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il vino meglio se e` bio
il vino
meglio se è bio
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Con il contributo di:
Dipartimento 8
Agricoltura e Risorse Agroalimentari
AIAB CALABRIA
Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 della Regione Calabria cofinanziato Feasr Regolamento (CE) n. 1698/2005 Misura 111 azione 3
nell’ambito del progetto “InformaBio – Campagna di sensibilizzazione e informazione sul biologico per gli addetti del mondo agricolo”
PIACERE, SONO
IL VINO BIOLOGICO
La presente pubblicazione è dedicata al vino biologico calabrese. Il
suo obbiettivo è quello di offrire una panoramica sui processi e le
caratteristiche che, dal campo alla tavola, ci fanno apprezzare un
vino biologico. Dopo anni di attesa anche il vino ha un suo Regolamento bio. Infatti, dal Febbraio 2012 il vino può fregiarsi del titolo
“vino biologico” mentre prima l’etichetta riportava solo “vino prodotto da uve da agricoltura biologica” a indicare che bio era tutto
quello che riguardava il metodo di coltivazione della vite ma non la
fase di vinificazione, in mancanza di regole da seguire in cantina;
ora invece le regole ci sono e uguali per tutti i Paesi europei: il logo
con la fogliolina verde a stelle lo garantisce.
a cura di AIAB CALABRIA
AIAB Calabria, associazione italiana per l’agricoltura biologica della
Calabria promuove l’agricoltura biologica, l’eco-sviluppo rurale, stili
di vita sostenibili. Si rivolge agli agricoltori e tecnici, ai consumatori
e alle associazioni. Svolge attività in tutta la Regione con sedi nelle
provincie di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria.
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INDICE
INTRODUZIONE: MEGLIO SE E’ BIO
IL VINO: PAESAGGIO, TRADIZIONE E GUSTO
LA TRADIZIONE VITIVINICOLA CALABRESE DAI GRECI AL BIOLOGICO
COME SI PRODUCE IL VINO BIOLOGICO
IL LAVORO IN CANTINA
QUALCHE RIFERMENTO NORMATIVO
DOVE TROVARE I VINI BIOLOGICI
PERCORSI TECNOLOGICI PER I VINI
VITIGNI E VINI DI CALABRIA
PER SAPERE DI PIU’
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INTRODUZIONE
MEGLIO SE E’ BIO
Dal vino ci aspettiamo sempre molto: che sia buono, che sappia
parlarci dei luoghi di provenienza e delle mani che lo hanno trasformato; che ci regali un paesaggio tradizionale e che contribuisca
allo sviluppo dell’economia locale, garantendo allo stesso tempo un
lavoro qualificato e retribuito. Tutto questo il vino lo può fare meglio
se è bio! Non è uno slogan; infatti tutte le tecniche agronomiche ed
enologiche che caratterizzano la produzione biologica, e che verranno descritte nelle prossime pagine, sono in grado di facilitare il
raggiungimento dei molteplici obiettivi sopracitati.
Nel bio, infatti, la multifunzionalità delle attività agricole e la produzione di servizi agro-ambientali, nel mentre si producono alimenti,
sono alla base della gestione aziendale. Ad esempio la scelta di
vitigni autoctoni e che ben si adattano alle caratteristiche ambientali, assieme all’uso di adeguati sistemi colturali fanno in modo che
le necessità di intervento per la difesa da patogeni e parassiti siano limitate e gestibili con i mezzi ammessi in biologico, ovvero che
escludono la chimica di sintesi e privilegiano i mezzi preventivi ed
agronomici. Anche la gestione della vegetazione su e tra i filari avviene solo tramite lavorazioni meccaniche o mezzi fisici, come la
pacciamatura, non creando quindi alcun rischio di inquinamento del
terreno e delle falde acquifere.
In Italia il vigneto biologico occupa ormai superfici importanti, più
di 57.000ha, ed i vini biologici stanno riscuotendo attenzione e riconoscimenti sia nei mercati del Nord Europa, negli Stati Uniti, Canada e Asia, sia nel mercato locale. In Calabria le superfici sono
ancora molto limitate, distribuite soprattutto nelle aree a vocazione
vitivinicola. Tuttavia i vini biologici calabresi hanno tutte le carte in
regola per offrire ciò che ognuno si aspetta: sono eccellenti, parlano dei luoghi di origini e delle mani di chi lo hanno trasformato; ci
regalano un paesaggio tradizionale e contribuiscono allo sviluppo
dell’economia locale, garantendo lavoro qualificato ed equamente
retribuito.
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IL VINO: PAESAGGIO,
TRADIZIONE E SIMBOLO
Il vigneto è la filigrana che regge il paesaggio agrario in molte regioni
d’Italia, specie in Calabria. Per secoli la vite ha contribuito a modellare le colline e i declivi della regione, diffondendosi abbondantemente su tutto il territorio, grazie al clima mite e una diversificazione
morfologica che nel tempo ha favorito sia l’introduzione di nuove
varietà che la selezione di vitigni unici al mondo.
Ai vitigni importati dai Greci, tra cui appunto il Greco, il Gaglioppo
e il Magliocco si sono affiancati nel tempo il Nerello e il Mantonico;
nello stesso modo, al sistema colturale tradizionale ad alberello si è
accompagno, al cordone speronato, il più moderno sistema guyot;
infine, la necessità di meccanizzare molte delle pratiche di gestione
agronomica del vigneto ha progressivamente modificato le distanze
tra i filari e tra le piante, nonché la sistemazione dei terrazzamenti e
degli appezzamenti posti sui declivi più scoscesi.
Di pari passo al cambiamento del paesaggio vitivinicolo, anche le
conoscenze su come ottenere buona uva e vino di qualità si sono
trasformate nel tempo. La stessa considerazione del vino si è nel
tempo notevolmente arricchita di valori e significati. In origine considerato esclusivamente un alimento in grado di fornire energia
(zuccheri ed alcool) e vitamine, altrimenti difficili da reperire durante
l’inverno, il vino divenne fin dal tempo dei Greci un strumento di
socializzazione per trasformarsi, oggi, in ambasciatore dei luoghi
di produzione e del saper fare delle persone e delle comunità. Dietro ogni buon vino c’è in effetti una preponderante fetta di storia,
di tradizioni culturali, di valori sociali ed economici. Attualmente
quest’ultimo aspetto ha assunto un ruolo considerevole, dal momento che la filiera vitivinicola non solo genera numerosi posti di
lavoro ma acquista un posto di rilievo nelle strategie di marketing
territoriale, elevandosi a simbolo nella promozione dell’economia di
interi distretti geografici e specifiche comunità. Le capacità del vino
nel porsi come motore di sviluppo, oramai ben note in molte regioni
italiane, sono attualmente al centro dell’interesse delle politiche vitivinicole della Calabria, il quale grazie all’agricoltura biologica punta
a ridare spessore al nome antico della regione: Enotria, ovvero terra
del vino.
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LA TRADIZIONE
VITIVINICOLA CALABRESE
DAI GRECI AL BIOLOGICO
Che la Calabria fosse vocata alla produzione del vino lo compresero
bene i Greci quando decisero, nel V sec. a. C., di chiamare la regione
“Enotria”: terra del vino. La presenza di vaste aree collinari insieme
alla bontà del clima, garantirono ai coloni Greci grandi produzioni di
vino, tanto che fin dall’età classica, le città della Magna Grecia, prime
fra tutte Sibari, gestirono un mercato alquanto redditizio. Apprezzatissimo in tutta la Magna Grecia, il vino era anche importato da diverse
regioni dell’Egeo, insieme a nuovi vitigni, come il Greco e il Gaglioppo. Il trasporto del prezioso liquido avveniva in anfore dalla terminazione a punta, (per facilitare lo stivaggio dentro le navi), chiuse con
tappi di sughero e impermeabilizzate con un rivestimento di pece,
una resina vegetale diffusissima nei boschi calabresi. Per comprendere quanto il vino svolse un ruolo di prim’ordine nell’economia della
Magna Grecia basterà ricordare come tanto l’uva, quanto il prodotto che si ricavava, erano alla base delle libagioni e tributi individuali
agli Dei. Il suo significato simbolico fu prioritario anche nell’ambiente
domestico, specie in occasione di feste e banchetti, quando il vino
era protagonista assoluto del symposion, (bevuta in comune). In tali
occasioni il capo famiglia o il simposiarca, “re del banchetto”, aveva
il compito di mescolare il vino con l’acqua in grandi contenitori, detti
cratere, prima di decidere le attività ludiche da svolgere. Tra queste
anche un gioco particolarmente diffuso in tutto il mondo greco, chiamato, Kattabos, che consisteva nel lanciare l’ultima goccia rimasta
nella brocca, in modo da colpire un bersaglio.
I Romani apprezzarono moltissimo il vino del Bruzio, incentivando
fin dall’età Imperiale l’intera filiera vitivinicola, dalla coltura della vite,
alla fabbricazione di specifiche anfore, all’imbottigliamento del vino
alla sua esportazione. Alcuni non escludono che l’uva Capinia, citata da Plinio, sia oggi da identificare nel vitigno Prunesta, diffuso nel
versante tirrenico cosentino. Certo è che nell’Exposititio totius mundi,
redatto da un anonimo commentatore del IV secolo d.C., il vino del
Bruzio è definito: “Vinun multum et optimun” cioè “vino in grande
quantità e di ottima qualità”. Nel tardo antico i vini calabresi raggiungevano mete lontane del Mediterraneo, e soprattutto Roma. Ancora
nel V sec. d.C. Cassiodoro ricorda molte aree della regione in cui si
produceva vino eccellente. La documentazione di vigneti per tutto il
Medioevo consente di supporre una intensa produzione, incentivata
anche dalla selezione di nuovi vitigni, come il Nerello mascalese, il
Guarnaccia o le Malvasie portate dall’Epiro e dal Peloponneso, dalle
popolazioni in fuga di fronte l’avanzata turca verso Occidente.
