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Global Value Chains - Diplomazia Economica Italiana
Documento ad uso interno Ministero degli Affari Esteri Nota sulle Global Value Chains Daniela Battisti* ** Eleonora Iacorossi ◊◊◊ Indice Premessa........................................................................................................................................ 1 Definizione di Global Value Chain................................................................................................... 2 GVC e Export processing zones ..................................................................................................... 3 Gli attori delle GVC: Multi National Enterprises ............................................................................... 3 I rischi delle GVC ............................................................................................................................ 4 Le GVC: opportunità e sfide per le PMI........................................................................................... 4 Spunti d’azione per il MAE .............................................................................................................. 4 ◊◊◊ Premessa Il processo di crescente integrazione produttiva internazionale delle economie, comunemente noto con il termine di “globalizzazione”, sta determinando precise trasformazioni nelle strategie d’impresa, soprattutto in relazione all’accentuarsi di alcuni fenomeni tra cui (i) l’emergere di nuovi protagonisti nella competizione internazionale, (ii) l’accentuarsi dei meccanismi di divisione internazionale del lavoro, (iii) la riduzione delle barriere alla comunicazione, alla mobilità e al commercio. Con riferimento al primo di questi fenomeni, la tradizionale distinzione fra Paesi a produzioni knowledge intensive e Paesi a produzioni labour intensive deve essere riformulata verso paesi specializzati in fasi di produzione labour o knowledge intensive. Il quadro competitivo risulta quindi più complesso, con modelli di specializzazione che mutano nel tempo. Il secondo fenomeno fa riferimento alla delocalizzazione di alcune fasi della produzione e all’ampliamento della geografia degli acquisti, trasformando l’identità territoriale dell’impresa da un contesto circoscritto ad un sistema tendenzialmente globale. L’abbattimento dei costi di comunicazione e trasporto nonché delle barriere tariffarie,1 infine, ha spostato la frontiera della competizione sempre più lontano richiedendo al contempo crescenti capacità manageriali nei rapporti con gli interlocutori internazionali sia a monte sia a valle dell’attività d’impresa. Ha inoltre generato per le imprese minori nuove opportunità in passato precluse a causa della limitata disponibilità di risorse finanziare, tecniche e organizzative. * Invitalia, [email protected]. Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese, Ufficio I, Sezione Analisi e Studi, [email protected]. 1 Le stime sui dazi medi d’importazione delle economie middle-income passano dal 12 al 4% tra il 1994 e il 2008 e quelli cinesi dal 29 all’8% (Hanson, 2012). ** Roma, 4 gennaio 2013 1 di 6 Documento ad uso interno Ministero degli Affari Esteri Definizione di Global Value Chain Negli ultimi venti anni, accanto al passaggio da politiche di sviluppo di import-substitution a quelle export-led, si è verificato un graduale cambiamento nel modello di commercio internazionale che è passato da scambio di beni (trade-in-goods) a scambio di funzioni per la produzione di quei beni (trade-in-tasks). Ne è conseguito un nuovo assetto della divisione internazionale del lavoro, in cui molti beni divengono il risultato di lunghe “catene produttive globali” (global supply chains o global value chains GVCs)2 alle quali imprese di paesi diversi aggiungono pezzi di valore. Questo fenomeno è stato definito “nuova globalizzazione”. L’organizzazione della produzione varia continuamente, delocalizzando (offshoring) ogni fase produttiva nel paese in cui risultino minori i costi di produzione e di transazione internazionale, ottimizzando in questo modo i vantaggi comparati di ogni economia.3 Viene dunque affermandosi un nuovo paradigma per l’analisi della organizzazione internazionale della produzione basato sugli scambi di funzioni produttive. Tuttavia, la grandezza e la direzione di questo fenomeno non sono ancora state pienamente comprese. Un aspetto importante di questo