a stampa i poliedri sono 59: risulta mancante la Columna
rotunda vacua.
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli: rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
Pacioli e Leonardo alla corte di Ludovico Sforza.
Affresco di Nicola Cianfarelli, 1841. Museo della Specola di Firenze (part.).
Confortati dai pareri di studiosi antichi e contemporanei, possiamo sostenere
la tesi che Leonardo da Vinci abbia personalmente disegnato i poliedri dei due
manoscritti o che, in subordine, abbia strettamente sovrinteso al loro disegno.
La colorazione dei poliedri di Ginevra risulta quasi monocolore e non ha la
vivacità cromatica di quella milanese. Possiamo ipotizzare che abbia perso il suo
splendore in seguito a trattamenti di pulizia e disinfezione delle carte attaccate da
microrganismi o al fenomeno di sbiadimento provocato dai microrganismi stessi.
È da escludere che nei secoli passati ci sia stato un ritocco di colore.
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Il De divina proportione di Luca Pacioli: rassegna bibliografica sui manoscritti e sull’opera a stampa
Le didascalie dei poliedri sono comuni ai due manoscritti: lettere capitali (quasi
da lapidi dedicatorie) in lingua latina nel cartiglio e scrittura minuscola greca
nell’iscrizione a pie’ di pagina. Osserviamo un altro particolare decorativo che
distingue i due codici: in quello ginevrino, il “fiocco” sotto il cartiglio è corto e
colorato di rosso, come rossi sono il filo che congiunge i cartigli ai poliedri e la
numerazione della pagina; quello milanese è più lungo, ricco e colorato con tonalità
diverse. Nell’edizione a stampa i solidi sono privi di decori e fili di sospensione.
Le tre copie originali del trattato (di cui una deperdita), compilate probabilmente
in contemporanea, erano state preparate l’una per il dedicatario Ludovico il Moro
duca di Milano, le altre per essere donate al nobile Galeazzo Sanseverino e al
gonfaloniere di Firenze Pietro Soderini. È questo il motivo che autorizzerebbe a
pensare che il manoscritto di Ginevra fosse quello più importante e prezioso in
quanto miniato appositamente per essere donato al Duca.
Soderini ebbe un ruolo importante nel suggerire a Pacioli di stampare l’opera a
Venezia e nel consigliarlo di aggiungere le parti relative all’architettura e alle lettere
capitali. Sfortunatamente - come s'è detto - il manoscritto a lui dedicato è andato
smarrito.
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Rassegna bibliografica
sui contenuti del Codice di Ginevra
Introduzioni e commenti di Duilio Contin
Scritti di:
Hyppolite Aubert, Duilio Contin, Noémie Etienne, Bernard Gagnebin,
Enzo Mattesini, Cristina Quattrini, Jean Senebier
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Rassegna bibliografica
Duilio Contin
Miniature e scrittura del codice ginevrino
L’artista indicato come il miniaturista del De divina proportione di Ginevra è
noto in quanto autore del frontespizio del celebre Epitalamio composto da Giasone
del Maino (giureconsulto e storico vissuto dal 1435 al 1519) in occasione delle
nozze di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este. Questo frontespizio lo fece conoscere
con il nome di Maestro dell’Epitalamio.
È citato anche come collaboratore della bottega milanese di pittura e doratura di
Giovanni Antonio de Predis, il più anziano seguace di Leonardo da Vinci. Questo
confermerebbe la conoscenza fra il Maestro dell’Epitalamio e Leonardo da Vinci
e di conseguenza anche la frequentazione con lo stesso Luca Pacioli, che all’epoca
condivideva a Milano, con il maestro di Vinci, la stessa corte e lo stesso ambiente
Maestro dell’Epitalamio di Giasone del Maino. Miniatura da De divina proportione, ms. 210,
Biblioteca Universitaria di Ginevra, (1498), c. Ir.
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Parte II - Il De divina proportione della Biblioteca Universitaria di Ginevra
Rassegna bibliografica: Contin
culturale: la produzione artistica della città lombarda di fine secolo raccoglieva
qualche influenza fiamminga, qualche resto di gotico cortese e si esprimeva con
qualche accenno di modernità rinascimentale.
