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SEPOLTURE CON CAVALLO DA VICENNE (CB): UN RITUALE

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SEPOLTURE CON CAVALLO DA VICENNE (CB): UN RITUALE
SEPOLTURE CON CAVALLO DA VICENNE (CB):
UN RITUALE NOMADICO DI ORIGINE
CENTROASIATICA
di
BRUNO GENITO
Dipartimento di Studi Asiatici
Istituto Universitario Orientale-Napoli
1. INTRODUZIONE
Pochissimo spazio è stato finora dedicato nella ricerca
archeologica medievale del nostro paese a quelle problematiche connesse con gli antichi nomadi dell’Asia centrale. Studi e ricerche riferibili al V e X secolo d.C. hanno
sempre avuto, per la verità, come oggetto di interesse scientifico il mondo “Barbarico” occidentale che ha presentato
più di qualcosa in comune con quelle lontane popolazioni,
ma raramente, essi hanno, però, approfondito, quegli aspetti
molto particolari delle relazioni culturali di quel periodo
con l’Asia “Barbarico-nomadica”. Alcuni tratti culturali, in
qualche modo riconducibili all’Asia nomadica, sono stati
già in passato identificati in Italia centro-settentrionale e
meridionale; ma nonostante ciò, molto poco delle relazioni
tra la penisola e quel grande movimento migratorio di cui
gli antichi nomadi d’Asia sono parte integrante, è stato, mai,
archeologicamente messo in evidenza prima della scoperta
della necropoli di Vicenne (Campochiaro, Molise) Questa
necropoli, infatti rappresenta un unicum culturale, ad un
tempo “asiatico” e “nomadico” caratterizzato dalla presenza di numerose tombe con cavallo che rimandano ad analoghe forme di sepolture rinvenute proprio tra i popoli nomadi delle steppe Eurasiatiche (Figg. 1-2).
Parlare ancora una volta di queste tombe (GENITO 1988;
1991; 1993; in c.s.a; in c.s.b; ERDY 1993) in mancanza di
nuovi elementi cronologici per quanto attiene alla loro contestualità funeraria e/o tipologici per quanto attiene alla
cultura materiale colà presente, potrà sembrare inutile e ripetitivo. È, invece, importante sottolineare in un’occasione
come questa offertami dalla Società degli Archeologi Medievisti, nel I° Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, la peculiarità del ritrovamento archeologico di Vicenne che non ha avuto, finora, alcun riscontro in Europa ed in
Italia meridionale. Esso, a mio parere, costituisce uno di
quei casi in cui una scoperta, per così dire, “nazionale”,
assume connotati “internazionali” e si proietta sullo sfondo
di un interesse scientifico eccezionale. Al di là di qualunque ipotesi di attribuzione etnico-culturale di questi resti
funerari, sulle quali mi sono già soffermato in altra occasione (GENITO 1988; GENITO 1991) e in relazione alle quali
per il momento non intendo aderire ad una o ad un altra di
quelle proponibili, mi sembra opportuno fare il punto sulla
collocazione storico-culturale della scoperta di Vicenne. Il
seppellimento contemporaneo, nella stessa tomba di un
uomo e di un cavallo costituisce un esempio di rituale funerario con una lunga e complessa tradizione storica alle spalle
che risale alla cultura dei cavalieri nomadi delle steppe
Eurasiatiche. Questo tipo di seppellimento, per la prima volta
documentato in Europa meridionale, ma generalmente rinvenuto in Asia centrale e in Europa centro-orientale, costituisce l’aspetto più significativo della necropoli di Vicenne
e, all’interno della documentazione archeologica europea
esso rappresenta davvero una significativa eccezione. Questo rituale funerario e lo sfondo etnico-culturale che lo sottende necessita di uno sforzo di approfondimento storicoarcheologico da fare proprio sui rituali simili rinvenuti in
quelle aree lontane per capire come e perché esso raggiunse, nel VII secolo, il Molise. D’altra parte sulla base delle
analisi archeologiche e archeo-zoologiche (BÖKÖNYI 1988;
1991), queste tombe costituiscono senza alcun dubbio sep-
pellimenti contestuali di un uomo e del suo cavallo, unitari
nel tempo e nello spazio; ciò va particolarmente enfatizzato
considerando l’estrema varietà tipologica delle numerose
fosse con cavalli o parti di essi (con o senza corredo), rinvenute in Europa occidentale dalla Scandinavia alla Germania e databili dall’epoca Merovingia a quell’Ottoniana
(V-XI secolo A.D.) (MÜLLER WILLE 1970-71; OEXLE 1981).
