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ANNO XXVII MAGGIO 2013 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA 5 In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Groenlandia Ghiaccio bollente PRIMO PIANO Venezuela fragile equilibrio FOCUS Spirulina l’alga che salverà il mondo INCHIESTA “Globesi” e affamati Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 Fondazione Missio Sezione Pontificie Opere Missionarie Via Aurelia, 796 - 00165 Roma MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA Trib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM) Presidente (APM): GIOVANNI ATTILIO CESENA La rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI. Direttore responsabile: GIULIO ALBANESE Redazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: 06 66502632. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Francesca Baldini, Mario Bandera, Roberto Bàrbera, Marco Benedettelli, Francesco Ceriotti, Azia Ciairano, Franz Coriasco, Francesca Lancini, Martina Luise, Luciana Maci, Davide Maggiore, Paolo Manzo, Enzo Nucci, Francesco Occhetta, Alfonso Raimo, Filippo Rizzatello, Mariella Romano, Alex Zappalà. Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile. Foto di copertina: AFP Photo/Paul J. Richards/FILES Foto: Afp Photo / Mahmud Khaled, Afp Photo / Joseph Eid, Afp Photo / Daniel Roland, Afp Photo / Khaled Desouki, Afp Photo / Jeff Pachoud, Afp Phto / Pornchai Kittiwongsakul, Afp Photo / Michel Rubinel, Afp Photo / Yasuyoshi Chiba, Afp Photo Lionel Bonaventure, Afp Photo Patrick Fort, Afp Photo Pool / Michael Kappeler, Afp Photo / Steen Ulrik Johannessen, Afp Photo Martin Bernetti, Afp Photo / Tim Sloan, Afp Photo / Noah Seelam, Afp Photo / Ben Stansall, Afp Photo / Shah Marai, Afp Photo / Kcna Via Kns, Afp Photo / Pool / Paul J. Richards, Afp Photo / Leo Ramirez, Afp Photo / Facebook, Afp Photo / Luis Acosta, Afp Photo / Geraldo Caso, Afp Photo / Lissy De Abreu, Afp Photo / Tony Karumba, Jupiterimages, Archivio Missio, EMI, Luis Argerich, Sandra Catapano, Centro Giustizia e Pace Giovanni Paolo II di Kampala, Gianni Cesena, Amedeo Cristino, Eugenio Di Giovine, Ismaila Mbaye, Filippo Rizzatello, Aldo Vristi, Ansgar Walk. Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00; Benemerito € 30,00; Estero € 40,00. Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato a Popoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e Missione Cod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968 Stampa: Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 - Montefiascone (VT) Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono. Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana. Chiuso in tipografia il 26-04-2013 Supplementi elettronici di Popoli e Missione: MissioNews (www.missioitalia.it) La Strada (www.giovani.missioitalia.it) Don Giovanni Attilio Cesena, Direttore Dr. Tommaso Galizia, Vice Direttore Don Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazione della Fede (C.C.P. 63062723) Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo (C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525) Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632) Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani (C.C.P. 63062855) Numeri telefonici PP.OO.MM. Segreteria di Direzione Amministrazione P. Opera Propagazione della Fede P. Opera S. Pietro Apostolo P. Opera Infanzia Missionaria P. Unione Missionaria Missio Giovani Opera Apostolica Fax 06 6650261 06 66502628/9 06 66502626/7 06 66502621/2 06 66502644/5/6 06 66502674 06 66502640 06 66502641 06 66410314 “Popoli e Missione” Centralino Direzione e Redazione Segreteria Settore abbonamenti Fax 06 6650261 06 66502623/4 06 66502678 06 66502632 06 66410314 Indirizzi e-mail Presidente Missio Direttore Missio Tesoriere Missio Segreteria Missio Propagaz. della Fede S. Pietro Apostolo Infanzia Missionaria Unione Missionaria Clero Opera Apostolica Missio Giovani Popoli e Missione (Redazione) Popoli e Missione (Direttore) Abbonamenti Amministrazione [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] INTENZIONI SS. MESSE l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzione delle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione. Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511 PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESE La Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare: PER UN LEGATO · di beni mobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia 796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzionali dell'Ente». · di beni immobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia 796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente». PER UNA EREDITÀ «... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specificare quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni mia precedente disposizione testamentaria». È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inoltre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cognome del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento viene scritto. Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected]) EDITORIALE O tempora, o mores di GIULIO ALBANESE [email protected] L a cronaca odierna fa venire in mente la celebre locuzione ciceroniana “o tempora, o mores!” che, tradotta letteralmente, significa “che tempi, che costumi!”. Nella foga del discorso contro Catilina, che aveva tentato di farlo assassinare, Cicerone deplorava la perfidia e la corruzione dei suoi tempi. Probabilmente, oggi, se fosse con noi, direbbe lo stesso. Basti pensare alle raffiche di suicidi che avvengono nel nostro Paese per disperazione, non riuscendo più la gente ad arrivare a fine mese o a pagare l’infinità di balzelli che vengono in continuazione sfornati per ripianare il debito pubblico. Come si fa ad essere indifferenti quando si legge sui giornali che vi sono pensionati costretti a rubare scatole di biscotti o latte nei supermercati per sfamarsi, oppure a raccogliere tra gli scarti dei mercati rionali quanto ancora è commestibile? Di fronte a questi fenomeni è difficile contenere la rabbia per il mondo che lasciamo in eredità alle giovani generazioni. Ma di chi è la colpa? Sulle pagine della nostra rivista, da anni, abbiamo denunciato il malcostume delle classi dirigenti che affamano tuttora molti Paesi del Sud del mondo, stigmatizzando anche i disastri perpetrati da un sistema economico-finanziario planetario che ha acuito a dismisura la divaricazione tra i ceti sociali: da una parte un manipolo di nababbi, dall’altra le masse impoverite. In Italia è successo più o meno lo stesso: tranne alcune lodevoli eccezioni, le maggioranze e le minoranze che si sono succedute in Parlamento e più in generale nella pubblica amministrazione hanno sperperato denaro a destra e a manca, violando il dettato costituzionale. Infatti l’articolo 1 della nostra Costituzione afferma un principio inderogabile su cui dovrebbe fondarsi la democrazia, cioè che il nostro Paese è «una Repubblica fondata sul lavoro». Purtroppo la crescente disoccupazione smentisce questo diritto e getta nello sconforto una miriade di persone. D’altro canto, senza accesso al credito, chi ha un’impresa, una famiglia sulle spalle, chi ha un progetto di vita, chi ha una vocazione raramente riesce a svolgere una vita libera dai mille condizionamenti. La sfida, da questo punto di vista, consiste nel definire contratti ben scritti e regole certe nell’interesse della persona e del bene comune. Come ci ricordano i nostri missionari, in molte regioni del mondo si aiuta davvero un povero più con un contratto di microcredito che con un regalo o con una donazione in denaro. La visione cristiana dell’amore sostiene che l’eros non si contrappone all’agape, così come nella vita civile l’economia dei » (Segue a pag. 2) POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 1 Indice (Segue a pag. 2) contratti non è in contraddizione con l’economia del dono. Sbaglia chi pensa che business is business e che i valori cristiani entrano in gioco solo donando pochi spiccioli ad opere filantropiche. È l’intera economia che deve essere plasmata dai valori del Vangelo, riconoscendo il primato della persona sul mercato, dell’economia reale e, dunque, del lavoro, sui meccanismi della finanza speculativa. Quest’ultima è un autentico mostro, che impunemente continua a fare disastri. 4 8 EDITORIALE 1 _ O tempora, o mores di Giulio Albanese PRIMO PIANO 4 _ Post Chavez Venezuela, fragile equilibrio 18 di Davide Maggiore ATTUALITÀ 8_ Dopo le Primavere arabe Incognita salafita di Ilaria De Bonis 29 11 _ Cambiamenti climatici Groenlandia A cura di Emanuela Picchierini Testo di Giulio Albanese PANORAMA 26 _ Il bello dell’Africa di Chiara Pellicci DOSSIER 29 _ Alternative alla crisi Per un nuovo umanesimo di Francesco Occhetta 37 _ Filo diretto con l’economia di Miela Fagiolo D’Attilia Cooperare per ripartire 14 _ Nuove tecnologie e missione Spirulina, a voi l’alga che salverà il mondo di Ilaria De Bonis L’INCHIESTA 18 _ Malnutrizione planetaria POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 22 _ Giornata mondiale dell’Africa Ghiaccio bollente FOCUS 2 SCATTI DAL MONDO di Ilaria De Bonis MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ 38 _ Il rientro dei fidei donum Molta “andata”, quanto ritorno? di Chiara Pellicci 41 _ Giustizia in Uganda “Globesi” e affamati Stop corruption now! di Miela Fagiolo D’Attilia di Ilaria De Bonis 11 8 OSSERVATORI AFRICA Il popolo del miele PAG. 7 di Enzo Nucci AMERICA LATINA PAG. 13 Leonardo e Francesco di Paolo Manzo ASIA PAG. 15 Il lato oscuro dell’India di Francesca Lancini MEDIO ORIENTE PAG. 17 “Obama, vieni e vedi” di Chiara Pellicci GOOD NEWS PAG. 21 Soldi finti, ma non troppo di Chiara Pellicci BALCANI PAG. 43 Dopo la guerra, i tumori di Roberto Bàrbera 44 _ Mutamenti Diplomazia digitale I Tayllerand della rete 46 _ RUBRICHE 52 _ Controcorrente 14 La Vergine de los gauchos di Mario Bandera 53 _ Musica ASAF AVIDAN Una voce per sognare di Franz Coriasco 54 _ Libri L’industria delle armi di Francesca Baldini 54 _ Dialogare sul VITA DI MISSIO 58 _ Don Michele Autuoro, Vangelo di Luca nuovo direttore di Martina Luise Da Procida ad gentes 55 _ Giovani verso Taizé 2015 di Chiara Anguissola 61 _ di Miela Fagiolo D’Attilia Missio Giovani di Luciana Maci L’altra edicola Rischio nucleare 55 _ Dieci anni senza Carlo Elogio della felicità di Mariella Romano Corea contro Corea 56 _ Ciak dal mondo di Alex Zappalà Intenzione missionaria di Ilaria De Bonis 49 _ Posta dei missionari 62 _ I nuovi discepoli Un giorno devi andare Cristiani d’Algeria Sul fiume scorre la vita a cura di Chiara Pellicci di Miela Fagiolo D’Attilia 63 _ di Francesco Ceriotti Inserto PUM Non solo opere di Alfonso Raimo POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 3 PRIMO PIANO Post Chavez Venezuela, fragile equilibrio di DAVIDE MAGGIORE [email protected] on è stata la fine di un’epoca, o quantomeno non ancora. Nel momento in cui questo articolo va in stampa, in Venezuela domina l’incertezza: le manifestazioni di piazza seguite alle elezioni presidenziali hanno N 4 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 già provocato almeno 7 morti e oltre 60 feriti. Il voto del 14 aprile scorso - il primo dopo la morte, a marzo, di Hugo Chavez - ha visto, secondo i dati ufficiali, la vittoria di Nicolas Maduro, candidato del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) che fu del “comandante” bolivariano. L’erede designato del “chavismo”, però, ha sconfitto solo di misura il suo Nicolas Maduro, successore di Hugo Chavez alla presidenza del Venezuela. avversario Henrique Capriles: il candidato dell’opposizione ha raccolto circa il 49% dei consensi, contro poco più del 50% per Maduro. Capriles, governatore dello Stato di Miranda, ha denunciato massicci brogli, chiedendo un nuovo conteggio delle schede. Una proposta che ha immediatamente trovato l’appoggio degli Stati Uniti - sponsor occulti dello sconfitto, secondo la propaganda bolivariana - e dell’Organizzazione degli Stati americani. Nelle strade, alle manifestazioni di protesta convocate dall’opposizione sono seguite violenze con morti e feriti: ad esserne responsabile, per ognuno dei due contendenti era - naturalmente - il rivale. Nonostante la cauta e tardiva In Venezuela domina non derivava solo dai sondaggi - di area prevalenapertura di Capriles a un l’incertezza: le temente filogovernativa “dialogo diretto” con Mache assegnavano al canduro, già frettolosamente manifestazioni proclamato presidente dalle di piazza seguite alle didato del partito al potere circa dieci punti di vanistituzioni competenti, il elezioni presidenziali taggio, in linea con il riquadro del Venezuela uscito dalle urne è quello di un hanno già provocato sultato dello scorso ottobre, quando Chavez, già malato, Paese polarizzato (situa- almeno 7 morti aveva battuto Capriles con zione non nuova nel quinil 55% dei voti contro il dicennio chavista) ma so- e oltre 60 feriti. 44%. A favore del viceprattutto ormai diviso, inapresidente uscente poteva spettatamente, in fazioni giocare anche l’aspetto emotivo: la camche hanno lo stesso peso elettorale. Quasi tutti gli osservatori internazionali pagna elettorale è stata tra le più brevi si attendevano in effetti una vittoria nella storia del Paese ed è iniziata quando più netta di Maduro. Questa sensazione ancora era viva l’eco della morte » L’erede del “comandante bolivariano” è stato proclamato presidente, ma sul futuro del Paese spaccato restano molte incognite. E la fine del boom petrolifero preoccupa anche al di là dei confini. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 5 PRIMO PIANO del “comandante”, un fattore che l’erede qualche risultato, al di là della crescita del governo di Caracas dalla prospettiva ha cercato di sfruttare. Ma malgrado il del prodotto interno lordo. È innegabile, di robuste sovvenzioni economiche sotto lutto nazionale proclamato per l’ex pre- ad esempio, la diminuzione dei tassi di forma di petrolio (Dominica, Saint Vinsidente e la cadena nacional (la tra- povertà, nonostante una recente in- cent & Grenadines, Antigua & Barbuda) smissione a reti unificate) versione di tendenza. oltre che dalla comune opposizione agli dei discorsi del candidato I critici, però, considerano Usa: è il caso di Cuba, che ricambia i socialista, lo slogan del- Capriles, governatore questo modello non soste- 100mila barili di greggio al giorno con l’opposizione, «Maduro dello Stato di nibile, perché fondato solo 20mila medici a sostegno della sanità non è Chavez», ha evisulla spesa pubblica, senza locale. Più in generale il Venezuela dentemente fatto più pre- Miranda, ha prospettive di medio ter- orfano della personalità trascinante di sa sugli elettori di quanto denunciato mine. Con il calo dei prezzi Chavez e con le questioni economiche previsto dai governanti massicci brogli, del greggio sullo sfondo, in da affrontare rischia di perdere quella di Caracas. effetti, il nuovo inquilino posizione di Paese guida che per molti È inevitabile adesso chie- chiedendo un del palazzo presidenziale di versi aveva assunto nella regione, indersi cosa accadrà nel nuovo conteggio Miraflores dovrà affrontare staurando rapporti privilegiati soprattutto Paese spaccato tra Ma- delle schede. diversi nodi: l’inflazione si con la Bolivia di Evo Morales e l’Ecuador duro - cinquantenne, ex attesta oltre il 20%, ma po- di Rafael Correa. autista di autobus e sintrebbe risentire ancora della I concorrenti che potrebbero approfittare dacalista, avvicinatosi nesvalutazione della moneta degli spazi lasciati liberi da un Venezuela gli anni Novanta alla politica e a Chavez locale, il bolivar. Anche il deficit di bi- più attento ai suoi scenari domestici grazie alla moglie avvocato - e Capriles, lancio rappresenterà una sfida in un non mancano: si va dal Messico del quarantenne avvocato di famiglia be- Paese che al 90% dipende dalle espor- presidente Enrique Peña Nieto - che, nestante, incarcerato nel 2002 per quat- tazioni di petrolio. Dopo una campagna forte di una crescita economica intorno tro mesi con l’accusa di tentato golpe elettorale basata anche sulle promesse al 4% (e in prospettiva del 6%), potrebbe prima di essere assolto. Il lascito del economiche e che Maduro in particolare tentare di indirizzare l’integrazione releader della “rivoluzione bolivariana” ha imperniato sull’argomento della “con- gionale in una direzione diversa da sarà certamente complesso da gestire tinuità” con il passato, la soluzione del quella perseguita dal bolivarismo - alla per il nuovo capo dello Stato, che non rebus rischia di essere difficile, oppure Colombia, che è stata, soprattutto dupuò ereditare il carisma del predeces- impopolare. rante gli anni della presore. Un bolivarismo più austero, sidenza di Alvaro Uribe, Una questione irrisolta del quindicennio oltre che sui venezuelani, Con il calo dei prezzi tra i Paesi che hanno chavista è quella della sicurezza e dei avrebbe conseguenze anche del greggio sullo mantenuto le maggiori tassi di criminalità, ma tra i punti critici per quei Paesi caraibici che sfondo, in effetti, il distanze da Chavez. Un che il neoeletto presidente dovrà af- sono stati attirati nell’orbita ruolo più ampio potrà nuovo inquilino del frontare c’è quello economico: il boom dei prezzi del petrolio - di cui il Venezuela palazzo presidenziale è grande produttore - ha consentito a di Miraflores dovrà Chavez di mettere in cantiere ambiziose affrontare diversi politiche spesso descritte come populiste, ma che hanno certamente ottenuto nodi: l’inflazione si attesta oltre il 20%. 