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testimonianze
la giornata della memoria la giornata
dal Lager di Bolzano
Testimonianze
a cura di Cinzia Villani
Testimonianze
Doc. 1 - Egidio Menghetti, docente di farmacologia all’Università di Padova, fu massimo
ispiratore della resistenza in Veneto. Militante
del Partito d’Azione, fu arrestato nel gennaio
1945 e rinchiuso nel marzo di quell’anno nel lager di via Resia. Di seguito pubblichiamo parte
di una lirica in dialetto veneto ispirata dalla sua
esperienza concentrazionaria1.
Lager
Bortolo e l’ebreeta
TESTIMONIANZE
STORIE
Vissìn dela città
soto coline
ingarbuiade d’erba sgrendenà
se quacia el campo de concentramento:
tuto atorno ’na mura de cemento
e ’na corona rùsena de spine;
davanti, sul portòn de piombo e fero,
’na gran parola impinturà de nero
LAGER
e drento, su do file, blochi sgonfi
de slorda, de fetori, e de pioci.
In meso a le do file un largo spiasso,
in fondo, de traverso, longo, basso,
schissà par tera, el bloco dele cele
e, drio, la tore dele sentinele
pronte col mitra par spassàr el campo2 .
L’arrivo
Doc. 2 - Don Paolo Liggeri fu uno dei politici
trasferiti agli inizi del luglio 1944 da Fossoli a
Bolzano. Il 5 agosto 1944 fu
deportato a Mauthausen e quindi nel campo satellite di Gusen;
verrà liberato a Dachau il 29
aprile 19453.
Questo campo di Bolzano è
ancora in fase di allestimento.
Ci hanno sistemato alla meglio in enormi autorimesse,
dove restiamo chiusi per intere
giornate. Non c’è acqua e nemmeno i più elementari servizi
igienici. […] I viveri non sono
certo abbondanti e nemmeno
appetitosi. Come si fa a descrivere i colori cangianti di certe
brodaglie? e il sapore, soprat-
14 storiae
tutto? e l’odore? Ieri ci hanno dato un mestolo abbondante di una broda nera, destinata a sostituire
il caffè; e dentro ci hanno schiaffato un pezzo di
polenta. Alla buon’ora, ecco un piatto che non
avevo avuto mai il piacere di gustare. […] Questi nostri carcerieri si sono organizzati in modo
da farti benedire il giorno in cui sei ingaggiato a
lavorare. Oh, si tratta del più rudimentale lavoro
di facchinaggio! C’è un enorme quantitativo di
legname da trasportare dal nostro a un campo
vicino. Lo si trasporta a spalla o trainando carri
sovraccarichi. E ci pensano le SS a far sì che la
tua non sia una passeggiata da diporto, ma una
dura penitenza. Tuttavia, è così atroce rimanere
chiusi nei cameroni affollati, puzzolenti e senza
aria, che finisci col desiderare di fare il somaro,
trainando pazientemente, sotto la sferza del sole
e il pungolo dei guardiani, carri sovraccarichi di
legname4 .
Doc. 3 - Gino Dell’Olio, arrestato a Feltre nell’ottobre 1944 nel corso di un rastrellamento, fu
internato a Bolzano dove rimase sino alla liberazione. Tenne, chiaramente di nascosto, un diario
nel lager di Bolzano, che dopo la fine della guerra
integrò e completò5.
Ci ospita un grande capannone diviso in blocchi,
noi siamo nel blocco D […]. Ovunque vediamo
filo spinato. […] Apprendiamo subito che quello
è un campo di smistamento e di tanto in tanto ci
sono spedizioni per la Germania […]6 .
Doc. 4 - Padre Diego da Loreggia, al secolo Luigi
Carraro, fu arrestato il 2 gennaio 1945, richiuso
della memoria la giornata della memoria
nel carcere di Venezia sino al 26 di quel mese,
quando fu portato nel campo di Bolzano, dove
rimase sino alla liberazione7.
La prima cosa che ci fecero al campo, fu quella
di tagliarci i capelli a zero e a noi anche la barba, così vedemmo cadere dal
nostro mento con un senso di
mestizia il frutto di dieci anni.
Con la barba tagliata sembravamo dei veri galeotti. Quindi
ci condussero per i vari uffici
per darci gli oggetti del campo: due coperte, la gavetta, il
cucchiaio, il numero di matricola, un nastrino distintivo a
forma triangolare ecc. A noi
in magazzino tolsero l’abito e
ci vestirono da galeotti. […]
Il nastrino che indicava il motivo della cattura era un triangoletto di tela rossa o gialla
o verde o rosa a seconda del
delitto. Il rosa era il distintivo
dei rastrellati, di quelli, cioè,
che non avevano nessun crimine riconosciuto; il verde
era il distintivo degli ostaggi, persone, uomini e donne
(anche più individui di una
stessa famiglia), prese e portate dentro in luogo di qualche
parente disertore o dimorante
tra i partigiani, per esempio,
vi era un vecchio bellunese di
settanta quattro anni, il quale era dentro in luogo
di un suo nipote ed erano ormai sei mesi che era
dentro; il giallo, il distintivo degli Ebrei, i quali
non portavano il numero di matricola, perché non
erano considerati uomini; il rosso, il distintivo
dei detenuti politici e partigiani8.
Doc. 5 - Giannino Revere, di religione ebraica,
18
fu arrestato con la sua famiglia a Milano nel dicembre 1944 e incarcerato a San Vittore. Fra il
dicembre 1944 ed il gennaio 1945 fu trasferito
con tutta la famiglia nel campo di Bolzano, ove
rimase fino alla liberazione9.
