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l`eta¡della seta. gelsibachicoltura e produzione della seta in
economia
e territorio
L
Á DELLA SETA.
L'ETA
GELSIBACHICOLTURA
E PRODUZIONE DELLA SETA
IN LOMBARDIA
E NEL VARESOTTO
a seta eÁ la bava secreta dal baco da seta 1,
un insetto a metamorfosi completa 2. La
larva vive sulle foglie di gelso nutrendosene. Le uova, dette semebachi, venivano conservate, dall'autunno alla primavera, tra i 12 e i
15ëC. In primavera, quando sui gelsi germogliano le prime foglie, i semebachi erano messi in
incubazione (a una temperatura di almeno
18ëC) in un sacchetto di lana che le donne tenevano in seno per dieci-quindici giorni 3, oppure sotto le coperte; chi aveva maggiore disponibilitaÁ economica poteva permettersi una sorta
di incubatrice riscaldata tramite un lume 4.
Alla schiusa dell'uovo il baco, lungo circa tre
millimetri, era posto su graticci collocati orizzontalmente uno sull'altro, alla distanza di circa
venti centimetri, sui quali venivano messe foglie
di gelso ben asciutte, perche le foglie bagnate
avrebbero fatto ammalare i bachi. Questi dovevano essere nutriti 5 (anche di notte) e curati
con assiduitaÁ data la loro salute delicata 6, mentre il loro appetito aumentava sempre di piuÁ
con l'etaÁ 7; inoltre, crescendo, i bachi avevano
bisogno di spazio maggiore e venivano dunque
trasferiti su altri graticci che occorreva tener
puliti per evitare malattie.
Il locale destinato all'allevamento richiedeva
anche di essere disinfettato. Il sistema piuÁ diffuso erano le fumigazioni con zolfo: in un secchio si mettevano delle braci e su queste si poneva lo zolfo che saturava la stanza di fumo e si
lasciava agire per diverse ore. Altri sistemi erano l'affumicatura del locale bruciandovi della
paglia bagnata oppure collocandovi blocchi di
calce viva. Infine era indispensabile imbiancare
il locale con calce, operazione che molti ripetevano tutti gli anni. L'illuminazione non doveva
essere troppo intensa e il locale andava periodicamente arieggiato badando, peroÁ, a evitare le
correnti d'aria che avrebbero nuociuto alla salute dei bachi.
Le precauzioni, comunque, non erano mai
troppe e anche il ricorso alla religione risultava
utile per garantirsi la buona salute dei bachi: le
donne partecipavano alle Rogazioni portando al
collo il sacchetto contenente le uova dei bachi,
LOMBARDIA NORD-OVEST
Gelsi e seta, un binomio produttivo
che proprio in Lombardia, a partire
dal Cinquecento, rappresentoÁ
un qualificatissimo settore dell'economia
del Ducato e che tale si mantenne nei tre
secoli successivi, pur tra alterne fortune.
I metodi e le fasi di lavorazione,
la loro evoluzione tecnica, il ruolo
che l'allevamento dei bachi e l'attivitaÁ
serica ebbero nella vita delle campagne
tra Otto e Novecento, le pesanti
condizioni di lavoro cui era costretta
una manodopera prevalentemente
femminile e minorile, le aziende
che videro la luce in numerose localitaÁ
del territorio varesino.
Alessandro Dumassi
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2/2002
Due monaci consegnano all'imperatore Giustiniano il seme
dei bachi. Incisione da Ioannes Stradano, Vermis sericus,
Anversa, 1620 circa (Civica Raccolta delle stampe
Achille Bertarelli, Milano).
oppure, questo veniva sollevato sul capo, in
chiesa, durante le celebrazioni della domenica
delle Palme. A Como, il GiovedõÁ santo, si acquistava la carta a forellini da porre sui graticci
perche si pensava che, benedetta in quel giorno,
avesse la facoltaÁ di tenere lontane le malattie del
baco. Durante la Settimana santa, in alcune
zone, era diffuso il rituale del CristeÂ: due ragazzini con una grande croce, in cambio di offerte
(dolci, frutta secca, uova o danaro), andavano
nelle varie case a cantare la Passione di Cristo,
battendo con la croce sul soffitto del locale destinato all'allevamento, cioÁ avrebbe assicurato
una buona crescita dei bachi 8. Altra usanza diffusa era di aspergere con acqua benedetta i graticci che accoglievano i bachi. Alcuni sulla porta del locale destinato all'allevamento appendevano una croce realizzata con del fieno. Anche
un lumino acceso davanti all'immagine di san
Giobbe, protettore dei bachi, era ritenuto efficace per propiziarne la crescita. Gli allevatori di
bachi di Castello (oggi nel comune di Castelveccana) si recavano sulla Rocca dove sorgeva una
Croce per far benedire i semebachi.
Alla fine di quella che viene chiamata quinta
etaÁ, il baco cominciava a secernere il filo e ad
arrampicarsi sui rami messi dagli allevatori sui
graticci, quindi, trovato un punto di suo gradi-
mento, si costruiva il bozzolo. Seguivano poi la
raccolta e, a giugno, la vendita. Da alcuni bozzoli, che venivano conservati per la riproduzione, dopo dieci giorni uscivano le farfalle; poco
dopo l'accoppiamento i maschi morivano mentre le femmine deponevano le uova, che erano
conservate al fresco per l'anno successivo.
Le crisalidi si uccidevano con la stufatura (fra
Sette e Ottocento si mettevano nel forno dopo
la cottura del pane). I bozzoli venivano poi selezionati per avere fili dello stesso diametro 9.
Successivamente si scopinava il bozzolo, ricoperto da una lanugine, per pulirlo e trovare il
capofilo che, legato all'aspo, ruotando formava
la matassa (quest'operazione si chiama trattura).
Le bave, cioeÁ i filamenti continui, possono raggiungere anche un chilometro di lunghezza 10.