6 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Post Chavez essere giocato anche dal Brasile di Dilma Rousseff, che però ormai è una potenza emergente a livello mondiale. Per Maduro la situazione non si annuncia facile neanche sul piano interno: l’ex sindacalista potrebbe doversi guardare soprattutto dai compagni di partito. La principale fronda interna è quella dei militari, a cui Chavez ha restituito un ruolo nella vita politica del Paese: oggi 11 governatori statali su 23 provengono dai ranghi dell’esercito. I principali esponenti di questa fazione politica all’interno del Psuv sono il ministro del Petrolio, Rafael Ramirez, che ha le chiavi del budget nazionale, e soprattutto il presidente dell’assemblea nazionale Diosdado Cabello. In parlamento i chavisti possono ancora contare su un’ampia maggioranza (98 deputati contro i 64 dell’opposizione) che fa da contraltare al risultato deludente delle presidenziali. Da questa posizione Cabello potrebbe lanciare la sua candidatura per le prossime presidenziali - previste per il 2019 - a spese dello stesso Maduro. L’ex autista non è riuscito a vivere della luce riflessa della figura di Chavez, ma ora per lui la questione è radicalmente diversa: deve dimostrare dal punto di vista politico - di potergli sopravvivere. Impianto petrolifero nello Stato di Anzoátegui, Venezuela. OSSERVATORIO AFRICA di Enzo Nucci IL POPOLO DEL MIELE li Ogiek sono un antico popolo (di origine Kalenjin) che vive in Kenya nella foresta Mau, dove il bacino del fiume Molo sfocia nel lago Baringo. Sono appena 12mila e prima sopravvivevano con la caccia e la raccolta di erbe selvatiche. Il miele è la base della loro alimentazione. La loro lingua non è stata ancora né studiata né scritta. Gli Ilchamus (un clan di origine Masai) vivono invece nella zona semiarida di Maragat: sono 450 piccoli allevatori, tremila persone in tutto. In origine erano pastori ma i cambiamenti climatici li stanno trasformando in coltivatori che sfidano un territorio ingrato. Negli scontri tribali con i Pokot hanno avuto la peggio: sono stati costretti ad abbandonare il bestiame e a rifugiarsi sull’isola di Kokwa. La vita di questi popoli potrebbe migliorare grazie ad un programma varato da varie organizzazioni italiane, coordinate da Mani Tese, che prevede la riforestazione di 40 ettari di terreno, sviluppo dell’apicoltura, tecniche di conservazione dell’acqua, oltre allo sviluppo di tre presìdi Slow Food. Senza dimenticare lo studio della lingua e delle tradizioni orali degli Ogiek, coordinate da un’antropologa dell’Università di Trieste che ha trascorso due mesi nella foresta con una fotografa per documentare la vita comunitaria. Questo popolo è minacciato dal degrado della foresta in cui vive: i nuovi insediamenti abitativi hanno intaccato l’equilibrio ambientale incidendo sulla produzione del cibo. Gli Ogiek sono stati costretti ad adattarsi ad un modello di vita agro-pastorale. La loro organizzazione sociale era molto avanzata. Il territorio della foresta veniva assegnato ai vari clan che provvedevano a distribuirla alle famiglie. La comunità aveva elaborato sistemi per sviluppare piani di gestione delle risorse naturali. Ad esempio: solo agli anziani esperti era permesso fare le arnie e raccogliere il miele. Una antica cultura sta morendo: proviamo a salvarla, perché non è mai troppo tardi. G POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 7 Dopo le Primavere arabe ATTUALITÀ Incognita Dopo le rivoluzioni d’Egitto e Tunisia il mondo intero ha puntato il dito contro i Fratelli Musulmani, considerati ora una minaccia, ora una scommessa per la tenuta delle fragili democrazie. Presto però sulla scena politica sono comparsi movimenti islamici ben più radicali che si rifanno al salafismo sunnita. Eppure Tunisi non è Il Cairo, dicono gli esperti. di ILARIA DE BONIS [email protected] I prestiti in danaro sono “una forma di usura” e come tali vanno rifiutati, anche se a prestare soldi è l’alleato numero uno tra i Paesi del Golfo: l’Arabia Saudita. A pronunciare il verdetto è il partito salafita egiziano (per bocca di Salah Abdel Maaboud, rappresentante di al Nur) che mette in guardia contro i crediti, considerati 8 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 salafita operazioni economiche contrarie alla sharia, la legge islamica. La componente islamica salafita esercita non poca influenza sulle società nordafricane, alle prese col post-Primavera. E infiamma ancora molto l’Egitto, tutt’altro che pacificato. Quello che sin dall’inizio è stato guardato con sospetto dagli analisti europei - il movimento islamico dei Fratelli Musulmani, da cui proviene il presidente egiziano Mohammed Morsi - appare meno radicale di quanto si temesse, ma facilmente in balia del “purismo” coranico. «Più la generazione dei Fratelli guadagna importanza nel campo della legalità, più deve affrontare una reazione salafita che denuncia tali “modernizzazioni” come altrettante “concessioni”», dice François Burgat, direttore dell’Istituto francese del Vicino Oriente. Don Marko Talaat, sacerdote egiziano, diocesano di Al Fayoun, ci spiega che «nessuno dopo la rivoluzione aveva immaginato un epilogo simile: i salafiti hanno preso potere, si impongono anche rispetto agli islamici moderati e sono finanziati principalmente dal Qatar. La situazione in Egitto è davvero peggiorata e la libertà ridotta a zero». La Fratellanza Musulmana, più disposta al dialogo con l’Occidente, non è paragonabile al “cugino” salafita (“scientifico” o “jihadista” che sia), anche perché negli anni ha intrapreso profondi revisionismi dottrinari, ma appare oggi completamente nella mani dei radicali. «La linea della Chiesa cattolica in Egitto è: né con i Fratelli musulmani né con i salafiti», Più la generazione dei Fratelli Musulmani guadagna importanza nel campo della legalità, più deve affrontare la reazione salafita che denuncia tali “modernizzazioni”. dice ancora don Talaat. È la libertà che va sostenuta. egiziani. I salafiti non spuntano dal nulla ed hanno grandi aderenze sul campo: sono predicatori che riescono a far breccia nei cuori dei giovanissimi, spesso disoccupati, nei sobborghi più poveri delle grandi città, esclusi da ogni processo decisionale, tenuti ai margini perfino dopo le Primavere. «Ciò che li attrae è il discorso di rottura con una società che riflette di loro un’immagine di perdenti - racconta il sociologo Samir Amghar -. Il salafismo si impernia su un’inversione di valori: gli esclusi ritrovano una dignità e acquistano una certa visibilità». Per tutti gli altri, all’avanguardia delle rivolte, invece, i salafiti rappresentano un’involuzione rispetto a diritti e libertà faticosamente conquistati dopo il crollo dei regimi. NON SOLO “FRATELLI” Tutti «concentrati sull’ascesa della Fra- SCIENTIFICI O JIHADISTI? tellanza, gli analisti hanno trascurato «Il termine salafismo in origine si riferiva l’esistenza di gruppi islamici ad essa alle pratiche di vita quotidiana dei mualternativi», spiega il ricercatore Pietro sulmani di prima generazione (i salaf Longo, direttore del programma Medi- salihina o “pii buoni”), modello di un’esiterraneo e Vicino Oriente presso l’Istituto stenza utopica», scrive Longo. Oggi sono una nebulosa imprevedibile: Burgat di Alti Studi in geopolitica. I gruppi salafiti si muovono con capar- precisa che, nonostante la loro comparsa apparentemente recente (in bietà e molto vigore acseguito al ritorno in patria canto ai (o in competi- La Tunisia si trova degli esiliati, rifugiati in zione con) partiti islamici in una stretta: Arabia Saudita, nel Qatar, tradizionali e moderati come al Nahda in Tunisia l’impressione è che nei Paesi del Golfo), «il loro credo tra i movimenti islae al Hurriyya wa al ‘Adala l’Europa la stia un misti non ha nulla di nuoin Egitto. Quest’ultimo, po’ abbandonando. vo». Libertà e Giustizia, è il I salafiti si rifanno alle fonti braccio politico dei Fratelli primarie del Corano e della Sunna del profeta, ma vogliono rompere con il sapere e l’esperienza delle scuole giuridiche sunnite in materia teologica. Criticano ogni sacralizzazione dei “mediatori” che si interpongono tra i credenti e Dio e si attengono scrupolosamente agli hadith, le parole di Maometto. Inoltre «la Primavera araba ha resuscitato la distinzione tra un salafismo scientifico ed uno jihadista, il primo tendente alla diffusione del messaggio islamico attraverso la dawa (la predicazione), il secondo con il ricorso a metodi coercitivi», anche in politica, scrive ancora Pietro Longo. Al Nur, fondato nel 2011 ad Alessandria, detiene otto seggi all’Assemblea Costituente, accetta la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura ma solo nei limiti della sharia. La democrazia dunque può essere impiegata, dice il salafismo “scientifico”, ma a patto che sia esercitata nei limiti della legge rivelata. IL CAIRO NON È TUNISI Lo spazio ‘politico’ occupato dal salafismo egiziano si va allargando perché non è adeguatamente arginato dalle opposizioni interne. Così non accade in Tunisia, dove la società civile è decisamente più strutturata: gli osservatori internazionali e locali a Tunisi non si stancano di spiegare la “specificità” tunisina. Per capirla meglio, però, occorre andare sul posto, soprattutto in occasione di grandi eventi internazionali come » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 9 ATTUALITÀ Dopo le Primavere arabe il World Social Forum «Io sono molto ottimista: dare il via ad una spirale di violenze o gettare la che quest’anno si è svolla situazione tunisina spugna hanno saputo ta a Tunisi. Il pluralismo è completamente reagire con dignità. politico non solo resiste Dopo l’omicidio di Bema apre nuovi spazi differente da quella laid, il partito che ha d’espressione. Nonostanegiziana», dice suor perso veramente conte l’omicidio del leader Chantal Vankalck, delle sensi, conferma la gente, dell’opposizione demoè stato Al Nahda, giucratica Chokri Belaid, missionarie di Nostra dicato incapace di far ucciso il 6 febbraio scorSignora d’Africa. fronte agli estremismi. so a Tunisi, ed episodi «La Tunisia si trova in di crescente tensione una stretta: l’impressiosociale, la società civile ne è che l’Europa la stia un po’ abbantunisina non si arrende. «Le donne gridano il dolore dei figli donando - spiega Luigi Goglia, docente martiri che hanno dato la vita per un di Storia e Istituzioni dell’Africa alla avvenire diverso. Donne intrepide che Terza Università di Roma -. Dovremmo sono disposte a tutto per non lasciarsi essere più rigorosi nei confronti dei rubare la rivoluzione», spiega Filippo nuovi governi e al contempo sostenere Ivardi, missionario comboniano, in Tu- l’opposizione che resiste». nisia per partecipare all’evento. Forse è Suor Chantal Vankalck, religiosa belga questa la prova che ci si attendeva dai dell’ordine delle Missionarie di Nostra protagonisti della Primavera: anziché Signora d’Africa, conosciute come suore Bianche dice: «Io sono molto ottimista: la situazione tunisina è completamente Sotto: differente da quella egiziana. Con la Un momento di “predicazione” cacciata di Ben Ali qui qualcosa è campubblica in piazza, a Il Cairo. 10 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 biato per sempre e la presenza dei salafiti non è una minaccia ingestibile». TRA LEGALITÀ ED ESTREMISMO Il limite da non superare è quello della legalità, spiega Fabio Merone, ricercatore della Fondazione tedesca Gerda Henkel a Tunisi: «Finché i gruppi salafiti - come Ansar al Sharia - si esprimeranno senza far ricorso all’uso della violenza, la loro presenza rientra nel gioco democratico e non può essere ignorata. Rappresentano legittimamente una parte del popolo». Questo labile confine in realtà è stato varcato più di una volta, ma mai in maniera irreversibile. Basta camminare per le vie di Tunisi per scoprire un Paese che non ha affatto “bruciato” la sua Primavera. Qui, a differenza dell’Egitto, la società civile laica e “liberata” ha definitivamente superato il terrore del potere e ha guadagnato il diritto alla “parola”. E sa usarla molto bene. Sono decine e decine le ong, le organizzazioni di donne, di giovani, di sindacati ed attivisti tunisini, gli intellettuali e i giornalisti pronti a “vigilare” sulla neo-nata democrazia. La comparsa del temuto Ansar al Sharia e di altri gruppi minori di salafiti tunisini è un monito costante al “pericolo” di una deriva fondamentalista islamica che tiene desta l’attenzione del popolo. Attraversando il lungo boulevard Bourghiba, che fu il simbolo della rivoluzione contro Ben Ali, si ha l’impressione di una “stanchezza” fisiologica subentrata all’entusiasmo del post-rivolta, ma anche questo è parte del processo, spiegano in molti. Tolto il tappo della dittatura anche i rappresentanti dell’estremismo islamico, un tempo messi alla gogna, sono tornati in patria e fanno proselitismo. Ma è con la forza guadagnata dalla libertà d’espressione e da una ritrovata dignità che i tunisini affrontano il pericolo di una deriva islamica. Finora sembrano proprio aver avuto successo. Cambiamenti climatici in Groenlandia Ghiaccio bollente chilometri quadrati, mentre negli anni Novanta la loro estensione variava tra i sette e i nove chilometri quadrati. Il [email protected] scaldamento delle zone artiche, che riulla sfugge agli occhi dei satelliti. guarda anche la Siberia e l’Alaska, conDue di loro, Topex e Jason, regi- tribuisce alla crescita del livello del mare strano i cambiamenti climatici nel pianeta, come documenta uno studio che, dal 2005 fino al picco di caldo del pubblicato su Geophysical Research Letsettembre 2012, hanno ters’ da Tobias Bolch visto soffrire la Groenlan- Lo scioglimento dell’Università di Zurigo. dia di un vero e proprio «Lo scioglimento dei dei ghiacciai in colpo di caldo, con estati ghiacciai in Groenlandia, che diventano sempre più Groenlandia, coperta coperta di ghiacci per lunghe e calde e il conse- di ghiacci per circa circa l’80% del territorio, guente scioglimento dei è una delle fonti principali ghiacciai. Nel complesso, l’80% del territorio, della crescita del livello nell’area artica, nell’ultimo è una delle fonti dei mari su un piano glosecolo la colonnina di mer- principali della crescita bale - dice Bolch -. Dai curio è salita di oltre due nostri risultati è emerso gradi, una percentuale del livello dei mari. che lo scioglimento dei molto maggiore rispetto ghiacciai ha contribuito al resto del globo. A lanad aggiungere circa 30 ciare l’allarme è il National Snow and Gigaton di acqua all’anno ai livelli del Ice Data Center (Nsidc) che, analizzando mare tra il 2003 e il 2008. Migliaia di i dati degli ultimi due decenni di rileva- ghiacciai periferici che coprono un’area zioni satellitari, ha documentato la ri- circa 50 volte superiore alla copertura duzione dei ghiacci marini sotto i quattro di ghiaccio delle Alpi europee». Lastre di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA N I ghiacciai millenari si sciolgono ad una velocità sempre maggiore. E la terra di Erik il Rosso affronta la sfida del cambiamento dell’ecosistema con la grinta dei suoi abitanti, gli Inuit, impegnati a creare allevamenti e piantagioni su un terreno emerso dai ghiacci. bianche che si sfaldano, larghi pantani di neve sciolta, blocchi di ghiacciai grandi come palazzi che crollano nel mare sono i segnali di un anomalo “disgelo” che, se continuasse a crescere dell’8% al decennio, potrebbe cambiare completamente i panorami del Paese delle aurore boreali. IL POPOLO DEGLI INUIT Mentre i geologi riflettono preoccupati sull’accelerazione che stanno subendo i cambiamenti climatici planetari, » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 11 ATTUALITÀ come vivono gli abitanti della Groenlandia l’impatto con una simile rivoluzione climatica? Niente male, si direbbe. Mentre i cacciatori di foche si stanno trasformando in guide turistiche, a sorpresa, i frutti più saporiti del cambiamento spuntano dalle terre emerse. Oggi il popolo degli Inuit coltiva patate, erbe aromatiche, addirittura pomodori in un angolo del mondo estremo in cui non avremmo mai immaginato di trovare questi prodotti. Non si tratta di orticelli “dietro casa” ma di vere e proprie piantagioni La Groenlandia è oggi da millenni di gelo. Basti pensare ai milioni di tonche nella parte meridionale nellate di petrolio, ai giadell’isola hanno prodotto lo un Paese in forte cimenti d’oro, diamanti, scorso anno un raccolto di trasformazione, non oltre 100mila tonnellate di solo dal punto di vista pietre preziose e persino i minerali compresi nella patate ad esempio, tanto definizione di “terre rare”, che dall’isola partono for- climatico ma anche di cui fino a qualche anno niture di frutta e verdura, da quello politico. fa si conoscevano giacima anche di montoni, per menti solo in Cina e in la Danimarca. Sembra così avverarsi la profetica defi- alcuni Paesi d’Africa. In questo forziere nizione che il primo vichingo approdato di ricchezze custodito dall’inaccessibilità sull’isola, Erik il Rosso, diede di questa dell’habitat naturale, il cambiamento clilanda desolata, chiamandola Groenlandia, matico sta generando una vera e propria cioè “terra verde”. In un Paese grande rivoluzione. quattro volte la Francia abitano solo 57mila persone su una terra fertile sia in TERRA PROMESSA PER GLI INVESTITORI superficie che nelle sue profondità inviolate La Groenlandia è oggi un Paese in forte 12 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 trasformazione, non solo dal punto di vista climatico ma anche da quello politico. Territorio autonomo e costitutivo della Danimarca, dallo