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Quasi tutto ciò che volevate da tempo sapere sulla macchina per l

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Quasi tutto ciò che volevate da tempo sapere sulla macchina per l
CAFFE’
Carlo Odello - Manuela Violoni
Quasi tutto ciò che volevate da tempo sapere sulla
macchina
per l’espresso
Che sarà mai produrre 25 ml
di acqua a 90 °C e spingerli a 9
atmosfere di pressione attraverso uno strato di polvere di
caffè? Il nostro caffè è effettivamente espresso, ma dietro quei
pochi secondi di estrazione c’è
una tecnologia di avanguardia,
una tecnologia che in gran parte dei casi è made in Italy.
Il problema non è quindi produrre 25 ml di acqua a 90 °C e
spingerli a 9 atmosfere attraverso un panello di caffè, ma
farlo ottenendo un caffè impeccabile e rifarlo per centinaia, poi migliaia e in seguito
milioni di tazzine. E la macchina ha un ruolo fondamentale in questa operazione. Un
barista può acquistare un’ottima miscela, disporre di un
macinadosatore favoloso e
avere una mano fantastica,
ma se lavora con una macchina sporca, o peggio una macchina sbagliata, non godrà
mai della luce che emana il
volto dei clienti soddisfatti.
Per questo di seguito vogliamo proporvi una serie di domande e risposte. Per gli
operatori saranno di interesse per migliorare il proprio
prodotto in tazza, per tutti
gli altri lettori sarà un’occasione per capire quanta tecnologia c’è dietro un semplice “Un espresso, per favore”.
Soprattutto se si tratta di un
Espresso Italiano Certificato.
Quali sono
i parametri da
considerare
nell’acquisto
di una macchina
per l’espresso?
Si tratta di una scelta non semplice, probabilmente non meno impegnativa di quando si
vuole cambiare la propria automobile. Tra i punti da prendere in considerazione, non ci
può certo scordare di:
●informarsi sull’affidabilità
della marca, intesa nel senso più ampio del termine;
●verificare le modalità di assistenza: occorre valutare
attentamente l’efficienza
dell’assistenza in zona, sia
sotto il profilo della rapidità degli interventi, sia sotto
quello delle capacità tecniche dell’incaricato;
●valutare le potenzialità: il
primo parametro da considerare è il numero di espres-
Dingler l’innovatore
Il caffè arriva in Europa verso la metà del diciassettesimo secolo. Per i primi centocinquant’anni viene generalmente fatto bollire
oppure messo in infusione con la polvere
sciolta nella cuccuma. Ma nei primi anni del
diciannovesimo secolo si iniziano a cercare
soluzioni migliori. Il primo a cimentarsi nell’impresa è Dingler che nel 1815 progetta un
bollitore. La macchina si basa sulla pressione
creata dal vapore e scaricata attraverso un carosello di valvole e tubi in una serie di recipienti pieni di acqua bollente e caffè in polvere.
Fatta l’Italia,
bisogna fare l’espresso
Gli italiani iniziano a pensare alle macchine da
caffè solo con l’Unità d’Italia. Fra i primi fabbricanti a depositare un brevetto italiano c’è Giovanni Toselli, un architetto che ha disegnato le
locomotive-giocattolo per fare il caffè all’epoca
del Secondo Impero (intorno al 1860). Ad ogni
modo per generazioni le due macchinette più
popolari presso gli italiani rimangono la “napoletana” e la “milanese”.
Voglia di bar e caffè
Alla fine del diciannovesimo secolo in Occidente
la gente trascorre sempre più tempo in giro e
meno a casa. Si affaccia quindi la necessità di
avere nei bar macchine che garantiscano una
bevanda apprezzabile e gustosa, ma che siano
semplici da utilizzarsi. Ecco quindi una nuova generazione di macchine per caffè, con Luigi Bezzera di Milano tra i pionieri. Nel 1906 la Pavoni
produce il modello Ideale, in grado di servire ben
150 tazze di caffè all’ora. Tre anni dopo arriva la
Victoria Arduino di Pier Teresio Arduino di Torino.
Ogni rosa ha le sue spine: le macchine da caffè
a vapore sono efficienti, ma dal punto di vista organolettico non danno buoni risultati.
