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RIVISTA DI STUDI ITALIANI CONTRIBUTI I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE MATTEO BRERA University of Edinburgh P arte della biblioteca di Roberto Sanesi è giunta al Fondo Manoscritti dell’Università degli Studi di Pavia nella primavera del 2007. Oltre ai libri del poeta, artista, traduttore e critico milanese, la donazione della signora Anita Sanesi comprendeva un piccolo nucleo di carte autografe. In particolare, entro alcuni fascicoli erano custodite le traduzioni del teatro e della poesia shakespeariani. In questo articolo si studieranno le versioni dei sonetti di Shakespeare contenute in quei faldoni per osservare più da vicino il laboratorio del poeta e traduttore milanese. Il presente articolo vuole essere un primo approccio alle carte sanesiane e rimane, ad oggi, il solo studio di questo tipo sull’autore. La prima parte di questo saggio ricostruisce e commenta le fasi del lavoro sanesiano sul testo, riportando una descrizione dei testimoni analizzati e delineando la fisionomia dell’‘officina’ del traduttore. La seconda parte dello studio prende in esame alcune liriche pubblicate nella prima edizione dei Sonetti tradotti (Milano, 1983) e rappresenta un’indagine preliminare della poetica della traduzione di Roberto Sanesi, vista nel suo sviluppo diacronico. Si analizzeranno le costanti metricostilistiche e ritmiche dei sonetti e si metterà in luce come Sanesi renda la ‘voce’ del testo originale attraverso una nuova poesia che è soprattutto ritmo e frutto della propria vocazione alla combinazione e alla rielaborazione di misure versali tradizionali. Tra le carte di Roberto Sanesi. Dagli abbozzi all’Opera poetica Il progetto di traduzione dei Sonnets – che avrebbe assunto, negli anni, proporzioni più vaste sino a giungere alla resa dell’intera opera in versi di Shakespeare – dovette occupare Roberto Sanesi dall’inizio degli anni Ottanta sino agli ultimi anni del 1990. La traduzione delle poesie shakespeariane prese avvio in occasione dell’edizione per Euroclub nel 19831 che assume, dunque, un valore notevole di ‘anteprima’ alla definitiva traduzione di tutte le poesie di Shakespeare. Successivamente alla prima edizione Sanesi pubblicò alcune traduzioni in un nuovo volume edito per Severgnini nel 19852 e, negli 166 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE anni seguenti, proseguì il suo lavoro sino a completare la resa dell’intero corpus di liriche shakespeariane, che confluì nell’Opera poetica del 20003. Il lavoro di archivio, condotto tra le carte del Fondo Manoscritti e, soprattutto, tra la cospicua mole documentaria di Casa Sanesi, mi ha permesso di riportare alla luce una serie di quaderni e note autografe e dattiloscritte, grazie ai quali ho ricostruito le fasi di elaborazione delle traduzioni sanesiane4. Ho isolato e utilizzato i seguenti testimoni: Sigla Testimone QN Quadernone autografo con copertina nera 5 QG Quadernone autografo con copertina gialla e bianca 6 SON1 Centoquarantanove sonetti tradotti, dattiloscritto7 EC83 William Shakespeare, Sonetti (Euroclub, 1983)8 S85 William Shakespeare, Venticinque sonetti (Severgnini, 1985)9 SON2 Sonetti tradotti per edizione Euroclub 1995, dattiloscritto10 EC95 William Shakespeare, Cento Sonetti (Euroclub, 1995)11 OP1 Sonetti tradotti per l’edizione Mondadori 2000, dattiloscritto, prima redazione12 OP2 Sonetti tradotti per l’edizione Mondadori 2000, dattiloscritto, seconda redazione13 OPMOND William Shakespeare, L’opera poetica (Mondadori, 2000) La datazione dei manoscritti, mancando quasi del tutto indicazioni d’autore in questo senso, è stato il primo problema da affrontare. Ho quindi ricostruito la cronologia degli esemplari attraverso due criteri di massima: l’analisi comparata dei testimoni manoscritti, dei dattiloscritti preparatori e delle edizioni in volume e lo studio delle varianti dei singoli sonetti. Molti e preziosi spunti per questo lavoro sono emersi soprattutto dal testimone siglato QN, un quaderno che contiene le prime prove di traduzione dei sonetti, oltre ad altri interessanti materiali preparatori e pensieri dell’autore su poesia, traduzione, arte ed estetica. 167 MATTEO BRERA In particolare la carta 34r contiene una prima chiara indicazione delle poesie destinate a comparire nell’edizione Euroclub del 1983 (Figura 1): Figura 1 c. 34r del testimone QN. Piano dell’opera per “Sonetti Euroclub”. Abbozzo cassato Sullo stesso foglio è pure presente il rinvio a un’edizione di riferimento dei Sonetti, nella fattispecie quella “Rossi / Einaudi”14, da utilizzarsi come possibile puntello per la traduzione. Stando a questa scaletta i primi sonetti da tradurre, nelle intenzioni dell’autore, sono i seguenti: VII, XX, XLIII, XLIV, LIV, LX, LXIV, LXV, LXXIII, XC, XCVII, CIV, CXLIV e CXLVI. Il sonetto XLIII compare in un secondo momento, come suggerisce la correzione a penna rossa. Che il sonetto XLII fosse inizialmente previsto nei piani del traduttore – o quantomeno fosse tenuto in considerazione – risulta altresì dalla presenza tra le carte autografe dei tre fogli (siglati D) 15 contenenti il frontespizio dell’edizione Rossi-Melchiori del 1965, l’originale in lingua e la traduzione del sonetto in questione. L’esclusione di questo componimento, che sarà incluso però in S85, potrebbe essere stata motivata da questioni tematiche. Difatti il sonetto XLII che chiude la sequenza del triangolo amoroso tra il poeta, il giovane e la donna amata (da entrambi), mentre il XLIII introduce il trittico dei cosiddetti sonetti “dell’assenza, o della lontananza”16 e risulta, quindi, maggiormente legato al successivo XLIV. È tuttavia probabile, visto il ritorno pressoché immediato del sonetto XLII tra quelli pubblicati da Severgnini, che l’esclusione all’altezza di EC83 fosse subordinata ad esigenze editoriali. Al progetto abbozzato seguono, sul manoscritto, le traduzioni dei primi sonetti: VII, XX, XLIII, LIV, LX, LXIV, LXV, LXXIII17. È questo il primo gruppo di traduzioni – che chiameremo T1 – all’altezza del quale Sanesi mostra di non aver ancora optato con decisione per la traduzione del sonetto XLIII, che viene reso in italiano solo tra i successivi dodici componimenti (gruppo T 2) collocati tra le cc. 48r e 67r18. 168 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE Questo secondo gruppo segue un nuovo “prospetto”, maggiormente articolato e molto vicino all’esito in volume (figura 2): Figura 2 c. 47r del testimone QN. Piano dell’opera per “Sonetti” (ed. Euroclub 1983). Secondo prospetto Sanesi prepara qui un elenco dei sonetti tradotti da Giuseppe Ungaretti (per l’edizione Mondadori del 194619) in una prima colonna a sinistra, a destra della quale annota le poesie che ha in programma di tradurre (comprese quelle del gruppo T1, già abbozzate precedentemente). L’idea iniziale del traduttore è quella di realizzare una raccolta che rispetti la sequenza shakespeariana, come sembrano dimostrare le linee continue tracciate a partire dai ‘suoi’ sonetti in direzione di quelli di Ungaretti, quasi a suggerire una scelta di poesie complementari a quelli. Le linee continue paiono indicare la collocazione da attribuire al singolo componimento (o alla microsequenza), ‘inserendolo’ nella raccolta di poesie tradotte da Ungaretti 20. Tre linee più brevi rivelano in questo caso che tre sonetti (LXXVII, CII e CX) 169 MATTEO BRERA sono stati inseriti successivamente da Sanesi tra quelli da tradurre 21. Il piano di lavoro prevedeva anche i sonetti CXXXVIII 22, CXLII e CXLIX, poi non inseriti in EC83, S85, EC95 ma soltanto nella definitiva OPMOND. Il traduttore, a confermare i sonetti che entreranno nella raccolta del 1983, segna i numeri corrispondenti con un asterisco. Il progetto è già, a grandi linee, quello definitivo, con la sola variante dei sonetti non inseriti e di cui ho detto sopra. Le idee del curatore del volume sono già ben delineate anche per ciò che riguarda la macrostruttura della raccolta che, stando alle indicazioni presenti nella parte destra della carta 47r, dovrà articolarsi in una prima sezione – la più cospicua in termini di poesie presenti – di traduzioni ungarettiane; la seconda conterrà i tre sonetti tradotti da Montale (il XXII, il XXXIII e il XLVIII) e la terza comprenderà le venti traduzioni di Sanesi. Seguirà dunque l’appendice, luogo deputato al confronto tra i traduttori, nella quale rientreranno le traduzioni del sonetto XXXIII (Montale e Sanesi) e LXXIII (solo Sanesi, senza testo a fronte). I gruppi di poesie tradotti chiamati T 1 e T2 costituiscono quindi tutto il materiale autografo relativo alla prima edizione dei Sonetti. Si nota, però, a un esame delle varianti alle singole poesie, come tra il manoscritto e le prime due raccolte edite corra davvero troppa differenza per non ammettere l’esistenza di un processo elaborativo intermedio, non perfettamente delineabile attraverso lo studio delle carte in nostro possesso. Analizzando il testimone siglato SON1 si osserva, infatti, come i fogli contenenti alcuni sonetti siano in fotocopia e non dattiloscritti originali, a differenza degli altri che costituiscono il fascicolo rilegato a spirale: fotocopie da un esemplare di cui l’originale non è stato ancora reperito tra le carte di Sanesi. Dall’osservazione di SON1 emerge in particolare come queste carte (8, 13, 21, 42, 54, 60, 64, 65, 70, 77, 97, 124, 137, 141, 147, 154) contengano i seguenti sonetti: VII, XII, XX, XLII, LIV, LX, LXIV, LXV, LXXVII, XCVII, CX, CXXIV, CXXXVII, CXLI, CXLVII, CLIV. Si tratta, pressappoco, del nucleo di poesie tradotte inizialmente da Sanesi per Euroclub e che può verosimilmente aver costituito una fase intermedia del lavoro del traduttore, tra QN e le prime edizioni in volume. È significativa in tal senso anche l’intestazione della c. 8 su cui compare, in alto a centro pagina, la dicitura (cassata) “Shakespeare | SONETTI”, quasi a suggerire l’inizio di un’autonoma sequenza di traduzioni. In questo senso, però, la