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Bel Bordello - Gianluca Tenti

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Un problema umanistico, non solo umanitario
Dall’antica Grecia ai Romani, fino ai giorni nostri con
i Paesi che la legalizzano e quelli che la puniscono
con la pena di morte. L’analisi del fenomeno della
prostituzione induce però a una riflessione. Tutta
italiana. E non solo perché c’è ancora la legge Merlin
È PROPRIO UN
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GIANLUCA TENTI
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NELL’ANTICA ROMA (QUI SOPRA, «PIACERI CORRISPOSTI» AFFRESCO DECORATIVO DA UNA VILLA DI POMPEI) IL DIRITTO REGOLAVA L’ATTIVITÀ DEI LUPANARI,
CIOÈ LE CASE DI PIACERE, ANCORA NELLA PAGINA A FIANCO ATTUALIZZATE AI GIORNI NOSTRI IN UNA FOTOGRAFIA CHE GIOCA SU SEDUCENTI TRASPARENZE.
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Fu sotto il fascismo che venne imposta
liana conquistano la notorietà di una locandina quando vengono smascherati e smantellati dalla solerte opera delle forze dell’ordine, dopo lunghi mesi d’indagine e verifiche incrociate. Ma nonostante questo, lungomari proibiti e periferie insidiose e ambigue, la contaminazione del mercato del sesso ha ormai tracimato gli argini della tolleranza e conquistato
le vie di interi quartieri residenziali in ogni città. Dove di notte si espongono le merci del sesso, tra portiere aperte di ammiraglie, improbabili mise per passeggiare sotto i platani, in un melting-pot di nuovi schiavi che
grida vendetta. Ce n’è per tutti i gusti. Anziane incluse. Viados, trans. E
plotoni di ostaggi: nordafricane, asiatiche, fanciulle dell’Est. Con annessi
e connessi, intesi nel senso di protettori-manager che ne organizzano gli
spostamenti da una città all’altra. Tra una retata e un pattuglione. Senza risolvere mai niente. Non occorre essere esperti nel settore. Basta non
chiudere gli occhi davanti a questo trionfo dell’illegalità che mina alle basi la sicurezza delle nostre città, che rende pericoloso anche solo il frescheggiare notturno sotto casa da parte dei cittadini. Motivo per il quale non si può più chiedere di spostare il problema («Ovunque, purché non
sotto casa mia» è l’italico pensiero), ma è arrivato il momento di trovarne una soluzione. Mentre il racket incassa, per reinvestire in altri traffici, dal commercio di stupefacenti al riciclaggio.
E lo Stato cosa fa? Una mattina si sveglia e s’inventa la genialata: ecco il
ministro degli Interni Giuliano Amato che tuona: «Mandiamo una multa a casa» di chi viene beccato con una di quelle. Una scelta da Repubblica
delle banane. Prima di tutto perché così facendo lo Stato sanziona, cioè
eleva una multa a chi in auto si avventura alla ricerca di un po’ di sesso.
Poi perché non risolve la questione. Infine perché dimostra che la privacy,
di cui tanto si sente parlare a giro, nulla vale in città trasformate come neppure il film Matrix avrebbe potuto raccontare. Con una postilla: in una
società sempre più travolta da scandali, una famiglia qualunque merita questa messa alla berlina? Al tempo: nessuno può permettersi di fare il moralista. Motivo per cui se un individuo opta per pochi istanti di sesso a pagamento, atto di per sé deprecabile ma non meritevole di onta pubblica,
dovrebbe vedersela innanzitutto con la propria coscienza e formazione più
che con una contravvenzione. Insomma, il solito pasticcio all’italiana. E
questo purtroppo è il risultato di cinquant’anni di legge Merlin. Una legge nefasta, che ricorda da vicino
quella americana sul proibizionismo, che pure fruttò ingenti capitali alla malavita organizzata (anche
se in questo caso il Volstead act fu
poi cancellato).
