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il trasferimento all`estero
CICCOPIEDI STUDIO LEGALE //2012 IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLA SOCIETÀ appunti di DIRITTO COMMERCIALE INTERNAZIONALE La libertà di stabilimento dell’iniziativa economica la libertà di stabilimento nel diritto Italiano la libertà di stabilimento nel diritto dell’Unione Europea la concorrenza tra gli ordinamenti & il forum shopping il trasferimento all’estero della società- Ciccopiedi Studio Legale - INDICE Il parere della giustizia europea Libertà di stabilimento in entrata: sentenza Sergers (1986) Centros (1999) Uberseering (2001) Inspire Art (2003) Sevic (2005) Libertà di stabilimento in uscita: Daily Mail (1988) ICI, Marks & Spencerm Cdbury, Schweppes (1998, 2005, 2006) Cartesio (2008) Vale (2012) Il trasferimento della società all’estero - modalità operative il trasferimento della sede & la trasformazione transnazionale la fusione per incorporazione transfrontaliera la Società Europea Le conseguenze del trasferimento la tutela dei creditori la tutela dei soci di minoranza la tutela dei lavoratori i conflitti di giurisdizione la successione nei rapporti giuridici l’esterovestizione delle società comunitarie profili delittuosi delle frodi realizzate mediante il trasferimento all’estero delle società - le frodi fiscali - la bancarotta 2 / 45 le operazioni elusive ed il vantaggio fiscale exit Tax l’insolvenza della “società trasferita” la disciplina dell’insolvenza nel diritto internazionale il COMI la giurisdizione italiana e il regolamento 1346/200 l’onere di provare il COMI il trasferimento all’estero della società- Ciccopiedi Studio Legale - Profili fiscali del trasferimento all’estero In conclusione Lo Studio Legale Ciccopiedi Riferimenti normativi Bibliografia essenziale 3 / 45 LA LIBERTÀ DI STABILIMENTO DELL’INIZIATIVA ECONOMICA l’attività economica è e deve essere libera, a sancirlo non è solo il buon senso o la prassi commerciale, quanto la disciplina internazionale. l’utilizzo dei veicoli societari più idonei al raggiungimento dello scopo imprenditoriale non può incontrare limiti di sorta. Nel epoca della globalizzazione le imprese che vogliono stare sul mercato devono compete con tutti i mezzi che hanno a disposizione, altrimenti soccombono. Tra gli strumenti della concorrenza quelli più efficaci riguardano il mercato delle regole! accedere al mercato delle regole vuol dire poter scegliere un mercato del lavoro 4 / 45 migliore, un sistema che garantisca la certezza del diritto, tutela della proprietà intellettuale e tasse basse. LA LIBERTÀ DI STABILIMENTO NEL DIRITTO ITALIANO L’Ordinamento Italiano è molto ambiguo e contraddittorio in materia, tuttavia il dell’imprenditore al libero esercizio dell’iniziativa economica è un principio ineluttabile cristallizzato già nella Carta Costituzionale. Art. 41 “l’iniziativa economica privata è libera” residenza nell'Unione Europea la libertà di stabilimento nel territorio della Comunità. I suddetti articoli sono tra le disposizioni fondamentali della Comunità Europea e hanno efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri. Articolo 49 (ex articolo 43) “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro. tale affermazione, dal tono apodittico è costantemente disattesa dal legislatore italiano che a più riprese ha cercato di contenere e di limitare tale libertà, con particolare riguardo al tema in oggetto, con la continua promulgazione di leggi volte ad impedire la libera circolazione delle persone giuridiche, la libera circolazione dei capitali, nonché tentando di estendere all’infinito la propria capacità impositiva e la propria giurisdizione. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.” Tutto ciò in palese contrasto con la continua cessione di sovranità esercitata dai governi nazionali in favore delle organizzazioni internazionali ed in particolare della legislazione europea. “Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. La legge Italiana presuppone come sottostanti alla sua giurisdizione tutte le persone fisiche e giuridiche residenti nel paese, nonchè tutte quelle che abbiano trasferito la propria sede, salvo che non dimostrino l’effettività di tale trasferimento. Tale atteggiamento è stato più e più volte ammonito dalla Giustizia Europea. LA LIBERTÀ DI STABILIMENTO NEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA Gli articoli 43 e 48 del Trattato CE garantiscono alle società aventi la loro Articolo 54 (ex articolo 48) Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro”. Per le società la libertà di stabilimento riconosciuta dal Trattato si esplica nella possibilità di trasformarsi in una società di un altro Stato membro, con soggezione al diritto di quest’ultimo. 5 / 45 L’articolo 43 garantisce la possibilità di trasferimento in uno Stato membro diverso da quello in cui la società è stata costituita. L’articolo 48, invece, equipara ai fini della libertà di stabilimento le persone giuridiche alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. La libertà di stabilimento consente di scegliere fra le leggi societarie degli Stati membri quella ritenuta più idonea per la creazione di una società e per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale sul mercato unico. Le leggi del Trattato si aprono, finalmente, ad una vera concorrenza tra gli ordinamenti. LA CONCORRENZA TRA GLI ORDINAMENTI ED IL FORUM SHOPPING Una disciplina come quella comunitaria è particolarmente vulnerabile verso i fenomeni di così detto Forum Shopping. Il «forum-shopping» è una nozione propria del diritto internazionale privato e disegna la fattispecie di chi intenta un'azione in giudizio scegliendo, l’ordinamenti statale e l'organo giudiziario in funzione della legge che verrà applicata. Colui che intenta un'azione giudiziaria può essere tentato a scegliere un foro, tra le varie giurisdizioni disponibili, non perché sia quello più appropriato per giudicare la controversia, ma perché le norme sul conflitto di leggi che questo tribunale utilizzerà porteranno ad una applicazione della legge a lui più favorevole. Nel nostro caso il titolare della Società potrebbe trasferendola da un ordinamento ad un altro scegliere la disciplina più favorevole al suo caso. Tale situazione è tutt’altro che negativa! non c’è dubbio che l’imprenditore cercherà il sistema di regole tale da consentirgli di essere più competitivo sul mercato e di realizzare più utili. L’ordinamento perfetto però non esiste! i vari sistemi di norme rispondono ognuno a diverse esigenze e cercano di contemperarle mediando, spesso in maniera squilibrata. Non c’è dubbio che un sistema che garantisce una piena efficenza della forza lavoro a costi notevolmente ridotti è un sistema che risponde ottimamente alle esigenze dell’imprenditore, ma molto male all’esigenza di sicurezza sociale di cui necessitano i lavoratori. Un sistema con una blanda disciplina a tutela dei crediti, può andare bene per le aziende che fanno grande uso della leva creditizia, ma sicuramente non è un buon mercato per vendere le proprie merci, di esempi simili potrebbero farsene diversi... Ogni ordinamento infatti dovrà scegliere di privilegiare una determinata categoria di Stakeholder (portatori di interessi) a scapito di altri, per questo la scelta della giurisdizione di stabilimento va fatta con il supporto di consulenti esperti. 6 / 45 IL PARERE DELLA GIUSTIZIA EUROPEA La libertà di stabilimento in entrata : Sergers (1986); Centros (1999); Uberseering (2001); Inspire Art (2003); Sevic (2005) - Libertà di stabilimento in uscita: Daily Mail (1988); ICI, Marks & Spencerm Cdbury, Schweppes (1998, 2005, 2006) - Cartesio (2008)L’ultima pronuncia : Vale(2012) la Corte di giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata più volte sul principio della libertà di stabilimento riconosciuta alle persone giuridiche ed in più occasioni ha voluto rimarcare l’illegittimità dei limiti posti dagli stati membri a tali trasferimenti. Invero la posizione delle corti europee è stata dapprima più tiepida per divenire con il passare degli anni sempre più netta e rigida nel condannare le condotte illegittime degli ordinamenti nazionali. La libertà di stabilimento in entrata nel capitale della società inglese appena costituita il 100 per cento delle azioni della società operativa olandese e di cui era egli stesso amministratore), si era visto rifiutare il trattamento previdenziale da egli richiesto alla assicurazione pubblica olandese contro le malattie poiché quest’ultima aveva ritenuto egli era dipendente e amministratore di una società straniera. La Corte ritenne che tale trattamento riservato al sig. Segers costituisse un ostacolo alla libertà di stabilimento della società inglese (e ciò nonostante la circostanza che la stessa fosse una semplice “scatola vuota”) poiché <la discriminazione del personale sotto il profilo della tutela previdenziale restringe indirettamente la libertà delle società di un altro stato membro di stabilirsi nello stato membro di cui trattasi>. Segers (1986): Per quanto concerne i tentativi degli Stati membri di limitare o ostacolare lo “ingresso” nel proprio ordinamento di società “straniere” viene anzitutto in considerazione il caso Segers del 1986, riguardante una società di diritto inglese operante esclusivamente in Olanda per il tramite di una società controllata (di diritto olandese, essendo costituita in Olanda). La questione giunse all’esame della Corte di giustizia dell’Ue in quanto il sig. Segers (il quale aveva conferito Centros (1999) La seconda sentenza in ordine cronologico in materia di limitazioni ‘in ingresso’ è costituita dalla decisione resa dai giudici di Lussemburgo nel celebre caso Centros, che, proprio in quanto esplicitamente “liberale” in materia di libertà di stabilimento delle società, ha impresso una decisiva accelerazione all’approfondimento e alla piena efficacia di tale libertà. 7 / 45 Nel caso Centros due cittadini danesi, i coniugi Bryde, avevano costituito e registrato in Inghilterra una private limited company, la Centros Ltd, con sede stabilita presso l’abitazione di una loro conoscente in Inghilterra, nominando la sig.ra Bryde quale amministratore unico. La Centros si proponeva di svolgere un’attività di importazione ed esportazione di vini verso e dalla Danimarca, in realtà senza svolgere alcuna concreta attività sul territorio inglese. Per i coniugi Bryde il vantaggio della costituzione della società in Inghilterra era rappresentato dalla circostanza che la disciplina societaria inglese consentiva di non liberare, né versare il capitale sociale (del resto fissato in misura ridottissima) della Ltd, sfuggendo in tal modo alla più rigorosa disciplina danese che all’epoca prevedeva un capitale sociale minimo di 200.000 corone danesi. Costituita la Centros, i coniugi Bryde, che come detto non intendevano far svolgere alla Centros alcuna reale attività commerciale in Inghilterra, avevano istituito una sede secondaria in Danimarca, per svolgere con quest’ultima l’effettiva attività di commercio dei vini, mentre la sede sociale veniva lasciata in Inghilterra. Tu t t av i a , d i f r o n t e a l l a r i ch i e s t a d i registrazione della sede secondaria le competenti autorità amministrative danesi, ritenendo la Centros una pseudo-foreign company (ossia una società fittiziamente straniera), che non esercitava alcuna concreta attività operativa in Inghilterra, e valutando che la costituzione in tale paese era avvenuta al solo scopo di eludere l’applicazione della disciplina danese in materia di capitale sociale, avevano rifiutato l’iscrizione. Sorta la controversia interna, la Corte di giustizia dell’Ue è stata investita della questione se il diniego di registrazione opposto dalle autorità danesi contrastasse con la libertà di stabilimento delle società riconosciuta dal Trattato (all’epoca) CE. Al riguardo la Corte di giustizia dell’Ue ha ritenuto che lo svolgimento effettivo di u n ’ a t t iv i t à e c o n o m i c a n e l p a e s e d i costituzione della società non rappresenti una condizione per l’esercizio della libertà di stabilimento per il tramite di una succursale e che le società sono libere di costituirsi nell’ordinamento da esse ritenuto più favorevole, per poi aprire successivamente filiali o succursali in altri Stati membri, senza che ciò possa essere considerato un abuso del proprio diritto di stabilimento. Per altro verso, pur riconoscendo che gli Stati membri possono adottare misure dirette a impedire che i cittadini si avvalgano abusivamente o fraudolentemente del diritto europeo per sottrarsi a disposizioni imperative, la corte europea ha ribadito che le normative nazionali che limitano o ostacolano l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal trattato europeo devono soddisfare il c.d. ‘test Gebhard’ e, dunque, avere carattere non discriminatorio, essere fondate su ragioni imperative di interesse pubblico, essere idonee rispetto allo scopo perseguito e proporzionate al suo raggiungimento. In altre termini, con la sentenza nel caso Centros i giudici di Lussemburgo hanno legittimato l’utilizzazione delle pseudo-foreign companies da parte dei cittadini europei, quest’ultimi essendo <liberi di costituire una nuova società in qualsiasi Stato membro, indipendentemente dal luogo in cui è collocata la sede amministrativa o l’attività, purchè il paese di costituzione ammetta questa dissociazione tra sede amministrativa e sede statutaria>. Überseering (2001) Nel caso Überseering la Corte di giustizia dell’Ue ha valutato la compatibilità con la libertà di stabilimento dei limiti posti dalla legislazione di uno Stato membro (la Germania) al trasferimento sul proprio territorio della sede amministrativa (così ritenuta sulla base del diritto di detto Stato, ossia dello Stato di destinazione) di una società costituita in un altro Stato membro. Nel caso di specie una società costituita e registrata in Olanda (la Überseering BV) aveva affidato a una società tedesca (la Nordic 8 / 45 Construction Company Baumanagement GmBh, o ‘NCC’) l’appalto per la ristrutturazione di un motel di sua proprietà (in realtà l’unica proprietà della Überseering) sito in Germania. Durante l’esecuzione dell’appalto la totalità delle quote della Überseering veniva acquistata da due cittadini tedeschi, entrambi residenti in Germania. Rilevata la presenza, a suo dire, di alcuni vizi nell’esecuzione dell’appalto, la Überseering conveniva in giudizio la NCC di fronte a un tribunale tedesco per ottenere il risarcimento dei danni. La questione pregiudiziale che giunge all’esame della Corte di giustizia dell’Ue discende dalla circostanza che, in ragione