L’ASSAGGIO 5 - PRIMAVERA 2004
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CAFFE’
Il caffè:
passione
e sudore
Nel
1938 il milanese
Cremonesi
progetta
un rudimentale gruppo a pistone manovrato da una leva orizzontale e lo applica
alla macchina del caffè del “Bar Achille”
di Achille Gaggia. Alla fine della guerra
questo apporta nuove modifiche al sistema e nel 1946 è pronto un “gruppo a leva”. Quando la leva veniva risospinta
verso l’alto, la molla spingeva in basso il
pistone, forzando l’acqua attraverso il
caffè in polvere a una pressione di circa
10 atm. Il difetto delle macchine a leva?
Oltre a non essere facilissime da gestire,
richiedono al barista un certo physique
du role.
La Cimbali: baristi
più
riposati
e caffè migliore
Nel 1956 La Cimbali brevetta il gruppo
idraulico. Alimentato dalla pressione
della rete idrica, è in grado di alzare il
pistone, incamerare la quantità d’acqua necessaria per una o due dosi
di caffè e comprimerla a una pressione di 9 bar attraverso il panello di
caffè. I baristi ringraziano: sono final-
mente finite le fatiche delle macchine a leva
e si riesce a ottenere una certa costanza sia
nelle dosi erogate in tazza che nel tempo di
infusione. Nel 1958 ecco un’altra innovazione da La Cimbali: lo scambiatore di calore.
Grazie a questa nuova tecnologia si ha la
garanzia di una temperatura costante dell’acqua nella caldaia.
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L’ASSAGGIO 5 - PRIMAVERA 2004
so che si preparano nei momenti di punta, ma poi occorre tenere presente le altre
utenze che deve soddisfare
la macchina, quali la produzione di vapore per fare il
cappuccino e di acqua calda
per preparare tisane;
●segnarsi le dimensioni e il
posizionamento sul proprio
banco: in funzione dell’alloggiamento della macchina
del bar e dello spazio disponibile;
●valutare la tipologia (a leva, automatica, superautomatica);
●informarsi sugli accessori;
●da ultimo, ma non meno
importante: l’estetica.
Perché si deve
addolcire l’acqua?
A quale durezza
bisogna portarla?
Il ruolo dell’addolcitore nella macchina per espresso è
determinante. Infatti la presenza di acqua troppo dura
crea depositi calcarei e questi provocano un calo del
rendimento della macchina.
Il calcare, depositandosi nelle tubature riduce gli scambi
termici, cosicché è necessaria più energia per portare
l’acqua alla temperatura di
lavorazione. Inoltre, non
meno importante, si riduce
la vita della macchina. Al di
là della macchina, si hanno
dei riflessi negativi anche sul
prodotto in tazza: un’acqua
troppo calcarea porta a modificare, anche se lievemente, il gusto del caffè e la presenza di carbonato di calcio
va a ridurre la quantità e la
qualità della crema.
Per poter addolcire l’acqua
esistono diversi tipi di procedimenti più o meno efficaci e soprattutto più o meno costosi. Bisogna innanzitutto tenere in considerazione che l’acqua necessaria per
lavorare con la macchina per
l’espresso non deve essere
assolutamente priva di minerali. Detto questo, possiamo affermare con sicurezza
che il tipo di addolcitore migliore è quello a resine a
scambio ionico, una tecnologia con una buona efficacia e un costo medio. Sempre efficaci ma con un costo
molto più elevato sono gli
addolcitori che sfruttano il
principio dell’osmosi inversa: hanno un funzionamento analogo ai nostri reni e
non scambiano calcio e magnesio con sodio, ma riducono alla frazione voluta
l’intero patrimonio di sali
che costituiscono la durezza.
Per quanto riguarda la durezza dell’acqua, non esiste
un valore ideale, ma ovviamente non possiamo lavorare con acqua troppo dura e
nemmeno con acqua demineralizzata. La durezza deve
quindi aggirarsi sui 7-9 °F.
Andando oltre ci si trova di
CAFFE’
fronte ad acque che possono
creare problemi al buon funzionamento dell’apparecchio,
mentre scendendo sotto questi valori le acque diventano
aggressive e pregiudicano la
qualità in tazza.
