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RIVISTA DI STUDI ITALIANI
CONTRIBUTI
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
MATTEO BRERA
University of Edinburgh
P
arte della biblioteca di Roberto Sanesi è giunta al Fondo Manoscritti
dell’Università degli Studi di Pavia nella primavera del 2007. Oltre ai
libri del poeta, artista, traduttore e critico milanese, la donazione della
signora Anita Sanesi comprendeva un piccolo nucleo di carte autografe. In
particolare, entro alcuni fascicoli erano custodite le traduzioni del teatro e
della poesia shakespeariani. In questo articolo si studieranno le versioni dei
sonetti di Shakespeare contenute in quei faldoni per osservare più da vicino il
laboratorio del poeta e traduttore milanese. Il presente articolo vuole essere
un primo approccio alle carte sanesiane e rimane, ad oggi, il solo studio di
questo tipo sull’autore.
La prima parte di questo saggio ricostruisce e commenta le fasi del lavoro
sanesiano sul testo, riportando una descrizione dei testimoni analizzati e
delineando la fisionomia dell’‘officina’ del traduttore.
La seconda parte dello studio prende in esame alcune liriche pubblicate
nella prima edizione dei Sonetti tradotti (Milano, 1983) e rappresenta
un’indagine preliminare della poetica della traduzione di Roberto Sanesi,
vista nel suo sviluppo diacronico. Si analizzeranno le costanti metricostilistiche e ritmiche dei sonetti e si metterà in luce come Sanesi renda la
‘voce’ del testo originale attraverso una nuova poesia che è soprattutto ritmo
e frutto della propria vocazione alla combinazione e alla rielaborazione di
misure versali tradizionali.
Tra le carte di Roberto Sanesi. Dagli abbozzi all’Opera poetica
Il progetto di traduzione dei Sonnets – che avrebbe assunto, negli anni,
proporzioni più vaste sino a giungere alla resa dell’intera opera in versi di
Shakespeare – dovette occupare Roberto Sanesi dall’inizio degli anni Ottanta
sino agli ultimi anni del 1990. La traduzione delle poesie shakespeariane
prese avvio in occasione dell’edizione per Euroclub nel 19831 che assume,
dunque, un valore notevole di ‘anteprima’ alla definitiva traduzione di tutte le
poesie di Shakespeare. Successivamente alla prima edizione Sanesi pubblicò
alcune traduzioni in un nuovo volume edito per Severgnini nel 19852 e, negli
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I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
anni seguenti, proseguì il suo lavoro sino a completare la resa dell’intero
corpus di liriche shakespeariane, che confluì nell’Opera poetica del 20003.
Il lavoro di archivio, condotto tra le carte del Fondo Manoscritti e,
soprattutto, tra la cospicua mole documentaria di Casa Sanesi, mi ha
permesso di riportare alla luce una serie di quaderni e note autografe e
dattiloscritte, grazie ai quali ho ricostruito le fasi di elaborazione delle
traduzioni sanesiane4. Ho isolato e utilizzato i seguenti testimoni:
Sigla
Testimone
QN
Quadernone autografo con copertina nera 5
QG
Quadernone autografo con copertina gialla e bianca 6
SON1
Centoquarantanove sonetti tradotti, dattiloscritto7
EC83
William Shakespeare, Sonetti (Euroclub, 1983)8
S85
William Shakespeare, Venticinque sonetti (Severgnini, 1985)9
SON2
Sonetti tradotti per edizione Euroclub 1995, dattiloscritto10
EC95
William Shakespeare, Cento Sonetti (Euroclub, 1995)11
OP1
Sonetti tradotti per l’edizione Mondadori 2000, dattiloscritto,
prima redazione12
OP2
Sonetti tradotti per l’edizione Mondadori 2000, dattiloscritto,
seconda redazione13
OPMOND
William Shakespeare, L’opera poetica (Mondadori, 2000)
La datazione dei manoscritti, mancando quasi del tutto indicazioni d’autore
in questo senso, è stato il primo problema da affrontare. Ho quindi ricostruito
la cronologia degli esemplari attraverso due criteri di massima: l’analisi
comparata dei testimoni manoscritti, dei dattiloscritti preparatori e delle
edizioni in volume e lo studio delle varianti dei singoli sonetti.
Molti e preziosi spunti per questo lavoro sono emersi soprattutto dal
testimone siglato QN, un quaderno che contiene le prime prove di traduzione
dei sonetti, oltre ad altri interessanti materiali preparatori e pensieri
dell’autore su poesia, traduzione, arte ed estetica.
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MATTEO BRERA
In particolare la carta 34r contiene una prima chiara indicazione delle
poesie destinate a comparire nell’edizione Euroclub del 1983 (Figura 1):
Figura 1 c. 34r del testimone QN. Piano dell’opera per “Sonetti
Euroclub”. Abbozzo cassato
Sullo stesso foglio è pure presente il rinvio a un’edizione di riferimento dei
Sonetti, nella fattispecie quella “Rossi / Einaudi”14, da utilizzarsi come
possibile puntello per la traduzione.
Stando a questa scaletta i primi sonetti da tradurre, nelle intenzioni
dell’autore, sono i seguenti: VII, XX, XLIII, XLIV, LIV, LX, LXIV, LXV,
LXXIII, XC, XCVII, CIV, CXLIV e CXLVI. Il sonetto XLIII compare in un
secondo momento, come suggerisce la correzione a penna rossa. Che il
sonetto XLII fosse inizialmente previsto nei piani del traduttore – o
quantomeno fosse tenuto in considerazione – risulta altresì dalla presenza tra
le carte autografe dei tre fogli (siglati D) 15 contenenti il frontespizio
dell’edizione Rossi-Melchiori del 1965, l’originale in lingua e la traduzione
del sonetto in questione. L’esclusione di questo componimento, che sarà
incluso però in S85, potrebbe essere stata motivata da questioni tematiche.
Difatti il sonetto XLII che chiude la sequenza del triangolo amoroso tra il
poeta, il giovane e la donna amata (da entrambi), mentre il XLIII introduce il
trittico dei cosiddetti sonetti “dell’assenza, o della lontananza”16 e risulta,
quindi, maggiormente legato al successivo XLIV. È tuttavia probabile, visto
il ritorno pressoché immediato del sonetto XLII tra quelli pubblicati da
Severgnini, che l’esclusione all’altezza di EC83 fosse subordinata ad
esigenze editoriali. Al progetto abbozzato seguono, sul manoscritto, le
traduzioni dei primi sonetti: VII, XX, XLIII, LIV, LX, LXIV, LXV,
LXXIII17. È questo il primo gruppo di traduzioni – che chiameremo T1 –
all’altezza del quale Sanesi mostra di non aver ancora optato con decisione
per la traduzione del sonetto XLIII, che viene reso in italiano solo tra i
successivi dodici componimenti (gruppo T 2) collocati tra le cc. 48r e 67r18.
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I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
Questo secondo gruppo segue un nuovo “prospetto”, maggiormente articolato
e molto vicino all’esito in volume (figura 2):
Figura 2 c. 47r del testimone QN. Piano dell’opera per “Sonetti” (ed.
Euroclub 1983). Secondo prospetto
Sanesi prepara qui un elenco dei sonetti tradotti da Giuseppe Ungaretti (per
l’edizione Mondadori del 194619) in una prima colonna a sinistra, a destra
della quale annota le poesie che ha in programma di tradurre (comprese
quelle del gruppo T1, già abbozzate precedentemente). L’idea iniziale del
traduttore è quella di realizzare una raccolta che rispetti la sequenza
shakespeariana, come sembrano dimostrare le linee continue tracciate a
partire dai ‘suoi’ sonetti in direzione di quelli di Ungaretti, quasi a suggerire
una scelta di poesie complementari a quelli. Le linee continue paiono indicare
la collocazione da attribuire al singolo componimento (o alla microsequenza), ‘inserendolo’ nella raccolta di poesie tradotte da Ungaretti 20. Tre
linee più brevi rivelano in questo caso che tre sonetti (LXXVII, CII e CX)
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MATTEO BRERA
sono stati inseriti successivamente da Sanesi tra quelli da tradurre 21. Il
piano di lavoro prevedeva anche i sonetti CXXXVIII 22, CXLII e CXLIX,
poi non inseriti in EC83, S85, EC95 ma soltanto nella definitiva
OPMOND. Il traduttore, a confermare i sonetti che entreranno nella
raccolta del 1983, segna i numeri corrispondenti con un asterisco. Il
progetto è già, a grandi linee, quello definitivo, con la sola variante dei
sonetti non inseriti e di cui ho detto sopra. Le idee del curatore del
volume sono già ben delineate anche per ciò che riguarda la macrostruttura della raccolta che, stando alle indicazioni presenti nella parte
destra della carta 47r, dovrà articolarsi in una prima sezione – la più
cospicua in termini di poesie presenti – di traduzioni ungarettiane; la
seconda conterrà i tre sonetti tradotti da Montale (il XXII, il XXXIII e il
XLVIII) e la terza comprenderà le venti traduzioni di Sanesi. Seguirà
dunque l’appendice, luogo deputato al confronto tra i traduttori, nella
quale rientreranno le traduzioni del sonetto XXXIII (Montale e Sanesi) e
LXXIII (solo Sanesi, senza testo a fronte). I gruppi di poesie tradotti
chiamati T 1 e T2 costituiscono quindi tutto il materiale autografo relativo
alla prima edizione dei Sonetti. Si nota, però, a un esame delle varianti
alle singole poesie, come tra il manoscritto e le prime due raccolte edite
corra davvero troppa differenza per non ammettere l’esistenza di un
processo elaborativo intermedio, non perfettamente delineabile attraverso
lo studio delle carte in nostro possesso. Analizzando il testimone siglato
SON1 si osserva, infatti, come i fogli contenenti alcuni sonetti siano in
fotocopia e non dattiloscritti originali, a differenza degli altri che
costituiscono il fascicolo rilegato a spirale: fotocopie da un esemplare di
cui l’originale non è stato ancora reperito tra le carte di Sanesi.
Dall’osservazione di SON1 emerge in particolare come queste carte (8,
13, 21, 42, 54, 60, 64, 65, 70, 77, 97, 124, 137, 141, 147, 154)
contengano i seguenti sonetti: VII, XII, XX, XLII, LIV, LX, LXIV, LXV,
LXXVII, XCVII, CX, CXXIV, CXXXVII, CXLI, CXLVII, CLIV. Si
tratta, pressappoco, del nucleo di poesie tradotte inizialmente da Sanesi
per Euroclub e che può verosimilmente aver costituito una fase
intermedia del lavoro del traduttore, tra QN e le prime edizioni in volume.