I miei genitori, mio fratello ed
io siamo stati catturati nel dicembre 1944: l’arresto è stato
eseguito da tedeschi ed italiani
in borghese […]. Dopo circa
15, 20 giorni trascorsi nel
carcere di S. Vittore, siamo
partiti alla volta di Bolzano:
non avevamo alcuna idea di
quale sarebbe stata la nostra destinazione. Arrivati al
campo siamo stati spogliati
di tutto, rasati: ci hanno dato
un paio di pantaloni, una casacca, entrambi di tela e un
paio di zoccoli. Niente altro
per riparaci dal freddo, che a
Bolzano nel mese di dicembre
era veramente terribile!10
Permanenza
Doc. 6 - Ada Buffulini, arrestata a Milano, entrò in campo
nel settembre 1944 e ne uscì il
29 aprile 1945. Lavorò come
medico nell’infermeria del
campo, cercando di aiutare,
con i pochi mezzi a sua disposizione, i compagni di prigionia11.
Nel campo di Bolzano arrivava gente che di solito
stava bene, tranne quelli della celebre baracca E,
che era la baracca di quelli che consideravano
pericolosi. Non so come li chiamavano. Erano
in gran parte partigiani e molti di questi erano in
cancrena, per il freddo […]. Perché era inverno e
avevano le gambe in cancrena. E allora c’era una
puzza, un odore infernale e lì non c’era nessuno
che poteva entrare e loro non potevano venire
fuori12.
Doc 7 - Giannino Revere descrive la vita quotidiana in campo.
Mio padre, mio fratello ed io eravamo insieme
nel blocco C. La nostra giornata iniziava al mattino molto presto: ci si lavava, come colazione si
riceveva della specie di caffè d’orzo caldo, quindi
venivano formate le squadre, perché molti internati
andavano all’esterno del campo per lavorare. Per
pranzo ci davano una ciotola con dell’orzo o del
16. La piazza dell’appello, Lager di Bolzano.
17. La tuta del dott. Gino Meneghel, matricola
10119.
storiae
15
la giornata della memoria la giornata
brodo oppure brodo con dentro delle rape, tutto
senza sale e molto annacquato; mangiavamo anche
un piccolo pezzo di pane. La cena, consistente in
un po’ di pane nero, veniva distribuita solo a chi
lavorava; vecchi e bambini erano ancora meno
nutriti di noi13.
19
Campi satellite
Doc. 8 - Tullio Bettiol, arrestato a Belluno il 19
giugno 1944, arrivò il mese successivo nel lager
di Bolzano. Fu trasferito nei campi satellite di
Maia Bassa a Merano e Certosa in Val Senales,
da dove riuscì a fuggire il 3 febbraio 194514.
Il lager satellite di Merano è localizzato nelle
caserme di Maia Bassa, vicino all’ippodromo e
alla vecchia stazione ferroviaria. Qui si sta un po’
meglio che a Bolzano, sia come vitto che come
servizi. Il rituale è sempre lo stesso, con gli stessi
orari. La popolazione del campo è anche qui eterogenea: uomini e donne, triangoli rossi, gialli,
rosa e così via. In tutti saremo circa quattrocento.
Le donne sono antifasciste, partigiane, rastrellate,
prostitute. La maggior parte sono state arrestate
per attività politica e partigiana: alcun catturate in
combattimento o in operazioni di rastrellamento,
altre per avervi partecipato in modo episodico e
non organizzato, magari proteggendo partigiani,
ebrei o militari alleati. C’è in ogni caso una grande solidarietà tra loro, facilitata dalla coabitazione
e dal numero tutto sommato abbastanza ridotto
delle prigioniere. Si dorme su brande in grandi
stanzoni, le guardie sono sempre SS al comando
di un tenente o capitano. La disciplina è sempre
rigida. Non mancano le angherie, le punizioni,
le botte. Il lavoro è diverso, però sempre faticoso. A gruppi i prigionieri vengono portati alla
vicina stazione ferroviaria a scaricare dai vagoni
e caricare su camion merce di ogni genere, evidentemente razziata nei paesi invasi dai nazisti.
Si tratta di una gran quantità di tappeti, quadri,
seterie, tendaggi, ma anche generi alimentari,
sacchi di zucchero15.
Doc. 9 - Cäcilia (Cilli) Ennemoser, di Corvara in
Val Passiria, fu arrestata come sorella e cugina
di disertori nel corso di una retata il 21 settembre
1944. Fu rinchiusa nel lager di Bolzano e quindi
trasferita nel campo esterno di Colle Isarco16.
A Bolzano dovevamo cucire bottoni nelle caserme, ma a Colle Isarco dovevamo fare lavori
di pulizia in questi hotel delle SS. […] A Colle
Isarco era molto peggio che a Bolzano. […] Anche se a Colle Isarco dovevamo lavorare molto
di più che a Bolzano il cibo era ancora peggiore.
Al mattino del caffè nero, a mezzogiorno e la
sera sempre la stessa minestra. Non avevamo
paura degli uomini del SOD17 che dovevano fare
la guardia a noi. Una volta stavamo facendo i letti
in una stanza ed uno ci ha regalato un pezzo di
Speck. Ma questo non lo doveva sapere nessuno,
16 storiae
altrimenti sarebbero stati rinchiusi anche loro18.