situazione filologica di SON1 non pare essere saldissima: Sanesi infatti utilizza materiali di differente provenienza per costituire i fascicoli e i faldoni che sono stati esaminati e utilizzati per questo lavoro. Per restare al testimone SON1 si nota, ad esempio, come in alto a destra dei fogli fotocopiati siano vergati alcuni numeri (cassati quando inseriti nel nuovo testimone) che porterebbero a congetturare un’ulteriore sequenza di traduzioni 23. Una ricostruzione tentata su questa base darebbe l’esito che si propone di seguito: 170 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE Sonetto 7 12 20 42 54 60 64 65 77 97 110 124 137 141 147 154 Num. a dx 6 8 10 13 16 18 20 22 24 28 32 34 38 40 42 44 Lo schema riprodotto sopra si presenta come una sorta di rompicapo, all’interno del quale i numeri della colonna di destra intorbidano ancora di più le acque di una ipotetica, ancorché plausibile, nuova redazione intermedia. I numeri, va detto, non coincidono con le pagine di nessuna edizione a stampa e la presenza di sole cifre pari, ad eccezione del ‘13’ che marca il foglio contenente il rifiutato sonetto XLII è, allo stato filologico attuale, di non facile spiegazione. Per ciò che riguarda questo sonetto, comunque non presente tra quelli tradotti in QN, ci si trova di fronte al segnale di un qualche ripensamento circa la sua collocazione nella raccolta. L’assenza di alcuni numeri conferma invece indirettamente la presenza originaria tra questi fogli di molti sonetti tra quelli tradotti sui quadernoni e parte dei gruppi T1 e T2. Ai numeri 12 e 14 potremmo far corrispondere facilmente i sonetti XLIII e XLIV (in originale e, dunque rielaborati, nel fascicolo di SON1), mentre la lacuna del numero 36 è sanabile inserendo il sonetto CXXVII. Ciò suggerisce la possibilità che questa micro-sequenza dattiloscritta (a cui possiamo assegnare la sigla SONα24, pur non conferendole statuto di testimone autonomo) rispecchi davvero una successiva fase redazionale dei primi sonetti tradotti. Se osserviamo QN, infatti, ne ricaviamo come, fatta eccezione per il sonetto XXXIII, di poco più tardo rispetto agli altri25, il CXXVII è la poesia con l’elaborazione più faticosa, che si traduce in un apparato parecchio articolato. Questo spiega la 171 MATTEO BRERA sua assenza da SONα: mentre SON1 veniva assemblato e fascicolato, il sonetto CXXVII era sottoposto a una delle successive revisioni che lo hanno condotto alla forma finale26. Anche se SON1 è testimone composito e frutto di vere e proprie ‘ondate’ traduttorie successive – il caso del sonetto CXXVII è esemplare in questo senso – e dunque non databile con certezza, si è creduto di anteporlo, in sede di apparato e per i sonetti esaminati, alle prime edizioni in volume, ritenendo che ciò rispecchi l’effettivo iter elaborativo di queste traduzioni. Il testimone S85 non offre molti spunti di riflessione. Sanesi infatti, nel licenziare questo libretto, si limitò ad integrare la passata edizione EC83 con l’inserimento di pochi nuovi sonetti (il solito XLII, il CXIX e il CXXIX) e lo spostamento di altri (il XXXIII e il LXXIII passano a far parte del corpus principale e non sono più posti in appendice, peraltro non prevista in questa edizione). Il caso del sonetto CXIX è interessante per osservare come SON1 abbia molto probabilmente costituito per Sanesi una sorta di copia di servizio per la realizzazione di OPMOND. Tale sonetto, infatti, non si trova tradotto tra i fogli del testimone SON1, dove è sostituito dalla dicitura “119 | Severgnini” che evidentemente si riferisce al sonetto già pubblicato in volume (o in pubblicazione). SON1 è quindi da intendersi come una ‘edizione di riferimento’ che raccoglie le traduzioni considerate più attendibili, almeno fino all’inizio dei lavori su OP1. Ma il sonetto CXIX, o meglio la sua assenza, è utile a stabilire con discreta sicurezza che, mentre il fascicolo di SON1 veniva assemblato, l’edizione Severgnini era già stata licenziata (o era in procinto di esserlo). Si può dunque affermare che tutti i sonetti contenuti in SON1 fossero già stati tradotti all’altezza del 1985. Le poche lacune che si osservano27 potrebbero essere di tipo meccanico. Non sorprenderebbe, infatti, una perdita a seguito della sfascicolazione di alcune carte, circostanza peraltro caratterizzante il testimone, che presenta alcuni fogli staccati. Se il termine ante quem per la composizione di SON1 è il 1985, dobbiamo supporre che i quaderni autografi (QN e QG) non superino questa data e che il successivo SON2, brogliaccio per EC95, abbia come termine post quem proprio quell’anno. Per datare quest’ultimo testimone ci viene in aiuto una lettera della Euroclub conservata presso Casa Sanesi: Trezzano [sul Naviglio], 13 febbraio 1995 Oggetto: WILLIAM SHAKESPEARE - 100 SONETTI Gentile Prof. Sanesi, faccio seguito alla mia lettera del 27.10.1994 per confermarle la curatela e 172 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE la parziale traduzione di un volume contenente 100 sonetti di SHAKESPEARE, che Euroclub pubblicherà a ottobre ’95. Come d’accordo, tale edizione conterrà due sonetti tradotti da Montale, quaranta tradotti da Ungaretti e cinquantotto tradotti da Lei. I testi, con relativa prefazione ecc., dovranno esserci consegnati entro la fine di aprile ’95. Il testimone SON2, denominato dal traduttore “Copia x 100 Sonetti | EuroClub”, è quindi stato costituito (con materiali quasi totalmente derivanti da SON1) verosimilmente a far data dall’incarico conferito a Sanesi da Euroclub per la curatela dell’edizione dei Cento sonetti di Shakespeare (27 ottobre 1994). Se questo è il termine post quem per il fascicolo, il termine ante quem per la sua costituzione deve essere stato l’aprile del 1995, scadenza ultima per la consegna dell’elaborato, a quella data certamente concluso28. L’assemblamento del fascicolo deve essere stato abbastanza semplice per Sanesi, il quale ha ripreso moltissimi materiali da SON1 (tra cui i sonetti pubblicati in EC83, senza apportare alcuna variante), limitandosi a poche nuove traduzioni: quelle dei sonetti I (incompiuta), XXII, LXXXII, XCIX, CXXXVIII, CXLIV. Sanesi non inserisce nel fascicolo solo i sonetti da lui stesso tradotti, contrassegnati da due differenti segni diacritici 29, ma – ed è questa un’evidente volontà di confrontarsi con gli altri traduttori, già peraltro manifestata con l’Appendice a EC83 – le proprie traduzioni dei sonetti già resi in italiano da Ungaretti e Montale 30. In tutto il fascicolo contiene 97 sonetti e i tre mancanti sono stati probabilmente perduti, come si evince dalla gran quantità di fogli staccati dal supporto a spirale. Per ciò che riguarda OP1 ci troviamo di fronte al primo dei due testimoni che contengono le versioni più vicine a OPMOND. Se OP2 presenta solo minime correzioni di ordine grafico e d’impaginazione, OP1 è portatore di un buon numero di varianti, seppure costituito in parte da materiali provenienti, in fotocopia, da altri testimoni31. Per ipotizzare la data di composizione di OP1 conviene basarsi su quelle carte che contengono una parte dell’Opera poetica e che ho chiamato OPinc32. Sanesi scrive a matita sulla cartellina di colore rosa la dicitura “SONETTI | Versione ultima | (’96)”. Si può quindi datare al 1996 il testimone OP1 ma, in ogni caso, è plausibile che gli anni tra il 1995 (dopo, quindi, EC95) e il 1999 siano stati quelli in cui Sanesi ha lavorato all’Opera poetica in volume, e dunque sono questi i termini entro cui collocare le varianti di OP1 e OP2. 173 MATTEO BRERA Riassumendo, se dovessimo compilare un prospetto diacronico delle fasi che hanno condotto i primi sonetti shakespeariani fino alla definitiva edizione in volume, otterremmo un diagramma simile a questo: QN QG [SONα] EC83 SON1 ante 1983 ante 1983 Settembre 1983 ante 1985 S85 SON2 OP1 OP2 OPMOND 1985 post 1985 ante Aprile 1995 1996 circa ante 1999 Settembre 2000 La situazione filologica sopra illustrata potrebbe essere passibile di alcune minime variazioni sulla scorta di uno spoglio davvero complessivo delle carte, soprattutto di quelle conservate a Milano presso Casa Sanesi. I sonetti tradotti. Uno studio delle costanti metrico-stilistiche Ricostruite le possibili tappe che hanno condotto Roberto Sanesi alla traduzione di tutte le poesie shakespeariane nell’Opera poetica, osserverò ora più nello specifico le versioni dei sonetti. Se di alcuni componimenti la traduzione fu realizzata ‘di getto’, per altre poesie l’elaborazione si rivelò particolarmente complessa e articolata, come testimoniano le carte. Al momento di iniziare ad analizzare le varianti ai sonetti tradotti da Roberto Sanesi c’è da chiedersi come il poeta milanese sia entrato in contatto con la poesia di William Shakespeare. L’idea di chi scrive, confortata peraltro dal parere di Anita Sanesi, è che l’‘incontro’ tra i due poeti sia nato in maniera casuale o, per così dire, ‘scolastica’. Sanesi tradusse Shakespeare un po’ più tardi rispetto alle sue prime prove, per intenderci quelle da Eliot, Shelley, Thomas e Blake, pubblicate tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del Novecento. Il poeta milanese ha però presumibilmente iniziato a lavorare a Shakespeare, che considerava, insieme con Dante, tra le massime auctoritates della poesia mondiale, parallelamente a molte delle sue versioni. Il materiale contenuto nei quaderni autografi dimostra, infatti, come Sanesi non si concentrasse di volta in volta su un singolo poeta da tradurre, ma rivolgesse la sua attenzione alternativamente su questa o quell’opera, su questo o quello scrittore. Come si è già accennato, anche la traduzione dei Sonnets avviene in due momenti diversi, tra cui si situano altri scritti di vario genere. L’incontro, sempre metaforicamente inteso, con Shakespeare va quindi considerato come l’ovvio esito della curiositas e della poliedricità sanesiana. Un’ulteriore indicazione in questo senso ci viene da una video-intervista a Roberto Sanesi, risalente a fine