dell’acquisto della totalità del capitale sociale della Überseering da parte di due cittadini tedeschi residenti in Germania, i giudici tedeschi avevano ritenuto che la Überseering avesse trasferito la propria sede amministrativa in Germania e che, di conseguenza, essa avesse perso la propria capacità giuridica e, quindi, la propria capacità processuale alla luce dell’applicabile diritto tedesco. Infatti, seguendo una (all’epoca) costante giurisprudenza della Suprema Corte tedesca (condivisa dalla dottrina dominante), la capacità giuridica della Überseering era stata determinata in base al diritto dello Stato in cui essa aveva stabilito la sua sede amministrativa effettiva, ossia sulla base del diritto tedesco (e non sulla base del diritto del paese di costituzione, ossia l’Olanda). Ebbene, in base al diritto tedesco la Überseering non era costi- tuita secondo una delle forme ritenute ammissibili da detto diritto e non aveva, dunque, capacità giuridica ai sensi dell’ordinamento tedesco; per altro verso, avendo trasferito la propria sede amministrativa effettiva in Germania la Überseering non era considerata dall’ordinamento tedesco neppure quale società di diritto olandese. In definitiva, la Überseering venne ritenuta sostanzialmente come non esistente e, conseguentemente, incapace di agire in giudizio di fronte ai tribunali tedeschi per tutelare i propri diritti nascenti dal contratto di appalto con la NCC. Secondo i giudici tedeschi la Überseering avrebbe potuto riacquistare la propria capacità giuridica e processuale solo attraverso uno scioglimento e (ri)costituzione in ottemperanza ai dettami dell’ordinamento tedesco, poiché in detto ordinamento aveva trasferito la propria sede amministrativa effettiva. Alla Corte di giustizia dell’Ue viene richiesto di valutare la compatibilità con il diritto di stabilimento delle società garantito dal Trattato della determinazione della capacità giuridica e processuale di una società validamente costituita in un altro Stato membro sulla base delle norme dello Stato in cui, a detta dei giudici di quest’ultimo Stato, la società avrebbe trasferito la propria sede amministrativa effettiva. Al riguardo, distinguendo la fattispecie sottoposta alla sua attenzione dai giudici di rinvio tedeschi da quella già esaminata nel caso Daily Mail, la Corte di giustizia dell’Ue non ha palesato dubbi: tutti gli Stati membri dell’Ue devono riconoscere la capacità giuridica e processuale alle società validamente costituite in un altro Stato membro e non possono obbligare tali società a ricostituirsi secondo i termini e le condizioni del proprio diritto. I giudici europei precisano che <non si può escludere che ragioni imperative di interesse generale quali la tutela degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza, dei lavoratori o ancora del fisco possano, in talune circostanze e rispettando talune condizioni, giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento. Tali obiettivi non possono tuttavia giustificare il fatto che venga negata la capacità giuridica e, quindi, la capacità processuale ad una società regolarmente costituita in un altro Stato membro dove ha la sede sociale. Infatti, una tale misura equivale alla negazione stessa della libertà di stabilimento riconosciuta alle società dagli artt. 43 CE e 48 CE>. 9 / 45 Inspire Art (2003) Con la sentenza resa nel caso ‘Inspire Art’ la Corte di giustizia dell’Ue precisa e completa la piena efficacia della libertà di stabilimento di succursali di società costituite in uno degli Stati membri dell’Unione europea in un altro Stato membro. La Inspire Art era una private limited company costituita e registrata in Inghilterra, ma operante nel settore delle vendite di oggetti d’arte esclusivamente in Olanda per il tramite di una succursale appositamente creata ad Amsterdam. Nell’ordinamento olandese, allo scopo di limitare l’utilizzo abusivo di forme societarie straniere per l’esercizio di attività imprenditoriali in realtà integralmente olandesi, nel dicembre 1997 era stata introdotta la legge sulle società formalmente straniere (Wet op de formeel buitenlandse vennootschappen, ‘WFBV’). Sulla base di tale legge alle società di capitali costituite in un ordinamento diverso da quello olandese e svolgenti la propria intera attività (o parte preponderante di essa) in Olanda senza aver alcun legame effettivo con lo Stato di costituzione erano imposti alcuni obblighi (nonostante l’Olanda sia un ordinamento in cui vige la ‘teoria dell’incorporazione’): (i) iscrizione nel registro delle imprese olandese come ‘società solo formalmente straniera’; (ii) un capitale nominale pari almeno a quello minimo previsto dalla legge olandese per le società a responsabilità limitata, anche nel caso in cui la legge del paese di costituzione preveda un capitale inferiore; (iii) peculiari obblighi concernenti la tenuta e la conservazione delle scritture contabili. La legge prevedeva, infine, la responsabilità solidale degli amministratori della società per le obbligazioni sociali nel caso in cui i predetti obblighi non fossero stati rispettati. Impugnato da parte dell’Inspire Art di fronte ai giudici olandesi il provvedimento della camera di commercio olandese con cui quest’ultima pretendeva l’integrazione dell’iscrizione con l’indicazione Formeel buitenlandse vennootschap e la conseguente sottoposizione della Inspire Art alla disciplina speciale, alla Corte di giustizia dell’Ue venne sottoposta la questione della compatibilità della WFBV con la libertà di stabilimento delle società garantita dal Trattato. La Corte di giustizia dell’Ue ha ribadito ed esteso la giurisprudenza Centros ritenendo che <gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una normativa nazionale, come la WFBV, che subordini l’esercizio della libertà di stabilimento a titolo secondario in tale Stato membro, da parte di una società costituita secondo il diritto di un altro Stato membro, a determinate condizioni, relative al capitale minimo e alla responsabilità degli amministratori, stabilite dal diritto nazionale per la costituzione di società. I motivi per cui la società è stata costituita nel primo Stato membro, nonché il fatto che essa eserciti la sua attività esclusivamente, o quasi, nello Stato membro di stabilimento non la privano, salvo abusi da stabilirsi caso per caso, del diritto di avvalersi della libertà di stabilimento garantita dal Trattato>. Gli Stati non possono, dunque, applicare alle società “provenienti” da altri Stati membri dell’Ue proprie regole societarie, <né l’art. 46 CE, né la tutela dei creditori, né la repressione dell’abuso della libertà di stabilimento, né la tutela della lealtà nei rapporti commerciali e dell’efficacia dei controlli fiscali permettono di giustificare l’ostacolo alla libertà di stabilimento, garantita dal Trattato, rappresentato dalle disposizioni di una legislazione nazionale, come quella in esame, sul capitale minimo e sulla responsabilità personale e solidale degli amministratori> nella misura in cui tali motivi non siano stati riconosciuti in grado di superare il ‘test Gebhard’. Sevic (2005) Con la decisione resa nel caso Sevic la Corte di giustizia dell’Ue estende l’ambito di applicazione della libertà di stabilimento 10 / 45 delle società anche alle ipotesi di fusione transfrontaliera che viene riconosciuta legittima modalità di esercizio del diritto di stabilimento, in aggiunta all’apertura di filiali, agenzie o succursali e al trasferimento della sede amministrativa. Nel corso del 2002 la Sevic System AG, società costituita in Germania, aveva incorporato la società Sevic Vision Concept S.A., costituita nell’ordinamento lussemburghese, ma il giudice del registro delle imprese tedesco (seguendo l’opinione dominante presso la dottrina tedesca 23) aveva rifiutato l’iscrizione dell’atto di fusione, in forza dell’art. 1 della legge tedesca sulle trasformazioni (Umwandlungsgesetz – UmwG, che disciplina anche la fusione delle società) che veniva interpretato nel senso di ammettere unicamente le fusioni c.d. ‘interne’, ossia fra società aventi tutte la sede in Germania, vietando sia le fusioni transfrontaliere “in arrivo” (ossia quando la società incorporante è quella avente sede in Germania), sia quelle “in uscita” (ossia quando la società incorporante ha sede non in Germania). Investita della questione della compatibilità con la libertà di stabilimento delle società del provvedimento di rifiuto all’iscrizione dell’atto di fusione, la Corte di giustizia dell’Ue ha anzitutto affermato che <rientrano nell’ambito di applicazione del diritto di stabilimento tutte quelle misure che permettono o anche solo facilitano l’accesso ad un altro Stato membro e/o lo svolgimento di attività economiche in tale Stato, consentendo ai soggetti interessati di poter partecipare effettivamente e alle stesse condizioni degli operatori nazionali alla vita economica del paese. Le operazioni di fusione transfrontaliere, al pari delle altre operazioni di trasformazione di società, rispondono alle esigenze di cooperazione e di raggruppamento di società stabilite in Stati membri differenti. Esse costituiscono modalità particolari di esercizio della libertà di stabilimento, importanti per il buon funzionamento del mercato interno, e rientrano pertanto tra le attività economiche per le quali gli Stati membri sono tenuti al rispetto della libertà di stabilimento di cui all’art. 43 CE>. Sulla base di tale premessa, poiché la legge tedesca regolamenta in modo diseguale le operazioni di fusione a seconda che riguardino solo società nazionali (con sede in Germania) ovvero una società nazionale e una società considerata estera (in quanto non avente sede in Germania), con ciò creando una disparità di trattamento di società a seconda della natura interna o transfrontaliera della fusione, la Corte di giustizia dell’Ue ha ritenuto che la predetta <disparità di trattamento costituisce una restrizione ai sensi degli artt. 43 CE e 48 CE, la quale osta alla libertà di stabilimento>. Né la limitazione dell’ammissibilità delle fusioni solo fra società aventi tutte sede in Germania è stata ritenuta in grado di superare il vaglio del ‘test Gebhard’, in particolare affermandosi che il generale diniego, in uno Stato membro, dell’iscrizione nel registro delle imprese di una fusione tra una società stabilita in tale Stato ed una avente sede in uno Stato membro diverso finisce con l’impedire la realizzazione di fusioni transfrontaliere anche quando si tratta delle consuete ragioni imperative d’interesse generale quali la tutela degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei lavoratori. Merita di essere segnalato che la sentenza, contrariamente a quanto espresso dall’Avvocato generale Tizzano (il quale si era espresso nel senso dell’equiparazione dei limiti “in uscita” e di quelli “in arrivo”, con un’ampia riflessione ricomprendente sia le fusioni trasfrontaliere, sia i trasferimenti di sede), nulla afferma su eventuali limitazioni alle fusioni “in uscita”, prendendo posizione solo sulle fusioni transfrontaliere “in entrata”. 11 / 45 La libertà di stabilimento in uscita Daily Mail (1988) La sentenza della Corte di giustizia dell’Ue nel caso Daily Mail viene considerata il leading case per ciò che concerne le limitazioni “in uscita” della libertà di stabilimento. Nel 1984 la società editrice del celebre quotidiano ‘Daily Mail’, valida- mente costituita e avente sede legale in Inghilterra, si propose di trasferire la propria sede amministrativa (coincidente con la residenza fiscale) in Olanda; ciò al fine di poter beneficiare di un più favorevole trattamento fi- scale rispetto ad alcune operazioni su titoli (anche propri) che essa aveva intenzione di porre in essere. Tuttavia, ai sensi della legislazione fiscale in- glese, il trasferimento della sede amministrativa delle società era subordi- nato all’autorizzazione del Ministero del Tesoro, poiché il contestuale spostamento della sede ai fini impositivi avrebbe determinato (come vo- luto dalla Daily Mail) il venir meno dell’assoggettamento al prelievo fiscale. A fronte del diniego dell’autorizzazione e alla conseguente controversia di fronte alle corti inglesi, giungeva di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue la questione se la disciplina e il trattamento riservato alla Daily Mail fossero contrastanti con il diritto di stabilimento “in uscita”. I giudici europei, accogliendo le istanze del governo britannico, hanno ritenuto che dall’interpretazione delle norme del Trattato non potesse evincersi l’attribuzione alle società costituite in uno degli Stati membri del diritto a trasferire la sede dell’amministrazione in un altro Stato membro nel contempo conservando la qualità di società nello Stato secondo la cui legislazione sono state costituite. Elemento centrale della decisione si ri- velarono essere le considerazioni secondo cui <diversamente dalle per- sone fisiche, le società sono enti creati da un ordinamento giuridico e, allo stato attuale del diritto comunitario, da un ordinamento giuridico nazionale. Esse esistono solo in forza delle diverse legislazioni nazionali che ne disciplinano costituzione e funzionamento> (punto 19) e che <secondo il Trattato, la diversità delle legislazioni nazionali sul criterio di collegamento previsto per le loro società nonché sulla facoltà, ed eventualmente le modalità, di un trasferimento della sede, legale o reale, di una società di diritto nazionale da uno Stato membro all’altro costituisce un problema la cui soluzione non si trova nelle norme sul diritto di stabilimento, dovendo invece essere affidata ad iniziative legislative o pattizie, tuttavia non ancora realizzatesi>. Sicchè, in difetto di regolamentazione europea in materia di trasferimento della sede, i giudici europei hanno riconosciuto che la regolamentazione dello spostamento della sede di una società da uno Stato membro ad un altro rimane di competenza degli ordinamenti nazionali e, in assenza di convenzioni di armonizzazione sul trasferimento della sede, i singoli ordinamenti nazionali sono liberi di stabilirne modalità, limiti e procedure. In altre parole, con la sentenza Daily Mail la Corte di giustizia dell’Ue ha riconosciuto il potere dello Stato di “origine”, ossia dello Stato che ri- tiene una determinata società quale esistente ai sensi e per gli effetti del proprio diritto e che pretende di disciplinarla, di porre condizioni ovvero finanche impedimenti al trasferimento della sede (sociale e/o amministra- tiva) di tale società, senza che questi impedimenti vengano considerati quali limitazioni al diritto di stabilimento26. ICI, Marks & Spencer, Cadbury Schweppes (1998, 2005, 2006) Fra le decisioni della Corte di giustizia dell’Ue concernenti limitazioni “in uscita” per le società vanno segnalate alcune pronunce relative alla disciplina inglese sulla tassazione dei gruppi di società ed aventi ad oggetto ostacoli “in uscita” di natura fiscale, ossia 12 / 45 limiti fiscali posti dai singoli ordinamenti nazionali all’esercizio del diritto di stabilimento delle proprie società in un altro Stato membro. Nel caso Imperial Chimical Industries (‘ICI’) del 1998 i giudici europei hanno ritenuto che rappresentasse una restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento il rifiuto da parte dell’amministrazione fiscale britannica di concedere a una società holding costituita in Inghilterra (l’ICI) una sgravio fiscale previsto dalla legge inglese in favore delle società holding per le perdite commerciali subite da società del gruppo. Il diniego dello sgravio fiscale – che indubbiamente limitava l’esercizio della libertà di stabilimento dell’ICI relativamente alla costituzione all’estero di società controllate, disincentivandone l’“uscita” - era fondato sulla circostanza che <la maggior parte delle sue controllate, ossia 19 su 23, non sono società commerciali stabilite nel Regno Unito e che la sua attività principale non è pertanto quella a cui si annette tale qualità>. Merita di essere ricordato che nel caso di specie la Corte richiamò il proprio precedente rappresentato dalla sentenza Daily Mail, affermando che <sebbene, cosi come formulate, le norme relative alla libertà di stabilimento mirino in special modo ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione e corrispondente alla definizione dell’art. 58 del Trattato (sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust [...])