scorso aprile ha un nuovo primo ministro, la signora Aleqa Hammond, leader del partito Inuit Ataqatigiit che ha vinto le elezioni dell’aprile scorso con il 42,8% di voti, aggiudicandosi 14 seggi su 31, in un governo di coalizione con il premier uscente Kuupik Kleist. Già ministro delle Finanze dal 2008, nelle ultime elezioni ha firmato un accordo con il Partito Progressista, con quello Inuit e Atassut per diventare presidente del governo locale. Tutta la campagna elettorale della Hammond è stata imperniata sull’ottimizzazione dello sfruttamento delle enormi ricchezze Cambiamenti climatici in Groenlandia minerarie, puntando ad aprire la Groenlandia a investitori stranieri attirati dalle ingenti ricchezze del sottosuolo. Chi pagherà le royalties in aumento potrà anche accaparrarsi materiali radioattivi come l’uranio, la cui estrazione era finora vietata. La nuova situazione che mette la Groenlandia sul mercato dei Paesi fornitori di minerali pregiati, Sotto: Aleqa Hammond, esponente del partito Siumut, dallo scorso aprile primo ministro donna della Groenlandia. In basso: Il villaggio di Ilulissat, nella Baia di Disko, Groenlandia. ha già suscitato l’interesse di investitori nordamericani, cinesi, europei e giapponesi, facilitati nel trasporto dei materiali (ferro, gas, petrolio, uranio, ecc.) dai nuovi passaggi per le navi cargo creati dallo scioglimento dei ghiacci tra Polo Nord e Groenlandia. Alcune società sono già in prima linea negli investimenti per trarre profitto dal riscaldamento climatico e banche d’investimento come la Morgan Stanley e la Goldman Sachs hanno acquisito partecipazioni in progetti sulle energie alternative. Ma anche la compagnia mineraria NunaMinerals è alla ricerca di giacimenti d’oro nel sud dell’isola, mentre la joint venture danese e americana Avannaa Resource ha investito più di 15 milioni di dollari per la ricerca, nell’Est della Groenlandia, di ottone e altri minerali. Insomma la “corsa alla terra promessa” è già iniziata e certo nei prossimi mesi molti altri investitori si faranno avanti. Molti sono i tesori e i segreti nascosti in questo grande “scrigno” in cima al mondo. A 150 chilometri da Nuuk, la città più grande della Groenlandia, alcuni ricercatori hanno recentemente trovato, tra i fanghi del vulcano Isua, tracce di elementi chimici, tra cui la serpentinite, necessari per innescare il processo della vita. Sarebbe accaduto circa quattro miliardi di anni sullo sfondo degli strepitosi orizzonti attraversati da irreali fasci di luce. Lo dicono gli scienziati del Laboratorio di Geologia di Lione, che hanno pubblicato un saggio sulla rivista scientifica dell’Accademia delle Scienze statunitense su questi minerali, considerati i più antichi del pianeta. Terra madre e luogo ai limiti della sopravvivenza, la rivoluzione dei millenni riparte oggi dalla Groenlandia? OSSERVATORIO AMERICA LATINA di Paolo Manzo LEONARDO E FRANCESCO na scelta provvidenziale, un dono di Dio». Dalla Costa Rica, dove ha trascorso a metà aprile una settimana per una full immersion tra incontri e conferenze organizzati dall’Universidad de La Salle, Popoli e Missione ha dialogato con l’ex frate francescano Leonardo Boff, che si dice «felicissimo per la scelta del cardinale Bergoglio al soglio di Pietro». Teologo, forse il più importante esponente della Teologia della Liberazione, nel 1984 fu convocato in Vaticano per essere sottoposto ad un processo da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede guidata dall’allora prefetto Joseph Ratzinger. Otto anni dopo Boff scelse di abbandonare l’ordine francescano perché la Chiesa di Roma voleva a suo dire ridurlo “al silenzio”, ma oggi, nonostante i suoi 74 anni ed una barba bianchissima, appare più infaticabile e pieno di energia che mai. E soprattutto felice perché, spiega, «Francesco è più di un nome, è un progetto di Chiesa. Una Chiesa semplice, evangelica, popolare, legata alle basi della società e legata alla natura. Noi abbiamo bisogno di un papa così oggi». Un massimo esponente della Teologia della Liberazione che si entusiasma per la scelta di un papa non è cosa di tutti i giorni. Gli chiediamo allora se, a suo avviso, papa Francesco ce la farà a centrare le sue aspettative. Per Boff non ci sono dubbi. «No, non deluderà». E come giudica il fatto che si tratti del primo gesuita eletto papa? «È importante perché un gesuita arriva al soglio di Pietro con la testa molto ben formata, quasi militare. Nella storia i membri della Compagnia di Gesù sono sempre stati considerati l’avanguardia intellettuale dell’esercito del papa, prima per affrontare la riforma luterana, poi la modernità. E di fronte alla Curia romana papa Bergoglio non deve essere francescano come con i poveri, ma gli servirà molto il fatto di essere gesuita». «U POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 13 FOCUS Nuove tecnologie e missione Spirulina, a voi l’alga che salverà il mondo! di ILARIA DE BONIS [email protected] «N on è un’alga miracolosa, è un alimento antichissimo, addirittura conosciuto dai Maya e dagli Atzechi. Ma può diventare una rivoluzione. Sconfigge la fame perché nutre cento volte più del normale». Quando parla della Spirulina e di cosa può fare l’alga delle meraviglie, il diacono 14 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Contiene proteine, vitamine, amminoacidi, carboidrati e sali minerali in quantità inimmaginabili. L’alga Spirulina può contribuire a sconfiggere la fame nel mondo, dice la Fao. Il business internazionale comincia ad accorgersene e i missionari accelerano la produzione per l’Africa. Umberto Silenzi, direttore della Caritas scarso utilizzo da parte dei Paesi in via di di San Benedetto del Tronto, si entusiasma sviluppo e di quelli sviluppati, ad eccezione come un ragazzino. Ma è un’euforia so- della Cina - è andato anche oltre: con la stenuta dalla concretezza di risultati spirulina farà produrre biscotti per i scientifici la sua: da quando ha contattato bambini degli slum più miseri delle Figli scienziati del Cnr e li ha coinvolti lippine. E conta di replicare l’esperimento nella sperimentazione della coltivazione a breve anche in Africa. di Spirulina a Tagbilaran, nella «Non faccio compresse, provincia di Bohol (Filippine), faccio biscotti – dice -. Non è un’alga Silenzi ha trasformato un sogno Devo ancora decidere se a miracolosa, in realtà. forma di animale o sem«Per farla crescere ci vogliono è un alimento plicemente a forma di bicondizioni ottimali: vasche di scotto. Il fatto è che i bamantichissimo, acqua salmastra, sali minerali, bini devono poter desidela giusta temperatura, pale che addirittura rare di mangiare questo girano per ossigenarla, e poi conosciuto prodotto e quindi deve esbisogna calcolare bene l’acidità sere anche gradevole per e la salinità dell’acqua. L’alga dai Maya e il palato. Se noi gliela diamo va curata perché è un organismo dagli Atzechi. come fosse una pasticca vivente», racconta. In un soffio Ma può diventare per ammalati non la vordi viscidi fili verdi si concentrano ranno mai!». A Tagbilaran proteine, vitamine, amminoacidi, una rivoluzione. sono le suore che cucinano carboidrati e sali minerali in i biscotti di Spirulina fatti una tale quantità da poter alicon la farina, il lattosio e mentare intere popolazioni dei Paesi po- la malva. Hanno un buon sapore, fanno veri, semplicemente aggiungendo la pol- bene alla salute e soprattutto preservano vere essiccata alle normali farine. Quando dalle malattie polmonari. La produzione il direttore Caritas ha intuito le potenzialità delle alghe è ovunque possibile a patto dell’alga – già da tempo all’attenzione che si seguano alcune regole piuttosto » della Fao che denunciava nel 2008 il suo puntigliose, ci spiega in diacono, La lavorazione della Spirulina in un villaggio del Ciad. OSSERVATORIO ASIA di Francesca Lancini IL LATO OSCURO DELL’INDIA ontagio. Le medicine non funzionano”. È così intitolato su Time l’ultimo reportage dall’India del fotografo pluripremiato James Nachtwey e della giornalista Krista Mahr. Una denuncia senza uguali di una delle piaghe più preoccupanti del nostro secolo: la comparsa di una forma di tubercolosi resistente a ogni farmaco. Se poi si indagano le cause, si scopre che ancora una volta si tratta di povertà e indifferenza. Nell’India propagandata come una tra le più grandi democrazie al mondo o “shining” per il suo tasso di crescita del Pil, Mahr scrive: «Due persone muoiono ogni tre minuti di tubercolosi. Circa due milioni di indiani sviluppano la Tbc ogni anno, lasciando il governo con il compito non invidiabile di gestire in modo approssimativo un quarto dei casi al mondo di Tbc». La Tbc multi resistente ai farmaci è emersa per diagnosi sbagliate e cattivo uso e gestione delle potenti medicine impiegate per curare la Tbc già nota. Ad esempio, se un povero tubercolotico delle baraccopoli di Mumbai, dove il batterio prolifera, non riesce a seguire il regime di cure che durano mesi, questo può rafforzarsi e diventare Mdr, Multi Drug Resistant. A rendere più vulnerabili al contagio, inoltre, ci sono Hiv e malnutrizione, per la quale l’India detiene un altro triste primato: sul suo immenso territorio, infatti, è più diffusa che nell’Africa subsahariana. Secondo l’Unicef uno su tre bambini malnutriti vive in India. Le foto scattate da Nachtwey in bianco e nero ai malati di un ospedale di Mumbai, la capitale economica dell’India, ritraggono un Medio Evo. Ma fuori dalle metropoli, nelle immense campagne, la situazione è ancor più difficile. Le cliniche pubbliche, dove accedere gratuitamente alle cure, sono rare. Intanto la tubercolosi Mdr sta diventando una priorità globale che colpisce anche nel mondo “ricco”, come in Gran Bretagna dove sono stati registrati casi nelle prigioni. “C POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 15 FOCUS In un soffio di viscidi fili verdi si concentrano proteine, vitamine, aminoacidi, carboidrati e sali minerali in una tale quantità da poter alimentare intere popolazioni dei Paesi poveri. A destra: Una delle sette vasche per la coltivazione della Spirulina a Tagbilaran, nelle Filippine, dove i missionari sperimentano l’alga super-proteica. che intanto pensa a come brevettare il suo biscotto proteico che sarà un’evoluzione di quello classico “missionario”, al miglio, soia e lattosio. La coltivazione di Spirulina richiede la costruzione di diverse vasche (in ogni metro cubo d’acqua ne cresce un grammo) nelle quali l’acqua salmastra, in continuo movimento, viene pompata e consente all’alga di alimentarsi. Quando è pronta si essicca e una volta trasformata in sottilissima polvere può essere accompagnata alle farine nelle giuste dosi. «Tutte le indicazioni tecniche su come costruire le sei vasche a Tagbilaran, me le ha date il professor Giuseppe Torzillo del Cnr di Firenze. Tra un paio di mesi verrà con me in missione e daremo il via all’impianto». Il primo input il vulcanico diacono Um- 16 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 berto non l’ha ricevuto dal Cnr, bensì dalla fondazione del Rotary che, quattro anni fa già produceva alghe. Notata una vaschetta di cemento dove galleggiava qualcosa di verde in acque salmastre, Umberto si era a quel tempo chiesto cosa fosse e a che cosa servisse la bizzarra coltivazione; gli erano state fornite alcune risposte utili. Poi arrivarono la ricerca, lo studio individuale, il contatto con il Cnr, i finanziamenti della Conferenza episcopale italiana. «Può essere una rivoluzione - dice il missionario – lì dove davvero non hanno nulla». In effetti la Fao parla così della Spirulina, nella circolare n.1034 del 2008 (Production and use of Spirulina as food for humans and feeds for domestic animals and fish). L’Agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura scrive: «Le Spirulina sono micro-alghe multicellulari e filamentose di colore blu-verde; appartengono a due generi, Spirulina e Arthrospira, e ne esistono di 15 specie differenti. Di queste, l’Arthrospira platensis è la più comune ed è ampiamente disponibile in natura. Cresce nell’acqua, può essere lavorata e prodotta con facilità ed ha contenuti macro e micro-nutrizionali significativamente alti». Nuove tecnologie e missione Ovviamente i missionari e gli operatori mento che l’alga in realtà di per sé ha umanitari non sono gli unici ad essersi costi ridottissimi. accorti della sua grande efficacia per i «Sono molti i governi e gli sponsor intePaesi poveri: l’azienda padovana Micro ressati ad inserirsi in questo mercato», Life, nata proprio nel 2008, la produceva conferma Villa. Per quanto riguarda i per le diete. Poi quando Fao e Unicef missionari, l’idea è quella di continuare hanno capito sempre meglio che la Spi- ad espandere la produzione dell’alga a rulina può essere cruciale per sconfiggere costi quasi irrisori, utilizzando gli impianti la fame nel mondo, ha cominciato a locali e il lavoro di tecnici scelti e formati guardarla con altri occhi. sul posto. Ancora una volta è la Cina il «Ci stiamo concentrando nella realizza- Paese che per primo ha captato le pozione di fabbriche di proteine da installare tenzialità dell’alga miracolosa e che sta nei Paesi poveri», ha dichiarato l’ammi- già da tempo dandosi da fare per lanciare nistratore delegato della società, Matteo un’industria redditizia. Villa a Repubblica. Il primo impianto È stata la Fao stessa in quella famosa per la Spirulina è stato realizzato l’estate circolare n.1034 a fornire alcune raccoscorsa ad Adwa, in Etiopia, a circa mandazioni importanti e a notare che duemila metri d’altitudine. «la produzione in Cina era Il mercato italiano e quello Le Spirulina inizialmente di 19.080 toninternazionale, dunque, se- sono micro-alghe nellate nel 2003, ed è poi guono con interesse questo salita a 41.570 tonnellate multicellulari nuovo filone tanto che il nel 2004; non ci sono per business attorno alla Spi- e filamentose ora dati significativi relativi rulina cresce. L’auspicio è di colore blu-verde; alla sua produzione nel resto che non diventi un mercato del mondo. Questo suggeappartengono come tanti altri, che arricrisce che, nonostante la cochiscono le tasche di pochi a due generi, noscenza oramai globale e costano cifre esorbitanti Spirulina della Spirulina e dei benefici a chi consuma il prodotto. che produce, l’alga non ha e Arthrospira. In questo caso sarebbe dopricevuto ancora tutta la conpiamente scorretto, dal mosiderazione che merita». OSSERVATORIO MEDIO ORIENTE di Chiara Pellicci “OBAMA, VIENI E VEDI” ella visita del presidente Obama in Israele, la prima nel suo doppio mandato alla Casa Bianca, giornali e tv hanno raccontato molto: l’accoglienza di Netanyahu all’aeroporto di Tel Aviv; la conferenza stampa congiunta; la visita alle tombe di Hertzl (fondatore del movimento sionista) e di Rabin; l’omaggio allo Yad Vashem, memoriale della shoah; l’incontro con gli studenti dell’Università ebraica di Gerusalemme; e poi ancora la visita a Ramallah per incontrare Abu Mazen e la sosta nella Basilica della Natività a Betlemme. I commenti degli analisti sono abbondanti, come è normale per un evento storico di questo tipo, ma quasi nessuno ha ritenuto importante dare risalto alla voce di un ragazzino palestinese, Mohammed El Kurd, che ha scritto una lettera ad Obama invitandolo a casa sua: «Caro presidente, ho 14 anni e vivo nel quartiere palestinese di Sheikh Jarra, Gerusalemme Est. Circa quattro anni fa, io e la mia famiglia siamo stati sfrattati da una parte della nostra casa da coloni ebrei, sulla base di sentenze del tribunale israeliano. Il processo ha reso la vita, per me e per decine di migliaia di palestinesi, quasi insopportabile. I coloni lavorano per il controllo israeliano di tutta Gerusalemme Est, a volte usando la violenza contro i palestinesi. Una volta questa era una bellissima zona. Tutti erano vicini e, prima che una parte della mia casa ci venisse sottratta, non avevo mai paura di andare a dormire. Non avevamo preoccupazioni. Adesso non è più un quartiere palestinese: tutti i segnali sono in ebraico, e anche la musica...». La lettera continua e, con la massima ingenuità, invita il presidente Obama a «vedere la nostra situazione di persona e parlarne, vedere la realtà e dire ciò che vedi». Effettivamente è la cosa più normale che si possa fare quando si è in visita in un Paese straniero: andare, osservare, dedurre. L’invito di Mohammed, purtroppo, è stato vano. Se altrettanto sia stata la visita di Obama, spetta solo alla Storia deciderlo. D POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 17 L’INCHIESTA Malnutrizione planetaria “Globesi” L’allarme viene dall’Organizzazione mondiale della Sanità: negli ultimi due decenni l’obesità è cresciuta tanto da diventare una pandemia che riguarda milioni di uomini, donne e bambini, nei Paesi ricchi, ma non solo. E mentre la fame continua a mietere le sue vittime, le contraddizioni della malnutrizione, alimentate dagli interessi delle multinazionali del cibo, devono farci riflettere. 