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Stew Leonard, genuino come dal contadino
1 • Supermercati Stew Leonard, genuino come dal contadino Essere naturali è una posa difficilissima da mantenere Oscar Wilde ai sistemi di gestione della logistica o di customer relationship management o di altre tecnologie fini a se stesse. Curano invece in modo maniacale il rapporto di fedeltà con i loro migliori clienti, a volte anche in maniera molto pittoresca. Sono, cioè, maestre nella proposizione e nello sviluppo di quelle attività molto creative che costituiscono la base per un’effettiva consumer experience. Passerò in rassegna pertanto alcuni casi rimarchevoli di un settore ritenuto maturo, quale quello dei supermercati dei prodotti di largo consumo; un settore che sembrerebbe non aver più molto da dire in termini di sviluppo, in particolare ai distributori italiani. Sottolineerò invece che, anche nel campo dei formati di vendita che possono apparire più logori, lo spazio per l’innovazione è tuttora molto ampio. Evidenzierò come queste insegne siano una dimostrazione immediata del fatto che il futuro del retail si gioca molto di più sulla capacità di vendere che non (come in un passato recente, ma sociologicamente remoto) Su Wal-Mart sono state dette molte cose: sulla sua potenza devastante e inarrestabile; sulla sua eccezionale efficienza fondata sull’uso avanzato di tutte le tecnologie più innovative; sulla capacità concorrenziale di sfruttare il lavoro pagandolo al costo minimo. In realtà negli Usa ci sono realtà distributive che continuano a prosperare indipendentemente dalla minaccia costituita dal mastodontico category killer che si è avvicinato o è entrato addirittura nei loro bacini d’attrazione. Il segreto di questa loro resistenza è semplice: rinunciando alla crescita costantemente accelerata che tanto piace a Wall Street, queste imprese hanno scelto il più delle volte di proseguire con una conduzione familiare, perseguendo imperterrite la ricerca dell’eccellenza nello store design, nel servizio e nel loro assortimento amplissimo, selettivo, fantasioso e di alta gamma. Esse non scendono quasi mai sul terreno della price competition come unico fattore distintivo. Non sono neppure entusiaste delle mode riferite 97 1 • Supermercati 1 • Supermercati didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia su quella di comprare. Il potere di mercato che consente di acquistare al prezzo più basso è ormai peculiarità esclusiva dei giganti della distribuzione del genere di Wal-Mart e di Costco. Pensare di resistere loro sul piano della vantaggiosità del prezzo è una pericolosa utopia. Pensare di distinguersi attraverso la qualità e la distintività del servizio è assai più realistico, per quanto possa risultare difficile. Possiamo partire allora dall’esempio di Stew Leonard, che ci permette di co- ritorio. Stew Leonard offre infatti (come risulta dall’affissione a grandi lettere dell’entrata): Farm Fresh Food. Da questo semplice principio discendono tutti gli altri aspetti che caratterizzano il luogo: l’idea che gli alimenti offerti transitino direttamente dal produttore al consumatore, cosicché la catena si “sente in obbligo” di svolgere i vari processi di trasformazione e preparazione sotto gli occhi del cliente che accede al punto di vendita. Roba già vista, direte. La differenza però sta nel fatto che Stew Leo- gliere con immediatezza il significato di quanto sopra accennato. Si tratta di un’insegna che comprende quattro superstore alimentari negli stati del Connecticut e di New York: nelle località di Danbury (CT), Norwalk (CT), Newington (CT) e Yonkers (NY). L’insieme di questi superstore alimentari di oltre 4.000 mq è organicamente concepito per trasferire la duplice idea del negozio di vicinato e dello spaccio aperto al pubblico di una fattoria che fa parte della tradizione del ter98 nard sr. fu il primo, o uno dei primi, a rompere la barriera che separava