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il senso del comico e la commedia
A10 674 Associazione Italiana di Cultura Classica — Delegazione di Cuneo Istituto di Istruzione Superiore "Beccaria-Govone" di Mondovì IL SENSO DEL COMICO E LA COMMEDIA ATTI DEL CONVEGNO SALA GHISLIERI, MONDOVÌ (CN) 19 E 23 MARZO, 14 APRILE 2010 a cura di Stefano Casarino Amedeo Alessandro Raschieri Copyright © MMX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–3681–4 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre 2010 Indice Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Casarino Il senso del comico . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Lamberti Dal palcoscenico al palco (dalla skēnē al bēma): rapporti tra forma e contenuto nella parabasi di Aristofane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lia Raffaella Cresci Trasformazioni del comico nella letteratura greca di età post-classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Amedeo Alessandro Raschieri Aulularia sive Querolus. La commedia latina tra Antichità e Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . Aldo Intagliata Il problema educativo secondo Terenzio (Disciplina secundum Terentium Afrum) . . . . . . . . . . . . Valter Boggione Machiavelli e l’idea del comico . . . . . . . . . . . . Gian Giacomo Amoretti Un marziano a Roma: l’orizzonte inoltrepassabile del comico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Michele Rados La commedia e il comico. A teatro non si recita mai il testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sergio Giuliani Un viaggio polare e la sua storia (un racconto di Karen Blixen) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 5 7 27 51 65 81 93 111 125 143 149 Prefazione Questo volume di Atti del Convegno sull’Idea del comico fa seguito a quello dedicato all’Idea del tragico: la sequenza e l’abbinamento sono tutt’altro che banali. Le categorie culturali, prima ancora che letterarie, del tragico e del comico nascono, nella configurazione propria della civiltà europea, da “invenzioni” greche, recepite e rielaborate nei millenni con un’incessante opera di rinnovamento che non ha snaturato i connotati originari. Il tragico e il comico sono le due facce opposte, ma ineludibilmente connesse, della stessa visione del reale e del ruolo che l’uomo vi recita; una esiste in virtù dell’esistenza dell’altra, in un rapporto indissolubile di distinzione polare e di complementarietà. Alla selettività del tragico, capace di essere compreso da tutti e di muovere l’empatia universale, corrisponde, come ha magistralmente dimostrato Steiner, la difficoltà, se non l’impossibilità, di riprodurne la configurazione nelle forme sublimi della tragedia greca, modello universalmente evocato, ma praticamente non riproducibile. La natura proteiforme del comico, invece, capace di infinite modulazioni, dall’invettiva alla satira, dall’aggressività feroce all’umorismo distaccato, dall’osceno al gioco intellettuale sottile, si dimostra capace di riprodursi in contesti politici, sociali e culturali diversi e di promuovere un gioco complesso di inclusione e di esclusione. Perché la deformazione del reale su cui si impernia il meccanismo che provoca il riso è comprensibile solo a chi condivide determinati presupposti (di classe, di cultura, di sesso, di età) e si dimostra cartina di tornasole di appartenenza e spia di relazioni complesse su più piani, dal sociale al culturale in senso lato. Le relazioni al Convegno, che vanno a comporre i capitoli di questa ideale escursione nel multiforme panorama del comico, spaziano dalle origini greche sino all’attualità e percorrono i generi letterari più diversi, dal teatro al cinema, in contesti culturali e cronologici che vanno dal mondo greco e latino a quello rinascimentale e 6 moderno, sino all’attualità. Le declinazioni del comico prese in esame sono diverse, così come differenti sono le prospettive di analisi che guidano gli studiosi che hanno collaborato a questo volume: da approcci più tecnici e filologici ad analisi puntate sugli aspetti culturali e/o