anni Novanta e trasmessa il 20 novembre 174 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE 2006 presso lo Spazio Oberdan di Milano. Rispondendo alla domanda dello intervistatore, che gli chiedeva una testimonanza d’autore sulle proprie traduzioni da Shakespeare, Sanesi affermava, riguardo ai Sonetti, di essere rimasto affascinato dalla loro ‘colloquialità’. L’opera di traduzione di quelle liriche si può dunque a buon conto considerare come una forma d’interazione con Shakespeare, un vero e proprio ‘dialogo’ con il poeta inglese. La versione shakespeariana di Sanesi è una delle molte di cui disponiamo 33, tuttavia non di tutte possediamo un così cospicuo numero di materiali preparatori alle edizioni a stampa. In questo caso, invece, i documenti conservati consentono di osservare da vicino l’‘officina’ di Roberto Sanesi, di analizzare le poesie, le varianti più significative e quindi studiarle in relazione allo stile del traduttore. Proprio attraverso l’analisi delle varianti alle singole prove traduttorie evidenzierò le costanti metrico-stilistiche delle versioni sanesiane. Di ogni sonetto darò il testo inglese e quello tradotto nella sua forma ultima. Laddove utile a una migliore comprensione del commento alla versione nel suo divenire riporterò a testo pure minime porzioni di apparato genetico. La prima poesia che qui analizzo è il sonetto VII: Lo, in the Orient when the gracious light Lifts up his burning head, each under eye Doth homage to hi new-appearing sight, Serving with looks his sacred majesty; And having climbed the steep-up heavenly hill, Resembling strong youth in his middle age, Yet mortal looks adore his beauty still, Attending on his golden pilgrimage; But when from highmost pitch, with weary car, Like feeble age, he releeth from the day, The eyes, ’fore duteous, now converted are From his low tract, and look another way: So thou, thyself outgoing in thy noon, Unlooked on diest, unless thou get a son. Quando la luce sovrana leva a Oriente il capo fiammeggiante tu vedi come gli occhi rendono omaggio alla sua ricomparsa umilmente, servendo con lo sguardo la sacra maestà; e poi che ha risalito il ripido colle del cielo simile a forte giovinezza nella sua età matura, ecco che ancora gli sguardi degli uomini adorano la sua bellezza, e nel dorato viaggio l’assistono; ma appena dall’alto pendìo, con il carro già stanco, 175 MATTEO BRERA come l’esausta vecchiaia la luce barcolla dal giorno, gli occhi prima devoti ora sono distolti dal suo percorso calante e si volgono altrove: così anche tu, consumato il meriggio, muori dimenticato se non hai un figlio. Alessandro Serpieri individua per questa lirica una fonte ovidiana (Metamorfosi, XV, vv. 164-236)34, specialmente a riguardo della continua mutevolezza del tempo e della coincidenza del ciclo della vita con il sorgere e il tramontare del sole. È questo un sonetto molto studiato dalla critica, che ne ha analizzato a fondo lo stile e, in particolar modo la complessa tessitura retorica, giocata sulla disseminazione delle tessere “or” (“French pun” secondo Helen Vendler) e “car”35. Le varianti di maggior rilievo della traduzione sanesiana sono situate all’altezza di QN. Proprio alla ‘colloquialità’ dei Sonnets, tanto apprezzata da Sanesi, rimanda la mia prima osservazione. Nel sonetto tradotto viene meno l’esortativo “Lo” (‘guarda’), surrogato da “tu vedi” del v. 2. Lo spostamento è significativo: in Shakespeare il tono colloquiale (dal poeta al Fair youth) domina da subito la lirica; nella traduzione, invece, l’allocuzione si situa dopo la bella immagine del sole che si sveglia a oriente e solleva “il capo fiammeggiante”. Il traduttore dà minore risalto all’esortazione all’amico pur ponendola in una posizione preminente all’interno del v. 2, mentre Shakespeare la collocava in assoluto rilievo all’inizio del componimento e separata dal resto del verso con una virgola. Nella traduzione si legge infatti: fiàmmeggiànte tu vèdi || còme gli˅òcchi rèndono dove la misura versale è il risultato dell’accostamento di due versi settenari anapestici (il secondo, ammessa la dialefe, sdrucciolo 36) separati da una forte pausa metrica. L’allocutivo “vedi” che, di fatto, sostituisce “Lo”37, è collocato appena prima della cesura e contraddistinto da uno degli accenti principali del verso. Da segnalare, inoltre, l’inarcatura con il verso successivo: il sintagma verbale “rendono / omaggio” suggerisce visivamente il gesto dell’inchino, peraltro rafforzato da un punto di vista semantico attraverso l’avverbio “umilmente” posto in clausola al v. 3. Interessante la variante “graziosa” al v. 1 della traduzione, sostituita dal definitivo “sovrana” soltanto a ridosso di OPMOND. “Graziosa” è lezione a testo sino a OP2, normalmente testimone che non reca varianti significative. Il dizionario curato da Vladimiro Macchi38, verosimilmente impiegato da Sanesi per le sue traduzioni, non ha ‘sovrana’ tra le corrispondenze possibili tra le quali, invece, troviamo ‘graziosa’. Un decisivo suggerimento pare venire al traduttore proprio da Serpieri, del quale Sanesi indubbiamente conobbe la allora nuovissima edizione dei Sonetti39. Serpieri cita Ingram e Redpath40 i quali posero l’accento sul significato dell’aggettivo ‘sovrana’ ritenuto “molto più ricco […] di quanto non sia nell’uso moderno, 176 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE implicando varie aree di senso: regalità, nobiltà, condiscendenza sovrana, bellezza, grazia, sacralità”41. Se così stanno le cose, questo ci aiuta a datare la variante addirittura a dopo il 199142. In questo sonetto possiamo verificare la già osservata tendenza di Sanesi alla decostruzione delle forme metriche e degli stilemi shakespeariani e all’impiego massiccio di enjambement anche molto forti. Oltre a quelli già osservati ai vv. 1-2 (“capo / fiammeggiante”) e 2-3 (“rendono / omaggio”) si segnalano quelli tra i vv. 7-8 (“adorano / la sua bellezza”) e 11-12 (“distolti / dal suo percorso”). In particolare Sanesi sottopone a revisioni successive il distico del sonetto. Qui, traducendo “Unlooked on diest, unless thou get a son” come: muori dimenticato se non hai un figlio il traduttore rifiuta la precedente variante: se non avrai un figlio morrai dimenticato peraltro confinata al solo stadio manoscritto. La volontà è quella di strutturare il distico – sede deputata alla ‘morale’ di ogni componimento della raccolta43 – in modo da ricreare l’atmosfera dei versi finali dell’originale, nei quali Shakespeare insiste sulla seconda persona singolare (“thou”, “thyself”, “thy”, “thou”) enfatizzando la presenza di un alone di “colloquialità”. Sanesi si concentra sulla sequenza “consumato – muori – dimenticato” (con “muori” in apertura di verso) che instaura, peraltro, un forte legame di rima interno ai due segmenti versali (‘consumato: dimenticato’), utile a ribadire l’assonanza finale (‘meriggio: figlio’) restaurata dalla correzione del traduttore. In questo modo, impiegando le parole chiave del sonetto (‘consumato’, ‘meriggio’, ‘dimenticato’, ‘figlio’), Sanesi riassume nel distico l’intera lirica: passata e consumata l’esistenza, non resta che l’oblio se un erede non perpetuerà la memoria dell’estinto. Il sonetto XII riprende questa idea della discendenza come unica via di scampo dal potere distruttivo del tempo: When I do count the clock that tells the time, And see the brave day sunk in hideous night; When I behold the violet past prime, And sable curls all silvered o’er with white; When lofty trees I see barren of leaves, Which erst from heat did canopy the herd, And summer’s green, all girded up in sheaves, Borne on the bier with white and bristly beard; Then of thy beauty do I question make, 177 MATTEO BRERA That thou among the wastes of time must go, Since sweets and beauties do themselves forsake, And die as fast as they see others grow; And nothing ’gainst Time’s scythe can make defence Save breed to brave him when he takes thee hence. Quando conto i rintocchi che segnano le ore, e vedo naufragare nell’orrida notte la luce del giorno ancora ardito; quando osservo il fiore della violetta appassire, e anche i riccioli bruni imbiancarsi d’argento; quando vedo gli alberi superbi ora nudi di foglie; che stavano prima a difendere dalla calura gli armenti, e il verde dell’estate ammucchiato e legato in covoni, portato sul fèretro con la sua barba ispida e bianchiccia; è allora che mi chiedo quale destino avrà la tua bellezza, se è vero che anche tu finirai tra i rifiuti del tempo come tutte le cose più dolci e più belle, che cadono nell’abbandono, e si muoiono rapide osservando crescerne altre. Poiché non c’è difesa alla falce del Tempo se non la discendenza, unica sfida alla sua distruzione. Serpieri lo definisce “sonetto di grande rigore costruttivo e di felicissima evidenza visiva”44. La lirica shakespeariana è caratterizzata da ripetizioni anaforiche che vanno completamente perdute nella traduzione. Quello del sonetto inglese è il trionfo dell’argomentazione, con il “when” del primo verso a rimarcare la presenza quasi ossessiva del tempo sin dall’inizio (poi ribadita ai vv. 3 e 5); ai tre “when” risponde il “then”, che introduce le conclusioni del sonetto. La struttura retorica originaria è in gran parte modificata nella traduzione, ma Sanesi non abbandona definitivamente la costruzione shakespeariana. Al solito si nota una vena anti-formale, con numerosi e molto forti enjambement che rompono la gabbia sintattica del sonetto elisabettiano. Le spezzature metriche sono uno strumento stilistico fondamentale per Sanesi quando si tratta di descrivere i segni del tempo sugli esseri viventi: il fiore della viola che appassisce (vv. 3-4 “quando osservo il fiore / della violetta appassire”), lo sbiadire del colorito dei capelli (vv. 4-5 “i riccioli bruni / imbiancarsi d’argento”) e il destino infelice di tutte le cose belle (vv. 12-13 “che cadono / nell’abbandono”)45. Ai vv. 8-9, invece, l’enjambement costituisce, quasi fisicamente, il