Violenze
Doc. 10 - Tea Palman, arrestata a Trichina in
provincia di Belluno ove risiedeva, fu internata
a Bolzano, dove rimase fino alla liberazione. In
questa parte del suo “scritto di memoria” rievoca
la sua reclusione nel “blocco celle”19.
Avevamo come guardiani due ucraini, due assassini: uno si chiamava Otto e l’altro Miscia.
Otto era un bestione enorme, sembrava un gorilla. Avevo tanta paura di lui e cercavo sempre
di stare lontano dalla sua vista che purtroppo
era inevitabile. Ogni notte, quando i due uomini
ucraini uscivano dal corpo di guardia delle celle, trattenevo il respiro: dove andranno? Il cuore
batteva forte, i passi si avvicinavano ed il battito
aumentava, sempre più vicini, ed il cuore impazziva … eccoli… no! Hanno oltrepassato, un
grande e profondo respiro, il cuore pian piano si
calmava, il respiro tornava normale, battevo tre
colpi al muro, la dott. Ada mi rispondeva, anche
lei aveva sentito, aveva tremato, ci sentivamo
vicine, come se la parete non ci fosse. Così unite
ascoltavamo i soliti lamenti, la morte che scendeva in quella cella20.
Doc. 11 - Franco Varini, arrestato a Bologna, dove
viveva, l’8 luglio 1944, arrivò a Bolzano ai primi
d’agosto del 1944. Il 5 settembre fu deportato a
della memoria la giornata della memoria
Flossenbürg; fu liberato nei
pressi di Kottern, un sottocampo di Dachau21.
Il lavoro era pesante ma sopportabile, se non fosse stato
accompagnato da atti di violenza compiuti su di noi dalle
SS di scorta. Se costoro notavano segni di stanchezza, immediatamente ci aggredivano
colpendoci con calci, pugni
o addirittura usando il fucile come clava. Una volta un
anziano detenuto fu percosso
così duramente da un SS da
provocare l’intervento di un
sottufficiale della Wehrmacht
di stanza con i suoi uomini nei
pressi del nostro campo22 .
Doc. 12 - Testimonianza di
Giannino Revere.
Ho assistito a degli episodi
particolarmente drammatici:
fra i prigionieri c’era un ragazzo epilettico, era da solo
in campo, non aveva parenti e
non so neppure da quale zona
d’Italia arrivasse.
Proprio per la sua malattia
non ubbidiva alle regole del
campo, ad esempio non si
toglieva il berretto quando
passava un tedesco. Quante
botte ha preso! E’ stato rinchiuso nelle celle e da lì non
è più uscito, abbiamo visto solo passare il feretro.
E’ stato ucciso da due sorveglianti ucraini: fisicamente molto diversi fra loro - uno era enorme,
l’altro piuttosto mingherlino -, estremamente crudeli, erano terribili... terribili! Rammento anche
che un internato ha tentato la fuga, è stato ripreso
e ucciso a frustate. Gli episodi di violenza gratuita erano quotidiani: schiaffi, pugni, frustate...
Guai se non ci toglievamo il cappello quando
vedevamo passare un tedesco! Molto spesso però
non riuscivamo a vederli in tempo, non ce ne
accorgevamo subito! 23
Doc. 13 - Pietro Chiodi, partigiano, fu arrestato
il 18 agosto 1944 ed imprigionato nel carcere di
Torino. Arrivato il 2 settembre 1944 nel lager di
via Resia, fu condotto pochi giorni dopo in un
campo di lavoro vicino ad Innsbruck, da dove
uscì alla fine del settembre 1944 24.
12 settembre [1944]. Stamane un detenuto ha ten-
19. Michael Seifert.
20-21-22. Moneta utilizzata nel Campo per
l’acquisto di mele, castagnaccio, oggetti da
tato di fuggire. E’ un ragazzo di diciott’anni ed ha agito
come un pazzo. Faceva parte
di una squadra di lavoratori
che scavavano una galleria
nelle vicinanze del campo.
Improvvisamente se l’è data
a gambe per i campi. I tedeschi gli hanno scaricato le
armi addosso senza colpirlo.
Quando i suoi compagni sono
ritornati nel campo la notizia
si è diffusa in un baleno. Tutti pensavano che non poteva
riuscire, ma pregavano Dio
perché lo aiutasse. Le ore
passavano lente. Le motociclette delle SS andavano e
venivano ininterrottamente.
Improvvisamente, verso le
cinque, un camioncino è entrato nel campo e ne è sceso
il fuggiasco completamente
nudo e pieno di lividi. Le SS
lo sospingevano fra urla e
staffilate. Era un ragazzo di
media statura molto magro.
I tedeschi piantarono un palo
in mezzo al campo e ve lo legarono con le mani unite alla
sommità in modo toccasse
terra solo con la punta dei
piedi. Lo staffilarono ancora
e poi lo lasciarono con un
cartello al collo: “Sono ritornato dalla gita”. Doveva
essere svenuto. Il capo era
reclinato sulla spalla destra. Il volto contratto
nello spasimo, come fosse impietrito. […] Ogni
tanto un SS passandogli vicino lo colpiva con
una staffilata. Solo un lieve sussulto passava
per il corpo martoriato. Rimase così sino a sera.
Poi fu slegato e portato nelle celle di punizione.
Per tutto il giorno nessuno ebbe il coraggio di
passeggiare, come al solito, su e giù. Alla sera
ci privammo di parte della nostra razione. Da un
pacco potemmo togliere un po’ di pane bianco.
