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GIORNATA DELL`UNITA` NAZIONALE E DELLE FORZE ARMATE:

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GIORNATA DELL`UNITA` NAZIONALE E DELLE FORZE ARMATE:
Le festività civili nazionali
Anno: 2011-2012
Classi: III A- III B
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Le festività civili nazionali
4 novembre: Giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate
27 gennaio: giorno della memoria
8 marzo: festa della donna
25 aprile: Festa della Liberazione
1 maggio: festa dei lavoratori
2 giugno: festa della Repubblica
Premessa
Per dare continuità ed un ulteriore significato al nostro progetto di cittadinanza e costituzione,
incentrato sulla conoscenza e sulla partecipazione attiva alle manifestazioni nazionali organizzate
sul territorio, noi ragazzi delle classi 3^ A e 3 ^ B abbiamo deciso di scrivere questo opuscolo.
In primo luogo abbiamo scritto della storia e del significato delle principali festività italiane, poi
abbiamo integrato con racconti, temi personali, poesie, testimonianze storiche.
L‟importanza delle feste nazionali è per noi, senz‟altro indiscutibile, perchè data dal valore, dal
coraggio di uomini e donne, i quali hanno sacrificato ciò che di più caro avevavo- famiglia,
affetti, amici e la loro vita- per combattere per dei nobili ideali.
Ideali giusti, che rischiano tuttavia di affievolirsi fin troppo nei nostri cuori. Sosteniamo sia
necessario, anzi fondamentale darne il giusto peso, ricordando chi, grazie alle proprie azioni, ci
ha permesso di vivere in un mondo democratico e civile.
Dobbiamo quindi interrogarci su quanto siano importanti queste feste e non se lo siano, perchè
in fondo tutti sappiamo qual è la risposta: rievocare i grandi avvenimenti del passato per
imparare a vivere oggi e migliorare il nostro futuro.
Le Feste Nazionali rappresentano inoltre dei momenti in cui celebrare anche le lotte più recenti
e quelle che si stanno ancora combattendo, come quelle contro la mafia o contro il terrorismo, a
causa delle quali ancora oggi, muoiono troppe persone.
(Alessandro Restifo III A)
“Il senso di partecipazione civile costituisce il valore di un’Italia che intende essere legata alla
democrazia”.
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4 novembre
Ogni anno la data del 4 novembre in tutta Italia è la celebrazione della vittoria della Prima guerra
mondiale, è la giornata delle Forze Armate e soprattutto è l‟occasione per ricordare i caduti, i morti,
di tutte le guerre. Le guerre mondiali, tanto la prima quanto la seconda, per noi ragazzi sono eventi
ormai lontani, che in qualche modo conosciamo solo perchè li ritroviamo sulle pagine dei libri di
storia o nei ricordi dei nonni. Il rischio che corriamo non è solo quello di non conoscere i fatti, le
date e le motivazioni, ma piuttosto quello di non riuscire a capire la sofferenza di chi le guerre le ha
vissute ed il sacrificio di chi in queste e in altre guerre ha perso la vita...
Se non riusciremo a capire tutto questo, il dolore ed il sacrificio di tanti uomini, donne e pure
bambini saranno stati inutili, perchè avremo perso l‟unica grande lezione che una guerra può dare,
cioè la sua stessa assurdità!
Ogni guerra è una follia.
Ogni guerra è un errore.
Nessuna guerra è indispensabile.
Nessuna guerra è giusta.
Non esiste litigio che non possa essere sanato con il dialogo.
Non esiste conflitto che non possa essere risolto con la diplomazia.
Non esiste ingiustizia, che richieda la violenza per essere sconfitta. Insomma, non c‟è nessun
motivo per cui la guerra debba ancora prevalere sulla PACE.
E la pace deve essere l‟unico vero obiettivo, l‟unico vero ideale per noi ragazzi che abbiamo la
fortuna di non aver mai visto la guerra con i nostri occhi. Quando pensiamo ai caduti di tutte le
guerre dobbiamo capire che sono morti solo per lasciarci in eredità la pace.
Ricordiamoci che la pace è un tesoro prezioso da difendere. Ma per difendere la pace non dobbiamo
pensare alle grandi potenze mondiali, ai politici che prendono le decisioni importanti, agli eserciti
che impugnano le armi.
Dobbiamo cominciare dalla nostra piccola realtà, dalle situazioni in cui viviamo: la scuola, la
famiglia, la squadra di pallone, il gruppo degli amici. A volte non ci rendiamo conto che anche qui
ci sono delle piccole guerre e dobbiamo fare il possibile per evitarle. In fin dei conti spesso basta
un sorriso, una parola o una mano tesa. Infine non possiamo ignorare che nel mondo ci sono ancora
tante guerre e che ogni giorno ragazzi come noi soffrono e muoiono nei conflitti. Senza contare
poi i bambini che vengono arruolati, armati e costretti ad uccidere come i bambini soldato.
La festa del 4 novembre non può essere solo un ricordo del passato, ma deve diventare progetto per
il futuro: un progetto di pace in cui tutti noi ragazzi siamo chiamati ad essere protagonisti....
(Discorso tenuto dai ragazzi il 4 novembre in piazza dinnanzi al “monumento dei caduti”.)
GIORNATA DELL'UNITA' NAZIONALE E DELLE FORZE ARMATE: 4 NOVEMBRE
Il 4 novembre è la Festa dell'Unità Nazionale e delle Forza armate. Il 4 novembre 1918 è la data in cui terminava la
prima guerra mondiale e, con l‟entrata delle truppe italiane vittoriose a Trento e Trieste, dopo quasi tre anni e mezzo
di combattimenti, si concludeva quella che allora venne definita la
“Grande Guerra”, portando a completamento il processo di
unificazione nazionale.
E' stata l'unica festa nazionale che abbia attraversato le età dell'Italia
liberale, fascista e repubblicana.
In occasione del 4 novembre le più alte cariche dello Stato si recano in
visita al Sacrario di Redipuglia dove sono custodite le salme di 100.000
caduti nella guerra del 1915-1918, nonché a Vittorio Veneto, il luogo
dove si svolse l'ultima guerra fra l'esercito Italiano e quello Austriaco.
La festa di tutto il popolo italiano, delle sue Forze Armate, che
conquistarono la Vittoria. Ma anche del popolo che lavorò e soffrì coi
suoi soldati. La festa dell‟orgoglio di una nazione che non fu messa in ginocchio, ma seppe riscattarsi e imporsi
all‟ammirazione del mondo.
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Ecco perché il 4 novembre si celebra il Giorno dell‟Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate. Una giornata
che nel 23 ottobre 1922 dichiararono festa nazionale. Una
ricorrenza celebrata con l‟apertura delle caserme di tutta Italia,
ma non solo. Le celebrazioni più importanti si tengono a Trento,
Trieste e Roma. In occasione della giornata delle Forze Armate, è
consuetudine che il Capo dello Stato e il Ministro della Difesa
inviino all'esercito un messaggio di auguri e di riconoscenza a
nome del Paese. Istituita nel 1919, fino al 1977 è stata un giorno
festivo inserito nel calendario, poi una riforma del calendario
delle festività nazionali, introdotta per ragioni economiche con lo
scopo di aumentare il numero di giorni lavorativi, è stata resa
"festa mobile" che cadeva nella prima domenica di novembre, ma
è stata anche oggetto di grande contestazione da parte dei
movimenti giovanili e pacifisti a cavallo degli anni Sessanta e Settanta ritenendo fuori luogo una "celebrazione"
dell'esercito e della vittoria del 1918 e invitando piuttosto a considerare il 4 novembre un "giorno di lutto". Solo
recentemente, è tornata nell'ottica di ridare nuovo vigore ai simboli dell'Unità Nazionale e ai difensori della Patria.
La giornata delle Forze Armate ha goduto di favore popolare. Tutti uniti da un sentimento di gratitudine alle Forze
Armate ed a coloro che si sono immolati per gli ideali di unità nazionale, di indipendenza, di libertà, di democrazia e
di pace.
(Giulia Citrini III A)
Sacrario Redipuglia
Il sacrario militare di Redipuglia è il più grande sacrario militare italiano ed uno dei più grandi al mondo,
inaugurato da Benito Mussolini il 19 settembre 1938, custodisce le salme di oltre 100.000 caduti della Guerra
Mondiale.
Sorge all'interno del territorio comunale di Fogliano Redipuglia in provincia di Gorizia (Friuli-Venezia Giulia), nella
regione etnico-culturale detta Bisiacaria.
Si presenta come uno schieramento militare con alla base la tomba del duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, cui
fanno ala quelle dei suoi generali caduti in combattimento.
Ai piedi della monumentale scalea è stata posta una grossa catena, subito oltre un ampio piazzale attraversato sulla
sua linea mediana dalla via Eroica, che corre tra due file di lastre dì bronzo, 19 per lato, di cui ciascuna porta inciso
il nome di una località dove più sanguinosa fu la lotta.
In fondo alla via Eroica si eleva solenne la gradinata che custodisce, in ordine alfabetico dal basso verso l'alto, le
spoglie di 40.000 caduti (identificati)
La maestosa scalinata è formata da 22 gradoni.
Nell'ultimo gradone, in due grandi tombe comuni riposano le salme di 60.330 caduti ignoti.
Nella cappella e nelle due sale adiacenti sono custoditi oggetti personali dei soldati italiani e austro-ungarici.
In concomitanza con l'edificazione del sacrario fu realizzata anche la stazione di Redipuglia, da inquadrarsi
nell'ottica di monumentalizzazione della zona di Redipuglia.
L'unica donna seppellita nel sacrario è una crocerossina morta a 21 anni di nome Margherita Kaiser Parodi Orlando,
la cui tomba si trova nella prima fila e si distingue perché nella facciata c'è scolpita una grande croce.
(Fabio Schwender IIIA )
Visita d‟istruzione al Sacrario Redipuglia ( IIIA- III B – 3 aprile 2012)
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27 gennaio: il giorno della memoria
Significato del giorno della memoria
Il 27 gennaio è il giorno della memoria dell’Olocausto.
Si vuole trasmettere a tutti, in particolare alle giovani generazioni, il monito a ricordare quali e
quanti efferati crimini sono stati commessi contro l‟umanità dal regime di Hitler durante la
seconda guerra mondiale.
E‟ importante che tutti conoscano la storia e sappiano farne tesoro, affinché non si debbano più
ripetere gli errori seminati dal regime nazista, perché si vorrebbe guardare ad un mondo senza
più lacerazioni e divisioni, senza odi razziali, senza violenza.
Questa giornata deve indurre tutti a riflettere, contro l‟indifferenza, contro l‟ignoranza e contro
chi nega la realtà della Shoah mancando di rispetto ai milioni di prigionieri sterminati durante
l‟olocausto.
(Shoah è un vocabolo ebraico che significa catastrofe, distruzione).