18 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 e affa di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA [email protected] roppo grassi, troppo affamati: un abitante del pianeta su tre ha problemi “di” e “col” cibo. Uno squilibrio insostenibile innanzitutto dal punto di vista etico. Nell’atlante globale della malnutrizione, c’è un dato che allarma: nel mondo ci sono più obesi che denutriti. Oltre un miliardo e 800 milioni di obesi e un numero allarmante di morti per malattie da vite oversize fanno pendere un piatto della bilancia, mentre sull’altro si colloca la realtà di 925 milioni di denutriti. Come a dire che per ogni persona denutrita, due si ingozzano di cibo, tanto che a livello mondiale due decessi su tre sono oggi correlati a problemi alimentari. Con un aumento sensibile delle morti correlate all’obesità rispetto a quelle causate dalla denutrizione. L’allarme è stato lanciato un paio di anni fa dalla Croce Rossa internazionale e non cessa di far discutere esperti, giornali e soprattutto la rete, con un numero incredibile di tweet sul tema. Segno di una inquietudine globalizzata che riguarda almeno un terzo degli abitanti del pianeta: la malnutri- T famati peso, qualcosa è andato storto da qualche parte». Il World Report annuale evidenzia che, mentre aumenta la produzione di cibo a livello globale (a parte le crisi dovute alle emergenze climatiche), restano alcune motivazioni di fondo: gli sprechi, le speculazioni economiche nella filiera della distribuzione e l’aumento dei prezzi dei prodotti base come riso e grano. Come dire, amaramente, che la macchina della mancanza di cibo è manovrata più dall’uomo che da madre Natura. Sul pianeta muoiono ogni anno 36 milioni di persone per fame mentre si estende la zione è la spia di laceranti diseguaglian- pandemia dell’obesità, come evidenzia il ze alimentari. Fame e abbuffate, “man- Barilla Center for Food & Nutrition che giare per vivere o vivere per mangiare?” mette in evidenza le due facce ugualcome recita un antico detto, sono «uno mente allarmanti della malnutrizione. Squilibro ancora più eviscandalo a doppio taglio» dente se si guarda all’infancome ha giustamente nota- L’altro volto del zia. Secondo l’osservatorio to l’etiope Bekele Geleta, dell’International Obesity Segretario generale della Giano bifronte Firc, International Federa- della malnutrizione Task Force, «i bambini in età scolare obesi o in tion of Red Cross and Red è l’obesità. sovrappeso nel mondo sono Crescent Societies, sottolin155 milioni, cioè uno su eando che «se il libero movimento delle forze di mercato ha prodot- dieci, ma allo stesso tempo 148 milioni to un risultato in cui il 15% dell’umani- di bimbi sotto i 5 anni sono sottopeso e tà ha fame mentre il 20% è in sovrap- si trovano prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo». E oggi, di fatto, tra le sfide globali c’è quella del cibo: dal diritto all’accesso, alla sua assunzione sana ed equilibrata. Oltre un miliardo e 800 milioni di obesi e un numero allarmante di morti per malattie da vite oversize fanno pendere il piatto della bilancia, mentre sull’altro si colloca la realtà di 925 milioni di denutriti. MORIRE DI FAME Oltre un miliardo di esseri umani sul nostro pianeta soffre di denutrizione cronica e non ha modo di disporre del minimo fabbisogno energetico. A causa della povertà che affligge molti Paesi del Sud del mondo, oltre 200 milioni di bambini sotto i cinque anni portano addosso i segni di una malnutrizione cronica che mette a rischio la loro vita. Già nel grembo delle madri, i figli crescono sotto il segno della fame e 30 milioni di piccoli nascono con fisici segnati dalla malnutrizione prenatale. Così infezioni come il morbillo, la diarrea, la malaria, l’Aids pediatrico o la polmonite sono i killer di 13 milioni di bambini che ogni anno muoiono per mancanza di alimenti e cure adeguate. Il 90% delle persone che non hanno cibo a sufficienza, vive nei Paesi del Sud del mondo, ma la crisi economica che sta colpendo i Paesi ricchi ha prodotto un repentino aumento delle persone che hanno seri problemi a procurarsi cibo adeguato per sé e per le proprie famiglie. Osservando l’ “atlante” mondiale della fame, vediamo che il numero più alto di persone sottoalimentate (circa 600 milioni) si trova in Asia, seguita dall’Africa sub-sahariana che con 239 milioni di affamati registra la percentuale più alta (30%) rispetto alla popolazione. In Nord Africa e Medio Oriente ci sono 37 milioni di sottoalimentati, mentre in America Latina, malgrado i segnali di miglioramento degli ultimi anni, sopravvivono agli stenti 53 milioni di persone. » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 19 L’INCHIESTA L’AGO DELLA BILANCIA IN SALITA LIBERA L’altro volto del Giano bifronte della malnutrizione è l’obesità, problema già noto dagli inizi degli anni Ottanta in Occidente dove oggi il 20-30% della popolazione adulta soffre di quella che viene chiamata “globesità”. Considerata come una pandemia che oggi riguarda anche Paesi in via di sviluppo, in particolare i cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), in molte aree di antica povertà ci si sta confrontando con il duplice problema della sottoalimentazione da una parte e delle malattie legate alla malnutrizione o alla cattiva qualità di cibi dall’altra (conservanti, insetticidi, agenti microbici, cattiva conservazione, ecc.). Già cinque anni fa, l’Organizzazione mondiale della Sanità metteva in guardia sul fatto che «un miliardo e mezzo di persone in tutto il mondo è in sovrappeso; di queste 500 milioni sono obesi con gravi problemi che ne mettono a rischio la vita e almeno 2,6 milioni muoiono ogni anno per patologie legate all’obesità». Tra queste l’ipertensione (la giornata del 7 aprile scorso è stata dedicata alla sensibilizzazione in materia) è al primo posto, come evidenzia la ricerca del anno per malattie collegaGlobal Burden of Disease Sia la denutrizione te all’eccesso di peso: solo che mette in luce come dal in Italia, patria della dieta 1990 si sia registrata una cre- che la sua mediterranea, ne muoioscita del 27% di gravi cardio- condizione opposta no 52mila. Altissimi i copatie. In ben 177 Paesi del sti sociali per arginare una mondo il 38% degli adulti è sono causa malattia pericolosa quanobeso. In altre parole nei 10 della povertà e to il fumo, malattia che Paesi più ricchi del mondo c’è dell’insicurezza ormai i sistemi sanitari il maggior numero di adulti colpiti dalla crisi non riein sovrappeso: in testa alla li- alimentare. scono più a fronteggiare. sta ci sono gli Stati Uniti (33,8%), seguiti da Messico (30%), Nuova Zelanda (26,5), Cile (25%), STILI DI VITA Australia (24,6%). Ma, a sorpresa, la Francesco Branca, director of Nutrition percentuale più alta si tocca in Polinesia, World Heath Organization, spiega che «aldove nella microscopica Repubblica di cuni grandi Paesi occidentali hanno adNaru ci sono oltre il 75% di obesi: a cau- dirittura un terzo della popolazione tocsa della ricchezza portata dal turismo, in cata dal problema dell’obesità. Oltre che pochi decenni, il numero degli obesi è sa- negli Stati Uniti e nei Paesi del Medio lito in modo esponenziale. In Europa due Oriente (Egitto e Arabia Saudita sopratmilioni di cittadini perdono la vita ogni tutto), anche nei Paesi del Sud d’Europa 20 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 ci sono moltissimi obesi, sia adulti che bambini. La novità è che il problema dell’obesità nei bambini in età prescolare sta crescendo anche nei Paesi in via di sviluppo che stanno attraversando una transizione economica. Abbiamo dati che ci dicono che in Africa nel 2010 l’8% dei bambini sotto i cinque anni era sovrappeso. Negli ultimi 10 anni la tendenza all’obesità in Africa è raddoppiata». Una dichiarazione che sembra incredibile alla luce degli stereotipi consolidati che riguardano il continente nero, ma che il professor Andrea Segrè, ordinario di Politica agraria internazionale e comparata dell’Università di Bologna, spiega così: «Un numero significativo di africani ha lasciato le aree rurali per recarsi in quelle urbane, dove consuma molto cibo ma di scarsa qualità. Per questo motivo il sovrappeso è divenuto un problema non meno Malnutrizione planetaria Oltre un miliardo preoccupante della carenza di di esseri umani sul ta del take away, fino al cibo. Sia la denutrizione che cosiddetto junk food, nostro pianeta soffre spuntini ad alto contela sua condizione opposta sono causa della povertà e di denutrizione nuto calorico e scarso dell’insicurezza alimentare, cronica e non ha valore nutrizionale, il che colpiscono una larga porcibo spazzatura è una modo di disporre del realtà globalizzata grazione di popolazione urbana che non è in grado di accede- minimo fabbisogno zie alle grandi catene inre ad alimenti freschi e nu- energetico. ternazionali di fast food. trienti. In alcune aree del Piace soprattutto ai gioNord e del Sud dell’Africa, le vani, che ignorano le persone in sovrappeso hanno superato di percentuali di grassi idrogenati, consernumero quelle denutrite. Qui però l’obe- vanti, coloranti, ecc. contenuti nei crocsità non è vista come un problema ma canti bastoncini di patatine fritte o nel come uno status invidiabile, simboleg- tritato di carne (con sorprese “equine”, giante un buon tenore di vita». a volte) del triplo hamburger grondante formaggio fuso. Studiati a tavolino per FAST FOOD E CIBI SPAZZATURA stuzzicare il palato con spezie e salse, Tra le cause di questo trend c’è il con- questi cibi, è il caso di dire “mordi e fugsumo di bevande in lattina contenenti gi”, hanno anche il vantaggio di essere troppo zucchero, la vita sedentaria e economici e alla portata di tutte le tal’aumento significativo del consumo di sche. Costa la metà, ma fa ingrassare il carne. Senza dimenticare i pasti fuori doppio: per questo si chiama junk food casa e i cibi preparati e non cucinati, di ed è in mano ai ragazzi di tutte le grancui spesso non sono noti ingredienti, per- di metropoli del mondo. Il giro vita delcentuali e conservanti. Dalle abbuffate la globesità oggi è simbolicamente lardi snack fuori pasto alle scatoline di lat- go come l’equatore. OSSERVATORIO GOOD NEWS di Chiara Pellicci SOLDI FINTI, MA NON TROPPO ono banconote colorate, dai nomi assolutamente inusuali per la cartamoneta. Si chiamano “baci”, “palme”, “girasoli” e vengono usate in molte favelas brasiliane. Nel Paese verde-oro, girando tra i quartieri più popolari delle grandi città, non è difficile imbattersi in piccoli negozi che espongono cartelli che recitano più o meno così: oltre al real si accettano monete sociali alternative. Hanno valore esclusivamente nella comunità in cui sono state emesse e spesso vengono date a chi si impegna in una pratica per migliorare la zona in cui vive. Per esempio: c’è chi pulisce un’area sommersa da rifiuti abbandonati raccogliendo avanzi differenziati da recuperare e in cambio ottiene “moneta verde” da spendere in una rete di negozi della zona per comprare alimenti o altri beni di prima necessità. Capire quale sia l’utilità delle banconote alternative non è difficile: «L’obiettivo di una moneta sociale è quello di incoraggiare le persone ad usare i loro soldi nella comunità in cui vivono, contribuendo così allo sviluppo dell’economia locale» spiega alla Bbc Leonora Mol, direttrice del Banco Bem, istituzione brasiliana di microcredito. All’inizio la Banca centrale del Brasile ha osteggiato l’introduzione delle “monete sociali”, poi le ha accettate anche grazie all’opera del Segretariato nazionale di economia di solidarietà (Senaes), collegato al ministero del Lavoro e dell’Occupazione. In un mondo sempre più globalizzato, dove la finanza tiene in mano l’economia e dove in molte nazioni (per esempio nella zona Euro) è diventato impossibile stampare moneta, sapere che ci sono comunità locali che usano banconote alternative alla valuta ufficiale riempie di speranza: anche chi non ha soldi (quelli veri), grazie al suo comportamento virtuoso può fare la spesa e vivere senza indebitarsi, né chiedere l’elemosina. Una piccola grande buona notizia. S POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 21 SCATTI DAL MONDO A cura di EMANUELA PICCHIERINI [email protected] Testo di GIULIO ALBANESE [email protected] 22 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 GIORNATA MONDIALE DELL’AFRICA EX AFRICA SEMPER ALIQUID NOVI Il 25 maggio, su iniziativa dell’Unione Africana (Ua), si celebra la Giornata mondiale dell’Africa. La ricorrenza coincide con l’anniversario della fondazione dell’Organizzazione per l’Unità Africana (Oua), avvenuta nel 1963 e sostituita poi, nel 2002, dall’attuale organismo panafricano. Viene, pertanto, spontaneo chiedersi quale sia il contributo che la Chiesa cattolica offre nel percorso di crescita dell’Africa. Stiamo parlando di un continente con una popolazione stimata di un miliardo 15 milioni e 544mila. Nel 1960 esso contava circa 284 milioni di abitanti, il che, in sostanza, significa che se l’Italia fosse cresciuta allo stesso ritmo, oggi gli italiani sarebbero 185 milioni. Attualmente i cattolici africani sono circa 185 milioni e 620mila e rappresentano, secondo i dati dell’ultimo Annuario statistico della Chiesa elaborati dall’Agenzia Fides, il 18,28% del computo totale degli abitanti del continente. Sebbene il numero di abitanti per sacerdote sia 27mila e 62 unità e quello dei cattolici per sacerdote di 4mila e 946 (ancora dunque inferiore alla vecchia Europa che conta 3mila e 752 abitanti per sacerdote e mille e 498 cattolici per sacerdote), l’Africa ha avuto in questi anni una sporulazione significativa di vocazioni. Basti pensare che al 31 dicembre 2010 in Africa è stato segnalato un incremento di 752 rispetto all’anno precedente, contro i -282 dell’Europa. Colpisce in primo luogo il fatto che l’impulso alla crescita, in Africa, sia accompagnato da una forte percezione che occorre voltare pagina, mettendo in discussione una mentalità remissiva di fronte alle grandi questioni imposte dalla globalizzazione. È sintomatico che a pensarla così non siano esperti stranieri, ma gli stessi africani. In effetti, il messaggio finale del Secondo Sinodo africano (5-25 ottobre 2009) parla chiaro, rifuggendo da inutili e sterili pietismi, nella certezza che occorre mettere in discussione una mentalità remissiva. Una consapevolezza, questa, che parte dal presupposto che il continente ha davvero i numeri per farcela. Se da una parte è vero che le carestie continuano a mietere vittime – nel 2011 nel martoriato Corno d’Africa, l’anno successivo nel Sahel – secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), il Ghana nel 2012 è cresciuto del 13,5%, il Niger del 12,5%, l’Angola del 10,5%. Mediamente, la crescita del Pil, a livello continentale, è stata intorno al 6%, anche se poi, e questo è un dato non irrilevante, l’attuale crisi dei mercati ha esaltato la tendenza alla concentrazione di elevate proporzioni della ricchezza nelle mani di una piccola minoranza. Comunque, una quota consistente di questa crescita dipende dagli investimenti cinesi. Nel 2000 il governo di Pechino aveva investito appena 60 milioni di dollari in Africa. Ma da allora il flusso di capitali cinesi è cresciuto in termini esponenziali, fino a aggiungere livelli 200 volte superiori. Non è un caso se la Banca mondiale (Bm) prevede che entro pochi anni la Cina avrà “esportato” ben 85 milioni di posti di lavoro in Africa. Ma attenzione: l’Impero del Drago non fa beneficenza e senza altri investimenti stranieri che tengano conto non solo del profitto delle imprese ma anche dei diritti della gente, l’Africa continuerà ad essere una terra di conquista. Su questo fenomeno, la Chiesa auspica, come leggiamo nella recente Esortazione Post Sinodale Africae Munus di Benedetto XVI, che la globalizzazione della solida- » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 23 SCATTI DAL MONDO 24 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 GIORNATA MONDIALE DELL’AFRICA rietà giunga sino a inscrivere «nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità» (n. 86). Interessante, a questo proposito, è la situazione del Sudafrica, unico Paese del continente africano a sedere attorno al tavolo del G20. Questa nazione, infatti, rimane la vera potenza di riferimento, a livello politico-diplomatico, anche se, guardando al futuro, la sfida consisterà innanzitutto e soprattutto nel ridurre la forbice tra i ceti ricchi e quelli meno abbienti che, comunque, rappresentano ancora la stragrande maggioranza della popolazione. Le Chiese cristiane in Sudafrica si stanno impegnando nel risanamento del tessuto sociale. Una sorta di “solidarietà critica” – termine tecnico adottato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese del Sudafrica (Sacc) – di pieno appoggio alle iniziative politiche sociali non in contrasto con i fondamentali valori umani e cristiani. Non v’è dubbio che nelle relazioni tra Nord e Sud del mondo, tra Europa e Africa in particolare, la sfida, prim’ancora che essere sociale, politica o economica, è culturale. D’altronde, certi pregiudizi sulle Afriche è meglio usare il plurale parlando di un continente grande tre volte l’Europa - retaggio dell’epoca coloniale, sono duri a morire e condizionano non poco l’immaginario collettivo a livello planetario. Sta di fatto che l’Africa, al singolare o al plurale che dir si voglia, viene sempre e comunque percepita, soprattutto nei Paesi occidentali, come realtà a sé stante, anni luce distante dal resto del mondo; una terra di conquista fatta di savane, deserti e foreste pluviali, i cui popoli, per misteriose ragioni ancestrali, sarebbero istintivamente avversi alla mente razionale e al pensiero scientifico. Eppure, per chi le ama davvero, le Afriche, di cui sopra, non solo sono ricche d’immense risorse naturali, ma appaiono costellate di popoli ed etnie più che mai palpitanti. Malgrado le sciagure causate dai signori della guerra, da certe oligarchie locali e dalla bramosia di poteri soprannazionali che hanno fortemente penalizzato la vita d’intere nazioni, la gente comune è riuscita sorprendentemente ad “ottimizzare il caos” attraverso ingegno, istinto di sopravvivenza e buona volontà per un futuro davvero sostenibile. Ecco che allora, proprio per questa sua peculiare collocazione nel contesto del villaggio globale, segnato da ingiustizie e sopraffazioni, il ruolo della Chiesa, come auspicato da Benedetto XVI in Africae Munus, è quello di essere «uno dei polmoni spirituali dell’umanità». D’altronde, come già nel primo secolo d.C. scriveva Plinio il Vecchio, «Ex Africa semper aliquid novi», dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 25 PANORAMA [email protected] DI CHIARA PELLICCI L’Africa non è solo fame, guerra, schiavitù. Nonostante gli schiavi africani, per la tratta verso le Americhe, partissero proprio dall’isola in cui Ismaila Mbaye senegalese, 35enne - è nato e cresciuto. Alto, capelli lunghi dreadlocks, pelle lucida e brillante, un sorriso irresistibile, è percussionista nella Kilimangiaro Band, attore di tv e teatro, modello. Ma è anche un africano che vive in Italia da 12 anni e sente di avere una grande missione: quella di far scoprire a tutti un’Africa sconosciuta e sorprendente. A partire dai più piccoli. 