Due vecchi operai riuscirono a gettargli nella
cella questa poca roba da un finestrino collocato
non so dove. Erano vecchi del campo e non era la
prima volta che sfidavano le SS per recare aiuto
a un compagno25 .
Lavoro coatto
Doc. 14 - Renzo Ferlini, partigiano, venne catturato nel dicembre 1944 e rinchiuso nelle carceri
di Piacenza e Parma; portato a Bolzano alla fine
del gennaio 1945, vi rimase rinchiuso sino alla
liberazione 26.
Tutte le mattine, prestissimo, i tedeschi insieme ad un sudtirolese che noi chiamavamo capo
storiae
17
la giornata della memoria la giornata
campo27 , inquadravano i vari blocchi in mezzo al
campo per il controllo numerico e la preparazione
delle squadre di lavoro. I blocchi erano amministrati da detenuti: uno in veste di capo blocco ed
un furiere che dopo il controllo mattutino, consegnavano al capo campo (su apposito modulo)
la forza attiva, quella ammalata, quella adibita
a lavori, quella trasferita o morta del proprio
blocco. I due dovevano anche provvedere a far
trovare il blocco ordinato e pulito alle eventuali
ispezioni, distribuire quel poco brodo di orzo con
la pagnottella, a mezzogiorno e sera. Ai lavori
venivano inviati solo quelli scelti dal capo campo,
con possibilità di cambiamento solo se qualcuno
non si reggeva in piedi. Per quelli adibiti ai lavori il brodo veniva distribuito dai tedeschi sul
posto stesso. […] Eravamo adibiti al trasporto di
sassi ed altro materiale utile per la costruzione,
sorvegliati e guidati da due o più guardie armate
che non ci permettevano, per nessuna ragione, di
parlare con gli operi addetti ai lavori28 .
Doc. 15 - Racconto di Giannino Revere.
Il lavoro forzato era duro, anche perché noi internati eravamo sottoposti a continua sorveglianza;
solo la domenica pomeriggio potevamo riposare
un poco. […] Ho fatto parte di molte squadre di lavoro: sono stato impiegato alla stazione ferroviaria
per mettere a posto i binari, le traversine. Quando
bombardavano ci potevamo riparare solo sotto i
vagoni, non potevamo rifugiarci in altri luoghi.
Ricordo che nelle vicinanze c’era un tunnel, al cui
interno sono rimaste uccise molte persone a causa
di una bomba29 .
Doc. 16 - Dal diario di Gino Dell’Olio.
23. La piazza dell’appello, Lager di Bolzano.
24. Brentel Giovanni, nato a Feltre il
18 storiae
L’indomani veniamo suddivisi in varie squadre;
la più numerosa di queste, della quale faccio parte, viene caricata su due camion appena sciolta
l’adunata del mattino, sono circa le sei ed avviata
ad una galleria rifugio. Infagottati nella tuta, indossata sopra gli indumenti intimi, cappello e
zoccoli, entriamo nella galleria dove ciascuno
prende una pala od un piccone e veniamo scaglionati per tutta la lunghezza del traforo. E’ forse ora
che mi soffermi, per la prima volta, ad esaminare
la mia situazione: a distanza di pochi giorni, mi
trovo lontano dalla mia casa, dai miei affetti, dal
mio ufficio; con un piccone in mano mi trovo
in una galleria, spronato a compiere per lunghe
ore al semibuio un lavoro che non ho mai fatto, rumore assordante di macchine, perforatrici,
compressori, molta polvere, aria viziata. Sono
sorvegliato con le armi! Una tuta addosso, una
croce sulla schiena, un numero ed un colore, la
testa rapata [...]. Pesante lavoro di pala e piccone,
trasporto a braccia il pesante materiale, lavoro
ai carrelli, bitumatura, carico e scarico di pietre
pesanti. [...] Mi opprimono quella lunga permanenza al buio ed il lavoro
pesante. […] E’ vita dura:
fisicamente e moralmente.
[…] Per una quindicina di
giorni è sempre lo stesso
lavoro. Altri disparati lavori si susseguono poi, tutti
umilianti: scardinare rotaie
in stazioni da lungo tempo
abbandonate, caricare e
scaricare vagoni, pulire e
riordinare locali, fare sabbia al greto del fiume, caricare e scaricare tavoloni,
trasportare pesanti pietre.
Ed ancora: lavori interni
inerenti a costruzioni di
locali, trasporto di sabbia,
cemento, acqua, mattoni, pietre, bitume; fare la
malta, scavare buche antischegge, foderare con lame di legno e tavole
condutture esterne di acqua, al freddo, caricare
e scaricare pesantissimi motori, riordinare magazzini, la cava.[...] Spesso piove e nevica tutto
il giorno senza possibilità di ripararsi. Inzuppati
fino all’osso non c’è la possibilità di cambiare gli
indumenti e di prendere qualche cosa di caldo. Il
cibo è insufficiente, l’alcool e il tabacco proibiti.
[...] Per un periodo di tempo siamo andati lungo
la ferrovia per un pesante lavoro; quattro volte
al giorno percorrevamo sette chilometri anche
sotto al pioggia, il cibo scarseggiava, i piedi a
volte sanguinavano30 .
Doc. 17 - Theresia Raich, originaria di Stulles,
una frazione di Moso in Val Passiria, fu arrestata
il 21 settembre 1944 nel corso di una retata e
internata a Bolzano come Sippenhäftlinge, in
quanto sorella di disertori. Fu poi trasferita anche
nei campi satellite di Colle Isarco e Moso, fino
della memoria la giornata della memoria
alla liberazione 31.