punto di separazione tra la prima e la seconda parte del sonetto, individuate dai due segmenti della proposizione temporale (“Quando… è allora che”): con la sua barba ispida e bianchiccia; è allora che mi chiedo quale destino avrà la tua bellezza, se è vero […] 178 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE Inoltre l’inarcatura costituisce un momento di forte drammaticità e sospensione, utile a introdurre la successiva proposizione interrogativa indiretta. Le varianti a questo sonetto tradotto non sono molte e per lo più riservate al testimone QN, tuttavia tre in particolare sembrano essere significative e in relazione tra loro. La prima è la variante alternativa “dicono / segnano” al v. 1. Per tradurre “tells” Sanesi sceglie “segnano”, semanticamente più rilevato e utile a significare i segni lasciati sugli esseri umani dal lento ma inesorabile procedere del tempo. La seconda variante riguarda l’inserimento in QN di “ammucchiato” al v. 8 della traduzione, a costituire il sintagma “ammucchiato e legato”, che rende la forma verbale “girded” (‘legato, avvolto’). L’aggiunta ha palese funzione espressiva, dal momento che l’immagine che se ne ricava, grazie alla personificazione, è simile a quella di un cadavere legato e gettato brutalmente sul “feretro”46. La terza variante riguarda la domanda su cui è incardinata l’intera traduzione: al generico “cosa ne sarà della tua bellezza”, Sanesi sostituisce “quale destino avrà la tua bellezza”. Tempo e destino, insieme ai presagi di morte, vanno di pari passo nel sonetto e anche le varianti sanesiane muovono in questa direzione. Il sonetto XX è una poesia molto discussa, anche per via del dibattito sulla presunta omosessualità di Shakespeare. Un mero jeu d’esprit, come lo definisce Vendler47, che ha anche stimolato la critica per via della presenza di numerosi giochi fonici su “hues”, “hue” etc. (cf. il v. 8), visti da più parti come possibili spie linguistiche per un riconoscimento del Fair youth48. A woman’s face, with Nature’s own hand painted, Hast thou, the master-mistress of my passion; A woman’s gentle heart, but not acquainted With shifting change, as is false women’s fashion; An eye more bright than theirs, less false in rolling, Gilding the object whereupon it gazeth; A man in hue all hues in his controlling, Which steals men’s eyes and women’s souls amazeth. And for a woman wert thou first created, Till Nature as she wrought thee fell a-doting, And by addition me of thee defeated, By adding one thing to my purpose nothing. But since she pricked thee out for women’s pleasure, Mine be thy love, and thy love’s use their treasure. Tu Signore-Signora della mia passione mi mostri un viso di donna che solo la mano della Natura può avere dipinto, e possiedi un tenero cuore di donna, ma libero 179 MATTEO BRERA dai volubili impulsi di moda fra le donne false, e un occhio assai più luminoso, uno sguardo meno falso del loro, ché anzi concede ornamento all’oggetto sul quale si posa, e un aspetto di uomo che vince ogni altra apparenza, e rapisce anche gli sguardi degli uomini, e l’anima di tutte le donne smarrisce. Creato per essere donna, la Natura, formandoti, cadde in adorazione e mi privò di te, con l’aggiungerti cosa del tutto inutile alla mia intenzione. Ma dato che ti eresse per dare piacere alle donne, il tuo amore sia mio, l’uso del tuo amore sia il loro tesoro. Sanesi comincia la sua traduzione con un’allocuzione diretta. Il “SignoreSignora” si presenta da subito nella poesia, invertendo la struttura shakespeariana che invece dava ad esso un risalto indiretto citandone la qualità saliente: “a woman’s face”. Questa traduzione mostra numerosi segni di rielaborazione. Già all’altezza del v. 4 in cui cassa in un primo tempo “cortese”, poi “dolcissimo”, prima di tradurre con “tenero” l’aggettivo “gentle”, Sanesi mostra un deciso ripensamento, cominciando una nuova versione49. In particolare sono molto turbolente le fasi che hanno condotto i vv. 4-6 alla forma definitiva: ma libero dai volubili impulsi di moda fra le donne false, e un occhio assai più luminoso, uno sguardo È utile richiamare la porzione di apparato che riguarda i versi in esame 50: 4-6 ma libero…sguardo] >ma< libero tuttavia >da quel< dalla volubile / mutevolezza di moda fra le >donne< femmine false, e >gli< i tuoi occhi / >sono< più luminosi dei loro e lo sguardo QN1 >che< ma libero dai volubili impulsi di moda fra le false femmine / e un occhio assai più luminoso, uno sguardo QN 2 Si nota anzitutto un’imprecisione nella prima traduzione, che mostra la resa dei plurali “occhi” e “sguardi”, laddove nell’originale si trovano espressioni al singolare (“An eye” e la relativa forma verbale “gazeth”). Interessante osservare, invece, un atteggiamento contrario alle abitudini traduttorie sanesiane: i nuovi versi sono stati infatti corretti nell’ottica dell’eliminazione dell’enjambement. Dietro tale scelta è sotteso anzitutto un intento ‘normalizzante’ riguardo al ritmo di questi pochi versi, liberati da un andamento fortemente sincopato e ricondotti a misure più consone, secondo Sanesi, alla resa della colloquialità e al movimento ampio di questo sonetto. 180 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE Il cambiamento nelle misure dei due versi in questione (4-6), e quindi nel ritmo della porzione di periodo considerata, occorre come mostrato di seguito: QN1 settenario + quinario sdrucciolo |enj| ottonario + decasillabo |enj| endecasillabo QN2 endecasillabo + novenario sdrucciolo || decasillabo || quadrisillabo OPMOND quadrisillabo |enj| settenario + novenario || decasillabo || quadrisillabo Già dalla seconda versione, e dunque pressoché immediatamente, Sanesi abbandona una struttura binaria con forti pause tra le coppie di versi che conduceva all’endecasillabo finale. La nuova conformazione metrica in QN 2 è quella che più si avvicina al ritmo della prosa, con misure più lunghe nel primo membro, un segmento decasillabico e uno quadrisillabico nel secondo. Nella redazione definitiva i versi sono stabilizzati e racchiusi da due quadrisillabi, che si riversano nelle misure successive attraverso due enjambement dal forte valore espressivo. Si noterà come, similmente alle sue traduzioni da Paradise Lost di John Milton51, Sanesi tenda a ricorrere alla misura dell’endecasillabo, sebbene smembrata e riplasmata. Se si sciogliesse la pausa metrica a fine verso, infatti, i due quadrisillabi arriverebbero, con la porzione di verso successiva, a formare una misura endecasillabica: ma libero || dai volubili impulsi […] uno sguardo || meno falso del loro Un ulteriore sguardo alle varianti di questa traduzione ci porta al v. 5, dove Sanesi traduce inizialmente con “femmine” la parola “women” dell’originale. Fino a EC95 la lezione rimane a testo e sarà sostituita nelle bozze preparatorie a OPMOND. Probabile che Sanesi mirasse a un alleggerimento del carico semantico, nell’ottica di una generale normalizzazione dei testi (peraltro apprezzabile in altre versioni dei sonetti), e rifiutasse una parola eccessivamente marcata da connotazioni semantiche di tipo sessuale e, in fondo, dispregiativa. Entro questa tendenza a normalizzare, Sanesi opta infine per l’eliminazione delle zeppe che rallentano l’andamento dei versi: è il caso 181 MATTEO BRERA del v. 11, in cui cade “Ma pur tu fosti” a favore dell’attacco diretto “Creato per”. Figure 3 cc. 37v e 38r del testimone QN. Autografo della traduzione del sonetto XX di Shakespeare Il quarto sonetto che ho è scelto di analizzare è il XLIII, una delle poesie “dell’assenza” (Serpieri), che ha per tema il vedere e l’ombra. When most I wink, then do mine eyes best see, For all the day they view things unrespected; But when I sleep, in dreams they look on thee, And, darkly bright, are bright in dark directed. Then thou, whose shadow shadow doth make bright, How would thy shadow’s form form happy show To the clear day with thy mach clearer light, When to unseeing eyes thy shade shines so! How would, I say, mine eyes be blessèd made, By looking on thee in the living day, When in dead night thy fair imperfect shade Through heavy sleep on sightless eyes doth stay! All days are nights to see till I see thee, All nights bright days when dreams do show thee me. 182 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE Più chiudo gli occhi e meglio gli occhi vedono, costretti tutto il giorno a vedere soltanto cose indegne; mentre se dormo è te che vedono nei sogni, e oscuramente risplendono, la loro luce diretta nel buio; allora tu la cui ombra getta luce all’ombre, che forma felice formerebbe la tua ombra al chiarore del giorno con la tua luce più chiara, se già la tua ombra risplende di fronte ad occhi ciechi? E in che modo, mi chiedo, sarebbero toccati dalla grazia, posandosi sopra di te nella vivida luce del giorno, quando nel sonno pesante, nella notte morta, la tua ombra avvenente e indefinita insiste a presentarsi ad occhi senza vista? Per me tutti i giorni è come se fossero notti finché non ti vedo, e le notti quando mi appari in sogno assomigliano a giorni luminosi. Il lessico e la trama retorica del componimento sono modellate sulle antitesi, sui paradossi, sugli ossimori (es. “darkly bright” del v. 4), sulle anafore e sui giochi lessicali52. Il sonetto è principalmente basato sulle coppie di opposti quali “sonno e veglia, notte e giorno, visione e realtà”53. Sarebbe davvero impossibile per il traduttore rendere la fitta tessitura di immagini e artifici stilistici impiegati da Shakespeare ma Sanesi riesce, anche a livello fonico, a riprodurre i rimandi shakespeariani in alcuni luoghi del sonetto. A titolo di esempio cito i vv. 5-6, in cui all’originale shakespeariano: And, darkly bright, are bright in dark directed. Then thou, whose shadow shadow doth make bright, How would thy shadow’s form form happy show. Sanesi così risponde: E oscuramente risplendono, la loro luce diretta nel buio; allora tu la cui ombra getta luce all’ombre, che forma felice formerebbe la tua ombra al chiarore del giorno. La versione tiene vivo il contrasto ossimorico “oscuramente risplendono” e il gioco “ombra…ombre” a rendere il chiasmo shakespeariano. Il risalto conferito nell’originale alla parola “form” (anch’essa implicata in un chiasmo) è ribadito nella traduzione sanesiana dalla collocazione della parola “forma” in clausola. Il condizionale “formerebbe”, al verso successivo, è un potente rimando al soggetto dell’interrogativa indiretta, da cui è separato da una forte spezzatura. 