È significativa in tal senso anche l’intestazione della c. 8 su cui compare,
in alto a centro pagina, la dicitura (cassata) “Shakespeare | SONETTI”,
quasi a suggerire l’inizio di un’autonoma sequenza di traduzioni. In
questo senso, però, la situazione filologica di SON1 non pare essere
saldissima: Sanesi infatti utilizza materiali di differente provenienza per
costituire i fascicoli e i faldoni che sono stati esaminati e utilizzati per
questo lavoro. Per restare al testimone SON1 si nota, ad esempio, come in
alto a destra dei fogli fotocopiati siano vergati alcuni numeri (cassati
quando inseriti nel nuovo testimone) che porterebbero a congetturare
un’ulteriore sequenza di traduzioni 23. Una ricostruzione tentata su questa
base darebbe l’esito che si propone di seguito:
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I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
Sonetto
7
12
20
42
54
60
64
65
77
97
110
124
137
141
147
154
Num. a dx
6
8
10
13
16
18
20
22
24
28
32
34
38
40
42
44
Lo schema riprodotto sopra si presenta come una sorta di rompicapo,
all’interno del quale i numeri della colonna di destra intorbidano ancora di
più le acque di una ipotetica, ancorché plausibile, nuova redazione
intermedia. I numeri, va detto, non coincidono con le pagine di nessuna
edizione a stampa e la presenza di sole cifre pari, ad eccezione del ‘13’ che
marca il foglio contenente il rifiutato sonetto XLII è, allo stato filologico
attuale, di non facile spiegazione. Per ciò che riguarda questo sonetto,
comunque non presente tra quelli tradotti in QN, ci si trova di fronte al
segnale di un qualche ripensamento circa la sua collocazione nella raccolta.
L’assenza di alcuni numeri conferma invece indirettamente la presenza
originaria tra questi fogli di molti sonetti tra quelli tradotti sui quadernoni e
parte dei gruppi T1 e T2. Ai numeri 12 e 14 potremmo far corrispondere
facilmente i sonetti XLIII e XLIV (in originale e, dunque rielaborati, nel
fascicolo di SON1), mentre la lacuna del numero 36 è sanabile inserendo il
sonetto CXXVII. Ciò suggerisce la possibilità che questa micro-sequenza
dattiloscritta (a cui possiamo assegnare la sigla SONα24, pur non
conferendole statuto di testimone autonomo) rispecchi davvero una
successiva fase redazionale dei primi sonetti tradotti. Se osserviamo QN,
infatti, ne ricaviamo come, fatta eccezione per il sonetto XXXIII, di poco più
tardo rispetto agli altri25, il CXXVII è la poesia con l’elaborazione più
faticosa, che si traduce in un apparato parecchio articolato. Questo spiega la
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MATTEO BRERA
sua assenza da SONα: mentre SON1 veniva assemblato e fascicolato, il
sonetto CXXVII era sottoposto a una delle successive revisioni che lo hanno
condotto alla forma finale26.
Anche se SON1 è testimone composito e frutto di vere e proprie ‘ondate’
traduttorie successive – il caso del sonetto CXXVII è esemplare in questo
senso – e dunque non databile con certezza, si è creduto di anteporlo, in sede
di apparato e per i sonetti esaminati, alle prime edizioni in volume, ritenendo
che ciò rispecchi l’effettivo iter elaborativo di queste traduzioni.
Il testimone S85 non offre molti spunti di riflessione. Sanesi infatti, nel
licenziare questo libretto, si limitò ad integrare la passata edizione EC83 con
l’inserimento di pochi nuovi sonetti (il solito XLII, il CXIX e il CXXIX) e lo
spostamento di altri (il XXXIII e il LXXIII passano a far parte del corpus
principale e non sono più posti in appendice, peraltro non prevista in questa
edizione). Il caso del sonetto CXIX è interessante per osservare come SON1
abbia molto probabilmente costituito per Sanesi una sorta di copia di servizio
per la realizzazione di OPMOND. Tale sonetto, infatti, non si trova tradotto
tra i fogli del testimone SON1, dove è sostituito dalla dicitura “119 |
Severgnini” che evidentemente si riferisce al sonetto già pubblicato in
volume (o in pubblicazione). SON1 è quindi da intendersi come una
‘edizione di riferimento’ che raccoglie le traduzioni considerate più
attendibili, almeno fino all’inizio dei lavori su OP1. Ma il sonetto CXIX, o
meglio la sua assenza, è utile a stabilire con discreta sicurezza che, mentre il
fascicolo di SON1 veniva assemblato, l’edizione Severgnini era già stata
licenziata (o era in procinto di esserlo). Si può dunque affermare che tutti i
sonetti contenuti in SON1 fossero già stati tradotti all’altezza del 1985. Le
poche lacune che si osservano27 potrebbero essere di tipo meccanico. Non
sorprenderebbe, infatti, una perdita a seguito della sfascicolazione di alcune
carte, circostanza peraltro caratterizzante il testimone, che presenta alcuni
fogli staccati. Se il termine ante quem per la composizione di SON1 è il
1985, dobbiamo supporre che i quaderni autografi (QN e QG) non superino
questa data e che il successivo SON2, brogliaccio per EC95, abbia come
termine post quem proprio quell’anno. Per datare quest’ultimo testimone ci
viene in aiuto una lettera della Euroclub conservata presso Casa Sanesi:
Trezzano [sul Naviglio], 13 febbraio 1995
Oggetto: WILLIAM SHAKESPEARE - 100 SONETTI
Gentile Prof. Sanesi,
faccio seguito alla mia lettera del 27.10.1994 per confermarle la curatela e
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I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
la parziale traduzione di un volume contenente 100 sonetti di
SHAKESPEARE, che Euroclub pubblicherà a ottobre ’95.
Come d’accordo, tale edizione conterrà due sonetti tradotti da Montale,
quaranta tradotti da Ungaretti e cinquantotto tradotti da Lei. I testi, con
relativa prefazione ecc., dovranno esserci consegnati entro la fine di aprile
’95.
Il testimone SON2, denominato dal traduttore “Copia x 100 Sonetti |
EuroClub”, è quindi stato costituito (con materiali quasi totalmente derivanti
da SON1) verosimilmente a far data dall’incarico conferito a Sanesi da
Euroclub per la curatela dell’edizione dei Cento sonetti di Shakespeare (27
ottobre 1994). Se questo è il termine post quem per il fascicolo, il termine
ante quem per la sua costituzione deve essere stato l’aprile del 1995,
scadenza ultima per la consegna dell’elaborato, a quella data certamente
concluso28. L’assemblamento del fascicolo deve essere stato abbastanza
semplice per Sanesi, il quale ha ripreso moltissimi materiali da SON1 (tra cui
i sonetti pubblicati in EC83, senza apportare alcuna variante), limitandosi a
poche nuove traduzioni: quelle dei sonetti I (incompiuta), XXII, LXXXII,
XCIX, CXXXVIII, CXLIV. Sanesi non inserisce nel fascicolo solo i sonetti
da lui stesso tradotti, contrassegnati da due differenti segni diacritici 29, ma –
ed è questa un’evidente volontà di confrontarsi con gli altri traduttori, già
peraltro manifestata con l’Appendice a EC83 – le proprie traduzioni dei
sonetti già resi in italiano da Ungaretti e Montale 30. In tutto il fascicolo
contiene 97 sonetti e i tre mancanti sono stati probabilmente perduti, come si
evince dalla gran quantità di fogli staccati dal supporto a spirale.
Per ciò che riguarda OP1 ci troviamo di fronte al primo dei due testimoni
che contengono le versioni più vicine a OPMOND. Se OP2 presenta solo
minime correzioni di ordine grafico e d’impaginazione, OP1 è portatore di un
buon numero di varianti, seppure costituito in parte da materiali provenienti,
in fotocopia, da altri testimoni31. Per ipotizzare la data di composizione di
OP1 conviene basarsi su quelle carte che contengono una parte dell’Opera
poetica e che ho chiamato OPinc32. Sanesi scrive a matita sulla cartellina di
colore rosa la dicitura “SONETTI | Versione ultima | (’96)”. Si può quindi
datare al 1996 il testimone OP1 ma, in ogni caso, è plausibile che gli anni tra
il 1995 (dopo, quindi, EC95) e il 1999 siano stati quelli in cui Sanesi ha
lavorato all’Opera poetica in volume, e dunque sono questi i termini entro
cui collocare le varianti di OP1 e OP2.
173
MATTEO BRERA
Riassumendo, se dovessimo compilare un prospetto diacronico delle fasi
che hanno condotto i primi sonetti shakespeariani fino alla definitiva edizione
in volume, otterremmo un diagramma simile a questo:
QN
QG

[SONα]

EC83

SON1

ante
1983
ante
1983
Settembre
1983
ante
1985
S85

SON2

OP1

OP2

OPMOND
1985
post
1985
ante
Aprile
1995
1996
circa
ante
1999
Settembre
2000
La situazione filologica sopra illustrata potrebbe essere passibile di alcune
minime variazioni sulla scorta di uno spoglio davvero complessivo delle
carte, soprattutto di quelle conservate a Milano presso Casa Sanesi.
I sonetti tradotti. Uno studio delle costanti metrico-stilistiche
Ricostruite le possibili tappe che hanno condotto Roberto Sanesi alla
traduzione di tutte le poesie shakespeariane nell’Opera poetica, osserverò ora
più nello specifico le versioni dei sonetti. Se di alcuni componimenti la
traduzione fu realizzata ‘di getto’, per altre poesie l’elaborazione si rivelò
particolarmente complessa e articolata, come testimoniano le carte. Al
momento di iniziare ad analizzare le varianti ai sonetti tradotti da Roberto
Sanesi c’è da chiedersi come il poeta milanese sia entrato in contatto con la
poesia di William Shakespeare. L’idea di chi scrive, confortata peraltro dal
parere di Anita Sanesi, è che l’‘incontro’ tra i due poeti sia nato in maniera
casuale o, per così dire, ‘scolastica’. Sanesi tradusse Shakespeare un po’ più
tardi rispetto alle sue prime prove, per intenderci quelle da Eliot, Shelley,
Thomas e Blake, pubblicate tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del
Novecento. Il poeta milanese ha però presumibilmente iniziato a lavorare a
Shakespeare, che considerava, insieme con Dante, tra le massime auctoritates
della poesia mondiale, parallelamente a molte delle sue versioni. Il materiale
contenuto nei quaderni autografi dimostra, infatti, come Sanesi non si
concentrasse di volta in volta su un singolo poeta da tradurre, ma rivolgesse
la sua attenzione alternativamente su questa o quell’opera, su questo o quello
scrittore. Come si è già accennato, anche la traduzione dei Sonnets avviene in
due momenti diversi, tra cui si situano altri scritti di vario genere. L’incontro,
sempre metaforicamente inteso, con Shakespeare va quindi considerato come
l’ovvio esito della curiositas e della poliedricità sanesiana.