Ricordarsi di quelle vittime serve a mantenere memoria delle loro esistenze e del perché esse
vennero troncate. Molti Stati hanno istituito un "giorno della memoria". L'Italia lo ha fissato al
27 gennaio: la data in cui nel 1945 fu liberato il campo di sterminio di Auschwitz. In effetti, altri
ebrei, d'Italia e d'Europa, vennero uccisi nelle settimane seguenti. Ma la data della Liberazione di
quel campo è stata giudicata più adatta di altre a simboleggiare la Shoah e la sua fine.
Ovviamente la Shoah fu un evento storico collegato con altri avvenimenti storici; per questo si
indicano altri gruppi di persone la cui memoria va mantenuta viva: coloro che, a rischio della
propria vita, combatterono il fascismo e il nazismo e coloro che comunque contrastarono lo
sterminio e salvarono delle vite.
"Se questo è un uomo" (Primo Levi)– Passi scelti
"... Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi raschiamo diligentemente il fondo
della ciotola dopo il rancio, e la teniamo sotto il mento quando mangiamo il pane per non
disperderne le briciole..."
"... La legge del Lager diceva: "mangia il tuo pane e se puoi quello del tuo vicino" e non
lasciava posto per la gratitudine..."
"... Abbiamo imparato che tutto serve; il fil di ferro, per legarsi le scarpe; gli stracci, per
ricavarne pezze da piedi; la carta, per imbottirsi (abusivamente) la giacca contro il freddo..."
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"... Resnyk ha trent'anni come me. Mi ha raccontato la sua storia, e oggi l'ho dimenticata, ma
era certo una storia dolorosa, crudele e commovente; che tali sono tutte le nostre storie,
centinaia di migliaia di storie, tutte diverse e piene di una tragica e sorprendente necessità..."
"... E per la prima volta da che sono in campo, la sveglia mi coglie nel sonno profondo, e il
risveglio è un ritorno dal nulla. Alla distribuzione del pane si sente lontano, fuori delle finestre,
nell'aria buia, la banda che incomincia a suonare: sono i compagni sani che escono inquadrati
al lavoro. Dal Ka - Be la musica non si sente bene..."
"...I motivi sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni
popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del
Lager che dimenticheremo: sono la VOCE del Lager, l'espressione sensibile della sua follia
geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi
lentamente..."
"Quando questa musica suona, noi sappiamo che i compagni, fuori nella nebbia, partono in
marcia come automi; le loro anime sono morte e la musica li sospinge, come il vento le foglie
secche, e si sostituisce alla loro volontà..."
"...Lo impiccheranno, morrà sotto i nostri occhi: e forse i tedeschi non comprendono che la
morte solitaria, la morte di uomo che gli è stata riservata, gli frutterà gloria non infamia...""...
Perché nei Lager si perde l'abitudine di sperare, e anche la fiducia nella propria ragione..."
"...In Lager pensare è inutile, perché gli eventi si svolgono per lo più in modo imprevedibile; ed
è dannoso, perché mantiene viva una sensibilità che è fonte di dolore, ma che qualche provvida
legge naturale oscura quando le sofferenze sorpassano un certo limite..."Primo Levi
Primo Levi:
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici 1:
considerate se questo è un uomo 2
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane 3
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo 4
come una rana d‟inverno.
Meditate che questo è stato 5
vi comando queste parole 6
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli...
Note
1. visi amici: l‟appello del poeta è rivolto a chi vive nel benessere delle proprie case ed è circondato
dall‟affetto dei suoi cari.
2. un uomo: si riferisce a chi è stato in campo di concentramento.
3. per mezzo pane: si azzuffa per accaparrarsi un pezzo di pane
4. vuoti …grembo: con gli occhi incavati e il ventre freddo perché spoglio.
5. Meditate che questo è stato: riflettete sul fatto che ciò è veramente accaduto.
6. …queste parole: vi consegno questo messaggio
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DIO MIO, PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?
Noi siamo gli sradicati
i rifugiati che non hanno un ruolo
i confinati nei campi di concentramento
condannati ai lavori forzati
condannati alle camere a gas
bruciati nei forni crematori
e le ceneri disperse
Siamo il tuo popolo di Auschwitz
di Buchenwaid
di Belsen
di Dachau
Con la nostra pelle hanno fatto abat-jour
e con il nostro grasso han fatto sapone
Come pecore al macello
tu hai permesso che ci portassero
alle camere a gas
Hai lasciato che ci deportassero
Hai messo in vendita a poco prezzo il tuo popolo
e non si trovava un compratore
Andavamo come bestie
assiepati nei vagoni
verso i campi illuminati da riflettori
e circondati da filo spinato
ammucchiati nei camion verso le camere a gas
dove entravamo nudi
chiudevano le porte
spegnevano le luci
e tu ci coprivi con l'ombra della morte
Di noi non son rimasti che mucchi di vestiti
mucchi di giocattoli
e mucchi di scarpe.
Ernesto Cardenal
DACHAU
…e tutti gli occhi si chiusero lì al campo
… e la notte calò gelida e turpe.
… e le ossa ammassate sugli animi
e la carne avvinghiata alla panca
e il più rumoroso dei silenzi quella notte al campo.
Il cielo era stanco e spento
ma le grandi stelle brillano sui mesti panni
di quegli uomini curvi
Dachau pioveva dolore
mentre i bambini cantavano le antiche
favole dei loro padri.
… E la terra dissipava brandelli di vita d’anima e amore
Sguardi lividi e pensieri osati nelle menti
ferite dall’insolenza.
Sogni sterili e desideri evanescenti
strappati al cuore dai biechi intenti umani
Donne private del loro "esser donne"
uomini ceduti al fatto della sofferenza
prole depredata di giochi e di sorrisi
Fumo nelle menti, abbandonano negli spiriti
là non era permesso niente, neppure amare
neppure vivere
là tutto era un attimo, un breve sguardo
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l’intera tua esistenza.
la notte è trascorsa a Dachau
il giorno giunge vivo
e la luce si fa libertà.
Ma il vento non ha soffiato troppo forte
affinché si dimenticasse ……….
e non si dimentica.
E voi? C’eravate quella notte a Dachau
ed io?
No, noi non sappiamo, noi non capiamo,
non abbiamo mai sentito quel freddo,
mai patito quell’odio, mai perduto quella libertà,
la stessa libertà che oggi ci rende uomini e non ci fa dimenticare.
A tutte le "Anna Frank" che avrei voluto salvare
e che oggi, per un solo breve istante,
vorrei rivivessero in ognuno di voi.
Tema
Un argomento che abbiamo trattato nel corso dell‟anno e che mi ha particolarmente coinvolto è
la disgrazia che ha colpito innumerevoli vite umane nei campi di concentramento.
Personalmente mi è piaciuto approfondire l‟argomento con lettura di libri e testimonianze di
sopravvisuti, perchè abbiamo potuto capire il dramma che hanno patito quei poveretti, che
sopportano di rinnovare i ricordi pur di convincere il mondo che tutto ciò non deve più
succedere.
L‟idea dei campi venne a Hitler e Himmler, nel periodo di massima espansione del Reich,
durante una riunione per decidere la soluzione finale al problema ebraico. Durante questa
assemblea si concordò inoltre chi doveva essere internato nei lager, la gerarchia, il razionamento
del cibo e l‟organizzazione dei campi con una precisone matematica.
I campi di concentramento erano grandi estensioni di terreni (principalmente pianeggianti), che
erano delimitati da recinti di filo spinato, in cui correva la corrente elettrica, spesso erano la
fermata di una ferrovia con cui arrivavano, sui carri bestiame, i deportati.
Ai quattro angoli, su torri molto alte, stavano delle SS con i mitra puntati, che svolgevano il
compito di sentinelle in caso di eventuale fuga. Notte e giorno, ogni angolo del lager era
illuminato da potenti fari. L‟unica eccezione era Mathausen, che dall‟esterno aveva le sembianze
di una grande fortezza in cima ad una collina. I lager erano disseminati su tutto il territorio
tedesco e polacco ed i più importanti erano: Auschwitz e Birkenauu, Dachau, Mauthasen,
Bergen- Blesen, Ravensbruk e Treblinka.
C‟erano anche dei campi adibiti ai soldati e agli ufficiali catturati in guerra, gli Stalag e gli
Oflag, in cui si poteva godere di condizioni di vita leggermente migliori (ad esempio, ogni
internato aveva diritto a ricevere un pacco da casa ogni tre mesi).
Intorno ai lager erano stati istituiti anche dei Kommando di lavoro, in cui si recavano ogni giorno
dei manipoli di confinati. Per ogni lager, che ospitava decine di migliaia di persone bastavano
poche centinaia tra SS e Kapo‟, grazie al terrore ed alla sottomissione che esercitavano sui
deportati.
Gli internati erano classificati con triangoli di diversi colori: ad esempio verde per i criminali
(che solitamente erano adoperati come Kapo‟o blockalster o capiblocco), rossi per i prigionieri
politici e di guerra (sovietici, partigiani..), nero per i cosidetti asociali (come gli zingari..); poi,
per gli ebrei, la stella gialla di David, con strisce nere per chi era sospettato di avere contatti con
gli ariani.
Le condizioni dei poveri relegati erano terribili: all‟arrivo (dopo un viaggio su carri bestiame
quasi senza acqua e cibo per giorni) venivano privati di ogni effetto personale, come anche
gioielli, abiti, fotografie...e incolonnati per cinque per procedere allo smistamento; quasi sempre
le donne, ma anche i bambini, vecchi e malati venivano condotti immediatamnete nelle camere a
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gas, con la scusa di una doccia.
Gli uomini erano “accolti” nell‟appelplatz con minacce del tipo “ tu di qua uscirai per il camino”
o urla come “schnell schnell, alles raus, los!” (veloci, veloci, tutti fuori, via!)
Nei primi tempi, i deportati zugang (nuovi) erano rasati, poi portati alla disenfezione; negli
ultimi anni, invece, gli evacuati dai campi raggiunti dall‟Armata Rossa e i nuovi arrivati
venivano subito uccisi per il conseguente sovraffollamento, tenendoli all‟esterno senza vestiti
sotto gli idranti d‟acqua gelata in pieno inverno, senza cibo per giorni.
I deportati vivevano in lunghe baracche di legno stretti, i più fortunati, a dormire in quattro in un
pagliericcio di due metri per 80 cm!
In una baracca potevano stare anche 800 persone, stipate in spazi assurdi senza neppure un
centimetro libero di spazio.
I relegati avevano il razionamento di cibo calcolato secondo il fabbisogno di un uomo
sedentario; il loro pasto aveva circa 1000 calorie (un uomo in condizioni normali necessita di
3000 calorie), mentre ne avrebbero avute bisogno 5000.
Quello, che in teoria si dovrebbe definire “pasto”, consisteva in una misera ciotola di acqua
sporca con bucce di patata o di rapa, che però veniva comunque chiamata “suppe”. Con lo
stomaco pieno neppure per metà, i prigionieri venivano spediti a lavorare principalmente in cave,
fabbriche di armi o nelle città rase al suolo dai bombardamenti aerei o a spalare le macerie.