183 MATTEO BRERA Sanesi interviene su questo sonetto con frequenti cassature, segno evidente di altrettanto numerosi ripensamenti, soprattutto in merito alla resa di alcuni sintagmi shakespeariani quali “shadow’s form” e il verbo ‘to show’, la cui traduzione passa da un livello letterale (“apparirebbe”, in QN) a uno meno legato al dizionario e maggiormente funzionale all’espressività dell’intero passaggio (prima “assumerebbe”, in QN, EC83, S85, EC95 e, successivamente, “formerebbe”, a partire da SON1): 5-6 che forma / felice formerebbe] |>come potrebbe<| >in che modo / apparirebbe → in che forma / apparirebbe → in che forma >si< assumerebbe → >in< che forma assumerebbe QN 6 felice…ombra] assumerebbe la tua forma d’ombra EC83 S85 EC95 >felice assumerebbe la tua ombra< felice formerebbe la tua ombra SON1 È evidente come la correzione che conduce all’inserimento del verbo “formerebbe” tenda alla costruzione di un forte rapporto allitterativo tra i vv. 5-6: “che FORMa / Felice FORMerebbe”. Un termine la cui prima traduzione viene rifiutata è “ammicco” al v. 1. Il vocabolario del Macchi reca come primo possibile corrispondente italiano di ‘to wink’ ed è probabile che Sanesi abbia optato quasi meccanicamente per questo verbo che ha la sua prima attestazione letteraria in Dante,54 ma che è decisamente desueto nella nostra tradizione lirica 55. La successiva variante “serro” ha un peso espressivo maggiore, indicando un atto duro, quasi perentorio e ha tratti poetici che la lezione definitiva “chiudo” non porta con sé. “Serro” esprime un’azione forse troppo drastica e irreversibile, in contrasto semantico con il verbo “vedono” a fine verso. Questa deve essere stata la principale ragione del rifiuto della variante in questione nella versione definitiva della traduzione56. Altro punto su cui Sanesi torna più volte è la coppia di versi 3-4: 3-4]|>ma<| >mentre nel sonno → mentre se dormo vedono nei sogni< mentre se dormo è te che vedono nei sogni, / >e luminosi nel buio → oscuramente splendidi si fissano → e risplend[ono]< >e< rilucendo nel buio >si fissano< sogguardano nel buio risplendenti; QN nei sogni, e risplendono/ oscuramente, osservano nel buio luminosi EC83 S85 EC95 e >risplendono / oscuramente< oscuramente / luminosi dirigono la luce dentro il buio SON1 e oscuramente / >luminosi dirigono la loro luce dentro il giorno< e oscuramente risplendono, la loro luce diretta nel buio; OP1 Si può notare come le correzioni si siano succedute in quasi tutti i testimoni fin quasi a ridosso della stampa definitiva e si palesano le difficoltà incontrate da Sanesi nel tradurre, soprattutto nel dover rendere l’ossimoro “darkly bright”, prima “luminosi nel buio” (QN), quindi “risplendono / oscuramente” (EC83, S85, EC95). Quest’ultima lezione viene cassata in SON1 ed è 184 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE successivamente sostituita da “oscuramente / luminosi”, mentre la lezione definitiva “oscuramente risplendono” si instaura a partire da OP1, molto vicino, cronologicamente, a OPMOND. L’intento di Sanesi è qui certo quello di concentrare nella forma verbale del verbo ‘illuminare’ il tratto semantico ‘+ splendente’ per condensare la traduzione in un sintagma composto da due soli membri. Si tratta, insomma, di una possibile spia che rivela la volontà di Sanesi di rimanere in qualche modo fedele a Shakespeare. L’ossimoro “oscuramente risplendono” è inoltre una mise en abyme dell’intero sonetto, modellato sull’opposizione di ombre e luci (cf. “ombra – chiarore del giorno” al v. 6, “ombra risplende” al v. 7, “vivida luce del giorno – notte morta” ai vv. 10-11, “notti – giorni luminosi”, vv. 14-15). Figura 4 c.49r del testimone QN. Autografo della traduzione del sonetto XLIII di Shakespeare 185 MATTEO BRERA Il sonetto XLIV è una delle poesie shakespeariane tra le più influenzate dalle teorie pitagoriche e, soprattutto, dalla tradizionale visione del mondo come somma dei quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco. If the dull substance of my flesh were thought, Injurious distance should not stop my way; For then despite of space I would be brought, From limits far remote, where thou dost stay. No matter then although my foot did stand Upon the farthest earth removed from thee; For nimble thought can jump both sea and land As soon as think the place where he would be. But ah, thought kills me that I am not thought, To leap large lengths of miles when thou art gone, But that, so much of earth and water wrought, I must attend time’s leisure with my moan; Receiving naught by elements so slow But heavy tears, badges of either’s woe. Se la greve sostanza della carne fosse pensiero, l’insolente distanza non arresterebbe il mio cammino; perché malgrado lo spazio sarei spinto dai più remoti confini laggiù dove sei. E non avrebbe nessuna importanza che il piede premesse terre da te lontanissime: l’agile pensiero supera il mare e la terra in un balzo nell’attimo stesso in cui pensa dove vorrebbe stare. Ma ahi! già mi uccide il pensiero che non sono pensiero, in modo da permettermi di valicare le ampie distese di miglia quando sei lontano, mentre così come sono, un impasto di terra e di acqua, sono costretto a attendere piangendo il comodo del tempo. Nient’altro ricevendo da simili inerti sostanze che il peso delle lacrime, il pegno del dolore che ci lega. Centro del componimento è ancora una volta il Fair youth: il Poeta potrebbe raggiungerlo – dice – se solo fosse fatto di pensiero e non di carne. Le prime due quartine insistono su questa ipotesi, mentre la terza e il distico ne sono la negazione, introdotta dalla preposizione avversativa “But” (e l’interiezione “ah”), che apre il v. 9. Alla posizione iniziale che il sintagma “But ah” occupava nel sonetto shakespeariano, Sanesi oppone una collocazione di grande efficacia espressiva per la sua traduzione “Ma, ahi!”. Se osserviamo il verso in questione: dove vorrebbe stare. || Ma ahi! || già mi uccide il pensiero 186 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE notiamo come la posizione del sintagma che consuma la rottura tra i sogni del Poeta e la ineluttabile realtà terrena si trovi nel centro esatto del verso e, inoltre, spezzi quest’ultimo in due membri, ambedue settenari (il primo di 4a, 6a e il secondo di 3a, 6a). Sanesi presta notevole attenzione alla resa di un verso equilibratissimo che possa fungere da volano per un componimento fortemente perturbato dalla divergenza delle pause sintattiche e di quelle metriche. Sono addirittura dieci, infatti, gli enjambement che spezzano l’andamento sintattico del sonetto e che hanno un notevole peso stilistico. Il primo di essi è tra i vv. 2-3 (“arresterebbe / il mio cammino”): la pausa segue la forma verbale del verbo ‘arrestare’ e così anche il discorso si interrompe bruscamente per riprendere, come il ‘cammino’ del Poeta, al verso successivo. Metrica e moto del corpo si intrecciano ancora tra i vv. 5-6 dove l’enjambement sottolinea con forza la vigorosa adesione del piede umano alla terra (“il piede / premesse”). Ma l’inarcatura enfatizza pure, per contrasto, le inarrestabili facoltà del pensiero, che sa slegarsi dalla terra e svincolarsi dal corpo, definito “un impasto di terra e di acqua” (v. 12). L’idea che “l’agile / pensiero” permetta di superare le distanze fisiche è poi ribadito ai vv. 10-11 (“permettermi / di valicare”). L’ultimo enjambement degno di una riflessione più specifica è quello tra il già citato v. 9 e il successivo v. 10: “pensiero”, in clausola al v. 9, è posto in assoluto rilievo dalla forte inarcatura che lo segue. Il verso sembra fermarsi a pensare a questo punto del discorso, per poi procedere verso il triste epilogo che rivela l’impossibilità dell’avvicinamento finale col giovane. Un’ultima nota è opportuna riguardo la variante al v. 1 che, in QN, prevedeva l’aggettivo possessivo “mia” (poi cassato) davanti a “carne”. Qui Sanesi invia al lettore un messaggio ecumenico, eliminando qualsiasi segno di autoreferenzialità ed estendendo la condizione carnale denunciata da Shakespeare a una folla indeterminata. Anche alla luce delle idee sanesiane in merito alla Società – poetica e non – a lui contemporanea, questa folla coincide con l’Umanità, troppo legata alla terra e incapace a puntare un po’ più in alto, slegandosi dalla materialità del quotidiano57. Il sesto sonetto che qui considero – il LXIV – è uno di quelli “della sfida al Tempo tramite la poesia”58: When I have seen by Time’s fell hand defaced The rich proud cost of outworn buried age, When sometime lofty towers I see down-razed, And brass eternal slave to mortal rage, When I have seen the hungry ocean gain Advantage on the kingdom of the shore, And the firm soil win of the wat’ry main, Increasing store with loss and loss with store; When I have seen such interchange of state, 187 MATTEO BRERA Or state itself confounded to decay, Ruin hath taught me thus to ruminate That Time will come and take my love away. This thought is as a death, which cannot choose But weep to have that which it fears to lose. Dopo aver visto la mano crudele del Tempo sfregiare il ricco, orgoglioso tesoro di età consumate e sepolte, così come vedo talvolta crollate al suolo le torri superbe, e il durevole bronzo ridotto in schiavitù dalla furia mortale; dopo aver visto l’oceano affamato corrodere il regno alle rive, e la terra inoltrarsi sull’ampia distesa dell’acqua a compensare il guadagno con la perdita, e la perdita