Come si fa
a capire se la
macchina ha una
caldaia sufficiente?
A quali cause si
può addurre la
non costanza
della pressione
della macchina?
di caffè è di 88 ± 2 °C. Ciò significa che l’acqua in caldaia
deve essere a una temperatura di oltre 117 °C. Per verificare questo dato, possiamo
rilevare la pressione di caldaia sul manometro, tenendo conto che 0,8 bar corrispondono a 116 °C, 1,0 bar
corrisponde a 120 °C e 1,2
bar corrispondono a 123 °C.
Perché certe
macchine tendono
a erogare acqua
più calda nei
momenti di punta
del lavoro?
In alcune macchine la temperatura dell’acqua nei momenti di maggiore richiesta
di espresso può alzarsi. Si
tratta di un fenomeno dovuto al superlavoro della macchina stessa che, con l’apporto di molta energia termica
ai gruppi, rende difficile la
dissipazione di calore dei
gruppi stessi.
Se ci troviamo ad avere una
pressione non costante della
caldaia della macchina, è necessario verificare le dimensioni: se troppo piccola, la caldaia
non può reggere i ritmi del nostro bar. Se non è un problema
di sottodimensionamento, possiamo pensare che il calcare si
sia impadronito della caldaia
delle tubature ed è quindi necessario procedere alla disincrostazione e successivamente
operare sempre un addolcimento dell’acqua adeguato.
Quale è
la temperatura
ottimale
dell’acqua
in caldaia?
La temperatura ottimale dell’acqua che arriva sul panello
Qual è
la pressione
ideale?
Il ruolo della pressione nella
“creazione” di un espresso è
determinante: una pressione
scorretta può comportare
una sovraestrazione o una
sottoestrazione. Per questo
la pressione ideale è 9 atmosfere e va tenuto sotto controllo attraverso la lettura del
manometro che rileva la
pressione della pompa. La
regolazione della pressione
viene fatta agendo sulla vite
di regolazione, ma tale procedimento viene svolto generalmente dal tecnico competente.
Quando la pressione non è
corretta, può darsi che un’acqua troppo calcarea abbia
Arriva la mitica Faema E61
Nel 1945 Carlo Ernesto Valente fonda Faema e brevetta un sistema rivoluzionario che
viene proposto sul mercato nella mitica
macchina E61, la cosiddetta macchina a
erogazione di cui, ancor oggi, sono in funzione migliaia di esemplari in Italia e nel
mondo. Il gruppo erogatore viene staccato
dalla caldaia e riscaldato attraverso un sistema di circolazione termosifonica. Inoltre
viene introdotta la camera di infusione e
una pompa in grado di sviluppare la necessaria pressione di 9 bar sul panello di caffè.
La lenta partenza dell’espresso
Al mattino, all’apertura del bar, è necessario porre particolare cura nell’accensione e nel riscaldamento della macchina. La fretta, si sa, è cattiva consigliera, e nel caso dell’espresso è una cattiva compagna di lavoro. Ecco quindi un
veloce promemoria:
1. accertarsi che il rubinetto di alimentazione idrica sia aperto;
2. portare l’interruttore della macchina in posizione 1 e accertarsi che il
livello in caldaia sia corretto;
3. agganciare i portafiltri (senza
caffè) ai gruppi;
4. portare l’interruttore della
macchina in posizione 2 e attendere la
fine della fase di riscaldamento (manometro in caldaia). L’attesa dipende dal
tipo di macchina;
5. al termine della fase di riscaldamento
eseguire alcune erogazioni da tutti i gruppi di caffè, dall’erogatore d’acqua e dagli
erogatori di vapore, per circa un minuto;
6. al termine attendere il ripristino della
corretta pressione in caldaia.
Da ultimo è buona cosa fare alcuni caffè, ma
non servirli ai clienti: assaggiamoli con cura
per verificare che tutto sia andato al meglio.
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CAFFE’
Sapore di sale
Nel caso si ottenga un caffè che presenta una nota salata, significa che l’operazione di addolcimento non è stata eseguita correttamente (non si sono seguite le
prescrizioni, è mancata l’acqua o la corrente ecc.) ed è rimasto sale in eccesso
nel circuito.