Ma facciamo un passo indietro. Il
termine prostituzione deriva del latino prostituere, ovvero: «pro» (davanti) e «statuere» (porre). Con esso s’intende «persona messa in vendita» e si sottintende una condizione originaria di schiavitù che,
dura realtà, sopravvive in certi casi
ancora oggi. Il fatto stesso che prostituzione derivi dal latino significa però che la questione è nota da
QUI SOPRA, STANZA DI UN BORDELLO DEGLI ANNI 20/30: IL CLIENTE PAGA PER LA PRESTAZIONE E LA GIOVANE PROSTITUTA È NASCOSTA DA UN PARAVENTO. LA
LEGGE MERLIN ARRIVÒ NEL 1958: L’INTRODUZIONE DEL REATO DI SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE DECRETÒ LA CHIUSURA DELLE CASE DI TO LLERANZA.
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Ma che bel bordello. L’Italia, intendo. Tra grilli, caste e omissioni. Per sua
grandissima colpa. Davvero un bel bordello, non c’è che dire. Come aveva visto bene Dante, il sommo: «Ahi serva Italia, di dolore ostello/nave sanza nocchiere in gran tempesta/non donna di province, ma bordello!». Già.
Nel canto VI del Purgatorio il poeta verga un’invettiva all’Italia, in preda
all’anarchia. La paragona a una nave «sanza» nocchiero in gran tempesta.
Par che ne parli dei giorni nostri: un Paese da bordello dove politicanti da
strapazzo, boiardi e tecnocrati, giullari, dame e ballerine affollano i salotti
televisivi dei soliti noti e alimentano la spirale dell’antipolitica mentre il
Paese chiede scelte di fondo inequivocabili come la riduzione di un ciclopico debito pubblico, tagli alla spesa pubblica e agli strascichi della peggior Prima Repubblica. Ma è il bordello, inteso nel senso letterario del termine, altrimenti noto come «casa di tolleranza, casino, casa chiusa, postribolo o lupanare», a stuzzicare una riflessione sullo stato reale dell’Italia, a sventrare un muro fatto d’ipocrisia, falsa morale, bacchettoni, a
smascherare una delle più infauste leggi della Repubblica. Una norma che
dette un senso all’attività politica di una senatrice (la socialista Lina
Merlin) e, intendendo liberare le donne dal gioco di tenutarie e protettori nonché dall’onta del disonore, aprì in realtà la via al malaffare e al degrado del mestiere più antico del mondo, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. C’è un libro, oggi introvabile, che meriterebbe nuovi onori di stampa. S’intitola Quando l’Italia tollerava e lo curò lo scrittore
Giancarlo Fusco per l’editore romano Nanni Canesi. Uscì nel 1965, sette anni dopo l’entrata in vigore della legge Merlin (20 settembre 1958),
una sorta di crisi del settimo anno si potrebbe dire, non convinse la critica, ma guarda caso andò esaurito in breve tempo nonostante l’esorbitante
costo di lire 10mila. Fusco raggruppò 16 testimonianze di penne celebri,
tra cui Dino Buzzati, Mario Soldati, Ercole Patti e Cesare Zavattini. Racconti brevi, ricchi di aneddoti sul fascino dei casini aperti in Italia sin dal
1432. Storie vere o verosimili, cariche di cenni autobiografici facilmente
intuibili (L’uscio del batticuore titolava il pezzo di Soldati), per le quali fu
scomodato persino Mino Maccari come illustratore.