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Nel Cinquecento la Calabria contava una straordinaria varietà di vitigni, come il Guardavalle, diffuso nella Locride, il Marsigliana Nera,
tipico della provincia di Cosenza e Catanzaro e il Castiglione, presente su tutto il territorio regionale. Alla fine dell’Ottocento sappiamo diffondersi nel cosentino il vitigno Pecorello, mentre alla metà del secolo
scorso fu introdotto dalla vicina Sicilia il Nocera, ampelograficamente
molto affine ai Nerelli. Questa millenaria tradizione vitivinicola contribuisce oggi a fare della Calabria un contenitore privilegiato di vini di
ottima qualità, prodotti in distretti territoriali molto diversi tra di loro,
dalla Sibaritide alla Locride, dal Lametino al Pollino, dal Crotonese
allo Stilaro e alle più meridionali pendici dell’Aspromonte. In queste
aree si ottengono vini eccellenti da quegli stessi vigneti importati dai
Greci o selezionati nei secoli durante il Medioevo e l’Età Moderna, vini
cui oggi il metodo dell’agricoltura biologica ne esalta il profumo e il
gusto, garantendo allo stesso tempo genuinità e le stesse proprietà
organolettiche, già apprezzate ai tempi di Omero.
IL VIGNETO BIOLOGICO
Per essere efficiente e gestibile, un vigneto biologico deve seguire la
vocazione dei territori; in pratica un vigneto bio verrà messo a dimora
nelle aree, sui terreni e con l’esposizione più adatta a produrre uva
di qualità con il minimo intervento umano, ovvero con rare necessità
di irrigazione (risparmio idrico), di fertilizzazione (salvaguardia della
fertilità del terreno), di interventi fitosanitari (tutela dell’ambiente) e
salvaguardia dell’infrastruttura ecologica come siepi, capezzagne,
aree boscate (preservazione del paesaggio). Inoltre le varietà coltivate
sono quelle meglio adattate all’ambiente, che sono quelle autoctone
o alcune di quelle internazionali (tutela della biodiversità).
LA CANTINA
Il lavoro in cantina consiste essenzialmente nel mantenere la qualità
dell’uva e le sue caratteristiche più tipiche, sorvegliando il processo
di vinificazione in modo da essere certi che tutto vada per il meglio
ma senza intervenire o correggere, con ingredienti e tecniche che
mettono a repentaglio l’autenticità del vino. Ciò non significa che nel
vino bio i difetti vengono spacciati per tipicità! Ma che le scorciatoie
tecnologiche non sono la via da percorrere per chi vuole portare
in bottiglia della qualità vera. Al fine di garantire tutte queste propedeuticità, importante, oltre all’esperienza del viticultore, risulta la
buona pratica enologica bio gestita dagli enologi.
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COME SI PRODUCE
IL VINO BIOLOGICO
IL LAVORO NEL VIGNETO BIO
Per fare il vino bio si usa l’uva bio! Banale ma vero. Ma come si gestisce un vigneto in metodo biologico per ottenere dell’uva di ottima
qualità che diventi buon vino bio?
Innanzitutto la vocazione dei territori cui abbiamo accennato nel
capitolo precedente. Il concetto è intuitivo: la vite ha delle esigenze ben precise (illuminazione, evitare il ristagno idrico, terreni non
troppo fertili ma con buona dotazione di potassio ecc.) e, se le trova
nell’ambiente in cui viene messa a dimora, essa cresce e produce
senza bisogno di troppi interventi. Per secoli i vignaioli hanno seguito il principio della vocazione e scelto per ogni coltura l’areale
che meglio si adattava. Così continua a fare il viticoltore bio chi
preferisce i pendii soleggiati, ma con buona disponibilità idrica, ed
evita i fondovalle dove l’umidità si protrae per lunghi periodi e incrementa le possibilità di attacco di malattie dannose per le viti. Lo
stesso concetto si applica alla scelta varietale. Dalla combinazione
varietà+condizioni climatiche sono nate le aree a Denominazione di
Origine Controllata (DOC), Controllata e Garantita (DOCG) nonché
quelle a Indicazione Geografica Protetta (IGP).
Tecniche colturali: anche in questo caso il vignaiolo bio sceglie la
forma di gestione della vite che meglio asseconda sia lo sviluppo
della pianta che il lavoro da effettuare in vigneto. Infatti nel biologico
la meccanizzazione di molte operazioni non solo è divenuta pratica
comune per motivi economici ma anche perché effettivamente in
diversi casi consente di ottenere risultati migliori. Si pensi ad esempio ai moderni trattori ed atomizzatori, confortevoli e sicuri per gli
operatori ed anche molto più precisi ed ecologici (ad esempio quelli
con il recupero del prodotto che non va a bersaglio) delle vecchie
“pompe del solfato”. Tali considerazioni, ad esempio, hanno portato
negli anni alla riduzione della gestione a tendone a favore dei diversi
sistemi a filare.
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LA FERTILITA’ DEL TERRENO:
BASE DELLA SALUBRITA’ DELLA VITE
E DELLA QUALITA’ DEL VINO
Il terreno, con la sua struttura fisica e composizione chimica, influisce
direttamente sul sistema di sviluppo radicale e di conseguenza sull’equilibrio della pianta intera.
La viticoltura biologica ha lo scopo di incrementare naturalmente la
fertilità del terreno, giocando proprio su una positiva e stabile combinazione dell’attività dei microrganismi, delle condizioni del terreno,
della disponibilità organica/humus, della granulometria superficiale,
del contenuto bilanciato dei nutrienti e del contenuto di acqua.
I principali aspetti di un’appropriata gestione del terreno sono:
• Mantenere o migliorare un contenuto di materia organica nel
terreno;
• Stimolare i microorganismi attivi del terreno con una ricca e bilanciata flora e fauna del suolo;
• Mantenere una struttura del suolo stabile e omogenea per garantire il necessario equilibrio tra acqua e aria;
• Mantenere il terreno coperto (in modo temporaneo o permanente) per ridurre al minimo gli effetti dell’erosione;
• Effettuare operazioni meccaniche in modo tale da evitare la
compattazione del terreno;
• Arricchire il terreno con elementi nutritivi (micro e macro elementi).
Un terreno vivo ed equilibrato garantisce la salute delle piante e l’espressione del terroir nei vini. Con il termine terroir può essere definito come un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e
chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione
di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche
della propria territorialità.
La sostanza organica stabile è uno dei principali fattori per il miglioramento della struttura del suolo e della fertilità. Inoltre lega le particelle
in unità strutturali denominate “aggregati viventi” o “complessi di humus–argilla”, che limitano significativamente l’erosione, la compattazione del suolo e formazione della crosta superficiale. La sostanza
organica migliora la disponibilità dell’acqua nel terreno per le piante e
la micro-fauna del suolo.
La sostanza organica stabile comprende la fonte di energia e di nutrienti per i microorganismi del suolo, che attraverso il loro normale
metabolismo, scindono e trasformano il materiale organico. La diversità e l’abbondanza dei microrganismi terricoli dipende dal tipo e
dalla qualità dei residui organici presenti nei primo centimetri di terreno. Se adeguatamente nutriti, i microrganismi del suolo possono
competere con successo con quelli patogeni attraverso la loro attività
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antagonista, quindi prevenendo o riducendo le “malattie del suolo”.
Per tutti questi ottimi motivi i viticoltori biologici dedicano particolare
attenzione alla gestione del suolo e fanno in modo che tutto il lavoro
nel vigneto ruoti attorno alla corretta fertilità.
INERBIMENTO E SOVESCIO
Il buon vignaiolo bio cerca di fare tutto il possibile per mantenere il
terreno inerbito e coperto da essenze vegetali durante tutto l’anno
e sull’intera superficie (sia tra i filari che sotto il filare). Se ciò non è
possibile per scarsità d’acqua, egli fa in modo di mantenerlo coperto
almeno nello spazio tra i filari ed almeno per i periodi invernali, quando la pioggia è più frequente. La copertura del terreno può essere
permanente ed effettuata con essenze spontanee (lasciando in pratica che le erbe naturalmente presenti si sviluppino, limitandosi a sfalciarle durante il periodo vegetativo) o selezionate, oppure può essere
temporanea, realizzata tramite delle colture di copertura (dette anche
sovesci). Queste ultime vengono seminate in autunno e lasciate sviluppare sino a quando, in primavera, è necessario entrare in vigneto.
Allora si allettano o si trinciano, lasciandole appassire sul terreno per
qualche giorno e successivamente interrando la massa. Sono in pratica delle colture che non si raccolgono ma che vanno a contribuire
alla fertilità del terreno. Le colture da sovescio che più spesso si usano in Calabria sono il favino, il lupino, l’orzo o i miscugli tra esse. Le
diverse specie apportano non solo sostanza organica ma anche, nel
caso delle leguminose, azoto, rimettono in circolo il fosforo, attivano
i microrganismi del terreno e di conseguenza rendono disponibili alla
pianta gran parte degli elementi di cui abbisogna.
IL COMPOST
Come il vignaiolo bio apporta sostanza organica e nutrienti al terreno? Oltre all’utilizzo dei sovesci, e qualora necessario, egli arricchisce il terreno con del compost, ottenuto dalla fermentazione
aerobica di materiale vegetale quale residui di potatura, sfalci ecc.
assieme a letame o altre deiezioni animali. Questo è un ottimo modo
per trasformare un rifiuto in una risorsa. Anche altre sostanze di
origine naturale possono, al bisogno, essere utilizzate nel vigneto
bio: come le vinacce, i residui vegetali, le deiezioni animali compostate e pellettate, il letame essiccato, le rocce fosfatiche finemente
macinate ecc.
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GESTIRE LE ERBE INFESTANTI
Che brutto nome! Le chiamiamo infestanti solo perché nascono
e crescono laddove a noi non va bene. Meglio sarebbe chiamarle
erbe accompagnatrici, visto che “accompagnano” le nostre colture
ed il nostro lavoro.
Qualunque sia il nome che vogliamo usare, rimane chiaro che il viticoltore biologico non le elimina con gli erbicidi e così non inquina l’ambiente ed il terreno. Per tenere sotto controllo comunque
la competizione tra la vite e le erbe spontanee che crescono attorno egli può ricorrere agli sfalci o a lavorazioni meccaniche, quali
l’erpicatura. Può inoltre utilizzare i sovesci o le semine di essenze
selezionate ed anche utilizzare all’impianto e per i primi anni di sviluppo dei materiali da pacciamatura, ovvero paglia, teli in materiale
plastico o (meglio) biodegradabile che impediscono ai semi delle
infestanti di germinare. Approcci più innovativi ma sempre ecologici possono prevedere anche l’uso del pirodiserbo (controllo delle
plantule di malerbe tramite fiamma libera o mediante raggi infrarossi emessi da una piastra riscaldata) ed il controllo delle infestanti
nell’interfila tramite l’utilizzo di piante allelopatiche. Queste piante
rilasciano sostanze chimiche naturali nel terreno che impediscono o
prevengono la germinazione e/o lo sviluppo di altre piante. Le piante allelopatiche più interessanti sono Hyeracium pilosella e Bromus
tectorum, specialmente in climi aridi perché i semi hanno un periodo di dormienza in estate, proprio quando il rischio di stress idrico
è molto forte per la vite.