Tramite l'incannatoio i fili erano trasferiti dalla
matassa a un rocchetto dal quale, attraverso una
fessura (la stribbla), passava a un altro rocchetto. Questa lavorazione, detta stracannaggio, serviva sia a pulire ulteriormente il filo sia a sciogliere eventuali nodi. Il binatoio, come suggerisce il nome, univa i fili a due a due per rendere
il filato piuÁ resistente. La torcitura 11, infine,
consisteva in un passaggio del filo dal rocchetto
all'aspo, che, provocando nel filo una torsione,
lo rinforzava ulteriormente.
La larva di una falena (Bombyx mori, famiglia delle
Bombycidae) produce il filo di seta. La larva di Bombyx
mori, comunemente detta baco da seta, eÁ stata per millenni l'unica specie allevata per produrre seta, solo nel
Novecento, a causa di un'epidemia di calcino, si comincioÁ ad allevare altre specie serigene.
2
CioeÁ attraversa gli stadi di uovo, larva, crisalide e farfalla.
3
La temperatura ideale per le uova doveva essere superiore ai 15ëC.
4
Esistevano anche appositi locali riscaldati.
5
Dalla qualitaÁ delle foglie derivano la salute del baco e la
stessa qualitaÁ della seta. Nel Settecento i gelsi venivano
lasciati crescere perche si riteneva che fossero migliori le
foglie di piante alte e forti; poi, nell'Ottocento, si cominciarono a raccogliere foglie anche da piante giovani. Per
non danneggiare la corteccia si usava la scala triangolare oppure i ragazzini salivano scalzi sulla pianta; per la
raccolta, che si faceva tra maggio e giugno, si utilizzava
un sacco, il cui orlo era tenuto aperto da un cerchio di
legno, che si appendeva a un ramo. Quando i bachi
erano ancora piccoli, le foglie venivano tritate con un
apposito attrezzo.
Le malattie principali del baco sono l'atrofia parassitaria, causata da un parassita e trasmessa ereditariamente; la `flaccidezza' che, determinata da un habitat sfavorevole, porta alla morte dei bachi; il `giallume', che causa
un ingiallimento della pelle del baco che in seguito si
stacca; il calcino che provoca una specie di calcificazione degli organi interni dei bachi e la loro morte.
7
Un baco riesce a mangiare un quantitativo di foglie
triturate pari a venti volte il suo peso.
8
Il rito del Criste aveva numerose varianti, ma la sostanza restava immutata: talvolta i ragazzini non erano due
ma tre o cinque, a volte anziche una croce portavano un
bastone cui era attaccata una corona di rami di mirto,
oppure un ramo di palma (croce, ramo o bastone che
fosse, dopo il rito non veniva mai buttato ma bruciato).
9
I bozzoli imperfetti erano utilizzati per ricavare una seta
di scarto per tessuti di qualitaÁ molto modesta.
10
Per ottenere 1 chilogrammo di seta occorrono oltre 10
chili di bozzoli.
11
I torcitoi erano macchine di grandi dimensioni e gli
edifici che le ospitavano potevano essere alti anche cinque piani.
1
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LOMBARDIA NORD-OVEST
I tipi di filato che era possibile produrre erano quattro: il creÃpe, l'organzino, il ritorto singolo
e il ritorto per trama. Il creÃpe si ottiene accoppiando e torcendo piuÁ fili, le torsioni sono due,
una in un senso, l'altra nel senso opposto, la
torsione eÁ fra 16 e 32 giri per centimetro. L'organzino eÁ simile al creÃpe, ma la torsione eÁ di soli
4 giri per centimetro. Il ritorto singolo si ottiene
torcendo i fili di seta in un solo senso, il numero
di torsioni eÁ variabile e da questo dipende la
qualitaÁ del filato. Di solito, il creÃpe eÁ impiegato
per produrre tessuti crespati, l'organzino eÁ utilizzato per realizzare l'ordito dei tessuti, mentre
col filato ritorto si ricava la trama dei tessuti.
Con il ritorto singolo si ottengono tessuti lisci e
molto leggeri.
Per la lavorazione era necessaria l'acqua,
dunque la filanda sorgeva relativamente vicina
a un corso d'acqua dal quale era derivata verso
gli impianti. L'acqua serviva sia come forza motrice per il funzionamento della filanda sia per
ammollare i bozzoli e, trasformata in vapore 12,
per mantenere calda l'acqua delle bacinelle
dove questi si srotolavano.
12
La caldaia a vapore fu introdotta verso la fine dell'Ottocento e sostituõÁ le bacinelle a fuoco diretto. Queste
ultime erano poste su un piccolo fornello in muratura e
il fuoco era controllato da un operaio, il fuochino; il passaggio al riscaldamento dell'acqua tramite vapore fece sõÁ
che i fuochini fossero sostituiti da un solo fuochista che
teneva sotto controllo la caldaia, questa era in grado di
scaldare l'acqua di numerose bacinelle contemporaneamente. I fornelli industriali garantivano, inoltre, una produzione costante sia dal punto di vista qualitativo che
quantitativo e la loro concorrenza fece quasi scomparire
i fornelli domestici.
LOMBARDIA NORD-OVEST
LE ORIGINI E GLI SVILUPPI
Sono diverse le leggende sull'allevamento dei
bachi e la produzione di seta: una attribuisce
il merito all'imperatore cinese Fuxi, un'altra all'imperatore Shennong, una terza vuole che a
iniziare l'allevamento del baco sia stata Si-LingSci, moglie dell'imperatore cinese Hoang-Ti,
vissuto circa 2600 anni prima di Cristo, la quale
fece prelevare i bachi dai gelsi, li fece nutrire
con le foglie di questi alberi e trovoÁ il sistema
per srotolare il bozzolo e per filare la seta. I
cinesi sono stati, con gli indiani, i primi a dedicarsi all'allevamento dei bachi e alla produzione
del prezioso tessuto. I ritrovamenti archeologici
dimostrano questa attivitaÁ sotto la dinastia
Shang (XIII-XII secolo a.C.). La seta era cono-
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Sistemazione dei bachi sui graticci e rinnovamento delle foglie
di gelso. Incisione da Vermis sericus, cit. (Civica Raccolta
delle stampe Achille Bertarelli, Milano).
sciuta dai romani, i patrizi l'apprezzavano non
solo per le sue caratteristiche ma anche per il
fascino esotico e misterioso della sua fabbricazione.