Forse, una delle peggiori mansioni che potevano capitare era proprio andare a lavorare in cava;
sempre di corsa, sotto valanghe di bastonate, frustate, urla e con un macigno che pesava sì e no
quanto loro...i poveretti arrivavano in pochi giorni allo stremo delle forze.
Era così facile, morire nei lager.
Che sia di polmonite, dissenteria, inedia, edemi, stanchezza, di impiccagione, fucilazione,
torture, sul lavoro o gassati, in qualche modo ognuno avrebbe dovuto finire sepolto sotto i
mucchi di cadaveri, che attendevano di essere ridotti in un nulla entrando in un forno crematorio.
“Perchè qui non siamo in un sanatorio...”. ripetevano sempre le SS. O forse sì, il sanatorio c‟era,
ma funzionava più come anticamera ai forni.
Nel rewier venivano confinati tutti coloro, che erano allo stremo e non riuscivano a stare sulle
proprie gambe, ma non per molto. Era anche una specie di laboratorio negli ultimi anni, per
esempio, nel sovrafollamento più totale, venivano fatti sparire alcuni individui per studiare come
si moriva ( con un‟iniezione di benzina nei polmoni, ad esempio...).
Ma il ricordo che degrada più di tutto la memorie dei pochi sopravvisuti è lo stato d‟animo, con
cui erano costretti a convivere. Costretti tutti i giorni sotto minacce, urla e pestaggi, erano in
totale sottomissione ed il loro unico obiettivo era quello di sopravvivere ..
Gaia Zuccoli III A
Immagino di essere un ebreo e scrivo alcune pagine di diario...
Auschwitz, giugno 1944
Caro diario,
non so esattamente che giorno sia. So solo che sono in un campo di concentramento, ad
Auschwitz in Polonia. La vita qui è molto dura, si lavora dal giorno alla notte ed il cibo
scarseggia. Tutte le mattine devo sopportare la sveglia delle 4.30, senza colazione. Subito in
piedi, si “raccatta” qualche strumento di lavoro e di corsa a lavorare. Ogni santa mattina i soldati
fanno l‟appello, e se manca qualcuno, inizia la “caccia all‟ebreo”; i tedeschi liberano i cani e
sparano all‟impazzata fuori dal campo, nell‟intento di uccidere “lo sporco ebreo”...noi siamo
chiamati così.
Finalmente arriva l‟ora di pranzo, non ci si aspetta niente di abbondante, non pranzi a grandi
portate, no, non è questo. Il nostro pasto è una brodaglia putrida, acqua sporca riscaldata, con
delle bucce di patate e con qualche insetto mescolato insieme...ci danno circa 5 minuti per la
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“pausa pranzo”ed ancora, di corsa, al lavoro con picco e pala.
Stiamo costruendo un pozzo, dove raccogliere acqua per abbeverare loro, i soldati nazisti.
Noi facciamo tutti i lavori per loro, noi lavoriamo e loro guadagnano cibo e ricchezze.
I lavori per il pozzo, vanno avanti da circa due settimane, siamo a buon punto.
Ho pensato molte volte di rinunciare o di rallentare il lavoro, ma non si può, perchè loro sono
come delle vedette; stanno davanti a te, giorno e notte, e se solo ti fermi per pochi secondi, per
riprendere fiato o rallenti il lavoro, ti picchiano talmete forte, che puoi rimanere secco.
A loro non importa se sei donna o uomo, se sei vecchio, o bambino. I vecchi ed i bambini,
appena arrivati al campo, vengono spediti nelle camere a gas. Le donne, se hanno delle abilità
fondamentali per i lavori di precisone, vengono tenute, oppure uccise.
Mi ricordo il primo giorno, che sono arrivato qua: mi hanno svestito, privato di ogni cosa a me
preziosa, rasato i capelli ed infine disinfettato e lavato. Una cosa mi è rimasta impressa quel
giorno, una frase che diceva “Se arrivate qua, uscirete dal camino... Se siete contrari buttatevi sul
filo spinato”. Una frase, che incute terrore, una frase che rimane impressa nella mente.
Ho ricordi sfuocati di quel giorno...un giorno terribile. Ora devo andare, sono arrivati i soldati a
chiamarci.
P.S. Spero che qualcuno ritrovi questo diario per conoscere la vera vita nei campi, non le frottole
che raccontano i nazisti.
Ciao, il tuo Oscar*
Auschwitz, luglio „44
Caro diario,
Finalmente ho l‟opportunità di scriverti. Sono passate, due settimane dall‟ultima volta che ti ho
scritto. Sono successe molte cose in questi giorni. Per esempio, il pozzo che avevamo
incominciato è finito; e come presumevo, serve per i nazisti, come tutte le cose costruite da noi.
Ma c‟è una bella novità: poco tempo fa abbiamo cominciato la costruzione di un canale per il
filtraggio dell‟acqua, e questa acqua, serve per noi...finalmente. Un giorno di questi hanno
migliorato il nostro pranzo, perchè stiamo lavorando duramnete. Niente di che, però un pugno di
riso “basta” per noi. Sono contento della nostra situazione oggi. Ci dicono che la guerra sta per
finire, ed io non vedo l‟ora di andarmene da questo posto infernale. Spero in una sconfitta
tedesca, da un giorno all‟altro. Con l‟animo risollevato, ti saluto. Oskar
18 maggio, 1954
Caro diario,
Finalmente ti ho trovato. Il mio sogno si è realizzato, la guerra è finita; siamo stati liberati dagli
americani. É successo nell‟aprile del 1945. Un giorno come gli altri, stavo riposando, e ad un
tratto il putiferio totale...Finalmente ho ripreso a mangiare regolarmente, però il trauma non si
supera.
Sono chiuso in me stesso. Non riesco a raccontare le mie angosce a nessuno, neppure allo
psicologo, ho deciso di farla finita. Addio... Oskar*
(Giovanni Manusardi III A)
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( 4 aprile 2012. Visita d’istruzione alla Risiera di San Sabba- III A- III B)
Risiera di San Sabba
La Risiera di San Sabba è stata un lager nazista, situato nella città di Trieste, utilizzato per il
transito, la detenzione e l'eliminazione di un gran numero di detenuti, in prevalenza prigionieri
politici ed Ebrei.
La Risiera come luogo di sterminio È stato uno dei tanti campi di concentramento in Italia. In esso le autorità
tedesche compirono uccisioni, in un primo momento mediante gas (usando i motori diesel degli autocarri), in
seguito per fucilazione o con colpo di mazza alla nuca. Nel campo di sterminio italiano c'era un forno crematorio.
Questo forno venne ricavato da un essiccatoio in cui veniva asciugato il riso. Qui i cadaveri bruciavano e
diventavano polvere e cenere. Oggi la risiera è un vero e proprio museo.
Tale zona faceva parte formalmente della Repubblica sociale italiana, ma l'amministrazione del territorio considerato come zona d'operazione bellica - fu però affidata e sottomessa al controllo dell'Alto Commissario
tedesco Friedrich Rainer.
Il complesso di edifici che costituivano lo stabilimento per la pilatura del riso era stato costruito nel 1913 nel rione
di San Sabba (più correttamente san Saba), alla periferia della città e fu trasformato inizialmente in un campo di
prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l'8 settembre del 1943: venne denominato Stalag 339.
Successivamente, al termine dell'ottobre 1943, il complesso diviene un Polizeihaftlager (Campo di detenzione di
polizia), utilizzato come centro di raccolta di detenuti in attesa di essere deportati in Germania ed in Polonia e come
deposito dei beni razziati e sequestrati ai deportati ed ai condannati a morte. Nel campo venivano anche detenuti ed
eliminati Sloveni, Croati, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Supervisore della Risiera fu l'ufficiale delle SS Odilo
Globocnik, triestino di nascita. Per i cittadini incarcerati nella Risiera, intervenne in molti casi, presso le autorità
germaniche, il vescovo di Trieste; in alcuni casi con una soluzione positiva (liberazione di Gianni Stuparich e
famiglia) ma in altri senza successo.
Luogo dove si trovava il forno crematorio
I nazisti, dopo aver utilizzato per le esecuzioni i più svariati metodi, come la morte per gassazione utilizzando
automezzi appositamente attrezzati, si servirono all'inizio del 1944 dell'essiccatoio della risiera, prima di
trasformarlo definitivamente in un forno crematorio. L'impianto venne utilizzato per lo smaltimento dei cadaveri e la
sua prima utilizzazione si ebbe il 4 aprile 1944 con la cremazione di una settantina di cadaveri di ostaggi fucilati il
giorno precedente in località limitrofe Villa Opicina (Trieste). Questo luogo è di assoluta importanza in quanto fu
l'unico campo di deportazione dell'Europa meridionale. Il forno crematorio e la connessa ciminiera furono abbattuti
con esplosivi dai nazisti in fuga nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, nel tentativo di eliminare le prove dei loro
crimini, ma sono stati descritti successivamente dai prigionieri testimoni del campo. Tra le rovine furono ritrovate
ossa e ceneri umane. Sul medesimo luogo, a ricordo, sorge oggi una struttura commemorativa costituita da una
piastra metallica sul posto dove sorge il forno crematorio e da una stele che ricorda la presenza della ciminiera. Nel
complesso le esecuzioni sarebbero state almeno cinquemila, secondo una stima approssimativa, sebbene non si
disponga di dati certi.
Il museo e gli edifici : nel campo erano presenti diversi edifici che oggi non esistono più, in seguito alla
trasformazione in campo profughi per gli esuli giuliano-dalmati nel 1945 e alla seguente ristrutturazione e
trasformazione in "Monumento Nazionale" . Sono visibili:

La "cella della morte" dove venivano rinchiusi i prigionieri portati dalle carceri o catturati in rastrellamenti e
destinati ad essere uccisi e cremati nel giro di poche ore.

Le 17 celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri, riservate particolarmente agli Sloveni
e Croati, ai partigiani, ai politici, agli ebrei, destinati all'esecuzione a distanza di giorni o di alcune settimane. Le due
prime celle venivano usate per la tortura e la raccolta di materiale prelevato ai prigionieri e vi sono stati scoperti, fra
12
l'altro, migliaia di documenti d'identità, sequestrati non solo ai detenuti e ai deportati, ma anche alle persone inviate
al lavoro coatto.

L'edificio seguente di quattro piani, dove venivano rinchiusi in ampie camerate gli ebrei ed i prigionieri civili e
militari destinati per lo più alla deportazione in Germania, uomini e donne di tutte le età e bambini anche di pochi
mesi. Da qui finivano a Dachau, Auschwitz, Mauthausen, verso un tragico destino che solo pochi hanno potuto
evitare. Nell'edificio centrale, usato come caserma, con il forno crematorio si trova l'interessante Museo.

La camera a gas in un sotterraneo vicino alle microcelle.

il Forno crematorio con vicino il museo (allora era un obitorio con accanto questo enorme forno).
Nel 1965 la risiera di san Sabba è stata dichiarata Monumento Nazionale "unico esempio di Lager nazista in Italia".
(Da “Risiera di san Sabba”. Elio Apih. Quaderni didattici 9)
Pensieri...