LA GESTIONE DELLA VITE:
POTATURE E SFOGLIATURE
Dopo aver scelto l’area di produzione, le tecniche colturali e le varietà più vocate, il viticoltore bio deve continuare a gestire la vigna
seguendo la fisiologia della vite e rispettando le sue esigenze, ma
“convincendola” anche a portare ad un buon grado di maturazione
la giusta quantità di uva.
In Calabria, come in tutta l’Italia del Sud, il fine della gestione del
vigneto è quello di avere una adeguata quantità di superficie fogliare, proporzionata alla quantità di uva che si vuole produrre, inoltre
si vuole facilitare la circolazione dell’aria all’interno della massa fogliare per ridurre il rischio di attacchi di funghi patogeni ed infine si
cerca di favorire l’esposizione dei grappoli al sole il più possibile, in
modo da consentire a tutti gli acini di arrivare a giusta maturazione.
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Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante in presenza di
un clima fresco, perché la temperatura della frutta durante il periodo
della sua maturazione influenza direttamente la riduzione dei livelli
degli acidi ed incrementa il profilo aromatico specifico nei grappoli.
La gestione di un sistema colturale ben strutturato ed aperto richiede, in dipendenza dalla fertilità di suolo e dalle condizioni climatiche:
• un’accurata potatura invernale
• la rimozione dei polloni prima della fioritura
• il buon posizionamento delle gemme che si ottiene tramite diradamento, cimatura, rimozione delle foglie e delle gemme secondarie
• talvolta la riduzione del numero di fiori
• la separazione dei grappoli, il diradamento degli acini all’interno
del grappolo, all’inizio della chiusura del grappolo.
Tutto ciò si può effettuare manualmente ma sempre più di frequente
si ricorre ad interventi meccanici, ad esempio anche per la sfogliatura estiva. Ciò consente di intervenire rapidamente (anche facendo
lo slalom tra le piogge) ed in modo preciso.
PROTEGGERE IL VIGNETO BIOLOGICO
Se tutte le operazioni fin qui descritte sono eseguite bene il vigneto
è già in ottima posizione per difendersi da molti attacchi di funghi,
batteri, insetti ed acari. Se poi lo abbiamo fatto sviluppare in un contesto con molti elementi naturali quali siepi, capezzagne non lavorate, aree boscate, fossati ecc., abbiamo anche una buona riserva di
insetti ed organismi utili che ci aiutano a mantenere sotto controllo
gli organismi dannosi. Tuttavia le condizioni climatiche cambiano di
anno in anno e nei climi calabresi non c’è anno in cui qualche patogeno comunque non riesca a farsi notare.
Il vignaiolo bio usa come primi strumenti di difesa la conoscenza
del proprio vigneto e la prevenzione, infatti egli sa in quale parte del
vigneto avverranno i primi attacchi di peronospora e li usa come
sistema di monitoraggio. Egli conosce inoltre i cicli di insetti e patogeni, quindi è in grado di comprendere il momento ideale di intervento come la soglia di rischio che lo richiede davvero. Qui un
po’ di tecnologia può aiutare il vignaiolo, infatti le capannine meteo
che permettono di monitorare pioggia, temperature e umidità della
vegetazione ed i modelli previsionali (che a seconda delle condizioni
valutano il momento di attacco da parte dei patogeni) consentono
di effettuare i trattamenti in modo da raggiungere il miglior risultato
in termini di efficacia.
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Tra i prodotti per la difesa della vigna bio non ci sono molecole di
sintesi, ovvero che non esistono in natura, ma solo e soltanto principi attivi di derivazione naturale.
Essi possono essere di natura minerale, come il rame, lo zolfo o le
argille; oppure di natura vegetale, come il piretro o il neem, un millenario insetticida naturale; oppure ancora di origine microbiologica
come il Bacillus thuringiensis. Nessuno di tali prodotti è dannoso
per l’uomo (l’agricoltore che li distribuisce o il consumatore) ed il
loro effetto è di breve durata, tanto da limitare l’impatto sull’ambiente. Discorso un po’ a parte per il rame: storico fungicida che però
ha la brutta attitudine di accumularsi nel terreno. I biologici lo usano
solo se necessario e comunque in quantità limitata per regolamento
europeo.
LA PERONOSPORA
La peronospora (le classiche “macchie di olio”) attacca le viti calabresi, riducendo spesso la produzione. Si possono scegliere vitigni
un po’ più resistenti ma spesso ciò non basta. In tal caso si ricorre
all’utilizzo di sali di rame (ossicloruro, idrossido, ossido, ossalato o
solfato) che vengono distribuiti nel vigneto nella quantità minima
che consente di proteggere la vegetazione ed in tutti i casi non si
superano i 6 kg/ha ad anno, come definito dal Reg. CE 834/07.
Per utilizzare meno rame taluni viticoltori lo distribuiscono assieme
a molecole organiche che ne incrementano l’adesività e la durata
sulla foglie, oppure utilizzano delle argille acide nei momenti di minor pressione.
L’OIDIO
L’oidio, un altro fungo patogeno che frequentemente attacca la vite,
si manifesta principalmente quando la stagione si presenta calda
e secca. Anch’esso varia d’impatto da varietà a varietà ma in tutti
i casi deve essere opportunamente gestito tramite la prevenzione
(ad esempio una bilanciata disponibilità di azoto per le piante) ed in
caso di necessità trattamenti con lo zolfo. Anche lo zolfo è disponibile in diverse formulazioni (micronizzato, colloidale, liquido). In alternativa si possono utilizzare dei funghi antagonisti (Ampelomyces
quisqualis), il bicarbonato di potassio o degli estratti vegetali (olio di
finocchio, estratto di equiseto, lecitina di soia).
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LA BOTRITE
Il marciume del grappolo è una delle principali cause della riduzione della qualità ed il più importante patogeno fungino responsabile
del marciume del grappolo è il Botrytis cinerea, detto anche muffa
grigia. Si sviluppa in modo pericoloso, soprattutto in procinto della
raccolta, in condizioni di elevata umidità e piogge frequenti. Quando
l’intensità del danno da questo patogeno è notevole, è necessario
eliminare le parti colpite del grappolo al momento della raccolta.
Al contrario della “muffa nobile”, la muffa grigia causa solitamente
alterazioni negative degli aromi del vino. Il viticoltore biologico riesce a tenere la botrite sotto controllo con un po’ di difficoltà, quindi
deve agire essenzialmente di prevenzione, aumentando la ventilazione e l’esposizione al sole dei grappoli (tramite la sfogliatura). Un
aiuto arriva anche da trattamenti con silice in forma di sodio silicato,
estratto di equiseto o bicarbonato di potassio, poichè rafforzano la
cuticola e proteggono gli acini dall’infezione. I trattamenti con rame
inducono lo stesso effetto di ispessimento della cuticola.
I LEPIDOTTERI
Negli ambienti vitivinicoli calabresi è facile riscontrare la presenza
di farfalle poco appariscenti e molto dannose quando attaccano il
vigneto: la tignoletta (Lobesia botrana) e la tignola (Eupoecilia ambiguella) della vite. La tignoletta è più frequente in zone calde e
soleggiate, mentre la tignola è caratteristica delle zone fredde. Ci
sono due o tre generazioni di questi insetti che possono causare
danni sugli organi fiorali (prima generazione) e sui grappoli durante
lo stadio larvale (seconda e terza generazione). Gli acini danneggiati diventano così il substrato per successivi attacchi di botrite che
dequalificano pesantemente l’uva. Il controllo da parte del vignaiolo
bio si basa in primo luogo sulla conoscenza dei loro cicli (con l’aiuto di modelli matematici che consentono di identificare i momenti
delle varie fasi di sviluppo dell’insetto e di trappole a feromoni che
consentono di verificare la presenza, la consistenza delle popolazioni ed il momento di arrivo). Se tutta la conoscenza necessaria è
applicata si può con ragionevole tranquillità controllare entrambi i
lepidotteri tramite la tecnica della confusione sessuale (disponendo
nel vigneto dei dispenser di feromoni specifici che non consentono
ai maschi di incontrare le femmine, che di conseguenza non vengono fecondate e non possono dare origine alla successiva danno
generazione), oppure l’utilizzo si Bacillus thuringiensis o di Spinosad
oppure ancora di piretro naturale.
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GLI ACARI
Ci sono diversi piccoli ragni che possono attaccare il vigneto (Panonychus ulmi – ragnetto rosso dei fruttiferi; Tetranychus urticale
– ragnetto rosso bimaculato; Calepitrimerus vitis – eriofide dell’acariosi; Colomerus vitis – eriofide dell’erinosi). Essi però diventano un
problema solo nel caso in cui si abbia uno sviluppo sbilanciato del
vigneto, che è di solito associato con l’utilizzo eccessivo di pesticidi
e con intense lavorazioni colturali in vigneto (è spesso un problema
nei vigneti all’inizio della conversione al biologico). Nella gestione
biologica del vigneto tutti gli acari sono solitamente controllati da
diverse specie di nemici naturali, come i predatori degli acari (fitoseidi), l’Orius sp., le crisope e le coccinelle. Nei rari casi in cui
diventano un serio problema, il viticoltore bio interviene con piretro
naturale o con oli minerali durante la fase invernale.
LE CICALINE
Diverse piccole cicaline possono danneggiare il vigneto (Empoasca
vitis – cicalina verde; Scaphoideus titanus – cicalina della flavescenza dorata; Hyalesthes obsoletus – vettore del legno nero).
Esse si alimentano sulle foglie pungendo le cellule e succhiando il
loro contenuto. Con l’incremento della ferita, l’attività fotosintetica
si riduce e danni gravi portano alla perdita del colore verde delle
foglie, il loro rinsecchimento e la ridotta produzione della pianta.
Normalmente il danno è minimo: molte piante possono tollerare fino
al 20% della perdita fogliare.
Buona parte delle cicaline sono tenute sotto controllo da nemici
naturali, nel caso della cicalina della flavescenza però i rischi sono
elevati perché essa mentre si nutre trasmette l’agente patogeno responsabile della flavescenza dorata. Laddove la flavescenza dorata
è presente sono obbligatori i trattamenti contro lo Scaphoideus che
vengono effettuati con il piretro naturale.