Le meraviglie della preinfusione
La preinfusione è un sistema per migliorare
l’estrazione del caffè. All’atto dell’erogazione il caffè macinato è imbibito di acqua calda senza pressione di pompa per alcuni secondi per essere poi investito dall’acqua
calda sotto pressione. Ciò permette di aumentare l’estrazione di sostanze idrosolubili presenti nel caffè e di farle permanere per
un tempo inferiore ad alte temperature che,
come nel caso delle proteine, ne causerebbero la denaturazione, con conseguente
perdita della loro struttura, essenziale nella
formazione della crema.
ostruito il circuito idraulico
e passi con molta difficoltà a
bassa pressione. In questo
caso è sufficiente disincrostare il circuito e diminuire
la durezza dell’acqua controllando che l’addolcitore
lavori nelle condizioni adeguate. In altri casi può esserci un problema a monte,
in particolare una scarsa alimentazione dell’acqua oppure più semplicemente la
pompa rotta, caso per cui è
necessario l’intervento del
tecnico.
Qual è il ruolo
dei portafiltri?
Espresso Italiano Specialist:
chi è costui?
L’Istituto Nazionale Espresso Italiano è partito dal presupposto che senza la presenza
in un pubblico esercizio
di uno specialista non
possa essere garantita
la qualità certificata dell’espresso in tazza. Il perché questo personaggio sia
il fulcro di tutta l’opera di garanzia della qualità è presto detto:
● è l’operatore del bar che sceglie e gestisce la miscela;
● è l’operatore del bar che sceglie e gestisce il macinadosatore e la macchina
per l’espresso;
●è l’operatore del bar che ha l’ultimo
controllo sulla tazza di esperesso prima
di porgerla al cliente.
C’è una cosa da aggiungere che, pur non
citata dallo schema di certificazione, ha
un’importanza fondamentale: è l’operatore
del bar che attraverso il suo comportamento può dare all’Espresso Italiano Certificato
qual valore aggiunto capace di determinare
il successo del locale dove opera e dell’intera operazione messa a punto dall’Inei.
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L’ASSAGGIO 5 - PRIMAVERA 2004
I portafiltri hanno una certa importanza nella buona
riuscita dell’espresso. Vanno
sempre tenuti agganciati in
modo da mantenerli caldi.
Ovviamente devono essere
sempre agganciati correttamente, in caso contrario si
può danneggiare lo stesso
portafiltro, si può sporcare
la macchina, il banco, rompere le tazzine e, cosa non
poco importante, costituire
un pericolo per l’operatore.
I portafiltri vanno tenuti ben
puliti in modo da non nuocere alla qualità dell’espresso e
da non ottenere tazzine con
dosi differenti di caffè (inconveniente che si rileva anche in
caso di portafiltro con un difetto di produzione o danneggiato durante il lavoro,
nonché quando la macchina
non è in bolla).
Un caso particolare riguarda
il portafiltro a una tazza: essendoci una minore superficie di estrazione, si possono
ottenere espressi di minore
qualità. Per ovviare al problema si può semplicemente
utilizzare una quantità di
caffè superiore rispetto a
quella che si utilizza generalmente.
Quanto conta
la pulizia
della macchina?
La pulizia della macchina è
fondamentale per la qualità
dell’espresso e per la durata
della macchina stessa. All’interno della macchina si viene a creare un ambiente saturo di sostanze derivanti
dal caffè e ad alte temperature e pressioni, queste tendono a trasformarsi in composti che alterano l’aroma
complessivo del prodotto in
tazza (provate a immaginare cosa succede in un pentolino facendo scaldare del
latte per più giorni senza
mai lavarlo).
Per non ottenere un caffè a
dir poco imbevibile e la
scomparsa prematura della
nostra macchina, ogni sera,
al termine di ogni giornata
lavorativa o di un turno di
lavoro, occorre procedere a
una pulizia attenta secondo
quanto riportato dal manuale d’uso e manutenzione.
Anche i filtri non durano in
eterno. Se non sostituiti a
tempo debito, si nota un deterioramento dell’espresso e
la comparsa di una certa
quantità di fondi in tazzina.
Non di minore importanza è
la manutenzione della macchina: va eseguita in funzione dell’intensità d’uso ed è
competenza del tecnico.