“Mi ha colpito profondamente il filmato trasmesso nella Risiera che riassumeva la tragica vita dei deportati nei
campi, mi sono resa conto che quelle cose orribili vanno ricordate e trasmesse agli altri e, che noi giovani, il futuro
del mondo, dobbiamo impedire che riaccadano. Ho capito quanto possa essere enorme la crudeltà dell‟uomo, che
distrugge sè stesso solo perchè ha paura del diverso, delle persone che hanno abitudini diverse o la pelle di diverso
colore.
L‟uomo è arrivato a ridurre i suoi simili a meno che bestie, privandoli dell‟anima... provo angoscia per tutte le anime
che hanno avuto lo stesso destino, i cui corpi giacciono senza nome ammucchiati nelle fosse comuni, ma anche per
le menti che hanno organizzato nei minimi particolari lo sterminio di massa perchè non avranno pace, tormentate dai
rimorsi delle azioni terribili da loro progettate....”
(Cristina Molteni, III B)
“Un conto è studiare sul libro i campi di concentramento e un altro è visitarli – vivendoli sulla propria pelle- ...
Alcune volte mi domando: i tedeschi com esono riusciti a compiere tutto quel massacro senza provare un po‟ di
tristezza e rimorso verso i detenuti? Come è possibile che le S.S. non avessero cuore per capire che stavano
uccidendo delle persone? Inoltre essi stavano calpestando i diritti umani e sottraendo loro tutto, come il nome, la
dignità, i ricordi e le libertà...”
(Chiara Lombardini, III B)
TEMA SULL‟OLOCAUSTO
Le vicende più terribili che hanno fatto fremere di dolore e di sdegno ogni persona civile,
avvennero, senza dubbio, durante il secondo conflitto mondiale con la creazione dei famigerati
campi di concentramento e di sterminio nazisti. Sono avvenimenti estremamente impressionanti
per la ferocia con cui furono trucidati non migliaia, ma addirittura milioni di persone.
In un primo momento detti campi furono creati per rinchiudere gli oppositori del partito nazista,
come socialisti e comunisti, ai quali si aggiunsero poi, gli Ebrei. Questi ultimi per anni vennero
perseguitati e rinchiusi in campi dai quali, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la
Germania cominciò a prelevare masse di gente che le potevano fornire lavoro a buon mercato,
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date le maggiori necessità dovute allo sforzo bellico. Le condizioni generali di questi campi di
concentramento erano degradanti ed il trattamento assai brutale.
Durante la guerra molti prigionieri furono usati come cavie per esperimenti scientifici e parecchi
furono torturati ed uccisi. Le baracche in cui gli internati dormivano erano in uno stato
deplorevole, indegne di persone civili; le razioni alimentari assai scarse ed i lavori molto pesanti,
sicchè poche persone potevano sopravvvire ad un lungo internamento.
In ogni campo i nazisti crearono dei forni crematori per eliminare i cadaveri. Negli ultimi mesi di
guerra, specialmente, esaurite le scorte alimentari, migliaia di prigionieri morirono di inedia.
Quando arrivarono le truppe alleate in questi campi dell‟orrore, si trovarono di fronte a scene
terribili: fra le altre cose videro parecchi prigionieri ancora vivi, che giacevano ormai senza più
forze accanto ai compagni deceduti. Ancora più feroce ed inumana fu la creazione dei campi di
sterminio per ordine di Himmler, capo delle famigerate SS; la maggior parte sorse in Polonia con
lo scopo di uccidere in massa popolazioni indesiderate, specialmente Ebrei.
Questo feroce sterminio faceva poarte del piano nazista di creare una razza superiore, quella
germanica “naturalmente”. Così povere creature indifese, compresi i bambini e le donne, furono
caricate come bestie sui treni della morte ed inviate ai campi di sterminio, dove venivano
immediatamente messe a morte nelle camere a gas che, per ingannare quegli infelici, erano
cammuffate da stanza da bagno. I cadaveri venivano poi eliminati, mediante i forni crematori,
dopo aver tolto loro, ogni oggetto di valore. Quante pagine di coraggio stoico e di fede sono state
scritte in questi luoghi di morte!
Chi non conosce, per esempio, il commovente Diario di Anna Frank, la bambina olandese
ebraica morta, dopo tanti stenti, in uno di questi terribili campi? Esso rappresenta un vero atto di
accusa contro lo spietato razzismo nazista.
I campi di sterminio furono molti, ma i più tristemente famosi furono quelli di Buchenwald,
Auschwitz, Dachau, Mauthasen. Solo ad Auschwitz furono annientate oltre due milioni e mezzo
di persone! Questi mostruosi avvenimenti ci fanno riflettere sulla ferocia e stupidità delle guerre
e sulle orribili azioni di cui è capace l‟uomo, ricordandoci che non ci potrà essere un vero
progresso per l‟umanità senza la pacifica e civile convivenza di tutti i popoli della terra!
Giornata internazionale della donna: 8 marzo
Definizione La Giornata internazionale della donna è una manifestazione che ricorre ogni anno l'8
marzo, per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, le quali però subiscono
tuttora violenze e abusi.
STORIA
Il 18 agosto 1907, nella seduta a Stoccarda del VII Congresso della II Internazionale socialista,
si discussero varie tesi, tra le quali quella sulla questione femminile e sulle rivendicazioni del
diritto di suffragio alle donne. Il 26 e 27 agosto si tenne una Conferenza internazionale delle
donne socialiste, nella quale si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne
socialiste. Clara Zetkin fu eletta segretaria della rivista, da lei stessa redatta, Die Gleichheit, che
divenne l'organo dell'internazionale delle donne. Nel 1910 si tenne a Copenaghen un'altra
conferenza, dove si stabilì, in seguito allo sciopero nel 1908 di oltre 20.000 impiegate
newyorkesi, di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Il 19 Marzo 1911 ci fu per la prima volta in Germania, Austria, Danimarca e Svizzera, la
giornata della donna. Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj quella data fu scelta
perché in Germania, il 19 marzo 1848, durante la rivoluzione il re di Prussia dovette riconoscere
la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria, che egli
attribuiva ad una rievoca del diritto di voto delle donne. Negli anni a seguire la celebrazione fu
interrotta, nel pe-riodo della prima guerra mondiale, tra i paesi belligeranti, finché a San
Pietroburgo, l'8 marzo 1917, le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che
rivendicava la fine della guerra,
nella cosiddetta “Rivoluzione di febbraio“. Questo avvenimento segnò l'uscita dalla grande
guerra della Russia e il successivo spostamento della giornata internazionale l'8 marzo.
14
In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922.
Le protagoniste del Movimento femminista in Europa
Clara Zetkin, segretaria
de “Die Gleichheit“
(=l'uguaglianza), 1908.
Emmeline Pankhurst,
massimo esponente del
movimento femminista in Inghilterra.
Perché la mimosa
La nascita della mimosa nella festa della donna vide
la luce l'8 marzo 1946 in Italia, grazie all'idea di tre
deputate parlamentari di epoche diverse e delle
quali solo Teresa Mattei sopravvive oggi
all'invidiabile età di 91 anni. La mimosa, infatti, è
una pianta che fiorisce proprio nei primi giorni di
marzo, considerata per il suo giallo caldo e intenso
il simbolo della giornata internazionale della donna.
Vi sono molte supposizioni e leggende legate alla
comparsa della mimosa... ( Alessandro Girardin III
A)
8 marzo: giornata della donna
Si è tentato negli ultimi tempi di trasformare in una festa del consumo anche la giornata
internazionale della donna, che si celebra l’otto marzo, ma non bisogna dimenticare la sostanza
ed il vero significato di questa data. Nel nostro paese la giornata della donna si è celebrata
ufficialmente solo a partire dal 1945 per iniziativa di alcuni gruppi politici di donne che si
riunirono a Roma per rivendicare i loro diritti (diritto al lavoro in tutte le industrie, parità
salariale, possibilità di accedere ai posti direttivi). E‟nata a Roma l‟idea di mettere un fiore
all‟occhiello per caratterizzare la giornata. Si scelse un fiore che fosse reperibile all‟inizio di
marzo. A Roma a marzo fioriscono rigogliose le piante di mimosa, da qui il fiore simbolo che
caratterizza la giornata. In Italia la giornata della donna si è quindi radicata soltanto nel 1945, in
altri paesi americani ed europei si celebrava già da decenni.
Negli Stati Uniti il primo Woman’s day risale ad un raduno delle donne socialiste americane il 3
maggio 1908 in un teatro di Chicaco. Qui il partito socialista organizzava ogni domenica una
conferenza, quella domenica mancava il conferenziere e le donne ne approffitarono per
15
organizzare una giornata della donna. L‟anno successivo nacque formalmente lo Woman’s day.
Inizialmente ci furono delle divergenze nel fissare la data per questa celebrazione: furono La
Grande guerra e la rivoluzione russa ad imporre l‟8 marzo. Il 23 febbraio del 1917 a Pietroburgo,
in occasione della giornata della donna ci fu una manifestazione di donne operaie che per strada
chiedevano il pane ed il ritorno dei loro uomini dalle trincee. Nel 1921 la conferenza delle
donne comuniste riunite a Mosca fissarono l‟8 marzo come giornata internazionale dell‟operaia
in ricordo della prima manifestazione a Pietroburgo. (Il 23 febbraio secondo il calendario russo).
(Martina Herman III B)
Come abbiamo letto sul nostro testo di storia la data dell‟8 marzo trae origine da un
drammatico episodio, che ebbe come protagoniste delle giovani operaie. Nella sera dell‟otto
marzo 1912, in una fabbrica di camicie di Manhattan, a New York, divampò all‟improvviso un
incendio, provocato da un corto circuito. A quell‟ora, non essendo ancora terminata la giornata di
lavoro, in fabbrica si trovavano circa duecento ragazze. I laboratori erano situati al nono e
decimo piano di un alto edificio, privo di qualunque misura di sicurezza, e le porte degli stanzoni
erano chiuse e sbarrate, per impedire che le operaie potessero uscire prime del tempo. Molte
ragazze, intrappolate dalle fiamme e terrorizzate, cercarono di salvarsi lanciando passerelle sui
tetti degli edifici vicini, altre si lasciarono cadere nel vuoto, altre ancora morirono nell‟incendio:
in tutto le vittime furono 146. In loro ricordo fu istituita la ricorrenza dell‟otto marzo. (Martina
De Stefani III B)
25 aprile – Festa della Liberazione
L‟origine della Festa della Liberazione, o del 25 Aprile, è una festa nazionale e civile, che sta
nella celebrazione di uno dei giorni cardine della storia della Repubblica Italiana, ossia la fine
dell‟occupazione nazifascista dell‟Italia, avvenuta proprio il 25 aprile 1945, al termine della
Seconda Guerra Mondiale. Il 25 aprile ha diversi nomi: Festa della Liberazione, Anniversario
della liberazione d‟Italia, anniversario della Resistenza.
La tanto desiderata Liberazione non avvenne in tutta l‟Italia nel medesimo giorno: la data è stata
scelta convenzionalmente, perché proprio il 25 aprile furono liberate le città di Torino e Milano.