politico-ideologici. Molti degli studiosi, che si sono impegnati sul comico, si erano già misurati sul tragico e il lettore avrà modo di cogliere, attraverso la diversità degli argomenti affrontati, le costanti metodologiche e le analogie d’impostazione analitica. Una invariante è certamente rappresentata dallo “stile comunicativo” del volume, che si rivolge, con rigore scientifico, ma con chiarezza di linguaggio, a un pubblico colto ma non strettamente specialistico, che include i docenti ma soprattutto gli studenti liceali e universitari all’ampliamento dei cui orizzonti di interesse e di lettura sono particolarmente sensibili gli studiosi che non hanno solo collaborato a questo volume, ma che condividono da anni un impegno costante e congiunto nei campi collegati e complementari dell’insegnamento nei Licei e nell’Accademia. Lia Raffaella Cresci Università degli Studi di Genova Stefano Casarino Il senso del comico Si conosce un uomo dal modo in cui ride. F. Dostoevskij L’umorismo non è uno stato d’animo, è un modo di guardare il mondo. L. Wittgenstein In una sorta di ideale continuità rispetto al Convegno Monregalese dello scorso anno dedicato al “senso del tragico”, tentiamo ora di formulare qualche riflessione sul “senso del comico”, avvertendo preliminarmente che questo compito è più arduo: è banale — ma è comunque vero — che è più difficile far ridere che piangere, rallegrare piuttosto che commuovere. Della difficoltà del mestiere di comico si rendeva conto Antistene (388-311 a.C.): La tragedia è poesia fortunata del tutto, se gli argomenti sono già conosciuti dagli spettatori, prima persino che qualcuno apra la bocca: al poeta non resta altro da fare che richiamarli alla memoria. Se soltanto dice “Edipo”, gli spettatori sanno già tutto il resto: del padre Laio, della madre Giocasta, e delle figlie e dei figli, cosa dovrà subire, cosa ha fatto. . . Secondo caso: se nomina “Alcmeone”, persino i bambini possono dire subito tutto, che da pazzo ha ucciso 8 Stefano Casarino la madre e, disperato per ciò che ha fatto, subito tornerà e di nuovo se ne andrà. . . 1 Se poi non hanno nulla di più da aggiungere e non sanno come cavarsela nei loro drammi, alzano il marchingegno scenico come un dito e tanto basta al pubblico. Per noi invece non è proprio così, ma dobbiamo escogitare tutto, nomi nuovi, e cosa è capitato prima dell’azione, e l’azione, e la conclusione e l’inizio. (fr. 191 Kock). Possiamo dedurre da quest’affermazione che la commedia, perlomeno quella antica: • ha il dovere dell’originalità; • non dipende, in genere, dal mito, da storie comunque familiari al pubblico (eccezione: l’Amphitruo di Plauto); • non può ricorrere a facili espedienti (il deus ex machina, ecc.) Un altro problema è quello della “fortuna” del comico. Dobbiamo tenere presenti molti aspetti. Anzitutto, il relativo isolamento della commedia greca rispetto alla tragedia: l’eccezione più vistosa è Aristofane, l’unico commediografo di cui ci sono rimaste undici commedie complete, per altro più ammirato che studiato. Ha ragione Albini: «Aristofane non ha fatto scuola, nessun commediografo venuto dopo di lui ha saputo mescolare con esiti altrettanto intriganti tutte le forme del comico»2 . Il comico era comunque subordinato al tragico: il dramma satiresco seguiva la trilogia tragica: «dopo le lacrime veniva il riso: questo non annullava o negava le emozioni evocate dallo spettacolo tragico, ma probabilmente le rendeva più sopportabili, consentendo agli spettatori di uscire dal teatro e tornare alle cure ordinarie con un minimo di serenità. Sicché l’addomesticamento dell’estasi comica si rivelava utile dal punto di vista psicologico oltre che da quello politico»3 . 1 Probabilmente è opportuna una nota, perché, a differenza di quanto afferma Antistene, non è che oggi questo nome dica qualcosa ai più. Si tratta di un mito che ha molte analogie con quelli di Edipo e di Oreste: Alcmeone è un matricida che intenzionalmente uccide la madre Erifile, per punirla di aver mandato il marito Anfiarao a morire a Tebe solo perché interessata alla collana di Armonia, che si credeva concedesse l’eterna giovinezza: la madre lo maledice e gli scaglia contro le Erinni. 