26 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Il bello dell’Africa utto è cominciato tanti anni fa con un tamburo. Anzi un djembe, per essere precisi. Ismaila Mbaye, senegalese, è poco più che un ragazzo e insieme ad altri giovani che, come lui, suonano le percussioni, partecipa ad un gemellaggio con una scuola francese. Il viaggio dalla sua isola di Gorée (Senegal) all’Europa è relativamente semplice: non è difficile portare con sé i voluminosi tamburi costruiti in pelle di animale e legno, tipici dell’Africa Occidentale. Gli alunni della scuola che Ismaila e i suoi amici incontrano soffrono di disturbi di interazione sociale e comunicazione: musica e ritmi, più che parole e attività, possono essere una buona cura. Così i ragazzi africani, arrivati a destinazione, iniziano subito a suonare ciascuno il proprio djembe. I bambini francesi sono impauriti e stanno alla larga. È Ismaila stesso a ricordare con precisione questo momento, nonostante siano passati quasi T 20 anni: «All’inizio in loro prevalse la diffidenza: noi eravamo alti, con la pelle nera, capelli lunghi e crespi… Però la musica attirava la loro curiosità e non ci staccavano gli occhi da dosso. Il ritmo ci aiutò ad entrare in relazione: piano piano, suonando e cantando, un bambino si avvicinò al mio tamburo e cominciò ad accarezzarlo. Allora lo invitai a battere sulla pelle: io continuavo a suonare, ma gli facevo capire che stava suonando anche lui con me. Alla fine si ruppe il ghiaccio e tutti gli altri si avvicinarono. Fu grazie alla musica che abbatte le barriere e aiuta a sentirsi amici». È da questa esperienza che Ismaila capisce come sia poten- Tutto è cominciato tanti anni fa con un tamburo. Anzi un djembe, per essere precisi. Ismaila Mbaye, senegalese, è poco più che un ragazzo e partecipa ad un gemellaggio con una scuola francese A sinistra: Ismaila Mbaye, senegalese, 35 anni, percussionista nella Kilimangiaro Band. Sopra: Ismaila durante le prove della trasmissione tv “Alle falde del Kilimangiaro” in onda ogni domenica pomeriggio su Rai 3. In basso: Nell’isola di Gorée (Senegal) si impara sin da piccoli a suonare il tamburo. te e preziosa l’arte dei suoni per andare oltre, superare ogni ostacolo comunicativo, ritrovarsi in sintonia. Scopre così che i ritmi africani sono un ottimo modo per far parlare la sua terra, la sua cultura, meglio delle grandi teorie o di chissà quali ragionamenti: bastano un djembe, le mani e la voce. Così la musica diventa per lui un modo di veicolare il bello e il buono dell’Africa. La sua terra, infatti, non è solo fame, guerra, schiavitù, nonostante gli schiavi africani, per la tratta verso le Americhe, partissero proprio dall’isola in cui lui stesso è nato e cresciuto. Eppure ci sono mille originalità e altrettanti segreti nella cultura del Continente nero, nei ritmi che scorrono nel sangue e parlano più di milioni di parole, negli strumenti musicali così semplici e al contempo così preziosi che diventano quasi l’estensione del corpo di chi li suona. «Oggi le percussioni sono la mia vita e il djembe, quello che in Italia è chiamato genericamente tamburo, è il mio compa- » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 27 PANORAMA gno quotidiano, tanto che mi riesce più facile esprimermi con quello che con le parole» confessa Ismaila, 35enne, nel nostro Paese da 12 anni, oggi percussionista della Kilimangiaro Band che ogni domenica pomeriggio si esibisce su Rai3 nel programma “Alle falde del Kilimangiaro”. Ismaila si riconosce per la sua altezza, i capelli lunghi dreadlocks che ricordano la criniera di un leone, la pelle lucida e brillante, un sorriso dolce, regalato con tutti i denti. E anche con gli occhi che luccicano. Sin da piccolo suonava con le mani tutto quello che trovava: tavoli, bicchieri, tamburi… Oggi per lui le percussioni sono il modo di andare verso l’altro, superando ogni barriera. Ma oltre alla sua professione di per- ste ultime ad essere guidate dai ritmi. cussionista – e anche di modello e di atto- Nel progetto “Laboratorio di percussioni afrire in tv e a teatro - Ismaila da più di dieci cane”, che Ismaila realizza negli istituti scoanni cerca di far scoprire ai bambini delle lastici italiani interessati, i bambini si trovascuole italiane la cultura africana a partire no ad acquisire le tecniche di base per l’utidai suoi ritmi: «La musica può lizzo di uno strumento a fare da terapia, può guarire le percussione, a scoprire le persone, può fare bene anche al- Non è mai origini del djembe, del l’anima» dice. È per questo che troppo tardi per djun-djun e delle rispettive ritiene fondamentale svelare il imparare che si funzioni nell’espressione vero volto dell’Africa ai più picmusicale della tradizione coli: «Non è mai troppo presto è tutti uguali, dell’Africa Occidentale, a per imparare che si è tutti ugua- indipendentemente conoscere i principali incali, indipendentemente dal colo- dal colore della stri ritmici e i relativi signire della pelle o dal Paese di proficati di natura rituale, relivenienza. E ognuno ha le sue ca- pelle o dal Paese giosa e sociale, ad integraratteristiche, tradizioni, usanze: di provenienza. re elementi culturali e mututte da imparare ad apprezzasicali provenienti da altri re» ripete come per voler conPaesi e culture. vincere chi lo sta ascoltando. Ma poi, La missione più grande di Ismaila è proprio quando le parole lasciano spazio alla mu- questa: far scoprire a tutti un’Africa sconosica, non c’è più bisogno di niente: sono i sciuta e sorprendente. Non solo ai più picsuoni, ora acuti, ora bassi, a impossessar- coli. «Quando i miei amici mi chiedono si della scena, a far muovere le mani sulla come si vive la crisi nel mio continente, io pelle tesa del djembe, come fossero que- rispondo che l’Africa è in crisi da mo’, ma Isola di Gorée (Senegal) – Il fortino al cui interno venivano tenuti prigionieri gli schiavi in partenza dall’Africa per le Americhe. 28 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 – nonostante questo – non ho mai visto un africano suicidarsi per questioni economiche. Perché là non si sente la solitudine: si è solidali anche nel poco. Avete mai visto un africano che si dimentica di salutare un passante perché va di fretta? Da noi è impensabile! Ai miei amici africani chiedo di salutare meno e lavorare di più. Ai miei amici europei chiedo di lavorare meno e salutare di più» conclude ridendo. Ma è bene imparare sin da piccoli a saper apprezzare il buono e il bello di ogni popolo. Anche per evitare che si formino pregiudizi difficili da estirpare. Effettivamente al Laboratorio di Ismaila ognuno arriva al primo incontro con la propria idea di Africa: «Una volta un bambino alla fine del corso mi si è avvicinato e mi ha detto: “Quando ero piccolo la mia mamma mi cantava una ninna nanna che diceva che se non avessi dormito sarebbe arrivato l’uomo nero. Quando ho conosciuto te, però, ho capito che quella ninna nanna non era vera perché l’uomo nero è buono”. Ecco, questo non lo dimenticherò mai». Per un nuovo umanesimo Dossier ALTERNATIVE ALLA CRISI * Gesuita, giornalista professionista DALLA CRISI SISTEMICA CHE STIAMO ATTRAVERSANDO – NON SOLO ECONOMICA, MA SOCIALE E POLITICA IN SENSO LATO – SE NE ESCE SOLO IMMAGINANDO MONDI ALTERNATIVI NEI QUALI IL PRIMATO SPETTI ALL’ETICA E ALLA SPIRITUALITÀ NON ALL’ECONOMIA. PERCHÉ LA NOSTRA ANIMA HA UNO SPAZIO TUTTO SUO CHE VA RISCOPERTO E LA SPIRITUALITÀ POSSIEDE UNA POTENZA DI TRASFORMAZIONE DEL MONDO. di Francesco Occhetta* [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 29 «L’ uomo non è solo ciò che consuma». Lo ha ricordato papa F rancesco, incontrando i leader religiosi della terra il 20 marzo scorso; l’uomo è chiamato a qualcosa di più, anzi è ri-chiamato da “Qualcuno di più”. Questo desiderio latente sta emergendo dalle culture e da tante persone che, anche nei social network, esprimono l’amore per la vita davanti a tanta crisi di senso. Si respira un desiderio di «una nuova primavera»; è vero, il cambio epocale, segnato dalla crisi in corso sia istituzionale sia antropologica, ha posto l’umanità davanti ai suoi limiti: paura sociale e individuale, legami sempre più fragili e mutevoli, città per molti aspetti alienanti, guerre tra poveri sempre meno giustificabili… Eppure è bastata l’ele zione di un papa per commuovere popoli e culture e per dimostrare come sotto la cenere esiste una brace che si infiamma ascoltando 30 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 parole di vita e guardando testimoni credibili. Ripartiamo da qui. La crisi di sistema e lo smarrimento del senso Quella in corso è una crisi di sistema, non è la crisi di un partito, di alcuni leader o del funzionamento delle istituzioni. I “fattori antidemocratici” che minano la possibilità di vivere in pace in ordinamenti democratici retti dallo stato di diritto sono ancora molti, ne accenniamo alcuni: la crisi del fondamento dei diritti umani sanciti nella Dichiarazione universale dei Diritti umani (1 948); l’infiltrazione dei poteri criminali (le mafie, il narcotraffico, il traffico di prostituzione e altri); la scarsa credibilità della stampa spesso poco indipendente e trasparente; la crisi dei partiti che hanno occupato le istituzioni; l’evasione fiscale; le grandi manovre finanziarie che sono fatte IL GRANDE BUSINESS DEI CENTRI COMMERCIALI Lucignolo nel paese dei balocchi N on sembrano risentire della crisi economica globalizzata. Anzi. Continuano a spuntare come funghi ai margini delle grandi città, meta di migliaia di persone, soprattutto giovani, che in obbedienza ad uno stile di vita votato al consumo, amano passare nei centri commerciali una cospicua fetta del loro tempo libero. Luogo di aggregazione, festival delle carte di credito e stimolo di desideri superflui, le città dello shopping sono da un paio di decenni i non-luoghi, espressione di un fenomeno sociale che coinvolge masse sempre più ampie di persone in Italia come in Cina, in Turchia come negli Usa. Sparsi nel mondo come cattedrali del consumo - così li ha definiti il sociologo americano George Ritzer - i centri commerciali sono tra gli indicatori più evidenti della ricchezza del Paese che li ha costruiti. Migliaia di metri quadrati di cemento e vetro racchiudono in una cittadella colorata negozi delle griffes globalizzate, fontane, musica, attrazioni, piste da bowling o da sci, sale giochi e chi più ne ha più ne metta, attraendo senza sosta il via vai dei visitatori che, h24, si addentrano nel mi- crocosmo dei centri commerciali. Se una volta l’uso del tempo libero era legato alle gite in famiglia, allo sport, alla visite ai musei o a semplici passeggiate nel quartiere, oggi il centro commerciale è diventato il nuovo luogo in cui, per attirare i consumatori, sono state create strutture sportive, cinema multisale, meraviglie come l’acquario del Dubai Mall, nell’omonima città. Non manca un occhio d’attenzione all’arte in centri come l’immenso Paragon di Bangkok in Thailandia che, accanto alla galleria d’arte contemporanea, offre anche una sala da concerto, una pista da pattinaggio e l’immancabile discoteca per gli aficionados del karaoche. Grandi luna park dell’acquisto, giganti multipiano come l’Istanbul Cavahir con oltre 400 negozi possono offrire al numeroso pubblico anche un giro sulle montagne russe, tanto per riprendere fiato - si fa per dire - tra una compera e l’altra. Ma non tutti i visitatori possono permettersi di spendere soldi, Dossier ALTERNATIVE ALLA CRISI Nella sua proposta di società e di uomo rivolta al mondo, la Chiesa propone di basare una nuova convivenza, ripartendo dall’idea di Stato che nasce dal basso, dai territori attraverso strutture sussidiarie e solidali. in spazi internazionali che vanno oltre le competenze degli Stati. Esiste però l’altra faccia della medaglia, ed è la parte di cultura che silenziosamente fa crescere la foresta del mondo senza spaventarsi del rumore degli alberi che cadono. È la nuova cultura democratica che la Chiesa considera come un modo di vivere basato sulla responsabilità individuale e delle comunità, prima ancora di essere una forma di governo. Il processo è inarrestabile e i dati lo dimostrano: nel 1980 il 46% della popolazione mondiale viveva in Stati fondati su standard democratici minimi (stato di diritto, pluralismo, elezioni libere, libertà di espressione); nel 2010 la popolazione mondiale sotto reg imi democratici era salita al 70%, in 130 Stati dei 191 che sono membri dell’Onu. » come accade nello sterminato New Wsouth Mall, nella provincia cinese di Guangdong, che è il più grande centro commerciale del mondo, diviso in sette “quartieri” in cui rivivono grandi città del mondo come Parigi e Venezia. In Italia da 30 anni a questa parte la grande distribuzione ha cominciato a “ripulire la piazza” dai piccoli negozianti, con la creazione di grandi concentrazioni di vendita spesso in mano ad aziende straniere titolari di una buona fetta dei circa 800 centri commerciali sparsi nella penisola. E nell’ “economia dell’indistinto”, che consuma scarpe low cost come arte, sport, musica, la merce su cui si concentrano gli interessi del mercato sono i desideri - più indotti che reali - dei consumatori. E l’acquisto non è più una necessità ma uno stile di vita. Miela Fagiolo d’Attilia POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 31 Zagrebelsky e la democrazia N on ha mai smesso di riflettere sul rapporto fra lex e ius, fra legge morale e norma giuridica. Gustavo Zagrebelsky (1943), docente universitario, giurista e giudice emerito della Corte costituzionale, nella sua prolifica attività saggistica è tornato a spiegare più volte e da differenti prospettive che le norme di diritto non possono divenire né interesse di espressioni di parte né tantomeno formule immutabili che qualcuno impone. Se prevale uno dei due aspetti - spiega Zagrebelsky in “Il pensiero mite” (Einaudi, 1992) ecco che ci si avvita nel nichilismo giuridico, una delle storture della nostra contemporaneità. Prevale cioè una abnorme produzione di norme giuridiche, di tecnicismi curvi su sé stessi e scollati dalla realtà e dalla vita reale della gente. In “Il Crucifige e la democrazia” (Einaudi, 1995 e poi 2007), Zagrebelsky concentra la sua riflessione sull’episodio del Vangelo che vede schierati, di fronte al procuratore romano e al popolo della Giudea, Gesù e i sacerdoti del Sinedrio. L’episodio diventa fonte per una riflessione sui funzionamenti e sulla difesa del sistema democratico. Dove finisce la democrazia e inizia l’oligarchia e il populismo? La democrazia è un fine, e non un mezzo. È un modello di pensiero volto alla ricerca della verità, ripete Zagrebelsky in questo e in altri interventi. Del 2008 è il libro “Contro l’etica della verità”, che riflette sul rapporto tra Stato e Chiesa, tra regola laica e dogmi spirituali. «La capacità di dialogo equivale alla disponibilità all’auto-modificazione, in base ai buoni argomenti. Se non è così il dialogo si trasforma in monologhi tra sordi. Questo pericolo – scrive Zagrebelsky - esiste sia per il pensiero razionale, sia per quello religioso, ma per quest’ultimo è più grave, in quanto solo esso è sostenuto da un’autorità concentrata, produttiva di dottrine nel suo ambito vincolanti». Marco Benedettelli Nel 2010 la popolazione mondiale sotto regimi democratici era salita al 70%, in 130 Stati dei 191 che sono membri dell’Onu. 32 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 L’aspetto antropologico che sta toccando il versante della cittadinanza è invece il cambiamento del telos (il fine) delle società, degli interessi e dei gusti delle persone: chiese e piazze, almeno in Occidente, si stanno spopolando; i centri commerciali sono diventati “le nuove cattedrali del nostro tempo”, mete di “pelleg rini-consumatori”, che scelgono di par tecipare ai riti della “religione dei consumi”. In quasi tutte le culture — da quella europea a quelle americana e asiatica — è difficile resistere alla “seduzione” che induce a consumare più di quanto se ne abbia realmente bisogno. Tutti hanno un motivo per andarci: le famiglie povere sono attirate dalle logiche dei prodotti “3 x 2”; i g iovani si incontrano insieme, vanno al cinema, si vestono e si pettinano secondo l’ultima moda, che il centro commerciale soddisfa in POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Dossier Tre vie di speranza Nella sua proposta di società e di uomo rivolta al mondo, la Chiesa propone di basare una nuova convivenza, ripartendo dall’idea di Stato che nasce dal basso, dai territori attraverso strutture sussidiarie e solidali. Lo Stato di stampo liberale è definitivamente in crisi, lo Stato sociale di matrice umanistico-cristiana è la vera alternativa. Per rigenerare processi democratici sono necessari almeno tre condizioni: la fiducia tra le persone, il senso di appartenenza a comunità politiche locali, l’investimento sugli enti intermedi dello Stato sociale. La fiducia tra le persone, che si crea quando ci si connette e ci si incontra come co-creatori e codefinitori della società, è già capitale sociale. La fiducia è il sale dell’economia; senza di questa, i rappor ti sarebbero molto “costosi”. Se mantenere il valore della fiducia costa 1, crearla costerebbe 20; così quando distruggiamo la fiducia tra noi, dannegg iamo il » ALTERNATIVE ALLA CRISI tutto; gli anziani, soprattutto quelli soli e meno abbienti, passano i loro pomerigg i per scambiare qualche parola e, durante i mesi estivi, per usufruire dell’aria condizionata. Il 70% degli europei intervistati da uno studio di qualche anno fa ha dichiarato che la spesa nel centro commerciale è decisa dai bambini, influenzati dalla pubblicità televisiva. Al loro interno non si fa politica, non si ascoltano urla, l’ambiente è pulito. I riti del consumo portano a confondere la realtà con la fiction, a vivere una città finta uguale a tutte le altre che fa sentire a casa ovunque uno si trovi, a Praga, a Bogotá, a Singapore. Si tratta di esperienze spersonalizzanti e omologanti, che non lasciano tracce di un’esperienza vissuta insieme. Allo stesso tempo, però, i centri commerciali sono diventati le moderne agorà che offrono spazi sicuri e tranquilli e la possibilità di istaurare quelle relazioni sociali che non si riesce più a costruire fuori. 