Successivamente, entro il 1° maggio anche tutto il resto dell‟Italia settentrionale subì il
medesimo destino: il 21 aprile a Bologna, il 26 aprile a Genova e il 28 aprile a Venezia.
Pertanto, la Festa della Liberazione è il simbolo della fine del Ventennio fascista, del regime
totalitario, della dittatura, la fine di cinque anni di guerra. È dal 1946 che il 25 Aprile viene
considerato festa nazionale, con tanto di manifestazioni, cortei e varie celebrazioni.
(Alessandro Girardin IIIA)
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(dalla “Provincia di Sondrio”, 26 aprile 2011)
TEMA: Il 25 APRILE
La data del 25 aprile 1945 rappresenta un momento memorabile nella storia del nostro paese,
cioè il momento del riscatto nazionale, dopo i gravi avvenimenti che seguirono l‟infelice guerra
voluta dal fascismo italiano e dal nazionalsocialismo tedesco: infatti, l‟Italia, alleata della
Germania nazista, aveva ormai perduto la guerra contro gli alleati.
Come abbiamo appreso, studiando la storia, nel luglio del 1943 cadeva praticamente il governo
fascista e, qualche mese dopo, l‟Italia negoziava separatamente l‟armistizio col commando
alleato, mentre il re ed il governo Badoglio riparavano a Brindisi, già occupata dalle truppe
americane ed inglesi. In tal modo, l‟Italia, abbandonata a se stessa fu facile preda dei Tedeschi,
che la occuparono.
Ma, in seguito allo sbarco a Salerno dei soldati alleati e grazie anche alle famose Quattro
giornate di Napoli, tutta la parte meridionale della nostra penisola venne liberata. Allora i
Tedeschi si attestarono sulla famosa linea Gotica, e qui si combattè per vari mesi.
E‟ in questo periodo che la Resistenza nazionale si mette particolarmente in luce, è in questo
momento che l‟Italia dà prova di grande patriottismo e valore. Già da mesi molti italiani (operai,
contadini, borghesi) si battevano con grande ardimento contro le truppe di occupazione tedesche.
Erano giovani partigiani che assestavano duri colpi alle colonne naziste inviate in Italia e che poi
scomparivano sulle montagne. Per rappresaglia i Tedeschi avavano distrutto vari paesi ed ucciso
centinaia di cittadini inermi!
Molti partigiani erano caduti uccisi in battaglia o fucilati, per difendere il loro ideale di libertà.
Dopo tanti sacrifici, finalmente, il 25 aprile 1945 i Tedeschi vengono travolti. Fra i soldati alleati
vittoriosi ci sono anche truppe regolari italiane, che sono le prime ad entrare nelle città liberate.
In tutte le grandi città del nord, i patrioti si battono con grande coraggio finchè riescono a
cacciare via i nazisti. I partigiani, rifugiati sulle montagne, ove hanno combattute per tanti mesi,
scendono a valle e si congiungono agli alleati.
La guerra aveva fatto precipitare l‟Italia in un abisso di lutti e devastazioni, ma ora il suo popolo
aveva dimostrato al mondo di avere la forza di risorgere e di riscattare la propria dignità di
nazione libera.
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LE LETTERE DEI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA HANNO SUSCITATO IN
NOI TANTI SENTIMENTI
Quest‟anno, per ricordare più efficacemente l‟importanza del 25 aprile nella storia del nostro
paese, abbiamo letto in classe una piccola antologia di lettere di condannati a morte della
Resistenza italiana. É stata una lettura senza dubbio assai istruttiva perchè ci ha permesso di
rivivere, attraverso tante testimonianze, i tragici avvenimenti di quel periodo storico, ma anche
molto commovente perchè ci è sembrato quasi di sentire fra noi quegli eroi, quei martiri della
Resistenza, come se fossero lì a parlarci direttamente. Perciò abbiamo letto con commozione
quei messaggi e più di una volta i nostri occhi sono diventati lucidi.
Le lettere della raccolta sono numerose, diverse l‟una dall‟altra, ma tutte piene della stessa fede e
ricche di coraggio ed eroismo. Alcune sono assai lunghe, simili a veri e propri testamenti
spirituali, altre sono solo brevi biglietti di addio scritti in fretta, prima di affrontare con fermezza
la morte. Leggendole abbiamo notato che certe sono state scritte da persone colte, capaci di
esprimere i propri sentimenti con forza e chiarezza, mentre altre sono confusi messaggi,
scribacchiati da uomini privi di cultura, in tutte, però abbiamo sentito lo stesso senso di
sicurezza nella validità del proprio sacrificio, di profonda fede nell‟ideale per cui si moriva...
Alcune lettere sono state scritte da giovanissimi, da ragazzi come noi: queste ci hanno
profondamente colpiti, perchè nelle loro parole si sente un vivo senso di responsabilità e di
maturità. Se si pensa, che quei ragazzi, che affrontavano la morte per amore della libertà,
avevano la nostra età, un‟età in cui si pensa ancora al gioco e al divertimento, si comprende bene
quale lezione e quale monito per il futuro ci offrano le loro parole.
Nella raccolta ci sono anche lettere di genitori ai figli: sono particolarmente commoventi ed in
tutte c‟è la fervida raccomandazione ai giovani di non dimenticare il sacrificio dei padri, di
capirne il valore e di trarre da esso incitamento per la difesa dei propri diritti. Fra i tanti messaggi
ne ricordiamo uno in particolare. Quello di un uomo, che inviando il suo ultimo saluto alla cara
moglie, oltre a raccomandarle l‟educazione dei figli, le chiede di perdonore agli altri (cioè agli
oppressori) nel nome di Dio. Ora sembra straordinario che un uomo, condannato a morte per
aver lottato per poter vivere in un paese libero, possa avere parole di perdono per i suoi carnefici.
Eppure, non solo in questa, ma in tutte le lettere che abbiamo letto, non c‟erano parole di odio o
di condanna, ma solo espressioni di bontà. E forse proprio per questo la loro lettura ha destato in
noi una più viva condanna della violenza nazifascita ed un profondo sentimento di pietà e di
ammirazione per tutti i martiri, che affrontarono, con dignità e coraggio, il sacrificio supremo per
offrire a tutti noi l‟espressione più alta del loro amore per la libertà ed un incitamento a
continuare la loro opera.
Dalla “Provincia di Sondrio” – 26 aprile 2011
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Dal quotidiano “Il giorno” 26 aprile 2012
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Dalla “Provincia di Sondrio” – 26 aprile 2012
Immagino di essere la moglie di un soldato al fronte...
29 luglio, 1945
Erano circa le sette di sera, le colline della Maremma, illuminate dagli ultimi disperati raggi di
un sole arancio, erano uno spettacolo meraviglioso. Io e Dora sedevamo in mezzo all‟aia,
circondate dalle gioiose grida di gioco dei bambini, facevamo la maglia chiacchierando, come si
è solito fare tra donne.
Fu Dora la prima a notarlo. Un puntino nero poco più grande della capocchia di uno spillo, che
saliva a fatica le pendici della collina. – Eccolo! E‟sicuramente il mio principe azzurro, che è
venuto a prendermi a dorso del suo nobile destriero!- scherzò Dora ed entrambe scoppiammo in
una fragorosa risata. Nel frattempo, mano a mano che il puntino si avvicinava, prendeva sempre
più le sembianze d‟ un uomo con una folta barba nera, vestito di quella che un tempo doveva
essere una divisa dell‟esercito italiano, che si trascinava faticosamente verso di noi.
Dora entrò in casa per prendere del cibo da offrire al soldato. L‟uomo era ormai a qualche metro
da me. Si fermò. Posò lo sguardo su di me. Io alzai gli occhi dal mio lavoro a maglia ed i nostri
sguardi si incrociarono. Quello sguardo. Quegli occhi. Mi fecero tornare a quella sera...
Era la sera del 9 agosto 1932 e controllando sul calendario si poteva notare accanto alla data il
nome di s. Fermo, il patrono del nostro paese. La sala da ballo della parrocchia era gremita,
coppie di anziani se ne stavano ai lati della stanza, mentre i giovani si scatenavano sulle note di
un pezzo di Luis Amstrong. Faceva un caldo infernale in quella che era una torrida serata
d‟estate; io me ne stavo seduta con alcune amiche in attesa che qualche bel giovinotto ci
invitasse a ballare.
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- Mi concederebbe l‟onore di questo ballo?- chiese una voce profonda e pacata alle mie spalle.
Mi voltai e vidi il ragazzo a cui apparteneva quella voce. Il giovane in questione era Francesco
Lietti, indossava un completo grigio gessato, al collo un buffo farfallino rosso, un meraviglioso
sorriso gli illuminava il viso, circondato dai capelli corvini, messi a bada da uno strato di
brillantina.
Ebbi finalmente la forza di annuire muovendo lentamente il capo su e giù. Mi allungò la mano e
io gliela strinsi timidamente, mi portò al centro della pista da ballo, mi batteva il cuore a mille,
mi sentii avvampare, mi pareva di avere al posto della gambe due spaghetti cotti...
Lui invece, era calmo, impassibile, si muoveva con gesti e passi ben misurati a ritmo con la
musica, io mi impegnavo più che potevo, ma continuavo a pestargli i piedi e a scusarmi
imbarazzata.- Rilassati-, disse lui,- chiudi gli occhi e segui la musica-. Chiusi gli occhi. Sentivo il
suo respiro regolare sul collo, le sue mani calde sui fianchi, che mi infondevano sicurezza.
Avvicinò la testa alla mia. Mi baciò delicatamente sul collo. – Hai solo bisogno di essere aiutata,
nel ballo, come nella vita-, mi sussurrò all‟orecchio.
Mi svegliai di soprassalto da quel ricordo. I suoi occhi erano ancora lì scuri e profondi, come una
notte senza luna.
- Ti ho pensata tutto il tempo Mariuccia! E ho sognato di tornare da te, Luigino e Maria, e io e te
si faceva l‟amore e si andava al mare tutti quanti la domenica, e a mangiare pane e formaggio in
campagna,e...- disse Francesco tutto d‟un fiato, poi crollò a terra stremato.
Il viso, madido di sudore per lo sforzo e per il caldo, le guance scavate e rovinate, una lunga
cicatrice attraversava la fronte, gli occhi ormai due buchi neri ed infossati. Ebbe un sussulto, la
sua mano afferrò la mia.
Quella stessa stretta che si era sciolta quasi cinque anni prima...
Piangeva Luigino col viso sopra le pieghe della mia gonna, strillava in braccio a me la piccola
Maria, senza capire cosa stesse succedendo, Francesco in piedi sulla porta di casa stringeva forte
le mie mani tra le sue.
- Non abbandonarmi ti prego, stringi la mia mano per sempre-; - Sai bene cosa succede a chi
diserta, Mariuccia - So anche cosa succede ai soldati mandati a combattere al fronte, in Russia a
morire di freddo- , grosse lacrime scesero lungo le mie guance bagnando le mani di Francesco.