Intorno al 552 d.C. due monaci basiliani parlarono dei bachi da seta, visti in Siria, all'imperatore Giustiniano (482-565) che, secondo la
tradizione, li incaricoÁ di trafugarne alcuni esemplari, portati poi a Bisanzio nascosti nel cavo di
un bastone. L'interesse dell'imperatore si spiega
con l'alto prezzo della seta dovuto alle spese di
trasporto, ai rischi che questo comportava, alle
varie tassazioni cui era sottoposto il prodotto e
ai vari passaggi da un intermediario all'altro.
La regione italiana che, per prima, comincioÁ
ad allevare bachi fu, nel XII secolo, la Sicilia 13,
dove furono introdotti da re Ruggero (10951154) che ne era venuto a conoscenza in Grecia 14. La produzione di seta fu protetta dal monopolio statale a partire dal 1231 fino ai tempi
di Federico II di Svevia, poi questa attivitaÁ venne praticata in Calabria, Toscana, Veneto e
Lombardia. In Lombardia la filatura fu introdotta da Filippo Maria Visconti che chiamoÁ
artigiani toscani, fra questi Pietro De Bartolo,
ai quali concesse privilegi a patto che avviassero
nel Ducato la produzione della seta. Nel 1471
Galeazzo Maria Sforza, per dare impulso alla
bachicoltura, ordinoÁ che si piantassero cinque
alberi di gelso ogni dieci pertiche di terreno.
Ma fu Ludovico Sforza a incentivare piuÁ di tutti
la gelsicoltura nell'intero territorio del Ducato
di Milano. La tradizione vuole che il soprannome `il Moro' derivi dalla mora del gelso e pare
che una foglia di gelso fosse il suo simbolo.
Gelsicoltura, bachicoltura e lavorazione della
seta trovarono un ambiente favorevole anche
per la grande disponibilitaÁ d'acqua, necessaria
per le varie fasi della lavorazione e per far funzionare le ruote dei mulini che azionarono le
macchine fino all'avvento del vapore. La qualitaÁ
del prodotto lombardo raggiunse livelli notevoli, tanto che i mercati esteri esigevano che le
ricercate sete italiane (non solo lombarde) avessero una certificazione d'autenticitaÁ. Il perno
intorno a cui ruotava tutto il processo produttivo era il mercante che gestiva le diverse fasi di
produzione trattando con allevatori, artigiani e
maestri 15. La produzione di seta, florida nel
XVI secolo 16 (ai primi del Cinquecento in Italia
si calcola che fossero attivi intorno ai 14.000
telai, circa il 70 per cento di quelli europei),
entroÁ in crisi nel secolo successivo durante la
dominazione spagnola, quando numerosi tessitori emigrarono in Francia, attirati dai privilegi
loro concessi. Fra le cause della crisi va ricordata anche la difficoltaÁ a reggere la concorrenza
dei drappi, specialmente operati, prodotti a
Lione, dove Dangon aveva inventato il telaio aÁ
la grande tire (perfezionato poi da Galantier)
che permetteva di realizzare tessuti piuÁ complessi in minor tempo, abbassando i costi di
produzione.
Nel XVIII secolo il mercato riprese vivacitaÁ,
ogni centro produttore si specializzoÁ nella produzione di un particolare tipo di tessuto serico,
continuando un processo iniziato nel Seicento.
L'esportazione dall'Italia si indirizzoÁ verso vari
mercati fra i quali l'Europa centro-orientale e
l'Impero Ottomano, mentre l'esportazione verso i porti di Lisbona e Cadice fa ipotizzare che
anche le colonie americane richiedessero tessuti
pregiati. In questo secolo la produzione si diffuse anche nei centri minori e il fenomeno fu
particolarmente sensibile nelle terre appartenenti al Ducato di Milano, fra le quali Varese.
La piuÁ antica attestazione dell'impiego delle foglie di
gelso per l'allevamento del baco da seta risale al 1036.
14
I primi artigiani al servizio di Ruggero II erano greci di
Atene, Corinto e Tebe.
15
Questo sistema produttivo, in cui le varie lavorazioni
erano svolte in luoghi diversi da persone che operavano
indipendentemente l'una dall'altra, continuoÁ fino all'avvento della fabbrica.
16
Pare che i primi veri imprenditori in questo settore siano stati Pietro Boldoni, che nel 1510 impiantoÁ il primo
filatoio, e Pagano Merino, al quale si deve la prima manifattura di drappi in seta, fondata nel 1554. Entrambi
operarono nel Comasco. Nel XVI secolo nella trattura e
nella torcitura erano impiegate nel Ducato cinquantamila
persone.
13
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LOMBARDIA NORD-OVEST
I tessuti prodotti erano soprattutto quelli lisci,
per evitare di confrontarsi con l'agguerrita concorrenza lionese che continuava a prevalere nella produzione di tessuti operati.
Il governo austriaco cercoÁ di far risorgere la
produzione serica in Lombardia 17 concedendo
agevolazioni fiscali ai bachicoltori e sviluppando a corte e presso i ceti piuÁ alti l'uso della seta.
Se la tessitura della seta risentiva della concorrenza francese, la richiesta estera di seta grezza
incentivava la bachicoltura e alcune lavorazioni
come la trattura e la torcitura. Uno degli obiettivi dell'amministrazione austriaca era produrre
in Lombardia la seta che la regione importava
da altri Stati (Inghilterra, Francia, Paesi Bassi),
pertanto, per favorire lo sviluppo delle industrie, fra le varie agevolazioni concesse vi fu
l'abolizione dei dazi che diede impulso ai commerci fra Lombardia e Germania (con la seta,
grezza e ritorta, al primo posto fra le merci
esportate). Anche alcuni imprenditori elvetici,
attirati dalle facilitazioni fiscali, impiantarono
filande in Lombardia 18. Nelle zone rurali, in
questo secolo si registroÁ un incremento dei gelsi 19, specialmente in collina, dove le condizioni
ambientali sono piuÁ adatte alla gelsicoltura rispetto alle zone di pianura troppo umide 20.