Ma al di là della facile retorica che oggi, inevitabilmente, accompagnerebbe la rilettura e il citazionismo di quelle pagine, il messaggio che arriva a noi resta quello di una scelta infelice da parte del parlamento italiano che oggi, alla soglia dei cinquant’anni dalla sua applicazione,
attende di essere rivista e corretta se
gettarla nel cestino proprio non si
può. Basta aprire un giornale, uno
qualunque anche tra quelli considerati più autorevoli, alla voce «annunci personali» per capire che la
prostituzione è l’unica realtà che in
Italia regna sovrana. Dove «escort»
non sono le Ford di vecchia memoria, «executive» non sono i jet
privati e «nuovissima» incute più di
una perplessità sulla sorpresa che
può riservare. Per non parlare degli «istituti di bellezza» e «centri
massaggi» che nella provincia ita-
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Un problema umanistico, non solo umanitario
la schedatura di tutte le prostitute
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millenni. Nell’Antica Grecia era praticata sia
da donne sia da uomini, tanto che le prostitute nel VI secolo a.C. indossavano abiti distintivi, versavano tributi, avevano una
certa indipendenza e, in alcuni casi, erano
anche influenti. Tra Cipro e Corinto veniva addirittura praticata una sorta di prostituzione religiosa che vedeva l’impiego di
decine di donne. Mentre giovani schiavi
tranquillamente lavoravano nei bordelli di
Atene. L’Italia non poteva restare indietro.
Così nella Roma Caput mundi il diritto
romano arrivò a regolare l’attività dei lupanari, cioè le case di piacere: costruzioni fuori città, aperte solo di notte, dove le meretrici, che provenivano dai ceti più bassi della società, erano schiave. Operavano anche
su zattere lungo il Tevere. E c’erano pure segnali inequivocabili di donne che calzavano sandali marchiati sotto la suola, in maniera da lasciare un segnale lungo il camminamento nelle zone note per l’esercizio
dell’attività. Quanto alle origini, lo storico
Livio, nella sua monumentale opera su Roma, studiò l’origine del fenomeno arrivando a sostenere la tesi che la luxuria era stata portata nell’Impero dagli eserciti stranieri. Qui operavano
le etere, danzatrici che concedevano il proprio corpo a personaggi pubblici
e storici, non per denaro ma per doni. Con loro c’erano poi le arpiste. E,
un gradino più in basso, le prostitute del popolo che venivano registrate
in quanto tali. Quest’ultime, in particolare, per essere riconosciute dovevano indossare sopra l’abito una toga (vestito maschile) come scrive Orazio nelle Satire. Erano schiave e non potevano riscattarsi in alcun modo.
C’erano poi, ed erano la maggioranza, anche le prostitute libere, note come passeggiatrici, nocticulae o falene notturne (da cui il termine lucciole). Le bustuariae, che stavano vicino ai cimiteri e, all’occorrenza, diventavano prefiche durante i funerali. Ma anche le diobolariae, le più infime.
Fu Caligola (e chi altri?) il primo a regolare l’attività di queste case, tassando prostitute e tenutari. Alcuni secoli più tardi, della materia s’interessò
Alfonso d’Aragona, re delle Due Sicilie. Concesse a un sicario la patente di «roffiano», autorizzandolo a mantenere meretrici in uno stabile:
l’uomo tratteneva la metà del prezzo pattuito, l’altra spettava alla donna.
Ma nel resto d’Italia nessuno controllava il proliferare dei bordelli.
Invece nella vicina Francia, sotto Napoleone III, le case d’appuntamenti
operavano nel rispetto di precise leggi statali. Fu lo stesso imperatore, quando decise di aiutare i piemontesi nella Seconda guerra d’indipendenza contro gli austriaci, a preoccuparsi per primo che le sue truppe potessero disporre di bordelli. Così Camillo Benso conte di Cavour nel 1859 emise un
decreto che autorizzava l’apertura di case chiuse in Lombardia, controllate dallo Stato. E prima dell’unificazione d’Italia, lo stesso Cavour trasformò il decreto in legge: «Regolamento del servizio di sorveglianza
sulla prostituzione». In quel documento furono definite case di tolleranza, perché di fatto erano tollerate e, fatto assai più significativo, così agen-
do era possibile controllare igienicamente il
mondo che ruotava attorno alla prostituzione. Tre furono le categorie indicate (un
po’ come le stelle di oggi), dalla più costosa con cinque lire alla più bassa da due lire.