- Mariuccia, devi essere forte, devi crescere i nostri figli meglio che riesci, non devi mai
arrenderti, devi combattere, Luigino ormai è quasi un ometto, ti aiuterà lui, non è vero Luigino?
- Tu devi solo resistere ed aspettare, aspettare che la guerra finisca, io tornerò. Ti prometto di
amarti tutti i giorni come ho fatto fino ad ora, ma tu promettimi che sarai qui al mio ritorno, me
lo prometti?- - Sì, te lo prometto, sarò qui anche fra dieci, venti, cinquant‟anni e ti aspetterò,
Francesco-. Le sue dita si sciolsero dalle mie, lasciando fra le mie dita l‟aria fredda di novembre
e niente di più.
Dora nel frattempo accorse ed aveva steso Francesco a terra. Era davvero Francesco quell‟uomo?
Erano passati così tanti anni da quando era partito. Quando la guerra era finita, gli altri suoi
commilitoni erano tornati. Pochi, pochissimi. Nessuno sapeva niente di lui. Il suo nome era stato
scritto sui registri con a fianco una sigla “D.I.R”, che significa disperso in Russia.
E chissà se dilaniato da una mina, fucilato, morto di stenti, internato in un campo di sterminio o
in gulag o solo Dio sa cos‟altro! Vedova. Ecco cos‟ero. Vestita di nero, come si usava. La fede la
tenevo appesa al collo con una catenella. Mi toccai il petto per sentire se fosse ancora lì.
Mi alzai di scatto e mi avvicinai al suo corpo steso a terra. Gli presi la mano. Era lì. Vidi la fede,
che gli avevo messo al dito il giorno del nostro matrimonio. Era il 13 settembre 1935, guardando
allo specchio potevo vedere una giovane ragazza nel suo abito bianco da sposa, col lungo velo di
tulle, che le ricadeva sulle spalle.- Sei bellissima- aveva detto mio padre da me poco distante...No papà, mi avevi promesso che non avresti pianto! - Lo so, lo so, mi sfogo ora, poi non mi
commuovo più,..- aveva ribattuto mio padre asciugandosi gli occhi con un fazzoletto.
Tornai a guardare il mio riflesso, mi toccai il ventre- Solo io e Francesco sappiamo che ci sei
anche tu- pensai, mi girai a guardare mio padre “si chiamerà Luigi papà, proprio come te... il
nostro primo bambino ”, diedi uno sguardo a quella figura minuta, quei capelli candidi, quegli
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occhi opachi, piccoli-piccoli, come gli occhi dei vecchi, quelle rughe profonde, quel sorriso
dolce. – Andiamo papà- dissi...
15 agosto 1945
Si è spento questa mattina, entrando in camera l‟ho visto supino sul letto, gli occhi chiusi, un
sorriso sulle labbra, polso inesistente. In fondo è morto dove voleva lui, a casa, con la sua
famiglia attorno.
Non volevo essere vedova una “seconda” volta, non volevo funerali.
Siamo andati io, Luigino e Maria al motto dell‟orso. Una collinetta sopra il nostro paese, quattro
betulle, qualche selvaggio. Era il suo posto per pensare. Ora potrà pensare per sempre. Alla mia
catenella si è aggiunta la sua fede. Sei morto in patria, da eroe!
(Sara Tartarini III A)
1 maggio: festa del lavoro
Tutto iniziò il 1° maggio nel 1886 a Chicago, era in corso una manifestazione di operai in
sciopero. Ad un tratto tra i manifestanti ed alcuni poliziotti scoppiò un pestaggio e una bomba fu
lanciata tra la folla. Otto operai, che poi risultarono innocenti, furono condannati a morte.
Erano gli anni in cui nei paesi industrializzati gli operai lottavano per avere una giornata
lavorativa di solo otto ore. Ma per ottenere risultati concreti bisognava tenere la classe operaia
unita, in ogni paese, anche attraverso qualche forma di solidarietà internazionale che facesse
sentire uniti tutti i lavoratori. A questo scopo, la Seconda internazionale, fondata a Parigi nel
1889, dominata dai socialisti riformisti decise di organizzare una grande manifestazione
mondiale dei lavoratori e scelse per essa la data del triste episodio avvenuto a Chicago, perchè
non fosse dimenticato.
Oggi il 1° maggio, ricorrenza di quel triste episodio, ma anche di una grande conquista sindacale
( la giornata lavorativa di otto ore), è ricordato come “Festa del Lavoro”, in quasi tutto il mondo
con cortei, comizi e manifestazioni.
Nel nostro paese la ricorrenza del 1° maggio come “Festa del Lavoro” assume un particolare
significato considerando che la nostra Costituzione, all‟articolo 1, esprime: “l‟Italia è una
Repubblica democratica basata sul lavoro”.
In questi anni poi, a causa della crisi economica e della scarsità di lavoro, questo giorno diventa
l‟occasione per un momento di riflessione seria per tutti, considerando che attraverso il lavoro ad
ogni persona è garantita la sua dignità.
(Matteo Frizzi III A)
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1° Maggio: festa del lavoro
Il primo maggio si celebra la festa del lavoro, che risale al 1889 quando il movimento socialista
la proclamò in tutto il mondo in onore delle vittime di un comizio sindacale tenutosi a Chicaco, il
1 maggio 1886: mentre gli oratori parlavano alla folla, una bomba scoppiò tra la polizia.
Fu l‟inizio di scontri e tafferugli, che si conclusero tragicamente con 10 morti tra lavoratori e
forze dell‟ordine. Vennero arrestati 8 malcapitati, processati da una giuria, che non si curò
nemmeno di raccogliere prove certe della loro presunta colpevolezza. Quattro furono impiccati e
uno si uccise per disperazione in cella.
Oggi il primo maggio, che per tanti decenni è stato il simbolo della “rivoluzione socialista”, ha
perso la sua connotazione ideologica per trasformarsi nella festa dell‟operosità umana e nel
simbolo della speranza che ogni uomo sia stimato non per quello che possiede, ma per l‟apporto
che offre alla comunità. Anche la Chiesa ha accettato la festa consacrandola al primo santo
“lavoratore”, a San Giuseppe. Pio XII istituì nel 1956 la festa di San Giuseppe artigiano con
l‟intento di proporre al lavoratore cristiano un modello ed un protettore sottolineando nello stesso
tempo la funzione del lavoro dell‟uomo.
Nel 1889 a Cerignola (Foggia) nasceva Giuseppe di Vittorio, padre del sindacalismo italiano. Il primo maggio,
durante la festa del lavoro, la sua immagine è posta al centro di nicchie votive, stendardi e altarini che sfilano nel
maestoso corteo delle diverse categorie professionali che, con i propri strumenti, danno vita ad una grande allegoria
del lavoro. Aprono i braccianti, recando sacchi di grano, zappe e falci, seguono gli edili, i vinai e le altre categorie. I
carri ed i trattori sono adorni di rami di olivo e cesti di grano, richiamando l‟origine della manifestazione, risalente
agli antichi riti di ringraziamento.
(Fattarelli Benedetta III B)
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2 GIUGNO-FESTA DELLA REPUBBLICA
La festa della Repubblica rievoca un‟importante pagina storica.
Il 2 giugno del 1946 fu indetto un referendum che chiamò tutti gli italiani a decidere se l‟Italia
doveva rimanere una monarchia o diventare una repubblica.
Si trattò della prima elezione in Italia a suffragio universale (votarono tutti i maggiorenni e per la
prima volta, anche le donne).
In quella occasione furono eletti anche i membri di un‟Assemblea costituente con il compito di
elaborare una nuova Costituzione.
Il voto decretò la sconfitta della monarchia; il re Umberto II, succeduto aVittorio Emanuele III,
fu costretto all‟esilio. La nuova Costituzione entrò in vigore il primo gennaio del 1948.
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Allegati
Testimonianze di guerra
Questa storia ha inizio il 5 luglio del 1942. Alfredo Gini, il fratello di mio nonno a quell'epoca
era un alpino appena ventenne che prestava servizio nella Tridentina. Quel giorno, insieme a
molti suoi compagni, ricevette l'ordine di partire per il fronte russo. Era nato a Villa di Chiavenna
il 17 ottobre 1922. Come tanti militari italiani, non avrebbe fatto più ritorno a casa. I suoi
genitori e i 12 fratelli lo aspettarono invano negli anni successivi alla fine della guerra. Se oggi
fosse vivo, mio zio Alfredo avrebbe 90 anni. I parenti impararono con il tempo ad accettare
l'idea della sua morte e a ricordarlo senza avere una tomba sulla quale pregare. Di lui era rimasta
soltanto una piccola foto sbiadita, spedita proprio il giorno della partenza per la Russia. Poi,
all'improvviso, nel mese di settembre dell‟anno 2005 da quella terra lontana è spuntata quasi per
caso una gavetta. Il nome ed il cognome incisi sul fondo e sul lato della scodella di alluminio,
insieme all'anno di nascita, sono la garanzia che questo oggetto era appartenuto ad Alfredo. La
gavetta era tornata in Italia e, tramite l'Associazione nazionale alpini, è stata consegnata a Biella
a mio nonno, che vive a Villa con la moglie e i quattro figli.
Il ritrovamento era dovuto a Dimitri Ozino, camionista italiano che per lavoro frequentava
spesso i luoghi, che furono teatro della grande ritirata in Russia. La sua passione lo ha portato a
cercare le testimonianze e i reperti lasciati dai militari italiani. Per caso aveva conosciuto una
donna che gli aveva regalato quell'oggetto, utilizzato da lei come vaso di fiori. (dal fascicolo “A
scuola con il nonno”)
Trascrivo qui di seguito alcune lettere inviate da mio zio Alfredo
alla propria famiglia (come si presentano alla lettura e con gli errori grammaticali dello stesso).
(Zuccoli Gaia III A)
Merano 13-2-'42
Caro padre,
avendo l'occasione uno di Chiavenna di venire a casa per tre giorni e fa una scappata a Villa potete portare da Giorgetta Geremia per lunedì
mattina un pacchetto con qualche cosa da mangiare, perchè qua tutti i giorni si tira la cinghia di più.
Per non star lì a mandarmi vaglia dateci qualche cosa anche di moneta perchè i soldi volano via senza accorgersi. Mandatemi anche un paio di
calze che ne ho bisogno. Del resto non ho niente da dirvi la salute è sempre ottima soltanto quella maledetta fame. Ricevete i più sinceri saluti
dal vostro figlio Alfredo.
Ringraziamenti anticipati - aspetto anche vostro scritto
la tessera del pane me l'hanno ritirata anche quella, cosi nemmeno pane non ne trovo più.
Merano 13-3-'42
Carissimo padre,
ho ricevuto per mezzo di Ghiggi il pacchetto che voi mi avete mandato. Vi ringrazio della premura che avete sempre per me anche se pure sono
lontano molto da casa.
Nel pacchetto inoltre al formaggio e al salame cera anche un biglietto che mi accennava un prossimo vostro scritto, ma questo invano l'ò
aspettato.