Occorre ricordare, inoltre, che nella letteratura scientifica
ci sono fraintendimenti e incertezze nella definizione stessa di “tomba con cavallo”, come p. es. è accaduto nell’interpretazione della tomba n. 38 di Nocera Umbra (DE MARCHI 1989, p. 23) Erroneamente classificata tra le tombe con
cavallo in Italia evidentemente essa è, invece, sulla base
della descrizione dello scavo una tomba secondaria con scheletri di un cavallo e di un cane, esterni alla tomba principale, nella quale è deposto l’ inumato (PASQUI-PARIBENI 1919,
p. 238).
2. STORIA DELLA QUESTIONE
Storicamente l’uso di seppellire cavalli è attestato da
Erodoto (IV, 72) per l’epoca scita (V-IV secolo a.C.) e da
evidenze archeologiche per l’età del Bronzo e del Ferro
(AZZAROLI 1975), nel Vicino Oriente, in Cina (nel periodo
tardo Shang, XIII-XI secolo a.C.) (CHI 1977; CHANG 1980
ed in Asia Centrale con la significativa variante della presenza di carri (GENING-ZDANOVIC-GENING 1992). Per l’epoca medievale il rituale è testimoniato da numerosi autori e
da una discreta documentazione archeologica con la deposizione contemporanea di uomo ed animale, variante assente nell’età del ferro. Una delle principali fonti relative a
tale rituale si trova nelle note di viaggio di Ibn Fadlan, ambasciatore del califfo Abbaside, Muqtadir, inviato nel IX-X
secolo presso il re dei Bulgari del Volga. L’autore nelle sue
note ci ha fornito una grande quantità di informazioni storiche, geografiche ed etnografiche, inoltre, sulla popolazione dei Khazari, tra le quali anche la descrizione della morte, del seppellimento di un uomo (CANARD 1958, 200b, 75,
76, e nota n. 136) e della pratica rituale di sacrificare contestualmente un cavallo. In tale rituale è evidente che l’uccisione di un cavallo e la sua collocazione in una tomba, consente, all’uomo deceduto di salire simbolicamente al Paradiso.
Il rituale descritto da Ibn Fadlan, documentato anche presso i
Mongoli ci fornisce l evidenza anche di un pasto rituale prima
che il cavallo sia imbalsamato e ci conferma quanto tali sacrifici fossero diffusi nel mondo dell’est-europeo dell’epoca.
Il seppellimento di cavalli insieme agli uomini nelle
tombe di periodo altomedioevale è archeologicamente attestato nel V secolo nella Russia Meridionale e nel Caucaso; gli Avari nel VI-VII secolo lo diffondono in Occidente
nelle aree Danubiane e della Tisza, e gli Ungheresi, nel IXX secolo lo adottano di nuovo nel bacino dei Carpazi. Indipendentemente da ogni attribuzione etnica di quel rituale
per cui sono stati di volta in volta proposti popoli come i
Saragouri, gli Ouguri, gli Onoguri, i Bulgari, i Finno-ugri,
gli Unni, e gli Avari (BALINT 1982, p. 19 ss.; SMIRNOV 1962;
ZAZECKAJA 1971), esso fu, molto probabilmente, introdotto
contemporaneamente da diversi popoli in aree diverse. Sebbene la questione appare molto complicata la più gran parte
degli studiosi attribuisce l’uso di seppellire i cavalli al ramo
occidentale dei su citati popoli di origine turca, e la probabile area originale del rituale alla Siberia di Sud-ovest
(BALINT 1982, p. 25). I seppellimenti più tardi con cavallo
del X-XI secolo nella Russia meridionale e a Sarkel la famosa capitale dello Stato Kazaro sono, invece, attribuibili a
nuove ondate di popoli turchi, come i Pecheneghi.
Generalmente considerati relativi a credenze religiose,
i seppellimenti con cavallo del medio-evo appartengono
culturalmente in toto al mondo nomadico eurasiatico, e, sono
chiare espressioni della particolare importanza del cavallo
nel contesto socio-economico del nomadismo pastorale
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Fig. 2 – Tomba n. 33.
Fig.1 – Tomba n. 16.
equestre che col tempo ha determinato lo sviluppo di particolari rituali connessi con il suo sacrificio. Questo rituale
richiedeva che il cavaliere portasse con se dopo la morte il
cavallo e la sua cavalcatura ed è, così, strettamente riferibile al valore sacro del suo spirito o della forza vitale, capace
di sopravvivere attraverso le ossa (cranio e quattro zampe)
e la pelle dell’animale, generalmente lasciate intatte nelle
tombe. Considerando l’alto costo di un cavallo, sempre
maggiore di un bovino, l’uso di seppellire un cavallo completo potrebbe essere stato un privilegio dei livelli più alti
della società, là dove la deposizione della sola bardatura
potrebbe avere caratterizzato i livelli bassi.