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IL LAVORO IN CANTINA
Se l’uva è ottenuta con il metodo biologico, applicato in modo accurato e con la dovuta conoscenza ed ovviamente se la stagione
“collabora”, il processo di vinificazione è semplice osservazione del
corretto realizzarsi della fermentazione alcolica e (a seconda del
tipo di vino) del conseguente completamento della fermentazione
malolattica e dell’affinamento del vino.
QUELLO CHE NON SI PUO’ FARE
O SI PUO’ MA....
In cantina vi sono delle pratiche vietate, quali la concentrazione parziale a freddo, la desolforazione dei mosti, l’elettrodialisi, la dealcolazione parziale, il trattamento del vino con scambiatori cationici.
Altre pratiche sono limitate: il trattamento termico non può superare
i 70°C e la filtrazione non può essere condotta con fori di diametro
inferiore agli 0,2 micron (significa sì alla microfiltrazione ma no alla
ultra e nano filtrazione).
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INGREDIENTI E COADIVANTI AMMESSI
NEL BIOLOGICO
Per quanto riguarda gli ingredienti ed i coadiuvanti di processo vengono ammessi quasi tutti quelli di origine naturale (vegetale, animale e microbiologica, inclusi lieviti e batteri) con la raccomandazione
di preferire l’origine biologica quando disponibile e vengono limitati
quelli di sintesi. Ad esempio si possono utilizzare i lieviti enologici selezionati, purché essi non siano di derivazione OGM e, qualora siano
disponibili, bisogna dare la preferenza a quelli prodotti in modo biologico. Ovviamente si può anche ricorrere alla fermentazione spontanea o con i propri lieviti (anche purificati e liofilizzati).
Non si possono usare invece il DMDC ed il PVPP, che sono di origine
sintetica e la loro produzione industriale è potenzialmente dannosa
per i lavoratori. Proibiti anche il solfito ed il bisolfito di ammonio (utilizzati di solito per alimentare i lieviti), l’ureasi, le mannoproteine, la
carbossimetilcellulosa, i sorbati ed alcune altre sostanze.
Nel suo insieme un produttore bio può utilizzare 44 additivi, coadiuvanti ecc., mentre il suo collega convenzionale ne ha a disposizione
quasi 70. Non sta certo in questi numeri la differenza ma a chi vi
dirà che il vino bio si fa allo stesso modo di quello convenzionale
potrete sempre proporre la seguente equazione: nel bio si lavora di
prevenzione e si rispetta la materia prima, ciò significa non usare gli
additivi che “aggiustano” in cantina i problemi del vigneto o di una
vinificazione mal gestita.
20
LA SOLFOROSA: UN MALE NECESSARIO?
L’uso della solforosa è stato ed è ancora argomento di tanta estenuante negoziazione. Essa infatti è una sostanza tradizionalmente
utilizzata in vinificazione, sia per gestire le ossidazioni che le contaminazioni microbiche. In ciò è davvero efficiente ed efficace e risulta ad oggi difficilmente sostituibile del tutto. L’anidride solforosa
utilizzata in cantina è di origine sintetica ed i suoi effetti sulla salute
umana non sono positivi, non solo per chi ne è allergico ma per tutta
la popolazione. Essa viene prodotta naturalmente anche dai lieviti
durante la fermentazione e quindi è possibile ottenere dei vini con
contenuti di solfiti anche elevati benché essa non sia stata aggiunta
al vino stesso. Negli ultimi anni da un lato è diventato obbligatorio
riportare in etichetta la dicitura “contiene solfiti” qualora il contenuto
del vino superi i 10mg/l, dall’altro sempre più produttori si cimentano nella sua riduzione ed anche assoluto non utilizzo. Di conseguenza è oggi possibile trovare sul mercato non pochi vini recanti la
dicitura “non contiene solfiti” oppure “non contiene solfiti aggiunti”.
Attenzione perché non è la stessa cosa! Infatti nel primo caso i solfiti eventualmente presenti saranno al di sotto del 10mg/l (in pratica
lo 0 analitico), mentre nel secondo non c’è nessuna indicazione sul
loro contenuto totale, sappiamo solo che non sono stati aggiunti ma
quanti ne hanno sviluppati i lieviti durante la fermentazione non ci è
dato saperlo, e quindi potrebbero anche essere in quantità elevata.
Nei vini biologici l’uso dell’anidride solforosa è ammesso ma sono
stati imposti dei limiti inferiori rispetto ai vini convenzionali. La quantità necessaria a proteggere un vino dipende da tanti fattori, primi
fra tutti il contenuto zuccherino, la presenza di tannini ed altri antiossidanti (quindi anche il colore) ed il pH. La tabella 1 riporta i limiti
definiti dal regolamento per il bio, comparandoli a quelli degli equivalenti vini convenzionali. Vale la pena di sottolineare come questi della tabella siano i limiti massimi ma che la maggior parte dei
viticoltori bio italiani già ne utilizza quantità pari alla metà, mentre
i loro colleghi d’oltralpe, anche per motivi climatici che si riflettono
sulla maturazione delle uve, dichiarano di averne bisogno in quantità superiori.
Inoltre molti produttori bio da anni stanno sperimentando in proprio
anche le vinificazioni senza aggiunta di solfiti e con l’obiettivo di
mantenere il tenore totale al di sotto dei fatidici 10mg/l, cosa che,
oltre a giovare alla salute di chi poi il vino lo berrà, consente di non
riportare in etichetta la dicitura “contiene solfiti”.
21
Tabella 1
LIMITI DEL CONTENUTO DI SOLFOROSA TOTALE DEFINITI
DAL REGOLAMENTO EUROPEO DI VINIFICAZIONE BIOLOGICA
Tipo di vino (da definizione EC Reg. 606/09)
Vini rossi con zucchero residuo < 5g/l
Vini rossi con zucchero residuo > 5g/l
Limiti nel
convenzionale
150 mg/l
200 mg/l
Vini bianchi e rosè con zucchero residuo < 5g/l 200 mg/l
Limiti nel bio
zucchero residuo <2g/l 100mg/l
zucchero residuo >2g/l 120mg/l
170mg/l
zucchero residuo <2g/l 150mg/l
zucchero residuo >2g/l 170mg/l
220mg/l
Vini bianchi e rosè con zucchero residuo > 5g/l 250 mg/l
Vini speciali
300 mg/l
come da Allegato I B, paragrafo 2 c
come da Allegato I B, paragrafo 2 d
350 mg/l
400 mg/l
come da Allegato I B, paragrafo 2 e
Vini liquorosi con zucchero residuo < 5g/l
150 mg/l
Vini liquorosi con zucchero residuo ≥ 5g/l
200 mg/l
Vini spumanti
vini spumanti di qualità
185 mg/l
altri vini spumanti
235 mg/l
Nota importante:
lo “zucchero residuo” è definito come somma esclusivamente di glucosio e fruttosio
270 mg/l
320 mg/l
370 mg/l
120mg/l
170mg/l
155 mg/l
205 mg/l
SFATIAMO UN PREGIUDIZIO: IL VINO
BIOLOGICO E’ BUONO, ANZI ECCELLENTE
Dopo averne tanto parlato varrebbe la pena di assaggiare, ed il presente è un caldo invito ad essere “curiosi di vini bio”. Per i più sospettosi è d’uopo un’ulteriore premessa: i vini bio sono buoni, anzi
hanno tutte le carte in regola per essere eccellenti! Infatti il metodo
biologico correttamente applicato al vigneto è in grado di portare in
cantina uve in perfetto equilibrio capaci di dare vita ad un vino non
solo eccellente ma che assolutamente “parla” del luogo da cui proviene. Il metodo biologico applicato poi in cantina è quello migliore
per mantenere le caratteristiche dell’uva senza indurre correzioni o
intrusioni che allontanano il vino ottenuto dalla sua natura.
22
COME UTILIZZARE MENO SOLFOROSA
E OTTENRE UN VINO BUONO CHE SI
CONSERVA A LUNGO?
Le strategie sono tante quanti i vignaioli, ma è abbastanza comune
e tecnicamente radicata la pratica di selezionare, in modo molto
stretto, l’uva in ingresso, al fine di isolare l’uva danneggiata che richiede precoce uso di solfiti. Inoltre una pratica semplice ma efficace è far partire la fermentazione in modo molto veloce (e quindi
non lasciando spazio a microorganismi diversi dal Saccharomyces
che trasforma lo zucchero in alcol) tramite il pie-de cuve, ovvero la
raccolta di circa il 10% dell’uva il giorno prima della rimanente, per
innescare su questa piccola quantità i lieviti e quindi aggiungere il
giorno seguente il resto dell’uva che a quel punto troverà già un’abbondante popolazione di lieviti pronta a “trasformarla”.
COME CONSERVARE IL VINO SENZA
RICORRERE A TROPPA SOLFOROSA?
Il tappo in sughero ci dà un’immagine di naturalità che in qualche
modo ce lo fa preferire. Tuttavia o il sughero è di qualità davvero
eccelsa oppure è un serio rischio! I tappi a vite o quelli in vetro o in
alcuni materiali sintetici forse sono meno “tradizionali” e “romantici”
ma lavorano molto bene!
23
QUALCHE RIFERIMENTO
NORMATIVO
Noioso eppur necessario, visto che proprio sul vino per molti anni
(ben 21!) la Commissione Europea non è riuscita ad arrivare ad una
definizione unitaria di come si debba produrre il vino bio. Incredibile
che nel frattempo la stessa Commissione invece abbia emanato regolamenti per la definizione della produzione biologica di molti altri
prodotti come il pesce, le alghe, il lievito, il vino di frutta (come ribes,
ciliege ecc.), interessanti ma altrettanto meno importanti (per valore
economico, diffusione, rilevanza culturale ecc.).
Fino al febbraio 2012 infatti si è potuto parlare, per regolamento
comunitario, solo e soltanto di “vino prodotto da uve da agricoltura
biologica” perché la regolamentazione UE concerneva solo la produzione dell’uva ma nulla diceva delle operazioni di cantina. Ciò sin
dal 1991. Il perchè di tale stranezza non è semplice da comprendere
e meno da spiegare. Vi sono almeno tre motivi che l’hanno indotta:
1) il fatto che il vino si produce in molti luoghi in Europa, diversi
fra loro e con metodologie tutte tradizionali ma assai diverse per
approccio; 2) che sul vino tutti, produttori e consumatori, vogliono
dire la loro e c’è molto di edonistico in tutto ciò; 3) infine, ma forse
è il motivo di maggior peso, è certo che da molte parti del mondo
vitivinicolo non si è voluto per anni (ed ancora per molti versi non
si vorrebbe) proprio sentir parlare di “vino biologico”, perché ciò significa che il resto non lo è. Mentre nell’immagine del vino e nel suo
marketing milionario l’idea di naturalità, autenticità e originalità vale
molto e sempre di più, soprattutto nella competizione con i nuovi
paesi produttori.