Ora vi domando se l'avete spedito si o no, perché facilmente può essere andato smarrito con la confusione che viene fatta qua'. Ad ogni modo
fatemi sapere qualche cosà.
Io grazie a Dio godo sempre di ottima salute, qua' tutti i giorni ne va sempre qualcheduno all'o ospedale per la pendicite, causata dalla sbobba
che dobbiamo mangiare.
Fra qualche giorno mi faran fare il giuramento, poi dopo non si sa se andremo al campo, o se andremo a raggiungere il reggimento, tutti i giorni
se ne sente una.
Qua' a Merano incomincia far caldo, ma di acqua niente, spero non sarà così anche a Villa perché allora ciavranno da tribolare quei dei monti
cattolec poi anche la campagna in generale invece di germogliare seccherebbe tutta.
Fatemi sapere come la va con i vostri lavori con la ditta legna, se avete fatto buon affare o no, e dove vi trovate.
Con le vacche vi troverete a Terra dei Corvi Umberto cià un po' di passione o ha sempre in testa soltanto spas?
Mi scuserete se vengo ancora a battervi la cassa ma credetemi che se ne ho spenduto è stato per procurarmi il necessario per poter tirare avanti,
perché si arriva la sera dalle esercitazioni o marcie con na potente fame e solo con un po' di tubi non si può stare.
Con la speranza che questo mio vi trovi tutti in buona salute
vi manda mille ssaluti vostro figlio
Alfredo
(ciao)
Rispondetemi a questo preciso indirizzo Soldato G. A. 5^ Alpini Comp. Reclute Morbegno Merano
Vi raccomando di non mandar soldi nelle lettere, perché son già capitati diversi casi di smarrimento.
Mandatemi un po' di lana e un ago per le calze e un po' di sapone
Almese 19-5-'42
Caro padre,
ieri sera siam giunti a destinazione, siam qui in mezzo a veci del Morbegno ho trovato diversi paesani.
Siam partiti da Merano il giorno 14 alle 9.50 e siam arrivati a Torino alle 2 di notte del 15
dopo abbiamo ancora dovuto fare 4 o 5 Kl. Di marcia e siam poi arrivati a Rivoli cittadella fuori di Torino dove man lasciato poi 3 giorni per
poter destinare e sciogliere la compagnia.
Pensate man dato 2 pagnotte e na scatoletta a Merano poi dopo fin al giorno dopo alle 11 non abbiamo più visto niente, siam arrivati a Rivoli
che non avevamo più figura di gente. Nel viaggio passando per Verona Milano lungo la strada ferrata ho visto anche lo zio Gaiss ma non ho
fatto tempo a parlargli. Questi 3 o 4 giorni son stato un po' male sempre mal di testa e gola, credo sia stato il viaggio.
E di Romeo cosè venuto fuori?
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Scrivetemi subito e mandatemi soldi perchè sono a boletta. Mandatemi però un assicurata, perchè i vaglia quando arrivano stan due o tre
giorni ...
Domani partiremo ancora per Torino dove andiamo a far un sfilata. Fa un caldo che si va tutto in acqua. Invio saluti a tutti famigliari ciao
Alfredo
Scusatemi del mal scritto ci son qui gli anziani che mi tormentano
Ricevete un abbraccio da vostro figlio
scusatemi del mal scritto non avevo nemmeno carta.
Almese 27-5-'42
Cari genitori,
Questa mattina ritornando da Torino man consegnato il vaglia e la lettera che mi avete mandato e son molto contento principalmente della
vostra come mi dite ottima salute. Io pure riguardoalla salute sto sempre bene, però ciò i piedi un po' rovinati causa al viaggio che abbiam fatto,
tutto sull'asfalto. Mercoledì giorno 20 siam partiti all'una di notte e siam arrivati a Torino alle 9 di giovedì abbiam fatto 32 o 33 Kl. col zaino
affardellato.
Siam arrivati a posto un po' col sonno e un po' col strac [stanchezza] che non avevamo più sagoma. Al venerdì e sabato abbiam fatto un po' di
prova di sfilata e lunedì mattina a bonora siam andati dove poi verso le 10 cià passato in rivista il Re e il Principe consegnando poi la medaglia
d'oro alla Bandiera del 5 e quella d'argento al 6 alpini.
A',che bella giornata fu quella e che movimento di gente che acclamavano agli alpini.
Al martedì notte di nuovo ritorno ad Almese dove desideravo arrivare per poter ritirare il vaglia e più ancora per leggere il vostro scritto, che
ero quasi sicuro di trovare.
Son stato in una delle più belle città d'Italia senza poter andar a girar un po' e veder le sue bellezze causa che ero senza soldi e il vaglia invece di
mandarlo giù l'an tenuto ad Almese.
Avrei avuto piacere che mi avesse scritto anche il babbo invece niente, capisco bene che avrà altro da fare, ma un momento per me lo potrebbe
trovare lo stesso anche alla Valascia [alpeggio di Villa].
Non potete immaginare la contentezza quando ricevo posta dai miei cari, ma sebbene siete in tanti, più che un volta ogni tanto la mamma gli
altri tutti silenzio. Cercate di farvi vivi più da spesso che io son sempre pronto a rispondervi.
Come circola la voce per la metà di giugno andremo a trovare il Burtol, ma sempre coraggio, che abbiamo un Dio che saprà esserci di conforto e
di aiuto in qualsiasi circostanza ci troveremo.
Per questa volta vi lascio mandandovi i miei più cari saluti a tutti, son sempre il vostro
Alfredo
Porta Militare 5-8-'42
Cara mamma,
eccomi a voi con questa mia per farvi sapere le mie ottime notizie. Io mi trovo in buona salute e anche discretamente con una buona fame che mi
sbatte nelle costole.
Spero, pure voi tutti vi troverete bene e almeno voialtri troverete un po' più da mangiare, che quello che mi 'an dato finora a me.
Il tragitto in treno per arrivare fin qui è durato 12 giorni, ora siam qui in un bosco di loveri accampati, riguardo al clima si sta bene, l'acqua è
scarsa, ma in qualche modo si tira avanti. Si può ringraziare Iddio finchè ci lasciano qua', il fronte è ancor molto lontano e proprio il fuoco non
ce come la.
Vi voglio domandare, se mi avete spedito quel vaglia che vi ho comandato ad Almese, io l'ha non lo ricevuto e ne avevo proprio bisogno, ed ora
qua' non mi occorre e allora andate alla posta e reclamatelo indietro del resto va a balino. La ricevuta l'avete conservata spero? Prima di partir
da Almese aspettavo un vostro scritto, ma nulla. Ora ancor per 10 giorni non ne riceveremo ancora, dopo per se mi avete scritto forse mi
arriverà qualche cosa.
Quando potete, ma se è possibile presto fatemi un paio di calzettoni anche se non son belli è niente, di lana muscè, perchè quest'inverno mi
occorrono, perchè facilmente ci troveremo a 4000 metri. Fate un pacchetto e metteteci anche qualche pacchetto di sigarette e una sciarpa, poi
indirizzatelo come la posta. Perchè le lettere giungano più presto tanto io come voi, scrivete sulla busta posta aerea e mettete invece che 50
centesimi di francobollo una lira.
Altro non so che dirvi, siam qua' in tanti paesani e tutti insieme pensiamo alla lontana e cara Villa ma si spera sempre in bene.
Vi mando i miei più cari saluti a tutti bambini e grandi e un particolare abbraccio a mamma e padre (ciao)
(cartolina postale al fratello)
P.M. 201 18-8-'42
caro fratello vedendo che da te non ho mai notizie, vengo ancor io con questo piccolo scritto facendoti sapere il mio buon stato di salute.
Di te pure spero il simile caro fratello. Tu certamente non credi, non avendo ancor provato ad essere lontano da casa, quanta malinconia viene
addosso, quando non si riceve notizie dai suoi cari.
I giorni passano e vien la sera, l'ora della distribuzione della posta, ma Gini, deve accontentarsi a guardare i compagni che con gioia leggono le
proprie notizie.
Avrei piacere sapere tante cose da te, ma nei prossimi giorni ti scriverò una lettera, così ti dirò tutto.
Oggi siam a riposo, e domani mattina per tempo proseguiremo la marcia che da un paio di giorni abbiamo inviato e che durerà una quindicina
di giorni Fiducioso di una tua risposta ti saluto caramente
tuo fratello A.
affettuosi saluti a tutta la famiglia
P.M.201 7-9-'42
Carissima mamma,
questa volta vi voglio accontentare anche voi perchè certamente avrete pensato, che mi sia dimenticato della mia genitrice. Questo mai. Se da
qualche tempo scrivevo in famiglia e non direttamente a voi è perchè sapevo che voi tanto non ci facevate caso però qualche cartolina l'ho
sempre scritta vedrete la posta quando la riceverete.
Ieri con mio grande piacere ricevetti vostra lettera, dalla quale prima di tutto notai la buona salute che grazie a Dio tutti godete in famiglia,
questo è buon segno e del resto in qualche modo va la porterete fuori anche quest anno come sempre avete fatto finora. Io pure di salute sempre
bene e pure posso assicurare dei paesani che ho assieme l'eguale.
Qua' in questi paraggi cè un clima molto diferente che dalle nostre parti, di giorno è abbastanza caldo e invece la notte già ora che siamo ancora
in estate la temperatura va giù bassa e volentieri si sente qualche cosa sulle spalle, andrebbe bene il buon piumino ma qua' non ci son possibilità
di averlo bisogna accontentarsi della mantella e di una piccola coperta da campo.
Bisogna farsi forti tanto dicono lo stesso che gl'alpini non han paura di nulla, e questo non tutto, ma buona parte è vero, di fatti cè qua' vicino a
noi un battaglione di fanteria, che fa ridere, si vedono girare questi ufficiali di giorno con addosso un pastranone [cappotto-mantella] e un
capuccio giù a coprir le orecchie come gli esquimesi. La vita che passiamo è un po' duretta, ma bisogna sopportare tutto, solo così si riuscirà a
vincere l'odiato nemico boscelvico e ritornar sani e salvi alle nostre care famiglie.
Con questa vi voglio domandare anche se avete ricevuto una mia lettera sulla quale mettevo, di mandarmi un paio di calzettoni vorrei sapere se
l'avete ricevuta. Cercate di fare il possibile più presto che potete perhcè qua' mi farebbero bisogno.
Vi vorrei dire ancor molto ma il tempo che ho è un po' pochino, avendo da lavorare, ed allora vi lascio mandando i più cari saluti a tutta
famiglia e a voi e babbo un forte abbraccio.
Scusatemi se vi scrivo a matita ma qua' non cè comodità di aver inchiostro.
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Ricordandovi sempre invio di nuovo saluti
ciao e arrivederci presto vostro figlio.
Alfredo
P.M.201 7-9-'42
Caro padre,
oggi avendo il tempo opportuno ad assieme anche la volontà di scrivere rivolgo il pensiero a voi come padre facendovi sapere mie notizie. Prima
di tutto vi assicuro del mio ottimo stato di salute e lo stesso ve lo auguro a voi e tutta famiglia.
