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la giornata della memoria la giornata dal Lager di Bolzano Testimonianze a cura di Cinzia Villani Testimonianze Doc. 1 - Egidio Menghetti, docente di farmacologia all’Università di Padova, fu massimo ispiratore della resistenza in Veneto. Militante del Partito d’Azione, fu arrestato nel gennaio 1945 e rinchiuso nel marzo di quell’anno nel lager di via Resia. Di seguito pubblichiamo parte di una lirica in dialetto veneto ispirata dalla sua esperienza concentrazionaria1. Lager Bortolo e l’ebreeta TESTIMONIANZE STORIE Vissìn dela città soto coline ingarbuiade d’erba sgrendenà se quacia el campo de concentramento: tuto atorno ’na mura de cemento e ’na corona rùsena de spine; davanti, sul portòn de piombo e fero, ’na gran parola impinturà de nero LAGER e drento, su do file, blochi sgonfi de slorda, de fetori, e de pioci. In meso a le do file un largo spiasso, in fondo, de traverso, longo, basso, schissà par tera, el bloco dele cele e, drio, la tore dele sentinele pronte col mitra par spassàr el campo2 . L’arrivo Doc. 2 - Don Paolo Liggeri fu uno dei politici trasferiti agli inizi del luglio 1944 da Fossoli a Bolzano. Il 5 agosto 1944 fu deportato a Mauthausen e quindi nel campo satellite di Gusen; verrà liberato a Dachau il 29 aprile 19453. Questo campo di Bolzano è ancora in fase di allestimento. Ci hanno sistemato alla meglio in enormi autorimesse, dove restiamo chiusi per intere giornate. Non c’è acqua e nemmeno i più elementari servizi igienici. […] I viveri non sono certo abbondanti e nemmeno appetitosi. Come si fa a descrivere i colori cangianti di certe brodaglie? e il sapore, soprat- 14 storiae tutto? e l’odore? Ieri ci hanno dato un mestolo abbondante di una broda nera, destinata a sostituire il caffè; e dentro ci hanno schiaffato un pezzo di polenta. Alla buon’ora, ecco un piatto che non avevo avuto mai il piacere di gustare. […] Questi nostri carcerieri si sono organizzati in modo da farti benedire il giorno in cui sei ingaggiato a lavorare. Oh, si tratta del più rudimentale lavoro di facchinaggio! C’è un enorme quantitativo di legname da trasportare dal nostro a un campo vicino. Lo si trasporta a spalla o trainando carri sovraccarichi. E ci pensano le SS a far sì che la tua non sia una passeggiata da diporto, ma una dura penitenza. Tuttavia, è così atroce rimanere chiusi nei cameroni affollati, puzzolenti e senza aria, che finisci col desiderare di fare il somaro, trainando pazientemente, sotto la sferza del sole e il pungolo dei guardiani, carri sovraccarichi di legname4 . Doc. 3 - Gino Dell’Olio, arrestato a Feltre nell’ottobre 1944 nel corso di un rastrellamento, fu internato a Bolzano dove rimase sino alla liberazione. Tenne, chiaramente di nascosto, un diario nel lager di Bolzano, che dopo la fine della guerra integrò e completò5. Ci ospita un grande capannone diviso in blocchi, noi siamo nel blocco D […]. Ovunque vediamo filo spinato. […] Apprendiamo subito che quello è un campo di smistamento e di tanto in tanto ci sono spedizioni per la Germania […]6 . Doc. 4 - Padre Diego da Loreggia, al secolo Luigi Carraro, fu arrestato il 2 gennaio 1945, richiuso della memoria la giornata della memoria nel carcere di Venezia sino al 26 di quel mese, quando fu portato nel campo di Bolzano, dove rimase sino alla liberazione7. La prima cosa che ci fecero al campo, fu quella di tagliarci i capelli a zero e a noi anche la barba, così vedemmo cadere dal nostro mento con un senso di mestizia il frutto di dieci anni. Con la barba tagliata sembravamo dei veri galeotti. Quindi ci condussero per i vari uffici per darci gli oggetti del campo: due coperte, la gavetta, il cucchiaio, il numero di matricola, un nastrino distintivo a forma triangolare ecc. A noi in magazzino tolsero l’abito e ci vestirono da galeotti. […] Il nastrino che indicava il motivo della cattura era un triangoletto di tela rossa o gialla o verde o rosa a seconda del delitto. Il rosa era il distintivo dei rastrellati, di quelli, cioè, che non avevano nessun crimine riconosciuto; il verde era il distintivo degli ostaggi, persone, uomini e donne (anche più individui di una stessa famiglia), prese e portate dentro in luogo di qualche parente disertore o dimorante tra i partigiani, per esempio, vi era un vecchio bellunese di settanta quattro anni, il quale era dentro in luogo di un suo nipote ed erano ormai sei mesi che era dentro; il giallo, il distintivo degli Ebrei, i quali non portavano il numero di matricola, perché non erano considerati uomini; il rosso, il distintivo dei detenuti politici e partigiani8. Doc. 5 - Giannino Revere, di religione