Ma finalmente nel marzo 2012 la situazione si è risolta ed ora risulta
ben chiara:
• La produzione dell’uva biologica è definita dal Reg. CE 834/07,
con le specifiche applicative su che prodotti e tecniche si possono utilizzare in vigneto per la fertilizzazione, la gestione e la
difesa raccolte nel Reg. CE 889/08;
• Il processo di vinificazione biologica è definito dal Reg. CE
203/12, che è un’integrazione del Reg. CE 889/08.
Oltre alle norme europee, che dovranno essere citate in etichetta, il
vino bio dovrà dalla vendemmia 2012, ma anche sulle vendemmie
precedenti se il produttore potrà dimostrare il rispetto dei regolamenti vigenti, esibire il logo europeo delle produzioni biologiche.
Oltre alle norme comunitarie obbligatorie per definire il vino bio, esistono anche delle norme private più restrittive, come ad esempio il
marchio “Garanzia AIAB”.
24
ELEMENTI PRINCIPALI DELLA
VINIFICAZIONE BIOLOGICA
Il concetto di base della vinificazione biologica è la prosecuzione
dell’approccio ecologico in vigna per arrivare ad un vino sano e
buono, rispettoso delle caratteristiche dell’uva di origine e senza
l’utilizzo di prodotti sintetici.
L’uva sana è il punto di partenza per una razionale vinificazione che
non abbisogna di interventi invasivi né di particolari additivi, e la
conduzione biologica del vigneto, guidata da una buona conoscenza della fisiologia delle vite, dell’ecologia di patogeni e parassiti. In
tale situazione in cantina è sufficiente sorvegliare sul corretto procedere delle fermentazioni e guidare le fasi successive, con l’utilizzo di
pratiche fisiche e pochi additivi ammessi dal regolamento europeo
203/2012, che appunto definisce l’enologia biologica.
Tuttavia nelle diverse annate accade che le condizioni climatiche
comportino anche delle vendemmie con qualche problema, ad
esempio danni da botrite o da grandine o stato maturazione non
perfetta. In questi casi il regolamento europeo prevede la possibilità
di utilizzare anche degli ulteriori mezzi, che però sono sempre scelti
tra quelli di origine non sintetica (tranne la solforosa, che è tuttavia
ammessa ma in quantità limitata) e comprovata non tossicità per
l’ambiente e la salute umana.
25
I CONTENUTI DEL REG. CE 203/2012
Banale ma utile ricordarlo: il vino bio si fa solo e soltanto con l’uva
bio (cosa che vale anche per il vino biodinamico che condivide gli
stessi obblighi normativi comunitari).
In cantina sono vietate la concentrazione parziale a freddo, la desolforazione dei mosti, l’elettrodialisi, la dealcolazione parziale, il trattamento del vino con scambiatori cationici.
Altre pratiche enologiche sono limitate: il trattamento termico non
può superare i 70°C (quindi si può pastorizzare ma non si può fare
la pastorizzazione flash) e la filtrazione non può essere condotta con
fori di diametro inferiore agli 0,2 micron (ciò significa sì alla microfiltrazione, ma no alla ultra e nano filtrazione).
Per quanto riguarda gli ingredienti e i coadiuvanti di processo vengono ammessi quasi tutti quelli di origine naturale (vegetale, animale e microbiologica, inclusi lieviti e batteri), con la raccomandazione
di preferire l’origine biologica quando disponibile, e vengono limitati
quelli di sintesi. Vale la pena di specificare che per i lieviti enologici
è obbligatorio l’uso di quelli bio solo se sono della tipologia/ceppo
adeguato alla vinificazione che si può condurre. Negli altri casi si
può ricorrere a lieviti selezionati convenzionali, purché non OGM,
oppure ovviamente alla fermentazione spontanea o con i propri lieviti (anche purificati e liofilizzati).
Non si possono usare invece il DMDC, il PVPP, il solfito e il bisolfito
di ammonio, l’ureasi, le mannoproteine, la carbossimetilcellulosa, i
sorbati e pochi altri. Rimangono fuori dalla possibilità di utilizzo anche il lisozima e le betaglucasi nonostante l’origine naturale.
Nel suo insieme un produttore bio può utilizzare 44 additivi, coadiuvanti ecc, mentre il suo collega convenzionale ne ha a disposizione
quasi 70. La lista completa di ciò che è utilizzabile secondo il regolamento europeo è riportata nella tabella 2 qui sotto riportata.
Nei casi ove vi sia la necessità di incrementare la dotazione zuccherina delle uve, i produttori biologici possono ricorrere solo alle
tecniche fisiche di autoarricchimento oppure all’uso di mosto concentrato (anche rettificato) ma solamente da produzione biologica.
Per i produttori del Nord Europa è ammesso l’uso dello zucchero di
barbabietola ma solo se proveniente da agricoltura biologica.
26
Tabella 2
Additivi e coadiuvanti utilizzabili
nella vinificazione biologica secondo il reg. 203/2012
Sostanza
Restrizione
Aria e ossigeno in fase gassosa
Perlite, cellulosa e farina fossile
Solo come agenti filtranti
Azoto, argon ed anidride carbonica
Lieviti
Da produzione biologica, se disponibili
(vedi testo)
Fosfato di ammonico e tiamina dicloro-idrato
Per la nutrizione dei lieviti
Carbone ad uso enologico
Gelatina alimentare, proteine vegetali del grano
e del pisello, colla di pesce
Da produzione biologica, se disponibili
(vedi testo)
Albumina dal bianco d’uovo e tannini
Da produzione biologica, se disponibili
(vedi testo)
Caseina, caseinato di potassio, diossido di silicio, bentonite, enzimi pectolitici
Acido lattico e acido L-tartarico
Carbonato di calcio, tartrato neutro di potassio, Da produzione biologica, se disponibili
bicarbonato di potassio
(vedi testo)
Resina di pino di Aleppo
Per retzina (vino greco)
Batteri lattici
Acido L-ascorbico
Acido citrico
Acido meta-tartarico
Gomma arabica
Da produzione biologica, se disponibili
(vedi testo)
Bitartrato di potassio
Citato di rame
Solfato di rame
Solo fino al 31 luglio 2015
Trucioli di quercia
Alginato di potassio
Da produzione biologica, se disponibili
(vedi testo)
Solfato di potassio
Solo per la produzione di vini spangoli
“vini generosi”
27
28
PERCORSI TECNOLOGICI
PER I VINI
29
30
DIRASPATURA
PIGIATURA
VENDEMMIA E
TRASPORTO
24-36 ORE PRIMA
Obiettivi del percorso
Casi in cui è
consigliato
VINI ROSSI
•
•
•
•
•
•
•
•
Evitare lacerazioni e sfregamenti
meccanici dell’uva
Opzioni possibili: MPF
(macerazione prefermentativa a
freddo)
Preservare l’integrità dell’uva
Diraspa-pigiatura di una massa
d’uva corrispondente al 10% di
quella da vendemmiare il giorno
successivo e trasferimento nel
fermentino
Reidratazione lieviti secchi a 20 g/
hl (calcolati sull’intera massa) ed
inoculo della quota del 10%
Estrarre pigmenti e sostanze
aromatiche o loro precursori
Evitare caratteri vegetali e
astringenti
Ridurre al minimo l’uso di additivi
e coadiuvanti, con strategia
preventiva
R1
“GIOVANE”
Su uve sane, per ottenere vini di
annata, con colore e profumi intensi
•
•
•
•
•
Evitare lacerazioni e sfregamenti
meccanici dell’uva
Preservare l’integrità dell’uva
R2
“AFFINAMENTO”
Su uve sane, per ottenere vini da
affinamento ed invecchiamento,
anche in legno
Estrarre tannini morbidi
Evitare contaminazioni microbiche
Ridurre al minimo l’uso di additivi
e coadiuvanti, con strategia
preventiva
•
•
•
•
•
•
•
•
Preservare l’integrità dell’uva
Se trasporto in carri, 5 g
metabisolfito / qle sul fondo, prima
dell’uva
Evitare lacerazioni e sfregamenti
meccanici dell’uva
Diraspa-pigiatura di una massa
d’uva corrispondente al 5% di
quella da vendemmiare il giorno
successivo e trasferimento al
fermentino
Reidratazione lieviti secchi a 30 g/
hl (calcolati sull’intera massa) ed
inoculo della quota del 5%
Limitare i danni della laccasi
Limitare i rischi di deviazioni
fermentative
Profilo sensoriale: assenza di difetti
R3
“SICUREZZA”
Su uve botritizzate o che hanno perso
integrità
31
GESTIONE
MACERAZIONE
ALZATA CAPPELLO
AVVIO DELLA
FERMENTAZIONE
CARICO
FERMENTINO
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Durata media, svinatura ad
esaurimento zuccheri se non
compare vegetale
Rimontaggi frequenti, senza azioni
meccaniche sull’uva
Ossigenazione del mosto-vino ed
aggiunta fostato d’ammonio se
insorgono odori di ridotto
Temperatura = 20 - 25°C
Aggiunta fosfato d’ammonio (20-50
g/hl)
Rimontaggio all’aria appena
possibile
Opzione consigliata: aggiunta
batteri selezionati / coinoculo
Aggiunta di:
tiamina al massimo dosaggio
R1
“GIOVANE”
Nessuna aggiunta di SO2
Integrare al 10% di pigiato in
fermentazione preparato in
precedenza
Opzioni possibili: aggiunta enzimi di
macerazione
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Durata lunga, fino a termine
malolattica ed oltre, se tannino uva
non astringente
Rimontaggi all’aria, frequenti
durante la fase tumultuosa,
mantenere cappello bagnato alla
fine, senza azioni meccaniche
sull’uva
Temperatura = 25 - 30°C
Opzione possibile: vinificazione con
estrazione differita degli antociani
Aggiunta fosfato d’ammonio (20-40
g/hl)
Rimontaggio all’aria
Opzione consigliata: aggiunta
batteri selezionati / coinoculo
Reidratazione lieviti secchi a 20 g/
hl (30 g/hl se alcool potenziale