Le esclusive miniature del manoscritto di Ginevra onorano la figura di Ludovico
il Moro, potente mecenate di Leonardo e di Pacioli; consideriamo la scena della
simbolica consegna del codice: in quel momento solenne tutto è estremamente
semplice e il vero protagonista è il libro sollevato da Pacioli con religiosità.
Mancando al manoscritto di Ginevra la coperta originale, questa miniatura ci
ha dato spunto per riprodurre per il facsimile del De divina proportione una coperta
storicamente ineccepibile, cioè quella del codice in mano a Pacioli.
Degni di nota anche il cartiglio-frontespizio rubricato, dal bel rosso intenso
con caratteri in oro, i disegni delle armi del casato riprodotti in due pagine diverse
e i vari capilettera parlanti, dalle tinte ben conservate. La miniatura di Ginevra
differisce completamente da quella di Milano nel soggetto e nelle varietà di tinte
usate.
La scrittura umanistica rotonda del codice ginevrino, bella, precisa e costante,
pare essere del medesimo copista di quello conservato all’Ambrosiana; raffrontando
le pagine, le differenze sono minime e consistono solo nel fatto che le parole talvolta
non sono scritte sulla stessa riga.
Il copista dei manoscritti del De divina proportione potrebbe, a mio giudizio,
essere identificato con il calligrafo Giovan Battista de' Lorenzi, attivo a Milano
esattamente in quel periodo, compilatore di altri codici con una scrittura a dir poco
corrispondente.
Questa parte della rassegna, oltre ai contributi di tema artistico sulle miniature,
comprende alcune catalogazioni antiche, che diventano documenti ufficiali per la
storia di questo codice, e alcune moderne recensioni.
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LE DIVINE PROPORZIONI
Piergiorgio Odifreddi
Se una parola può esprimere l'essenza dell'arte classica, quella parola è
proporzione, alla quale i Greci diedero il significato preciso di «uguaglianza di
rapporti».
Le più semplici proporzioni sono quelle fra due sole grandezze, il cui rapporto
è uguale a un rapporto fissato in partenza. Ad esempio, nell'Architettura
Vitruvio riferisce che il rapporto fra l'altezza e la larghezza delle colonne
doriche doveva essere di 6 a 1, e corrispondeva al rapporto fra l'altezza di un
uomo e la lunghezza del suo piede. Le colonne ioniche erano invece basate
sul rapporto di 8 a 1, corrispondente allo stesso rapporto in una donna.
Per quanto riguarda la proporzione fra tre grandezze a, c e b, i Greci
definirono i seguenti tre tipi:
▪ aritmetica quando le differenze fra le tre grandezze sono costanti, cioè c-a
= b-c, come per 1, 2, 3;
▪ geometrica quando i quozienti sono costanti, cioè c/a = b/c, come per 1, 2,
4;
▪ armonica quando gli inversi sono in proporzione arimetica, cioè 1/c – 1/a =
1/b – 1/c, ovvero (c-a)/a = (b-c)/b, come per 2, 3, 6.
Il numero intermedio c si chiama media degli estremi a e b, e i tre tipi di
proporzione producono dunque tre tipi di media:
▪ aritmetica, cioè (a+b)/2
▪ geometrica, cioè la radice quadrata di ab
▪ armonica, cioè 2ab/(a+b).
Un tipo particolare di proporzione si ha quando la maggiore delle tre
grandezze è la somma delle altre due, cioè b = a+c: in tal caso la
proporzione geometrica si riduce a c/a = (a+c)/c, ed è probabilmente il
rapporto più studiato nella storia dell'arte, di valore numerico pari alla metà di
1 più la radice quadrata di 5, cioè approssimativamente 1,61803.