con il guadagno; dopo aver visto un tale mutamento di condizioni, e la stessa esistenza confondersi fino all’annullamento, è stato allora che questa Rovina mi ha indotto a meditare che il Tempo verrà a strappare da me l’amore mio. Un pensiero che appare simile a morte, non avendo altra scelta che il pianto per possedere soltanto ciò che ha paura di perdere. La struttura del componimento è piuttosto rigida: le tre quartine costituiscono una lunga proposizione temporale, chiosata dal distico59. Il bilanciamento e l’estremo equilibrio retorico della poesia sono garantiti dall’anafora della tessera “When I have seen” che apre ogni quartina. Il distico, nota Serpieri, non è trionfale, come in altri casi, ma “dolorosamente rassegnato”60. La traduzione di Sanesi tende in questo caso a rispecchiare la struttura originale, almeno nelle sue linee essenziali, e le varianti paiono molto utili a verificare tale atteggiamento. Si nota infatti come al v. 6 il traduttore intervenga – e solo in OPMOND – a reintrodurre il corrispondente di “When I have seen”, “Dopo aver visto”, non presente in tutti gli altri testimoni61. Il parallelo con la struttura shakespeariana (debito ovidiano, secondo Serpieri e West)62 è dunque ristabilito solo molto tardi nella storia redazionale del testo tradotto. È significativo che Sanesi scelga, ed è raro, il rispetto totale della costruzione dell’originale nel collocare la predetta tessera del discorso in apertura di verso. Un altro caso di ‘rispetto’ per l’auctoritas shakespeariana si ha ai vv. 8-9; Shakespeare così scrive al v. 8: Increasing store with loss and loss with store. Sanesi traduce: A compensare il guadagno con la perdita, e la perdita con il guadagno 188 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE mantenendo, pur con il consueto ricorso alla rottura della sintassi, il chiasmo shakespeariano. Nel testimone QN il primo abbozzo di traduzione recitava invece: compensando ciascuno il guadagno e perdita all’insegna dell’estrema sintesi nel veicolare il significato. Un’ultima e interessante variante è quella che riguarda i vv. 5-6, sottoposti a una revisione sia metrica che linguistica in QN: 5-6 mortale;…rive] mortale; / e l’oceano ingordo → mortale; e l’oceano >ingordo< / >invadere famelico il regno delle rive → avidamente inoltrarsi famelico nel regno delle rive → invadere famelico il regno delle rive< affamato invadere il reame delle rive QN Anzitutto l’aggettivo “mortale”, debordato nel v. 6 in una fase del lavoro correttorio, ritorna quasi immediatamente in quella che deve essere stata la sua originaria collocazione, a fine v. 5. Inoltre il lunghissimo v. 6 ha avuto una revisione lessicale molto interessante per quel che riguarda la traduzione del’aggettivo “hungry” e del verbo ‘to gain advantage’. Ancora una volta Sanesi opta per un ‘appiattimento’ semantico e approda alla forma ultima attraverso la progressiva cassatura di “ingordo” e “famelico” a favore di “affamato”. Sembra qui evidente un progressivo impoverimento semantico, soprattutto per quel che riguarda il tratto bestiale dell’atto fagocitativo espresso dalle prime due scelte traduttorie. L’asprezza dell’immagine poetica shakespeariana viene comunque parzialmente recuperata da Sanesi attraverso l’uso – esclusivo in OPMOND – del verbo “corrodere” per tradurre ‘to gain advantage’. È una scelta espressiva di non poco conto se si considera che le prime due parole impiegate, “invadere” e “inoltrarsi”, rispecchiano quelle suggestioni guerresche sottese alla poesia shakespeariana. Nella traduzione scompare dunque la rappresentazione del mare e della terra in lotta (una lotta inutile, in cui ognuno dei due contendenti crede di accrescere le proprie superfici con l’acquisizione, solo momentanea, delle terre dell’altro, subito riconquistate in un gioco senza soluzione di continuità). Sanesi personifica invece le acque dell’oceano, impegnate in un’incessante opera distruttiva che riproduce il logorio del Tempo. L’erosione continua e violenta che questi esercita sulle vite umane è resa con gran forza dall’immagine delle acque e da una serie di forme verbali disseminate nella poesia: “sfregiare”, “consumate”, “crollate”, “strappare”. Tornando per un attimo al v. 6, va sottolineata la struttura trimembre derivata dalle manipolazioni successive operate del traduttore. Questo il verso nella sua forma definitiva: 189 MATTEO BRERA dòpo aver vìsto || l’ocèAno^ÀffAmÀto || coRRòdere^il Règno^alle Rìve Si tratta di un segmento testuale molto pausato nella sua parte centrale (settenario giambico) che riacquista ritmo nel terzo membro (novenario dattilico). Ma la vera peculiarità del verso è il gioco fonico sulla vocale ‘a’ nel settenario, che esprime l’idea delle fauci spalancate dell’oceano nell’atto di divorare la terra e aggiunge un altro elemento a giustificazione della scelta di questo termine. L’allitterazione è molto forte pure nel novenario, in cui l’erosione è resa palpabile dall’uso ripetuto della consonante rotata. Il problema della resa dei suoni dell’originale è affrontato (e risolto da Sanesi) pure in alcuni versi del sonetto XCVII. In particolare, impossibilitato, per questioni linguistiche, a rendere la tessitura fonica dei due versi shakespeariani (cf. vv. 8-9): BEARIng the WAnton bURden of the pRIme, Like WidOWed WOmbs after theiR loRds’ decease Sanesi opta per altre e meno marcate sonorità, come si vede dall’analisi dei due versi in questione nella redazione finale (OPMOND): Quella stagione deseRta, o FRuttiFeRo autunnO, già densO di Raccolti matuRi, Già GReve del peSO laScivO della nascita nuova, come il GRembo vedOvO. Anche per giungere a questa conformazione fonetica finale Sanesi sostituisce a “fecondo” (che traduce “teeming”)63 il termine “fruttifero”, sdrucciolo, e costituente con “autunno” un sintagma non del tutto estraneo alla tradizione letteraria italiana64, a differenza di “peso lascivo”65 e “grembo vedovo”: elementi portanti di tutto il periodo e di gran parte del sistema semantico su cui si fonda la poesia, anche sulla base della fitta trama fonica che li caratterizza. Traduzione come interpretazione. Prime osservazioni sulle versioni sanesiane L’analisi di alcune tra le varianti più significative e, in generale, dei tratti salienti delle traduzioni sopra considerate, permette di stilare un primo “rapporto informativo” sull’attività de Roberto Sanesi traduttore delle poesie di Shakespeare. Credo si possano proporre almeno quattro costanti cifre stilistiche della traduzione dei Sonnets. Anzitutto è chiara la volontà di adesione al senso profondo della lirica, sebbene Sanesi si preoccupi di semplificare frequentemente i passaggi maggiormente concettosi66. Alla semplificazione, specie quella linguistica, si accompagna il frequente scardinamento delle forme metriche e la decostruzione della sintassi ai fini espressivi. In questo processo 190 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE di trasformazione dell’originale, ho dimostrato come la presenza dell’enjambement sia numericamente cospicua e stilisticamente fondante. Le inarcature, infatti, sono i principali strumenti di creazione di senso nelle traduzioni osservate. La lingua che Sanesi utilizza per rendere l’eloquio shakespeariano è generalmente una lingua piana, talvolta, quando l’originale lo richiede, afferente ad ambiti tecnici (ad esempio quello della guerra). In ogni caso, la lingua poetica delle traduzioni sanesiane è non tanto il risultato del valore semantico della singola parola quanto della sua posizione all’interno del verso e delle successive ri-combinazioni in membri complessi (sintagmi e misure versali). Un carattere interessante delle traduzioni prese in esame è infine il ricorso – consuetudine, peraltro, confermata dallo stesso Sanesi nel suo saggio sulla traduzione miltoniana67 – alle misure canoniche della poesia italiana, particolarmente ai moduli eptasillabici e endecasillabici. Nelle traduzioni dei Sonnets la ricerca della misura endecasillabica è costante ed è motivata dalle numerose possibilità ritmiche che questo tipo di verso consente, specie se usato all’interno di segmenti più lunghi e in combinazione con altre misure versali. Come accade per la lingua, così anche anche la metrica sanesiana scaturisce dall’accostamento di differenti forme68, delle quali sono così esaltate le potenzialità espressive. In queste traduzioni Sanesi rivela una profonda vocazione al superamento delle gabbie classicistiche e intellettualistiche imposte alla poesia del Novecento italiano dai suoi colleghi poeti, già criticati in quanto leziosi “ragni laboriosissimi”69. Conseguentemente la poetica della traduzione di Sanesi è modellata sul ritmo e sul suono e si dimostra capace di veicolare senso indipendentemente dagli ostacoli che la distanza linguistica frappone tra il testo di partenza e quello di arrivo. In quest’ottica poco conta considerare come Sanesi traduce, di volta in volta, una singola espressione shakespeariana: la sua è nuova poesia, è vero e proprio lavoro autoriale e per nulla ‘gregario’. Non risente dell’auctoritas shakespeariana, seppure talvolta cerchi di rispettarne alcune convenzioni, tentandone però una riproposizione originale, secondo la propria sensibilità poetica. Tra le mani di Sanesi Shakespeare diventa un poeta meno rigidamente rinascimentale e più ‘novecentesco’. Il respiro delle traduzioni dei Sonnets è ampio, ricrea il testo rendendolo più vicino al lettore, col quale ‘colloquia’ volentieri. In questo senso, pur nella sua congenita ‘imperfezione’ (propria, del resto, di ogni versione in un’altra lingua), la traduzione di Roberto Sanesi diventa non solo una diversa lettura del testo originale, ma una chiave di lettura, un utilissimo grimaldello per scardinare i segreti profondi dell’irripetibile poesia shakespeariana. __________ 191 MATTEO BRERA NOTE 1 William Shakespeare, Sonetti. Nella traduzione di Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Roberto Sanesi, Milano: Euroclub, 1983. 