>. Nel caso Marks & Spencer del 2005 l’amministrazione fiscale inglese aveva rifiutato alla società controllante costituita in Inghilterra di poter usufruire di uno sgravio fiscale di gruppo previsto dall’Income and corporation tax act 1998 in quanto tale legge consentiva di dedurre le perdite solo delle società controllate costituite nel Regno Unito, non di quelle costituite all’estero. Anche in tal caso la Corte di giustizia dell’Ue ha ritenuto che un diverso trattamento fiscale delle società controllate costituite nello Stato e di quelle costituite in altri Stati membri sia di ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento della società controllante, che sarebbe disincentivata dal costituire controllate in altri Stati membri. Nel 2006, infine, nel caso Cadbury & Schweppes la Corte di giustizia dell’Ue si è trovata ad esaminare la compatibilità con la libertà di stabilimento del diniego frapposto dall’amministrazione fiscale britannica a una società holding costituita in Inghilterra rispetto alla richiesta di quest’ultima di beneficiare del credito d’imposta previsto dalla legge per le tasse pagate da due proprie controllate costituite in Irlanda al fine di beneficiare di un livello di tassazione inferiore. Dopo aver riaffermato che la costituzione di una società in un altro Stato membro allo scopo di beneficiare di una disciplina più favorevole non rappresenta un abuso della libertà di stabilimento, i giudici europei hanno dichiarato che il trattamento posto in essere dall’amministrazione fiscale inglese costituiva una restrizione ingiustificata della libertà di stabilimento della società controllante, precisando che <le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento vietano parimenti che lo Stato d’origine intralci lo stabilimento in un altro stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione>. Cartesio (2008) Una delle pronunce più significative della Corte di giustizia dell’Ue in materia di diritto di stabilimento delle società ha riguardato una società ungherese, la Cartesio, che ha visto limitato il proprio diritto di stabilimento “in uscita”. Costituita e con sede in Ungheria, nel 2005 la Cartesio aveva presentato al competente registro delle imprese domanda di modifica 13 / 45 dell’iscrizione, chiedendo di trasferire la sua sede in Italia, senza tuttavia richiedere la cancellazione dal registro ungherese e senza intenzione di riscriversi nel registro italiano (così divenendo una società “italiana”). Pur volendo trasferire in Italia la sede la Cartesio intendeva, dunque, rimanere una società ungherese iscritta nel registro del proprio paese di costituzione. Sotto il profilo della disciplina ungherese all’epoca applicabile va osservato che la legge ungherese sulla registrazione delle società disponeva che la sede sociale statutaria dovesse coincidere con la sede amministrativa, mentre sotto il profilo internazionalprivatistico l’ordinamento ungherese prevedeva che la legge regolatrice delle persone giuridiche fosse la legge del luogo in cui queste sono registrate. Il giudice del registro delle imprese ungherese rigettò la richiesta di trasferimento della sede della Cartesio, affermando che il diritto ungherese non consentiva alle società costituite in Ungheria di spostare all’estero la sede (statutaria e amministrativa) nel contempo continuando ad essere assoggettate alla legge ungherese (considerato che, come detto, la Cartesio non intendeva cancellarsi dal registro delle imprese ungherese). Secondo il giudice del registro delle imprese ungherese il trasferimento di sede della Cartesio avrebbe richiesto la previa cessazione della società, la sua liquidazione ed estinzione e la ricostituzione in conformità della legislazione dello Stato nel cui territorio aveva intenzione di stabilire la propria sede. Investita della questione della compatibilità con il diritto di stabilimento assicurato dal Trattato della disciplina ungherese che vieta alle società registrate in Ungheria di trasferire in altro Stato membro dell’UE la propria sede qualora tali società non intendano mutare il proprio statuto personale, la Corte di Giustizia ha confermato la propria giurisprudenza contenuta nella decisione Daily Mail, non accogliendo l’opinione dell’Avvocato Generale che espressamente ne aveva chiesto il superamento. I giudici europei hanno ribadito che le società esistono solo in forza delle scelte degli ordinamenti nazionali e che gli ordinamenti degli Stati membri divergono fortemente per quanto concerne le norme di conflitto in materia societaria, sicchè uno Stato membro <dispone pertanto della facoltà di definire sia il criterio di collegamento richiesto a una società affinché essa possa ritenersi costituita ai sensi del suo diritto nazionale e, a tale titolo, possa beneficiare del diritto di stabilimento, sia quello necessario per continuare a mantenere detto status. Tale facoltà include la possibilità, per lo Stato membro in parola, di non consentire a una società soggetta al suo diritto nazionale di conservare tale status qualora intenda riorganizzarsi in un altro Stato membro trasferendo la sede nel territorio di quest’ultimo, sopprimendo in questo modo il collegamento previsto dal diritto nazionale dello Stato membro di costituzione>. Per altro verso, sia pure incidentalmente, la Corte di giustizia dell’Ue differenzia il caso specifico sottoposto al suo esame (limiti al trasferimento all’estero della sede senza mutare legge applicabile, da essa ritenuti compatibili con il diritto di stabilimento), dall’ipotesi in cui la società non intenda solo trasferire la sede, ma mutare la propria lex societatis, “trasformandosi” in un tipo sociale soggetto alla disciplina societaria di un altro Stato membro. In questa ipotesi <la facoltà, richiamata al punto 110 della presente sentenza, lungi dall’implicare una qualsiasi immunità della legislazione nazionale in materia di costituzione e di scioglimento delle società rispetto alle norme del Trattato CE relative alla libertà di stabilimento, non può segnatamente giustificare che lo Stato membro di costituzione, imponendo lo scioglimento e la liquidazione di tale società, impedisca a quest’ultima di trasformarsi in una società di diritto nazionale dell’altro Stato membro nei limiti in cui detto diritto lo consenta>, la Corte sostenendo ulteriormente 14 / 45 che <Un siffatto ostacolo all’effettiva trasformazione di una società di questo tipo, senza previo sciogli- mento e previa liquidazione, in una società costituita a norma della legge nazionale dello Stato membro in cui intende trasferirsi costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento della società interessata che, a meno che non sia giustificata da ragioni imperative di interesse pubblico, è vietata in forza dell’art. 43 CE (v. in tal senso, in particolare, sentenza CaixaBank France, cit., punti 11 e 17) > . A ben vedere la sentenza Cartesio è dirimente in ambito di trasformazioni transfrontaliere. L’ULTIMA PRONUNCIA VALE (2012) Con sentenza del 12 luglio 2012, la Corte di Giustizia dell’UE ha analizzato una controversia in materia di trasformazione transfrontaliera di una società di diritto italiano in società di diritto ungherese. La VALE Costruzioni Srl (una società a responsabilità limitata di diritto italiano; in prosieguo: «VALE Costruzioni») il 3 febbraio 2006 chiesto di essere cancellata dal Registro delle imprese Italiano segnalando che intendeva trasferire la propria sede sociale e la propria attività in Ungheria, cessando l’attività in Italia. Conformemente a tale domanda, l’autorità incaricata della tenuta del registro a Roma ha proceduto alla cancellazione di tale società il 13 febbraio 2006. Dato che la società costituita originariamente in Italia, secondo il diritto italiano, aveva deciso di trasferire la propria sede sociale in Ungheria e di operarvi secondo il diritto ungherese, il direttore della VALE Costruzioni e un’altra persona fisica hanno approvato a Roma, il 14 novembre 2006, lo statuto della VALE Építési kft (una società a responsabilità limitata di diritto ungherese; in prosieguo: la «VALE Építési»), ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese in Ungheria. Inoltre, il capitale è stato versato nella misura richiesta, secondo la legge ungherese, per la registrazione. Il 19 gennaio 2007, il rappresentante della VALE Építési ha presentato una domanda presso il Fővárosi Bíróság (Corte di Budapest), in veste di cégbíróság (tribunale commerciale), al fine di registrare la società secondo il diritto ungherese. Nella domanda egli indicava la VALE Costruzioni quale dante causa della VALE Építési. Il Fővárosi Bíróság, agendo in qualità di tribunale commerciale in primo grado, ha respinto la domanda di registrazione. In secondo grado, il Fővárosi ítélő t ábla (Corte d’appello regionale di Budapest), adito dalla VALE Építési, ha confermato tale ordinanza di rigetto. Ai sensi della normativa ungherese applicabile alle società, una società costituita e registrata in Italia non può trasferire la sua sede sociale in Ungheria e non può farsi registrare in tale paese nella forma richiesta. Secondo tale giudice, ai sensi delle disposizioni di diritto ungherese vigenti, nel registro delle imprese possono figurare soltanto i dati elencati agli articoli 24‐29 della legge V del 2006 e, di conseguenza, non è possibile indicare quale dante causa una società che non sia ungherese. La Corte Europea investita della questione ha adottato il provvedimento più chiaro, della sua, seppur breve, storia in materia di libertà di stabilimento statuendo che: 1) Gli articoli 49 TFUE e 54 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, pur prevedendo per le società di diritto interno la facoltà di trasformarsi, non consente, in generale, la trasformazione di una società disciplinata dal diritto di un altro Stato membro in società di diritto nazionale mediante la costituzione di quest’ultima. 2) Gli articoli 49 TFUE e 54 TFUE devono essere interpretati, nel contesto di una trasformazione transfrontaliera di una 15 / 45 società, nel senso che lo Stato membro ospitante è legittimato a determinare il diritto interno relativo a un’operazione di questo tipo e ad applicare quindi le disposizioni del proprio diritto nazionale relative alle trasformazioni interne che disciplinano la costituzione e il funzionamento di una società, come le regole concernenti la preparazione del bilancio e dell’inventario del patrimonio. Tuttavia, i principi di equivalenza e di effettività ostano, rispettivamente, a che lo Stato membro ospitante: – rifiuti di tenere debitamente conto dei documenti che promanano dalle autorità dello Stato membro d’origine nel corso del procedimento di registrazione della società. Con questa sentenza di estrema chiarezza la corte ha inteso rimuovere ogni dubbio circa la legittimità delle trasformazioni Transfrontaliere, ma non solo, è andata ben oltre configurando (legalizzando) una vera e propria modalità operativa per le società che intendano procedere a tale operazione. – r i fi u t i , p e r l e t r a s f o r m a z i o n i transfrontaliere, di ammettere la menzione della società che ha chiesto la trasformazione in quanto «dante causa», se tale menzione della società dante causa nel registro delle imprese è prevista per le trasformazioni interne, e 16 / 45 Ciccopiedi Studio Legale IL TRASFERIMENTO DELLA SOCIETÀ ALL’ESTERO, MODALITÀ OPERATIVE il trasferimento della sede all’estero & la trasformazione transnazionale - la fusione per incorporazione transfrontaliera - la Società Europea IL TRASFERIMENTO DELLA SEDE & LA TRASFORMAZIONE INTERNAZIONALE La società può abbandonare la giuridizione italiana in favore di quella straniera mediante il semplice spostamento della residenza, nello Stato di destinazione. Questa procedura apparentemente semplice pone delle problematiche insidiose e giuridicamente molto antiche. Nella pratica si procede mediante modifica dello statuto e deliberando lo spostamento della sede con conseguente modificazione dello status giuridico. Si discute infatti tra i sistemi giuridici della possibilità per una società costituita secondo la legge di uno Stato di cambiare la sua giurisdizione in continuità con la sua precedente identità. Sono invero diversi gli Stati che riconoscono tale facoltà, tra i più importanti ci sono la Spagna, la Romania e probabilmente la Bulgaria e la Polonia, oltre che l’Italia. A questo punto la modifica deve essere registrata sia presso il Registro delle Imprese Italiano, sia presso il Registro dello Stato di destinazione. Altri stati invece in difformità da tale sede sostengono che una Società per trasferirsi debba sciogliersi e ricostituirsi nella nuova forma, nel nuovo Stato. La società viene cancellata dal registro italiano con l’iscrizione nel nuovo Stato. Una soluzione pratica e spesso messa in uso è quella di trasformare la società mediante costituzione di una società nel paese di destinazione e registrandola quale avente causa della società trasferita, procedendo poi alla cancellazione di quest’ultima dai registri nazionali. 