I nomi che gli sono stati dati nel corso dei secoli, da sezione aurea a divina
proporzione, suggeriscono che in essa sia coinvolto qualcosa di
sublimemente estetico. O almeno, cosí pensavano i pitagorici che la
scoprirono, verso il sesto secolo p.e.V. Uno dei motivi della sua attrazione
estetica è certamente il fatto che la sezione aurea interviene nella
costruzione del pentagono regolare, e dunque del dodecaedro.
Forse a causa della sua difficoltà di costruzione, molto maggiore di quella del
triangolo, del quadrato, dell'esagono e dell'ottagono regolari, il pentagono
non costituisce la pianta di molti edifici: il più noto è il Pentagono di
Washington, sede del Ministero della Difesa statunitense. Figure e solidi in
proporzioni auree sono invece stati usati a bizzeffe, a partire dagli Egizi: dalla
Stele di Get di Abidos, alla Camera d'Oro per la sepoltura del faraone nelle
piramidi.
La più nota figura in proporzioni auree è certamente la cosiddetta stella
pitagorica, un simbolo che ha avuto un potere d'attrazione nella storia pari a
quello di pochi altri. Si tratta di quella figura a cinque punte che si ottiene
tracciando le diagonali di un pentagono regolare, che in Italia oggi noi
associamo automaticamente alle Brigate Rosse. Ma il suo utilizzo
rivoluzionario ha radici lontane: essa non è infatti altro che la famosa Stella
rossa sulla Cina dell'omonimo libro di Edgar Snow (1938), ed è stata adottata
in periodi diversi dall'Armata Rossa, dalle Brigate Garibaldi, dai Vietkong e
dai Tupamaros.
Cosa ci sia di divino, o di aureo, nella stella pitagorica, è difficile da intuire a
prima vista: certo non il fatto che essa, avendo tante punte quante sono le
lettere del nome Jesus, possa impaurire il demonio, come succede a
Mefistofele nel Faust di Goethe (1808). Ma una volta che si cominci ad
apprezzare l'equilibrio del rapporto aureo tra la diagonale e il lato del
pentagono regolare, si scoperchia una vera cornucopia.
Anzitutto, il rettangolo aureo avente per lati i due segmenti ha una magica
proprietà, illustrata dalla divisione in due scene della Flagellazione di Cristo
di Piero della Francesca (1460): togliendo il quadrato costruito sul lato
minore, rimane un rettangolo che è simile a quello di partenza. Al quale,
naturalmente, si può riapplicare lo stesso procedimento, e cosí via,
innescando un inarrestabile processo che costituisce una delle prime
immagini storiche dell'infinito.
Un'altra immagine dell'infinito, ancora più evidente, si ottiene notando che i
lati della stella pitagorica formano al centro una figura che non è altro che un
nuovo pentagono regolare. Dentro al quale, naturalmente, si può costruire
un'altra stella pitagorica, e cosí via. La successione telescopica di pentagoni
e stelle, simile a un esercito senza fine di bambole russe contenute una
nell'altra, suggerisce che la diagonale e il lato del pentagono siano
grandezze fra loro incommensurabili.
Ed è probabile che proprio questo sia stato il primo esempio di quelle
grandezze irrazionali, la cui scoperta mise in crisi il credo pitagorico che
«tutto è numero»: una delusione profonda, che scavò un solco fra la
razionalità scientifica che si poteva esprimere attraverso l'aritmetica, e
l'irrazionalità artistica di cui la sezione aurea rappresentava l'esempio
primordiale.
Non a caso, la leggenda riportata da Giamblico nella Vita di Pitagora narra
che Ippocrate di Chio fu radiato dalla confraternita dei pitagorici per aver
divulgato la costruzione del pentagono, cosí come Ippaso di Metaponto perí
in naufragio per aver analogamente divulgato la costruzione del dodecaedro.
L'attrazione estetica della sezione aurea rimase comunque immutata nei
secoli. Il primo campo in cui essa si è mostrata è stata la matematica: dagli
Elementi di Euclide (secolo {\sc iii} p.e.V.)\ a La divina proporzione di Luca
Pacioli (1509), gli addetti ai lavori si sono estasiati di fronte alla bellezza del
dodecaedro e dell'icosaedro, ottenuti l'uno mettendo insieme dodici
pentagoni regolari, e l'altro congiungendo i dodici vertici di tre rettangoli aurei
incastrati perpendicolarmente fra loro: una costruzione, questa, che appare
per la prima volta proprio nel libro di Luca Pacioli.