Specialmente nella seconda metaÁ del Settecento
la produzione di foglie di gelso aumentoÁ 21, tanto che in diverse zone della Lombardia si pensoÁ
di abolire il divieto di esportazione della foglia.
Anche per le foglie di gelso c'era un mercato
e le donne erano molto abili nella loro pulizia,
che consisteva nel togliere le more; in media,
una donna esperta in un giorno riusciva a pulire
fra i 70 e i 100 chili di foglie. Quando la famiglia contadina non era occupata nei lavori agricoli s'impegnava nella produzione di seta; a ge-
17
La produzione di seta, florida nel XVI secolo, era entrata in crisi nel secolo successivo durante la dominazione spagnola.
18
La famiglia Abegg impiantoÁ molti setifici, uno dei quali
a Garlate, in provincia di Como.
19
In Italia, nella seconda metaÁ del XIX secolo, vi erano
circa sessanta milioni di gelsi.
20
Il gelso andava preferibilmente piantato in un luogo
elevato, asciutto e ben ventilato.
21
Una delle zone della Lombardia con la maggior produzione di foglie di gelso era la Brianza; come indicano le
tavole del Catasto teresiano, la presenza dei gelsi in
quest'area era percentualmente superiore al resto della
Lombardia.
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Filatura della seta dai bozzoli. Incisione da Vermicus sericus,
cit. (Civica Raccolta delle stampe Achille Bertarelli, Milano).
stire questa attivitaÁ casalinga provvedevano i
mercanti che, a seconda dei casi, potevano acquistare il prodotto dai contadini o intervenire
piuÁ direttamente fornendo materia prima e
mezzi di produzione (a Busto Arsizio, ad esempio, i mercanti gestivano la produzione di circa
seicento telai fra quelli presenti in cittaÁ e nei
dintorni).
Verso la metaÁ del Settecento, sia per usufruire della manodopera contadina, piuÁ conveniente di quella cittadina, sia per sfruttare l'energia
idraulica, la fabbricazione della seta tese a spostarsi dalle cittaÁ verso le aree agricole. Nell'area
del Ticino l'industria tessile, nella fattispecie
quella serica, fu l'elemento trainante nel processo di industrializzazione, la diffusione della bachicoltura stimoloÁ la nascita di filatoi che impiegavano l'energia idraulica come forza motrice collegando la ruota idraulica all'albero del
filatoio. Nell'ultimo ventennio del XVIII secolo
aumentarono tanto il numero dei filatoi quanto
la loro capacitaÁ produttiva; dai rapporti del
consigliere De La Tour e del regio visitatore
Odescalchi, Varese eÁ fra i centri ove si registrarono l'aumento dei telai e l'incremento della
loro produttivitaÁ. Varie iniziative, inoltre, tesero
a migliorare le tecniche di allevamento dei bozzoli e di produzione della seta: la SocietaÁ Patriottica, tramite opuscoli, cercoÁ di diffondere
tra gli allevatori metodi razionali per l'allevamento dei bachi (per esempio il calore artificiale e l'uso del termometro) e di incentivare l'uso
di fornelli piuÁ efficienti.
Nel periodo napoleonico (1796-1814) la situazione andoÁ peggiorando sia per le distruzioni dell'esercito d'Oltralpe che per l'interesse dei
francesi a favorire la loro produzione nazionale.
Nel 1802 il prefetto del dipartimento del Lario,
volendo individuare le cause della modesta qualitaÁ della seta prodotta in zona, rilevoÁ la cattiva
lavorazione dei bozzoli, la mediocre qualitaÁ del
tessuto e i tentativi di nascondere i difetti del
prodotto o di aumentarne artificiosamente il
peso. La situazione miglioroÁ, in parte, col ritorno degli austriaci.
Alla metaÁ dell'Ottocento in Lombardia l'in2/2002
dustria tessile era particolarmente sviluppata:
Varese, Busto Arsizio, Gallarate ma anche Milano e Como erano importanti centri produttori
di seta e di cotone. Sempre nel corso dell'Ottocento e nella prima metaÁ del Novecento migliorarono le conoscenze scientifiche e furono messe a punto nuove tecniche per allevare i bachi.
A Como giaÁ nel XVIII secolo la `Camera Mercantile' offriva assistenza tecnica e commerciale; nel 1802 questo ente fu sostituito dalla `Camera Primaria di Commercio Arti e Manifatture del Dipartimento del Lario'; ma anche altri
enti operavano nel settore, fra questi la `SocietaÁ
40
LOMBARDIA NORD-OVEST
dieri, nel 1871, il deputato Luigi Luzzatti, futuro ministro dell'Agricoltura nel 1909, istituõÁ a
Padova la `Stazione bacologica sperimentale' le
cui finalitaÁ erano la conservazione e il miglioramento delle razze del baco e il coordinamento
delle attivitaÁ di ricerca legate alla gelsicoltura e
alla bachicoltura. A Milano venne fondata l'`Associazione Serica Italiana', che si occupava dell'acquisto dei bozzoli per rifornire le varie
aziende. Nella seconda metaÁ dell'Ottocento,
in Brianza, l'ingegner G. Susani creoÁ un istituto
bacologico con lo scopo di selezionare razze di
bachi piuÁ resistenti alle malattie.
d'Incoraggiamento d'Arti e Mestieri di Milano'
che, in collaborazione con l'Amministrazione
comunale di Como, organizzava corsi di formazione per operai serici. Nel 1854 per assicurare
uno standard qualitativo migliore sorse lo `Stabilimento per la stagionatura e assaggio delle
sete'. Dopo il 1859 (che vide la II guerra d'Indipendenza e l'annessione della Lombardia al
Regno di Sardegna) fu istituita la `Scuola di
Setificio' con lo scopo di formare personale
specializzato.