Un’ulteriore indicazione in questo senso ci viene da una video-intervista a
Roberto Sanesi, risalente a fine anni Novanta e trasmessa il 20 novembre
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I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
2006 presso lo Spazio Oberdan di Milano. Rispondendo alla domanda dello
intervistatore, che gli chiedeva una testimonanza d’autore sulle proprie
traduzioni da Shakespeare, Sanesi affermava, riguardo ai Sonetti, di essere
rimasto affascinato dalla loro ‘colloquialità’. L’opera di traduzione di quelle
liriche si può dunque a buon conto considerare come una forma d’interazione
con Shakespeare, un vero e proprio ‘dialogo’ con il poeta inglese.
La versione shakespeariana di Sanesi è una delle molte di cui disponiamo 33,
tuttavia non di tutte possediamo un così cospicuo numero di materiali
preparatori alle edizioni a stampa. In questo caso, invece, i documenti
conservati consentono di osservare da vicino l’‘officina’ di Roberto Sanesi,
di analizzare le poesie, le varianti più significative e quindi studiarle in
relazione allo stile del traduttore.
Proprio attraverso l’analisi delle varianti alle singole prove traduttorie
evidenzierò le costanti metrico-stilistiche delle versioni sanesiane. Di ogni
sonetto darò il testo inglese e quello tradotto nella sua forma ultima. Laddove
utile a una migliore comprensione del commento alla versione nel suo
divenire riporterò a testo pure minime porzioni di apparato genetico.
La prima poesia che qui analizzo è il sonetto VII:
Lo, in the Orient when the gracious light
Lifts up his burning head, each under eye
Doth homage to hi new-appearing sight,
Serving with looks his sacred majesty;
And having climbed the steep-up heavenly hill,
Resembling strong youth in his middle age,
Yet mortal looks adore his beauty still,
Attending on his golden pilgrimage;
But when from highmost pitch, with weary car,
Like feeble age, he releeth from the day,
The eyes, ’fore duteous, now converted are
From his low tract, and look another way:
So thou, thyself outgoing in thy noon,
Unlooked on diest, unless thou get a son.
Quando la luce sovrana leva a Oriente il capo
fiammeggiante tu vedi come gli occhi rendono
omaggio alla sua ricomparsa umilmente,
servendo con lo sguardo la sacra maestà;
e poi che ha risalito il ripido colle del cielo
simile a forte giovinezza nella sua età matura,
ecco che ancora gli sguardi degli uomini adorano
la sua bellezza, e nel dorato viaggio l’assistono;
ma appena dall’alto pendìo, con il carro già stanco,
175
MATTEO BRERA
come l’esausta vecchiaia la luce barcolla dal giorno,
gli occhi prima devoti ora sono distolti
dal suo percorso calante e si volgono altrove:
così anche tu, consumato il meriggio,
muori dimenticato se non hai un figlio.
Alessandro Serpieri individua per questa lirica una fonte ovidiana
(Metamorfosi, XV, vv. 164-236)34, specialmente a riguardo della continua
mutevolezza del tempo e della coincidenza del ciclo della vita con il sorgere
e il tramontare del sole. È questo un sonetto molto studiato dalla critica, che
ne ha analizzato a fondo lo stile e, in particolar modo la complessa tessitura
retorica, giocata sulla disseminazione delle tessere “or” (“French pun”
secondo Helen Vendler) e “car”35.
Le varianti di maggior rilievo della traduzione sanesiana sono situate
all’altezza di QN. Proprio alla ‘colloquialità’ dei Sonnets, tanto apprezzata da
Sanesi, rimanda la mia prima osservazione. Nel sonetto tradotto viene meno
l’esortativo “Lo” (‘guarda’), surrogato da “tu vedi” del v. 2. Lo spostamento
è significativo: in Shakespeare il tono colloquiale (dal poeta al Fair youth)
domina da subito la lirica; nella traduzione, invece, l’allocuzione si situa
dopo la bella immagine del sole che si sveglia a oriente e solleva “il capo
fiammeggiante”. Il traduttore dà minore risalto all’esortazione all’amico pur
ponendola in una posizione preminente all’interno del v. 2, mentre
Shakespeare la collocava in assoluto rilievo all’inizio del componimento e
separata dal resto del verso con una virgola. Nella traduzione si legge infatti:
fiàmmeggiànte tu vèdi || còme gli˅òcchi rèndono
dove la misura versale è il risultato dell’accostamento di due versi settenari
anapestici (il secondo, ammessa la dialefe, sdrucciolo 36) separati da una forte
pausa metrica. L’allocutivo “vedi” che, di fatto, sostituisce “Lo”37, è
collocato appena prima della cesura e contraddistinto da uno degli accenti
principali del verso. Da segnalare, inoltre, l’inarcatura con il verso
successivo: il sintagma verbale “rendono / omaggio” suggerisce visivamente
il gesto dell’inchino, peraltro rafforzato da un punto di vista semantico
attraverso l’avverbio “umilmente” posto in clausola al v. 3.
Interessante la variante “graziosa” al v. 1 della traduzione, sostituita dal
definitivo “sovrana” soltanto a ridosso di OPMOND. “Graziosa” è lezione a
testo sino a OP2, normalmente testimone che non reca varianti significative.
Il dizionario curato da Vladimiro Macchi38, verosimilmente impiegato da
Sanesi per le sue traduzioni, non ha ‘sovrana’ tra le corrispondenze possibili
tra le quali, invece, troviamo ‘graziosa’. Un decisivo suggerimento pare
venire al traduttore proprio da Serpieri, del quale Sanesi indubbiamente
conobbe la allora nuovissima edizione dei Sonetti39. Serpieri cita Ingram e
Redpath40 i quali posero l’accento sul significato dell’aggettivo ‘sovrana’
ritenuto “molto più ricco […] di quanto non sia nell’uso moderno,
176
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
implicando varie aree di senso: regalità, nobiltà, condiscendenza sovrana,
bellezza, grazia, sacralità”41. Se così stanno le cose, questo ci aiuta a datare la
variante addirittura a dopo il 199142.
In questo sonetto possiamo verificare la già osservata tendenza di Sanesi
alla decostruzione delle forme metriche e degli stilemi shakespeariani e
all’impiego massiccio di enjambement anche molto forti. Oltre a quelli già
osservati ai vv. 1-2 (“capo / fiammeggiante”) e 2-3 (“rendono / omaggio”) si
segnalano quelli tra i vv. 7-8 (“adorano / la sua bellezza”) e 11-12 (“distolti /
dal suo percorso”). In particolare Sanesi sottopone a revisioni successive il
distico del sonetto. Qui, traducendo “Unlooked on diest, unless thou get a
son” come:
muori dimenticato se non hai un figlio
il traduttore rifiuta la precedente variante:
se non avrai un figlio morrai dimenticato
peraltro confinata al solo stadio manoscritto. La volontà è quella di strutturare
il distico – sede deputata alla ‘morale’ di ogni componimento della raccolta43
– in modo da ricreare l’atmosfera dei versi finali dell’originale, nei quali
Shakespeare insiste sulla seconda persona singolare (“thou”, “thyself”, “thy”,
“thou”) enfatizzando la presenza di un alone di “colloquialità”. Sanesi si
concentra sulla sequenza “consumato – muori – dimenticato” (con “muori” in
apertura di verso) che instaura, peraltro, un forte legame di rima interno ai
due segmenti versali (‘consumato: dimenticato’), utile a ribadire l’assonanza
finale (‘meriggio: figlio’) restaurata dalla correzione del traduttore. In questo
modo, impiegando le parole chiave del sonetto (‘consumato’, ‘meriggio’,
‘dimenticato’, ‘figlio’), Sanesi riassume nel distico l’intera lirica: passata e
consumata l’esistenza, non resta che l’oblio se un erede non perpetuerà la
memoria dell’estinto.
Il sonetto XII riprende questa idea della discendenza come unica via di
scampo dal potere distruttivo del tempo:
When I do count the clock that tells the time,
And see the brave day sunk in hideous night;
When I behold the violet past prime,
And sable curls all silvered o’er with white;
When lofty trees I see barren of leaves,
Which erst from heat did canopy the herd,
And summer’s green, all girded up in sheaves,
Borne on the bier with white and bristly beard;
Then of thy beauty do I question make,
177
MATTEO BRERA
That thou among the wastes of time must go,
Since sweets and beauties do themselves forsake,
And die as fast as they see others grow;
And nothing ’gainst Time’s scythe can make defence
Save breed to brave him when he takes thee hence.
Quando conto i rintocchi che segnano le ore,
e vedo naufragare nell’orrida notte la luce
del giorno ancora ardito; quando osservo il fiore
della violetta appassire, e anche i riccioli bruni
imbiancarsi d’argento; quando vedo gli alberi
superbi ora nudi di foglie; che stavano prima a difendere
dalla calura gli armenti, e il verde dell’estate
ammucchiato e legato in covoni, portato sul fèretro
con la sua barba ispida e bianchiccia; è allora che mi chiedo
quale destino avrà la tua bellezza, se è vero
che anche tu finirai tra i rifiuti del tempo
come tutte le cose più dolci e più belle, che cadono
nell’abbandono, e si muoiono rapide osservando
crescerne altre. Poiché non c’è difesa alla falce del Tempo
se non la discendenza, unica sfida alla sua distruzione.
Serpieri lo definisce “sonetto di grande rigore costruttivo e di felicissima
evidenza visiva”44. La lirica shakespeariana è caratterizzata da ripetizioni
anaforiche che vanno completamente perdute nella traduzione. Quello del
sonetto inglese è il trionfo dell’argomentazione, con il “when” del primo
verso a rimarcare la presenza quasi ossessiva del tempo sin dall’inizio (poi
ribadita ai vv. 3 e 5); ai tre “when” risponde il “then”, che introduce le
conclusioni del sonetto.
La struttura retorica originaria è in gran parte modificata nella traduzione,
ma Sanesi non abbandona definitivamente la costruzione shakespeariana. Al
solito si nota una vena anti-formale, con numerosi e molto forti enjambement
che rompono la gabbia sintattica del sonetto elisabettiano. Le spezzature
metriche sono uno strumento stilistico fondamentale per Sanesi quando si
tratta di descrivere i segni del tempo sugli esseri viventi: il fiore della viola
che appassisce (vv. 3-4 “quando osservo il fiore / della violetta appassire”), lo
sbiadire del colorito dei capelli (vv. 4-5 “i riccioli bruni / imbiancarsi
d’argento”) e il destino infelice di tutte le cose belle (vv. 12-13 “che cadono /
nell’abbandono”)45.
Ai vv. 8-9, invece, l’enjambement costituisce, quasi fisicamente, il punto di
separazione tra la prima e la seconda parte del sonetto, individuate dai due
segmenti della proposizione temporale (“Quando… è allora che”):
con la sua barba ispida e bianchiccia; è allora che mi chiedo
quale destino avrà la tua bellezza, se è vero […]
178
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
Inoltre l’inarcatura costituisce un momento di forte drammaticità e
sospensione, utile a introdurre la successiva proposizione interrogativa
indiretta.