Veniva stabilito che per aprire un bordello
occorreva un’apposita licenza e che i tenutari dovevano pagar tasse. Fu vietato, dopo
ampio dibattito politico non scevro d’inventiva (antico costume del nostro Paese),
aprir casini in prossimità di luoghi di culto,
asili e scuole. Le persiane ovviamente sarebbero rimaste chiuse. Furono istituiti di
legge i controlli medici. E per renderne l’uso più popolare, l’allora ministro degli Interni Giovanni Nicotera decise di abbassarne
la tariffa a una lira (tre lire era la paga giornaliera di un operaio), che venivano ulteriormente limate a 50 centesimi per i militari e 70 centesimi per i sottufficiali. I bordelli di lusso invece aumentarono il prezzo.
Non solo. Urbano Rattazzi stabilì con decreto ministeriale che un «colloquio semplice» doveva durare non più di 20 minuti.
Dalla Serenissima Venezia al Regno di Sardegna, si potrebbe ironizzare,
una certa Italia fu fondata sul bordello. E la realtà non mutò col trascorrere degli anni. Anzi. Mussolini, quando la Società delle Nazioni lo esortò a prender posizione, alzò le spalle e disse: «Perditempo da quaccheri»
(oggi la «bordel line» del periodo sopravvive in datate pellicole di Tinto
Brass). Sotto il fascismo fu varato il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, datato 1931, che imponeva la schedatura delle prostitute.
Finché venne la Merlin. Che impiegò dieci anni per averla vinta. In realtà l’attività delle case chiuse stava scemando. La guerra prima e le difficoltà
della ricostruzione andavano cancellando certe abitudini. Il ministro degli Interni Mario Scelba a partire dal 1948 aveva drasticamente ridotto il
numero di licenze rilasciate. Ma, nonostante questo, la senatrice socialista si batté in nome dei diritti delle donne. Iniziativa lodevole quanto inefficace. In realtà la Merlin non seppe dar risposta a quanti, nel dibattito d’inizio anni 50, dal rettore della Cattolica del Sacro Cuore, Agostino Gemelli, al presidente onorario della Cassazione, Domenico Riccardo Peretti
Griva, domandavano cosa sarebbe successo dopo. Non si curò dell’evidenza
primaria, del fatto cioè che così facendo svanivano tutti i controlli su questa realtà. Lo fece e basta. Nonostante che le oltre 2.500 professioniste dell’epoca, senza più tessera sanitaria e casa o pensionato presso il quale esercitare, agli agenti della Buoncostume ripetessero all’unisono: «Continueremo, perché abbiamo figli, parenti e protettori da mantenere».
Lei, la Merlin, si affannava in domande come: «Sottoporre quelle disgraziate a visita coatta non è forse offendere la loro dignità?». Si batteva, disse, in nome di un nobile proposito: restituire dignità allo Stato che
non poteva lucrare sull’attività delle mercenarie del sesso. E vinse. Così
il 20 settembre 1958 venne introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione e le case di tolleranza furono definitivamente chiuse.
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IN ALTO, SCENE DI ORDINARIA PROSTITUZIONE IN UN ATTUALE BORDELLO: OLTRE ALL’OLANDA ANCHE IN GERMANIA L’ATTIVITÀ È LEGALIZZATA, COME PER ESEMPIO
SUCCEDE NEL QUARTIERE A LUCI ROSSE DI AMBURGO COSÌ COME NEL REGNO UNITO. IN SVIZZERA INVECE SI DISCUTE SULL’ETÀ MINIMA PER LA PROFESSIONE.
FOTOTECA STORICA A. GILARDI
tuzione come intendiamo in Occidente,
ma centinaia di giovani ragazze e di virgulti
si uniscono, per un regalo o per un pugno
di biglietti verdi, ai visitatori.
Ho citato questi esempi per far capire a
quanti si ostinano a non riconoscerlo, che
la questione prostituzione deve essere affrontata una volta per tutte in Italia. Certo
la società è mutata. Quel rito d’iniziazione
che un tempo si celebrava nelle case di tolleranza oggi non fa più parte degli usi delle nuove generazioni. Né si può parlare di
educazione sessuale nei bordelli. Oggi non
è più tempo di belle du jour, piuttosto di
squillo di lusso come nel londinese Soho. In
un mondo in cui molteplici sono stati i
tentativi di emulazione di Pretty woman.