2 Albini (1991), p. 349. Dello stesso autore si vedano anche le pagine dedicate ad Aristofane nei tre volumi di Albini (1981) e il più recente Albini (1997). Imprescindibile resta Russo (1992). 3 Berger (1999), p. 44. Paolo Lamberti Dal palcoscenico al palco (dalla skēnē al bēma): rapporti tra forma e contenuto nella parabasi di Aristofane Pisa 1979/Mondovì 2010 Ben poche delle barriere che millenni di cultura umana hanno posto tra l’uomo e gli altri esseri viventi sono sopravvissute, se non in forma quantitativa e non qualitativa, alle moderne ricerche scientifiche: una salutare lezione di vera umiltà sul nostro ruolo oltremodo limitato nella storia di questo pianeta. Ma l’antica osservazione aristotelica sull’uomo come unico animale che ride sembra ancora tenere: anche se l’osservazione di animali, anche a livello dilettantesco, sembra testimoniare qualche forma di capacità di divertimento, comicità satira ed ironia richiedono un linguaggio ed una società come quelli umani. Anzi oggi una delle più accreditate teorie sull’origine del linguaggio è quella gelastica: il linguaggio sarebbe nato come evoluzione del riso. Infatti la risata è in fondo una sequenza di vocali, una sequenza discreta, con intervalli regolari (ciascun suono è di circa 75 millisecondi, ad intervalli di 210 millisecondi, basato su una serie di armoniche sviluppate a partire da una frequenza base, 502 Hz nelle donne, 276 negli uomini); ha una sua fonologia, ha una 28 Paolo Lamberti sua grammatica: i suoni non possono essere casuali, a un oh-oh non può seguire un ih-ih. Se il linguaggio asserisce che il mondo è in un certo modo, la risata, come già ricordava Aristotele, segnala la differenza tra quello che le cose sono e quello che dovrebbero essere1 . Ma il comico è crudele. Si ride sempre di qualcuno o di qualche “ente sociale” come una visione del mondo o una ideologia. La risata non è neutrale, non permette di essere spettatori passivi: o ne sei l’autore, o ne sei il bersaglio, o ne sei complice, nel momento in cui ridi. L’avvertimento del contrario sarà per Pirandello solo un primo momento, ma non è affatto detto che ne segua il sentimento del contrario; anzi la forza della comicità sta proprio nell’assenza di empatia verso il bersaglio, nel senso di coesione e superiorità di chi ride verso l’altro, nella logica nemico/amico. Il riso non è politically correct: si ride delle funzioni corporali, del sesso, della fame, delle donne, degli omosessuali, delle altre razze, dei politici e dei sacerdoti (e qui interviene la satira); e qualcuno (o molti) si offende. Che avesse ragione Jorge da Burgos, quando nel Nome della Rosa deprecava il riso perché i Vangeli non ci mostrano un Cristo che ride? (peraltro qui Eco riprende il Baudelaire dell’Essai sur le rire). Sicuramente no, non foss’altro per insufficienza metodologica: vista l’importanza nei Vangeli dell’alcol, gli astemi sarebbero eretici. E vista l’assenza di ogni accenno ai bisogni fisiologici di Cristo, per i cristiani si fa dura. . . Così qualcuno di voi avrà riso, e qualcun altro si sarà offeso, confermando il meccanismo. E ricordandoci che non tutti gli esseri umani sanno ridere. E che spesso in nome della serietà creano società in cui il riso è sconveniente; di solito come la libertà, l’uguaglianza, la diversità. Invece Aristofane vive in una società che pur limitandola solo ai maschi ateniesi permetteva ed incoraggiava una tale libertà di parola da inventare un termine apposito, parrhēsìa. Lo spazio in cui questa libertà è più evidente è la Commedia Antica; e al suo interno si ritrova un ulteriore spazio in cui l’illusione scenica (ammesso che ci fosse) viene infranta e il coro con il suo corifeo parla direttamente al pubblico. Il corifeo è un cittadino che guida un coro di cittadini, è il portavoce di un poeta che è un cittadino, e che a volte si nasconde dietro la figura del corifeo, e parla ad un pubblico di cittadini che a loro volta potranno essere 1 Cfr. Tallis (2009).