ebraica, 18 fu arrestato con la sua famiglia a Milano nel dicembre 1944 e incarcerato a San Vittore. Fra il dicembre 1944 ed il gennaio 1945 fu trasferito con tutta la famiglia nel campo di Bolzano, ove rimase fino alla liberazione9. I miei genitori, mio fratello ed io siamo stati catturati nel dicembre 1944: l’arresto è stato eseguito da tedeschi ed italiani in borghese […]. Dopo circa 15, 20 giorni trascorsi nel carcere di S. Vittore, siamo partiti alla volta di Bolzano: non avevamo alcuna idea di quale sarebbe stata la nostra destinazione. Arrivati al campo siamo stati spogliati di tutto, rasati: ci hanno dato un paio di pantaloni, una casacca, entrambi di tela e un paio di zoccoli. Niente altro per riparaci dal freddo, che a Bolzano nel mese di dicembre era veramente terribile!10 Permanenza Doc. 6 - Ada Buffulini, arrestata a Milano, entrò in campo nel settembre 1944 e ne uscì il 29 aprile 1945. Lavorò come medico nell’infermeria del campo, cercando di aiutare, con i pochi mezzi a sua disposizione, i compagni di prigionia11. Nel campo di Bolzano arrivava gente che di solito stava bene, tranne quelli della celebre baracca E, che era la baracca di quelli che consideravano pericolosi. Non so come li chiamavano. Erano in gran parte partigiani e molti di questi erano in cancrena, per il freddo […]. Perché era inverno e avevano le gambe in cancrena. E allora c’era una puzza, un odore infernale e lì non c’era nessuno che poteva entrare e loro non potevano venire fuori12. Doc 7 - Giannino Revere descrive la vita quotidiana in campo. Mio padre, mio fratello ed io eravamo insieme nel blocco C. La nostra giornata iniziava al mattino molto presto: ci si lavava, come colazione si riceveva della specie di caffè d’orzo caldo, quindi venivano formate le squadre, perché molti internati andavano all’esterno del campo per lavorare. Per pranzo ci davano una ciotola con dell’orzo o del 16. La piazza dell’appello, Lager di Bolzano. 17. La tuta del dott. Gino Meneghel, matricola 10119. storiae 15 la giornata della memoria la giornata brodo oppure brodo con dentro delle rape, tutto senza sale e molto annacquato; mangiavamo anche un piccolo pezzo di pane. La cena, consistente in un po’ di pane nero, veniva distribuita solo a chi lavorava; vecchi e bambini erano ancora meno nutriti di noi13. 19 Campi satellite Doc. 8 - Tullio Bettiol, arrestato a Belluno il 19 giugno 1944, arrivò il mese successivo nel lager di Bolzano. Fu trasferito nei campi satellite di Maia Bassa a Merano e Certosa in Val Senales, da dove riuscì a fuggire il 3 febbraio 194514. Il lager satellite di Merano è localizzato nelle caserme di Maia Bassa, vicino all’ippodromo e alla vecchia stazione ferroviaria. Qui si sta un po’ meglio che a Bolzano, sia come vitto che come servizi. Il rituale è sempre lo stesso, con gli stessi orari. La popolazione del campo è anche qui eterogenea: uomini e donne, triangoli rossi, gialli, rosa e così via. In tutti saremo circa quattrocento. Le donne sono antifasciste, partigiane, rastrellate, prostitute. La maggior parte sono state arrestate per attività politica e partigiana: alcun catturate in combattimento o in operazioni di rastrellamento, altre per avervi partecipato in modo episodico e non organizzato, magari proteggendo partigiani, ebrei o militari alleati. C’è in ogni caso una grande solidarietà tra loro, facilitata dalla coabitazione e dal numero tutto sommato abbastanza ridotto delle prigioniere. Si dorme su brande in grandi stanzoni, le guardie sono sempre SS al comando di un tenente o capitano. La disciplina è sempre rigida. Non mancano le angherie, le punizioni, le botte. Il lavoro è diverso, però sempre faticoso. A gruppi i prigionieri vengono portati alla vicina stazione ferroviaria a scaricare dai vagoni e caricare su camion merce di ogni genere, evidentemente razziata nei paesi invasi dai nazisti. Si tratta di una gran quantità di tappeti, quadri, seterie, tendaggi, ma anche generi alimentari, sacchi di zucchero15. Doc. 9 - Cäcilia (Cilli) Ennemoser, di Corvara in Val Passiria, fu arrestata come sorella e cugina di disertori nel corso di una retata il 21 settembre 1944. Fu rinchiusa nel lager di Bolzano e quindi trasferita nel campo esterno di Colle Isarco16. A Bolzano dovevamo cucire bottoni nelle caserme, ma a Colle Isarco dovevamo fare lavori di pulizia in questi hotel delle SS. […] A Colle Isarco era molto peggio che a Bolzano. […] Anche se a Colle Isarco dovevamo lavorare molto di più che a Bolzano il cibo era ancora peggiore. Al mattino del caffè nero, a mezzogiorno e la sera sempre la stessa minestra. Non avevamo paura degli uomini del SOD17 che dovevano fare la