17 / 45 Ciccopiedi Studio Legale A tal riguardo la sentenza “Vale” pare essere dirimente, pur tuttavia bisognerà ancora attendere che anche i Registri delle Imprese dei sitemi meno permeabili al diritto comunitario si adeguino alle pronunce dei giudici del Lussemburgo. LA FUSIONE PER INCORPORAZIONE La fusione per incorporazione è quel processo mediante il quale una società target viene assorbita con tutto il suo patrimonio all’interno di un’altra società fagocitante. Mediante la fusione per incorporazione si può m o d i fi c a r e l a g i u r i s d i z i o n e d i u n a s o c i e t à , preservandone la continuità dei rapporti giuridici, senza quindi procedere alla liquidazione. Operativamente: costituiremo la Società incorporante nello Stato di destinazione, tale società incorporerà in se la nostra società italiana. Al termine della Fusione la società italiana non esisterà più ed il suo patrimonio (insieme dei rapporti attivi e passivi) sarà completamente trasferito in quello della società estera incorporante. LA SOCIETÀ’ EUROPEA La SE è una particolare forma di società per azioni disciplinata dal diritto comunitario. Essa si caratterizza per il fatto che ha una disciplina di base comune per tutti gli stati membri dell’Unione. Con l’istituzione della SE gli Stati membri dispongono ora di un organismo societario comune, che consente alle società ivi residenti ed appartenenti a diversi Stati di fondersi, di formare una holding o una filiale comune, senza dover sottostare ai vincoli giuridici derivanti dall’applicazione dei differenti ordinamenti, in quanto il relativo regolamento comunitario risulta direttamente applicabile in ogni Stato. Ricordiamo brevemente che il regolamento prevede quattro modi di costituzione di una SE: 18 / 45 - scambio di partecipazioni : con costituzione di una SE holding. Da un punto di vista tecnico, l’operazione si realizza con il conferimento delle partecipazioni delle società promotrici nella costituenda SE, che diventa così controllante delle società fondatrici; - costituzione di un’affiliata comune: l’ipotesi, che è regolata tramite rinvio alle disposizioni interne dei singoli Stati, e si sostanzia in un conferimento delle società residenti promotrici a favore della costituenda SE; - trasformazione in SE di una società per azioni di diritto nazionale, che abbia da almeno due anni un’affiliata soggetta alla legge di un altro Stato membro. Ed è proprio la trasformazione in SE di una società azionaria, cui far seguire il trasferimento di sede all’interno dell’UE, che costituisce una modalità con cui realizzare il trasferimento della sede sociale in ambito comunitario, senza alcuna problematica civilistica ed in regime di neutralità fiscale . La possibilità di trasferire la sede sociale di una SE in uno altro Stato membro senza che questo comporti lo scioglimento della società, è esplicitamente previsto nell’art. 8 del Regolamento (CE) n. 2157/2001. È dettata una particolare procedura che prevede tra l’altro: l’elaborazione da parte dell’organo di direzione o di amministrazione di un progetto di trasferimento, la redazione di una relazione esplicativa, l’assunzione della decisione di trasferimento solo dopo il decorso di due mesi dalla pubblicazione del progetto, forme di tutela per i creditori sociali, nonché l’attestazione da parte dalle autorità competenti nello Stato membro della sede sociale della SE, dell’espletamento di tutte le formalità preliminari al trasferimento. Ciccopiedi Studio Legale - fusione - propria o per incorporazione : società per azioni, di cui almeno due devono esse- re soggette alla legge di Stati membri diversi; Così la norma, pur con la sua rigida disciplina, rappresenta la prima forma comunitaria “legalmente vincolante” sul trasferimento di sede di una società all’interno del territorio della Comunità. La SE è quindi attualmente l’unica forma societaria europea in grado di trasferire la sua sede sociale senza che questo comporti lo scioglimento o la costituzione di una nuova persona giuridica; questa è stata considerata una delle principali innovazioni ed uno dei maggiori punti di forza di questa figura giuridica societaria. Occorre evidenziare che al trasferimento di sede della SE deve necessariamente corrispondere anche il trasferimento della sua amministrazione centrale, in quanto l’art. 7 del regolamento prevede che: “La sede sociale della SE deve essere situata all’interno della Comunità, nello stesso Stato membro dell’amministrazione centrale ...”. Eventuali violazioni sulla necessaria coincidenza tra sede statutaria e sede “reale”, sono severamente sanzionate potendo comportare anche la liquidazione della società. Peraltro segnaliamo come l’utilizzo dell’espressione “amministrazione centrale”, potrebbe essere causa di problemi interpretativi, con conseguenti possibili conflitti tra i vari ordinamenti. 19 / 45 LE CONSEGUENZE DEL TRASFERIMENTO la successione nei rapporti giuridici - la tutela dei lavoratori - la tutela dei soci di minoranza - la tutela dei creditori - i conflitti di giurisdizione - l’esterovestizione delle società comunitarie - profili delittuosi delle frodi realizzate mediante il trasferimento all’estero delle società. Mauris faucibus nisi ut lacus bibendum vehicula. Morbi adipiscing, mauris sed congue elementum, nunc arcu rutrum ante, ac tristique eros mi et orci. Quisque eget leo risus, vel aliquam est. Donec urna lorem, feugiat sit amet hendrerit vitae, faucibus at diam. 20 / 45 La tutela dei creditori Il Trasferimento all’estero che muti la lex societatis ha senza dubbio un riflesso importante nei rapporti venutisi a creare nella situazione precedente. E’ quindi importante capire se, ed in che modo, l’ordinamento italiano predisponga dei meccanismi per tutelare i creditori sociali contro il mutamento della lex societatis della società debitrice. Nell’ordinamento italiano le regole del diritto societario disciplinano anche i problemi d’agenzia tra soci e creditori, motivo per cui il mutamento di lex societatis rappresenta un mutamento delle rispettive regole contrattuali implicite. Il trasferimento, quindi, potrebbe essere opportunisticamente finalizzato a danneggiare i creditori, i quali avevano contrattato con la società basandosi sul presupposto che questa “appartenesse” a un determinato ordinamento, adeguandosi e tutelandosi nell’ambito di un sistema predefinito di norme positive che tutte d’un tratto verranno arbitrariamente mutate. Dobbiamo chiederci, quindi, se vi siano i presupposti per estendere in via analogica alle “trasformazioni internazionali” meccanismi di tutela dei creditori previsti in altri istituti o fattispecie. Di certo, il processo di trasformazione con cui una società italiana muta l’ordinamento di riferimento, allo stato attuale, non viene disciplinato in alcun modo. Il procedimento potrebbe astrattamente funzionare anche senza una tutela specifica dei creditori, ma questo potrebbe far sorgere disparità di trattamento rispetto a operazioni analoghe. Infatti, l’ordinamento italiano conosce alcuni casi in cui una società, originariamente regolata dalle norme italiane, muta ordinamento di appartenenza o, comunque, la legge applicabile; si tratta delle fusioni transfrontaliere in società di altri Stati membri della UE e del trasferimento all'estero della sede legale di una SE italiana. L’operazione che, a prima vista, evidenzia le maggiori analogie con la “trasformazione internazionale” é il trasferimento all'estero della sede sociale di una SE italiana. La ragione é che col trasferimento della sede muta la legge applicabile in via sussidiaria, la quale, vista la lacunosità del Regolamento SE, disciplina quasi tutte le materie societarie e, dal punto di vista dei creditori, equivale ad un mutamento della lex societatis. Come si ricorderà, il Regolamento SE (così come il Regolamento sulla SCE) rimette agli Stati membri il compito di determinare i meccanismi di protezione dei creditori, meccanismi che devono riguardare necessariamente i creditori antecedenti all’iscrizione del progetto di trasferimento di sede e che gli Stati membri possono estendere ai crediti sorti sino all’attuazione del trasferimento. Il legislatore italiano, però, non ha adottato una legge ad hoc di attuazione né del Regolamento SE né del Regolamento sulla Società Cooperativa Europea, cosicché, anche riguardo al trasferimento di sede di SE (e di SCE) si pone lo stesso problema, sollevato dalle “trasformazioni internazionali”, di applicare le forme di tutela previste per i creditori in operazioni analoghe. Restano in campo due sole alternative: (a) la disciplina sulle trasformazioni domestiche; (b) la disciplina sulle fusioni transfrontaliere. Il rischio che corrono i creditori in tutte le ipotesi in cui la società debitrice muti l'ordinamento d’appartenenza é rappresentato dal mutamento in sé della legge applicabile, la quale potrebbe essere meno protettiva per le ragioni del credito. Il pericolo che corrono i creditori qualora il loro debitore muti ordinamento presenta forti analogie con i rischi creati dalle trasformazioni domestiche, le quali cambiano il set di regole che disciplinano i problemi d’agenzia tra soci e creditori. Si potrebbe concludere che la disciplina sulle trasformazioni domestiche rappresenti il termine di paragone per le ipotesi di mutamento di legge al fine di individuare i meccanismi di tutela dei creditori. Nel nostro ordinamento i creditori di società che deliberano una trasformazione domestica vengono protetti quando una società di persone si trasforma in società di capitali, nel qual caso i creditori possono continuare a fare affidamento sulla responsabilità personale illimitata dei soci a meno che non acconsentano alla loro liberazione, e nelle trasformazioni “eterogenee”, in cui i creditori hanno diritto di opposizione secondo la disciplina della riduzione del capitale. In tutti gli altri casi i creditori non hanno strumenti di tutela particolari e non godono del diritto di opposizione, nonostante la trasformazione potrebbe cambiare le regole sui problemi d’agenzia tra essi e i soci in senso peggiorativo. Se ritenessimo che la disciplina sulle trasformazioni domestiche sia il termine di paragone per tutte le ipotesi 21 / 45 di mutamento della legge applicabile, dovremmo concludere che i creditori di SE italiane che trasferiscono all’estero la sede sociale e i creditori di società di capitali italiane che decidono di mutare statuto personale non godano di alcuna protezione particolare, a meno che la società italiana non effettui anche una mutazione di “genere” divenendo un ente non commerciale, ad esempio una fondazione o un’associazione di diritto straniero, nel qual caso dovremmo applicare il diritto d'opposizione previsto per le trasformazioni eterogenee domestiche. Singolarmente, però, farebbe eccezione la fusione transfrontaliera, perché il decreto sulle fusioni transfrontaliere espressamente estende a quest’operazione il diritto di opposizione dei creditori previsto per le fusioni domestiche. Questa singolare asimmetria impone di sottoporre ad un’indagine accurata l’ipotesi di estendere i meccanismi di tutela dei creditori dettati per le trasformazioni domestiche. La fusione transfrontaliera può condurre al risultato pratico di mutare l'ordinamento di appartenenza delle società che vi prendono parte motivo per cui è quest’operazione quella che presenterebbe più analogie con la “trasformazione internazionale”. La disciplina della fusioni transfrontaliere prevede che, per quanto non espressamente previsto dal decreto, alle società italiane che partecipano all’operazione si applichino le norme italiane sulla fusione e anche il meccanismo di opposizione dei creditori previsto in tale sede. Il diritto di opposizione dei creditori delle fusioni domestiche, quindi, poiché viene applicato anche nelle fusioni transfrontaliere, sembra godere di una significativa capacità “espansiva”, cosicché e necessario valutare se applicarlo, in via diretta o analogica, anche al trasferimento della sede di SE e alle “trasformazioni internazionali”. La fusione transfrontaliera si differenzia dalle fusioni domestiche, perché lo specifico rischio addossato ai creditori non é che la società debitrice si fonda con una società meno patrimonializzata o indebitata, bensì che la società debitrice cambi l’ordinamento di appartenenza in termini potenzialmente meno vantaggiosi o protettivi per i creditori. Il rischio dei creditori, quindi, non e di natura patrimoniale e aziendale ma dipende dal mutamento di lex societatis, ossia delle regole societarie e dei limiti all’autonomia privata nei due ordinamenti. Sotto questo profilo, dobbiamo tenere presente che il Decreto Fusioni Transfrontaliere non distingue i mezzi di tutela dei creditori a seconda che la società postfusione sia 0 meno italiana e, quindi, a seconda che la società debitrice muti o meno la legge applicabile. Il diritto d’opposizione dei Creditori previsto per le fusioni domestiche si applica anche all’ipotesi in cui una società italiana incorpori una società estera,nel qual caso i creditori dell’incorporante corrono semplicemente il “rischio tipico” delle fusioni (rischio di carattere patrimoniale e aziendale, come abbiamo visto), non il “rischio specifico” derivante dal mutamento della lex societatis. In altri termini, il legislatore italiano non ha predisposto alcuno strumento a protezione dei creditori rivolto esclusivamente al mutamento di lex societatis, bensì solo lo strumento di tutela generale dei creditori in caso di fusione. Questo escursus per comprendere quali ragionamenti un legislatore saggio dovrebbe porre a tutela dei creditori in una trasformazione internazionale, tuttavia nel nostro caso, tanto la disciplina prevista in via 22 / 45 generale per le SE, sia quelle per le fusioni transfrontaliere appaiono inapplicabili. Le fattispecie di cui discutiamo sono profondamente diverse, le cui uniche somiglianze risiedono nel risultato finale, ma con una profonda diversità di procedure. Tanto più che, in una situazione di normalità, l’eventuale tutela delle obbligazioni contratte sotto l’egida del diritto italiano, rimangono di competenza dello stesso. La differenza sostanziale potrebbe risiedere nelle eventuali procedure di insolvenza, tuttavia il regolamento sull’insolvenza transfrontaliera, di cui parleremo prossimamente, chiarisce molti dubbi. La tutela dei soci di minoranza I meccanismi di tutela dei soci di minoranza nei Confronti del mutamento di statuto personale sono previsti dal codice civile. Anzitutto