Come si evince dalle agende della maîtresse di Hollywood, Heidi Fleiss, dalla vicenda che vide finire sotto gli impietosi flash segnaletici Divine Brown e un certo Hugh
Grant. O, per venire a storie italiane, al caso imbarazzante del deputato dell’Udc Mele nelle afose notti d’estate.
Che fare allora? Forse è arrivato il momento di affrontare il fenomeno con
fermezza. Se non si riesce a debellare la prostituzione, che almeno la si veicoli secondo criteri e controlli ben precisi. In molti sostengono sia il
tempo di riconoscere che la pratica della prostituzione, se liberamente scelta, deve essere consentita in aree urbane sicure, normalmente controllate, comunque nel rispetto della privacy, dalle forze dell’ordine e dal fisco,
con adeguati servizi di prevenzione e controllo sanitario facilitato. Certo lontano da sfruttatori e aguzzini. Non so se questa possa essere davvero
la soluzione. Di sicuro quest’Italia che viene costantemente invasa dai barconi della speranza, dove tutto sta diventando lecito e/o impunito, non può
più tollerare certe evidenze. Occorrono sanzioni certe nei confronti di chi
compra e vende i giovani schiavi, li fa immigrare illegalmente e li costringe
a ripagare i costi di viaggio con rate da aguzzini. Per questo avere luoghi
dove la prostituzione è permessa contribuirebbe a diradare le gonfie nubi dell’illecito. Solo allora, solo davanti a questa soluzione, si potrebbe passare a un’azione più incisiva, e penalmente rilevante, nei confronti non della clientela ma di chi vuol vendere il proprio corpo in mezzo a una strada. Con più incisivi controlli sanitari. E con una tassazione non già di novelli tenutari, ma magari di cooperative di persone che, consapevoli della propria condizione e della libera scelta, intendono comunque esercitare questa professione. E a chi sostiene che così agendo lo Stato non sarebbe serio, vorrei ricordare che già adesso la Repubblica italiana guadagna dalla vendita di sigarette e alcolici, che pure rappresentano altri vizi.
Certo sarebbe una scelta coraggiosa, indubbiamente più seria di quella della fotosegnalazione a casa. In un pullular d’anime che vengono poi additate al pubblico ludibrio come puttane, mignotte e battone. No, la multa a casa non è la soluzione per un Paese che voglia dirsi civile. Non sbaglia affatto il vecchio detto: si stava meglio quando si stava peggio.
CONTRASTO
Con la nuova legge che provocò uno scontro politico che finì sui banchi delle librerie e che oggi farebbe la gioia di Porta a
porta o di Matrix: la Merlin al fianco di
Carla Voltolina (moglie di Sandro Pertini)
pubblicò nel 1955 Lettere dalle case chiuse.
Un anno più tardi il maestro del giornalismo italiano Indro Montanelli dette invece alle stampe Addio Wanda! col quale si
batté contro quella che sarebbe divenuta la
Legge Merlin, scrivendo: «... in Italia un
colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria
e la Famiglia. Perché era nei cosidetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano
la più sicura garanzia...».
Il resto è storia recente. I dati disponibili,
per quanto non scientifici, parlano chiaro:
secondo la commissione Affari sociali della Camera (l’indagine è del 2003) le prostitute in Italia sarebbero in numero compreso tra 50 e 70mila. Di queste, 25mila sarebbero immigrate, 2mila le minorenni e altrettante le donne ridotte in schiavitù. Che fare allora? Se si guarda a cosa accade all’estero si resta disorientati. In molti Paesi musulmani la prostituzione è sanzionata con la pena di morte. In Olanda le prostitute pagano le tasse, sono addirittura sindacalizzate. I bordelli, come le celebri
vetrine che si affacciano lungo i canali alberati di Wallen nel Red light
district più famoso del mondo, possono farsi pubblicità. E proprio in questi giorni ci s’interroga su quale futuro potrà avere la zona (che tira assai più dei musei di van Gogh e Anna Frank) dopo che Charles Geerts,
un tempo venditore di patate poi divenuto milionario con la legalizzazione del porno e oggi proprietario della zona, è al centro di un forte attacco mediatico con accuse pesanti, giunte quasi in contemporanea alla
maxi-offerta da parte di un colosso immobiliare che vuol trasformare i
centri del piacere a pagamento in abitazioni e negozi. Anche in Germania
la prostituzione è legale, per esempio nel distretto a luci rosse di Amburgo.