nuovo paradigma è la necessità di guardare oltre i settori industriali per analizzare i pattern di produzione e commercio. La letteratura sulle GVC si concentra infatti non più sui settori ma sulle funzioni di business che compongono la supply chain quali R&S, procurement, marketing, customer service, ecc., poiché i paesi stanno ora tendendo a specializzarsi in specifiche funzioni piuttosto che in industrie. Le economie OCSE mostrano un certo livello di partecipazione nelle GVC (in particolare Korea, Turchia, Messico, Polonia e Cile) in stretta concorrenza con le non-OCSE (come Argentina, Tailandia, Malaysia e Filippine). Le principali differenze sussistono tra grandi economie che sono meno basate sul commercio e la produzione internazionale ed economie più piccole che invece sono meglio inserite all’interno delle reti di produzione globale: ne sono un esempio il Vietnam e il Costa Rica. La partecipazione alle GVC ha ampliato i flussi commerciali sud-sud (stimati dall’UNCTAD al 23% delle esportazioni mondiali) proprio grazie al contributo dei vari paesi al processo produttivo. In particolare, l’80% delle esportazioni sud-sud provengono dall’Asia e il 74% di queste è intra-Asia manifestando la crescente integrazione verticale asiatica, soprattutto nel manufatturiero. L’OCSE offre un’utile rappresentazione grafica di una catena globale del valore semplificata, dove la produzione delle parti e dei componenti, l’assemblaggio e la vendita dei prodotti finali sono localizzati in diversi paesi. Un bene il cui assemblaggio finale si realizzi nell’economia 1 e venga esportato nel mercato di consumo rappresentato dal Nord America in Fig. 1, richiede inputs forniti da produttori in altre economie (2, 3, e 4 in Figura) che, a loro volta, si approvvigionano in economie terze (5, 6 e 7). 2 La presente Nota si basa su un’ampia e sistematica indagine sulla globalizzazione delle catene del valore realizzata dall’OCSE, cfr. Draft Synthesis Report on Global Value Chains (DSTI/IND(2012)17); Mapping Global Value Chains (TAD/TC/WP(2012)6); Trade Policy Implications of Global Value Chains (TAD/TC/WP(2012)31). 3 Ne risulta che i paesi con ampia manodopera a basso costo abbiano teso a specializzarsi in attività a bassa tecnologia mentre quelli a maggior intensità relativa di capitale abbiano teso a specializzarsi in attività ad alta tecnologia. Occorre fare eccezione tuttavia per la Cina che si è specializzata sia nelle attività a bassa tecnologia che in alcune attività ad alta tecnologia. Roma, 4 gennaio 2013 2 di 6 Documento ad uso interno Ministero degli Affari Esteri Figura 1: Cos’è una Global Value Chain? Fonte: OECD …. GVC e Export processing zones Le GVC sono di certo favorite dalla presenza di export processing zone (EPZ), cioè zone industriali a tariffe ridotte, se non assenti, e formalità burocratiche minime. Attraverso queste aree, infatti, è possibile introdurre agevolmente materiali o semilavorati affinché subiscano un’ulteriore trasformazione e la successiva riesportazione. Ben un quinto delle esportazioni tra paesi emergenti/in via di sviluppo proviene dalle EPZ e il 70% delle esportazioni proveniente da EPZ proviene dalla Cina. Dei circa 68,5 milioni di posti di lavoro generati dalle EPZ (Stime World Bank 2008), ben 61 sono nella zona Asia-Pacifico, sottolineando ancora una volta la rilevanza dell’Asia nelle GVC. Gli attori delle GVC: Multi National Enterprises I principali attori delle GVC sono le Multi National Enterprises (MNEs) con i loro affiliati all’estero e i fornitori indipendenti nei mercati nazionali e in quelli stranieri. Le transazioni economiche all’interno delle GVCs includono quindi sia transazioni tra aziende e fornitori tra loro indipendenti sia transazioni intra-aziendali (intra-firm) tra gli headquarters e le filiali all’interno dei network multinazionali. La differenza tra le catene buyer-driven e quelle producer-driven riflettono i differenti ruoli delle MNEs e dei fornitori indipendenti. Le catene buyer-driven si sono sviluppate attorno a colossi commerciali, per es. Wal-Mart, o attorno a marchi di grande popolarità, per es. Nike. I prodotti sono relativamente semplici (vestiario, giocattoli, accessori) e la loro produzione richiede poco capitale e una forza lavoro non specializzata. Le aziende madri di questi settori si focalizzano quasi esclusivamente su marketing e vendite, posseggono un numero limitato di fabbriche ed affidano la produzione