Le varianti a questo sonetto tradotto non sono molte e per lo più riservate al
testimone QN, tuttavia tre in particolare sembrano essere significative e in
relazione tra loro. La prima è la variante alternativa “dicono / segnano” al v.
1. Per tradurre “tells” Sanesi sceglie “segnano”, semanticamente più rilevato
e utile a significare i segni lasciati sugli esseri umani dal lento ma inesorabile
procedere del tempo. La seconda variante riguarda l’inserimento in QN di
“ammucchiato” al v. 8 della traduzione, a costituire il sintagma
“ammucchiato e legato”, che rende la forma verbale “girded” (‘legato,
avvolto’). L’aggiunta ha palese funzione espressiva, dal momento che
l’immagine che se ne ricava, grazie alla personificazione, è simile a quella di
un cadavere legato e gettato brutalmente sul “feretro”46. La terza variante
riguarda la domanda su cui è incardinata l’intera traduzione: al generico
“cosa ne sarà della tua bellezza”, Sanesi sostituisce “quale destino avrà la tua
bellezza”. Tempo e destino, insieme ai presagi di morte, vanno di pari passo
nel sonetto e anche le varianti sanesiane muovono in questa direzione.
Il sonetto XX è una poesia molto discussa, anche per via del dibattito sulla
presunta omosessualità di Shakespeare. Un mero jeu d’esprit, come lo
definisce Vendler47, che ha anche stimolato la critica per via della presenza di
numerosi giochi fonici su “hues”, “hue” etc. (cf. il v. 8), visti da più parti
come possibili spie linguistiche per un riconoscimento del Fair youth48.
A woman’s face, with Nature’s own hand painted,
Hast thou, the master-mistress of my passion;
A woman’s gentle heart, but not acquainted
With shifting change, as is false women’s fashion;
An eye more bright than theirs, less false in rolling,
Gilding the object whereupon it gazeth;
A man in hue all hues in his controlling,
Which steals men’s eyes and women’s souls amazeth.
And for a woman wert thou first created,
Till Nature as she wrought thee fell a-doting,
And by addition me of thee defeated,
By adding one thing to my purpose nothing.
But since she pricked thee out for women’s pleasure,
Mine be thy love, and thy love’s use their treasure.
Tu Signore-Signora della mia passione
mi mostri un viso di donna che solo la mano
della Natura può avere dipinto, e possiedi
un tenero cuore di donna, ma libero
179
MATTEO BRERA
dai volubili impulsi di moda fra le donne false,
e un occhio assai più luminoso, uno sguardo
meno falso del loro, ché anzi concede ornamento
all’oggetto sul quale si posa, e un aspetto di uomo
che vince ogni altra apparenza, e rapisce
anche gli sguardi degli uomini, e l’anima
di tutte le donne smarrisce. Creato per essere donna,
la Natura, formandoti, cadde in adorazione
e mi privò di te, con l’aggiungerti cosa
del tutto inutile alla mia intenzione.
Ma dato che ti eresse per dare piacere alle donne,
il tuo amore sia mio, l’uso del tuo amore sia il loro tesoro.
Sanesi comincia la sua traduzione con un’allocuzione diretta. Il “SignoreSignora” si presenta da subito nella poesia, invertendo la struttura
shakespeariana che invece dava ad esso un risalto indiretto citandone la
qualità saliente: “a woman’s face”. Questa traduzione mostra numerosi segni
di rielaborazione. Già all’altezza del v. 4 in cui cassa in un primo tempo
“cortese”, poi “dolcissimo”, prima di tradurre con “tenero” l’aggettivo
“gentle”, Sanesi mostra un deciso ripensamento, cominciando una nuova
versione49. In particolare sono molto turbolente le fasi che hanno condotto i
vv. 4-6 alla forma definitiva:
ma libero
dai volubili impulsi di moda fra le donne false,
e un occhio assai più luminoso, uno sguardo
È utile richiamare la porzione di apparato che riguarda i versi in esame 50:
4-6 ma libero…sguardo] >ma< libero tuttavia >da quel< dalla volubile /
mutevolezza di moda fra le >donne< femmine false, e >gli< i tuoi occhi /
>sono< più luminosi dei loro e lo sguardo QN1 >che< ma libero dai
volubili impulsi di moda fra le false femmine / e un occhio assai
più luminoso, uno sguardo QN 2
Si nota anzitutto un’imprecisione nella prima traduzione, che mostra la resa
dei plurali “occhi” e “sguardi”, laddove nell’originale si trovano espressioni
al singolare (“An eye” e la relativa forma verbale “gazeth”).
Interessante osservare, invece, un atteggiamento contrario alle abitudini
traduttorie sanesiane: i nuovi versi sono stati infatti corretti nell’ottica
dell’eliminazione dell’enjambement. Dietro tale scelta è sotteso anzitutto un
intento ‘normalizzante’ riguardo al ritmo di questi pochi versi, liberati da un
andamento fortemente sincopato e ricondotti a misure più consone, secondo
Sanesi, alla resa della colloquialità e al movimento ampio di questo sonetto.
180
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
Il cambiamento nelle misure dei due versi in questione (4-6), e quindi nel
ritmo della porzione di periodo considerata, occorre come mostrato di
seguito:
QN1
settenario + quinario sdrucciolo |enj| ottonario +
decasillabo |enj| endecasillabo
QN2
endecasillabo + novenario sdrucciolo || decasillabo ||
quadrisillabo
OPMOND
quadrisillabo |enj| settenario + novenario || decasillabo ||
quadrisillabo
Già dalla seconda versione, e dunque pressoché immediatamente, Sanesi
abbandona una struttura binaria con forti pause tra le coppie di versi che
conduceva all’endecasillabo finale. La nuova conformazione metrica in QN 2
è quella che più si avvicina al ritmo della prosa, con misure più lunghe nel
primo membro, un segmento decasillabico e uno quadrisillabico nel secondo.
Nella redazione definitiva i versi sono stabilizzati e racchiusi da due
quadrisillabi, che si riversano nelle misure successive attraverso due
enjambement dal forte valore espressivo. Si noterà come, similmente alle sue
traduzioni da Paradise Lost di John Milton51, Sanesi tenda a ricorrere alla
misura dell’endecasillabo, sebbene smembrata e riplasmata. Se si sciogliesse
la pausa metrica a fine verso, infatti, i due quadrisillabi arriverebbero, con la
porzione di verso successiva, a formare una misura endecasillabica:
ma libero || dai volubili impulsi
[…]
uno sguardo || meno falso del loro
Un ulteriore sguardo alle varianti di questa traduzione ci porta al v. 5, dove
Sanesi traduce inizialmente con “femmine” la parola “women” dell’originale.
Fino a EC95 la lezione rimane a testo e sarà sostituita nelle bozze
preparatorie a OPMOND. Probabile che Sanesi mirasse a un alleggerimento
del carico semantico, nell’ottica di una generale normalizzazione dei testi
(peraltro apprezzabile in altre versioni dei sonetti), e rifiutasse una parola
eccessivamente marcata da connotazioni semantiche di tipo sessuale e, in
fondo, dispregiativa. Entro questa tendenza a normalizzare, Sanesi opta infine
per l’eliminazione delle zeppe che rallentano l’andamento dei versi: è il caso
181
MATTEO BRERA
del v. 11, in cui cade “Ma pur tu fosti” a favore dell’attacco diretto “Creato
per”.
Figure 3 cc. 37v e 38r del testimone QN. Autografo della traduzione del
sonetto XX di Shakespeare
Il quarto sonetto che ho è scelto di analizzare è il XLIII, una delle poesie
“dell’assenza” (Serpieri), che ha per tema il vedere e l’ombra.
When most I wink, then do mine eyes best see,
For all the day they view things unrespected;
But when I sleep, in dreams they look on thee,
And, darkly bright, are bright in dark directed.
Then thou, whose shadow shadow doth make bright,
How would thy shadow’s form form happy show
To the clear day with thy mach clearer light,
When to unseeing eyes thy shade shines so!
How would, I say, mine eyes be blessèd made,
By looking on thee in the living day,
When in dead night thy fair imperfect shade
Through heavy sleep on sightless eyes doth stay!
All days are nights to see till I see thee,
All nights bright days when dreams do show thee me.
182
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
Più chiudo gli occhi e meglio gli occhi vedono,
costretti tutto il giorno a vedere soltanto cose indegne;
mentre se dormo è te che vedono nei sogni,
e oscuramente risplendono, la loro luce diretta nel buio;
allora tu la cui ombra getta luce all’ombre, che forma
felice formerebbe la tua ombra al chiarore del giorno
con la tua luce più chiara, se già la tua ombra risplende
di fronte ad occhi ciechi? E in che modo, mi chiedo,
sarebbero toccati dalla grazia, posandosi
sopra di te nella vivida luce del giorno,
quando nel sonno pesante, nella notte morta,
la tua ombra avvenente e indefinita insiste
a presentarsi ad occhi senza vista? Per me tutti i giorni
è come se fossero notti finché non ti vedo, e le notti
quando mi appari in sogno assomigliano a giorni luminosi.
Il lessico e la trama retorica del componimento sono modellate sulle antitesi,
sui paradossi, sugli ossimori (es. “darkly bright” del v. 4), sulle anafore e sui
giochi lessicali52. Il sonetto è principalmente basato sulle coppie di opposti
quali “sonno e veglia, notte e giorno, visione e realtà”53.
Sarebbe davvero impossibile per il traduttore rendere la fitta tessitura di
immagini e artifici stilistici impiegati da Shakespeare ma Sanesi riesce, anche
a livello fonico, a riprodurre i rimandi shakespeariani in alcuni luoghi del
sonetto. A titolo di esempio cito i vv. 5-6, in cui all’originale shakespeariano:
And, darkly bright, are bright in dark directed.
Then thou, whose shadow shadow doth make bright,
How would thy shadow’s form form happy show.
Sanesi così risponde:
E oscuramente risplendono, la loro luce diretta nel buio;
allora tu la cui ombra getta luce all’ombre, che forma
felice formerebbe la tua ombra al chiarore del giorno.
La versione tiene vivo il contrasto ossimorico “oscuramente risplendono” e il
gioco “ombra…ombre” a rendere il chiasmo shakespeariano. Il risalto
conferito nell’originale alla parola “form” (anch’essa implicata in un
chiasmo) è ribadito nella traduzione sanesiana dalla collocazione della parola
“forma” in clausola. Il condizionale “formerebbe”, al verso successivo, è un
potente rimando al soggetto dell’interrogativa indiretta, da cui è separato da
una forte spezzatura.