guardia a noi. Una volta stavamo facendo i letti in una stanza ed uno ci ha regalato un pezzo di Speck. Ma questo non lo doveva sapere nessuno, 16 storiae altrimenti sarebbero stati rinchiusi anche loro18. Violenze Doc. 10 - Tea Palman, arrestata a Trichina in provincia di Belluno ove risiedeva, fu internata a Bolzano, dove rimase fino alla liberazione. In questa parte del suo “scritto di memoria” rievoca la sua reclusione nel “blocco celle”19. Avevamo come guardiani due ucraini, due assassini: uno si chiamava Otto e l’altro Miscia. Otto era un bestione enorme, sembrava un gorilla. Avevo tanta paura di lui e cercavo sempre di stare lontano dalla sua vista che purtroppo era inevitabile. Ogni notte, quando i due uomini ucraini uscivano dal corpo di guardia delle celle, trattenevo il respiro: dove andranno? Il cuore batteva forte, i passi si avvicinavano ed il battito aumentava, sempre più vicini, ed il cuore impazziva … eccoli… no! Hanno oltrepassato, un grande e profondo respiro, il cuore pian piano si calmava, il respiro tornava normale, battevo tre colpi al muro, la dott. Ada mi rispondeva, anche lei aveva sentito, aveva tremato, ci sentivamo vicine, come se la parete non ci fosse. Così unite ascoltavamo i soliti lamenti, la morte che scendeva in quella cella20. Doc. 11 - Franco Varini, arrestato a Bologna, dove viveva, l’8 luglio 1944, arrivò a Bolzano ai primi d’agosto del 1944. Il 5 settembre fu deportato a della memoria la giornata della memoria Flossenbürg; fu liberato nei pressi di Kottern, un sottocampo di Dachau21. Il lavoro era pesante ma sopportabile, se non fosse stato accompagnato da atti di violenza compiuti su di noi dalle SS di scorta. Se costoro notavano segni di stanchezza, immediatamente ci aggredivano colpendoci con calci, pugni o addirittura usando il fucile come clava. Una volta un anziano detenuto fu percosso così duramente da un SS da provocare l’intervento di un sottufficiale della Wehrmacht di stanza con i suoi uomini nei pressi del nostro campo22 . Doc. 12 - Testimonianza di Giannino Revere. Ho assistito a degli episodi particolarmente drammatici: fra i prigionieri c’era un ragazzo epilettico, era da solo in campo, non aveva parenti e non so neppure da quale zona d’Italia arrivasse. Proprio per la sua malattia non ubbidiva alle regole del campo, ad esempio non si toglieva il berretto quando passava un tedesco. Quante botte ha preso! E’ stato rinchiuso nelle celle e da lì non è più uscito, abbiamo visto solo passare il feretro. E’ stato ucciso da due sorveglianti ucraini: fisicamente molto diversi fra loro - uno era enorme, l’altro piuttosto mingherlino -, estremamente crudeli, erano terribili... terribili! Rammento anche che un internato ha tentato la fuga, è stato ripreso e ucciso a frustate. Gli episodi di violenza gratuita erano quotidiani: schiaffi, pugni, frustate... Guai se non ci toglievamo il cappello quando vedevamo passare un tedesco! Molto spesso però non riuscivamo a vederli in tempo, non ce ne accorgevamo subito! 23 Doc. 13 - Pietro Chiodi, partigiano, fu arrestato il 18 agosto 1944 ed imprigionato nel carcere di Torino. Arrivato il 2 settembre 1944 nel lager di via Resia, fu condotto pochi giorni dopo in un campo di lavoro vicino ad Innsbruck, da dove uscì alla fine del settembre 1944 24. 12 settembre [1944]. Stamane un detenuto ha ten- 19. Michael Seifert. 20-21-22. Moneta utilizzata nel Campo per l’acquisto di mele, castagnaccio, oggetti da tato di fuggire. E’ un ragazzo di diciott’anni ed ha agito come un pazzo. Faceva parte di una squadra di lavoratori che scavavano una galleria nelle vicinanze del campo. Improvvisamente se l’è data a gambe per i campi. I tedeschi gli hanno scaricato le armi addosso senza colpirlo. Quando i suoi compagni sono ritornati nel campo la notizia si è diffusa in un baleno. Tutti pensavano che non poteva riuscire, ma pregavano Dio perché lo aiutasse. Le ore passavano lente. Le motociclette delle SS andavano e venivano ininterrottamente. Improvvisamente, verso le cinque, un camioncino è entrato nel campo e ne è sceso il fuggiasco completamente nudo e pieno di lividi. Le SS lo sospingevano fra urla e staffilate. Era un ragazzo di media statura molto magro. I tedeschi piantarono un palo in mezzo al campo e ve lo legarono con le mani unite alla sommità in modo toccasse terra solo con la punta dei piedi. Lo staffilarono ancora e poi lo lasciarono con un cartello al collo: “Sono ritornato dalla gita”. Doveva essere svenuto. Il capo era reclinato sulla spalla destra. Il volto contratto nello spasimo, come fosse impietrito. […] Ogni tanto un SS passandogli vicino lo colpiva con una staffilata. Solo