2 William Shakespeare, Venticinque Sonetti, a cura di Roberto Sanesi, Milano: Severgnini, 1985. 3 William Shakespeare, L’opera poetica, a cura di Roberto Sanesi, Milano: Mondadori, 2000. 4 In attesa di una catalogazione complessiva delle carte, la situazione filologica delle traduzioni dei sonetti shakespeariani risulta ancora potenzialmente lacunosa. In ogni caso, il materiale disponibile ha consentito una ricostruzione molto plausibile del lavoro condotto da Sanesi sulle poesie di Shakespeare. 5 Il testimone consta di duecentodieci fogli bianchi (cm 29,8 x 21,1) non numerati, manoscritti irregolarmente al recto e al verso con penna nera, blu e rossa (a sfera e stilografica). Contiene abbozzi, prove poetiche, traduzioni, minute di scritti vari su poesia, traduzione, arte ed estetica e disegni di Sanesi. Le traduzioni dei Sonnets shakespeariani (VII, XII, XX, XLII, XLIII, XLIV, LIV, LX, LXIV, LXV, LXXVII, XC, XCVII, CIV, CX, CXXIV, CXXVII, CXXXVII, CXXXVIII, CXLI, CXLII, CXLVII, CXLIX, CLIV) sono presenti alle cc. 37r, 37v, 38r, 39r, 39v, 40r, 44r, 45r, 45v, 46r, 47r, 48r, 48v, 49r, 50v, 51r, 52r, 52v, 54r, 57r, 57v, 59r, 59v, 60r, 60v, 61r, 61v, 62r, 62v, 63r, 63v, 64r, 64v, 65r, 65v, 66r, 66v, 67r, 67v. 6 Quadernone di 267 fogli a righe (cm 29,8 x 21,1) staccabili per raccoglitore ad anelli. Tutti i fogli sono manoscritti, salvo rarissime occorrenze, al solo recto. I sonetti tradotti (tutti quelli non in QN) occorrono al recto e al verso delle seguenti carte: 8-57, 66, quindi 105-123. Il quadernone, come il precedente, è conservato presso Casa Sanesi. 7 Fascicolo rilegato a spirale con dorso di plastica blu e copertina trasparente azzurra. Contiene complessivamente la traduzione di centoquarantanove sonetti di Shakespeare e consta di centocinquantuno fogli non numerati. Sul primo compare il titolo “SONETTI”, poi un componimento per foglio. L’ultimo foglio è bianco. Mancano le traduzioni dei sonetti XXXIII, CII, CIII, CXIX, CXXIX. Il materiale rilegato è tutto dattiloscritto con correzioni autografe a penna biro rossa e nera. Pochi fogli sono fotocopie da altri esemplari e inseriti a completamento del faldone. Su questi inserti, comunque rilegati assieme agli altri fogli, compare nell’angolo superiore destro un’ulteriore numerazione, forse quella dell’esemplare da cui sono stati tratti. 8 Il volume contiene i seguenti sonetti tradotti da Roberto Sanesi (con testo originale a fronte): VII, XII, XX, XLIII, XLIV, LIV, LX, LXIV, LXV, LXXVII, XC, XCVII, CIV, CX, CXXIV, CXXVII, CXXXVII, CXLI, CXLVII, CLIV. 9 L’edizione raccoglie i sonetti III, VII-XII, XIV, XVI, XVIII, XX, XXIII, XXIV, XXVI, XXXIV, XXXVI, XL, XLII-XLIV, XLVII, LIV, LX, LXI, LXIV, LXV, LXXIV-LXXVII, LXXX, LXXXI, LXXXIII, LXXXVI, 192 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE LXXXIX, XC, XCIII, XCVI, XCVII, C, CII, CIV, CVI, CX, CXIII, CXVI, CXXII, CXXIV, CXXVII, CXXXV, CXXXVII, CXLI, CXLIII, CXLV, CXLVII, CXLIX, CLIV tradotti da Sanesi (con testo a fronte). 10 Fascicolo di novantotto fogli (cm 29,8 x 21,1) riuniti da una rilegatura a spirale nera con copertina trasparente di colore azzurro. Al dorso foglio plastificato di colore blu. Sul foglio di guardia, oltre al titolo dattiloscritto “SONETTI” in alto quasi a centro pagina, compare la dicitura: “Copia x 100 Sonetti | Euroclub”; poi la seguente legenda: “U=Ungaretti 40 | = 20 già pubbl. | Mond.= Montale 2 | 1 ecc= 38 aggiunti”. Tutti i fogli sono dattiloscritti (quasi tutti in fotocopia dal testimone SON1) con correzioni autografe a penna biro rossa e stilografica nera e recano 97 sonetti tradotti, ciascuno occupante una pagina (al solo recto). Al posto del sonetto CXIX si trova una pagina bianca con la dicitura autografa “Severgnini | 119”, certamente un rimando all’esemplare pubblicato nella raccolta del 1985. Dei sonetti I, XXII e CXXXVIII sono presenti due redazioni successive. Il sonetto CXLIV è in due esemplari, di cui uno, fascicolato, è cassato; l’altro risulta invece interfoliato. Molti fogli sono sfascicolati. Il testimone contiene i seguenti sonetti tradotti: I-XXIX, XXXI-XXXVII, XLI, XLV, XLVIII, XLIX, LI-LIII, LVI-LIX, LXI-LXIII, LVII, LXX, LXXI, LXXIII, LXXV, LXXIX-LXXXIII, XCII, XCIX-CIV, CV, CVIII, CIX, CXI-CXV, CXVII, CXX, CXXI, CXXIII, CXXIV, CCXXVI, CCXXVII, CXXX, CXL, CXLII, CXLIV, CXLVI. 11 Il volume contiene quaranta sonetti tradotti da Giuseppe Ungaretti, due tradotti da Eugenio Montale e cinquantotto tradotti da Roberto Sanesi: II, VI, XV, XIX, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXIII, XXXV, XXXIX, XLI, L, LI, LII, LV, LIX, LXII, LXVI, LXVIII, LXXI, LXXIII, XCVIII, XCIX, CVII, CXII, CXIX, CXX, CXXIII, CXXVIII, CXXIX, CXXX, CXXXI, CXXXII, CXXXIII, CXL, CXLIV, CXLVI, CL, CLI. 12 Le traduzioni dei sonetti sono contenute in centocinquantasei fogli sciolti (cm 29,8 x 21,1 eccetto i fogli di provenienza diversa, tagliati al margine e dunque di misura variabile) non numerati e scritti al solo recto. Sul primo foglio compare il titolo dattiloscritto “SONETTI” con l’aggiunta autografa soprascritta (a matita) “W. Shakespeare”; sul secondo foglio la traduzione della dedica a Thomas Thorpe, dattiloscritta. Seguono i 154 sonetti tradotti, uno per foglio. I fogli sono dattiloscritti o copie di dattiloscritti provenienti da redazioni differenti, a giudicare dalla tipologia della scrittura e dalla consistenza delle correzioni (dattiloscritte, autografe a penna biro, nera e rossa e a matita). 13 Trecentouno fogli (cm 29,8 x 21,1) numerati dall’uno al 289. Gli ultimi quattro fogli recano la numerazione 73-76, probabilmente frutto di un ripensamento circa l’ordine di pubblicazione delle poesie. OP2 è copia molto vicina alla stampa dell’Opera poetica di Shakespeare, mancante però di prefazione e note. Sono presenti invece tutte le poesie tradotte e poi confluite 193 MATTEO BRERA nell’edizione in volume. I sonetti tradotti si trovano, uno per pagina, dalla c. 118 alla 271. 14 Il volume in questione è William Shakespeare, Sonetti, a cura di Giorgio Melchiori. Versioni di Alberto Rossi e Giorgio Melchiori, Torino: Einaudi, 1965. 15 Si tratta di tre fogli (cm 29,8 x 21,1) riuniti da un punto metallico all’angolo superiore sinistro e fotocopiati su recto e verso. Nel dettaglio questo testimone consiste nella fotocopia del frontespizio e delle pp. 86-87 del volume a cura di Melchiori e Rossi (cf. supra), che riportano il sonetto XLII (con traduzione a fronte). Il terzo foglio reca la copia di una traduzione del sonetto XLII proveniente, però, da un altro volume non identificabile. 16 Cf. William Shakespeare, Sonetti, a cura di Alessandro Serpieri, Milano: Rizzoli, 1993, p. 484. Da qui in poi si farà riferimento a questa edizione come ‘Serpieri’ cui seguirà il numero di pagina da cui si cita. 17 Le traduzioni sono scritte in un tempo apparentemente breve, a giudicare dalle affinità delle grafie riscontrabili sui fogli del quaderno. Una poco significativa interruzione occorre solo tra le cc. 41r e 43r, occupate da uno scritto d’arte su Pietro Cascella. 18 Pure in questo caso la traduzione dei sonetti pare essere scritta in un arco temporale piuttosto limitato e senza grosse interruzioni, se si eccettuano alcuni appunti su uno scritto di Jean Pierre Jeunet che occupano le cc. 55r56v. 19 William Shakespeare, Quaranta sonetti, traduzione di Giuseppe Ungaretti, Milano: Mondadori, 1946. 20 L’idea di proporre i sonetti secondo il loro ordine progressivo non sarà confermata dalla successione dei sonetti in EC83, ma rimarrà nell’Indice dei sonetti, presente nell’edizione in questione e in EC95. 21 Il numero “110” è per la verità solo sottolineato. Si tratta, forse, di un ripensamento di Sanesi, il quale deve aver scritto il numero stesso immediatamente sotto al CII e avrà poi voluto – ripetendo meccanicamente il gesto compiuto una riga sopra – tracciare un tratto similare, accorgendosi però della sua inutilità (l’interlinea non è necessaria) e interrompendolo. Dubbio rimane invece il significato dei cerchi a penna rossa a contrassegnare i sonetti XII, XLIII, LXXVII e CII. Probabilmente si tratta delle poesie in un primo momento ancora da tradurre, vista anche l’assenza da raccolte successive del sonetto CII. 22 Il numero è seguito da un punto interrogativo, come nel caso del LXXVII. Il sonetto CXXXVIII comparirà solo in OPMOND, seppure il progetto della sua traduzione risalga probabilmente a questi anni. 23 In soli due casi, peraltro poco significativi, occorrono altri numeri racchiusi tra parentesi, collocati a centro pagina, al di sopra del sonetto shakespeariano. L’esiguità statistica di questa ricorrenza impedisce di formulare ipotesi in merito al valore intrinseco di tale numerazione. 24 Accertata la presenza di questa ‘pseudo-redazione’ non attestata, occorre avvertire che di questa non si è dato effettivamente conto nell’apparato ai 194 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE sonetti, ma è stata tenuta presente durante il processo di datazione dei testimoni. 25 Il sonetto XXXIII, la cui elaborazione mostra numerosi ripensamenti e importanti varianti, è collocato dopo il CLIV, a differenza del XLVIII e del LXXIII, che costituiscono con esso l’appendice dei volumi editi da Euroclub. Questo basta per ritenerlo tradotto almeno qualche settimana (o forse mese) dopo i primi componimenti. 26 Non a caso il sonetto CXXVII, a riprova della sua complessa elaborazione, è uno dei pochi a essere caratterizzato da correzioni anche nel testimone OP2, quello immediatamente precedente a OPMOND. 27 Mancano a SON1 i sonetti XXXIII, CII, CIII, CXXIX. 28 La pubblicazione del volume risulta puntuale (ottobre 1995). 29 Sui fogli che recano i sonetti tradotti da Sanesi si trova un asterisco a penna biro rossa nell’angolo in alto a destra in corrispondenza dei sonetti già pubblicati in EC83; le trentotto poesie aggiunte per EC95 sono contrassegnate, sempre in alto a destra, da un numero progressivo cerchiato. Si notano alcune lacune in questa numerazione, probabilmente dovute a ripensamenti d’autore sui componimenti da consegnare all’editore per la stampa. 