183
MATTEO BRERA
Sanesi interviene su questo sonetto con frequenti cassature, segno evidente
di altrettanto numerosi ripensamenti, soprattutto in merito alla resa di alcuni
sintagmi shakespeariani quali “shadow’s form” e il verbo ‘to show’, la cui
traduzione passa da un livello letterale (“apparirebbe”, in QN) a uno meno
legato al dizionario e maggiormente funzionale all’espressività dell’intero
passaggio (prima “assumerebbe”, in QN, EC83, S85, EC95 e,
successivamente, “formerebbe”, a partire da SON1):
5-6 che forma / felice formerebbe] |>come potrebbe<| >in che modo /
apparirebbe → in che forma / apparirebbe → in che forma >si<
assumerebbe → >in< che forma assumerebbe QN
6 felice…ombra] assumerebbe la tua forma d’ombra EC83 S85 EC95
>felice assumerebbe la tua ombra< felice formerebbe la tua ombra SON1
È evidente come la correzione che conduce all’inserimento del verbo
“formerebbe” tenda alla costruzione di un forte rapporto allitterativo tra i vv.
5-6: “che FORMa / Felice FORMerebbe”.
Un termine la cui prima traduzione viene rifiutata è “ammicco” al v. 1. Il
vocabolario del Macchi reca come primo possibile corrispondente italiano di
‘to wink’ ed è probabile che Sanesi abbia optato quasi meccanicamente per
questo verbo che ha la sua prima attestazione letteraria in Dante,54 ma che è
decisamente desueto nella nostra tradizione lirica 55. La successiva variante
“serro” ha un peso espressivo maggiore, indicando un atto duro, quasi
perentorio e ha tratti poetici che la lezione definitiva “chiudo” non porta con
sé. “Serro” esprime un’azione forse troppo drastica e irreversibile, in
contrasto semantico con il verbo “vedono” a fine verso. Questa deve essere
stata la principale ragione del rifiuto della variante in questione nella versione
definitiva della traduzione56.
Altro punto su cui Sanesi torna più volte è la coppia di versi 3-4:
3-4]|>ma<| >mentre nel sonno → mentre se dormo vedono nei
sogni< mentre se dormo è te che vedono nei sogni, / >e luminosi
nel buio → oscuramente splendidi si fissano → e risplend[ono]<
>e< rilucendo nel buio >si fissano< sogguardano nel buio
risplendenti; QN nei sogni, e risplendono/ oscuramente, osservano
nel buio luminosi EC83 S85 EC95 e >risplendono / oscuramente<
oscuramente / luminosi dirigono la luce dentro il buio SON1 e
oscuramente / >luminosi dirigono la loro luce dentro il giorno< e
oscuramente risplendono, la loro luce diretta nel buio; OP1
Si può notare come le correzioni si siano succedute in quasi tutti i testimoni
fin quasi a ridosso della stampa definitiva e si palesano le difficoltà incontrate
da Sanesi nel tradurre, soprattutto nel dover rendere l’ossimoro “darkly
bright”, prima “luminosi nel buio” (QN), quindi “risplendono / oscuramente”
(EC83, S85, EC95). Quest’ultima lezione viene cassata in SON1 ed è
184
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
successivamente sostituita da “oscuramente / luminosi”, mentre la lezione
definitiva “oscuramente risplendono” si instaura a partire da OP1, molto
vicino, cronologicamente, a OPMOND. L’intento di Sanesi è qui certo quello
di concentrare nella forma verbale del verbo ‘illuminare’ il tratto semantico ‘+
splendente’ per condensare la traduzione in un sintagma composto da due soli
membri. Si tratta, insomma, di una possibile spia che rivela la volontà di Sanesi
di rimanere in qualche modo fedele a Shakespeare. L’ossimoro “oscuramente
risplendono” è inoltre una mise en abyme dell’intero sonetto, modellato
sull’opposizione di ombre e luci (cf. “ombra – chiarore del giorno” al v. 6,
“ombra risplende” al v. 7, “vivida luce del giorno – notte morta” ai vv. 10-11,
“notti – giorni luminosi”, vv. 14-15).
Figura 4 c.49r del testimone QN. Autografo della traduzione del sonetto
XLIII di Shakespeare
185
MATTEO BRERA
Il sonetto XLIV è una delle poesie shakespeariane tra le più influenzate dalle
teorie pitagoriche e, soprattutto, dalla tradizionale visione del mondo come
somma dei quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco.
If the dull substance of my flesh were thought,
Injurious distance should not stop my way;
For then despite of space I would be brought,
From limits far remote, where thou dost stay.
No matter then although my foot did stand
Upon the farthest earth removed from thee;
For nimble thought can jump both sea and land
As soon as think the place where he would be.
But ah, thought kills me that I am not thought,
To leap large lengths of miles when thou art gone,
But that, so much of earth and water wrought,
I must attend time’s leisure with my moan;
Receiving naught by elements so slow
But heavy tears, badges of either’s woe.
Se la greve sostanza della carne fosse
pensiero, l’insolente distanza non arresterebbe
il mio cammino; perché malgrado lo spazio sarei
spinto dai più remoti confini laggiù dove sei.
E non avrebbe nessuna importanza che il piede
premesse terre da te lontanissime: l’agile
pensiero supera il mare e la terra in un balzo
nell’attimo stesso in cui pensa
dove vorrebbe stare. Ma ahi! già mi uccide il pensiero
che non sono pensiero, in modo da permettermi
di valicare le ampie distese di miglia quando sei lontano,
mentre così come sono, un impasto di terra e di acqua,
sono costretto a attendere piangendo il comodo del tempo.
Nient’altro ricevendo da simili inerti sostanze
che il peso delle lacrime, il pegno del dolore che ci lega.
Centro del componimento è ancora una volta il Fair youth: il Poeta potrebbe
raggiungerlo – dice – se solo fosse fatto di pensiero e non di carne. Le prime
due quartine insistono su questa ipotesi, mentre la terza e il distico ne sono la
negazione, introdotta dalla preposizione avversativa “But” (e l’interiezione
“ah”), che apre il v. 9.
Alla posizione iniziale che il sintagma “But ah” occupava nel sonetto
shakespeariano, Sanesi oppone una collocazione di grande efficacia espressiva
per la sua traduzione “Ma, ahi!”. Se osserviamo il verso in questione:
dove vorrebbe stare. || Ma ahi! || già mi uccide il pensiero
186
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
notiamo come la posizione del sintagma che consuma la rottura tra i sogni del
Poeta e la ineluttabile realtà terrena si trovi nel centro esatto del verso e, inoltre,
spezzi quest’ultimo in due membri, ambedue settenari (il primo di 4a, 6a e il
secondo di 3a, 6a). Sanesi presta notevole attenzione alla resa di un verso
equilibratissimo che possa fungere da volano per un componimento fortemente
perturbato dalla divergenza delle pause sintattiche e di quelle metriche. Sono
addirittura dieci, infatti, gli enjambement che spezzano l’andamento sintattico
del sonetto e che hanno un notevole peso stilistico. Il primo di essi è
tra i vv. 2-3 (“arresterebbe / il mio cammino”): la pausa segue la
forma verbale del verbo ‘arrestare’ e così anche il discorso si interrompe
bruscamente per riprendere, come il ‘cammino’ del Poeta, al verso successivo.
Metrica e moto del corpo si intrecciano ancora tra i vv. 5-6 dove l’enjambement
sottolinea con forza la vigorosa adesione del piede umano alla terra (“il piede /
premesse”). Ma l’inarcatura enfatizza pure, per contrasto, le inarrestabili facoltà
del pensiero, che sa slegarsi dalla terra e svincolarsi dal corpo, definito “un
impasto di terra e di acqua” (v. 12). L’idea che “l’agile / pensiero” permetta di
superare le distanze fisiche è poi ribadito ai vv. 10-11 (“permettermi / di
valicare”). L’ultimo enjambement degno di una riflessione più specifica è
quello tra il già citato v. 9 e il successivo v. 10: “pensiero”, in clausola al v. 9, è
posto in assoluto rilievo dalla forte inarcatura che lo segue. Il verso sembra
fermarsi a pensare a questo punto del discorso, per poi procedere verso il triste
epilogo che rivela l’impossibilità dell’avvicinamento finale col giovane.
Un’ultima nota è opportuna riguardo la variante al v. 1 che, in QN, prevedeva
l’aggettivo possessivo “mia” (poi cassato) davanti a “carne”. Qui Sanesi invia
al lettore un messaggio ecumenico, eliminando qualsiasi segno di
autoreferenzialità ed estendendo la condizione carnale denunciata da
Shakespeare a una folla indeterminata. Anche alla luce delle idee sanesiane in
merito alla Società – poetica e non – a lui contemporanea, questa folla coincide
con l’Umanità, troppo legata alla terra e incapace a puntare un po’ più in alto,
slegandosi dalla materialità del quotidiano57.
Il sesto sonetto che qui considero – il LXIV – è uno di quelli “della sfida al
Tempo tramite la poesia”58:
When I have seen by Time’s fell hand defaced
The rich proud cost of outworn buried age,
When sometime lofty towers I see down-razed,
And brass eternal slave to mortal rage,
When I have seen the hungry ocean gain
Advantage on the kingdom of the shore,
And the firm soil win of the wat’ry main,
Increasing store with loss and loss with store;
When I have seen such interchange of state,
187
MATTEO BRERA
Or state itself confounded to decay,
Ruin hath taught me thus to ruminate That Time will come and take my love away.
This thought is as a death, which cannot choose
But weep to have that which it fears to lose.
Dopo aver visto la mano crudele del Tempo
sfregiare il ricco, orgoglioso tesoro di età
consumate e sepolte, così come vedo talvolta
crollate al suolo le torri superbe, e il durevole bronzo
ridotto in schiavitù dalla furia mortale;
dopo aver visto l’oceano affamato corrodere il regno alle rive,
e la terra inoltrarsi sull’ampia distesa dell’acqua
a compensare il guadagno con la perdita, e la perdita
con il guadagno; dopo aver visto un tale mutamento
di condizioni, e la stessa esistenza confondersi
fino all’annullamento, è stato allora che questa Rovina
mi ha indotto a meditare che il Tempo verrà
a strappare da me l’amore mio. Un pensiero che appare
simile a morte, non avendo altra scelta che il pianto
per possedere soltanto ciò che ha paura di perdere.
La struttura del componimento è piuttosto rigida: le tre quartine costituiscono
una lunga proposizione temporale, chiosata dal distico59. Il bilanciamento e
l’estremo equilibrio retorico della poesia sono garantiti dall’anafora della
tessera “When I have seen” che apre ogni quartina. Il distico, nota Serpieri, non
è trionfale, come in altri casi, ma “dolorosamente rassegnato”60. La traduzione
di Sanesi tende in questo caso a rispecchiare la struttura originale, almeno nelle
sue linee essenziali, e le varianti paiono molto utili a verificare tale
atteggiamento. Si nota infatti come al v. 6 il traduttore intervenga – e solo in
OPMOND – a reintrodurre il corrispondente di “When I have seen”, “Dopo
aver visto”, non presente in tutti gli altri testimoni61. Il parallelo con la struttura
shakespeariana (debito ovidiano, secondo Serpieri e West)62 è dunque
ristabilito solo molto tardi nella storia redazionale del testo tradotto. È
significativo che Sanesi scelga, ed è raro, il rispetto totale della costruzione
dell’originale nel collocare la predetta tessera del discorso in apertura di verso.