3. NECROPOLI DI VICENNE
La necropoli di Vicenne, situata nella piana del
Tammaro, affluente di d. del Biferno, molto vicina al piccolo villaggio di Campochiaro, a sua volta, vicina a Bojano,
la più famosa delle vecchie città romane della zona è collocata in un punto cruciale di incontro dei tre principali tratturi
pastorali che dall’Abruzzo raggiungono la Puglia.
Data la particolare importanza della necropoli il suo studio può costituire una specie di laboratorio di ricerca dove
sperimentare nuovi metodi, dall’analisi mortuaria a quella
archeozoologica, e a quella fisico-antropologica, particolarmente orientate alla ricostruzione di un aspetto molto
particolare quale è quello di una vita nomadica in un contesto molto lontano dall’originario mondo eurasiatico (GENITO 1988a). La datazione del cimiterio al VII secolo è stata
per gran parte confermata, durante gli scavi diretti dalla
Sovrintendenza del Molise tra il 1988 ed il 1991, dalla scoperta di monete d’oro e d’argento databili non più tardi del
650-680 d.C. (ARSLAN 1991, pp. 344-345). A conferma ulteriore della cronologia proposta si possono osservare altri
oggetti presenti nella necropoli, come la ceramica dipinta a
“linee larghe” (WHITEHOUSE 1966; GENITO 1984; 1985a;
1985b; 1987; in c.s.b; 1994; 1988, fig. 18; 1991, Tav. 8f,
f60, Tav. XXIX, 1). Sebbene una forte caratterizzazione
culturale “germanica” sia, comunque, presente nella necropoli sulla base dalla maggioranza degli oggetti, gli
“scramasax”, le fibbie per cinture, le guarnizioni di cintura
in ferro, tipici della cultura materiale dei Longobardi, una
presenza culturale “diversa”, è attestata proprio dall’esistenza di queste forme di seppellimento con cavallo e da altri
numerosi oggetti come gli orecchini d’argento in stile avaro (GENITO 1988, figg. 3-4; GENITO 1991, Tav. 4f, f31; 5f, f
38; Tav. XXX, 1), il bicchiere in vetro ad alto gambo di tipo
Bizantino (GENITO 1991, Tav. 7f, f44; Tav. XXVIII) e le
numerose staffe in ferro (GENITO 1988, fig. 2; 1991, Tav. 3f,
f26-27; Tav. XXIX, 2; 1993, fig. 2).
La presenza di staffe di tipo avaro in situ ai lati del
cavallo dimostra l’uso di tali oggetti in Italia nel VII secolo,
sebbene la loro diffusione in occidente sia stata generalmente collocata nell’VIII. Esse sarebbero, così, tra le prime
staffe ad essere state introdotte in Occidente sostanzialmente
contemporanee agli esempi più antichi rinvenuti in occidente (Von Freeden 1985; 1987) e le prime in Italia, là dove
i soli esempi finora attestati, quelli nella tomba di bambino
a Castel Trosino (MENGARELLI 1902, pp. 290, fig. 180) e
quelle più recentemente scoperte a Cividale (SILVA 1990)
non presentano elementi di una cronologia certa. Il fatto
che queste staffe di tipologia avarica siano state rinvenute
in un contesto archeologico caratterizzato da molti oggetti
di corredo di carattere “germanico” piuttosto che costituire
un’anomalia rappresentano la conferma piena del fatto che
tali oggetti, completamente sconosciuti nel mondo classico
sono arrivati in Occidente proprio attraverso il tramite di
popoli “diversi” che vivevano in un contesto multi-culturale e multi-etnico. La questione dell’origine e della diffusione delle staffe non è ancora del tutto chiara, mentre appare
sempre più convincente l’ipotesi che anche altri popoli come
i Bizantini e gli Arabi abbiano potuto dare il proprio autonomo ed originale contributo all’elaborazione e fabbricazione di oggetti nuovi. È certo comunque che le staffe metalliche siano state l’effetto di un grande cambiamento nella lunga evoluzione del modo di cavalcare e del fare la guerra
realizzatosi a partire dal IV-V secolo che portò in poco tem-
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po alla creazione della cavalleria pesante (BACHRACH 1985).
La presenza di altri oggetti tra i quali grandi fibbie in
ferro poste al di sotto del cavallo che dimostrano indirettamente l’uso di selle, lo scudo (GENITO 1988, p. 59, fig. 13)
ed un anello d’oro con sigillo (GENITO 1991, p. 334 , Tav.
31, 1, 2; ARSLAN 1991, pp. 344-345), arricchiscono notevolmente l’importanza delle tombe.
