“La Venere Perduta” di Michele Rak di Katharine Stahlbuhk (Sintesi
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“La Venere Perduta” di Michele Rak di Katharine Stahlbuhk (Sintesi
“La Venere Perduta” di Michele Rak di Katharine Stahlbuhk (Sintesi del romanzo in 5000 caratteri) “La Venere Perduta” racconta in dodici capitoli la storia di una particolare investigazione. Il romanzo comincia con un cadavere, un uomo anziano morto che tiene in mano una fotografia. Questa dimostra, pare, il dettaglio di una statua, ovvero un piede. Sul retro di essa si legge: “La mia Venere, tanta sorprendente bellezza. Antonio Canova”. L’esperto d’arte di nome Kanopus viene incaricato dalla vedova del defunto di cercare questa statua presumibilmente di alto valore economico. Nella ricerca Kanopus viene aiutato dalla sua giovane assistente Axa. Ha così inizio un affascinante viaggio nella storia dell’arte, nella mente degli artisti e degli spettatori di corpi con una meravigliosa descrizione degli stati d’animi degli attori. L’arte assume qui lo stato di trasposizione materiale dei nostri desideri. Kanopus e Axa, così diversi e d’altro canto così simili, così vicini e allo stesso modo così lontani, rispecchiano questo concetto alla perfezione. Oltre a vari riferimenti nel testo del libro, è la loro complicità intima e di rispetto durante questa indagine in qualche modo travolgente, che racconta al lettore una loro storia sentimentale ormai irrecuperabilmente finita. Nonostante ciò, sono soggetti a empatia, affetto e gelosie. I continui rimandi testuali alla carne e quindi al desiderio sempre in relazione al bianco, al marmo, ovvero alla pietra morta e fredda sottolinea anche l’incapacità e staticità di questi due protagonisti chiusi nella loro amara rassegnazione. Riferimenti all’incapacità di amare emergono anche nelle parentesi dell’epoca neoclassicista introdotte nel romanzo con i capitoli riferiti al lavoro del Canova che tra l’altro afferma che “ha paura di ciò che si chiama amore”. Ma anche il suo agire, forse più di tutti, è l’ossessione alla perfezione. Vengono descritte dettagliatamente l’immensa fatica e le maniere con le quali crea le sue opere. Lui lavora di notte, perché anche i suoi corpi vanno guardati e ammirati di notte, con la mania della rifinitura a cera del marmo per farlo somigliare al massimo al lucido vivo della pelle pura piena di riflessi della luce soffusa delle candele. Ma una differenza rispetto agli altri attori del libro c’è. Il suo tormento è sì la ricerca della bellezza, ma probabilmente è l’unico in questo romanzo che, in qualche modo, la raggiunge. Riesce a catturare l’intima eternità di un attimo. Quello che è diverso è l’ottica, e l’impegno. Lui realizza l’immagine perfetta dei desideri - altrui - con immensa fatica e sofferenza fisica e psicologica. Per quanto riguarda l’ottica diversa, l’esempio eclatante è la sua statua più famosa, Amore e Psiche. Tanto spazio viene dato a questo mito raccontato al lettore dall’abate Foschi nel dialogo con Canova e anche qui l’amore sembra piuttosto una condanna, un inseguire, un fuggire, il dannarsi. Canova quasi si dispera alla ricerca della scena da rappresentare per poi concludere: “Sono tutte azioni che le allontanano, devo sceglierne una che li avvicina. E per sempre”. E possiamo dire che ci è riuscito, mentre gli altri inseguono vagamente un sogno senza veramente cercarlo anche per la paura di trovarlo e la possibilità di rimanerne deluso. Dopo varie ricerche in luoghi diversi, anche lontani, sulle tracce di Canova e statue esistenti, immaginate e perdute riescono a risolvere il mistero. Non si tratta del ritrovamento di una statua di marmo rappresentante la dea della bellezza ascrivibile all’ambiente del Canova o al maestro stesso. Ma non poteva essere diversamente. Il defunto signor Rossa innamorato di una donna reale ma lontana (fa parte dell’immaginario televisivo) insegue il suo sogno di Venere facendosi ‘scolpire’ il suo desiderio. Solo che, vivendo nel XXI secolo, non ricorre a uno scultore del calibro di un Antonio Canova che seppe trasferire sul marmo le sembianze ottiche e quasi tattili della carne umana, ma si rivolge a un produttore che fabbrica, con le possibilità di realizzazione moderne e “l’inquietante disponibilità del Contemporaneo”, bambole di gomma per uomini soli e malati. Il signor Rossa, ormai morto, era sicuramente un uomo solo, malato forse no. In ogni caso la bambola non soddisfa le sue aspettative e sembra, che, per i casi di ricerca della perfezione dei corpi che vogliono essere guardati, si adatti meglio la statuaria classica e non il commercio di fabbricati mirato alla banale soddisfazione dell’istinto sessuale privo della poetica ed eloquenza di statue di marmo creati da artisti. L’intero romanzo è metaforico e pertanto binario. La ricerca della Venere perduta - la presunta statua che dà inizio all’investigazione – è per così dire la cornice del racconto che però rivela la cognizione che essa non esiste e non può realmente esistere - né la presunta statua di Canova né il desiderio immaginario fattosi realtà. Alla fine sta l’apprensione (o, per Kanopus, la conferma) che l’immagine perfetta dei nostri desideri è condizionato dalla sua lontananza e l’impossibilità di arrivarci. E, quando lo si trova nella vita reale, quotidiana, non è altro che una fredda copia di ciò che vive nella nostra mente; l’amarezza che ciò che ci si immagina di trovare non equivale, e non raggiunge, ciò che ci si aspettava. È però doveroso sottolineare che si tratta del desiderio maschile di un qualche corpo perfetto, che spesso – anche dai protagonisti del libro – viene scambiato con l’amore. L’amore è cosa ben diversa. La ricerca di essa (o la sua perdita) si può manifestare come un tormento interiore, anche se in linea di massima - e qui è proprio il contrario al desiderio descritto in queste pagine – è la coalescenza reciproca del corpo desiderato con l’anima con il corpo e l’anima di colui che desidera. E quando si rivela è tutt’altro che una delusione in quanto oltrepassa notevolmente ciò che ci si aspettava. Nei casi come quello del signor Rossa o di Kanopus, la delusione subito dalla realtà (per i più svariati motivi) sposta il desiderio su un livello meramente mentale limitato alla ricerca di un sogno inarrivabile. Il desiderio sembra qui essere veramente un viaggio di ‘passione’, ma nell’etimologia del termine della parola tedesca “Leidenschaft” (=passione) che significa appunto ‘ciò che procura sofferenze’.