occorre precisare che la decisione con cui una società decide di trasferire all’estero la propria sede sociale deve essere assunta con le maggioranze rafforzate previste dal codice stesso per le modifiche statutarie. In secondo luogo i soci non consenzienti con la delibera hanno diritto di recedere dalla società. Si tratta, però, di strumenti di tutela del socio che non si rivolgono esclusivamente ed espressamente alle “trasformazioni internazionali”, bensì al trasferimento della sede sociale all’estero, che rappresenta un presupposto necessario ma non sufficiente del mutamento di lex societatis, tanto che — almeno secondo una prassi applicativa — le società italiane potrebbero trasferire all'estero la sede senza necessariamente mutare l’ordinamento d’origine, come abbiamo visto in precedenza . Il diritto di recesso, quindi, sorge in seguito all’iscrizione nel registro delle imprese della delibera assembleare che trasferisce la sede all’estero, nonostante questa delibera non produca da sola il mutamento di lex societatis, poiché a tal fine concorrono le scelte del paese d’arrivo e il rispetto delle sue regole sostanziali e procedurali. Ma, come abbiamo visto, la delibera di trasferimento della sede sociale può produrre effetti ulteriori rispetto al mutamento di lex societatis, quali l’obbligo di tenere le riunioni assembleari e di depositare i documenti preparatori presso la nuova sede all’estero, anche qualora la società resti italiana. Pertanto, il recesso potrebbe svolgere la funzione di proteggere il socio da situazioni in cui risulti difficile esercitare materialmente i propri diritti, anche se probabilmente questa ragione non é sufficiente a giustificare una simile misura. In definitiva, sarebbe opportuno che il legislatore precisasse questo aspetto, garantendo il diritto di recesso solo in caso di “trasformazione internazionale” ed escludendolo in tutte le ipotesi in cui il trasferimento di sede non determini un mutamento di lex societatis. Riguardo al trasferimento all’estero della sede sociale di una SE italiana, dobbiamo ricordare come l'Italia, a differenza di tutti gli altri Stati membri, non abbia introdotto una legge ad hoc per attuare il Regolamento SE. Pertanto dobbiamo chiederci se gli azionisti assenti, dissenzienti o astenuti di una SE che trasferisca la sede sociale all’estero possano recedere dalla società, in analogia con una delle possibili cause di recesso previste per le s.p.a., quali il trasferimento della sede sociale all'estero o la trasformazione eterogenea. A noi pare fondata quest’ultima ipotesi visto l’ampio rinvio della disciplina Comunitaria in favore di quella nazionale in materia di Società per Azioni. Pare tuttavia urgente ed opportuno sollecitare il legislatore nazionale ad intervenire con un provvedimento chiarificatore. La tutela dei lavoratori Il trasferimento transnazionale d’azienda è uno degli effetti della globalizzazione dell’economia e degli ordinamenti nazionali che mettono in crisi le categorie tradizionali del diritto del lavoro. Le norme che proteggono i lavoratori sono norme promananti dai singoli stati, laddove, oramai, l’impresa delocalizzata travalica i confini degli stati nazionali. Il trasferimento transnazionale d’azienda e’ uno dei fenomeni che mette in luce più di altri l’inadeguatezza delle attuali norme poste a tutela dei lavoratori. Una prima via al fine di rimediare alla sostanziale inefficacia delle tecniche di tutela dei singoli stati è quella finalizzata ad approntare misure volte ad 23 / 45 impedire le delocalizzazioni incontrollate. Tali misure sono sostanzialmente di due tipi. Possono essere misure che operano sul paese di origine oppure a livello sovranazionale. 1) Le misure che agiscono sul paese di origine sono per lo più misure che tendono a trovare un nuovo punto di bilanciamento tra le ragioni dell’impresa e la tutela del lavoratore attraverso una diminuzione del livello di protezione al fine di rendere più competitive le imprese italiane senza il ricorso alla delocalizzazione. Esempi sono tutte le norme che consentono un maggiore utilizzo ai rapporti di lavoro flessibili o le proposte di riforma nel senso di rivedere le categorie del diritto di lavoro attraverso la revisione tipologica dei rapporti di lavoro e la redistribuzione delle tutele. Nella stessa direzione si pongono quelle norme che vogliono riformare gli assetti della contrattazione collettiva e introdurre misurazioni della rappresentatività sindacale ai fini dell’esercizio del diritto di sciopero Ad ogni buon conto l’introduzione in Italia di una forte dose di flessibilità, lasciando comunque elevatissimo il costo del lavoro, non ha certamente scongiurato il verificarsi di fenomeni massicci di delocalizzazione che continuano, invece, a verificarsi. 2) La seconda strada è nel senso di prevedere forme di tutela che travalicano i confini dei singoli stati e cioè transnazionali. La prospettazione di tali forme di protezione è estremamente problematica ma è l’unica strada percorribile per giungere ad una delocalizzazione più controllata. Un esempio in merito è dato dalla disciplina delle fusioni transfrontaliere, a differenza di quanto accade per la società europea, le società derivanti dalla fusione transfrontaliera, come disciplinata dalla direttiva in esame, saranno soggette al diritto nazionale di uno Stato membro, quello in cui la nuova entità ha stabilito la propria sede, e sarà anche quello a determinare le regole di partecipazione dei lavoratori. A tal proposito l’impasse che non ha consentito all’iniziale progetto di direttiva in materia di fusioni transfrontaliere del 1984 di andare in porto è stato determinato proprio dalla questione legata alla tutela dei lavoratori: si voleva impedire che le fusioni transfrontaliere fossero l’occasione per svincolare le imprese dall’osservanza di norme interne poste a tutela dei lavoratori. In realtà i diritti di questi ultimi sono oggi garantiti dalla armonizzazione dei singoli diritti interni dovuta alla emanazione di alcune direttive del 2001 e 2002 in materia di “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese” e di “consultazione e informazione dei lavoratori” in ambito europeo. In virtù di tali norme (ma anche di quelle previste per la società europea – procedura di negoziazione - e applicabili all’operazione straordinaria in esame) il cambiamento del datore di lavoro derivante dalla fusione non avrà effetto alcuno sul contratto o sul rapporto di lavoro in essere al momento della fusione, esso sarà automaticamente attribuito alla nuova direzione d’impresa derivante dalla fusione, con il mantenimento dei diritti acquisiti tramite convenzione, collettiva nonché diritti e prestazioni di anzianità, invalidità etc. Come si può notare, però, quasi paradossalmente, la tutela dei lavoratori sembra essere garantita attraverso strumenti di regolazione del mercato e non attraverso tutele giuslavoristiche. I conflitti di giurisdizione modificando la nazionalità del soggetto giuridico è normale che vengano a crearsi dei conflitti tra le giurisdizioni di più Stati. La risoluzione di tali conflitti risulta spesso complicata in quanto è rimessa totalmente ai tratti internazionali ed alle norme di diritto privato internazionale. Molto spesso però la differenza la fa la forza, politico economica, degli stati in conflitto. Si prenda ad esempio il recente conflitto di giurisdizione che ha visto coinvolte Italia ed India per la vicenda penale dei due Marò Italiani. Sebbene l'applicazione delle norme di diritto internazionale comporterebbe la giurisdizione italiana, la debolezza politica del governo nazionale, non è stato in grado di farle valere, lasciando il compito di giudicare i due soldati alle corti indiane. Tornando ai nostri "trasferimenti" possiamo dire che la norma di conflitto cui possiamo far ricorso si trova sicuramente nell'articolo 25 della legge sul diritto internazionale è molto chiara in fatto di giurisdizione. " Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel 24 / 45 cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti. In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente: a) la natura giuridica; b) la denominazione o ragione sociale; c) la costituzione, la trasformazione e l'estinzione; d) la capacità; e) la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi; entrambi gli Stati avrebbero il diritto di rivendicare la sussistenza della propria giurisdizione. Tali conflitti possono essere quindi risolti solo alla luce dei trattati internazionali (per lo più bilaterali) volti ad evitare l'accavallarsi delle giurisdizioni. Si tratta per lo più di trattati di natura fiscale volti ad evitare le "doppie imposizioni". Altrettanto utili sono le norme Europee che già abbiamo avuto modi di analizzare, non vi è dubbio infatti che anche un'eccessiva ultraterritorialità della giurisdizione sia un limite alla libertà di stabilimento. I legislatori nazionali dovrebbero profondamente ripensare talune norme volte miranti ad una ultra attrattività della propria giurisdizione. f) la rappresentanza dell'ente; g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonchè i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità; h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente; i) le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo. I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati." Questa norma, che già ci è tornata molto utile per appurare l'ammissibilità delle trasformazioni transnazionali, ci torna ancor più utile nelle fattispecie come quella in questione, il conflitto di giurisdizione. E' da premettere che se da un lato questa norma ci pare esaustiva al fine di affermare che la giurisdizione Italiana sussiste per tutte le società costituite in Italia e per quelle che nello Stato italiano hanno la loro amministrazione o il loro principale centro di interessi è anche una norma molto limitata in quanto quasi ogni paese si è dotato di una norma di conflitto di simile potata talchè il conflitto di giurisdizione non possa risolversi facendo ricorso a tali disciplina. La successione nei rapporti giuridici A seconda della modalità operativa scelta per realizzare il trasferimento possono verificarsi conseguenze lievemente diverse. Si tratti comunque di una trasformazione internazionale o di una Incorporazione transfrontaliera alla fine ci troveremo difronte ad un soggetto giuridico sostanzialmente diverso da quello precedente. La nuova società sarà si il successore dei precedenti rapporti giuridici ma sarà anche un soggetto presidiato da norme (potenzialmente) molto diverse da quelle che Una Srl italiana che si trasforma in una Ltd di diritto irlandese, avrà una normativa sul capitale sociale diversa, obblighi contabili diversi, un diverso diritto penale d'impresa. Una differenza di norme così forte, come abbiamo già avuto modo di vedere in precedenza, potrebbe modificare sostanzialmente i rapporti di forza tra l'ente ed i terzi, rafforzandone o diminuendone le garanzie normative. Tuttavia le implicazioni più rilevanti sono quelle che riguardano gli ambiti dell'insolvenza e della fiscalità, che tratteremo separatamente nelle pagine a seguire. Si immagini una società di diritto Bulgaro che svolge la sua attività in Italia. Ebbene la Bulgaria ha una norma di conflitto identica a quella Italiana, in questo caso 25 / 45 L’esterovestizione delle società comunitarie Il fenomeno dell’esterovestizione consiste nell’utilizzo delle cosiddette società non residenti. Società costituite o trasferite secondo la legge di uno Stato ma che operano attivamente in un altro Paese. Sono molti gli ordinamenti che hanno sviluppate una disciplina volta a contrastare l’utilizzo di società solo formalmente straniere, tra questi l’Italia ha una posizione di particolare rilievo sopratutto per quanto riguarda i profili fiscali e tributari. Il sistema delle presunzioni che opera in Italia è, infatti, particolarmente rigido e ad opinione di chi scrive del tutto illegittima se attuata nei confronti di Società Comunitarie. La giursprudenza europea si è espressa riguardo al fenomeno delle “pseudo foreign Company” diverse volte, in particolare nei casi “Centros” e “Inspire Art”. La fattispecie in cui si richiama al caso Centros in cui si verteva, come noto, della legittimita` del provvedimento di rifiuto di iscrizione da parte dell’ufficio del registro danese di una sede secondaria di una societa` britannica, svolgente integralmente la propria attivita` in Danimarca, in quanto non rispondente alle norme imperative di diritto danese, in particolare in tema di capitale minimo. La Corte in materia individua alcuni importanti corollari. Nella decisione Centros la Corte aveva affermato che il combinato disposto degli artt. 43 e 48 del Trattato riconosce alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro dell'attività principale all’interno della Comunita` il diritto di svolgere la propria attivita` in un altro Stato membro, a prescindere dall’effettivo svolgimento di attivita` nel Paese di costituzione. La Corte, pur ammettendo, in linea di principio, che gli Stati membri possono adottare misure volte ad impedire che i cittadini si avvalgano fraudolentemente del diritto comunitario per sottrarsi a disposizioni nazionali imperative, affermava che la costituzione di una societa`soggetta ad un ordinamento le cui norme appaiano meno severe per poi svolgere attraverso succursali una attivita` in Paesi dotati di ordinamenti piu` rigidi, non costituisce di per se ́ abuso del diritto di stabilimento, ma una sua legittima estrinsecazione. Con la medesima decisione si ribadiva il principio che gli eventuali provvedimenti nazionali che introducono ostacoli all’esercizio del diritto di stabilimento delle societa` sono ammissibili soltanto se soddisfano le quattro condizioni della sussistenza di una giustificazione fondata su motivi imperativi di interesse generale, della natura non discriminatoria, della idoneità a garantire il risultato che perseguono e della proporzionalità rispetto allo scopo. Sebbene, come fu subito avvertito, l’orientamento adottato dalla Corte con Centros era suscettibile di conseguenze ben al di la` del campo d’azione delineato dalla fattispecie che aveva dato motivo al ricorso p r e g i u d i z i a l e , c e r t a m e n t e i l ra d i c a l e r i fi u t o dell’iscrizione della succursale opposto dalle autorità danesi costituiva un elemento caratterizzante la fattispecie e quindi la pronuncia non esauriva in toto il problema dell'ammissibilità` di norme nazionali potenzialmente contrastanti con gli art. 43 e 48 del Trattato, ma semmai apriva il campo alla loro specifica disamina, prefissandone i criteri di valutazione. Piu` di recente, nel caso Überseering la Corte di giustizia ha affermato che, in presenza di una societa` costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro, nella specie i Paesi Bassi, che venga considerata dall’ordinamento di altro Stato membro, nella specie la Germania, come se avesse trasferito la sua sede effettiva in tale Stato, gli art. 43 e 48 del Trattato si oppongono a che quest’ultimo Stato neghi alla società la capacita` giuridica e la capacita` di stare in giudizio dinanzi ai propri giudici nazionali. Più in generale, nella stessa decisione la Corte ha statuito che, allorché una società costituita conformemente alla normativa di uno Stato membro sul cui territorio ha la propria sede sociale, esercita la sua libertà di stabilimento in un altro Stato membro, le stesse norme del Trattato impongono che quest’ultimo rispetti la capacita` giuridica e processuale che la società possiede in forza del diritto del suo Stato di costituzione. 