fisicamente i laboratori di produzione dai punti di vendita a libero servizio. Fu il primo ad adottare l’approccio della “scatola di cristallo” all’interno della quale si svolgevano operazioni sulle quali i clienti erano sollecitati a esprimere un proprio parere (ovviamente comparandole con quel che offrivano altre catene!). Già… il cliente! L’attenzione che Leonard e la sua famiglia rivendicavano co- 99 1 • Supermercati 1 • Supermercati didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 didascalia 100 e 101 me loro tratto distintivo si concretizzò anche in questo caso primi tra tutti - in un atto dimostrativo che nella sua gratuità e inutilità pratica merita di essere spiegato. Nel 1972 la proprietà fece trasportare all’entrata del supermercato di Norwalk (e poi di tutti gli altri) un blocco di granito di 3.000 kg che recava incise le due regole della catena: “N.1 - The customer is always right!” e “N.2 – If the customer is ever wrong, reread rule 1”. Banale, obietterà qualcuno. Tuttavia la forma nasconde la sostanza e tra tanti (specie italiani) che rivendicano il medesimo approccio, nessuno ha trovato il tempo e il modo di acquistare il granito, di farlo incidere e di metterlo, solo a scopo dimostrativo, nei propri luoghi di vendita. Ciò a dimostrazione che un gesto apparentemente gratuito ed esagerato può valere come vera testimonianza della determinazione a essere davvero coerenti. Ed effettivamente vige la regola che, qualora il cliente, per qualun- que ragione, non sia soddisfatto della qualità di ciò che ha comprato otterrà un rimborso immediato senza discussione alcuna. In quei primi anni ’70, l’azienda mise in atto altresì un’iniziativa che oggi si chiamerebbe pomposamente di crm. Invitò i propri clienti a farsi fotografare con la borsa dell’insegna nelle varie località del mondo organizzando una sorta di photo-sharing. Negli anni successivi avrebbe raccolto oltre 40.000 foto scattate in ogni parte del globo! Oggi la catena avviata da Stew Sr. è gestita dai suoi figli che hanno ulteriormente enfatizzato questa tradizione di pop-culture, fortemente ancorata al territorio, alla sua produzione agricola e ai valori semplici e robusti che ne derivano: produrre i migliori alimenti possibili; rispettare la correttezza commerciale tipica dell’etica protestante; sapersi divertire con le piccole, semplici cose quotidiane (nonostante il magnete costitui- 100 to dalla Grande Mela disti non più di 13 miglia!). Da qui l’importanza anche dell’inessenziale: l’essere classificati dal guinness dei primati come “la più grande latteria del mondo” oppure lo sfruttare il digital signage e internet per riprendere con la webcam le mucche del ranch dei Leonard mentre pascolano o vengono munte: altra idea semplice, ma che altri ancora non hanno messo in atto. Il punto di forza dell’insegna è infatti costituito dai latticini e dal latte fresco, un prodotto così delicato e dieteticamente importante da risultare esso stesso una garanzia di qualità per tutta l’offerta esibita. Il latte, simbolo di freschezza per eccellenza, è il punto di partenza di questa avventura imprenditoriale. Vendere senza intermediari il proprio latte, oltre a produrlo, a distribuirlo nel circuito grocery circostante, fu l’obiettivo che Stew sr. perseguì con ostinazione sino al 1969, anno in cui riuscì ad attuare una migrazione strategica verso la distribuzione del largo consumo. Tuttavia il concetto straordinariamente nuovo, in un’epoca in cui il supermercato era ancora inteso come una macchina per vendere a prezzi imbattibili a un pubblico non ancora sazio di marche e prodotti, era un altro: organizzare un punto di vendita in cui le mamme potessero rendersi conto della serietà con cui si svolgevano le fasi di lavorazione del latte e della produzione dei formaggi, mentre i bambini si divertivano con richiami ai parchi-divertimento loro dedicati. Da qui l’investimento per trovare gli spazi e per collocarvi