Dovevamo attaccare bottoni alle
tende, sempre doppi, uno sotto
e uno sopra, ottanta in tutto. Le
altre non finivano una tenda alla
settimana, io ne facevo due. E mi
immaginavo, con questo: adesso
tornerò a casa. Ma non è servito
a niente! Poi dovevamo scucire
sacchetti di sale. Dovevamo sempre lavorare. […] Quando c’era
l’allarme aereo durante il lavoro
a Gries non ricevevamo nulla da
mangiare. Questo è successo per
parecchi giorni di seguito32 .
Doc. 18 - Testimonianza di Tea
Palman.
Dopo un po’ di tempo andai anch’io al lavoro, attraversavamo inquadrati la città
di Bolzano e venivamo portate alla galleria del
Virgolo, dove i tedeschi avevano installato una
fabbrica di cuscinetti a sfera che avevano prelevato
a Ferrara con tutte le macchine e i capireparto.
Doveva servire per costruire pezzi bellici che servivano ai tedeschi. Ognuno di noi aveva trovato
il modo di far sabotaggio. Io ero ai cuscinetti a
sfere che regolarmente non lucidavo, ma consumavo interamente, così dovevano essere scartati.
Il mio capo reparto che era molto gentile, mi raccomandava di non farmi prendere33 .
Aiuti
Doc. 19 - Andrea Gaggero, arrestato a Genova il 6
giugno 1944, fu internato a Bolzano e quindi deportato con altri 335 compagni di prigionia il 14
dicembre 1944 a Mauthausen. Era stato ordinato
sacerdote nel 1940; smessa la tonaca, fu una figura di primo piano del movimento pacifista 34.
Poi mi hanno trasferito in una delle celle di rigore
che erano chiamate le celle della morte. Era una
prigione cha avevano ricavato in un’ala centrale
del campo di Bolzano. […] Ventisei giorni in una
cella di tre metri per un metro. […] Vorrei ricordare un gruppo di donne che mi hanno accudito
durante questo periodo di carcere speciale in cui
sono stato rinchiuso in isolamento. C’è un episodio molto bello, quando hanno festeggiato il
mio onomastico di Sant’Andrea, il 30 novembre.
In quel giorno mi hanno fatto avere due uova
sbattute con lo zucchero e con un po’ di latte. Io
non so chi gli avesse detto che io avevo voglia
di queste uova sbattute, certo che era qualcosa di
molto appetibile per me, e soprattutto ha significato la festa in un giorno in cui ogni situazione
di festa e anche di speranza era impensabile35.
Doc. 20 - Dal diario di Gino Dell’Olio.
“Per strada la gente pietosa si
priva del proprio pane, di solito sono operai. Spesso il pane
viene respinto dalle guardie.
[...] Povera gente per istrada ci
buttava pane, non potendosi avvicinare a noi: quel pane veniva
respinto a calci e se qualche
passante veniva acciuffato erano busse ed anche peggio”36.
Doc. 21 - Don Guido Pedrotti,
originario di Malè in Trentino,
era sacerdote nella parrocchia
delle Semirurali a Bolzano.
Arrestato il 2 novembre 1944
per l’aiuto fornito ai prigionieri del campo, vi fu internato e
quindi deportato a Mauthausen
e a Dachau, dove fu liberato il
29 aprile 1945 37.
Un fatto voglio sottolineare, perché è stupendo:
quando io distribuivo la santa comunione, le
donne delle Semirurali e delle case popolari mi
portavano i bollini delle tessere e li deponevano
sul piattino della santa comunione, così io avevo
la possibilità di acquistare pane nella vicina bottega e mandarlo nel campo di concentramento.
[…] Un po’ alla volta sono entrato quindi a conoscenza del campo di concentramento e ho trovato
una via meravigliosa per fare entrare ogni genere
di aiuto, a cominciare dal denaro38.
Doc. 22 - Il bolzanino Mirco Zizzola racconta
a proposito dei prigionieri costretti al lavoro
coatto allo stabilimento Imi sotto la galleria del
Virgolo 39.
“La popolazione voleva aiutarli. C’era la prima
fila, era sempre composta dalle ragazze e tenevano una di qua e una di là dei sacchi, due a due
tenevano dei sacchi aperti, la gente che veniva
giù dalle case arrivava e metteva dentro. [...] Facendo tutta la strada qualcosa raccoglievano che
poi portavano dentro al campo”40 .
Doc 23 - Bianca Paganini Mori, nata a La Spezia,
fu arrestata nel luglio 1944 e incarcerata in quella
città. Arrivata nel mese di settembre a Bolzano,
partì il 5 ottobre 1944 alla volta di Ravensbürck,
ove fu liberata 41.
Noi ragazze venivamo mandate a cucire i bottoni alle tende da campo delle SS: perciò tutti i
giorni ci portavano dal campo alla caserma degli
alpini, dove aveva sede la Wehrmacht, e facevamo una bella passeggiata; per noi era una cosa
meravigliosa! Le più giovani erano destinate, far
l’altro, a ritirare i teli da tenda già preparati e a
portarli nel magazzino. Era buffissimo: passando
attraverso i corridoi ogni tanto trovavamo, in un
angolo, un soldato o un ufficiale tedesco – lo devo
storiae
19
la giornata della memoria la giornata
dire perché è la verità – che ci dava una mela o
un pezzo di cioccolato, piccolo magari, o altro.