26 / 45 Profili delittuosi delle frodi realizzate mediante il trasferimento all’estero delle società E’ sopratutto nella cronaca degli ultimi anni che possiamo trovare numerosi esempi di reati realizzati mediante il trasferimento della società. La maggior parte di questi reati consistono in delitti in danno del Fisco o dei creditori in generale. Per quanto riguarda i reati fiscali occorre premettere che un legislatore incoerente e populista negli ultimi anni ha prodotto una serie di norme tali da creare un gran caos giuridico senza trarne alcun effetto positivo! I reati contro il fisco Spesso si ricorre al trasferimento della società per motivi fiscali, il che come abbiamo già visto, è in line di massima legittimo, nella misura in cui si parli di "imposizione futura". Nulla può eccepirsi alla Società Italiana che scelga di trasferirsi in Bulgaria per usufruire di una imposizione notevolmente più favorevole (Flat Tax al 10%). E' invece sicuramente discutibile il trasferimento della società effettuato al fine di sottrarre beni, privilegi o crediti al fisco. Sottrazione fraudolenta di beni al pagamento delle imposte La fattispecie in cui potrebbe incorrere colui che trasferisce al fine di sottrarsi alla riscossione dei tributi è quella prevista nella fattispecie di "sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte" di cui all'art. 11 Decreto delegato n.74/2000: <<È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.>> La condotta in oggetto punisce coloro che compiono degli atti al fine di sottrarre beni che potrebbero essere aggrediti in fase di riscossione coatta da parte di Equitalia. Facciamo degli esempi: a)una società nazionale indebitata nei confronti del fisco italiano si fonde, fittiziamente, con una società straniera ( anch'essa indebitata) al fine di sottrarre ogni bene alla società italiana, cosicché quando l'agente della riscossione andrà ad pignorare i beni della società italiana non troverà più nulla. b)una società italiana si trasferisce in un'altro Stato, rinunciando alla giurisdizione nazionale, per poi liquidare tutto il suo patrimonio, senza pagare le tasse e senza adempiere al regime pubblicitario previsto in Italia 27 / 45 c)una società italiana crea delle passività fittizie tramite una controllante estera che a acquisisce mediante un'acquisto mediante indebitamento della controllata. Questi esempi mostrano solo alcune delle condotte che potrebbero configurare il reato in oggetto. Naturalmente elemento fondamentale di questo tipo di reato è il "dolo" occorre cioè che l'operazione di trasferimento sia "finalizzata alla sottrazione dei beni al fisco", fatto questo che la giurisprudenza ritene provato allorquando le operazioni risultino fittizie o ingiustificate da nessun altro motivo se non dal fine di nascondere i beni. Ben diverse sono le così dette "frodi fiscali internazionali", vere e proprie macchine dell'evasione fiscale, messe in piedi allo scopo di generare passività a l t r i m e n t i i n e s i s t e n t i o p e r p r o d u r r e I VA intracomunitaria da frodare agli stati Europei. Si tratta di fattispecie totalmente estranee al trasferimento internazionale delle società. La Bancarotta Un caso diverso rappresentano i reati fallimentari, quei reati che sono inscindibilmente collegati con la sentenza di fallimento e la cui condotta si tipizza in tre ipotesi ben precise: a) La Bancarotta fraudolenta La condotta può essere messa in atto sia prima che durante il fallimento: distraendo, occultando, dissimulando, distruendo o dissipando, in tutto o in parte, i beni della società, ovvero, al fine di arrecare danno ai creditori, creando delle passività inesistenti; c) La Bancarotta Documentale La condotta tipica consiste nella sottrazione, falsificazione, in tutto o in parte delle scritture contabili da cui ricavare l'effettiva situazione patrimoniale del fallito Tali fattispecie criminose si intersecano con l'operazione di trasferimento allorquando la stessa risulti funzionale alle condotte in oggetto. Ovvero quando la trasformazione transnazionale risulti finalizzata alla realizzazione del piano criminoso. Occorre differenziare, però, con nettezza il caso appena evidenziato in cui vi sia un nesso funzionale tra il trasferimento e la condotta fraudolenta ed il caso in cui il soggetto legittimamente trasferitosi (o trasformatosi) incorra in una procedura d'insolvenza. Può infatti accadere che la società trasferitasi poi fallisca, ma questo non implica di per se una condotta delittuosa. E' plausibile invece una vera e propria operazione di pianificazione dell'insolvenza mediante un'operazione di "forum shopping" in altri termini l'impresa insolvente potrebbe scegliere di mutare la sua lex societatis al fine di modificare anche il diritto fallimentare, tuttavia ciò è molto difficile che accada! Come vedremo a breve la disciplina europea dell'insolvenza, e la giurisprudenza italiana (ancorpiù) sono particolarmente impegnate nel prevenire fenomeni di talfatta. Riteniamo tuttavia che vi siano comunque gli spazi per poter pianificare, nel rispetto di ogni norma, un'insolvenza transfrontaliera. b) La Bancarotta preferenziale La condotta tipica si configura nell'attività di discriminazione dei creditori, preferendone alcuni piuttosto che altri, senza rispettare i legittimi privilegi previsti per legge. 28 / 45 PROFILI FISCALI DEL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO operazioni elusive e vantaggio fiscale - “exit Tax” - 29 / 45 Operazioni elusive e vantaggio fiscale La disciplina fiscale italiana in materia di residenza fiscale è particolarmente restrittiva, prevede infatti una “presunzione” per cui il trasferimento della residenza fiscale di una persona fisica o giuridica è considerato un comportamento elusivo, pertanto è il contribuente trasferitosi a dover dare la prova della effettività del trasferimento. Da questa presunzione discende poi l’onere ulteriore per la società che muti la sua giurisdizione di provare che tale trasferimento è giustificato da vantaggi concreti, reali e dimostrabili, ritenendo il semplice vantaggio fiscale un motivo non sufficiente per giustificare il trasferimento di una società. Questa normativa ha per anni ridotto di molto la pianificazione fiscale internazionale delle piccole e medie imprese. Posto che se una grande industri trova grandi vantaggi nel delocalizzare la produzione, lucrando oltre che sul fisco, anche sul costo del lavoro e su molteplici altri aspetti, le PMI italiane se delocalizzano lo fanno principalmente per motivi fiscali o di policy bancaria. Negli ultimi anni molte cose sono cambiate, principalmente nei confronti delle società comunitarie. Infatti, come abbiamo avuto modo di evidenziare la giurisprudenza comunitaria ha escluso che costituisca un abuso del “diritto di stabilimento” il creare una società nello Stato membro le cui norme di diritto societario appaiono meno severe, o per fruire di una legislazione fiscale più vantaggiosa. Data la diversità dei livelli di imposizione negli Stati membri, la ricerca del risparmio fiscale, mediante l’insediamento di strutture societarie in Stati che adottano un regime tributario favorevole, non costituisce di per sé un comportamento riprovevole. Come se non bastasse nella sentenza Centros la corte ha puntualizzato anche sulla legittimità delle cosiddette società non residenti. “Rientra, dunque, nell'ambito di applicazione del diritto comunitario la situazione in cui una società, costituita secondo il diritto dello Stato membro nel quale ha la sua sede sociale, intenda creare una succursale in un altro Stato membro. Non ha rilievo a tal fine che la società sia stata costituita nel primo Stato membro al solo scopo di poter stabilire una succursale nel secondo, nè il fatto che nella succursale la società svolga la parte 30 / 45 principale, se non il complesso, delle sue attività economiche. Neppure la circostanza che la società possa essere stata costituita (o trasferita) nel primo Stato con l'intento di eludere la normativa del secondo esclude che la creazione della succursale rientri nell'ambito della libertà di stabilimento sancita dal trattato. Sebbene gli Stati membri abbiano il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal trattato, taluni dei loro cittadini tentino di sottrarsi all'impero delle leggi nazionali, nel valutare tali comportamenti i giudici nazionali devono tuttavia tener presenti le finalità perseguite dalle disposizioni comunitarie di cui trattasi. Pertanto, il fatto che un cittadino di uno Stato membro costituisca (o trasferisca) una società nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei poi succursali in altri Stati membri non comporta, di per sè, un abuso del diritto di stabilimento. Infatti, il diritto di costituire ( e di trasferire) una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all'esercizio della libertà di stabilimento garantita dal trattato. La circostanza che una società non svolga alcuna attività nello Stato membro in cui essa ha la sede e svolga, invece, le sue attività unicamente nello Stato membro in cui opera la sua succursale non è sufficiente a dimostrare l'esistenza di un comportamento abusivo e fraudolento, che consenta a quest'ultimo Stato membro di negare a tale società di fruire delle disposizioni comunitarie relative al diritto di stabilimento. Le “Exit tax” Una "exit tax" (letteralmente "tassa di uscita") è una norma intesa al fine di evitare notevoli perdite di gettito in seguito ad un abbandono della residenza di un Paese ad alta tassazione, da parte di soggetti particolarmente “attrezzati” come gli imprenditori o i contribuenti ad alto reddito in genere, richiedendogli un versamento di imposta sulle plusvalenze latenti degli attivi posseduti. In effetti, il vero scopo dovrebbe essere quello di evitare degli abusi o delle frodi realizzati mediante strategici cambi di residenza concomitanti con operazioni che possano generare rilevanti redditi. Nella realtà, nei Paesi dove questa imposta esiste, primi fra tutti gli Stati Uniti d'America, la Francia, la Germania ed i Paesi Bassi, essa si risolve molte volte in una limitazione alla libertà di stabilimento che può avere delle ricadute molto pesanti sul contribuente. Del resto, la globalizzazione economica favorita da accordi internazionali che permettono la libera circolazione delle persone, ha aumentato la mobilità degli individui anche in cerca di interessanti arbitraggi fiscali. A questo riguardo sicuramente le disposizioni in materia di libera circolazione delle persone e dei capitali, così come le abbiamo viste si presentano come fortemente incompatibili ad una normativa in materia di Exit Tax così come pensata fino ad ora. È per questo motivo che in molti stati europei e tra questi, ultima l’Italia, hanno fortemente modificato la loro legislazione in merito. L’articolo 91 del Dl 1/2012 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24.01.2012), e nello specifico l’introduzione del comma 2quater, hanno modificato, significativamente, la disciplina dell’exit tax italiana, in precedenza regolata dall’articolo 166 del Tuir. Il nome di questa imposta si deve al fatto che, essendo collegata ad un trasferimento interstatale di azienda, questa rappresenta di fatto l’ultima pretesa fiscale dello Stato di abbandono, ovvero l’ultima occasione per far valere il principio di collegamento in base al territorio dei redditi alla residenza dell’imprenditore che migra. L’exit tax attribuisce al trasferimento all’estero della residenza di un’azienda (con conseguente cambio di residenza anche ai 31 / 45 fini d’imposta) il realizzo, a valori normali, dei componenti e dei beni aziendali a meno che non questi non siano confluiti in un’organizzazione stabilmente collocata nel territorio dello Stato. Secondo quanto espressamente previsto dal comma 2, la disciplina fiscale attuale prevede che, in caso di chiusura di un’attività economica in Italia per aprirne un’altra nel territorio di uno degli Stati della Comunità Europea, il trasferimento costituisce realizzo, a l va l o r e n o r m a l e , d e i c o m p o n e n t i dell’azienda. Questa previsione è evidentemente un ostacolo al trasferimento aziendale all’interno dell’Unione ed è quindi in contrasto con il principio di libertà di stabilimento, che permette di scegliere appunto in quale Paese stabilire la propria attività e rientrante nei diritti fondamentali dell’UE. In particolare l’articolo 49 del trattato di funzionamento dell’Unione Europea stabilisce che “le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate”. Appare dunque lapalissiano come la modifica legislativa sia stata dettata dalla necessità di evitare che il nostro Paese fosse a rischio di procedura d’infrazione, come già avvenuto con la sentenza n. 2010/4141. Il comma 2-quater ha eliminato proprio il riferimento al “realizzo sistematico” per il trasferimento della residenza aziendale in Stati dell’Unione Europea o firmatari dello Spazio economico europeo e rientranti nella white list, con i quali quindi l’Italia ha stipulato un accordo di reciproca assistenza in tema di riscossione dei crediti tributari (grazie a questi accordi tributari dunque lo Stato di provenienza si assicura l’eventuale futuro recupero delle imposte latenti, quando (e qualora) si concretizzino le condizioni di realizzo). In questi casi il titolare dell’azienda può richiedere la sospensione degli effetti del realizzo, ovvero dell’imposta dovuta sui componenti positivi di reddito non realizzati al momento del trasferimento di sede del soggetto passivo. Per molto tempo la tax exit è stata vista come una illegittima imposta di uscita, pur considerando che verosimilmente l’impresa stia trasferendo la residenza verso un Paese fiscalmente più conveniente. In realtà tecnicamente si tratta di un’imposta di chiusura delle componenti di reddito prodotte fino al momento del trasferimento. La situazione però diventa più delicata e ambigua nel caso di redditi latenti, ovvero non ancora effettivamente prodotti e quindi in concreto non tassabili. All’uopo il legislatore è intervenuto in primis l’articolo 20bis e, poi di nuovo, con l’articolo 166 del Tuir, stabilendo l’anticipazione della tassazione delle poste latenti al momento del trasferimento. Ma proprio questa attualizzazione delle imposte è stata oggetto di dispute dottrinali e giurisprudenziali. In ogni caso la legge è stata modificata (anche in seguito alle raccomandazioni della Commissione europea del 2006). Nella stessa direzione si era espressa anche la Corte di giustizia, con sentenza del 29 novembre 2011 sottolineando come l’imprenditore che decida di trasferire la sede dell’azienda all’estero non possa essere penalizzato. Il regime della sospensione appare sicuramente un passo in avanti per la tutela dell’imprenditore, anche se persistono i dubbi di larga parte della dottrina, condivisi da chi scrive, riguardo a questa forma di tassazione che è in ogni caso un disincentivo ingiustificato alla libera circolazione delle persone giuridiche. 