a grandi network di aziende fornitrici indipendenti. Le catene producer-driven sono invece quelle dei settori high-tech quali semiconduttori, elettronica, automotive o industria farmaceutica. Poiché questi settori sono fortemente basati sulla tecnologia e sulla R&S, aziende quali GM, Sony e Apple controllano sia il design dei prodotti sia molta parte dell’assemblaggio che è spesso frammentato in paesi differenti. La tecnologia (incluso il design) e la produzione sono competenze ‘core’ largamente sviluppate e fornite in-house oppure affidate a fornitori cui è impedito di condividere la tecnologia con la concorrenza. Ne consegue che le MNEs hanno un ruolo predominante in questa tipologia di network che si riflette anche nei forti legami tra le filiali in differenti paesi. Roma, 4 gennaio 2013 3 di 6 Documento ad uso interno Ministero degli Affari Esteri I rischi delle GVC E’ possibile identificare alcuni rischi nelle GVC:4 1. maggior esposizione ai “rischi naturali”: la certezza dell’approvvigionamento nelle GVC è minata dall’esposizione ai rischi naturali relativi a più paesi, come accaduto a seguito dei disastri naturali in Thailandia e in Giappone; 2. minor possibilità reale di controllo sulla proprietà intellettuale; 3. maggior rischio di cambio, che aumenta con l’aumentare dei paesi coinvolti nella produzione; 4. minor capacità time-to-market: la capacità di reagire ai segnali del mercato rallenta, dovendo modificare fasi distribuite in più paesi; 5. variabilità dei margini di guadagno nel tempo: i margini di guadagno sulla differenza di costo della manodopera per le produzioni di maggior qualità e/o a maggior contenuto tecnologico stanno rapidamente assottigliandosi, generando il rischio di costo di back-shoring. Le GVC: opportunità e sfide per le PMI Gli attori e i legami all’interno delle GVC possono cambiare nel tempo soprattutto grazie alla mobilità delle aziende più piccole che possono migliorare le loro attività rinforzando la loro posizione. Nuove nicchie per la fornitura di prodotti o servizi nuovi emergono continuamente e permettono alle PMI di sfruttare la loro flessibilità e capacità di muoversi più velocemente. Lo sviluppo delle GVC offre alle PMI nuove opportunità poiché permette loro di espandere l’attività di business oltre i confini, nonostante il raggiungimento di mercati internazionali sia per loro sempre un fattore critico. Il settore automobilistico, per esempio, ha vissuto una forte globalizzazione della base della fornitura con una rapida internazionalizzazione delle aziende più piccole che sono diventate fornitori chiave di secondo o addirittura di primo livello. L’assemblatore finale che apre una nuova fabbrica in una nuova area geografica, tende a spingere anche i propri fornitori a trasferirsi. L’uso dell’ICT e dei relativi servizi, inoltre, ha facilitato l’accesso delle piccole imprese a mercati fuori i confini nazionali, dando vita ad una nuova categoria delle cosiddette micromultinationals, ovvero piccole aziende che hanno sviluppato attività globali sin dalla nascita. In questo contesto di possibilità, le PMI devono tuttavia fronteggiare nuove sfide in termini di risorse manageriali e finanziarie e in termini di capacità di migliorare e proteggere la tecnologia in-house. Inoltre quei limiti strutturali tipici delle PMI - ovvero l’assenza di economie di scala necessarie a sostenere i costi di un’adeguata attività di R&S e di formazione del personale nonché l’ottemperanza alle rigide costrizioni di standard e qualità - sono considerate importanti barriere per l’ingresso delle PMI nelle GVC. Inoltre, il miglioramento della posizione di una piccola azienda nella catena del valore è spesso determinato dall’assunzione di un insieme di task più ampio e complesso. Per esempio, ai piccoli fornitori potrebbe essere richiesto di partecipare allo sviluppo di prodotto nonché di organizzare e monitorare un network di sub-fornitori, per assicurare l’ottemperanza di un set più ampio di standard e per assicurare la fornitura e la qualità a prezzi competitivi. Spunti d’azione per il MAE Come aiutare le nostre PMI a superare i limiti caratterizzanti le loro dimensioni e a sfruttare appieno le opportunità offerte dalle GVC? In considerazione delle barriere principali all’internazionalizzazione dichiarate dalle PMI, 5 le azioni da intraprendere potrebbero sintetizzarsi in tre blocchi, in qualche misura ordinati tra loro. 4 5 OECD (2012 