un lieve sussulto passava per il corpo martoriato. Rimase così sino a sera. Poi fu slegato e portato nelle celle di punizione. Per tutto il giorno nessuno ebbe il coraggio di passeggiare, come al solito, su e giù. Alla sera ci privammo di parte della nostra razione. Da un pacco potemmo togliere un po’ di pane bianco. Due vecchi operai riuscirono a gettargli nella cella questa poca roba da un finestrino collocato non so dove. Erano vecchi del campo e non era la prima volta che sfidavano le SS per recare aiuto a un compagno25 . Lavoro coatto Doc. 14 - Renzo Ferlini, partigiano, venne catturato nel dicembre 1944 e rinchiuso nelle carceri di Piacenza e Parma; portato a Bolzano alla fine del gennaio 1945, vi rimase rinchiuso sino alla liberazione 26. Tutte le mattine, prestissimo, i tedeschi insieme ad un sudtirolese che noi chiamavamo capo storiae 17 la giornata della memoria la giornata campo27 , inquadravano i vari blocchi in mezzo al campo per il controllo numerico e la preparazione delle squadre di lavoro. I blocchi erano amministrati da detenuti: uno in veste di capo blocco ed un furiere che dopo il controllo mattutino, consegnavano al capo campo (su apposito modulo) la forza attiva, quella ammalata, quella adibita a lavori, quella trasferita o morta del proprio blocco. I due dovevano anche provvedere a far trovare il blocco ordinato e pulito alle eventuali ispezioni, distribuire quel poco brodo di orzo con la pagnottella, a mezzogiorno e sera. Ai lavori venivano inviati solo quelli scelti dal capo campo, con possibilità di cambiamento solo se qualcuno non si reggeva in piedi. Per quelli adibiti ai lavori il brodo veniva distribuito dai tedeschi sul posto stesso. […] Eravamo adibiti al trasporto di sassi ed altro materiale utile per la costruzione, sorvegliati e guidati da due o più guardie armate che non ci permettevano, per nessuna ragione, di parlare con gli operi addetti ai lavori28 . Doc. 15 - Racconto di Giannino Revere. Il lavoro forzato era duro, anche perché noi internati eravamo sottoposti a continua sorveglianza; solo la domenica pomeriggio potevamo riposare un poco. […] Ho fatto parte di molte squadre di lavoro: sono stato impiegato alla stazione ferroviaria per mettere a posto i binari, le traversine. Quando bombardavano ci potevamo riparare solo sotto i vagoni, non potevamo rifugiarci in altri luoghi. Ricordo che nelle vicinanze c’era un tunnel, al cui interno sono rimaste uccise molte persone a causa di una bomba29 . Doc. 16 - Dal diario di Gino Dell’Olio. 23. La piazza dell’appello, Lager di Bolzano. 24. Brentel Giovanni, nato a Feltre il 18 storiae L’indomani veniamo suddivisi in varie squadre; la più numerosa di queste, della quale faccio parte, viene caricata su due camion appena sciolta l’adunata del mattino, sono circa le sei ed avviata ad una galleria rifugio. Infagottati nella tuta, indossata sopra gli indumenti intimi, cappello e zoccoli, entriamo nella galleria dove ciascuno prende una pala od un piccone e veniamo scaglionati per tutta la lunghezza del traforo. E’ forse ora che mi soffermi, per la prima volta, ad esaminare la mia situazione: a distanza di pochi giorni, mi trovo lontano dalla mia casa, dai miei affetti, dal mio ufficio; con un piccone in mano mi trovo in una galleria, spronato a compiere per lunghe ore al semibuio un lavoro che non ho mai fatto, rumore assordante di macchine, perforatrici, compressori, molta polvere, aria viziata. Sono sorvegliato con le armi! Una tuta addosso, una croce sulla schiena, un numero ed un colore, la testa rapata [...]. Pesante lavoro di pala e piccone, trasporto a braccia il pesante materiale, lavoro ai carrelli, bitumatura, carico e scarico di pietre pesanti. [...] Mi opprimono quella lunga permanenza al buio ed il lavoro pesante. […] E’ vita dura: fisicamente e moralmente. […] Per una quindicina di giorni è sempre lo stesso lavoro. Altri disparati lavori si susseguono poi, tutti umilianti: scardinare rotaie in stazioni da lungo tempo abbandonate, caricare e scaricare vagoni, pulire e riordinare locali, fare sabbia al greto del fiume, caricare e scaricare tavoloni, trasportare pesanti pietre. Ed ancora: lavori interni inerenti a costruzioni di locali, trasporto di sabbia, cemento, acqua, mattoni, pietre, bitume; fare la malta, scavare buche antischegge, foderare con lame di legno e tavole condutture esterne di acqua, al freddo, caricare e scaricare pesantissimi motori, riordinare magazzini, la cava.