Un altro caso di ‘rispetto’ per l’auctoritas shakespeariana si ha ai vv. 8-9;
Shakespeare così scrive al v. 8:
Increasing store with loss and loss with store.
Sanesi traduce:
A compensare il guadagno con la perdita, e la perdita
con il guadagno
188
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
mantenendo, pur con il consueto ricorso alla rottura della sintassi, il chiasmo
shakespeariano. Nel testimone QN il primo abbozzo di traduzione recitava
invece:
compensando ciascuno il guadagno e perdita
all’insegna dell’estrema sintesi nel veicolare il significato.
Un’ultima e interessante variante è quella che riguarda i vv. 5-6, sottoposti a
una revisione sia metrica che linguistica in QN:
5-6 mortale;…rive] mortale; / e l’oceano ingordo → mortale; e
l’oceano >ingordo< / >invadere famelico il regno delle rive →
avidamente inoltrarsi famelico nel regno delle rive → invadere
famelico il regno delle rive< affamato invadere il reame delle rive
QN
Anzitutto l’aggettivo “mortale”, debordato nel v. 6 in una fase del lavoro
correttorio, ritorna quasi immediatamente in quella che deve essere stata la sua
originaria collocazione, a fine v. 5. Inoltre il lunghissimo v. 6 ha avuto una
revisione lessicale molto interessante per quel che riguarda la traduzione
del’aggettivo “hungry” e del verbo ‘to gain advantage’. Ancora una volta
Sanesi opta per un ‘appiattimento’ semantico e approda alla forma ultima
attraverso la progressiva cassatura di “ingordo” e “famelico” a favore di
“affamato”.
Sembra qui evidente un progressivo impoverimento semantico,
soprattutto per quel che riguarda il tratto bestiale dell’atto
fagocitativo espresso dalle prime due scelte traduttorie. L’asprezza
dell’immagine poetica shakespeariana viene comunque parzialmente
recuperata da Sanesi attraverso l’uso – esclusivo in OPMOND – del
verbo “corrodere” per tradurre ‘to gain advantage’. È una scelta espressiva
di non poco conto se si considera che le prime due parole impiegate, “invadere”
e “inoltrarsi”, rispecchiano quelle suggestioni guerresche sottese alla poesia
shakespeariana. Nella traduzione scompare dunque la rappresentazione del
mare e della terra in lotta (una lotta inutile, in cui ognuno dei due contendenti
crede di accrescere le proprie superfici con l’acquisizione, solo momentanea,
delle terre dell’altro, subito riconquistate in un gioco senza soluzione di
continuità). Sanesi personifica invece le acque dell’oceano, impegnate in
un’incessante opera distruttiva che riproduce il logorio del Tempo. L’erosione
continua e violenta che questi esercita sulle vite umane è resa con gran forza
dall’immagine delle acque e da una serie di forme verbali disseminate nella
poesia: “sfregiare”, “consumate”, “crollate”, “strappare”.
Tornando per un attimo al v. 6, va sottolineata la struttura trimembre derivata
dalle manipolazioni successive operate del traduttore. Questo il verso nella sua
forma definitiva:
189
MATTEO BRERA
dòpo aver vìsto || l’ocèAno^ÀffAmÀto || coRRòdere^il Règno^alle Rìve
Si tratta di un segmento testuale molto pausato nella sua parte centrale
(settenario giambico) che riacquista ritmo nel terzo membro (novenario
dattilico). Ma la vera peculiarità del verso è il gioco fonico sulla vocale ‘a’ nel
settenario, che esprime l’idea delle fauci spalancate dell’oceano nell’atto di
divorare la terra e aggiunge un altro elemento a giustificazione della scelta di
questo termine. L’allitterazione è molto forte pure nel novenario, in cui
l’erosione è resa palpabile dall’uso ripetuto della consonante rotata.
Il problema della resa dei suoni dell’originale è affrontato (e risolto da
Sanesi) pure in alcuni versi del sonetto XCVII. In particolare,
impossibilitato, per questioni linguistiche, a rendere la tessitura
fonica dei due versi shakespeariani (cf. vv. 8-9):
BEARIng the WAnton bURden of the pRIme,
Like WidOWed WOmbs after theiR loRds’ decease
Sanesi opta per altre e meno marcate sonorità, come si vede dall’analisi dei due
versi in questione nella redazione finale (OPMOND):
Quella stagione deseRta, o FRuttiFeRo autunnO, già densO
di Raccolti matuRi, Già GReve del peSO laScivO
della nascita nuova, come il GRembo vedOvO.
Anche per giungere a questa conformazione fonetica finale Sanesi sostituisce a
“fecondo” (che traduce “teeming”)63 il termine “fruttifero”, sdrucciolo, e
costituente con “autunno” un sintagma non del tutto estraneo alla tradizione
letteraria italiana64, a differenza di “peso lascivo”65 e “grembo vedovo”:
elementi portanti di tutto il periodo e di gran parte del sistema semantico su cui
si fonda la poesia, anche sulla base della fitta trama fonica che li caratterizza.
Traduzione come interpretazione. Prime osservazioni sulle versioni
sanesiane
L’analisi di alcune tra le varianti più significative e, in generale, dei tratti
salienti delle traduzioni sopra considerate, permette di stilare un primo
“rapporto informativo” sull’attività de Roberto Sanesi traduttore delle poesie di
Shakespeare.
Credo si possano proporre almeno quattro costanti cifre stilistiche della
traduzione dei Sonnets. Anzitutto è chiara la volontà di adesione al senso
profondo della lirica, sebbene Sanesi si preoccupi di semplificare
frequentemente i passaggi maggiormente concettosi66. Alla semplificazione,
specie quella linguistica, si accompagna il frequente scardinamento delle forme
metriche e la decostruzione della sintassi ai fini espressivi. In questo processo
190
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
di trasformazione dell’originale, ho dimostrato come la presenza
dell’enjambement sia numericamente cospicua e stilisticamente fondante. Le
inarcature, infatti, sono i principali strumenti di creazione di senso nelle
traduzioni osservate.
La lingua che Sanesi utilizza per rendere l’eloquio shakespeariano è
generalmente una lingua piana, talvolta, quando l’originale lo richiede,
afferente ad ambiti tecnici (ad esempio quello della guerra). In ogni caso, la
lingua poetica delle traduzioni sanesiane è non tanto il risultato del valore
semantico della singola parola quanto della sua posizione all’interno del verso e
delle successive ri-combinazioni in membri complessi (sintagmi e misure
versali).
Un carattere interessante delle traduzioni prese in esame è infine il ricorso –
consuetudine, peraltro, confermata dallo stesso Sanesi nel suo saggio sulla
traduzione miltoniana67 – alle misure canoniche della poesia italiana,
particolarmente ai moduli eptasillabici e endecasillabici. Nelle traduzioni dei
Sonnets la ricerca della misura endecasillabica è costante ed è motivata dalle
numerose possibilità ritmiche che questo tipo di verso consente, specie se usato
all’interno di segmenti più lunghi e in combinazione con altre misure versali.
Come accade per la lingua, così anche anche la metrica sanesiana scaturisce
dall’accostamento di differenti forme68, delle quali sono così esaltate le
potenzialità espressive.
In queste traduzioni Sanesi rivela una profonda vocazione al superamento
delle gabbie classicistiche e intellettualistiche imposte alla poesia del
Novecento italiano dai suoi colleghi poeti, già criticati in quanto leziosi “ragni
laboriosissimi”69. Conseguentemente la poetica della traduzione di Sanesi è
modellata sul ritmo e sul suono e si dimostra capace di veicolare senso
indipendentemente dagli ostacoli che la distanza linguistica frappone tra il testo
di partenza e quello di arrivo. In quest’ottica poco conta considerare come
Sanesi traduce, di volta in volta, una singola espressione shakespeariana: la sua
è nuova poesia, è vero e proprio lavoro autoriale e per nulla ‘gregario’. Non
risente dell’auctoritas shakespeariana, seppure talvolta cerchi di rispettarne
alcune convenzioni, tentandone però una riproposizione originale, secondo la
propria sensibilità poetica. Tra le mani di Sanesi Shakespeare diventa un poeta
meno rigidamente rinascimentale e più ‘novecentesco’. Il respiro delle
traduzioni dei Sonnets è ampio, ricrea il testo rendendolo più vicino al lettore,
col quale ‘colloquia’ volentieri. In questo senso, pur nella sua congenita
‘imperfezione’ (propria, del resto, di ogni versione in un’altra lingua), la
traduzione di Roberto Sanesi diventa non solo una diversa lettura del testo
originale, ma una chiave di lettura, un utilissimo grimaldello per scardinare i
segreti profondi dell’irripetibile poesia shakespeariana.
__________
191
MATTEO BRERA
NOTE
1
William Shakespeare, Sonetti. Nella traduzione di Giuseppe Ungaretti,
Eugenio Montale e Roberto Sanesi, Milano: Euroclub, 1983.
2
William Shakespeare, Venticinque Sonetti, a cura di Roberto Sanesi,
Milano: Severgnini, 1985.
3
William Shakespeare, L’opera poetica, a cura di Roberto Sanesi, Milano:
Mondadori, 2000.
4
In attesa di una catalogazione complessiva delle carte, la situazione
filologica delle traduzioni dei sonetti shakespeariani risulta ancora
potenzialmente lacunosa. In ogni caso, il materiale disponibile ha consentito
una ricostruzione molto plausibile del lavoro condotto da Sanesi sulle poesie
di Shakespeare.
5
Il testimone consta di duecentodieci fogli bianchi (cm 29,8 x 21,1) non
numerati, manoscritti irregolarmente al recto e al verso con penna nera, blu e
rossa (a sfera e stilografica). Contiene abbozzi, prove poetiche, traduzioni,
minute di scritti vari su poesia, traduzione, arte ed estetica e disegni di
Sanesi. Le traduzioni dei Sonnets shakespeariani (VII, XII, XX, XLII, XLIII,
XLIV, LIV, LX, LXIV, LXV, LXXVII, XC, XCVII, CIV, CX, CXXIV,
CXXVII, CXXXVII, CXXXVIII, CXLI, CXLII, CXLVII, CXLIX, CLIV)
sono presenti alle cc. 37r, 37v, 38r, 39r, 39v, 40r, 44r, 45r, 45v, 46r, 47r,
48r, 48v, 49r, 50v, 51r, 52r, 52v, 54r, 57r, 57v, 59r, 59v, 60r, 60v, 61r, 61v,
62r, 62v, 63r, 63v, 64r, 64v, 65r, 65v, 66r, 66v, 67r, 67v.