> 13°) ed inoculo ad inizio carico
fermentino
Aggiunta di:
tiamina al massimo dosaggio
nutrienti complessi se APA basso
R2
“AFFINAMENTO”
Nessuna aggiunta di SO2
Aggiunta enzimi di macerazione
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Durata breve, svinatura appena
ottenuto colore sufficiente
Rimontaggi ridotti al minimo, al
chiuso, senza azioni meccaniche
sull’uva
Temperatura = 20 - 25°C
Aggiunta fosfato d’ammonio (30-60
g/hl)
Rimontaggio all’aria (ad attività
fermentativa evidente)
Opzione consigliata: aggiunta
batteri selezionati / coinoculo
Aggiunta di:
tiamina al massimo dosaggio
fosfato d’ammonio e nutrienti
complessi
tannini esogeni
R3
“SICUREZZA”
Se uve in cattivo stato sanitario,
eventuale ulteriore aggiunta di SO2
sull’uva
Integrare al 5% in fermentazione
32
AFFINAMENTO IN
LEGNO
STOCCAGGIO E
TRAVASI
SVINATURA E
PRESSATURA
•
•
•
•
•
•
•
•
•
A fine FA e FML, aggiunta di 20-30
mg/l SO2
1° travaso max 48 ore dopo la
solfitazione, 2-4 travasi nei 2 mesi
successivi, per eliminare le fecce
grossolane
Travasi al chiuso salvo comparsa
odori di ridotto
Agitazione fra travasi per mantenere
in sospensione le fecce fini
Controllo SO2 e aggiunta al travaso
per mantenere la libera a circa 10
mg/l (da fine FML)
Vasche colme
Temperatura < 12°C (da fine FML)
Opzioni possibili:
microssigenazione
R1
“GIOVANE”
Separare torchiati da vino fiore e
prima pressata
A fine FA e FML, aggiunta di 20-30
mg/l SO2
1° travaso max 48 ore dopo la
solfitazione, 1-2 travasi nei 2 mesi
successivi. per eliminare le fecce
grossolane
Travasi all’aria salvo comparsa
sintomi ossidazione
Agitazione fra travasi per mantenere
in sospensione le fecce fini
Controllo SO2 e aggiunta al travaso
per mantenere la libera a circa 10
mg/l (da fine FML)
Vasche colme
Temperatura < 18°C (da fine FML)
Opzioni possibili:
microssigenazione
(Se previsto)
• Lavaggio accurato e solfitazione
contenitori in legno prima dell’uso
• Eliminazione contenitori con odori
animali
• Evitare saturazioni con aria durante
travasi
• Colmature frequenti
• Controllo SO2 e aggiunta ai travasi
per mantenere la libera a circa 10
mg/l
•
•
•
•
•
•
•
•
•
R2
“AFFINAMENTO”
Unire vino fiore e primi torchiati se
tannini non astringenti
•
•
•
•
•
•
•
•
A fine FA e FML, aggiunta di 40-50
mg/l SO2
1° travaso max 48 ore dopo la
solfitazione, 2-3 travasi nel mese
successivo, per eliminare tutte le
fecce
Travasi al chiuso
Controllo SO2 e aggiunta al travaso
per mantenere la libera a circa 10
mg/l (da fine FML)
Vasche colme
Temperatura < 12°C (da fine FML)
Pulire il vino con collaggio e
filtrazione prima possibile
R3
“SICUREZZA”
Separare vino fiore da torchiati
33
IMBOTTIGLIAMENTO
FILTRAZIONE
STABILIZZAZIONE
•
•
•
•
•
•
•
Aggiungere SO2 al vino in quantità
proporzionali alla shelf-life del vino
Limitare l’ossigenazione del vino
durante l’imbottigliamento
Scelta chiusure con bassa
permeabilità all’ossigeno se shelflife > 6 mesi
Ridotta al minimo necessario,
evitare dissoluzione di aria
R1
“GIOVANE”
Collaggio con gelatine / proteine
vegetali se necessario
Collaggio con bentonite / tannini
solo se verificata instabilità proteica
Stabulazione a freddo ridotta al
minimo (test preliminari)
•
•
•
•
•
Aggiunta SO2 e scelta chiusure in
relazione alla vita prevista del vino
Se necessaria
R2
“AFFINAMENTO”
Collaggio con gelatine / proteine
vegetali se necessario
Collaggio con bentonite / tannini
solo se verificata instabilità proteica
Stabilizzazione tartarica come
d’abitudine (previo test di stabilità)
•
•
•
•
•
•
Aggiungere SO2 al vino in quantità
proporzionali alla shelf –life del vino
Limitare l’ossigenazione del vino
durante l’imbottigliamento
Scelta chiusure con bassa
permeabilità all’ossigeno se shelflife > 6 mesi
Sterilizzante, evitare dissoluzione
di aria
R3
“SICUREZZA”
Collaggio con bentonite, caseina,
gelatina secondo necessità
Stabulazione a freddo evitando la
dissoluzione di aria
34
PRESSATURA
TRATTAMENTO UVE
E CARICO PRESSA
VENDEMMIA E
TRASPORTO
Obiettivi
del percorso
Casi in cui è
consigliato
VINI BIANCHI
•
•
•
•
•
•
•
Aggiunta di:
30-40 mg/l SO2 frazionati durante
tutta la pressatura (sulle uve in
pressa dal secondo ciclo)
Saturazione con CO2 di vasche e
tubazioni prima del passaggio del
mosto
Opzioni possibili: criomacerazione,
aggiunta enzimi di macerazione,
acido ascorbico
Saturazione pressa con CO2
Carico della pressa con uva intera
Vendemmia a bassa temperatura
Uva integra fino alla pressa
Se vendemmia meccanica,
ghiaccio secco in fondo alla
tramoggia
•
•
•
•
•
•
Nessuna aggiunta
Miscela mosto fiore e prime
pressate
Trattare il mosto degli ultimi cicli di
pressatura come in percorso B3
Se possibile, evitare pigiatura e
diraspatura
Uva integra fino alla pressa
Ridurre al minimo l’uso di additivi
e coadiuvanti, con strategia
preventiva
Profilo sensoriale: fruttato, morbido
•
Evitare l’ossidazione degli aromi
e dei polifenoli durante tutto il
processo
Profilo sensoriale: florale varietale
intenso, volume al gusto
•
B2
“TRADIZIONE”
Su uve sane o poco botritizzate, da
varietà neutre e con polifenoli elevati
B1
“RIDUZIONE”
Su uve sane, per esaltare il carattere
varietale e il florale
•
•
•
•
•
•
•
•
Aggiunta 50-60 mg/l SO2 frazionati
durante la pressatura
Separazione di:
mosto fiore (se possibile,
chiarificare come in percorso B2);
tutte le frazioni di pressatura
(chiarificare come di seguito)
Se possibile, evitare pigiatura e
diraspatura
Uva integra fino alla pressa
Se trasporto in carri, 5 g
metabisolfito / qle sul fondo, prima
dell’uva
Eliminare la laccasi ed i composti
facilmente ossidabili dal mosto
Limitare i rischi di deviazioni
fermentative
Profilo sensoriale: assenza di difetti
B3
“SICUREZZA”
Su uve botritizzate o che hanno perso
integrità
35
B2
“TRADIZIONE”
AVVIO DELLA
FERMENTAZIONE
ATTIVAZIONE E
INOCULO LIEVITI
(almeno 12 ore prima)
CHIARIFICA MOSTI
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Trasferimento del mosto limpido
alla vasca di fermentazione e
aggiunta di:
tiamina al massimo dosaggio;
fosfato d’ammonio se APA basso
Se malolattica: aggiungere i batteri
non appena la temperatura del
mosto è > 14°C
Reidratazione lieviti secchi a 20 g/hl
(calcolati sull’intera massa)
Inoculare la quota di mosto fiore
(10%) sul fondo della vasca di
fermentazione
Prima dell’uso dello starter,
raddoppiarne il volume
aggiungendo mosto freddo ed
attendere 2 ore
Refrigerazione mosto
Decantazione statica
Se flottazione, con CO2 o N2
Opzioni possibili: aggiunta enzimi
pectolitici e chiarificanti
•
•
•
•
•
•
•
•
Trasferimento del mosto limpido
alla vasca di fermentazione e
aggiunta di:
tiamina al massimo dosaggio
nutrienti complessi o fosfato
d’ammonio se APA basso
Reidratazione lieviti secchi a 15 g/hl
(calcolati sull’intera massa)
Inoculare la quota di mosto fiore
(5%) in sul fondo della vasca di
fermentazione
Prima dell’uso dello starter,
raddoppiarne il volume
aggiungendo mosto freddo ed
attendere 2 ore
Refrigerazione mosto
Aggiunta chiarificanti a base di
caseinato in base al contenuto
fenolico
Decantazione statica o flottazione
Opzioni possibili:
iperossigenazione, aggiunta enzimi
pectolitici, altri chiarificanti
SEPARAZIONE QUOTA del 5-10% di mosto fiore per attivazione ed inoculo lieviti (vedi oltre)
B1
“RIDUZIONE”
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Trasferimento del mosto limpido
alla vasca di fermentazione e
aggiunta di:
tiamina al massimo dosaggio
nutrienti complessi
Reidratazione lieviti secchi a 30 g/hl
(calcolati sull’intera massa)
Inoculare la quota di mosto fiore
(5%) sul fondo della vasca di
fermentazione
Prima dell’uso dello starter,
raddoppiarne il volume
aggiungendo mosto freddo ed
attendere 2 ore
Refrigerazione mosto
Aggiunta chiarificanti a base di
bentonite, eventualmente tannino
e/o carbone
Decantazione statica
Se flottazione, con CO2 o N2
Opzioni possibili: aggiunta enzimi
pectolitici, filtrazione
Non usare i torchiati per l’attivazione
B3
“SICUREZZA”
36
STOCCAGGIO E
TRAVASI
FINE
FERMENTAZIONE
1/3 – 1/2
FERMENTAZIONE
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
2 travasi senz’aria nei 2 mesi
successivi per eliminare le fecce
grossolane
Agitazione fra travasi per mantenere
in sospensione le fecce fini
Controllo SO2 e aggiunta al travaso
per mantenere la libera a circa 10
mg/l (da fine FML)
Saturazione con CO2 di vasche e
tubazioni prima del passaggio del
vino
Vasche colme e protezione con gas
inerte
Temperatura < 12°C (da fine FML)
Travaso appena esauriti gli zuccheri
per eliminare fecce grossolane
(limitare il contatto con l’aria)
Aggiunta SO2 a 20 mg/l dopo 2-3
giorni (se fine FML)
B1
“RIDUZIONE”
Aggiunta fosfato d’ammonio (20-40
g/hl)
Rimontaggio all’aria o
macrossigenazione)
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
2 travasi senz’aria nei 2 mesi
successivi per eliminare le fecce
grossolane
Agitazione fra travasi per mantenere
in sospensione le fecce fini