[...] Spesso piove e nevica tutto il giorno senza possibilità di ripararsi. Inzuppati fino all’osso non c’è la possibilità di cambiare gli indumenti e di prendere qualche cosa di caldo. Il cibo è insufficiente, l’alcool e il tabacco proibiti. [...] Per un periodo di tempo siamo andati lungo la ferrovia per un pesante lavoro; quattro volte al giorno percorrevamo sette chilometri anche sotto al pioggia, il cibo scarseggiava, i piedi a volte sanguinavano30 . Doc. 17 - Theresia Raich, originaria di Stulles, una frazione di Moso in Val Passiria, fu arrestata il 21 settembre 1944 nel corso di una retata e internata a Bolzano come Sippenhäftlinge, in quanto sorella di disertori. Fu poi trasferita anche nei campi satellite di Colle Isarco e Moso, fino della memoria la giornata della memoria alla liberazione 31. Dovevamo attaccare bottoni alle tende, sempre doppi, uno sotto e uno sopra, ottanta in tutto. Le altre non finivano una tenda alla settimana, io ne facevo due. E mi immaginavo, con questo: adesso tornerò a casa. Ma non è servito a niente! Poi dovevamo scucire sacchetti di sale. Dovevamo sempre lavorare. […] Quando c’era l’allarme aereo durante il lavoro a Gries non ricevevamo nulla da mangiare. Questo è successo per parecchi giorni di seguito32 . Doc. 18 - Testimonianza di Tea Palman. Dopo un po’ di tempo andai anch’io al lavoro, attraversavamo inquadrati la città di Bolzano e venivamo portate alla galleria del Virgolo, dove i tedeschi avevano installato una fabbrica di cuscinetti a sfera che avevano prelevato a Ferrara con tutte le macchine e i capireparto. Doveva servire per costruire pezzi bellici che servivano ai tedeschi. Ognuno di noi aveva trovato il modo di far sabotaggio. Io ero ai cuscinetti a sfere che regolarmente non lucidavo, ma consumavo interamente, così dovevano essere scartati. Il mio capo reparto che era molto gentile, mi raccomandava di non farmi prendere33 . Aiuti Doc. 19 - Andrea Gaggero, arrestato a Genova il 6 giugno 1944, fu internato a Bolzano e quindi deportato con altri 335 compagni di prigionia il 14 dicembre 1944 a Mauthausen. Era stato ordinato sacerdote nel 1940; smessa la tonaca, fu una figura di primo piano del movimento pacifista 34. Poi mi hanno trasferito in una delle celle di rigore che erano chiamate le celle della morte. Era una prigione cha avevano ricavato in un’ala centrale del campo di Bolzano. […] Ventisei giorni in una cella di tre metri per un metro. […] Vorrei ricordare un gruppo di donne che mi hanno accudito durante questo periodo di carcere speciale in cui sono stato rinchiuso in isolamento. C’è un episodio molto bello, quando hanno festeggiato il mio onomastico di Sant’Andrea, il 30 novembre. In quel giorno mi hanno fatto avere due uova sbattute con lo zucchero e con un po’ di latte. Io non so chi gli avesse detto che io avevo voglia di queste uova sbattute, certo che era qualcosa di molto appetibile per me, e soprattutto ha significato la festa in un giorno in cui ogni situazione di festa e anche di speranza era impensabile35. Doc. 20 - Dal diario di Gino Dell’Olio. “Per strada la gente pietosa si priva del proprio pane, di solito sono operai. Spesso il pane viene respinto dalle guardie. [...] Povera gente per istrada ci buttava pane, non potendosi avvicinare a noi: quel pane veniva respinto a calci e se qualche passante veniva acciuffato erano busse ed anche peggio”36. Doc. 21 - Don Guido Pedrotti, originario di Malè in Trentino, era sacerdote nella parrocchia delle Semirurali a Bolzano. Arrestato il 2 novembre 1944 per l’aiuto fornito ai prigionieri del campo, vi fu internato e quindi deportato a Mauthausen e a Dachau, dove fu liberato il 29 aprile 1945 37. Un fatto voglio sottolineare, perché è stupendo: quando io distribuivo la santa comunione, le donne delle Semirurali e delle case popolari mi portavano i bollini delle tessere e li deponevano sul piattino della santa comunione, così io avevo la possibilità di acquistare pane nella vicina bottega e mandarlo nel campo di concentramento. […] Un po’ alla volta sono entrato quindi a conoscenza del campo di concentramento e ho trovato una via meravigliosa per fare entrare ogni genere di aiuto, a cominciare dal denaro38. Doc. 22 - Il bolzanino Mirco Zizzola racconta a proposito dei prigionieri costretti al lavoro coatto allo stabilimento Imi sotto la galleria del Virgolo 39. “La popolazione voleva aiutarli. C’era la prima fila, era sempre composta dalle ragazze e tenevano una di qua e una di là dei sacchi, due a due tenevano dei sacchi aperti, la gente che veniva giù dalle case arrivava e metteva dentro. [...] Facendo tutta la strada qualcosa raccoglievano che poi portavano dentro al campo”40 . Doc 23 - Bianca Paganini Mori, nata a La Spezia, fu arrestata nel luglio 1944 e incarcerata in quella città. Arrivata nel mese di settembre a Bolzano, partì