Non esistono molte informazioni storiografiche relative all’epoca altomedioevale nell’area del rinvenimento della
necropoli di Vicenne con la sola eccezione del famoso passo di Paolo Diacono relativo alle truppe Bulgare di Alzecone
arrivate nella piana di Sepino, Bojano e Isernia (STORIA 1985,
V, 29) L’informazione alla luce di questo straordinario ritrovamento archeologico appare suffragata oggi anche da
un decisivo supporto archeologico e risulta, poi, particolarmente importante perchè suggerisce inoltre l’esistenza di
una specie di cambiamento giuridico ed istituzionale nell’organizzazione del ducato della Longobardia meridionale
con la creazione dei Gastaldati, proprio in occasione dell’arrivo di quelle truppe di stranieri inviate da Grimoaldo a
Romualdo. Indirettamente, infatti, P. Diacono ci fornisce la
notizia che in cambio dei nuovi territori il re dei Bulgari (i.
e. dux Bulgarorum, o Khan) cambiò il suo titolo in quello
di Gastaldus.
4. CONFRONTI
L’area più occidentale nelle quali le tombe con cavallo
sono state rinvenute sono l’Ungheria (BALINT 1982), l’ex
Cecoslovacchia (TOCIK 1968) e l’ex Jugoslavia dove contesti
archeologici con un forte carattere “asiatico” sono stati attribuiti agli Slavi, gli Avari o gli Ungheresi. Dall’Ungheria si
possono citare gli esempi di Szekszard (ROSNER 1975/6, fig. p.
103), Ivancsa (BONA 1970, fig. 1); dall’Ukraina, vicino alla
regione di Nikolaev, quello di Portovoe (AJBABIN 1985, fig. 9)
e altri dall’Asia Centrale, dall’Oasi di Tuva (Obcinnikova 1982,
fig. 1; KENK 1982, figg. 9, 11, 14, 19, 20, 31, 41, 43) e dall’Altai
superiore (KENK 1982, figg. 14, 15, 17, 18, 19, 20, 22, 23).
Con questi confronti non si intende, qui, però affermare l’esistenza di una diretta continuità tra le tombe con cavallo dell’Europa dell’Est e l’Asia Centrale da un lato e
quelle dell’Italia meridionale dall’altro, né di stabilire precise correlazioni etniche tra gli inumati e i relativi resti archeologici così lontani tra loro. Queste ipotesi di confronto
possono per il momento, solo fornire l’evidenza di connessioni tipologiche, strutturali di un rituale con al centro il
sacrificio del cavallo che non appartiene al mondo germanico, sebbene un culto di quell’animale è comunque documentato anche tra quelli (BALINT 1982). Ritrovare un rituale funerario di tipo centro-asiatico in un contesto germanico, come certamente è quello di Vicenne, è cosa particolarmente significativa, ma è egualmente importante comprendere come una popolazione “estranea” che usi un proprio
rituale di seppellimento abbia potuto venire a vivere all’interno di un contesto culturale diverso dal suo proprio. L’esistenza di certe pratiche funerarie, che generalmente costituiscono un aspetto conservatore di una cultura, non deve
meravigliare più di tanto perchè è molto difficile che un
popolo cambi improvvisamente i propri usi funerari solo
perchè un movimento migratorio l’ha portato da una parte
all’altra del mondo, mentre è molto più facile concepire un
popolo che conservi le proprie pratiche funerarie, anche
quando ormai viva in una regione straniera. La questione,
sebbene apparentemente molto semplice e ovvia, è tuttavia
particolarmente significativa in quanto induce a mettere in
relazione la cultura materiale con un etnos là dove esiste la
complessità di un contesto multi-culturale e/o multietnico.
L’attribuzione etnica della cultura materiale è una lunga e
dibattuta questione; nel campo della Preistoria linguistica
per quanto attiene al problema degli Indo-europei la relazione tra etnicità e linguaggio è stata affrontata molte volte
(RENFREW 1987; 1992; JONES 1992; ERDOSY in c.s.a; in c.s.b).
Nell’Asia protostorica la questione ha largamente seguito i
parametri storici di ogni teoria etnogenetica quando un popolo è capace di esprimere con piena consapevolezza la sua
identità (POGREBOVA-RAEVSKYI 1992). Per quanto riguarda
il medio evo Geary a partire dai termini contraddittori di
gens, natio, populus, e la moderna sovrapposizione del concetto di “nazionalismo” trova una contraddizione tra i criteri ideali con i quali i popoli tendono a differenziarsi, e le
circostanze in cui queste differenziazioni hanno effettivamente luogo (GEARY 1983, p. 24). Per questo l’a. sottolineava come il concetto di etnicità non è «un punto finale dell’esame della società, ma piuttosto l’inizio, un codice che
deve essere decifrato per capire il processo del cosiddetto
cambio sociale» (ibidem, p. 26). Su questa base credo che i
tre livelli interpretativi proposti qualche tempo fa per l analisi dei resti della necropoli di Vicenne, l’asiatico, il germanico ed il locale (AA.VV. 1988, p. 121) trova la sua più
piena conferma: un contesto multicultuale e multietnico non
può che essere analizzato e interpretato se non con criteri
interpretativi a più livelli.
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