Se sintomi di ridotto o colore
intenso, procedere subito a
collaggio e filtrazione
Controllo SO2 e aggiunta al travaso
per mantenere la libera a circa 10
mg/l (da fine FML)
Vasche colme e protezione con gas
inerte
Temperatura < 12°C (da fine FML)
Travaso appena esauriti gli zuccheri
per eliminare fecce grossolane
(limitare il contatto con l’aria)
Aggiunta SO2 a 20 mg/l
Se malolattica: aggiungere i batteri
dopo il primo travaso e ritardare la
solfitazione
B2
“TRADIZIONE”
Aggiunta fosfato d’ammonio (20-50
g/hl)
Rimontaggio all’aria o
macrossigenazione)
•
•
•
•
•
•
•
•
Procedere subito a collaggio e
filtrazione
Controllo SO2 e aggiunte per
mantenere la libera a circa 15 mg/l
Vasche colme e protezione con gas
inerte
Temperatura < 12°C
Travaso appena esauriti gli zuccheri
per eliminare fecce grossolane
Aggiunta SO2 a 30-40 mg/l
B3
“SICUREZZA”
Aggiunta fosfato d’ammonio (30-60
g/hl)
Rimontaggio all’aria o
macrossigenazione)
37
IMBOTTIGLIAMENTO
FILTRAZIONE
STABILIZZAZIONE
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Aggiungere SO2 e acido ascorbico
al vino in quantità proporzionali alla
shelf–life del vino
Saturazione preventiva con CO2
del sistema
Pre-evacuazione bottiglie e spazio
di testa
Scelta chiusure con bassa
permeabilità all’ossigeno se shelflife > 6 mesi
Riempire prima il circuito con altro
vino per evitare ossidazione
Saturazione con CO2 di vasche e
tubazioni prima del passaggio del
vino
B1
“RIDUZIONE”
Minimo uso di bentonite per la
stabilità proteica (test preliminari)
Chiarifica con caseinato / proteine
vegetali se necessario (vino
facilmente ossidabile)
Stabulazione a freddo ridotta al
minimo (test preliminari)
Saturazione con CO2 di vasche e
tubazioni prima del passaggio del
vino
•
•
•
•
•
•
Aggiungere SO2 in quantità
proporzionali alla shelf –life del vino
Limitare l’ossigenazione del vino
durante l’imbottigliamento
Scelta chiusure in base alle
caratteristiche ed alla shelf-life del
vino
Limitare l’entrata di aria nel sistema
B2
“TRADIZIONE”
Chiarifica con bentonite / caseinato
/ proteine vegetali secondo
esigenze (test preliminari)
Stabilizzazione tartarica (con test
preliminari)
•
•
•
•
•
•
Aggiungere SO2 in quantità
adeguate alla sensibilità del vino
all’ossidazione ed alla vita prevista
Limitare l’ossigenazione del vino
durante l’imbottigliamento
Scelta chiusure in base alle
caratteristiche ed alla shelf-life del
vino
Limitare l’entrata di aria nel sistema
B3
“SICUREZZA”
Chiarifica con bentonite / caseinato
/ proteine vegetali secondo
esigenze (test preliminari)
Stabilizzazione tartarica (con test
preliminari)
BIOLOGICO E BIODINAMICO
Il vino biologico è quindi chiaramente definito per regolamento europeo e parimenti lo sono le norme su chi deve effettuare i controlli,
come gli stessi debbono essere condotti e come il processo di certificazione va condotto. Il vino biodinamico è definito dallo stesso
regolamento del vino biologico (quindi deve obbligatoriamente essere certificato secondo i regolamenti europei). Inoltre rispetta le
norme private dell’Associazione Biodinamica, solo così può riportare il riferimento in etichetta.
Esiste però anche una vasta schiera di vini “naturali”, “autentici”.
Tutti questi non hanno una definizione legale né un sistema di controllo che ne verifichi la veridicità del rispetto di una idea di base.
Possono quindi essere vini ottenuti senza l’uso di chimica di sintesi
in vigneto, oppure senza lieviti selezionati in cantina, tuttavia non
c’è una sistematica definizione né verifica/certificazione.
38
VITIGNI E VINI DI CALABRIA
La piattaforma ampelografica calabrese si articola nella sua complessità in 39 vitigni, regolarmente inseriti all’interno del Registro
Nazionale delle Varietà di Vite (RNVV) e autorizzati alla coltivazione
nella Regione Calabria (Del. Giunta Reg. Calabria n. 267 del 29 luglio 2013), di cui 21 varietà a bacca nera, 17 a bacca bianca e una
a bacca rosata.
I dati regionali più aggiornati, evidenziano in maniera inequivocabile
la presenza dominante sul territorio del Gaglioppo, cultivar a bacca
nera, che interpreta al meglio i contesti territoriali in cui si trova;
ad esso seguono altre varietà a bacca nera insediatisi nell’areale
vitivinicolo con estrema facilità, quali Greco nero, Magliocco Canino, Sangiovese, Nerello Cappuccio, Aglianico, Calabrese, Nerello
Mascalese, Malvasia Nera; tra quelli a bacca bianca, non possiamo
tralasciare la Malvasia bianca, la quale occupa un posto di tutto
rispetto nel territorio regionale ed inoltre ricordiamo il Greco Bianco.
La realtà vitivinicola Calabrese è costituita al suo interno da vitigni
di origine internazionale, come ad esempio il Merlot e il Cabernet
Sauvignon a bacca nera e lo Chardonnay a bacca bianca.
39
In una Regione particolarmente difforme dal punto di vista orografico, è strano immaginare che buona parte del territorio, da monte a
valle viene coltivata a vigneto: difatti i marchi comunitari ambiti da
molte regioni italiane sono sparsi nella superficie calabrese in modo
da ricoprire ogni angolo nascosto di questa terra meravigliosa.
Fino a Sud della punta dello Stivale, si può immaginare un contesto
vitivinicolo molto vario, all’interno del quale ogni provincia propone
un vino diversificato in funzione della varietà utilizzata.
La provincia di Cosenza e di Crotone, facenti parte dell’areale nord
della Calabria, accolgono nel loro patrimonio agricolo diversi vitigni
in grado di esaltare al meglio le qualità territoriali in modo più che
soddisfacente, basti pensare che all’interno di tale circoscrizione
ritroviamo ben 6 delle 9 DOC-DOP regionali (Cirò, Melissa, Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, Savuto, Scavigna, Terre di Cosenza) e 2
degli 11 IGT-IGP (Lipuda, Val di Neto).
I principali vitigni caratterizzanti la biodiversità nord-calabrese,
specialmente nella provincia di Cosenza, novellati all’interno dei di-
40
sciplinari di produzione, sono rappresentati da: Magliocco, Greco
nero, Gaglioppo, Calabrese, Aglianico, Cabernet Sauvignon, Merlot, Sangiovese, Greco bianco, Guarnaccia bianca, Pecorello, Montonico e Malvasia bianca.
La provincia di Crotone, a differenza della grande diversità varietale
riscontrata nel cosentino, è macchiata per quasi tutta l’estensione
territoriale dal Gaglioppo, varietà a bacca nera, ed in minima parte
dal Greco Bianco, meglio conosciuto come Guardavalle.
A metà Calabria, in provincia di Catanzaro, precisamente a Lamezia Terme, incontriamo un altro marchio, il DOC Lamezia, all’interno
della quale ricadono la gamma rossa, rosata e bianca. Le prime due
sono realizzate grazie all’utilizzo dei vitigni Gaglioppo, Magliocco
dolce e Greco nero. L’ultima, invece, è concepita grazie all’aiuto di
alcune essenze autoctone, quali il Greco bianco e il Mantonico il cui
impiego è previsto per la produzione di vini a base spumante e per
i passiti.
Nello stesso areale ritroviamo anche l’IGT Valdamato.
La parte più a sud della Calabria è contraddistinta da due sistemi
viticoli importantissimi per il contesto territoriale, culturale ed economico della regione, quali il Bivongi e il Greco di Bianco.
Il primo fa capo ad una serie di varietà utilizzate nel territorio assiduamente, come ad esempio il Magliocco dolce, Greco nero, Nocera, Calabrese, Castiglione, Greco bianco, Guardavalle, Mantonico,
Malvasia bianca, Ansonica e in minore misura il Gaglioppo. Nell’ultimo periodo si è cercato di recuperare alcune vecchie varietà minori
facenti parte della storia del territorio, quali Pecorello bianco, Uva
ruggia, Pedilongo o Padaluta.
Il secondo sistema viticolo, che si estende nel basso jonio reggino,
si fonda sull’utilizzo di alcune varietà autoctone, quali il Greco Bianco, il Mantonico, il Castiglione e diversi Nerelli.
Nella costa jonica sono ad indicazione di marchio IGT-IGP il Palizzi,
Locride e Pellaro, mentre nel tratto meridionale della costa tirrenica
troviamo il Costa Viola, Arghillà e Scilla.
Il tratto meridionale della costa tirrenica che si affaccia sullo stretto
di Messina delimitato dai comuni di Palmi a nord e di Scilla a sud,
identificato con il sistema viticolo Costa Viola, grazie ai continui
modellamenti morfologici da parte degli agricoltori, accoglie varie
superfici vitate destinate alla produzione di vino. I vitigni maggiormente utilizzati in tale contesto sono, in ordine decrescente, Zibibbo, Nocera, Petruneri e Malvasia bianca. Infine i vini, ad indicazione
geografica tipica Calabria bianchi, rossi e rosati ottenuti da uve
provenienti da vigneti composti tipici della regione, compresi nell’intero territorio amministrativo delle province di Catanzaro, Cosenza,
Crotone, Reggio Calabria, Vibo Valentia. Brevemente si ricordano di
seguito i vitigni, i DOC, i DOP, gli IGT e le aree viticole calabresi più
note: ma un vero “curioso di vino” non si ferma alle aree più note e
ama sperimentare anche gli areali meno conosciuti!