il 5 ottobre 1944 alla volta di Ravensbürck, ove fu liberata 41. Noi ragazze venivamo mandate a cucire i bottoni alle tende da campo delle SS: perciò tutti i giorni ci portavano dal campo alla caserma degli alpini, dove aveva sede la Wehrmacht, e facevamo una bella passeggiata; per noi era una cosa meravigliosa! Le più giovani erano destinate, far l’altro, a ritirare i teli da tenda già preparati e a portarli nel magazzino. Era buffissimo: passando attraverso i corridoi ogni tanto trovavamo, in un angolo, un soldato o un ufficiale tedesco – lo devo storiae 19 la giornata della memoria la giornata dire perché è la verità – che ci dava una mela o un pezzo di cioccolato, piccolo magari, o altro. Eravamo le più giovani, e si vede che gli facevamo pena. Insomma, qualche cosa da mangiare la trovavamo sempre: però, onestamente, non la mangiavamo da sole, ma la portavamo sempre alle compagne, con cui la dividevamo42 . na vedere queste mamme condurre per mano un bambino che piange per il freddo e per la fame e non poterlo vestire e sfamare, oppure portarne in braccio uno ancora da latte e magari sentirsi dare delle spinte alla schiena da una donna tedesca (la chiamavano la tigre, la vipera!), perché cammina adagio!43 Il trasporto Doc. 25 - Antonino Di Salvo, farmacista, venne accusato di spionaggio perché sposato con un’inglese. Catturato in seguito ad una delazione, fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Cuneo, Torino, Milano e quindi a Bolzano. Da lì venne deportato a Mauthausen, ove restò sino alla liberazione 44. Doc. 24 - Dalle memorie di Padre Diego da Loreggia. Le partenze per la Germania si prevedevano qualche giorno prima e allora gli internati cominciavano a passarsi la parola e ripetersi gli uni gli altri: “C’è una partenza!”. Erano giorni e ore tristi quelle, perché andare in Germania voleva dire andare incontro a mille pericoli, a mille disagi certi e a tante alte incognite. La mattina del giorno destinato per la partenza, c’era l’adunata come il solito. Terminato l’appello, invece di rientrare nei blocchi, ci tenevano inquadrati; poco dopo si vedeva arrivare il maresciallo con delle carte in mano. “E’ qua!”, si diceva. […] Allora come tanti delinquenti che aspettassero la sentenza della loro condanna, si attendeva in silenzio la lettura di nomi degli sfortunati. […] I nomi dei condannati venivano letti secondo ordine alfabetico. Quando incominciava la lettera del proprio cognome, si tremava e si aspettava con trepidazione la sentenza. […] I chiamati si radunavano inquadrati in una parte del cortile. Alla chiamata dovevano andare di corsa. Tutti: sani e ammalati, giovani e vecchi. In una partenza un povero vecchio stentava a camminare, un altro, vecchio anche lui, doveva quasi essere portato, ma non c’era remissione, dovevano partite tutti egualmente. […] Non dovevano portare via niente delle cose del campo. […] Andavano alla stazione dove venivano caricati in carri bestiame, anche in cento e venti per vagone e quindi sigillati per fuori. […] Erano commoventissime le partenze degli Ebrei, perché quelli dovevano partire tutti senza eccezione: uomini e donne, giovani e vecchi, bambini, tutti… Quale sce- 25. Donne e bambini appena arrivati al campo. Molti di loro saranno mandati alle camere a gas perché gracili, malati o inadatti al lavoro. 26. Campo di concentramento di AuschwitzBirkenau. 20 storiae Ci hanno fatto entrare in un vagone bestiame e ci hanno messi in ottantacinque! Ottantacinque! Poi chiudono lo sportello, e noi stiamo lì a guardare ammucchiati come delle sardine, delle acciughe nel barile. Vicino a me c’era un giovane partigiano calabrese, che era riuscito a sfuggire alla perquisizione e aveva nascosto un lungo coltello con cui si è messo a lavorare alla stanghetta che chiude la porta. L’idea non era cattiva: ma avesse aspettato che il treno fosse in cammino! Invece ha cominciato a lavorare subito e la porta cominciava ad aprirsi. Fuori la sentinella se ne accorge, vede che dal di dentro esce fuori la lama di un coltello, dà l’allarme… Oh! Io non ho mai visto una scena così selvaggia! Entrano quattro SS. Eh, l’hanno pescato con il coltello in mano, allora hanno cominciato a battergli il calcio del fucile sulla testa: era ridotto ad una maschera di sangue, caduto per terra gli pestavano la testa con gli stivali chiodati. E’ cominciato così quel viaggio bestiale45. Doc. 26 - Ebe Fresia Tiberi, antifascista, fu inviata a Bolzano dal carcere milanesi di San Vittore; fu della memoria la giornata della memoria deportata a Buchenwald 46. 