CAFFE’
Perché
è necessario
scaldare le tazze
sulla macchina?
Al caffè non piace finire in
tazzine fredde: quando esce
dalla macchina ha una temperatura che si aggira attorno agli 80 °C che tende ovviamente ad abbassarsi con il
trascorrere del tempo. La
temperatura ideale di assaggio è di 65 °C, ecco perché è
bene mantenere le tazzine
calde a circa 50 °C.
Per mantenere le tazzine a
questa temperatura, esistono
in commercio scaldatazze a
resistenza elettrica oppure a
vapore. Il primo è sicuramente il più pratico, mentre il
secondo risulta essere più intrigante. Al di là della soluzione che si decide di adottare, è
importante tenere le tazze in
rotazione: in caso contrario
potremmo trovarci di fronte
a clienti con tazze fredde in
mano e ad altri con le labbra
ustionate, clienti che probabilmente non conserveranno
un bel ricordo del nostro bar.
Cosa succede
all’espresso se
si usa del
macinato vecchio?
Il caffè è soggetto a una serie
di reazioni di decomposizione che interessano tanto la
reologia del prodotto quanto
la frazione aromatica e che
conferiscono al prodotto note sgradevoli. Ad esempio gli
acidi grassi del caffè irrancidiscono a causa dell’ossigeno e dell’umidità. Se vogliamo veramente bene ai nostri
clienti del mattino, evitiamo
di servirgli il caffè ottenuto
dal macinato della sera prima.
La storia della macchina
per l’espresso secondo Rancilio
L’avventura di Rancilio parte negli anni ’30. La prima
macchina data infatti 1927
e si chiama Regina, primo
modello, lucido e splendente, di una produzione
che si snoderà per 75 anni.
Negli anni Quaranta l’Ideale segna l’introduzione degli attuali modelli orizzontali. La caldaia aumenta
sempre più di volume e
cambia il sistema di estrazione, che non sfrutta
più il passaggio del
vapore: il primo
modello Rancilio a
leva è Fortuna, ancora verticale, seguito dai modelli
orizzontali Preziosa e Ducale degli
anni Cinquanta.
Il profilo della qualità:
l’Espresso Italiano Certificato
Gli anni Sessanta vedono
l’introduzione del sistema
a erogazione, fino a giungere agli anni Settanta con
i modelli Z8 e Z9 dalla lamiera a colori sgargianti e
quasi pop. Oggi siamo oltre
la frontiera dell’elettronica
con modelli a controllo automatico di tutte le variabili, a ridotto consumo energetico e con programmi di
lavaggio impostati.
L’Istituto Nazionale Espresso Italiano ha codificato le regole per ottenere un espresso
eccellente partendo dai desideri del consumatore e delineando poi il profilo sensoriale di conformità (vedasi grafico). In questo
modo lascia libera l’inventiva di torrefattori, costruttori di attrezzature e baristi, evitando l’omologazione. Ma per operare con
il massimo delle probabilità che il risultato
sia sempre conforme ha posto condizioni
irrinunciabili: miscela e attrezzature qualificate, barista abilitato. Sotto il profilo descrittivo, l’Espresso Italiano Certificato si
presenta alla vista con una crema di colore
nocciola – tendente al testa di moro e distinta da riflessi fulvi – e di tessitura finissima (assenza di maglie larghe e bolle più
o meno grandi). All’olfatto ha un profumo
intenso che evidenzia note di fiori, frutta,
pane tostato e cioccolato, tutte sensazioni
che si avvertono anche dopo la deglutizione,
nel lungo aroma che permane per decine di
secondi, a volte per minuti. Il gusto è rotondo, consistente e vellutato, l’acido e l’amaro
risultano bilanciati senza che vi sia prevalenza dell’uno sull’altro e l’astringente è assente, o comunque di ridottissima percezione.
Espresso Italiano Specialist
è anche un libro
Molte cose di quelle che avete
trovato in questo servizio, e molte altre ancora, le potrete trovare
in Espresso Italiano Specialist, il
volume edito dal Centro Studi e
Formazione Assaggiatori che costituisce il libro di testo per la
preparazione dei baristi qualificati dell’Istituto Nazionale Espresso
Italiano.
L’ASSAGGIO 5 - PRIMAVERA 2004
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