Anche gli artisti hanno subíto il fascino di questi oggetti, da Leonardo a Dalí.
Delle famosissime illustrazioni del primo per La divina proporzione non c’è
bisogno di parlare qui: basta sfogliare le pagine e guardarle. Nei Cinquanta
segreti dell'artigianato magico (1948) il secondo ha discusso non soltanto i
disegni di Leonardo, ma anche il proprio personale uso della stella pitagorica
nell'impianto della Leda atomica (1949), oltre che del dodecaedro nella
struttura de L'ultima cena (1955).
Se in pittura la sezione aurea si presenta come paradigma di proporzione
estetica, non stupisce ritrovarla anche nella scultura e in architettura, da Fidia
a Le Corbusier. Addirittura, spesso il rapporto numerico tra diagonale e lato
del pentagono viene appunto indicato con Φ o Phi, in onore del primo, oltre
che di Fibonacci.
Quanto a Le Corbusier, il suo Modulor (1948 e 1955) prende
significativamente il nome da «module d'or», e utilizza la sezione aurea per
determinare due serie, una rossa e una blu, di dimensioni armoniche a
misura d'uomo, da utilizzare nella progettazione non solo degli edifici, ma
anche dei mobili e degli oggetti di casa. Le Corbusier lo usò in vari suoi
lavori, ad esempio nella progettazione della città indiana di Chandigarh e dei
suoi principali edifici pubblici, negli anni '50.
Anche nella musica la sezione aurea ha giocato un ruolo, da Bach a Bela
Bartok. Il primo popolarizzò nei 48 preludi e fughe del Clavicembalo ben
temperato (1722 e 1742) il sistema di temperamento equabile, che
corrisponde matematicamente a una spirale aurea (per inciso, la divisione
aurea dell'ottava corrisponde all'incirca alla sesta minore, cioè all'intervallo
mi-do). Il secondo invece era cosí affascinato dalla sezione aurea che la usò
ripetutamente, ad esempio per equilibrare le parti della Musica per archi,
percussioni e celesta (1936) e della Sonata per due pianoforti e percussioni
(1937).
Ma l'aspetto forse più stupefacente della sezione aurea, è che essa compare
in innumerevoli fenomeni naturali, spesso approssimata dal rapporto fra due
termini successivi di una sequenza di numeri scoperta nel 1202 da Leonardo
da Pisa, detto Fibonacci, nel suo Libro dell'abaco, come soluzione di un
problema relativo alla riproduzione dei conigli. La successione parte da 0 e 1,
e a ogni passo procede sommando i due numeri precedenti: la sequenza
continua dunque con 1, 2, 3, 5, 8, 13, eccetera.
La successione di Fibonacci era già stata considerata secoli prima in India da
Virahanka, e descritta esplicitamente nel 1133 da Gopala, come soluzione di
un problema relativo alla metrica di poesie (matra-vitta) con un numero
costante di sillabe, ma un numero arbitrario di lettere: ogni metro è, infatti, la
somma dei due precedenti.
Per quanto riguarda l'arte, i primi elementi della successione compaiono in
Numeri innamorati di Giacomo Balla (1925), oltre che in varie opere di Mario
Merz, da Fibonacci Naples (1970) all'installazione permanente Il volo dei
numeri sulla Mole Antonelliana di Torino (1984).
Le apparizioni della successione in natura sono invece talmente ubique, da
riempire da anni i numeri della rivista quadrimestrale The Fibonacci Quaterly.
Altrettanto vale per le altre manifestazioni della sezione aurea, descritte nei
classici Le curve della vita di Theodore Cook (1914) e Crescita e forma di
D'Arcy Thompson (1917), e compendiate più recentemente in La sezione
aurea di Mario Livio (2002).
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