Per migliorare la qualitaÁ e le tecniche, andando incontro alle esigenze di bachicoltori e filanLOMBARDIA NORD-OVEST
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La diffusione della gelsibachicoltura e delle filande deriva dal ruolo di `integratori di reddito'
di queste attivitaÁ. Gli allevatori selezionarono
razze pregiate con le quali si poteva ottenere
seta di buona qualitaÁ 22 che avrebbe spuntato
prezzi migliori sul mercato. Quasi tutte le famiglie contadine avevano dei gelsi, indispensabili
per l'allevamento del baco 23.
GiaÁ nel 1769, da una relazione presentata all'imperatore Giuseppe II, risulta una filanda a
Porto Valtravaglia: pare che fosse l'unica presente nella zona, fondata da Giovanni Mellerio.
La presenza della filanda eÁ riconfermata agli
inizi del XIX secolo dall'economista e filosofo
Melchiorre Gioia che parla di filande a Castello
Cabiaglio e a Porto Valtravaglia (localitaÁ, questa, dove la filanda eÁ segnalata, per l'ultima volta, nel 1803; dal 1926 vi saraÁ una tessitura di seta
artificiale, la Telsa, attiva fino al 1985); a Castelveccana, nella frazione San Pietro, vi eÁ la cosiddetta `Filandina'. Nel 1857 sono attestate filature di seta ad Angera (la Simonelli e la Vedani), a
Laveno (la filatura Tinelli che occupa solo personale femminile), a Germignaga (filatoio Huber e Comp. che occupava duecento operaie), a
Voldomino (Luino), a Maccagno. Ancora nel
1863, Ezechiele Zanzi afferma che la filatura
della seta eÁ una delle piuÁ importanti attivitaÁ industriali del circondario di Varese. Nello stesso
anno a Germignaga eÁ presente la seteria Bozzotti; a Besozzo, nel 1864, eÁ attiva una filatura di
seta; nel 1868 a Creva (Luino), utilizzando le
preesistenti strutture di due mulini e una fornace, viene realizzato l'impianto della tessitura
Hussy; ancora a Creva, nel 1872, viene fondata
la `Tessitura Steiner' 24; nello stesso anno a Mac-
cagno eÁ presente un filatoio (di proprietaÁ di
Francesco Branca); a Barasso nel 1872 vi eÁ la
filanda De Giorgi (attiva fino al 1945), ma prima di questa c'era la filanda Talacchini (parte
della seta lavorata a Barasso era prodotta nelle
filande di Gavirate, Comerio, Bodio e Intra).
Utilizzando il canale di un mulino in disuso
che derivava le acque dal torrente Margorabbia,
nei pressi di Mesenzana, nel 1874 la ditta Bordet-Decauville impiantoÁ un setificio. In questo
caso eÁ interessante notare che nella concessione
si precisava che l'acqua doveva utilizzarsi solo
ed esclusivamente per il setificio. Nel 1884 a
Sesto Calende eÁ attivo il setificio Pietro Maradet - Stefano Dell'Ora con 120 lavoratori. Nel
1894 sono presenti tratture di seta ad Abbiate
Guazzone, Albizzate, Azzate, una torcitura di
seta a Caronno Ghiringhello (oggi Varesino),
una tessitura di nastri in seta a Cassano Magnago, tessiture a Morazzone e (due) a Tradate; nel
1896 a Sesto vi eÁ l'incannatoio di Augusto Gilbert & C. Fra la seconda metaÁ dell'Ottocento e
la prima metaÁ del Novecento a Ispra sono attive
una torcitura e una tessitura di seta; a Germignaga e a Luino compare varie volte il nome
Stehly, talvolta associato ad altri (Stehly e Bodmer, Stehly & C., Stehly Prassede). Nel 1924,
fra le ditte aderenti alla `Federazione Industriali
del Gallaratese', sono, a Morazzone, la `Tessitura di Morazzone G. Tronconi' che, fra l'altro,
produceva ``fantasie seta''; a Cassano Magnago,
la ditta `Fratelli Bossi' confezionava anche scialli ricamati in seta; nel 1928 a Barasso si ha notizia di una produzione e vendita di semebachi e
bozzoli. Nel 1940, la ditta Hussy, con stabilimenti a Cassano Magnago e Luino, produceva
anche tessuti di seta; a Tradate la `Tessilraion'
fabbricava altresõÁ ``misti con seta'', e la `Crespi
Porro G.' anche abiti e foderami in seta pura.
22
Si riteneva che la seta di qualitaÁ migliore fosse quella
ricavata dai bozzoli piuÁ consistenti e piuÁ chiari.
23
Il baco predilige le foglie del gelso bianco (Morus alba),
un albero, originario dell'Asia, che vive a lungo raggiungendo anche i dieci metri di altezza. Fu introdotto in
Europa dagli arabi; la sua diffusione in Italia ebbe inizio
nel Meridione. Appartiene alla famiglia delle moracee, ha
il fusto eretto molto ramificato, le foglie lobate hanno le
nervature e la pagina inferiore coperte da una specie di
lanugine e, oltre che per l'alimentazione dei bachi, sono
impiegate anche per quella dei bovini.
24
La crescita demografica della frazione di Creva viene
spiegata proprio con l'apertura di questi stabilimenti e il
conseguente trasferimento dei dipendenti in tale localitaÁ.
LA LAVORAZIONE DELLA SETA
NEL VARESOTTO
2/2002
42
LOMBARDIA NORD-OVEST
Da uno scritto di Ezechiele Zanzi, segretario
del Comitato varesino per l'Esposizione industriale di Firenze del 1861, emerge che il lavoro
in filanda era, se si escludono i ragazzini, esclusivamente femminile ed era svolto solo in una
parte dell'anno come attivitaÁ complementare
affiancata al lavoro agricolo. PoicheÂ, in linea
di massima, le mansioni in filanda non richiedevano una preparazione particolare e potevano essere svolte da chiunque, i datori di lavoro
non avevano difficoltaÁ a reperire manodopera 25. Nel periodo in cui andava diffondendosi
il sistema di fabbrica, le esigenze della produzione erano inoltre considerate prioritarie rispetto alle esigenze dei lavoratori, e le filande
senza finestre per proteggere i colori, a danno
della salute delle operaie, sono solo un esempio.