41
I PRINCIPALI VITIGNI CALABRESI RIPORTI TAB 5
Superficie Totale
Dichiarata
Vitigno
Superficie destinata Superficie destinata
a vini DOC-DOP
ad altri vini
Gaglioppo (n)
4170
2260
1910
Greco nero (n)
635
95
540
Magliocco canino (n)
522
85
437
Malvasia bianca (b)
310
55
255
Sangiovese (n)
292
34
258
Greco bianco b. (b)
245
103
142
Nerello cappuccio (n)
175
13
162
Greco bianco (b)
163
123
40
Aglianico (n)
161
75
87
Calabrese (n)
150
16
135
Merlot (n)
148
37
110
Chardonnay (b)
141
6
135
Nerello mascalese (n)
131
9
122
Cabernet Sauvignon (n)
116
22
94
Malvasia nera (n)
88
5
83
Altri vitigni
2529
42
DOP E DOC
9
2
Cosenza
7
5
Crotone
4
Catanzaro
Vibo Valentia
1
6
1.
BIVONGI
2.
CIRÒ
3.
GRECO DI BIANCO
4.
LAMEZIA
5.
MELISSA
6.
Reggio Calabria
3
SANT’ANNA DI
ISOLA CAPO RIZZUTO
7.
SAVUTO
8.
SCAVIGNA
9.
TERRE DI COSENZA
43
1. BIVONGI
Le uve destinate alla produzione dei vini DOC Bivongi devono essere prodotte nella zona che comprende l’intero territorio amministrativo del comune di Guardavalle, in provincia di Catanzaro e l’intero
territorio amministrativo dei comuni di Bivongi, Camini, Caulonia,
Monasterace, Pazzano, Placanica, Riace, Stignano, Stilo, tutti in
provincia di Reggio Calabria.
2. CIRÒ
Le uve destinate alla produzione dei vini “Cirò” rosso, anche nelle
tipologie “superiore” e “superiore riserva”, rosato e bianco devono
essere prodotte nella zona che comprende, in tutto, i territori dei comuni di Cirò e Cirò Marina e, in parte, i territori dei comuni di Melissa
e Crucoli in provincia di Crotone.
3. GRECO DI BIANCO
Le uve destinate alla produzione del vino a DOC “Greco di Bianco”
devono essere prodotte nella provincia di Reggio Calabria, nel territorio amministrativo del comune di Bianco e in parte nel comune
di Casignana.
4. LAMEZIA
Le uve destinate alla produzione di questo vino devono essere
prodotte nel territorio amministrativo dei seguenti comuni tutti in
provincia di Catanzaro: Curinga, Falerna, Ferolelo Antico, Gizzeria,
Francavilla Angitola, Maida, Pianopoli, Lamezia Terme, S. Pietro a
Maida
5. MELISSA
Il Melissa DOC si ottiene da uve che ricadono in tutto il territorio
amministrativo dei comuni di Melissa, Belvedere Spinello, Carfizzi,
San Nicola dell’Alto, Umbriatico e in parte del territorio dei comuni di Casabona, Castel Silano, Crotone, Pallagorio, Rocca di Neto,
Scandale, San Mauro Marchesato, Santa Severina, Strongoli tutti in
provincia di Crotone.
6. SANT’ANNA DI ISOLA CAPO RIZZUTO
Il Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto è prodotto da uve provenienti dal
territorio amministrativo comunale di Isola Capo Rizzuto e in parte
dai comuni di Crotone e di Cutro.
44
7. SAVUTO
La zona di produzione delle uve destinate alla produzione dei vini a
Denominazione di Origine Controllata “Savuto” comprende in parte
i comuni di Rogliano, S. Stefano di Rogliano, Marzi, Belsito, Grimaldi, Altilia, Aiello Calabro, Cleto, Serra Aiello, Pedivigliano, Malito,
Amantea, Scigliano, Carpanzano, in Provincia di Cosenza e Motta
S. Lucia, Martirano Vecchio, Martirano Lombardo, S. Mango d’Aquino, Nocera Terinese e Conflenti in Provincia di Catanzaro.
8. SCAVIGNA
Le uve destinate alla produzione dei vini DOC Scavigna devono essere prodotte nei territori dei comuni di Nocera Terinese e di Falerna, in provincia di Catanzaro.
9. TERRE DI COSENZA
La Denominazione di Origine Controllata dei vini «Terre di Cosenza»,
comprende i vigneti già iscritti all’albo dei vigneti delle DOC dei vini
Donnici, Pollino, San Vito di Luzzi, Verbicaro e all’elenco delle vigne
dei vini IGT Esaro, Condoleo e Valle del Crati. Le uve destinate alla
produzione del vino DOC “Terre di Cosenza”, devono essere prodotte nel territorio amministrativo del comune di Cosenza.
45
IGT
46
1.
LIPUDA
2.
VAL DI NETO
3.
VALDAMATO
4.
LOCRIDE
5.
PALIZZI
6.
PELLARO
7.
ARGHILLA’
8.
SCILLA
9.
COSTA VIOLA
1. LIPUDA
Le uve destinate alla produzione dei vini IGT Lipuda devono provenire dai territori amministrativi dei comuni di: Carfizzi, Casabona,
Cirò, Cirò Marina, Crucoli, Melissa, Strangoli, Umbriatico, in provincia di Crotone.
2. VAL DI NETO
Le uve destinate alla produzione dei vini IGT Val di Neto devono
provenire dai comuni di: Andali, Belcastro, Belvedere, Spinello,
Botricello, Caccuri, Carfizzi, Casabona, Cerenzia, Crotone, Cutro,
Mesoraca, Pallagorio, Petilia Policastro, Roccabernarda, Rocca di
Neto, San Mauro Marchesato, San Nicola dell’Alto, Santa Severina, Scandale, Umbriatico e Strongoli, tutti in provincia di Crotone.
3. VALDAMATO
l’IGT Valdamato si ottiene da uve provenienti dall’intero territorio
amministrativo dei comuni di: Curinga, Feroleto, Gizzeria, Lamezia
Terme, Maida, Pianopoli, San Pietro a Maida, in provincia di Catanzaro.
4. LOCRIDE
Questo vino è prodotto da uve provenienti dall’intero territorio amministrativo dei comuni di: Agnana, Ardore, Bianco, Bovalino, Bruzzano, Camini, Canolo, Caraffa del Bianco, Casignana, Caulonia,
Ferruzzano, Gerace, Gioiosa Jonica, Grotteria, Locri, Mammola,
Marina di Gioiosa Jonica, Monasterace, Placanica, Riace, Roccella
Jonica, Sant’Agata del Bianco, Sant’Ilario, Siderno e Stignano, tutti
in provincia di Reggio Calabria.
5. PALIZZI
La zona di produzione delle uve destinate alla produzione dei vini
IGT Palizzi comprende l’intero territorio dei comuni di: Bova, Bova
Marina, Brancaleone, Condofuri, Palizzi, Staiti, in provincia di Reggio Calabria.
6. PELLARO
l’IGT Pellaro si ottiene da uve coltivate in tutto il territorio amministrativo del comune di Motta San Giovanni e in parte del territorio
amministrativo del comune di Reggio Calabria limitatamente alle
frazioni di: Bocale, Lume di Pellaro, Macellari, Occhio di Pellaro,
Oliveto, Paterriti, Pellaro, San Filippo, Valanidi.
47
7. ARGHILLA’
La zona di produzione delle uve destinate alla produzione di questo
vino comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti comuni: Calanna, Campo Calabro, Fiumara, Villa San Giovanni e parte
del territorio amministrativo del comune di Reggio Calabria limitatamente alle frazioni: Archi, Arghillà di Catona, Arghillà di Salice,
Concessa, Arghillà di Villa San Giuseppe, Diminniti di Sambatello,
Ortì, Rosati, Sambatello, San Giovanni di Sambatello, Terreti, Vito.
8. SCILLA
Questo IGT si ottiene con uve provenienti dall’intero territorio del
comune di Scilla, in provincia di Reggio Calabria.
9. COSTA VIOLA
Questo vino è prodotto da uve provenienti dall’intero territorio amministrativo dei seguenti comuni: Bagnara Calabra, Palmi, Scilla,
Seminara, in provincia di Reggio Calabria.
10. CALABRIA
L’IGT Calabria è prodotto da uve provenienti dall’intero territorio
amministrativo delle province di: Catanzaro, Cosenza, Crotone,
Reggio Calabria, Vibo Valentia nella regione Calabria.
48
DOVE TROVARE
I VINI BIOLOGICI
I vini bio si possono assaggiare ed acquistare direttamente nelle
aziende produttrici, oppure nei negozi specializzati in prodotti bio.
Tuttavia, sempre più frequentemente, si possono incontrare in enoteche, ristoranti ed anche supermercati generici. Infatti, diversamente dagli altri prodotti bio, come gli ortaggi, i latticini, i prodotti da
forno ecc., il vino bio viene proposto sempre più spesso nei contesti
“convenzionali”. In relazione alle fiere, il vino bio non frequenta solo
quelle specializzate in prodotti bio ma anche manifestazioni come il
Vinitaly, a Verona e il Prowein a Düsseldorf, in Germania, fiere dedicate ai vini di qualità dove il vino biologico conferma sempre più la
sua eccellenza e la sua capacità di sostenere la competizione con
i vini convenzionali.
49
PER SAPERNE DI PIù
•
•
•
•
•
Sul sito www.orwine.org si può scaricare un intero codice di
buone pratiche sulla viticoltura e la vinificazione biologica, in
italiano ed in altre 5 lingue
Per essere aggiornati sulla tecnica, la normativa e gli eventi a
livello nazionale ed internazionale legati al vino biologico consigliamo di consultare il sito www.aiab.it dove è possibile anche
iscriversi alla newsletter settimanale Bio@gricultura
Per le notizie ed aggiornamenti su ciò che succede nel bio lombardo consigliamo di consultare il sito www.aiablombardia.it
dove è possibile anche iscriversi alla newsletter “tutto quanto
fa … biologico”
Per gli aggiornamenti normativi comunitari e nazionali e le statistiche regionali si può consultare il sito del Sistema Informativo
Nazionale sull’Agricoltura Biologica www.sinab.it
Al sito www.buonalombardia.it si possono trovare molte informazioni sui vini lombardi e le relative aree di produzione. Al suo
interno si trova il sito www.bio.buonalombardia.it, con il dettaglio di mercati ed aziende biologiche della regione, suddivise
per tipologia produttiva e provincia.
50
AIAB CALABRIA
89035 Bova Marina (RC) Via Monte Bianco 22
Tel. +39 0965 764992 - Fax +39 0645 227173
sito www.aiabcalabria.it
email [email protected]
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