i pupazzi animati degli animatronic che, muovendosi e cantando canzoncine, fossero in grado di sollecitare la fantasia dei più piccoli. Oppure la gestione all’esterno del punto di vendita di piccoli zoo con gli animali della fattoria. Pacchiano, kitsch sono gli aggettivi che spesso ricorrono nei giudizi espres- 101 1 • Supermercati 1 • Supermercati didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia didascalia si dai professionisti europei del settore grocery. Ciò nonostante la soluzione funziona. Per questo motivo nel 1988 Stew Leonard venne definita dal New York Times “la Disneyland dei dairy store”, l’outsider capace di mantenere un feeling speciale con una clientela che lo ripaga con una eccezionale fedeltà. Il tempo ha giocato a favore di questa piccola catena: i punti di vendita sono diventati quattro; gli occupati sono oggi circa 2.000 e il giro d’affari ha superato i 300 milioni di dollari. Dai primi pionieristici laboratori per i latticini, si è passati alla panificazione, alla tostatura, alla gastronomia, alla produzione di succhi freschi, alla pasticceria. Stew Leonard, a questo proposito, è stato uno dei primi a introdurre le stampanti alimentari per personalizzare con le fotografie dei festeggiati le torte da ricorrenza e da compleanno. La specializzazione e l’artigianalità è dunque il tratto distintivo di una catena che sposa appieno la parte migliore della mentalità commerciale americana: una dedizione, senza condizioni, alla soddisfazione del cliente. Da qui, per esempio, la pratica del “try & judge”, dell’assaggio di quasi tutto quel che è in vendita, senza alcuna pressione psicologica, come quella dei promoter; il tutto con la naturalezza invalsa tra vecchi amici. Per quanto riguarda l’assortimento la scelta è indubbiamente coraggiosa. Esso è molto più ridotto rispetto alle 30.000 sku tipiche di un grocery superstore: si attesta su poche migliaia, costituite tuttavia da private label uniche e di qualità superiore al prodotto industriale. Ne discende pertanto che anche l’estetica del luogo si ispira con genuina schiettezza al gusto popolare corrente. Predomina così il legno degli edifici e del tetto. All’edificio principale si affianca il silos 102 della “dairy farm”, del tutto inutile, a parte la sua funzione meramente simbolica. Anche gli interior sono fondati sul concetto, adottato ante litteram, dei materiali naturali, primi tra tutti i legni rustici che si integrano con i colori morbidi e terrosi dell’ambiente, in un atmosfera vivacizzata da tendoni bianchi e rossi e soprattutto dal caleidoscopio degli alimenti freschi (carni, frutta, verdure, latticini…), che essendo i veri protagonisti meritano un’illuminazione particolarmente curata. Assolutamente peculiare è poi il layout che prevede un percorso obbligato piuttosto lungo che costringe il cliente (senza che se ne accorga) a passare in rassegna tutti i prodotti deperibili; una soluzione questa che in Italia solo Esselunga ha avuto il coraggio di proporre (sia pure su scala minore). Le attenzioni e le soluzioni di merchandising e di visual display che si possono osservare in uno Stew Leonard sono molteplici, sottili e rivelatrici dell’eccezionale intuito commerciale di questa famiglia di imprenditori. Tra esse va menzionata l’area all’aperto attigua all’edificio dedicato alla vendita, dove, alla buona, come in un punto di ristoro di campagna, sotto un tendone, i clienti possono mangiare ciò che hanno acquistato o quello che viene servito loro dal food service. Chi avrà la pazienza di girovagare per le strade delle varie contee dei due stati in cui opera Stew Leonard o di percorrere le interminabili strip commerciali che conducono verso New York, lungo le quali infuria la concorrenza del tutti contro tutti messa in atto dai vari category killer, proverà dunque un certo stupore nel constatare quale enorme potenziale e quale resistenza è insita nella stravaganza oculata di questa catena. 103