Latrine, mense e dormitori, poi, erano insufficienti e poco igienici.
Da un'indagine promossa nel 1873 dalla Camera di Commercio di Varese riguardante le
filande della Valcuvia, si puoÁ dedurre quali fossero le condizioni di lavoro: le operaie avevano
dai dieci ai vent'anni, erano impiegati anche
bambini a partire dai sette anni, l'orario era
particolarmente gravoso, intorno alle dodicitredici ore, che in estate potevano arrivare a
quindici: si cominciava intorno alle quattro
del mattino e si lavorava in piedi. Data la lunghezza dell'orario lavorativo, le operaie che risiedevano lontano dalla filanda dormivano sul
posto e lõÁ mangiavano, un vitto costituito da
zuppe, polenta, minestre. Le paghe, inoltre,
erano basse e di gran lunga inferiori alle retribuzioni di un operaio maschio adulto.
L'odore derivante dalle lavorazioni era sgradevole e le operaie contraevano diverse malattie
professionali 26: come forme reumatiche, artrosi
ossea, geloni, rachitismo. L'ambiente era molto
umido per via dell'acqua calda usata nella lavorazione e anche percheÂ, per evitare che le correnti d'aria spostassero i fili negli aspi, le finestre venivano tenute chiuse e talvolta, come accennato, non esistevano addirittura, per evitare
che la luce facesse perdere brillantezza ai tessuti. Mancavano le strutture igieniche, tanto che
la realizzazione, nel 1875, presso la ditta Bozzotti a Germignaga, di una latrina per i dipendenti fu un caso eccezionale. In alcune filande
dotate di servizi era previsto un sorvegliante
che vigilasse affinche le operaie non vi si trattenessero a lungo.
Le matasse di seta grezza venivano controllate
e se il lavoro non corrispondeva a quanto previsto dalla ditta la lavoratrice veniva multata, la
sanzione poteva ammontare anche a metaÁ del
salario; in alcune filande si applicava altresõÁ la
sospensione dal lavoro, con conseguenze facilmente intuibili per un'economia familiare giaÁ
piuttosto precaria. Ai piuÁ piccoli erano inflitte
anche punizioni fisiche. Non era previsto il congedo per maternitaÁ e si continuava a lavorare
fino a poco prima del parto; ne esistevano congedo e permessi per l'allattamento, e i neonati
facevano la loro poppata in un apposito locale
della filanda. Il fatto che le operaie, di solito,
cantassero durante il lavoro era incentivato dai
padroni non perche il canto desse sollievo alle
filandere ma perche se queste cantavano non
c'era il rischio che si distraessero chiacchierando, tanto che, spesso, erano proprio le operaie
`di fiducia' del datore di lavoro a guidare il canto.
25
La condizione delle giovani operaie, le loro motivazioni, le loro speranze sono compendiate nei versi di una
delle canzoni piuÁ note. La Canzon della filandera, molto
nota perche l'editore Giulio Ricordi la diffuse tramite fogli
stampati. Il testo, che in originale eÁ in dialetto, reso in
italiano, recita cosõÁ: ``Io vado in filanda perche sono povera: / Io vado in filanda per guadagnare; / Io vado in
filanda perche sono giovane, / Perche ho voglia di lavorare / [...] / Il mio fidanzato, dove lui sia / Io non lo so
affatto ± ma lui torneraÁ. / Io lo aspetteroÁ fino a che potroÁ; /
Ma se lui mi mancheraÁ ± se lui non tornasse; / A me non
importa! Io gliela faccio... / Sposo un altro per consolarmi! / [...]''.
26
Da un'inchiesta del 1877, tra le fabbriche piuÁ insalubri
(fra cui concerie, fabbriche di fiammiferi e cartiere) figurano anche le filande. Nella canzone A la mattin bonora
si invitano i giovani a non badare all'aspetto delle ragazze abbrutite dalla fatica e dai vapori della filanda.
LE CONDIZIONI DI LAVORO
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``Incannatojo - DeÂvidage'' e ``Filato - AppreÃt'', incisioni
dalla pubblicazione a scopo pubblicitario di L. Magrini, Setifici
del Nob. Sig. Alberto Keller in Mandello e Villanovetta, Milano,
1859 (Civica Raccolta delle stampe Achille Bertarelli, Milano).
1895-96, una maestra elementare notava che
molte alunne, a partire dalla primavera, si assentavano per andare a lavorare nella locale
filanda; anche nell'anno scolastico 1897-98, nel-
Quando nel 1871 fu promulgata una legge a
tutela del lavoro minorile i filandieri della circoscrizione di Varese chiesero che la legge venisse abrogata poiche il lavoro dell'operaia adulta e della minore erano strettamente connesse e,
a loro avviso, non era possibile organizzarlo con
turni differenti ne si potevano organizzare doppi turni per la carenza di mano d'opera: cosõÁ
l'orario di lavoro di dodici ore fu mantenuto e
venne ridotto solo in conseguenza degli scioperi
di fine Ottocento 27. Nel 1873 nella provincia di
Como risultavano impiegati nelle filande 7997
minori, l'etaÁ massima dei quali non superava i
dodici anni. Ad Albizzate, nell'anno scolastico
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Se la legge del 1886 vietava il lavoro notturno ai minori
di dodici anni e lo limitava a sole sei ore per i ragazzi di
etaÁ superiore a dodici anni, gli escamotage per aggirarla
furono molti (uno per tutti: tramite accordi fra diversi imprenditori e con il consenso dei ragazzi, costretti dalla
necessitaÁ, si riusciva ad allungare la giornata lavorativa
facendoli lavorare per turni di sei ore in diversi luoghi di
lavoro). Quando a Milano nel 1895 si tenne il I Congresso sugli infortuni del lavoro si chiese, fra l'altro: che i
datori di lavoro fornissero ai loro dipendenti idonei mezzi
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lo stesso periodo, si registrarono molte assenze,
e la maestra, accanto al nome delle alunne assenti, annotoÁ ``andata in filanda''. Solo nel 1902
si ebbe una nuova legge migliorativa sul lavoro
delle donne e dei fanciulli.