33 Quella in corso è una crisi di sistema, non è la crisi di un partito, di alcuni leader o del funzionamento delle istituzioni. sistema economico e sociale a causa dei costi altissimi necessari per ri-crearla. Gli economisti parlano anche di “costi di transazione”: se un Paese o una persona ha poca fiducia in un altro Paese o in un’altra persona, lo scambio di beni chiederà garanzie contrattuali molto alte. È la sfiducia radicale che genera le guerre e le crisi finanziarie con le loro vittime. La fiducia non ha valore: è semplicemente un capitale relazionale e non si può comprare, ma vale più di qualsiasi altro bene. Come fare per aumentare la fiducia? Investendo sulle relazioni, 34 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 sulla conoscenza gli uni degli altri, abbattendo gli steccati della diffidenza culturale e sociale e migliorando i rapporti tra le persone: la fiducia genera anche maggiore felicità. L’altra dimensione è quella della comunità in cui si vive (famiglia, gruppi di volontariato, associazioni, parrocchie, ong, ecc.). Per la Scrittura la comunità è la dimensione in cui l’uomo diventa una persona (essere in relazione con), recupera il senso della propria umanità e può ricercare il senso della trascendenza. È il luogo relazionale in cui si recupera la dimensione locale e sussidiaria degli organismi intermedi. Ultima dimensione di speranza è la ricostruzione dello Stato Sociale. Quando si parla di democrazia, ci si limita a valutarla nei suoi caratteri formali, nelle sue procedure e nelle sue regole, attraverso le garanzie e i doveri codificati dal sistema. È l’eredità liberale in cui l’individuo è svincolato dalle sue relazioni sociali ed è considerato una monade da proteggere nelle sue liber tà. Dalla metà del secolo scorso, il magistero della Chiesa ha voluto che ai diritti sociali e politici corrispondano i diritti economici e sociali, per garantire coloro che non appar tengono a classi sociali ricche o a ceti privileg iati. Così lo stato di diritto può essere sostituito solamente con un’idea di Welfare transnazionale un dato di fatto che il welfare italiano e quello europeo avranno sempre più bisogno di immigrati. Una migrazione “circolare” (che porti benefici effetti sia ai Paesi d’origine sia a quelli di destinazione) non può prescindere da una visione di Stato sociale che travalichi la stretta dimensione “nazionale”. Loredana Ligabue, in uno dei capitoli del volume “Welfare transnazionale” dedicato alla componente “globale” del welfare state, nota come nell’Europa a 27 la fascia di persone con oltre 65 anni di età raddoppierà da qui al 2060, mentre quella over 80 addirittura triplicherà. Ragion per cui l’immigrazione sarà sempre più parte integrante del nostro Stato sociale e perno della componente della “cura” domestica. «Il ruolo dei lavoratori immigrati diventerà fondamentale per rispondere ad una domanda di welfare che si fa progressivamente più ampia e complessa», scrive. Due fenomeni si intrecciano: la nascita di un modello che ha una dimensione globale e l’incerta sostenibilità di questo modello. In Europa sarà necessario affrontare le questioni legate alla “sostenibilità della cura”, all’integrazione e alla promozione dei diritti di quanti operano in questo settore (per esempio l’assistenza agli anziani), affinché siano essi stessi tutelati. E per farlo sempre di più sarà necessaria una collaborazione tra Paesi. Non è facile metter mano oggi ad una riforma complessiva e lungimirante dello Stato sociale. E tuttavia è questa la priorità delle moderne democrazie europee. È probabile - dicono gli esperti di economia con un approccio legato allo “sviluppo umano” - che sarà proprio sul piano del welfare che si giocherà la buona riuscita della svolta riformista nei nostri Paesi. Laura Pennacchi in un suo pregevolissimo studio di qualche anno fa – La moralità del welfare – scriveva: «Bisogna chiedersi se i welfare europei siano davvero in crisi o non abbiano piuttosto raggiunto “uno stato di maturi- È Dossier Ripartire dal “mio” mondo L’alternativa al consumismo, orientato verso l’avere anziché verso l’essere, dipende molto dai compor- tamenti di ciascuno e dalle scelte di coloro che occupano posti di responsabilità. Soprattutto a loro spetta dare testimonianza e coniugare crescita e profitto, con la tutela delle persone più povere e indifese. Il pericolo è dietro l’angolo. Gustavo Zagrebelsky, nel suo volume ”il Crucifige e la democrazia”, ricorda come la delega in bianco possa essere un pericolo, fare massa senza voler essere persone può generare una dinamica che si ripete nella storia: «Il Crucifige! fu un urlo unanime. Nella folla davanti al pretorio non c’era posto per il dissenso […]. Quella folla non era un soggetto, » ALTERNATIVE ALLA CRISI Stato Sociale, che la Chiesa ha sempre contribuito a costruire nei P aesi in cui è presente, con ospedali, scuole, mense, servizi nelle carceri, e, attraverso l’idea di giustizia riparativa, modi umani di riconciliarsi e perdonarsi. È lo Stato Sociale, prima delle istituzioni, da dover essere rianimato, in ambiti come la sanità, il lavoro, l’istruzione, la gestione delle risorse del territorio e l’amministrazione della giustizia. tà” rispetto al quale la mitologia della crisi, da una parte risulta utilizzata come grimaldello per spingere verso modelli neo-liberisti americanizzanti, dall’altra sembra fare velo alla percezione delle vere criticità che il modello sociale europeo presenta». Quando ci si interroga sulle riforme nascono ragionamenti sempre più interessanti e complessi che spaziano dal modello di “secondo welfare” al concetto di “sussidiarietà”. Negli anni a venire, è poco ma sicuro, sarà necessario rivedere categorie che eravamo abituati ad intendere unidimensionali, trasformandole in qualcosa di trasversale, globale e sovranazionale. I.D.B. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 35 ALTERNATIVE ALLA CRISI Dossier CONSUMISMO USA E GETTA C ontrastare la società dei consumi che richiede di crescere all’infinito e produrre senza tregua - implica una sola drastica strada: quella della decrescita. È sempre questa la conclusione cui giunge il filosofo-economista francese Serge Latouche, nel suo ultimo saggio “Usa e getta” alle prese con un aspetto specifico del consumismo sfrenato: l’ “obsolescenza programmata”. È “obsolescente” tutto ciò che è già vecchio, superato e inutilizzabile; è obsolescente tutto ciò che non funziona più o che non è più di moda. Il punto è che l’industria moderna costringe all’obsolescenza. Ma come? Si tratta di un fenomeno non secondario che alimenta il meccanismo della crescita fine a se stessa (peraltro oramai economicamente insostenibile). «L’obsolescenza programmata nelle sue due forme - l’obsolescenza pianificata in senso stretto, cioè la fragilità tecnica calcolata, e in senso lato, cioè l’obsolescenza psicologica, la desuetudine organizzata si- stematicamente dalla moda - è un’invenzione statunitense», scrive Latouche. Tuttavia vi si ritrovano radici europee. Il filosofo francese compie un excursus storico alla ricerca delle origini etimologiche e ontologiche dell’obsolescenza, fino a chiedersi se essa sia in qualche modo “morale”. E rispondendosi che fa strutturalmente parte della società dei consumi. Dunque, nel sistema di pensiero del consumismo moderno, che vede nell’occupazione (finalizzata ad aumentare il reddito per poter consumare) uno dei capisaldi, l’obsolescenza risulta necessaria. «È parte integrante della coerenza sistemica della società dei consumi. Senza una limitazione drastica del ciclo di vita del prodotto, il keyneso-fordismo dei Trenta L’alternativa al consumismo, orientato verso l’avere anziché verso l’essere, dipende molto dai comportamenti di ciascuno e dalle scelte di coloro che occupano posti di responsabilità. 36 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Gloriosi sarebbe stato zoppo», scrive. Se ne può uscire solo scegliendo consapevolmente di consumare meno, di decelerare, di riciclare, di riparare anziché di ricomprare. Insomma, fuori dal trabocchetto c’è solo un altro sistema parallelo che implica una rivoluzione di pensiero. Latouche torna a descrivere la società della decrescita senza aggiungere molto al già detto: «Il punto chiave è la decolonizzazione dell’immaginario: liberarsi dall’imperialismo dell’economia sulle nostre menti e al contempo procedere a un reincantamento del mondo». Il valore aggiunto di questo piccolo saggio (rispetto ai precedenti) sta senz’altro nella forza delle parole e nel fascino dell’immaginazione. Rimane il dubbio se anche la prolusione di parole su temi già scandagliati non richieda piccole obsolescenze culturali. Ilaria De Bonis ma un oggetto. Una folla di questo genere era per sua natura por tata all’estremismo, alle soluzioni senza sfumature, prive di compromessi». Davanti a questo pericolo non ci può essere un richiamo all’etica se prima non la si fonda sulla spiritualità. È fallito il modello economico, che ha ridotto l’esperienza del consumo a un surrogato dell’esperienza spirituale: consumando la prima ci siamo consumati; invece la seconda è un’esperienza gratuita e liberante, non è mai l’incontro con qualcosa, ma è sempre l’incontro con Qualcuno. La tragica forza e debolezza dell’uomo e della democrazia si tiene insieme scegliendo il bene e perseguendolo attraverso la responsabilità di tutti gli enti educativi, incluse le parrocchie, gli oratori, i vari gruppi e movimenti cattolici che stentano a parlarsi tra loro; la formazione alla spiritualità della politica, l’educazione alle pratiche della democrazia, il recupero dell’identità locale immersa nel globale e la scelta di uomini “per gli altri” sono per la Chiesa le radici che nutrono i frag ili germogli del nuovo umanesimo in corso. Ma a questi dobbiamo crederci. L’INTERVISTA: FRANCESCO PETRELLI Filo diretto CON L’ECONOMIA COOPERARE PER RIPARTIRE «L Francesco Petrelli IN UN MONDO IN EVOLUZIONE, ALLE PRESE CON LA PIÙ GRANDE IMPASSE ECONOMICA DEGLI ULTIMI 50 ANNI, LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO NON PUÒ PIÙ ESSER CONSIDERATA SOLTANTO «UN ATTO DI GENEROSITÀ» VERSO I POVERI. «SE FATTA IN MODO CORRETTO E LUNGIMIRANTE» DIVENTA UN PREZIOSO ALLEATO CONTRO LA CRISI ECONOMICA GLOBALE. A PATTO CHE SIA MULTILATERALE. a Cooperazione internazionale non è qualcosa che si può elargire in momenti di vacche grasse e che poi si taglia drasticamente in tempi di vacche magre», spiega in questa intervista Francesco Petrelli, responsabile Relazioni Istituzionali di Oxfam Italia. «Certamente le Ong lavorano nell’ottica dell’affermazione di una giustizia globale, però ormai dobbiamo dire che la Cooperazione serve anche a chi la fa. Se non è asfitticamente legata a interessi di breve periodo, o peggio, ci aiuta a recuperare un ruolo globale» e a guardare al mondo con altri occhi. Cosa rispondete a chi dice che in tempi di crisi non si può aumentare la quota di Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps)? «La risposta è sul piano dei valori ma anche della politica e dell’economia: è una questione di comprensione del mondo. Come non capire che alcuni Paesi europei, anche in tempi di crisi, mantengono alti i livelli di Aps perché questa è considerata un’opportunitò anche per loro? Dalla crisi se ne esce solo insieme: non c’è priorità di scelta tra una povertà interna ed una esterna; tra risorse da destinare alle pensioni minime o alla Cooperazione internazionale. Fa parte tutto di un’unica grande agenda globale. La Cooperazione non è un di più, al contrario, può essere uno strumento per uscire dalla crisi. Tant’è vero che ormai la lotta alla povertà si pone in modo completamente inedito. Più che parlare di Cooperazione dovremmo parlare di modelli di sviluppo, delle disuguaglianze e di una nuova questione sociale globale. È anche una questione di numeri. L’Italia spende sempre meno. Certo. L’Aps dell’Italia ormai è sceso allo 0,13% del Pil, anche se l’anno prossimo arriverà allo 0,15- 0,16%. Speriamo sia un primo segnale perchè siamo lontanissimi dagli Obiettivi di sviluppo del Millennio e dalla media dei Paesi Ocse. Ci vuole un piano pluriennale per riallineare l’Italia alla media dello 0,30% nel giro di 3-4 anni. Il tema dello sviluppo deve essere parte integrante di tutte le politiche dell’Italia e, direi di più, del modo in cui l’Italia sta al mondo e concepisce se stessa. L’Italia ha bisogno della Cooperazione per la sua collocazione geo-politica perché è il ponte tra l’Europa e l’Africa. È un Paese che non ne può fare a meno. Possiamo parlare di Cooperazione, oggi, e non coinvolgere il ministero dell’Economia, dell’Agricoltura, dell’Ambiente? È una questione di coerenza di politiche». La legge sulla Cooperazione, la n.49 del 1987, è evidentemente datata. A che punto si è con la riforma? «Attendiamo da anni una nuova legge; quella del 1987 era allora innovativa. Ma dopo 25 anni appartiene ad un’altra epoca storica e mostra tutti i suoi limiti. Il testo di riforma approvato alla Commissione Esteri del Senato nel novembre 2012 affronta alcuni nodi cruciali tra i quali il rapporto tra Cooperazione allo sviluppo e ministero degli Esteri; la necessità di maggiore responsabilità politica; l’opportunità di creare una Agenzia; di istituire un fondo unico che coordini le risorse di tutti i ministeri. La discussione è aperta invece tra quanti vogliono un ministero ad hoc per la Cooperazione Internazionale e quanti (e io sono tra questi) dicono che bisogna fare un lavoro dentro la Farnesina, per cambiare il senso e la ragione sociale del ministero degli Esteri. L'idea in ogni caso è quella di un vero responsabile politico, un ministro della Cooperazione con portafoglio, che abbia reale voce in capitolo, e partecipi al Consiglio dei Ministri». di Ilaria De Bonis [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 37 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Il rientro dei fidei donum Molta “andata”, La missione dei fidei donum, che siano sacerdoti o laici, prevede un’andata e un ritorno. In altre parole implica un doppio senso di marcia, che mette in relazione la diocesi che invia con quella che riceve. Ma se per l’andata è in genere tutto pianificato, non altrettanto si può sempre dire per il ritorno. Cosa fare perché anche il “senso di marcia inverso” diventi un’esperienza arricchente e peculiare per la Chiesa locale? quanto ritorno? di CHIARA PELLICCI [email protected] hi frequenta assiduamente la vita ecclesiale della propria diocesi avrà avuto modo di partecipare alla celebrazione di un “mandato missionario”: la consegna da parte del vescovo del Crocifisso al sacerdote o al laico in partenza, con la partecipazione di tutta la comunità diocesana, è in genere un bel momento per far sentire a chi parte il sostegno della Chiesa che invia e per rendere partecipe chi resta di un’esperienza che aprirà ad uno scambio arricchente. Più difficile, invece, anche tra i più C 38 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 assidui frequentatori della vita ecclesiale della propria diocesi, sarà trovare chi ha avuto modo di partecipare ad una celebrazione in cui viene valorizzata l’accoglienza del fidei donum che ha appena concluso la sua esperienza missionaria pluriennale. Già questo è un semplice segno del fatto che se la missione prevede un’andata e un ritorno, mentre per l’andata è in genere tutto pianificato - con il coinvolgimento della comunità che manda, una formazione in vista della partenza, un progetto da realizzare una volta arrivati a destinazione - per il ritorno non si può dire altrettanto. Eugenio Di Giovine ha vissuto insieme alla sua famiglia tre anni in Venezuela: «Alla partenza tutti ci hanno manifestato la loro gioia: la diocesi di Milano, l’Ordine Francescano Secolare (di cui Eugenio e la moglie Elisabetta fanno parte, ndr). Il rientro, invece, è stato molto meno condiviso: certamente siamo stati valorizzati nella realtà ecclesiale, nel servizio