Eravamo le più giovani, e si vede che gli facevamo pena. Insomma, qualche cosa da mangiare
la trovavamo sempre: però, onestamente, non la
mangiavamo da sole, ma la portavamo sempre
alle compagne, con cui la dividevamo42 .
na vedere queste mamme condurre per mano un
bambino che piange per il freddo e per la fame e
non poterlo vestire e sfamare, oppure portarne in
braccio uno ancora da latte e magari sentirsi dare
delle spinte alla schiena da una donna tedesca (la
chiamavano la tigre, la vipera!), perché cammina
adagio!43
Il trasporto
Doc. 25 - Antonino Di Salvo, farmacista, venne
accusato di spionaggio perché sposato con un’inglese. Catturato in seguito ad una delazione, fu
arrestato e rinchiuso nel carcere di Cuneo, Torino,
Milano e quindi a Bolzano. Da lì venne deportato
a Mauthausen, ove restò sino alla liberazione 44.
Doc. 24 - Dalle memorie di Padre Diego da Loreggia.
Le partenze per la Germania si prevedevano
qualche giorno prima e allora gli internati cominciavano a passarsi la parola e ripetersi gli uni
gli altri: “C’è una partenza!”. Erano giorni e ore
tristi quelle, perché andare in Germania voleva
dire andare incontro a mille pericoli, a mille
disagi certi e a tante alte incognite. La mattina
del giorno destinato per la partenza, c’era l’adunata come il solito. Terminato l’appello, invece
di rientrare nei blocchi, ci tenevano inquadrati;
poco dopo si vedeva arrivare il maresciallo con
delle carte in mano. “E’ qua!”, si diceva. […]
Allora come tanti delinquenti che aspettassero
la sentenza della loro condanna, si attendeva in
silenzio la lettura di nomi degli sfortunati. […] I
nomi dei condannati venivano letti secondo ordine alfabetico. Quando incominciava la lettera
del proprio cognome, si tremava
e si aspettava con trepidazione la
sentenza. […] I chiamati si radunavano inquadrati in una parte
del cortile. Alla chiamata dovevano andare di corsa. Tutti: sani
e ammalati, giovani e vecchi. In
una partenza un povero vecchio
stentava a camminare, un altro,
vecchio anche lui, doveva quasi
essere portato, ma non c’era remissione, dovevano partite tutti
egualmente. […] Non dovevano
portare via niente delle cose del
campo. […] Andavano alla stazione dove venivano caricati in
carri bestiame, anche in cento e
venti per vagone e quindi sigillati per fuori. […] Erano commoventissime le partenze degli
Ebrei, perché quelli dovevano
partire tutti senza eccezione:
uomini e donne, giovani e vecchi, bambini, tutti… Quale sce-
25. Donne e bambini appena arrivati al campo.
Molti di loro saranno mandati alle camere a
gas perché gracili, malati o inadatti al lavoro.
26. Campo di concentramento di AuschwitzBirkenau.
20 storiae
Ci hanno fatto entrare in un vagone bestiame e
ci hanno messi in ottantacinque! Ottantacinque!
Poi chiudono lo sportello, e noi stiamo lì a guardare ammucchiati come delle sardine, delle acciughe nel barile. Vicino a me c’era un giovane
partigiano calabrese, che era riuscito a sfuggire
alla perquisizione e aveva nascosto un lungo coltello con cui si è messo a lavorare alla stanghetta
che chiude la porta. L’idea non era cattiva: ma
avesse aspettato che il treno fosse in cammino!
Invece ha cominciato a lavorare subito e la porta
cominciava ad aprirsi. Fuori la sentinella se ne
accorge, vede che dal di dentro esce fuori la lama
di un coltello, dà l’allarme… Oh! Io non ho mai
visto una scena così selvaggia! Entrano quattro
SS. Eh, l’hanno pescato con il coltello in mano,
allora hanno cominciato a battergli il calcio del
fucile sulla testa: era ridotto ad una maschera di
sangue, caduto per terra gli pestavano la testa
con gli stivali chiodati. E’ cominciato così quel
viaggio bestiale45.
Doc. 26 - Ebe Fresia Tiberi, antifascista, fu inviata
a Bolzano dal carcere milanesi di San Vittore; fu
della memoria la giornata della memoria
deportata a Buchenwald 46.
26
Il viaggio da Bolzano è stato terribile. Una cosa
indescrivibile. Il viaggio è stata la cosa più terribile che potesse esistere: eravamo in tanta povera gente ammassata, noi eravamo sette donne
con centoquarantacinque uomini mi pare, tutti
bravi ragazzi poveretti, ma naturalmente ognuno
cercava il proprio spazio vitale e mancavamo di
tutto… Non posso dire quanto è durato perché
si era perso il tempo, non ci ricordavamo più.
Sempre chiusi sempre chiusi47 .
Doc. 27 - Bianca Mori Paganini ricorda.
La mattina del 5 o del 6 di ottobre ci vennero a
svegliare presto. […] Ci presero, ci portarono
alla stazione e ci caricarono su carri bestiame.
Sessanta donne su un carro bestiame! Due vagoni
di donne, e dietro alcuni vagoni di uomini. […]
Donne di tutti gli strati sociali: nobili, borghesi,
intellettuali, operaie – per esempio le operaie della Borletti che avevano scioperato – contadine,
la Livia Borsi, che aveva tre bambini, mamma
Rosa di Pavia; e di tutte le correnti politiche. Sessanta, in piedi, in piedi! Sedute non ci si poteva
stare! Alle persone anziane cercammo di lasciare
un po’ più di spazio, perché almeno loro di potessero sedere. Però non c’eran servizi igienici,
non c’era niente! Fu una cosa bestiale! Chiuse,
piombate, praticamente senz’aria, eccetto quella
che ricevevamo dalle fessure!48 .