6
Quadernone di 267 fogli a righe (cm 29,8 x 21,1) staccabili per raccoglitore
ad anelli. Tutti i fogli sono manoscritti, salvo rarissime occorrenze, al solo
recto. I sonetti tradotti (tutti quelli non in QN) occorrono al recto e al verso
delle seguenti carte: 8-57, 66, quindi 105-123. Il quadernone, come il
precedente, è conservato presso Casa Sanesi.
7
Fascicolo rilegato a spirale con dorso di plastica blu e copertina trasparente
azzurra. Contiene complessivamente la traduzione di centoquarantanove
sonetti di Shakespeare e consta di centocinquantuno fogli non numerati. Sul
primo compare il titolo “SONETTI”, poi un componimento per foglio.
L’ultimo foglio è bianco. Mancano le traduzioni dei sonetti XXXIII, CII,
CIII, CXIX, CXXIX. Il materiale rilegato è tutto dattiloscritto con correzioni
autografe a penna biro rossa e nera. Pochi fogli sono fotocopie da altri
esemplari e inseriti a completamento del faldone. Su questi inserti, comunque
rilegati assieme agli altri fogli, compare nell’angolo superiore destro
un’ulteriore numerazione, forse quella dell’esemplare da cui sono stati tratti.
8
Il volume contiene i seguenti sonetti tradotti da Roberto Sanesi (con testo
originale a fronte): VII, XII, XX, XLIII, XLIV, LIV, LX, LXIV, LXV,
LXXVII, XC, XCVII, CIV, CX, CXXIV, CXXVII, CXXXVII, CXLI,
CXLVII, CLIV.
9
L’edizione raccoglie i sonetti III, VII-XII, XIV, XVI, XVIII, XX, XXIII,
XXIV, XXVI, XXXIV, XXXVI, XL, XLII-XLIV, XLVII, LIV, LX, LXI,
LXIV, LXV, LXXIV-LXXVII, LXXX, LXXXI, LXXXIII, LXXXVI,
192
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
LXXXIX, XC, XCIII, XCVI, XCVII, C, CII, CIV, CVI, CX, CXIII, CXVI,
CXXII, CXXIV, CXXVII, CXXXV, CXXXVII, CXLI, CXLIII, CXLV,
CXLVII, CXLIX, CLIV tradotti da Sanesi (con testo a fronte).
10
Fascicolo di novantotto fogli (cm 29,8 x 21,1) riuniti da una rilegatura a
spirale nera con copertina trasparente di colore azzurro. Al dorso foglio
plastificato di colore blu. Sul foglio di guardia, oltre al titolo dattiloscritto
“SONETTI” in alto quasi a centro pagina, compare la dicitura: “Copia x 100
Sonetti | Euroclub”; poi la seguente legenda: “U=Ungaretti 40 | = 20 già
pubbl. | Mond.= Montale 2 | 1 ecc= 38 aggiunti”. Tutti i fogli sono
dattiloscritti (quasi tutti in fotocopia dal testimone SON1) con correzioni
autografe a penna biro rossa e stilografica nera e recano 97 sonetti tradotti,
ciascuno occupante una pagina (al solo recto). Al posto del sonetto CXIX si
trova una pagina bianca con la dicitura autografa “Severgnini | 119”,
certamente un rimando all’esemplare pubblicato nella raccolta del 1985. Dei
sonetti I, XXII e CXXXVIII sono presenti due redazioni successive. Il
sonetto CXLIV è in due esemplari, di cui uno, fascicolato, è cassato; l’altro
risulta invece interfoliato. Molti fogli sono sfascicolati. Il testimone contiene
i seguenti sonetti tradotti: I-XXIX, XXXI-XXXVII, XLI, XLV, XLVIII,
XLIX, LI-LIII, LVI-LIX, LXI-LXIII, LVII, LXX, LXXI, LXXIII, LXXV,
LXXIX-LXXXIII, XCII, XCIX-CIV, CV, CVIII, CIX, CXI-CXV, CXVII,
CXX, CXXI, CXXIII, CXXIV, CCXXVI, CCXXVII, CXXX, CXL, CXLII,
CXLIV, CXLVI.
11
Il volume contiene quaranta sonetti tradotti da Giuseppe Ungaretti, due
tradotti da Eugenio Montale e cinquantotto tradotti da Roberto Sanesi: II, VI,
XV, XIX, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXIII, XXXV, XXXIX, XLI, L,
LI, LII, LV, LIX, LXII, LXVI, LXVIII, LXXI, LXXIII, XCVIII, XCIX,
CVII, CXII, CXIX, CXX, CXXIII, CXXVIII, CXXIX, CXXX, CXXXI,
CXXXII, CXXXIII, CXL, CXLIV, CXLVI, CL, CLI.
12
Le traduzioni dei sonetti sono contenute in centocinquantasei fogli sciolti
(cm 29,8 x 21,1 eccetto i fogli di provenienza diversa, tagliati al margine e
dunque di misura variabile) non numerati e scritti al solo recto. Sul primo
foglio compare il titolo dattiloscritto “SONETTI” con l’aggiunta autografa
soprascritta (a matita) “W. Shakespeare”; sul secondo foglio la traduzione
della dedica a Thomas Thorpe, dattiloscritta. Seguono i 154 sonetti tradotti,
uno per foglio. I fogli sono dattiloscritti o copie di dattiloscritti provenienti da
redazioni differenti, a giudicare dalla tipologia della scrittura e dalla
consistenza delle correzioni (dattiloscritte, autografe a penna biro, nera e
rossa e a matita).
13
Trecentouno fogli (cm 29,8 x 21,1) numerati dall’uno al 289. Gli ultimi
quattro fogli recano la numerazione 73-76, probabilmente frutto di un
ripensamento circa l’ordine di pubblicazione delle poesie. OP2 è copia molto
vicina alla stampa dell’Opera poetica di Shakespeare, mancante però di
prefazione e note. Sono presenti invece tutte le poesie tradotte e poi confluite
193
MATTEO BRERA
nell’edizione in volume. I sonetti tradotti si trovano, uno per pagina, dalla c.
118 alla 271.
14
Il volume in questione è William Shakespeare, Sonetti, a cura di Giorgio
Melchiori. Versioni di Alberto Rossi e Giorgio Melchiori, Torino: Einaudi,
1965.
15
Si tratta di tre fogli (cm 29,8 x 21,1) riuniti da un punto metallico
all’angolo superiore sinistro e fotocopiati su recto e verso. Nel dettaglio
questo testimone consiste nella fotocopia del frontespizio e delle pp. 86-87
del volume a cura di Melchiori e Rossi (cf. supra), che riportano il sonetto
XLII (con traduzione a fronte). Il terzo foglio reca la copia di una traduzione
del sonetto XLII proveniente, però, da un altro volume non identificabile.
16
Cf. William Shakespeare, Sonetti, a cura di Alessandro Serpieri, Milano:
Rizzoli, 1993, p. 484. Da qui in poi si farà riferimento a questa edizione come
‘Serpieri’ cui seguirà il numero di pagina da cui si cita.
17
Le traduzioni sono scritte in un tempo apparentemente breve, a giudicare
dalle affinità delle grafie riscontrabili sui fogli del quaderno. Una poco
significativa interruzione occorre solo tra le cc. 41r e 43r, occupate da uno
scritto d’arte su Pietro Cascella.
18
Pure in questo caso la traduzione dei sonetti pare essere scritta in un arco
temporale piuttosto limitato e senza grosse interruzioni, se si eccettuano
alcuni appunti su uno scritto di Jean Pierre Jeunet che occupano le cc. 55r56v.
19
William Shakespeare, Quaranta sonetti, traduzione di Giuseppe
Ungaretti, Milano: Mondadori, 1946.
20
L’idea di proporre i sonetti secondo il loro ordine progressivo non sarà
confermata dalla successione dei sonetti in EC83, ma rimarrà nell’Indice dei
sonetti, presente nell’edizione in questione e in EC95.
21
Il numero “110” è per la verità solo sottolineato. Si tratta, forse, di un
ripensamento di Sanesi, il quale deve aver scritto il numero stesso
immediatamente sotto al CII e avrà poi voluto – ripetendo meccanicamente il
gesto compiuto una riga sopra – tracciare un tratto similare, accorgendosi
però della sua inutilità (l’interlinea non è necessaria) e interrompendolo.
Dubbio rimane invece il significato dei cerchi a penna rossa a contrassegnare
i sonetti XII, XLIII, LXXVII e CII. Probabilmente si tratta delle poesie in un
primo momento ancora da tradurre, vista anche l’assenza da raccolte
successive del sonetto CII.
22
Il numero è seguito da un punto interrogativo, come nel caso del LXXVII.
Il sonetto CXXXVIII comparirà solo in OPMOND, seppure il progetto della
sua traduzione risalga probabilmente a questi anni.
23
In soli due casi, peraltro poco significativi, occorrono altri numeri racchiusi
tra parentesi, collocati a centro pagina, al di sopra del sonetto shakespeariano.
L’esiguità statistica di questa ricorrenza impedisce di formulare ipotesi in
merito al valore intrinseco di tale numerazione.
24
Accertata la presenza di questa ‘pseudo-redazione’ non attestata, occorre
avvertire che di questa non si è dato effettivamente conto nell’apparato ai
194
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
sonetti, ma è stata tenuta presente durante il processo di datazione dei
testimoni.
25
Il sonetto XXXIII, la cui elaborazione mostra numerosi ripensamenti e
importanti varianti, è collocato dopo il CLIV, a differenza del XLVIII e del
LXXIII, che costituiscono con esso l’appendice dei volumi editi da Euroclub.
Questo basta per ritenerlo tradotto almeno qualche settimana (o forse mese)
dopo i primi componimenti.
26
Non a caso il sonetto CXXVII, a riprova della sua complessa elaborazione,
è uno dei pochi a essere caratterizzato da correzioni anche nel testimone OP2,
quello immediatamente precedente a OPMOND.
27
Mancano a SON1 i sonetti XXXIII, CII, CIII, CXXIX.
28
La pubblicazione del volume risulta puntuale (ottobre 1995).
29
Sui fogli che recano i sonetti tradotti da Sanesi si trova un asterisco a penna
biro rossa nell’angolo in alto a destra in corrispondenza dei sonetti già
pubblicati in EC83; le trentotto poesie aggiunte per EC95 sono
contrassegnate, sempre in alto a destra, da un numero progressivo cerchiato.
Si notano alcune lacune in questa numerazione, probabilmente dovute a
ripensamenti d’autore sui componimenti da consegnare all’editore per la
stampa.
30
Anche in questo caso Sanesi appone un segno sui fogli, a penna rossa: una
“U” in corrispondenza delle traduzioni ungarettiane, “Mont.” accanto a
quelle di Montale.
31
I soliti sonetti di EC83 e alcuni fogli forse provenienti da SON2, data la
presenza di sigle “U” e segni “*” a penna rossa, poi cassati.