che svolgiamo nella nostra parrocchia all’interno della pastorale familiare ordinaria, nella promozione della missione ad gentes all’interno della famiglia francescana e anche nelle tante testimonianze che tramite il Centro missionario diocesano teniamo nei diversi contesti in cui veniamo chiamati. Sono tutti servizi nella Chiesa, di cui siamo contenti. Ma non possiamo negare che una cosa è “raccontare” quello che abbiamo vissuto là, un’altra è “farlo vedere”, cioè “viverlo” qui. Invece, una volta rientrati, abbiamo accantonato tanti sogni». Eugenio tiene a precisare che non vuole criticare niente e nessuno: anzi, come famiglia è sempre stato accompagnato anche dagli incontri che il Centro missionario diocesano di Milano organizza una volta l’anno con i fidei donum rientrati. A fianco: Vista aerea di Caracas, Venezuela. Sotto: Chiara e Giovanni Balestreri, con la piccola Benedetta, accolgono nella loro casa di Sayan (Perù) il cardinale Tettamanzi, allora vescovo di Milano. A destra: Teresa e Sara, figlie di Eugenio ed Elisabetta Di Giovine, immortalate prima della partenza per il rientro in Italia: posano con Iris (una ragazza della parrocchia di Guanare) indossando i vestiti tradizionali venezuelani. Eugenio Di Giovine ha vissuto insieme alla sua famiglia tre anni in Venezuela: «Alla partenza tutti ci hanno manifestato la loro gioia». Ma è un dato di fatto che l’esperienza fatta in missione, che Eugenio paragona ad una «scuola di specializzazione, un master universitario», meriterebbe una maggiore valorizzazione nell’ottica di un più proficuo scambio tra le Chiese. Anche Chiara e Giovanni Balestreri, recentemente rientrati dopo cinque anni in Perù con le loro tre bambine, parlano del ritorno dalla missione così: «Lo metti in preventivo un rientro “sotto tono” (rispetto alla partenza) e ti prepari. Anche se il direttore del nostro Centro missionario (della diocesi di Milano, ndr) si è preso a cuore i laici che rientrano e ci segue con particolare attenzione. La Chiesa che invia fa un grande investimento in termini umani, economici e di formazione: anche solo per questo sarebbe importante riuscire a farlo fruttare al massimo, mettendo al servizio della diocesi la nostra esperienza una volta rientrati». Il ritorno dalla missione viene progettato qualche mese prima, soprattutto se il fidei donum in questione è un laico: il Centro missionario diocesano invita così a pensare concretamente ad una pianificazione del rientro. A Giovanni e Chiara è stato proposto di inserirsi come famiglia in una unità pastorale appena formatasi dall’unione di più parrocchie: la loro presenza affiancherà quella del parroco e fisicamente sarà nella canonica di Vigano Certosino, una frazione di Gaggiano. «Abbiamo accolto la proposta mettendoci in un’ottica di servizio: è tutto da scoprire, ma non siamo soli. All’inizio – confessa Chiara – avevamo anche voglia di anonimato, dopo cinque anni di vita in missione dove la tua casa è aperta h24 e diventa il rifugio di tutti. Poi siamo stati colpiti dall’accoglienza riservataci anche nei piccoli gesti: i parrocchiani di Vigano ci hanno fatto trovare la casa imbiancata e » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 39 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ sul tavolo latte e uova fresche». Anche Giovanni è ben disposto a questo “esperimento ecclesiale”: «La soluzione di Vigano ci lascia di fronte ad una precarietà evangelica: è anche per questo che mi piace. Inoltre la nostra nuova “missione” non sarà solo come famiglia, ma come comunità. Mi piace pensare che noi siamo regalati ad un’altra parrocchia. Sarebbe bello se anche altre famiglie si donassero alle parrocchie vicine». Le idee per far fiorire il “ritorno” dalla missione non mancano. L’importante è tenere presente che il rientro – a detta di tutti – è destabilizzante o, comunque, un momento di discontinuità nella concretezza della vita quotidiana: prevedere un accompagnamento umano, spirituale, emotivo, psicologico potrebbe aiutare. C’è da dire che i racconti dei coniugi Di Giovine e Balestreri rappresentano il punto di vista di sole due esperienze tra quelle dei 543 fidei donum italiani oggi in missione. Ma andando a rileggere la ricerca effettuata da Dario 40 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Il rientro dei fidei donum A fianco: Il cardinale Tettamanzi, allora vescovo di Milano, in visita alla diocesi di Haucho (Perù) saluta Chiara e Giovanni Balestreri fidei donum laici. Sopra: Elisabetta in visita alle famiglie povere di Guanare (Venezuela), dove la famiglia Di Giovine ha trascorso tre anni in missione. In alto a destra: Teresa, la figlia più grande della famiglia Di Giovine, viene consolata da un bimbo della missione. Nicoli, docente all’Università Cattolica di Brescia, in occasione del 50esimo anniversario dell’enciclica Fidei Donum (1957) - primo (e per il momento unico) studio effettuato con metodo scientifico sui missionari rientrati - il ritorno viene sempre descritto come un momento critico: qualunque sia la realtà ecclesiale da cui si è partiti e in cui si è vissuto per anni, si evidenzia ovunque una certa antinomia tra il contesto di missione e quello della diocesi di provenienza; in altre parole la sfida sta nel reinserirsi qui senza tradire l’essenziale dell’esperienza missionaria (cfr “Il Movimento Fidei Donum. Tra memoria e futuro”, edizioni EMI). Non c’è dubbio che il rientro sia fondamentale nella costruzione di ponti tra le diocesi “sorelle” e nel tanto citato scambio tra le Chiese. Se i vari soggetti ecclesiali coinvolti e gli stessi missionari in vista del loro ritorno riuscissero a pianificare un progetto concreto, la ricchezza dell’esperienza vissuta non andrebbe dispersa, anzi, sarebbe valorizzata al massimo. E la famosa cooperazione missionaria ne beneficerebbe. Parola di chi è rientrato e vede nel ritorno una nuova partenza. Ma stavolta senza bisogno della valigia. Giustizia in Uganda Stop corruption L’Uganda rimane uno dei Paesi più colpiti dall’alto tasso di corruzione tra quelli dell’Africa sub-sahariana. La popolazione comincia a prendere coscienza del proprio potenziale di protesta e di come la lotta alla corruzione partendo dal basso possa arrivare alle alte sfere di governo. now! di ILARIA DE BONIS [email protected] «E very bribe you refuse, plugs a leak in the system». Recita così uno degli slogan della campagna anticorruzione ideata dal Centro Giustizia e Pace Giovanni Paolo II di Kampala. Sullo sfondo del manifesto una vignetta satirica: un uomo porta “in dono” un pacco con su scritto bribe, tangente, e riceve soldi in cambio. «Per ogni tangente che rifiuti, tappi una falla nel sistema», dice il testo. E in effetti è proprio rifiutando di diventare corruttibili che viene avviato il circolo virtuoso del cambiamento nel sistema politico ugandese. Questa è una massima di suor Fernanda Pellizzer, missionaria comboniana in Uganda da circa 30 » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 41 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ anni. D’altra parte i livelli di corruzione ugandesi sono universalmente noti e procurano non pochi danni al Paese di Museveni. «I governi di Oslo, Stoccolma e Copenaghen hanno chiesto la restituzione degli aiuti allo sviluppo versati all’Uganda in seguito a uno scandalo per corruzione – si legge in una news . La stessa richiesta è già stata fatta dal governo di Dublino che ha ottenuto il rimborso di quattro milioni di euro. Lo scorso ottobre la Corte dei conti ugandese rivelò che circa 10 milioni di euro provenienti da finanziamenti internazionali erano stati illecitamente prelevati da funzionari ministeriali ugandesi». È con l’iniziativa del Black Monday che a Kampala ogni lunedì la società civile ugandese protesta contro i corrotti: ma la campagna delle ong lanciata alla fine dello scorso anno non piace affatto al Presidente. L’obiettivo di quelli che protestano indossando una maglietta nera con su scritto no to corruption ha lo scopo di esercitare una pressione sul governo affinché prenda posizione forte contro i corrotti. A fianco: Insegnanti delle scuole superiori mostrano la copertina del manuale di educazione civica del Centro Giustizia e Pace. 42 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 «Il lunedì nero ricorda semplicemente alla gente che la corruzione è un lutto – ci spiega suor Fernanda -. Noi missionari del Centro Giustizia e Pace Giovanni Paolo II di Kampala, stiamo contribuendo a questa lotta vitale per il futuro del Paese, anche tramite la diffusione di un manuale di educazione civica per le scuole superiori». Si tratta di un volume che è anche il primo nel suo genere: l’educazione ai diritti civili e umani non è stata mai considerata materia di studio nelle scuole ugandesi, soprattutto nei villaggi lontani dalla capitale. Ma pian piano entrerà a far parte del normale curriculum scolastico. Il manuale del Centro studi cui suor Fernanda appartiene (elaborato in collaborazione con il Segretariato cattolico nazionale dell’educazione) è un piccolo tesoro per gli studenti: contiene circa 100 pagine in inglese, si compone di sei topics sui diritti umani, la leadership, il buon governo, la giustizia. Alla teoria si alterna la pratica: piccoli case study di storie di violazione, esercizi e domande su come agire in caso di evidente violazione dei diritti, come quelli delle donne, frequentemente calpestati. «La sperimentazione del manuale è appena partita: abbiamo stampato 4mila copie per ora. Aspettiamo un riscontro. Abbiamo cercato di lavorare sui moltiplicatori sociali – spiega la missionaria, classe 1950, originaria di Treviso, già Giustizia in Uganda impegnata in Ecuador in passato – e lo D’altro lato in Uganda diritti civili ed facciamo in collaborazione con gli in- umani non sono tenuti in gran conto segnanti delle scuole superiori. Abbiamo neanche durante le elezioni presidenziali: cercato di raggiungere tutte le diocesi «Questa volta è mancata la violenza (due scuole per diocesi)». – scrive il mensile comboniano Nigrizia Il capitolo dedicato al buon leader in occasione delle ultime elezioni del spiega ai ragazzi quanti tipi di leadership 2011 che hanno visto vincere Museveni esistono: da quella formale a quella ancora una volta -; più pesante è parsa tradizionale, da quella burocratica a la corruzione, soprattutto da parte di quella carismatica. Un tipo alcuni esponenti del di “autorevolezza” che pare partito di governo. spesso mancare però ai po- «Per ogni tangente Alla vigilia del voto, litici nazionali. A partire che rifiuti, tappi una numerosi erano stati dal modo in cui essi coni casi di oppositori falla nel sistema». quistano il potere. “comperati” con «I giovani hanno la perce- È proprio rifiutando di grossi cifre di danaro, zione che la classe domisenza, peraltro, che diventare corruttibili nante (che è poi sostani magistrati se ne zialmente un regime mili- che viene avviato il occupassero minitare dittatoriale) sia cormamente». rotta ma ancora soccom- circolo virtuoso del Difficile per la gente bono, non hanno la forza cambiamento spezzare tali catene e gli strumenti per reagire, di connivenza tra nel sistema per combattere il sistema», politica, burocrazia, spiega ancora suor Fer- politico ugandese. business ed élite minanda. litari. Ma già partire dall’educazione e dallo studio di materie che hanno a che fare con il diritto, è un punto segnato a favore dell’onestà e della coerenza. Un altro canale può essere quello del contatto costante con Paesi nei quali la ribellione morale è già iniziata e ha dato frutti: la presenza della grande famiglia comboniana a Tunisi, durante il World Social Forum di quest’anno, ha toccato queste corde, mettendo per la prima volta in contatto giovani africani e missionari attivi in Uganda, con la controparte tunisina, impegnata a salvare la propria rivoluzione. Un link che forse porterà qualche frutto in un futuro prossimo - si augura suor Fernanda che ha partecipato all’evento tunisino - se non altro come impulso ad assumere iniziative per tenere testa a regimi anti-democratici ed iniziare a prendere coscienza delle proprie responsabilità e della infinita forza di popolo. OSSERVATORIO di Roberto Bàrbera DOPO LA GUERRA, I TUMORI l 24 marzo 1999 forze militari di Stati Uniti e Nato cominciarono una serie durissima di bombardamenti contro la Serbia. Il motivo dell'attacco era difendere la popolazione di origine albanese nella regione del Kosovo dalla “pulizia etnica” compiuta da formazioni serbe. Le incursioni su Belgrado e sul resto della Serbia durarono 78 giorni e causarono la morte di migliaia di civili e danni immensi. L'azione si è rivelata poi fallimentare. Il tentativo di bloccare l'opera di “eliminazione” di una nazionalità dal Kosovo ha solo sostituito le vittime: al posto degli albanesi da quella regione sono stati espulsi quasi tutti i serbi e le milizie albanesi hanno devastato e distrutto moltissimi monasteri e chiese ortodosse per cancellare da quelle terre l'antica presenza degli “odiati nemici”. Ma gli esiti di quella ennesima “guerra per la pace” non si solo limitati al colossale fiasco diplomatico e politico. Durante i raid i cacciabombardieri della Nato sganciarono tonnellate di ordigni contenenti uranio impoverito e le conseguenze di quella contaminazione ambientale a distanza di anni stanno producendo altri disastri. Le denunce delle associazioni umanitarie che operano in quelle aree rimangono inascoltate, come quelle dei sanitari. Slobodan Cikaric, presidente della Società dei medici serbi, ha detto: «Esistono falsi esperti che continuano a sostenere che l’epidemia di tumori maligni nell’ultimo decennio non ha nulla a che vedere con le oltre 15 tonnellate di uranio impoverito disseminate nel nostro Paese in 78 giorni di bombardamenti, soprattutto in Kosovo e nella regione di Pcjnj; oltre che dal nostro Paese continuano a giungere rapporti da Grecia e Bulgaria che parlano di un incremento di più di 30 volte dei casi di neoplasie e lo collegano all’evidente innalzamento della radioattività in molte aree della penisola balcanica». Cikaric è convinto che le nano-particelle degli ordigni si siano diffuse nell’aria e siano penetrate nel terreno, diventando parte della catena alimentare e causa di linfomi e neoplasie. Il medico serbo ha spiegato: «Il disastro giapponese di Fukushima è nulla se paragonato a quanto sta accadendo nelle nostre regioni, e se consideriamo il fatto che ai pescatori di quell’area è stato riconosciuto un risarcimento di due milioni di dollari soltanto per l’effetto che la fuga radioattiva avrebbe potuto avere sul mare, sarebbe interessante chiedersi quanti miliardi di dollari potrebbero mai chiedere la Serbia e i Paesi vicini». Chissà se l'Organizzazione mondiale della Sanità e l'Onu troveranno mai la volontà di analizzare il fenomeno per smentirlo o per cercare soluzioni che possano evitare il diffondersi delle malattie. I POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 43 MUTAMENTI I Tayllerand della rete di LUCIANA MACI [email protected] D alle segrete stanze del potere, negli ultimi anni la diplomazia si è gradualmente trasferita sul web. Un mondo abituato a nutrirsi da secoli di discrezione, accortezza, formalità e tempi comunicativi lunghi sta utilizzando sempre più internet, e in particolare i social network, per comunicare con un pubblico più ampio nel segno della trasparenza, dell’interazione e della rapidità. Il debutto ufficiale della digital diplomacy è avvenuto il 3 ottobre 2011 con l’apertura della prima ambasciata americana solo virtuale in Iran, dopo un congelamento delle relazioni bilaterali durato oltre 30 anni. Gli Stati Uniti e la Repubblica islamica non avevano infatti rapporti diplomatici dal 1979, cioè dal sequestro degli ostaggi nordamericani 44 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 nella sede diplomatica iraniana. Da allora, a rappresentare gli interessi statunitensi in Iran era la diplomazia elvetica. Così, nonostante le ripetute proteste delle autorità di Teheran, fin dall’annuncio del progetto da parte dell’allora segretario di Stato Hillary Clinton, l’amministrazione Obama ha inaugurato una sede diplomatica completamente on line, in inglese e in lingua farsi. All’indirizzo http://iran.usembassy.gov/ sono tuttora disponibili dichiarazioni politiche di Washington, informazioni sui visti americani, notizie dell’agenzia di stampa Voice of America ed è prevista la possibilità di scambiare messaggi attraverso i social network. Internet viene ormai usato sempre più anche per delicati contatti diplomatici. Dalle Primavere arabe alla campagna elettorale di Obama, la diplomazia digitale ha contagiato molti Paesi occidentali. Persino la Cina, dove il web è sottoposto a censura. Diplomazia digitale Sono così cominciati i primi “cinguettii” su Twitter e le conversazioni con i cittadini su Facebook da parte della diplomazia statunitense, seguita a ruota da molte altre. CONTATTI COL MONDO MUSULMANO In realtà le diplomazie avevano cominciato a interagire in modo sempre più intenso con il web già nel periodo immediatamente successivo all’11 settembre 2001. Come rileva Antonio Deruda nel libro “Diplomazia digitale”, alla luce del nuovo conflitto contro il terrorismo globale, si cominciò a pensare a «un riposizionamento della comunicazione diplomatica». In particolare il diplomatico americano Richard Hoolebroke, artefice degli accordi di Dayton (novembre 1995), che avevano posto fine alla guerra nella ex Jugoslavia, sottolineò apertamente la contraddizione di una nazione, gli Usa, che «vanta una schiacciante egemonia nel settore delle