Doc. 28 - Rosetta Addomine, feltrina, prigioniera
anch’essa nel campo di Bolzano, comunicò tramite lettera ad Elisa Dal Pont la partenza del
marito Virginio per la Germania. E’ evidente,
nella missiva, l’intento di consolare e rincuorare
la signora. Non bisogna inoltre dimenticare che
quasi nulle erano le notizie che i deportati avevano sulla loro destinazione. Virginio Dal Pont,
deportato a Mauthausen, morirà a Gusen il 26
febbraio 1945 49.
Gentilissima Signora,
Bolzano, 8/1/1945
Per incarico di suo
marito mi permetto
di scriverle per avvertirla che stamane
è stata composta
una spedizione
per la Germania.
Suo marito è stato
compreso. Cerchi
di accogliere la
notizia con calma
trattandosi solo di
cambiamento di
Campo. Il signor
Virgilio sta bene
ed era tranquillo,
appena possibile
dice che scriverà e farà sapere dettagliate sue notizie. E’ ben coperto ed ha abbastanza da mangiare
per un po’ di tempo. […] Mi incarica di salutarla e
di farle sapere la sua grande angoscia di lasciarla
ancora per dell’altro tempo sola ma spera che
questo sia breve.
Mi incarica inoltre di esprimere tutto l’affetto ai
suoi adorati figli e nipote in questa circostanza e
che li sente come non mai vicini.
Gentile signora, stia sicura che se attraverso il
campo riuscirò ad avere notizie dell’arrivo di
suo marito nel nuovo luogo di destinazione mi
farò premura di avvertirla subito. Cerchi di farsi
coraggio e di essere forte come lo è stata finora,
considerando anche che nella nuova destinazione
suo marito è molto probabile che si trovi anche
meglio, sia come clima, che come tutto il resto,
trattandosi di campi di concentramento fissi e non
di smistamento e perciò meglio attrezzati. Il nostro
è appunto di smistamento.
Le porgo anche da parte di mia sorella i saluti più
cordiali e sperando di rivederci presto riuniti tutti
a Feltre l’abbraccio affettuosamente.
storiae
21
la giornata della memoria la giornata
Rosetta Addomine50
Note
COLLOTTI E., Egidio Meneghetti, in COLLOTTI E., SANDRI R., SESSI
F., Dizionario della resistenza. Volume secondo. Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino 2001, p. 587; VENEGONI D., Uomini, donne e bambini nel
Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.982 storie individuali, 2005
in: www.deportati.it/approfondimenti_bolzano/ uomini_donne_bambini.html, p. 255.
2
Vicino alla città/sotto colline coperte d’erba arruffata/si acquatta
il campo di concentramento:/tutto attorno un muro di cemento/e
una corona ruggine di spine;/davanti, sul portone di piombo e
ferro,/una grande parola dipinta di nero/LAGER/ e dentro, su
due file, blocchi gonfi/di rifiuti, di puzzo e di pidocchi./In mezzo
alle due file un largo spiazzo,/in fondo di traverso, lungo, basso,/
schiacciato per terra, il blocco delle celle/e, dietro, la torre delle
sentinelle/pronte col mitra per spazzare il campo. Testo in: MENEGHETTI E., Cante in Passa, Venezia 1955, pp. 32-33; traduzione in:
PEROTTI B., Egidio Meneghetti nel lager di Bolzano, in CENTRO DI CULTURA
DELL’ALTO ADIGE – BOLZANO, Il lager di
Bolzano. Testimonianze sulla resistenza in Alto
Adige, Bolzano 1997, p. 109, n. 1.
3
LIGGERI P., Triangolo rosso. Dalle carceri
milanesi di San Vittore ai campi di concentramento e di eliminazione di Fòssoli, Bolzano,
Mauthausen, Gusen, Dachau. Marzo 1944
- Maggio 1945, Milano 1985, pp. 115, 119,
236-237; TIBALDI I., Compagni di viaggio.
Dall’Italia al Lager nazisti. I “trasporti” dei
deportati 1943-1945, Milano 1992, pp.
91-92.
4
LIGGERI P., op. cit., pp. 121-122.
5
VENEGONI D., op. cit., p. 162; FARONATO
G., 8 settembre ’43 - 3 maggio ’45 Ribelli per
la libertà. Testimonianze sul Lager di Bolzano,
Feltre 1995, p. 15.
6
FARONATO G., op. cit., p. 33.
7
Archivio Fondazione Memoria della
deportazione (AFMD), fondo Buffulini
- Venegoni, b. 26 (BV1, 26), Padre Diego
da Loreggia, Quattro mesi di prigionia tedesca,
Padova, 22 giugno 1945; VENEGONI D.,
op. cit., p. 116.
8
Ibid.
9
MEZZALIRA G., VILLANI C., Anche a
volerlo raccontare è impossibile. Scritti e testimonianze sul lager di Bolzano,
Bolzano 1999, p. 75.
10
Ibid.
11
VENEGONI D., op. cit., p. 119.
12
CALORE G., Il Revier di Mauthausen. Conversazioni con Giuseppe Calore
di Ada Buffulini e Bruno Vasari, Alessandria 1992, p. 43.
13
MEZZALIRA G., VILLANI C., op. cit., p. 75.
14
BETTIOL T., Un ragazzo nel lager. Memorie dal campo di Bolzano, Belluno 2005, p. 38, 51-52, 67, 71, 80-83.