32 / 45 L’INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ TRASFERITA la disciplina dell’insolvenza nel diritto internazionale comunitario - il COMI - la giurisdizione italiana e il regolamento 1346/200 - l’onere di provare il COMI La disciplina dell’insolvenza nel diritto internazionale comunitario Il regolamento 1346/2000 detta le regole generali riguardanti la gestione delle procedure d’insolvenza che coinvolgono due o più Paesi comunitari. I fallimenti, i concordati e le altre procedure affini sono esclusi dal campo di applicazione della convenzione di Bruxelles del 1968. Dal 1963 sono stati intrapresi vari lavori per predisporre uno strumento comunitario in materia. Il 23 novembre 1995 è stata firmata una convenzione relativa alle procedure d’insolvenza. Detta convenzione tuttavia non è potuta entrare in vigore in quanto uno dei paesi dell’UE non l’ha firmata entro i termini stabiliti. Il trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997, prevede nuove disposizioni per la cooperazione giudiziaria in materia civile e su questa base è stato adottato il regolamento relativo alle procedure d’insolvenza. Il regolamento si applica alle procedure di insolvenza aperte dopo la sua entrata in vigore (31 maggio 2002). Gli allegati del regolamento elencano le procedure di insolvenza contemplate dagli Stati membri (allegato A), le procedure di liquidazione (allegato B) e i curatori (allegato C). Mauris faucibus nisi ut lacus bibendum vehicula. Morbi adipiscing, mauris sed congue elementum, nunc arcu rutrum ante, ac tristique eros mi et orci. 33 / 45 I casi di fallimento aventi effetti transfrontalieri incidono sul buon funzionamento del mercato interno. Per giungere a procedure più uniformi, così da evitare che le parti siano indotte a trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da un paese dell’UE a un altro nell’intento di migliorare la propria situazione giuridica , le soluzioni proposte si basano sul principio dell’universalità della procedura, pur preservando la possibilità di avviare procedure secondarie, limitate al territorio membro del paese dell’UE in questione. Il regolamento si applica alle "procedure concorsuali fondate sull'insolvenza del debitore che comportano lo spossessamento parziale o totale del debitore stesso e la designazione di un curatore" . Concerne tutte le procedure, a prescindere che il debitore sia una persona fisica o una persona giuridica, un commerciante o un privato. Il “curatore” è una persona o un organo che amministra o liquida i beni dei quali il debitore è spossessato o che sorveglia la gestione dei suoi affari. L'allegato C del regolamento precisa le persone o gli organi legittimati ad adempiere a tale funzione in ogni paese dell’UE. S o n o t u t t av i a e s c l u s e l e p r o c e d u r e d’insolvenza riguardanti: • le imprese assicuratrici; • gli enti creditizi; • le imprese di investimento che forniscono servizi implicanti la detenzione di fondi o di valori mobiliari di terzi; • gli organismi di investimento collettivo. Il regolamento definisce la nozione di "giudice" come la persona o l'organo legittimato dalla legislazione nazionale ad avviare una procedura d’insolvenza. I giudici competenti ad avviare la procedura principale sono quelli del paese dell’UE nel quale il debitore ha il suo centro principale d’interessi, che dovrebbe corrispondere al luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e riconoscibile dai terzi la gestione dei suoi interessi. Nel caso di società o di persone giuridiche si tratta, salvo prova contraria, del luogo in cui esse hanno la sede sociale. In caso di persone fisiche si tratta, in linea di principio, del luogo in cui esse hanno il domicilio professionale o la residenza abituale. Successivamente si possono aprire procedure secondarie (di cui all’allegato B) in un altro Stato membro se il debitore ha una d i p e n d e n z a n e l s u o t e r r i t o r i o . Pe r “dipendenza” si intende qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività economica con mezzi umani e con beni. Gli effetti della procedura di liquidazione sono limitati ai beni del debitore situati nel territorio. L'apertura di tale procedura può essere chiesta dal curatore della procedura principale o da altre persone o autorità legittimate a tal fine dalla legislazione del paese in cui è chiesta l'apertura della procedura. In certi casi è possibile avviare una procedura territoriale di questo tipo in modo indipendente prima della procedura principale, se lo chiedono i creditori locali e i creditori della dipendenza locale oppure se le leggi del paese dell’UE nel quale il debitore ha il centro principale d'interessi non consentono di iniziare una procedura principale. Questa procedura, tuttavia, sarà convertita in procedura secondaria dopo l'avvio della procedura principale. La legge del paese dell’UE nel quale ha avuto inizio la procedura di insolvenza disciplina tutti gli effetti della procedura di insolvenza: le condizioni di apertura, di svolgimento e di chiusura della procedura stessa e le norme sostanziali come la definizione dei debitori e dei beni in causa, i poteri del debitore e del curatore, gli effetti della procedura sui contratti, le azioni giudiziarie individuali, i crediti, ecc. Alcune disposizioni garantiscono su tutto il territorio comunitario i diritti reali dei terzi, il d i r i t t o d e l c r e d i t o r e d i i nvo c a r e l a compensazione e i diritti del venditore fondati sulla riserva di proprietà, in modo che tali diritti non sono pregiudicati dall'apertura della procedura. Per quanto riguarda i beni immobili, le norme da applicare sono esclusivamente quelle del paese dell’UE nel cui territorio si trova il bene. Allo stesso modo, i contratti e i rapporti di lavoro, i diritti e i doveri dei partecipanti a un sistema di pagamento o a un mercato finanziario sono disciplinati esclusivamente dalla legge applicabile del paese dell’UE interessato (a 34 / 45 titolo complementare si rinvia alle disposizioni della direttiva del Consiglio concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento delle operazioni su titoli). Riconoscimento della procedura di insolvenza Le decisioni adottate dal giudice competente per la procedura principale devono essere riconosciute immediatamente da tutti i paesi dell’UE senza controllo supplementare, tranne nel caso che: • un simile riconoscimento abbia effetti contrari all’ordine pubblico di un paese; • si tratti di decisioni che limitano il segreto postale o la libertà individuale. Tuttavia, una limitazione dei diritti dei creditori (dilazione dei pagamenti, remissione del debito) è possibile soltanto se gli interessati manifestano il loro accordo al riguardo. Quando un giudice di un paese dell’UE decide di aprire una procedura di insolvenza, la decisione è riconosciuta in tutti gli altri paesi, anche se il debitore non può essere assoggettato a tale procedura negli altri paesi. Gli effetti della decisione sono quelli previsti dalla legge del paese di apertura e cessano in caso di avvio di una procedura secondaria in un altro paese. Il curatore designato da un giudice competente può agire negli altri paesi dell’UE nell'ambito dei poteri che gli sono attribuiti dalla legge del paese dell’UE di apertura, ma deve rispettare la legge dello Stato nel cui territorio agisce. In particolare, può trasferire i beni del debitore ed esercitare ogni azione revocatoria nell’interesse dei creditori qualora, dopo l'apertura della procedura, i beni siano stati trasferiti dallo Stato della procedura principale, fatti salvi i diritti reali dei terzi o la riserva di proprietà. Ogni creditore domiciliato nell’UE cha abbia ottenuto soddisfazione totale o parziale dei suoi crediti su beni del debitore, è tenuto a restituire al curatore quanto ha ottenuto (fatti salvi i diritti reali o la riserva di proprietà), poiché per l’intera Unione viene stabilito un conto consolidato dei beni disponibili, così da assicurare che i creditori ottengano quote equivalenti. A richiesta del curatore, si può provvedere alla pubblicità negli altri paesi (pubblicazione della decisione di apertura della procedura di insolvenza, annotazione in un registro pubblico). La pubblicazione può essere richiesta a titolo obbligatorio, ma non costituisce in nessun caso la condizione per il riconoscimento della procedura in un altro Stato membro. Una persona che non è a conoscenza dell’apertura della procedura, può essere considerato in buona fede (adempiendo obbligazioni a favore del debitore invece che del curatore in un altro paese dell’UE). Se l’adempimento di simili obbligazioni avviene prima della pubblicazione della decisione, si considera che il terzo non ne fosse informato. Se invece tale adempimento avviene dopo la pubblicazione, si presume, salvo prova contraria, che la persona fosse a conoscenza dell’apertura della procedura. Il COMI Il COMI o centro principale degli interessi del debitore è il punto fermo intorno al quale ruota tutta la disciplina dell’insolvenza intracomunitaria. Il Regolamento 1346/200 all’art. 3, disciplina la competenza internazionale ad aprire una procedura di insolvenza principale prevedendo che: «sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio e` situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le societa` e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria». Tale norma prevede dunque una presunzione juris tantum, prevede cioe` che il centro degli interessi principali del debitore o COMI, secondo l’acronimo dell’inglese Center Of Main Interests, sia localizzato ove si trova la sede statutaria. Si tratta di una presunzione semplice nel senso che il creditore puo` proporre elementi idonei a dimostrare che non vi sia la coincidenza tra il COMI e la sede formale della societa`. 35 / 45 Per comprendere in base a quali elementi possa essere superata la presunzione della sede statutaria occorre in primo luogo vedere cosa si intenda per «interessi del debitore» ed in particolare che cosa si intenda con l’aggettivo «principali». La questione ha dato luogo a diversi dubbi interpretativi anche perche ́ il regolamento comunitario non fornisce una nozione di «centro degli interessi principali del debitore» in una specifica disposizione e si limita a stabilire la presunzione anzidetta. Una indicazione e` stata fornita al considerando n. 13, ove si legge che per il COMI «si dovrebbe intendere il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile da parte dei terzi, la gestione dei suoi interessi». S u b i t o d o p o l ’ e n t ra t a i n v i g o r e d e l regolamento, quando i giudici di uno Stato hanno affermato la propria competenza ad aprire una procedura principale a carico di una persona giuridica secondo il criterio del centro degli interessi principali, hanno deciso per il superamento della presunzione della sede formale in base a criteri molto diversi partendo da una analisi dettagliata degli elementi da essi ritenuti idonei. In proposito, di particolare rilevanza sono stati ritenuti: il luogo nel quale e` situato il centro operativo e direzionale, il centro propulsore dell’impresa ove operano gli amministratori, il luogo in cui vengono prese le decisioni sull’attivita` imprenditoriale, il luogo in cui vengono negoziati e stipulati i contratti, il luogo in cui sono stati assunti i dipendenti; il luogo in cui la societa` entra in rapporto con i creditori e con i terzi e, per le controllate, anche il luogo delle decisioni relative alla loro gestione finanziaria, della direzione strategica e del coordinamento, nonche ́ delle garanzie date dalla controllante a favore della controllata. Non e` stata invece ritenuta sufficiente a superare la presunzione della sede statutaria la localizzazione di beni immobili di proprieta` del debitore insolvente. La questione e` presto finita avanti la Corte di giustizia delle Comunita` europee, la quale nel caso Eurofood si e` espressa sulla nozione in parola. Come e` noto, tale caso ha dato origine ad una complessa e delicata vicenda giudiziaria decisa con la sentenza in via pregiudiziale del 2 maggio 2006 Qualsiasi discussione intorno al COMI non puo` prescindere dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunita` europee sul caso Eurofood: una sentenza assai complessa nella quale tra l’altro e` stato affrontato il tema del superamento della presunzione per cui il COMI corrisponda alla sede statutaria, «quando un debitore e` una societa` controllata la cui sede statutaria e` situata in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la sua societa` madre, la presunzione contenuta nell’art. 3, n. 1, seconda frase, del Regolamento CE n. 1346/2000, secondo la quale il centro degli interessi principali di detta controllata e` collocato nello Stato membro in cui si trova la sua sede statutaria, puo` essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione in detta sede statutaria. Cio` potrebbe, in particolare, valere per una societa` che non svolgesse alcuna attivita` sul territorio dello Stato membro in cui e` collocata la sua sede sociale. Per contro, quando una societa` svolge la propria attivita` sul territorio dello Stato membro in cui ha sede, il fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate da una societa` madre stabilita in un altro Stato membro non e` sufficiente per superare la presunzione stabilita da detto Regolamento». Ricordiamo brevemente che Eurofood era una societa` con sede in Irlanda, facente parte pero` del gruppo italiano Parmalat, e si trattava di decidere se il suo COMI fosse in Irlanda, oppure in Italia. Il commissario straordinario di Parmalat aveva a sostegno della competenza internazionale italiana allegato che Eurofood, nonostante la sede statutaria in Irlanda, era societa` di fatto gestita dall’Italia, e la cui unica attivita` 36 / 45 consisteva nel procurare dal mercato internazionale finanziamenti al gruppo italiano. La Corte di giustizia ha pero` negato rilievo alla dedotta circostanza, e cioe` che «la societa` madre, grazie al suo azionariato ed al potere di nominare gli amministratori, e` in grado di controllare e di fatto controlla la gestione della controllata»: e infatti la Corte ha in pratica circoscritto il superamento della p r e s u n z i o n e d e l l ’ a r t . 