Nel settore serico sono noti scioperi giaÁ a
partire dal XVIII secolo quando, nel 1780 a
Como, manifestarono i tessitori; dopo gli scioperi che si ebbero nel Varesotto nel 1887 le
operaie ottennero un aumento del 10 per cento.
Nel 1907 entrarono in agitazione le operaie della filanda di Albizzate, seguite dalle lavoratrici
della Rosemund di Sumirago che aderirono allo
sciopero; il sottoprefetto di Gallarate fece intervenire i carabinieri, all'arrivo dei quali la tensione salõÁ e ne derivarono disordini. La situazione tornoÁ alla normalitaÁ quando, grazie anche
alla mediazione della Camera del Lavoro, le
operaie videro accolte le loro richieste (giornata
lavorativa ridotta da undici a dieci ore e mezza
e aumento giornaliero di dieci centesimi).
alla metaÁ degli anni Ottanta si eÁ verificato un
aumento della produzione che ha raggiunto i 68
milioni di chili.
L'abbandono della bachicoltura in Italia eÁ
dipeso da vari fattori, fra i quali l'alto costo
della manodopera e un'infestazione di Hyphantria cunea, una piccola farfalla bianca la cui
larva eÁ un vorace distruttore di foglie di gelso.
Non bisogna poi dimenticare il rapido mutamento socio-economico verificatosi nell'Italia
del dopoguerra, quando lo sviluppo industriale,
soprattutto nel Nord-Ovest, ha provocato fra
l'altro un aumento del costo della manodopera
che ha reso la seta italiana non piuÁ competitiva
rispetto a quella proveniente dall'Asia. La produzione comasca, oggi, si occupa principalmente della confezione di capi che, da circa un
secolo, riscuotono successo in tutto il mondo.
LA DECADENZA
Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento furono inventati procedimenti per la produzione di filati di origine vegetale che per bellezza erano in grado di competere con la seta 28.
In provincia di Varese si continuoÁ ancora ad
allevare bachi, fino a dopo la seconda guerra
mondiale, quando l'attivitaÁ cessoÁ.
Dopo il conflitto si eÁ registrata una generale
diminuzione della produzione di seta a vantaggio delle fibre artificiali: la produzione mondiale di seta eÁ calata dai 59 milioni di chilogrammi
del 1940 ai 19 milioni del 1950; solo intorno
di protezione, che operai membri del collegio dei probiviri
potessero ispezionare i luoghi di lavoro, che l'orario di
lavoro delle donne fosse ridotto a otto o cinque ore a
seconda dell'ambiente in cui esse operavano, che non
si impiegassero donne in lavori pericolosi o comunque
dannosi per la salute, che fosse obbligatoria l'astensione
dal lavoro nell'ultimo mese di gravidanza e nel primo
mese di puerperio, che non fosse consentito il lavoro
notturno alle donne. Con la crisi degli anni Trenta e il
conseguente aumento della disoccupazione, le richieste
LOMBARDIA NORD-OVEST
dei lavoratori si ridimensionarono, non solo dal punto di
vista salariale ma anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro, con un considerevole aumento degli infortuni.
28
La seta artificiale (cosõÁ chiamata per la somiglianza del
filato alla vera seta) fu prodotta nel 1884 da Hilaire Chardonnett, che la ottenne dalla cellulosa di diversi tipi di
legno; il prodotto assunse, poi, il nome commerciale di
rayon.
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Particolari del frontespizio dell'opera di Ioannis Stradano
Vermis Sericus, cit. (Civica Raccolta delle stampe
Achille Bertarelli, Milano).
assottigliato alle estremitaÁ, serviva per avvolgervi le fibre tessili dopo che queste, arrotolate insieme, avevano formato un filo unico.
L'incannatoio a mano eÁ costituito da una ruota
che viene fatta girare a mano, il moto rotatorio fa
ruotare i fusi, dove si trova il rocchetto. Con questa operazione si passa il filo dalla matassa al
rocchetto.
La matassatrice a mano eÁ un semplice attrezzo su cui vengono posti i rocchetti, dai quali il filo
viene avvolto intorno a un arcolaio, realizzando
cosõÁ le matasse.
Nell'orditoio orizzontale i fili vengono fatti passare da una parte all'altra dell'intelaiatura, mantenendoli in posizione alternata e girandoli attorno ai pioli per la lunghezza prestabilita. I passaggi devono essere tanti quanti i fili che si vogliono
inserire nell'ordito.
Per l'allevamento dei bachi si usava il palco da
bachi, una sorta di scaffale con alcuni ripiani consistenti in un graticcio fatto con listelli di legno; su
ogni graticcio si mettevano le foglie di gelso di cui
si alimentavano i bachi. Un ripiano era riservato
ai bachi che avevano giaÁ fatto il bozzolo.
Il piegatoio serve ad avvolgere, con il rastrello,
i fili intorno al subbio, in modo che questi siano
disposti verticalmente per la lavorazione al telaio.
Lo sgabello in realtaÁ eÁ una puleggia mossa da
una manovella. Per evitare che si muova durante
il lavoro le si pone a fianco una pietra con funzione di contrappeso. La puleggia mette in movimento l'aspo.
Il telaio a bottoni veniva impiegato per produrre tessuti operati, un sistema di cordicelle che
avevano un bottone all'estremitaÁ permetteva al
tessitore di sollevare contemporaneamente piuÁ
fili di ordito in modo da formare, col filo di trama, i
disegni desiderati.
Il telaio a jacquard era in uso giaÁ nella prima
metaÁ dell'Ottocento, si basa su un principio simile a quello dei computer a schede perforate. I
fili sono attaccati agli arpini che, a loro volta,
sono divisi da un pettine; il disegno jacquard si
trova sopra gli arpini.