In Svizzera si discute sull’età minima per la professione. E se in Giappone la prostituzione vaginale è fuorilegge (informa internet), il sesso orale a pagamento è legale. Ma anche senza andare troppo lontano la situazione è palese: in Gran Bretagna la prostituzione non è illegale, basta entrare in una cabina del telefono per restare attratti da un florilegio
di biglietti da visita inequivocabili, ma è proibito per una prostituta attirare clienti in strada o in un luogo pubblico, è vietato il lenocinio o dirigere un bordello. Negli Stati Uniti solo in due Paesi non è illegale vendere prestazioni sessuali: nelle contee del Nevada e a Rhode Island. In Brasile, dove il turismo sessuale la fa da padrone, la prostituzione in proprio
è legale ma chi lucra sulla prostituzione altrui è perseguibile dalla legge.
In Thailandia, Paese noto per l’attività dei suoi centri massaggi, la prostituzione è illegale (sic!) come stabilito dal Prevention and suppression
act, B.E. 2539 del 1996. Per non parlare di Cuba dove non c’è la prosti-
CONTRASTO
In Olanda pagano le tasse e sono sindacalizzate
RISALE AI PRIMI ANNI DEL SECOLO SCORSO LA FOTOGRAFIA DI QUESTA PAGINA CHE RITRAE UNA GIOVANE PROSTITUTA NELLA SUA STANZA DELLA CASA CHIUSA,
SEDUTA NUDA SU UNA MENSOLA DAVANTI ALLO SPECCHIO AMMIRATA DAL CLIENTE. SEMPRE MEGLIO CHE ESERCITARE LA PROFESSIONE SU UN MARCIAP IEDE.
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ESCORT DOPATE
DA VIAGRA E INTERNET
n
Hi-tech e medicina
riportano in
campo i veterani e
danno più brio
alle giovani leve. Ed
ecco che oggi
così fan (quasi) tutti
crosanto, ma proprio per questo siamo di fronNonostante l’uso sempre più disinvolto e
te a un autentico lavoro, cui però si permette
frequente, la parola prostituzione basta ancora
un’astrazione fiscale che per tutti gli altri reda evocare un male, una contravvenzione a una
diti legittimi è meticolosamente perseguita. Si
norma etica. Ma a quale precisamente? Una
deve convenire che non è facile trovare una via
risposta sorprendentemente chiara ci viene da
percorribile. Ma più urgente e importante del
Marsilio Ficino, che nel 1499 la definiva
gettito fiscale è la necessità sociale e umana di
come l’atto di «offrire alle voglie altrui, per
portare luce in una cantina che man mano è
mercede, ciò che si dovrebbe salvaguardare o
diventata una rete sommersa, dalla superficie
conservare gelosamente». Un secolo dopo,
incalcolabile e dalle conseguenze imprevediSan Carlo Borromeo la qualificava così, prebili. Un simile incremento si può ricondurre a
cisandone meglio il contenuto di commercio
D I G I A N C A R LO M A R E S C A
tre fattori propulsivi, attivatisi in successione
immorale: «Vendere il proprio corpo o il
come gli stadi di un razzo: il telefonino, inproprio ingegno». La rigidità controriforternet, il Viagra. In due parole: potenziamenmista si è conservata così bene, nei gas inerto della comunicazione e incremento della domanda. I farmaci che soti e asettici del perbenismo, che ancor oggi siamo portati a utilizzare il
stengono la virilità hanno non solo riportato sul campo i veterani, ma hanverbo prostituire in entrambe queste accezioni e sempre con un tono neno dato alle giovani leve il coraggio di imprese più impegnative. Senza scengativo. Il perbenismo è però un sistema dogmatico, un pre-giudizio. La
dere in dettagli, diciamo che con le pillole si hanno migliori speranze di
storia va in altre direzioni. E, passando dal piano intellettuale a quello
spendere bene. Chiunque può chiedere all’amico medico quanto sia diffisico, i cambiamenti del costume sono stati ancora più radicali. Da Freud
fusa l’assunzione di Viagra tra maschi ben lontani dalla cinquantina.