26 Il viaggio da Bolzano è stato terribile. Una cosa indescrivibile. Il viaggio è stata la cosa più terribile che potesse esistere: eravamo in tanta povera gente ammassata, noi eravamo sette donne con centoquarantacinque uomini mi pare, tutti bravi ragazzi poveretti, ma naturalmente ognuno cercava il proprio spazio vitale e mancavamo di tutto… Non posso dire quanto è durato perché si era perso il tempo, non ci ricordavamo più. Sempre chiusi sempre chiusi47 . Doc. 27 - Bianca Mori Paganini ricorda. La mattina del 5 o del 6 di ottobre ci vennero a svegliare presto. […] Ci presero, ci portarono alla stazione e ci caricarono su carri bestiame. Sessanta donne su un carro bestiame! Due vagoni di donne, e dietro alcuni vagoni di uomini. […] Donne di tutti gli strati sociali: nobili, borghesi, intellettuali, operaie – per esempio le operaie della Borletti che avevano scioperato – contadine, la Livia Borsi, che aveva tre bambini, mamma Rosa di Pavia; e di tutte le correnti politiche. Sessanta, in piedi, in piedi! Sedute non ci si poteva stare! Alle persone anziane cercammo di lasciare un po’ più di spazio, perché almeno loro di potessero sedere. Però non c’eran servizi igienici, non c’era niente! Fu una cosa bestiale! Chiuse, piombate, praticamente senz’aria, eccetto quella che ricevevamo dalle fessure!48 . Doc. 28 - Rosetta Addomine, feltrina, prigioniera anch’essa nel campo di Bolzano, comunicò tramite lettera ad Elisa Dal Pont la partenza del marito Virginio per la Germania. E’ evidente, nella missiva, l’intento di consolare e rincuorare la signora. Non bisogna inoltre dimenticare che quasi nulle erano le notizie che i deportati avevano sulla loro destinazione. Virginio Dal Pont, deportato a Mauthausen, morirà a Gusen il 26 febbraio 1945 49. Gentilissima Signora, Bolzano, 8/1/1945 Per incarico di suo marito mi permetto di scriverle per avvertirla che stamane è stata composta una spedizione per la Germania. Suo marito è stato compreso. Cerchi di accogliere la notizia con calma trattandosi solo di cambiamento di Campo. Il signor Virgilio sta bene ed era tranquillo, appena possibile dice che scriverà e farà sapere dettagliate sue notizie. E’ ben coperto ed ha abbastanza da mangiare per un po’ di tempo. […] Mi incarica di salutarla e di farle sapere la sua grande angoscia di lasciarla ancora per dell’altro tempo sola ma spera che questo sia breve. Mi incarica inoltre di esprimere tutto l’affetto ai suoi adorati figli e nipote in questa circostanza e che li sente come non mai vicini. Gentile signora, stia sicura che se attraverso il campo riuscirò ad avere notizie dell’arrivo di suo marito nel nuovo luogo di destinazione mi farò premura di avvertirla subito. Cerchi di farsi coraggio e di essere forte come lo è stata finora, considerando anche che nella nuova destinazione suo marito è molto probabile che si trovi anche meglio, sia come clima, che come tutto il resto, trattandosi di campi di concentramento fissi e non di smistamento e perciò meglio attrezzati. Il nostro è appunto di smistamento. Le porgo anche da parte di mia sorella i saluti più cordiali e sperando di rivederci presto riuniti tutti a Feltre l’abbraccio affettuosamente. storiae 21 la giornata della memoria la giornata Rosetta Addomine50 Note COLLOTTI E., Egidio Meneghetti, in COLLOTTI E., SANDRI R., SESSI F., Dizionario della resistenza. Volume secondo. Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino 2001, p. 587; VENEGONI D., Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.982 storie individuali, 2005 in: www.deportati.it/approfondimenti_bolzano/ uomini_donne_bambini.html, p. 255. 2 Vicino alla città/sotto colline coperte d’erba arruffata/si acquatta il campo di concentramento:/tutto attorno un muro di cemento/e una corona ruggine di spine;/davanti, sul portone di piombo e ferro,/una grande parola dipinta di nero/LAGER/ e dentro, su due file, blocchi gonfi/di rifiuti, di puzzo e di pidocchi./In mezzo alle due file un largo spiazzo,/in fondo di traverso, lungo, basso,/ schiacciato per terra, il blocco delle celle/e, dietro, la torre delle sentinelle/pronte col mitra per spazzare il campo. Testo in: MENEGHETTI E., Cante in Passa, Venezia 1955, pp. 32-33; traduzione in: PEROTTI B., Egidio Meneghetti nel lager di Bolzano, in CENTRO DI CULTURA DELL’ALTO ADIGE – BOLZANO, Il lager di Bolzano. Testimonianze sulla resistenza in Alto Adige, Bolzano 1997, p. 109, n. 1. 3 LIGGERI P., Triangolo rosso. Dalle carceri milanesi di San Vittore ai campi di concentramento e di eliminazione di Fòssoli, Bolzano, Mauthausen, Gusen, Dachau. Marzo 1944 - Maggio 1945, Milano 1985, pp. 115, 119, 236-237; TIBALDI I., Compagni di viaggio. Dall’Italia al Lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-1945, Milano 1992, pp. 91-92. 