30 Anche in questo caso Sanesi appone un segno sui fogli, a penna rossa: una “U” in corrispondenza delle traduzioni ungarettiane, “Mont.” accanto a quelle di Montale. 31 I soliti sonetti di EC83 e alcuni fogli forse provenienti da SON2, data la presenza di sigle “U” e segni “*” a penna rossa, poi cassati. 32 Alla cartelletta è applicata un’etichetta adesiva di colore bianco su cui è vergata la scritta autografa “OPERA POETICA | Oscar _ Mond. 2000”. Sul lato interno della copertina della cartelletta, applicato con un punto metallico, è presente un indice dattiloscritto con correzioni autografe (a penna biro blu, rossa e a matita) della futura Opera poetica in volume. Il materiale tuttavia non è completo. Il raccoglitore contiene, infatti, a dispetto della dicitura “POESIE (COMPLETE)” posta su uno dei fogli di guardia non numerati, solo le seguenti traduzioni: Venere e Adone, Lucrezia rapita, La fenice e la tortora, Morirò? Questo esemplare mostra di contenere fogli con scrittura a macchina affine a quella di OP1, il quale potrebbe essere stato contenuto, almeno in una sua precedente fase elaborativa, proprio in questa cartelletta. Del resto, esaminando tutto il materiale relativo alla traduzione conservato presso il Fondo Manoscritti e Casa Sanesi non sono ancora emerse carte compatibili con questo contenitore, i cui fogli sono probabilmente entrati a far parte di altre redazioni dell’opera poetica shakespeariana. 33 I Sonnets, testi di difficile lettura, dalla tessitura linguistica (ma soprattutto retorica) variegata e complessa sono stati tradotti in italiano, con esiti molto diversi, solo a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento. Si veda Matteo Brera, “I Sonetti di Shakespeare in Italia. Osservazioni su lingua e stile delle 195 MATTEO BRERA traduzioni ottocentesche di Angelo Olivieri, Luigi De Marchi, Ettore Sanfelice”, Il Confronto letterario, 53 (2010), pp. 63-86. 34 Serpieri, Sonetti, p. 396. 35 Cf. Helen Vendler, The Art of Shakespeare’s Sonnets, London: Harvard University Press, 1997, pp. 76-77. Queste osservazioni sono riprese e sviluppate da David West (ed.), Shakespeare’s Sonnets, New York, The Overlook Press, 2007, pp. 33-35. 36 Sembra pure molto verosimile l’ipotesi secondo cui, in presenza di sinalefe, il secondo segmento sia soltanto un senario sdrucciolo. 37 E si perde così, nella traduzione, il possibile gioco suggerito da Serpieri tra Lo e low, “in basso”, che indicherebbe la linea dell’orizzonte. Cf. Serpieri, p. 397. 38 Vladimiro Macchi, a cura di. Dizionario delle lingue italiana e inglese, Firenze: Sansoni, 1983. L’esemplare donato al Fondo Manoscritti di Pavia, utilizzato per questo lavoro, si trovava nello studio di Sanesi e fu, dunque, strumento di lavoro del traduttore. 39 Che Sanesi tenesse in grande considerazione questa edizione e che, molto probabilmente, ne avesse subito reperito una copia è suggerito dalla presenza tra le carte conservate a Casa Sanesi di un articolo del Corriere della Sera del settembre 1991 in cui si recensisce il volume in questione. Cf. Anthony Burgess, “Un Canzoniere per Shakespeare”, Corriere della Sera, Domenica 15 settembre 1991. Da sottolineare, inoltre, come l’articolo si trovasse conservato tra le pagine del testimone QN. 40 William Ingram, Theodore Redpath (eds.), Shakespeare’s Sonnets, London: Hodder and Stoughton, 1964. 41 Serpieri, p. 397. 42 In realtà l’Oxford English Dictionary posseduto da Sanesi riporta alcuni significati ulteriori rispetto a quello originariamente impiegato. Ma la variante così tarda pare più dovuta a un suggerimento ‘esterno’, piuttosto che a una riconsiderazione linguistica postuma, peraltro rarissima all’altezza di OP2, già bozza di stampa per OPMOND. 43 L’abbandono del condizionale a favore dell’indicativo sottolinea inoltre la perentorietà e sentenziosità dell’affermazione. 44 Serpieri, p. 407. 45 L’uso dell’enjambement a sottolineare gli effetti del tempo sull’umanità ricorre in maniera insistita anche nel sonetto LXIV, in cui ben cinque inarcature mettono in evidenza il decadimento dell’uomo. In quel componimento (vd. Infra, pp. 26-27) il passato è definito come “età / consumate e sepolte” (vv. 2-3) e il passare degli anni è assimilato al crollo dei manufatti umani: “vedo talvolta / crollate al suolo le torri superbe” (vv. 34). Il progressivo disfacimento della vita mortale è ancora enfatizzato dalla spezzatura metrica ai vv. 9-10 (“un tale / mutamento di condizioni”), mentre il dissolversi dell’esistenza sino al nulla è descritto tra i vv. 10-11 (“la stessa esistenza confondersi / fino all’annullamento”). Il Tempo è infine il responsabile della rovinosa quanto inevitabile separazione tra il Poeta e il 196 I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO SANESI. UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE giovane amato: “il Tempo verrà / a strappare da me l’amore mio” (vv. 1213). La rima interna “pianto : soltanto” (vv. 14-15) riassume e sancisce l’ineluttabile conclusione dolorosa della vicenda. 46 Inevitabilmente si perde nella traduzione la fortissima allitterazione della lettera ‘b’ su cui è giocato il v. 8 del sonetto originale. 47 Cf. Vendler, p. 128. 48 Cf. tra i numerosi contributi sul tema Giorgio Melchiori, “Intermezzo. Il donno-donna del sonetto XX”. Giorgio Melchiori, L’uomo e il potere, Torino: Einaudi, 1973, pp. 119-35. 49 Questa seconda redazione è stata siglata QN2 nell’apparato. 50 Nelle minime porzioni di apparato genetico fornite a testo le sigle in neretto indicano i testimoni cui si fa riferimento, mentre il segno >…< indica una variante alternativa. La freccia (→) sta invece a significare che la porzione di testo cassata è stata in un primo momento assunta come variante alternativa. La parola barrata (aaaa) occorre in presenza di cassature rilevanti all’interno di una porzione testuale pure cassata. Il modulo (|…|) indica invece una parola irrelata rispetto all’iter correttorio. Infine le integrazioni al testo sono espresse tra parentesi quadre. 51 Matteo Brera, “Roberto Sanesi traduce John Milton (e William Shakespeare): Aspetti di una schermaglia metrica con la tradizione poetica italiana”, Mosaici. St. Andrews Journal of Italian Poetry, 2011 (in corso di pubblicazione). 52 Cf. Stephen Booth, Shakespeare’s Sonnets, New Haven and London: Yale University Press, 1977, p. 203. 53 Cf. per le ultime citazioni, Serpieri, p. 484. 54 Cf. Dante Alighieri, La Divina Commedia, “Purg. XXI, 109”: “Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca”. 55 Liz 4.0 non fornisce, tra l’altro, occorrenze per la forma in questione. 56 Sanesi avrà inoltre certamente verificato sull’OED come il significato (cessato) di ‘to close one’s eyes’ di ‘to wink’ fosse maggiormente appropriato al contesto shakespeariano. Inoltre, anche secondo il Grande Dizionario della Lingua Italiana, l’espressione ‘serrare gli occhi’ suggerisce il significato di ‘ignorare volutamente o con ostinazione caparbia ciò che avviene’; e ancora ‘fingere per indulgenza o convenienza di non essere a conoscenza di determinati fatti e di lasciarli correre’. L’uso di ‘serro’ avrebbe potuto travisare il senso dell’incipit del sonetto. 57 Sanesi riversa in questa traduzione la sua concezione ‘eliotiana’ della vita umana, fortemente influenzata dalle dottrine esistenzialiste. Si veda in particolare Roberto Sanesi, “Un’altra voce”, aut aut, 11 (1952), pp. 428-32. 58 Cf. Serpieri, p. 527. 59 Seppure Serpieri faccia notare come, in effetti, la proposizione principale inizi già ai vv. 11-12. Cf. Ibidem. West cita l’edizione Booth, a proposito della possibile presenza, nella filigrana linguistica del sonetto, di termini ed 197 MATTEO BRERA espressioni che ricondurrebbero a una “vague aura of reference to male helplessness to postpone the moment of sexual climax and […] the general collapse and sexual helplessness that follows sexual emission”. A tal proposito Booth – prosegue West – elenca un certo numero di termini possibilmente legati a questo aspetto: “buried”, “down razed”, “rage”, “store”, “confounded”, “death”, “which cannot choose”, “weep”. Cfr. West, p. 206. 60 Serpieri, p. 544. 61 Nei quali la sola congiunzione copulativa raccordava le prime due quartine. 62 Cf. Serpieri, p. 541; e inoltre West, p. 205. 63 Come nota Serpieri, è un vocabolo dalla duplice valenza: dinamica (“versare” e, quindi, “procreare”) e statico (“fecondo”). Cf. Serpieri, p. 641. 64 Se ne trova un’occorrenza nell’Arcadia di Jacopo Sannazaro (Prosa VIII 7): “Quando nel fruttifero autunno le folte caterve di storni volando […]”. Non è comunque possibile provare che Sanesi faccia riferimento a questo luogo della tradizione. 65 In QN era “peso impudico”. 66 Si tratta di una tendenza osservabile in molte traduzioni di Sanesi, in particolare nella già citata versione di Paradise Lost, ma anche in quelle dei poeti metafisici inglesi (soprattutto di Alexander Pope) e di Dylan Thomas. 67 Cf. Roberto Sanesi, “Del tradurre: Milton”, La traduzione del testo poetico, Milano: Marcos y Marcos 2004, pp. 189-97 (p. 195): “Ho adottato quindi l’endecasillabo come se si trattasse di un modulo, di un segmento mobile, aperto, capace di adattarsi di volta in volta, con spezzature e raccordi interni, simulando un’enfasi di respiro e senza eccessivi timori per eventuali soluzioni prosastiche”. 68 Il ricorso alla misura del settenario e dell’endecasillabo è riscontrabile anche nelle poesie di Sanesi. Si veda in proposito Jacopo Grosser, “‘Disprezza / l’endecasillabo facile’: Ragioni metriche della prima stagione poetica di Roberto Sanesi (1958-1969)”, Archivi del nuovo, 20-21 (2009), pp. 79-112. 69 Sanesi, Un’altra voce, p. 429. Con questa definizione Sanesi descrive i poeti a lui contemporanei, considerati incapaci di ricostruire “l’edificio della poesia” e affaccendati, invece, in “lenti giri, ondulazioni […] fredde acrobazie, giochi difficili”. 198