15
Ibid., pp. 67-68.
16
STEURER L., VERDORFER M., PICHLER W., Verfolgt, verfemt, vergessen.
Lebensgeschichtliche Erinnerungen an den Widerstand gegen Nationalsozialismus und Krieg. Südtirol 1943-1945, Bozen 1997, pp. 54, 457459.
17
Il Sicherungs-und Ordnungsdienst /Servizio per l’ordine e la sicurezza
(SOD) era una milizia territoriale sorta clandestinamente già
nell’agosto 1943 per l’autodifesa degli optanti per la Germania ed
in seguito subordinata alla Ordnungspolizei di Bolzano; WEDEKIND
M., Nationalsozialistische Besatzungs-und Annexionspolitik in Norditalien
1943 bis 1945. Die Operationszonen “Alpenvorland” und “Adriatisches
Küstenland”, Monaco 2003, pp. 332, 334.
18
Ibid, pp. 459-460.
19
PALMAN T., Diario della mia prigionia. In: BIANCHI B. (a cura di),
Deportazione e memorie femminili (1899-1953), Milano 2002, pp. 152,
1
22 storiae
158, 174-175.
20
Ibid, p. 174. La “dott. Ada” a cui fa riferimento nel testo è Ada
Buffulini.
21
VARINI F., Un numero un uomo, Bologna 2003, pp. 9, 12-14, 51-53,
61, 67, 87, 103.
22
Ibid., p. 56.
23
MEZZALIRA G., VILLANI C., op. cit., p. 76.
24
CHIODI P., Banditi, Torino 1975, pp. 37-38, 58, 66-67, 77-79, 85.
25
Ibid., pp. 74-75.
26
Museo storico in Trento, Archivio AB, Resistenza, parte IIa, b. 6,
fasc. 7 “Resistenza. Il Lager di Bolzano”, s.fasc. “Corrispondenza
per raccolta dati”, lettera di Renzo Ferlini a Luciano Happacher, 5
dicembre 1977.
27
Emilio Sorteni annotò nel diario che tenne durante la prigionia a
Bolzano che il capo campo, alla dato dell’8 marzo 1945, era Hans
Majeski, un austriaco; Archivio storico del Comune di Bolzano,
Diario di Bolzano di Emilio Sorteni, 15 luglio 1945. Dario Venegoni riporta il nominativo di Hans Maierski, giunto da Milano;
VENEGONI D., op. cit., p. 238.
28
Ibid.
29
MEZZALIRA G., VILLANI C., op. cit., p.
76.
30
FARONATO G., op. cit., pp. 35-37.
31
STEURER L., VERDORFER M., PICHLER
W., op. cit., pp. 54, 104-107, 479-481, 488489; VENEGONI D., op. cit., p. 315.
32
STEURER L., VERDORFER M., PICHLER
W., op. cit., pp. 483-484.
33
PALMAN T., op. cit., p. 160.
34
GAGGERO A., Vestìo da omo, Firenze
1991, pp. 10, 103, 133, 201; TIBALDI I.,
op. cit., Milano 19952, p. 111.
35
GAGGERO A., op. cit., p. 128.
36
FARONATO G., op. cit., p. 37.
37
HAPPACHER L., Il Lager di Bolzano,
Trento 1979, p. 79 n. 234; CITTÀ DI BOLZANO, ASSESSORATO CULTURA, ARCHIVIO
STORICO - STADT BOZEN, ASSESSORAT FÜR
KULTUR, STADTARCHIV - COMUNE DI NOVA
MILANESE, ASSESSORATO CULTURA, BIBLIOTECA CIVICA POPOLARE, Testimonianze
dai Lager - Videoaussagen aus den NS-Lagern. Don Guido Pedrotti: sopravvissuto ai
Lager di Bolzano, Mauthausen, Dachau. Er
hat die NS-Lager von Bozen, Mauthausen,
Dachau überlebt, Nova Milanese 2003, pp. 1, 3-6, 10.
38
CITTÀ DI BOLZANO, ASSESSORATO CULTURA, ARCHIVIO STORICO
- STADT BOZEN, ASSESSORAT FÜR KULTUR, STADTARCHIV - COMUNE
DI NOVA MILANESE, ASSESSORATO CULTURA, BIBLIOTECA CIVICA POPOLARE, op. cit., p. 1.
39
Intervista a Mirco Zizzola, Bolzano, 7 febbraio 2003.
40
Ibid.
41
Bianca Paganini Mori. In: BECCARIA ROLFI L., BRUZZONE A.M., Le
donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Torino
1978, pp. 154-156, 159, 161-162; VENEGONI D., op. cit., p. 282; TIBALDI I., op. cit., pp. 101-102.
42
Bianca Paganini Mori. In: BECCARIA ROLFI L./BRUZZONE A.M.,
op. cit., p. 160.
43
AFMD, fondo Buffulini - Venegoni, b. 26 (BV1, 26), Padre Diego
da Loreggia, Quattro mesi di prigionia tedesca, Padova, 22 giugno
1945.
44
BRAVO A., JALLA D., La vita offesa. Storia e memoria dei lager nazisti
nei racconti di duecento sopravvissuti, Milano 1992, p. 413.
45
Ibid., pp. 127-128.
46
Ibid., p. 416.
47
Ibid., pp. 128-129.
48
Bianca Paganini Mori. In: BECCARIA ROLFI L./BRUZZONE A.M.,
28. Pulizia del Campo.
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