al sociologo Kingsley Davis, dall’Angelo Azzurro a Pretty Woman, dalle
Guardando in edicola, poi, potrà notare che per la sola Milano e città visofisticate notti della Berlino anni 20 alle disinvolte spiagge del Brasicine vi sono riviste più alte di questa in cui ogni pagina contiene foto e anle di oggi, l’evoluzione dello stile di vita moderno va di pari passo con
nunci di una diversa professionista della compagnia.
il modo di pensare e consumare il sesso. Emarginare la prostituzione conCosì fan tutte, quindi, ma anche tutti. A questo punto, solo un ponderasumata tra adulti emancipati e consenzienti è un falso, uno slogan, una
to e sereno trattamento legislativo riporterebbe la norma al passo col cocurva a gomito verso il passato. Non è un caso che la nuova generaziostume e permetterebbe di distinguere meglio i casi inammissibili da
ne di «donnine allegre» usi per definirsi un vocabolo più al passo coi temquelli perfettamente leciti. Per molti il circuito significherebbe riabilitapi: hostess. La moltiplicazione del fai-da-te della prostituzione, cioè delre i clienti, superficialmente presentati come sordidi profittatori da emarle ragazze autonome che ricevono in casa o si spostano a richiesta, ha
ginare. Molti credono, fanno finta di credere o vogliono far credere, che
assunto dimensioni rispetto alle quali non si può più guardare dall’alpagare una donna sia una soluzione di ripiego. Tutta la storia sta lì a dirtra parte. Un’altra parte non c’è, perché sono dappertutto.
ci che non è affatto così. L’archetipo della prostituta è tra gli ingredienti
Di fronte a un movimento così massiccio di persone e interessi, l’inerzia
base della fantasia erotica, al di là che un uomo abbia già una compagna
dei governi lascia sgomenti. Se ne parla spesso, quasi sempre concludeno più d’una. E la vendita del sesso, si dice, è il mestiere più antico del mondo che la questione viene taciuta «perché in Italia abbiamo il Papa». Dodo. Una frase che non può essere presa alla lettera, in quanto i compravremmo però anche guardare cosa accade in un paese che ha già dimotori, per essere in grado di pagare, avevano già escogitato qualche altra costrato di poterlo tranquillamente ignorare. La Spagna è molto più persa. Quali furono allora i primi mestieri dei primi uomini? Andiamo di mamissiva dell’Italia ed ammette anche le case chiuse. Ciò permette un inle in peggio, perché sono ancora più lontani dall’essere perdonati. Prima
quadramento fiscale indiretto, ma il reddito autonomo resta inafferrabivenne il cacciatore, poi il guerriero. O viceversa, ma cambia poco. Appele. Altro che Vaticano! Secondo la Corte di Giustizia europea e la nostra
na la guerra e la caccia permisero di guadagnare posizioni sociali, nacque
Corte di Cassazione, i proventi della prostituzione non sono tassabili in
il maestro d’armi e con lui le professioni intellettuali. Solo queste vennequanto non rappresenterebbero un reddito, ma un risarcimento del danro sempre riconosciute nobili. L’uomo, però, non si sentirà mai in equino alla dignità che la donna subisce vendendosi. Per quanto riguarda l’Ilibrio se non riuscirà a trovare un posticino tranquillo dove riporre la protalia, la vendita di sesso senza intermediazione, favoreggiamento, sfruttapria eredità ancestrale senza il dovere di nasconderla a se stesso.
mento, riduzione in schiavitù o concorso di minori è giudicata legale. Sa-
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