Il telaio a ratiera ha in alto la ratiera da cui
scendono dei fili che sono attaccati ai licci, i quali
sono tenuti fermi da molle attaccate ad assi. I licci
LE MANSIONI IN FILANDA
Il direttore sovrintendeva a tutte le fasi della produzione.
Le filiere si occupavano della trattura.
Il fuochista controllava la caldaia che riscaldava i fornelli.
Le maestre erano le operaie esperte, con piuÁ
responsabilitaÁ riguardo la qualitaÁ del prodotto.
Le proviniere controllavano la qualitaÁ del filato.
Le scuinere, con lo scopino, agitavano i bozzoli per trovare il capofilo.
Le serve di filatura erano le bambine impiegate
per compiti vari, fra cui quello di aiutare le maestre.
Le tachere giravano l'aspo.
LE ATTREZZATURE
L'aspo a mano eÁ costituito da un bastone nel
quale sono inseriti due legni perpendicolari e,
in appositi incastri, due traversine. Il bastone
viene tenuto con una sola mano mentre con l'altra si fanno compiere dei movimenti con i quali il
filato viene ridotto in matassa. Disporre il filato in
matassa rende piuÁ facili operazioni quali il lavaggio, lo sgrassaggio e la tintura.
L'aspo meccanico consiste in un albero verticale con dei bracci, sostenuto da una struttura
composta da quattro montanti, viene azionato
dallo sgabello e girando avvolge i fili della cantra.
La cantra eÁ una sorta di rastrelliera sulla quale
vengono posti i rocchetti. Facendo girare l'aspo,
i fili dei rocchetti vengono avvolti sulla giostra,
intrecciati e poi sistemati sul piegatoio.
Il fuso, un arnese di legno panciuto al centro e
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divaricano i fili dell'ordito, tenuti tesi da contrappesi e avvolti nel subbio (mentre i fili sono tenuti
aperti, passa la navetta nella quale eÁ avvolta la
trama). I fili vengono fatti penetrare attraverso le
maglie dei licci e il pettine, cosõÁ diventano tessuto che viene poi avvolto in un altro subbio.
Col torcitore a mano si realizzavano cordoni e
cordoncini per guarnire bordi di coperte o tende.
Il `cuore' della macchina eÁ un elemento dentato
che, tramite anelli mossi da una manovella, gira
attorcigliando i fili fino a quando non diventano
ben tesi.
La virgolina avvolge la trama di scarto in fili di
rayon, cosõÁ da ottenere una colorazione piuÁ viva.
La trama di scarto eÁ collocata nella zona inferiore della macchina, nella parte mediana sono poste le rocche con il filo sintetico colorato, il nuovo
filato viene raccolto in rocche di legno poste sulla parte superiore della virgolina.
L'attrezzatura necessaria per la lavorazione
della seta non si ferma qui, un manifesto pubblicitario della ditta Giulio Chiesa di Torino illustra
quasi cento articoli per filande e filatoi, fra questi:
rotelline in alluminio, in alluminio con raggi rivestiti in alluminio, con raggi in vetro e i lati rivestiti in
alluminio, in legno di bosso con i raggi di vetro e
d'alluminio, in legno-vetro con i raggi cuciti con
filo d'ottone e cotte nell'olio; rocchetti porta-fili;
porta-rotelline; cuscinetti; bussole; termometri;
padelline; guida-fili; scodelle bucherellate; cappellette d'ottone per filatoi; cappellette per binatoi; sbattitrici meccaniche; ricci e chiocciole in
porcellana; supporti; girelle; pettini in ottone; supporti guida-fili in vetro; porta-bottoni con morsetto, bottoni di vario tipo; forbici speciali in acciaio.
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I TESSUTI
L'arazzo eÁ un tessuto ornamentale per rivestire
pareti, eÁ realizzato con fili di seta, lana, oro e
argento su un modello di cartone.
Il broccato eÁ realizzato con seta pesante tessuta a brocchi, cioeÁ con fili in rilievo che formano
degli anelli, ha disegni floreali spesso con fili
d'oro e d'argento; i fili aggiuntivi sono decorativi
e non fanno parte della struttura del tessuto.
Lo chiffon eÁ una seta trasparente la cui struttura presenta effetti semiopachi e granulazioni
simili alla garza. Gli chiffon, come le organze e
le granadine, sono stoffe realizzate con un sottile filato diagonale spaziato in modo da creare
una trasparenza. Appartengono al gruppo dei
taffetaÁ. Lo chiffon eÁ detto anche creÃpe georgette.
La ciniglia eÁ un filato a pelo lungo, in origine
seta.
Il crespo o creÃpe eÁ un tessuto realizzato con
una fibra ben intrecciata prima di essere tessuta,
in modo da avere un aspetto irregolarmente
opaco e morbido. I filati per ottenere il crespo
sono intrecciati sia verso destra sia verso sinistra e i fili di ciascuna treccia sono usati alternativamente nel tessuto. Tutti i filati di crespo sono
privati della sericina solo dopo la tessitura.
Il damasco eÁ un tessuto decorato, di origine
cinese, uno dei piuÁ antichi tessuti di seta. In Italia
si comincioÁ a produrre a Lucca e poi a Venezia,
oggi eÁ realizzato con telaio jacquard.
Il droguete o droghetto eÁ un tessuto in seta
con piccoli motivi, molto diffuso nel Settecento.
Il lampas o lampasso (eÁ detto anche diasprum) eÁ un tessuto di seta figurato, multicolore
su sfondo scuro, realizzato con orditi e trame
aggiunte a una base giaÁ tessuta.
Il satin eÁ un tessuto opaco con una faccia
lucida molto morbido. PuoÁ essere tinto lavorato
o ancora in filato. Ne esiste un'ampia varietaÁ.
Il velluto eÁ ottenuto con tre elementi: un ordito strutturale, una trama strutturale e un'ordito
aggiuntivo, non strutturale, il pelo eÁ dato dall'ordito a rilievo, tutto il fondo puoÁ essere ricoperto
di pelo, o avere aree prive di pelo. Un tipo particolare eÁ il velluto di Genova (o velluto giardino), multicolore con decorazioni floreali, utilizzato per rivestimenti.
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