32
Alla cartelletta è applicata un’etichetta adesiva di colore bianco su cui è
vergata la scritta autografa “OPERA POETICA | Oscar _ Mond. 2000”. Sul
lato interno della copertina della cartelletta, applicato con un punto metallico,
è presente un indice dattiloscritto con correzioni autografe (a penna biro blu,
rossa e a matita) della futura Opera poetica in volume. Il materiale tuttavia
non è completo. Il raccoglitore contiene, infatti, a dispetto della dicitura
“POESIE (COMPLETE)” posta su uno dei fogli di guardia non numerati,
solo le seguenti traduzioni: Venere e Adone, Lucrezia rapita, La fenice e la
tortora, Morirò? Questo esemplare mostra di contenere fogli con scrittura a
macchina affine a quella di OP1, il quale potrebbe essere stato contenuto,
almeno in una sua precedente fase elaborativa, proprio in questa cartelletta.
Del resto, esaminando tutto il materiale relativo alla traduzione conservato
presso il Fondo Manoscritti e Casa Sanesi non sono ancora emerse carte
compatibili con questo contenitore, i cui fogli sono probabilmente entrati a
far parte di altre redazioni dell’opera poetica shakespeariana.
33
I Sonnets, testi di difficile lettura, dalla tessitura linguistica (ma soprattutto
retorica) variegata e complessa sono stati tradotti in italiano, con esiti molto
diversi, solo a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento. Si veda Matteo Brera,
“I Sonetti di Shakespeare in Italia. Osservazioni su lingua e stile delle
195
MATTEO BRERA
traduzioni ottocentesche di Angelo Olivieri, Luigi De Marchi, Ettore
Sanfelice”, Il Confronto letterario, 53 (2010), pp. 63-86.
34
Serpieri, Sonetti, p. 396.
35
Cf. Helen Vendler, The Art of Shakespeare’s Sonnets, London: Harvard
University Press, 1997, pp. 76-77. Queste osservazioni sono riprese e
sviluppate da David West (ed.), Shakespeare’s Sonnets, New York, The
Overlook Press, 2007, pp. 33-35.
36
Sembra pure molto verosimile l’ipotesi secondo cui, in presenza di
sinalefe, il secondo segmento sia soltanto un senario sdrucciolo.
37
E si perde così, nella traduzione, il possibile gioco suggerito da Serpieri tra
Lo e low, “in basso”, che indicherebbe la linea dell’orizzonte. Cf. Serpieri, p.
397.
38
Vladimiro Macchi, a cura di. Dizionario delle lingue italiana e inglese,
Firenze: Sansoni, 1983. L’esemplare donato al Fondo Manoscritti di Pavia,
utilizzato per questo lavoro, si trovava nello studio di Sanesi e fu, dunque,
strumento di lavoro del traduttore.
39
Che Sanesi tenesse in grande considerazione questa edizione e che, molto
probabilmente, ne avesse subito reperito una copia è suggerito dalla presenza
tra le carte conservate a Casa Sanesi di un articolo del Corriere della Sera
del settembre 1991 in cui si recensisce il volume in questione. Cf. Anthony
Burgess, “Un Canzoniere per Shakespeare”, Corriere della Sera, Domenica
15 settembre 1991. Da sottolineare, inoltre, come l’articolo si trovasse
conservato tra le pagine del testimone QN.
40
William Ingram, Theodore Redpath (eds.), Shakespeare’s Sonnets,
London: Hodder and Stoughton, 1964.
41
Serpieri, p. 397.
42
In realtà l’Oxford English Dictionary posseduto da Sanesi riporta alcuni
significati ulteriori rispetto a quello originariamente impiegato. Ma la
variante così tarda pare più dovuta a un suggerimento ‘esterno’, piuttosto che
a una riconsiderazione linguistica postuma, peraltro rarissima all’altezza di
OP2, già bozza di stampa per OPMOND.
43
L’abbandono del condizionale a favore dell’indicativo sottolinea inoltre la
perentorietà e sentenziosità dell’affermazione.
44
Serpieri, p. 407.
45
L’uso dell’enjambement a sottolineare gli effetti del tempo sull’umanità
ricorre in maniera insistita anche nel sonetto LXIV, in cui ben cinque
inarcature mettono in evidenza il decadimento dell’uomo. In quel
componimento (vd. Infra, pp. 26-27) il passato è definito come “età /
consumate e sepolte” (vv. 2-3) e il passare degli anni è assimilato al crollo
dei manufatti umani: “vedo talvolta / crollate al suolo le torri superbe” (vv. 34). Il progressivo disfacimento della vita mortale è ancora enfatizzato dalla
spezzatura metrica ai vv. 9-10 (“un tale / mutamento di condizioni”), mentre
il dissolversi dell’esistenza sino al nulla è descritto tra i vv. 10-11 (“la stessa
esistenza confondersi / fino all’annullamento”). Il Tempo è infine il
responsabile della rovinosa quanto inevitabile separazione tra il Poeta e il
196
I SONNETS DI SHAKESPEARE NELLA TRADUZIONE DI ROBERTO
SANESI.
UNO SGUARDO ALL’OFFICINA DEL TRADUTTORE
giovane amato: “il Tempo verrà / a strappare da me l’amore mio” (vv. 1213). La rima interna “pianto : soltanto” (vv. 14-15) riassume e sancisce
l’ineluttabile conclusione dolorosa della vicenda.
46
Inevitabilmente si perde nella traduzione la fortissima allitterazione della
lettera ‘b’ su cui è giocato il v. 8 del sonetto originale.
47
Cf. Vendler, p. 128.
48
Cf. tra i numerosi contributi sul tema Giorgio Melchiori, “Intermezzo. Il
donno-donna del sonetto XX”. Giorgio Melchiori, L’uomo e il potere,
Torino: Einaudi, 1973, pp. 119-35.
49
Questa seconda redazione è stata siglata QN2 nell’apparato.
50
Nelle minime porzioni di apparato genetico fornite a testo le sigle in
neretto indicano i testimoni cui si fa riferimento, mentre il segno >…< indica
una variante alternativa. La freccia (→) sta invece a significare che la
porzione di testo cassata è stata in un primo momento assunta come variante
alternativa. La parola barrata (aaaa) occorre in presenza di cassature rilevanti
all’interno di una porzione testuale pure cassata. Il modulo (|…|) indica
invece una parola irrelata rispetto all’iter correttorio. Infine le integrazioni al
testo sono espresse tra parentesi quadre.
51
Matteo Brera, “Roberto Sanesi traduce John Milton (e William
Shakespeare): Aspetti di una schermaglia metrica con la tradizione poetica
italiana”, Mosaici. St. Andrews Journal of Italian Poetry, 2011 (in corso di
pubblicazione).
52
Cf. Stephen Booth, Shakespeare’s Sonnets, New Haven and London:
Yale University Press, 1977, p. 203.
53
Cf. per le ultime citazioni, Serpieri, p. 484.
54
Cf. Dante Alighieri, La Divina Commedia, “Purg. XXI, 109”: “Io pur
sorrisi come l’uom ch’ammicca”.
55
Liz 4.0 non fornisce, tra l’altro, occorrenze per la forma in questione.
56
Sanesi avrà inoltre certamente verificato sull’OED come il significato
(cessato) di ‘to close one’s eyes’ di ‘to wink’ fosse maggiormente
appropriato al contesto shakespeariano. Inoltre, anche secondo il Grande
Dizionario della Lingua Italiana, l’espressione ‘serrare gli occhi’
suggerisce il significato di ‘ignorare volutamente o con ostinazione caparbia
ciò che avviene’; e ancora ‘fingere per indulgenza o convenienza di non
essere a conoscenza di determinati fatti e di lasciarli correre’. L’uso di ‘serro’
avrebbe potuto travisare il senso dell’incipit del sonetto.
57
Sanesi riversa in questa traduzione la sua concezione ‘eliotiana’ della vita
umana, fortemente influenzata dalle dottrine esistenzialiste. Si veda in
particolare Roberto Sanesi, “Un’altra voce”, aut aut, 11 (1952), pp. 428-32.
58
Cf. Serpieri, p. 527.
59
Seppure Serpieri faccia notare come, in effetti, la proposizione principale
inizi già ai vv. 11-12. Cf. Ibidem. West cita l’edizione Booth, a proposito
della possibile presenza, nella filigrana linguistica del sonetto, di termini ed
197
MATTEO BRERA
espressioni che ricondurrebbero a una “vague aura of reference to male
helplessness to postpone the moment of sexual climax and […] the general
collapse and sexual helplessness that follows sexual emission”. A tal
proposito Booth – prosegue West – elenca un certo numero di termini
possibilmente legati a questo aspetto: “buried”, “down razed”, “rage”,
“store”, “confounded”, “death”, “which cannot choose”, “weep”. Cfr. West,
p. 206.
60
Serpieri, p. 544.
61
Nei quali la sola congiunzione copulativa raccordava le prime due quartine.
62
Cf. Serpieri, p. 541; e inoltre West, p. 205.
63
Come nota Serpieri, è un vocabolo dalla duplice valenza: dinamica
(“versare” e, quindi, “procreare”) e statico (“fecondo”). Cf. Serpieri, p. 641.
64
Se ne trova un’occorrenza nell’Arcadia di Jacopo Sannazaro (Prosa VIII
7): “Quando nel fruttifero autunno le folte caterve di storni volando […]”.
Non è comunque possibile provare che Sanesi faccia riferimento a questo
luogo della tradizione.
65
In QN era “peso impudico”.
66
Si tratta di una tendenza osservabile in molte traduzioni di Sanesi, in
particolare nella già citata versione di Paradise Lost, ma anche in quelle dei
poeti metafisici inglesi (soprattutto di Alexander Pope) e di Dylan Thomas.
67
Cf. Roberto Sanesi, “Del tradurre: Milton”, La traduzione del testo
poetico, Milano: Marcos y Marcos 2004, pp. 189-97 (p. 195): “Ho adottato
quindi l’endecasillabo come se si trattasse di un modulo, di un segmento
mobile, aperto, capace di adattarsi di volta in volta, con spezzature e raccordi
interni, simulando un’enfasi di respiro e senza eccessivi timori per eventuali
soluzioni prosastiche”.
68
Il ricorso alla misura del settenario e dell’endecasillabo è riscontrabile
anche nelle poesie di Sanesi. Si veda in proposito Jacopo Grosser,
“‘Disprezza / l’endecasillabo facile’: Ragioni metriche della prima stagione
poetica di Roberto Sanesi (1958-1969)”, Archivi del nuovo, 20-21 (2009),
pp. 79-112.
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Sanesi, Un’altra voce, p. 429. Con questa definizione Sanesi descrive i
poeti a lui contemporanei, considerati incapaci di ricostruire “l’edificio della
poesia” e affaccendati, invece, in “lenti giri, ondulazioni […] fredde
acrobazie, giochi difficili”.
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