Da parecchio tempo volevo inviarvi questa lettera per farvi sapere tutte quelle cosacce che vi accennerò ora, ma il tempo che ho avuto finora
[…] di mandarvi qualche cartolina causa i movimenti, che abbiamo avuto in questo tempo.
Prima vi voglio informare dello stipendio che prendiamo ora, che se non l'avete ancor ricevuto lo riceverete fra poco, qua' prendiamo 11 lire al
giorno ed il comando di compagnia mese per mese lo invia alla famiglia dei soldati senza disturbarci noi per nulla. Dunque questa volta
riceverete L30 del mese di agosto.
Fatemi poi il favore a farmi sapere se le avete ricevute, e se fosse al contrario penserò io a far i opportuni reclami. Secondo a quello che ci
avevan detto prima è un po' poca la paga, ma cosa volete fare anche su questo merito bisogna accontentarsi perchè tanto è lo stesso.
Il simile ci avevano promesso anche per il vitto, ma pure ora ci trattano peggio che in Italia.
La cinghia s'allunga tutti i giorni e non si trova il mezzo di arrangiarsi in nessun modo, perchè il servizio che facciamo non ce lo permette.
Informatevi alla posta per il peso, credo che non debba superare i 2 Kl. Poi cercate di mandarmi una qualche crosta di formaggio di quello duro
per poter rosicchiare un po', e se non vi dispiace anche qualche pacchetto di sigarette popolari e cerini per fumare, perchè qua' senza non si può
stare, ormai avete provato pure voi questa vitaccia più che altro noiosa, ma ai vostri tempi il fumare non ve lo lasciavano mancare invece ora è
scarsissimo anche quello.
In un mio scritto credo alla mamma la pregavo di mandarmi più presto possibile un paio di calzettoni ma di quelli robusti di casa, purchè siano
muscè non è nulla, l'essenziale è che siano forti e se è possibile senza piede, perchè qua' tanto l'acqua come la lana per rammendare è scarsa.
Pensate son 10 giorni che non ci laviamo incominciano a germoliare i pidocchi di tutte le razze e una scatoletta di […] andrebbe bene anche
quella per distruggerli un po'. Di acqua ce ne passano un litro al giorno tanto per bere, maledette le pianure dove si trova soltanto acqua marcia
piena di carogne.
Direte che vengo sempre a rompervi, ma scusatemi queste cose le ho proprio bisogno. Ci avevo un paia di fascie ed ora sono a pezzi, rifornimenti
non ce ne sono e ci tocca andare a qualche modo ed il freddo specialmente la notte incomincia farsi sentire.
Scrivetemi come vi va la caccia, e se sapete qualche notizia fatemela sapere.
Di Pelazzini Luigi non ho ancora avuto sue notizie ditegli che mi scriva e salutatelo a mio nome. Mi rincresce di non poter essere a casa per
andar a fare i miei giri sulle alte cime, ma speriamo per l'anno venturo se tutto va bene. Vorrei dirvi ancor qualche cosa ma non ne ho più il
posto.
Termino salutandovi caramente voi e tutta famiglia, e ricordandovi sempre vi mando un forte abbraccio
vostro figlio Alfredo
di Romeo non so mai nulla.
Ciao.
P.M. 201 8-11-'42
Cari genitori,
molta è la lontananza che mi separa da voi, ma nel pensiero vi ho sempre vicini ed ogni volta che penso a voi non mi par nemmeno vero di essere
così lontano mi sembra ancor di sentirvi come nei tempi della mia prima gioventù a darmi dei consigli e far gli opportuni ammonimenti.
Chissà per quanto tempo ancora durerà questo distacco? Qui ormai siamo inverno pieno, ieri ci è arrivata la prima neve con un freddo da cane.
Quasi quasi non ci riconosciamo più tra di noi, siam tutte facce con barbe alla Gesù Cristo come dice un articolo del Popolo Valtellinese con
attaccati le candeline di ghiaccio.
Si dorme sotto la tenda, ma presto son pronte le tane che in questi giorni di buona lena stiam preparando e dopo forse un po' di tempo resteremo
là dentro intanati come marmotte.
Pensate: mentre vi ho scritto questa cartolina dovetti scaldar la penna due o tre volte perchè mi gelava l'inchiostro nel pennino.
Son 2 giorni che incomincia arrivar qualche pacco spero qualche giorno vorrà arrivare anche il mio e di trovar dentro qualche cosa per
sfamarsi almeno un giorno. Ora anche la posta aerea è levata come lo saprete anche voi, così andrà un po' alla lunga prima di ricever mia ed io
vostra corrispondenza, ci rassegneremo vero?
Al giungere di questa spero vi trovi tutti sani e in gamba come lo sono io.
Saluti cari
ciao saluti a nonni
28-11-'42
Caro padre
è da molto tempo che non ho la consolazione di poter leggere un vostro scritto, e questo oltre che a farmi pensar male, mi da anche la sensazione
che voi non vi ricordate più di me; Possibile che il mio caro padre, che m'à sempre voluto tanto bene, ora che son lontano mi abbia dimenticato?
Mai sia vero, sarà piuttosto tutte illusioni che mi faccio io. Ormai avete provato prima di me esser lontano dalla famiglia e benchè la distanza
che avevate voi era minima a confronto di quella che mi trovo io ora, ma sarete rimasto anche voi diversi giorni senza ricever notizie da casa, e
spero non vi sarà sembrato giusto vero? Lo stesso è per me ora.
Direte che anchio non vi scrivo tanto spesso ma pensate che qua' mancano le comodità, poi più che inviarvi saluti altro non so che dirvi perchè
saprete anche voi quello che si può scriver. La censura cancella così non val la pena di slaveghar carta e inchiostro per niente.
Quando, se avrò fortuna di ritornar, e questo immancabile vi racconterò poi tutto. Cercate di farmi aver più presto possibile vostre nuove e
ditemi il perchè del vostro lungo silenzio.
Io mi trovo sempre bene, giorni fa sono giunti anche i paesani di Villa c'è solo Pedroni Piero, l'anno messo nei conducenti della 45. Povero
ragazzo anche lui, dover lasciar moglie, e padre vecchio e venir in questi paraggi è tutto confuso e mi sembra invecchiato.
Gli altri paesani son tutti in gamba anche loro e tutti aspettan quel benedetto giorno di riveder i suoi cari.
Con le bestie vi trovate ancora alla Valascia come vi fanno?
E il tempo come fa da quelle parti, qua' nevica e soffia sempre un vento maligno.
Altro non so che aggiungere, termino inviandovi i più cari saluti a voi e famiglia tutti.
Ricevete un forte abbraccio
da vostro figlio.
Alfredo
P.M. 201 10-12-'42
Cara mamma,
oggi ricevetti vostre nuove in data 22- 27-11
Sento con piacere il vostro buon stato di salute; il simile ve l'assicuro di me. Voi dite che vi fanno visita la sera i miei amici. Se vengono ancora
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salutatemeli e ditegli che si ricordano almeno con una cartolina del suo amico lontano.
Me la passo sempre discretamente, ora poi che ciò la pipa di mio padrino che mi avete mandato, è una pipata dopo l'altra, così passa un po' il
tempo.
Nevica sempre, il freddo da qualche giorno non è eccessivo, però cè sempre la tormenta. Il nemico è calmo, oppure si è calmato, coi bolsci non si
scherza. A trovato, e troverà ancora l'osso per i suoi denti. Contraccambiate i saluti alla […] ciò scritto lettera giorni fa.
Ricevete i miei più cari saluti voi e famiglia tutti.
Scrivetemi spesso almeno qualcuna arriverà a destinazione. Ciao.
Di nuovo saluti abbracci ai nonni. Vostro Alfredo. Soldato Gini Alfredo 5 Alp. Btg. Morbegno- 47 Comp.
Dal “diario di guerra” di mio nonno
Laddove si narra del bombardamento di Dresda
19.2.45
“ La città non era mai stata bombardata in quasi cinque anni di guerra. Era forse l‟unica grande
città tedesca a non aver subito danni sino a ieri. Forse perché qua ci sono molte fabbriche a
capitale inglese e americano. Così, un po‟ alla volta si è creata la leggenda della città rifugio. Per
primi arrivarono gli sfollati dalle città pesantemente bombardate, poi si moltiplicarono gli
ospedali e i convalescenziari militari, favoriti dal fatto che Dresda può essere considerata
capolinea ferroviario verso il fronte orientale dell‟Ukraina, Crimea, Caucaso. Infine con
l‟avanzare del fronte russo arrivò l‟ondata dei profughi Deutschevolk dalla Romania, Ungheria,
Slovacchia, Galizia, Volinia, prussiani dell‟est e da altre regioni tedesche, e frammisti fra i
profughi torme di collaborazionisti russi (IWI), ucraini, polacchi.
Dopo un‟attesa che non sembra finire mai arriva un‟auto dell‟ Arbeitsfront con degli ufficiali, e
siamo avviati con i nostri attrezzi verso il centro della città. La periferia che attraversiamo ha
subito relativamente pochi danni. Qualche edificio distrutto, qualche bomba dispersa, che ha
creato crateri negli orti e nell‟asfalto della strada. Ma qui non c‟è bisogno di noi. Dopo una
mezz‟ora di marcia siamo in un quartiere al centro della città. Lo spettacolo è impressionante.
Non un edificio intatto. Le strade ingombre di macerie. Qua e là divampano incendi, che
divorano muri smozzicati. Non capisco come possono bruciare dei sassi. È Werner che ci dà la
spiegazione con un viso pallido di paura. Non bruciano i sassi, ma il fosforo delle bombe
incendiarie. La prima ondata degli aerei inglesi ha sganciato solo bombe al fosforo, che hanno
preso a bruciare appiccando il fuoco alle case, agli alberi, all‟asfalto delle strade. La seconda
ondata ha sganciato bombe dirompenti. Lo sganciamento delle dirompenti è stato simultaneo da
molte centinaia di aerei. Lo spostamento d‟aria degli scoppi si è fuso in un unico tornado che ha
soffiato sugli incendi propagandoli per ogni dove e la distruzione è stata generale. Una terza
ondata ha ancora sganciato bombe incendiarie al fosforo e per di più a scoppio ritardato,
alimentando ancora più gli incendi e creandone dei nuovi.
Nessuna persona ha trovato scampo, ogni cosa è distrutta, incendiata, ridotta in cenere.
E cominciamo il nostro lavoro, soffocati dal fumo. Per prima cosa cerchiamo di riempire i buchi
delle strade per permettere il transito. Gianni Bacchi che lavora a pochi passi da me mi chiama. È
bianco come un cencio. Spostando delle macerie annerite dal fosforo ha scoperto un braccio
umano. Un braccio di donna. Ma dove dovrebbe esserci il corpo, c‟è solo una massa nera
assomigliante vagamente a un corpo umano. Una materia informe che fumiga. Mi si rivolta lo
stomaco e sono preso da conati di vomito. Chiamo Hans. Il braccio e gli altri resti dobbiamo
portarli a un carro di contadini dove vengono accatastati i corpi delle vittime.”
(Sara Tartarini III A)
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