4 LIGGERI P., op. cit., pp. 121-122. 5 VENEGONI D., op. cit., p. 162; FARONATO G., 8 settembre ’43 - 3 maggio ’45 Ribelli per la libertà. Testimonianze sul Lager di Bolzano, Feltre 1995, p. 15. 6 FARONATO G., op. cit., p. 33. 7 Archivio Fondazione Memoria della deportazione (AFMD), fondo Buffulini - Venegoni, b. 26 (BV1, 26), Padre Diego da Loreggia, Quattro mesi di prigionia tedesca, Padova, 22 giugno 1945; VENEGONI D., op. cit., p. 116. 8 Ibid. 9 MEZZALIRA G., VILLANI C., Anche a volerlo raccontare è impossibile. Scritti e testimonianze sul lager di Bolzano, Bolzano 1999, p. 75. 10 Ibid. 11 VENEGONI D., op. cit., p. 119. 12 CALORE G., Il Revier di Mauthausen. Conversazioni con Giuseppe Calore di Ada Buffulini e Bruno Vasari, Alessandria 1992, p. 43. 13 MEZZALIRA G., VILLANI C., op. cit., p. 75. 14 BETTIOL T., Un ragazzo nel lager. Memorie dal campo di Bolzano, Belluno 2005, p. 38, 51-52, 67, 71, 80-83. 15 Ibid., pp. 67-68. 16 STEURER L., VERDORFER M., PICHLER W., Verfolgt, verfemt, vergessen. Lebensgeschichtliche Erinnerungen an den Widerstand gegen Nationalsozialismus und Krieg. Südtirol 1943-1945, Bozen 1997, pp. 54, 457459. 17 Il Sicherungs-und Ordnungsdienst /Servizio per l’ordine e la sicurezza (SOD) era una milizia territoriale sorta clandestinamente già nell’agosto 1943 per l’autodifesa degli optanti per la Germania ed in seguito subordinata alla Ordnungspolizei di Bolzano; WEDEKIND M., Nationalsozialistische Besatzungs-und Annexionspolitik in Norditalien 1943 bis 1945. Die Operationszonen “Alpenvorland” und “Adriatisches Küstenland”, Monaco 2003, pp. 332, 334. 18 Ibid, pp. 459-460. 19 PALMAN T., Diario della mia prigionia. In: BIANCHI B. (a cura di), Deportazione e memorie femminili (1899-1953), Milano 2002, pp. 152, 1 22 storiae 158, 174-175. 20 Ibid, p. 174. La “dott. Ada” a cui fa riferimento nel testo è Ada Buffulini. 21 VARINI F., Un numero un uomo, Bologna 2003, pp. 9, 12-14, 51-53, 61, 67, 87, 103. 22 Ibid., p. 56. 23 MEZZALIRA G., VILLANI C., op. cit., p. 76. 24 CHIODI P., Banditi, Torino 1975, pp. 37-38, 58, 66-67, 77-79, 85. 25 Ibid., pp. 74-75. 26 Museo storico in Trento, Archivio AB, Resistenza, parte IIa, b. 6, fasc. 7 “Resistenza. Il Lager di Bolzano”, s.fasc. “Corrispondenza per raccolta dati”, lettera di Renzo Ferlini a Luciano Happacher, 5 dicembre 1977. 27 Emilio Sorteni annotò nel diario che tenne durante la prigionia a Bolzano che il capo campo, alla dato dell’8 marzo 1945, era Hans Majeski, un austriaco; Archivio storico del Comune di Bolzano, Diario di Bolzano di Emilio Sorteni, 15 luglio 1945. Dario Venegoni riporta il nominativo di Hans Maierski, giunto da Milano; VENEGONI D., op. cit., p. 238. 28 Ibid. 29 MEZZALIRA G., VILLANI C., op. cit., p. 76. 30 FARONATO G., op. cit., pp. 35-37. 31 STEURER L., VERDORFER M., PICHLER W., op. cit., pp. 54, 104-107, 479-481, 488489; VENEGONI D., op. cit., p. 315. 32 STEURER L., VERDORFER M., PICHLER W., op. cit., pp. 483-484. 33 PALMAN T., op. cit., p. 160. 34 GAGGERO A., Vestìo da omo, Firenze 1991, pp. 10, 103, 133, 201; TIBALDI I., op. cit., Milano 19952, p. 111. 35 GAGGERO A., op. cit., p. 128. 36 FARONATO G., op. cit., p. 37. 37 HAPPACHER L., Il Lager di Bolzano, Trento 1979, p. 79 n. 234; CITTÀ DI BOLZANO, ASSESSORATO CULTURA, ARCHIVIO STORICO - STADT BOZEN, ASSESSORAT FÜR KULTUR, STADTARCHIV - COMUNE DI NOVA MILANESE, ASSESSORATO CULTURA, BIBLIOTECA CIVICA POPOLARE, Testimonianze dai Lager - Videoaussagen aus den NS-Lagern. Don Guido Pedrotti: sopravvissuto ai Lager di Bolzano, Mauthausen, Dachau. Er hat die NS-Lager von Bozen, Mauthausen, Dachau überlebt, Nova Milanese 2003, pp. 1, 3-6, 10. 38 CITTÀ DI BOLZANO, ASSESSORATO CULTURA, ARCHIVIO STORICO - STADT BOZEN, ASSESSORAT FÜR KULTUR, STADTARCHIV - COMUNE DI NOVA MILANESE, ASSESSORATO CULTURA, BIBLIOTECA CIVICA POPOLARE, op. cit., p. 1. 39 Intervista a Mirco Zizzola, Bolzano, 7 febbraio 2003. 40 Ibid. 41 Bianca Paganini Mori. In: BECCARIA ROLFI L., BRUZZONE A.M., Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Torino 1978, pp. 154-156, 159, 161-162; VENEGONI D., op. cit., p. 282; TIBALDI I., op. cit., pp. 101-102. 42 Bianca Paganini Mori. In: BECCARIA ROLFI L./BRUZZONE A.M., op. cit., p. 160. 43 AFMD, fondo Buffulini - Venegoni, b. 26 (BV1, 26), Padre Diego da Loreggia, Quattro mesi di prigionia tedesca, Padova, 22 giugno 1945. 44 BRAVO A., JALLA D., La vita offesa. Storia e memoria dei lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti, Milano 1992, p. 413. 45 Ibid., pp. 127-128. 46 Ibid., p. 416. 47 Ibid., pp. 128-129. 48 Bianca Paganini Mori. In: BECCARIA ROLFI L./BRUZZONE A.M., 28. Pulizia del Campo.