1 , p a r. 1 d e l Regolamento alla sola ipotesi della «societa` fantasma, la quale non svolgesse alcuna attivita` sul territorio dello Stato membro in cui si trova la sua sede sociale». Purtroppo però tale principio viene sistematicamente disatteso dalle corti nazionali. A nostro parere, Eurofood sta offrendo con ogni probabilita` uno dei rarissimi esempi di giurisprudenza della Corte europea che venga sistematicamente e generalmente disattesa, o quantomeno elusa, dai giudici nazionali. Probabilmente pero` si tratta di esito, se non inevitabile, quantomeno ben prevedibile di fronte ad una massima cos`ı inelastica e tranchante quale quella che ha limitato la possibilita` di superamento della presunzione della coincidenza del COMI con la sede legale in pratica alla sola ipotesi estrema della «societa` fantasma». Ma a sua volta forse, temiamo, l’errore e` non tanto della Corte di giustizia quanto piuttosto del legislatore europeo, il quale ha introdotto il criterio di giurisdizione del centro degli interessi principali attribuendogli una portata generale, indifferente cioe` alla enorme varieta` dei casi in cui esso sarebbe stato chiamato a funzionare: debitori persone fi s i c h e , d e b i t o r i n o n i m p r e n d i t o r i , societa`piccole e grandi, e, soprattutto, societa` facenti parte di gruppi di portata transnazionale, e tutto questo spalmato su ventisette ordinamenti nazionali diversi. La giurisdizione italiana ed il regolamento 1346/200 La giurisprudenza della Corte di Cassazione , in merito al regolamento di giurisdizione, ha considerato il trasferimento come realmente avvenuto sulla base di elementi oggettivi e inequivocabili. Ad esempio nell’ordinanza 26287 del 2009, riguardante il trasferimento in Svizzera di una società Italiana, la societa` aveva disdetto il contratto di locazione; aveva presentato denunzie di cessazione dell’at-tivita` all’Inps, all’Inail, all’Enasarco, volturato le utenze, chiuso i conti bancari ed era stata regolarmente iscritta nel registro delle imprese. In situazioni come queste, trattandosi di trasferimento della sede legale in uno Stato extracomunitario, il Regolamento CE n. 1346/2000 non trova applicazione, a meno che allo spostamento della sede non sia seguito anche il mutamento del COMI. Se, infatti il centro degli interessai principali del debitore e` rimasto nel paese comunitario di provenienza, pur essendo stata trasferita la sede statutaria, la disciplina dell’Unione europea continuera` ad applicarsi. Ricordiamo che il Regolamento neppure influenza l’aspetto della giurisdizione con riferimento alle procedure escluse dal suo campo di operativita`. Per tutte queste ipotesi, trova applicazione la legislazione nazionale. Il successo dello spostamento della sede sara`, comunque, sempre basato sul criterio dell’effettivita`, considerato che la giurisdizione italiana, in materia di procedure di insolvenza, e` fondata sull’art. 9 l.fall., che adotta come criterio quello della sede principale dell’impresa. Pertanto il giudice dovra` procedere all’esame di fattispecie con riguardo alla reale natura e finalita` del trasferimento del debitore in stato di insolvenza. Se lo spostamento nella nuova sede sara` solo apparente o fittizio, la 37 / 45 giurisdizione internazionale del giudice italiano continuera` a permanere. Gia` piu` volte la nostra Corte di Cassazione ha rilevato che lo spostamento all’estero in un paese esterno all’Unione europea non preclude la dichiarazione di fallimento in Italia, purche ́ sia provata la fittizieta` del trasferimento. Va osservato che la Suprema Corte, a fondamento della sua ordinanza nel caso della societa` trasferitasi in svizzera (di cui sopra), come gia` aveva fatto in sue precedenti decisioni, non ha richiamato solo l’art. 9 l.fall., ma anche l’art. 25 L. n. 218/1995, ritenendo che «tale norma induce ad affermare che, in mancanza di una effettiva attivita` imprenditoriale, svolta dalla societa` trasferitasi all’estero (e dunque in presenza di un trasferimento soltanto fittizio), permane la competenza giurisdizionale del giudice italiano». In questo modo, la Corte sembra ravvisare nell’art. 25 una norma non solo di diritto internazionale privato, volta dunque a determinare il diritto sostanziale applicabile, ma anche una norma di diritto internazionale processuale chiamata a determinare la competenza giurisdizionale. Si tratta invece di una norma che, a nostro avviso, non e` idonea ad individuare la giurisdizione ed in ogni caso non necessaria, visto che l’art. 9, richiamato dall’art. 3 L. n. 218/1995 stabilisce la competenza del tribunale nel quale il debitore ha la sua sede principale, indipendentemente dalla nazionalita` italiana o estera del debitore. Passando all’ipotesi di spostamento reale ed effettivo, va osservato che l’ultimo comma dell’art. 9 prevede che il trasferimento della sede all’estero non pregiudica la competenza internazionale del giudice italiano quando l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento sia stata avviata prima del trasferimento . Si ha in questa ipotesi una perpetuatio jurisdictionis, ex art. 5 c.p.c. ed ex art. 8 L. n. 218/1995 di riforma del diritto internazionale privato italiano. Risulta così del tutto ininfluente, con riguardo alla giurisdizione, il trasferimento della sede legale attuato in epoca posteriore alla data di deposito dell’istanza di fallimento, che si pone quindi come evento impeditivo rispetto a successivi mutamenti della situazione di fatto della societa`. Sempre nel caso di trasferimento effettivo e non artificioso della sede dell’impresa, il secondo comma dell’art. 9 stabilisce l’irrilevanza ai fini della competenza dello spostamento intervenuto nell’anno precedente l’iniziativa per la dichiarazione del fallimento. Si determina in questa ipotesi una prorogatio jurisdictionis nel senso che la competenza del giudice italiano continua a sussistere ancora per un anno dopo il trasferimento. Va infine rammentato che, nell’ipotesi di cessazione dell’esercizio dell’impresa, decorso un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, la societa` non potra` piu` essere dichiarata fallita. In una situazione del genere, la possibilita` di richiedere la dichiarazione di fallimento cessa in caso di trasferimento sia reale che fittizio. L’onere di provare il COMI Con riferimento al superamento della presunzione della sede statutaria, appare condivisibile e` il procedimento in materia di prova seguito dalla Corte Europea. I giudici del lussemburgo hanno ritenuto che, quando un creditore istante fornisca la prova che nello Stato richiesto il debitore ha alcuni interessi, si pone a carico del debitore stesso l’onere (la Corte usa l’espressione «suo ineludibile interesse») di fornire a sua volta la prova della sussistenza, nello Stato della sede statutaria, di interessi preminenti rispetto a quelli presenti nel primo Stato. Quando tale prova non sia fornita la presunzione non puo` considerarsi superata. Correttamente la Corte ha messo a confronto, da una parte, gli interessi che il creditore istante ha individuato ed ha addotto al fine di 38 / 45 radicare la giurisdizione nello Stato richiesto e, dall’altra, quelli affermati dal debitore per sostenere il mancato superamento della presunzione della sede statutaria. Gli elementi considerati utili al fine di determinare la diversa localizzazione del COMI, devono essere tutti elementi obiettivi e verificabili dai terzi creditori e rispondenti, pertanto, all’esigenza di garantire «la certezza del diritto e la prevedibilita` dell’individuazione del giudice competente ad aprire una procedura di insolvenza», cos`ı come richiesto dalla Corte di giustizia. La localizzazione cos`ı individuata permette di assicurare le aspettative e gli interessi dei creditori della sede effettiva che verrebbero invece pregiudicate dalla pronuncia della dichiarazione di fallimento nel Paese della sede statutaria ove il debitore si e` trasferito e ove non vi sono situazioni reali contrapponibili a quelle addotte dai creditori stessi. 39 / 45 IN CONCLUSIONE Alla luce di quanto fino ad ora analizzato dobbiamo trarre alcune importanti conclusioni: • non è, più, possibile nutrire alcun dubbio riguardo la legittimità delle operazioni di trasferimento delle società; tuttavia permangono notevoli diffocoltà dovute alla s c a r s a c o m p a t i b i l i t à t r a i d iv e r s i ordinamenti nazionali; • all’interno dell’Unione Europea gli stati membri sono obbligate a riconoscere e registrare i trasferimenti societari e ad evitare di porre in essere ogni ostacolo legislativo o burocratico a tali operazioni; • i trasferimenti possono avvenire, e sono pienamente legittimi, anche se finalizzati esclusivamente ad un mero vantaggio fiscale; • la normativa europea in tema di società estere detta una disciplina talvolta molto differente a secondo che si abbia riguardo alla legislazione societaria o a quella fallimentare. E’ il caso delle societa esterovestite, per le quali viene riconosciuta la piena legittimità a livello civilistico-societario, ma la cui esterovestizione a nulla vale in ambito fallimentare. 40 / 45 Studio Legale Ciccopiedi Uno Studio a vocazione internazionale con competenza nel diritto italiano questo è da sempre il Know-How dello Studio Legale Ciccopiedi fin dalla sua fondazione. Lo Studio Ciccopiedi prosegue infatti l’attività professionale dell’avvocato Giuseppe Ciccopiedi iniziata nel 1980. Sul connubio tra l’internazionalità e la riconosciuta qualità e reputazione dei suoi professionisti lo Studio ha costruito il proprio successo. Lo Studio è oggi composto da diversi collaboratori e partners ed ha sedi a Benevento, a Roma ed a Sofia. Lo Studio Ciccopiedi fornisce un’offerta integrata di assistenza legale, al fine di far acquisire al cliente la piena contezza delle variabili normative che incidono sulle scelte d’impresa e di fare dell’efficienza legale uno strumento del confronto competitivo. All’assistenza nelle operazioni straordinarie in ambito societario, bancario, finanziario e dei mercati dei capitali si affianca un’assistenza di primario livello nelle aree del diritto bancario, fallimentare, tributario, amministrativo, del lavoro, comunitario e antitrust, delle public utilities, della regolamentazione delle attività finanziarie, dei trusts, del diritto d’autore e della proprietà intellettuale. Lo Studio si avvale, altresì, di professionisti esperti nel contenzioso civile, amministrativo, penale e comunitario, nonché negli arbitrati nazionali e internazionali. RIFERIMENTI NORMATIVI Legge sul diritto internazionale privato 218/1995 CAPO III - Persone giuridiche Art. 25 - Società ed altri enti 1. Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti. 2. In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente: a) la natura giuridica; b) la denominazione o ragione sociale; c) la costituzione, la trasformazione e l'estinzione; d) la capacità; e) la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi; f) la rappresentanza dell'ente; g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonché i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità; h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente; i) le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo. 3. I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati. Trattato sul Funzionamento della Comunità Europea (TFCE) già (TCE) CAPO 2 - IL DIRITTO DI STABILIMENTO Articolo 49 (ex articolo 43 del TCE) Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali. 42 / 45 Articolo 54 (ex articolo 48 del TCE) Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro. 43 / 45 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SOCIETÀ DI CAPITALI: IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLE SEDE SOCIALE E ARBITRAGGI NORMATIVI - MUCCIARELLI FEDERICO/ GIUFFRÈ 2010 CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO - WWW. CONSIGLIONOTARILEDIMILANO .IT IL TRASFERIMENTO TRANSNAZIONALE DELLA SEDE SOCIALE - ALBERTO RIGHINI IL TRASFERIMENTO DELLA SEDE SOCIALE ALL’ESTERO - WWW. NOTARIATO . IT BULGARIA, IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLA SEDE SOCIALE - DIACRON FUSIONI INTERNAZIONALI E TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLA SEDE DELL’IMPRESA. PROFILI CIVILISTICI E FISCALI COMPARATI A CONFRONTO E PROBLEMATICHE LEGATE ALLE LIBERTÀ FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA. L’ESEMPIO GRANDUCATO DI LUSSEMBURGO – ITALIA. - GIANCARLO CERVINO IL TRASFERIMENTO ALL'ESTERO DELLA SEDE LEGALE DELL'IMPRESA INSOLVENTE - PATRIZIA DE CESARI ELUSIONE E TRASFERIMENTO ALL'ESTERO DELLA SEDE DELLA SOCIETÀ: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO - MARCO MICCINESI LA SENTENZA ÜBERSEERING: UN TENTATIVO DI RISCRIVERE IL D.I.P. PER LE SOCIETÀ COMUNITARIE? - IL COMMENTO - CESARE LICINI LE (AS)SIMMETRIE DI CARTESIO E LA «NUOVA» LIBERTÀ DI STABILIMENTO DELLE SOCIETÀ NELLA PROSPETTIVA DEL TRATTATO DI LISBONA - STEFANO LOMBARDO TRASFERIMENTO DELLA SEDE DELLE SOCIET À TRA LIBERT À DI STABILIMENTO E NORME INTERNAZIONALPRIVATISTICHE - MARIA BEATRICE DELI E FEDERICO PERNAZZA LIBERTÀ DI STABILIMENTO COMUNITARIA IN UN CASO DI FUSIONE TRANSFRONTALIERA - CESARE LICINI LIBERTÀ DI STABILIMENTO E MOBILITÀ DELLE SOCIETÀ IN EUROPA - STEFANO LOMBARDO 44 / 45 Quest’opera ha scopo puramente divulgativo ed in nessun caso può sostituirsi alla consulenza di un esperto. Questo lavoro è di proprietà dello “Studio Legale Ciccopiedi” ed è stato realizzato da Leonardo Ciccopiedi. Ogni utilizzo contrario alle norme sul diritto d’autore è vietato e sarà perseguito nei termini e nelle forme previste dalla legge. Via Pacevecchia 61, Benevento, BN, 82100. phone 0039 0824326231 fax 0039 0824326241 [email protected] www.studiolegaleciccopiedi.it www.societabulgaria.eu