a). OECD (2008). Roma, 4 gennaio 2013 4 di 6 Documento ad uso interno Ministero degli Affari Esteri 1. INFORMARE Le PMI, come già citato, hanno più difficoltà delle grandi imprese ad internazionalizzarsi. Le motivazioni sono molteplici e, tra le principali, emerge la difficoltà di accesso all’informazione. Da una recente indagine OCSE,6 risulta che le PMI hanno nei propri obiettivi un target geografico di internazionalizzazione molto centrato su Germania, Francia e Stati Uniti (circa il 40% delle risposte). Nonostante il Brasile occupi il quarto posto di questa classifica, la Russia il sesto, seguita da Cina, Cile e Messico, emerge che la preferenza d’internazionalizzazione è accordata prevalentemente a mercati grandi, vicini e dai modelli giuridici e imprenditoriali più simili ai nostri. E’ particolare che, chiedendo ai policy makers quali paesi risultino target per l’internazionalizzazione delle imprese del proprio paese di origine, l’ordine sia invertito rispetto alle risposte degli imprenditori e veda al primo posto la Cina, seguita da India, Brasile, Russia e ASEAN. Occorre quindi rafforzare l’informazione circa le possibilità offerte da questi mercati più lontani e certamente più difficili da penetrare, soprattutto perché caratterizzati da norme e sistemi molto diversi dai nostri. La Direzione Generale Sistema Paese, in particolare attraverso le attività dell’Ufficio I, si adopera in modo particolare per diffondere capillarmente informazioni sulle possibilità di internazionalizzazione. Ne sono un esempio: - la nuova sezione del sito esteri.it denominata infomercatiesteri, di prossimo lancio, che offre gratuitamente informazioni sui mercati e sui settori dove le imprese possono espandere con successo il proprio business; - Extender, che informa sulle gara d’appalto e fornisce early warnings sulle gare di prossima realizzazione; - Newsletter Diplomazia Economica, che diffonde informazioni utili all’internazionalizzazione delle imprese italiane. 2. FORMARE Le capacità manageriali delle PMI sono spesso contenute. Internazionalizzarsi richiede un’evoluzione delle competenze d’impresa tanto maggiore quanto più complessa è la modalità scelta e le PMI stesse dichiarano che la barriera principale all’internazionalizzazione è l’inadeguatezza (quantitativa o qualitativa) del personale dedicato alle attività di internazionalizzazione. A conferma di quanto detto, le PMI prediligono internazionalizzarsi attraverso l’esportazione, proprio perché più semplice. Al fine di sostenere le imprese nei processi di internazionalizzazione, è dunque necessario fare anche attività di formazione. La Rete del Ministero degli Affari Esteri realizza con continuità seminari su settori specifici finalizzati alla conoscenza della normativa locale in un determinato settore. Inoltre, sono in corso accordi per affiancare alcuni funzionari di medie imprese italiane ai funzionari del Ministero degli Affari Esteri al fine di accrescere mutuamente le competenze. 3. INCONTRARE Tra gli ulteriori ostacoli delle PMI all’internazionalizzazione, vi è la difficoltà di contattare consumatori/partner nei mercati esteri. Le attività del Ministero degli Affari Esteri a sostegno dell’internazionalizzazione puntano anche ad identificare le possibilità di incontro, intese sia come incontro tra domanda ed offerta di determinati beni/funzioni (match-making) che di incontro tra 6 OECD (2012 b). Roma, 4 gennaio 2013 5 di 6 Documento ad uso interno Ministero degli Affari Esteri imprenditori (B2B, business forum ed altro) e quindi costituzione di network che possano favorire lo sviluppo di relazioni di business. Riferimenti Hanson, G. H. (2012), The Rise of Middle Kingdoms: Emerging Economies in Global Trade, Journal of Economic Perspecives, Vol. 1126 (1), pp. 41-64. OECD (2008), Removing Barriers to SME Access to International Markets, OECD Centre for SMEs, Entrepreneurship and Local Development, Paris. OECD (2012 a), Draft Synthesis Report on Global Value Chains – Chapter 2. Emerging Economies in Global Value Chains, Directorate for Science, Technology and Industry, Paris. OECD (2012 b), A survey of SME Perceptions of Barriers to Access to High-Growth Markets, OECD Centre for SMEs, Entrepreneurship and Local Development, Paris. World Bank (2008), Special Economic Zones: Performances, Lessons Learned and Implications for Zone Development, FIAS Report, No 45869, Washington DC. Roma, 4 gennaio 2013 6 di 6