nuove tecnologie ma che comunica, soprattutto con il mondo musulmano, usando tecniche pateticamente obsolete e con un apparato burocratico non all’altezza». CONTATTI IN ZONE DI GUERRA Come ha ricordato l’ormai ex ministro Giulio Terzi in un convegno dello scorso marzo alla Farnesina su “Digital Media in zone di guerra”, strumenti come Facebook e Twitter hanno avuto un ruolo importante nelle Primavere arabe per «connettere le coscienze, favorire l’organizzazione della protesta e raccontare al resto del mondo ciò che accade durante una rivoluzione, quando i mass media convenzionali sono oscurati dalla censura». Negli scenari di guerra, inoltre, i digital media riescono a documentare storie non coperte dai media tradizionali e gli episodi narrati sui blog «restano come testimoni indelebili, a portata di un semplice click su Google». Un altro dei vantaggi dei social media è garantire una velocità di informazione mai conosciuta prima: per esempio il primo tweet da Haiti è stato postato sette minuti dopo il terribile terremoto del 12 gennaio 2010 e 24 ore prima della diretta televisiva. Terzi mette anche in guardia contro il «magma di comunicazione mista a propaganda» che può diventare il web se non è gestito in modo responsabile da professionisti dell’informazione. Ma intanto il ministero si è attrezzato per la digital diplomacy con un programma di comunicazione per il 2013 che dedica un intero capitolo ai new tools, i nuovi strumenti comunicativi. «Non possiamo pensare alla sostituzione tout court della diplomazia tradizionale con quella digitale – ha detto Luca Poma, consigliere del ministro per le iniziative di promozione innovativa e le nuove tecnologie - ma dobbiamo comunque tenerne conto. Sul web la comunicazione è informale, trasparente, rapida e la pubblica opinione è sempre più coinvolta nei processi comunicativi, mentre la diplomazia old style è formale, tendente alla segretezza, con tempi più lunghi e non punta a coinvolgere i non addetti ai lavori». LA RETE MONDIALE La diplomazia digitale non ha contagiato solo l’Italia. In Gran Bretagna una ventina di ambasciatori sono su Twitter, in Russia pare che il Ministero degli Esteri abbia oltre 40 account sulla piattaforma dei “cinguettii”. Anche Israele ha annunciato l’intenzione di puntare sempre più sulla e-diplomacy. E persino la Cina, dove la rete è sottoposta a censura in patria, internet viene invece molto usato come strumento di propaganda diplomatica all’estero. In altri Paesi sono i singoli politici a spingere verso l’estensione della diplomazia on line. Oltre a Barack Obama, che può vantare quasi 20 milioni di follower su Twitter, era molto attivo in rete il defunto Presidente venezuelano Hugo Chavez, con 3,4 milioni di seguaci, e lo è tuttora il primo ministro russo Dmitry Medvedev (1,5 milioni). Ma anche da nazioni economicamente più arretrate arrivano sorprese. È il caso della Cambogia dove, grazie a una campagna di comunicazione su Facebook, in meno di un anno il sito dell’ambasciata del Regno Unito a Phnom Penh è passato da 200 a 56mila likes. Con tanti Talleyrand in rete c’è però anche il rischio di incidenti diplomatici. A giugno 2012, per esempio, Paul Krugman, economista statunitense e Premio Nobel, aveva scritto un articolo critico nei confronti della politica economica dell’Estonia. Per tutta risposta il Presidente del Paese, Toomas Hendrik, lo ha definito su Twitter «compiaciuto di sé, prepotente e paternalistico». L’auspicio è che la diplomazia virtuale non scateni mai guerre reali. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 45 L’altra edicola LA NOTIZIA LA COREA DEL NORD HA REALMENTE INTENZIONE DI ATTACCARE CON L’ARMA ATOMICA LA COREA DEL SUD E L’ETERNO NEMICO USA, O KIM JONG UN BLUFFA? LA STAMPA INTERNAZIONALE SE LO CHIEDE DA MESI, USANDO MOLTE CAUTELE, MENTRE L’AGENZIA DI STAMPA NORDCOREANA KCNA CONTINUA LA SUA IMBARAZZANTE PROPAGANDA. 46 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Rischio nucleare COREA CONTRO COREA di ILARIA DE BONIS [email protected] eggere i comunicati ufficiali e le dichiarazioni della propaganda del dittatore nord-coreano Kim Jong Un, rilanciati dall’agenzia di stampa governativa, la Korean Central News (Kcna), è un’esperienza imbarazzante per qualsiasi osservatore occidentale. Ogni lancio d’agenzia, che affronta il tema della minaccia nucleare, contiene invettive contro il «puppet regime», il regime fantoccio di Seul. E ogni lancio che non sia un elenco di pure formalità e di incontri ufficia- L Ogni lancio d’agenzia, che affronta il tema della minaccia nucleare, contiene invettive contro il «puppet regime», il regime fantoccio di Seul. li, cui partecipa il «beneamato leader Kim Jong», è un insulto agli Usa e alla Corea del Sud, accusate di minacciare «l’incolumità del Paese più invincibile del mondo». «La Repubblica Democratica di Corea ha ottenuto molte vittorie sugli Stati Uniti ed è con questo spirito che sta intraprendendo una campagna militare fiduciosa nella vittoria finale», si legge. «Il regime sudcoreano parla di “guerra psicologica” e di “propaganda” ma questo è un atto spregevole che viene da pazzi, inconsapevoli di quello che può significare un’azione totale di guerra dichiarata dalla Repubblica Democratica Popolare della Corea. I nemici dovrebbero sapere che questa è l’era del grande Marshal Kim Jong Un, leader del Paese più potente ed invincibile della grande nazione Paektusan», questo lo stile delle veline. Le altre news della Kcna hanno titoli come Foreign guests here (ospiti stranieri in arrivo) o Floral basket from Chinese Zhang Weihua’s family, ossia cesto di fiori in omaggio da parte della famiglia di Zhang Weihua, martire cinese della rivoluzione anti-giapponese. E giù di lì. La Reuters riferisce in dettaglio le notizie dell’agenzia di Stato, anche perché si tratta dell’unica fonte d’informazione, sebbene di propaganda, proveniente dal Nord Corea. E così fa anche il sito della Cnn con un pezzo sulle ultime minacce nucleari. Ma se i mass media internazionali hanno come unica fonte d’informazione quest’agenzia manipolata dal regime militare con l’unico scopo di intimorire il mondo, è lecito dubitare anche della reale portata di una minaccia di guerra totale sbandierata dal leader trentenne. Inoltre la propaganda, ribaltando completamente i termini della questione, dichiara di volersi difendere dalle minacce altrui: «È chiaro che tutte le esercitazioni militari condotte dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud all’insegna della “difesa” sono soltanto qualcosa che prelude ad un attacco nucleare alla Repubblica Democratica Popolare di Corea», scrive ancora l’agenzia governativa. Il sito di Al Jazeera fa notare che «la Corea del Nord ha di recente minacciato, come ciclicamente avviene, Stati Uniti e Corea del Sud, sebbene il lancio di missili-test, temuto e atteso da parte della Corea del Nord, non si sia verificato ancora». Dunque la stampa estera da una parte ha l’obbligo di riferire le folli minacce di rappresaglia provenienti dal leader coreano, dall’altra smorza i toni evidenziando un gioco che pare più una prova di forza che una reale volontà d’attacco. Tuttavia dalle colonne del Washington Post il giornalista Joby Warrick scrive che «ci sono due percorsi che conducono all’ar» ma nucleare: la bomba che gli Stati Uniti sganciarono POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 47 L’altra edicola Rischio nucleare Central News Agency – avrà inizio senza alcun avvertimento». su Hiroshima nel 1945 contenente l’Heu (l’uranio altamente arDal canto suo la Corea del Sud sente di dover replicare alle miricchito) come componente principale, e quella sganciata su nacce facendo la voce grossa. Parlando con alcuni funzionaNagasaki conteneva elementi di plutonio. La Corea del Nord ri del ministero della Difesa, la presidente Park Geun - hye ha possiede da molto tempo il plutonio, invece il suo arricchimendichiarato che considera “molto serie” le ultime to di uranio è ad uno stadio molto meno avanmosse del regime di Pyongyang. “Se ci saranno alzato. L’Iran ha concentrato le proprie forze sull’uranio arricchito che dice di voler usare a sco- Inoltre la propaganda, tre provocazioni contro di noi risponderemo dal punto di vista militare senza preoccuparci delle pi civili. Sebbene la Corea del Nord e l’Iran ab- ribaltando conseguenze politiche”, ha detto Park Geun - hye», biano cooperato per quanto riguarda le tecnocompletamente come scrive il sito di Internazionale. logie missilistiche, i funzionari degli Stati UniLa Bbc avanza dubbi: «Pochi pensano che la Coti affermano che non c’è nessuna prova di una i termini della rea del Nord abbia davvero intenzione di scatecooperazione in campo nucleare». questione, dichiara nare una guerra». D’altro canto lo stesso presidenPerò aggiunge che «una recente visita alla Codi volersi difendere te Usa, Barack Obama in un’intervista alla Nbc ha rea del Nord da parte di esperti del nucleare ameaffermato sostanzialmente che la minaccia di ricani ha confermato che Pyongyang possiede dalle minacce altrui. Pyongyang sa più di bluff che di altro e che lui almeno una fabbrica di uranio arricchito, descritnon ritiene affatto che il regime abbia missili nuta da questi osservatori come “ampia, sofisticacleari. Questa la dichiarazione testuale: «Secondo le ultime peta e pienamente operativa”». Pare che se anche avesse intenrizie effettuate dall’intelligence americana, non riteniamo che zione di attaccare, Pyongyang lo farebbe in modo “repentino” (la Corea del Nord ndr.) abbia questa capacità». e senza troppi annunci. «La nostra azione di rappresaglia – così Sarà veramente così? «Non sono uno psichiatra e non conola definisce Kim Jong Un alla solita agenzia di stampa Korean sco personalmente il leader della Corea», avrebbe tagliato corSotto: to Obama parlando con un giornalista della Nbc che gli do12 aprile 2013. Il segretario di Stato USA John Kerry mandava se Kim Jong è mentalmente “instabile”. Sta di fatto incontra la presidente sudcoreana Park Geun – hye presso la che per ora il “caro leader” appare piuttosto imprevedibile e molCasa Blu, il Palazzo Presidenziale di Seul. to bellicoso. 48 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari Cristiani d’Algeria Due suore missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, in visita ad una famiglia allietata dalla nascita di una bambina. a cura di CHIARA PELLICCI [email protected] ari lettori di Popoli e Missione, mi chiamo Sandra e sono una suora missionaria dell’Istituto di Nostra Signora degli Apostoli. Vivo in Algeria da poco più di due anni, dopo essere stata in Costa d’Avorio, in Nigeria e negli ultimi setti anni in Italia per un servizio di animazione missionaria. La missione della Chiesa in Algeria non si può descrivere se non diamo prima uno sguardo all’attuale situazione del Paese. La posizione geografica dell’Algeria, infatti, influenza la cultura e lo stile di vita: un miscuglio di Africa e Occidente, con il quale si condivide il Mediterraneo e le relazioni umane e commerciali. C L’Algeria si estende su una superficie di oltre due milioni di chilometri quadrati. E i seimila chilometri di confine che la separano dal Marocco, dalla Tunisia, dalla Mauritania, dal Sahara occidentale, dal Niger, dal Mali e dalla Libia si sono rivelati attualmente un pericolo, perché difficili da controllare. Dopo l’attentato nel giacimento di gas di In Amenas del gennaio scorso, il governo ha moltiplicato gli sforzi e i militari sul terreno e ha chiuso le frontiere; purtroppo questo ha avuto gravi conseguenze sui migranti che avrebbero voluto ritornare al loro Paese di origine. Ecco perché in questo periodo è aumentata la popolazione sub-sahariana (proveniente da Camerun, Mali, Niger, Costa d’Avorio, Liberia) non solo nel sud del Paese: alcune famiglie con bambini arrivano nelle città della zona costie- ra e cercano rifugi e abitazioni di emergenza. Vedere i ragazzi mendicare ai semafori è un fenomeno nuovo qui ad Orano, segno che non tutti i migranti vogliono rimanere nei campi di accoglienza aperti nell’Algeria meridionale. Per la sua posizione strategica, il Paese è diventato luogo di transito per migliaia di sub-sahariani che vogliono arrivare in Europa. Tra questi c’è sicuramente anche una rete di prostituzione che passa da qui, ma non è facile identificarla. Come comunità cristiana cerchiamo di essere attenti al disagio e alla solitudine, sia della popolazione locale algerina musulmana, sia nei confronti dei migranti, che in quest’ultimo decennio sono aumentati a vista d’occhio, cambiando la morfologia e il colore non solo della società ma anche della Chiesa. » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 49 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ A fianco: Foto di gruppo della comunità delle missionarie di Nostra Signora degli Apostoli presente ad Orano. Da sinistra a destra: suor Marie Claude, suor Sandra Catapano, suor Liliana, suor Flora, il nostro nuovo vescovo monsignor Jean-Paul Vesco, suor Bernadette e suor Agnes Marie. Nella società algerina il capitolo del ruolo della donna merita un’attenzione particolare. L’enorme sforzo di istruzione intrapreso fin dagli anni Sessanta ha dato alle donne la possibilità di prendere il loro posto nel mercato del lavoro (scuola, medicina, commercio, polizia, giustizia, ecc.). Ma se la donna è “superiore” (cioè ha capacità anche maggiori rispetto all’uomo) in ambito politico ed economico, rimane “inferiore” per il “codice di famiglia”. Questa dicotomia è flagrante: ogni giorno incontriamo e ascoltiamo le donne, con le loro situazioni invivibili, gli abbandoni, i divorzi, gli scoraggiamenti, le fatiche di portare avanti da sole i figli. È anche vero che il nostro punto di vista non spazia a 360 gradi su tutta la società: chi viene in contatto con noi in genere vive condizioni sociali di disagio. Ma c’è da dire che la società è composta da un’esigua minoranza di ricchissimi, una fascia di benestanti di media dimensione, una fascia media (che vive senza superflui né prestiti) molto ampia e da tanti poveri. Per quanto riguarda il servizio che svolgo presso i migranti, attraverso l’équipe interculturale ed ecumenica parrocchiale, quest’anno è stato un tempo di forte immersione nella società, per creare lega- 50 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 La celebrazione di una Messa con la pastorale giovanile diocesana. mi di amicizia e collaborazione con le associazioni locali algerine impegnate in ambito sociosanitario. Incontriamo ogni giorno uomini e donne, personale sanitario e volontari dei diritti umani che si donano gratuitamente insieme a noi nel servizio e nella formazione sanitaria degli adulti migranti. L’équipe è in costante riflessione: ci incontriamo ogni due mesi, vista la gravità dei problemi, per analizzare i casi che si susseguono e che esigono una decisione comune. Spesso aiutiamo le donne in difficoltà o sole al momento del parto, attraverso una donazione di abitini per bebè, di pannolini e materiale utile al primo mese di vita. Un altro settore importante in cui è necessario far sentire la nostra presenza è nella prevenzione dell’Hiv e nell’accompagnamento e nella cura dei malati di Aids. Il parroco visita molto spesso le prigioni: la mancanza di lavoro comporta che gli immigrati vengano impegnati nel lavoro nero, spesso con documenti falsi, e finiscano facilmente in prigione. Una religiosa e una laica dell’équipe visitano le nuove mamme, tre laici sono impegnati nel seguire i malati a domicilio nei quartieri a rischio ed io fino ad Posta dei missionari ora ero responsabile della visita e dell’accompagnamento all’ospedale dei malati gravi e soli. Sul territorio della diocesi di Orano esistono sette parrocchie sparse in sei città. Il personale permanente impegnato nelle attività è per la quasi totalità formato da sacerdoti e religiose e religiosi (di nove istituti diversi), salvo per l’équipe di aiuto ai migranti della nostra parrocchia (in cui vi sono quattro laici di origine sub-sahariana) e per la parrocchia di Mascara in cui vive da parecchi anni una laica francese. In totale siamo una trentina di missionari: pochi per rispondere ai bisogni emergenti. Speriamo nell’avvenire in una pre- Una vista sulla città di Orano: in primo piano il forte spagnolo. Sopra: Mappa della diocesi di Orano, una delle quattro diocesi in cui è organizzata la Chiesa cattolica di Algeria. senza più numerosa di laici volontari. A seconda dei luoghi occorre parlare l’arabo dialettale per comunicare con i giovani, perché spesso non conoscono bene il francese. La mia congregazione, le Suore missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, istituto missionario di origine francese nato nel 1876 a Lione dal cofondatore della Società Missioni Africane, padre Agostino Planque, è presente in Algeria dal 1938. Siamo ora in sei suore, divise in due comunità: Orano e Hennaya (che si trova a circa 150 chilometri a ovest, verso il Marocco). I servizi di cui le mie consorelle sono responsabili sono vari: c’è l’insegnamen- molto viva e creativa. L’arrivo del nuovo vescovo dopo due anni di attesa è un sospiro di sollievo, occasione per verificare e orientare il nostro vivere insieme per servire con carità, alla scuola dell’amore di Dio, affinché quanti ci incontrano possano riconoscere che quell’Amore universale che testimoniamo è presente anche nelle radici dell’islam, nel cuore del Corano, e possano crescere in questa spiritualità vissuta dai mistici sufi; spiritualità vissuta anche in modo particolarissimo da quei musulmani che aderiscono, restando pienamente tali, al movimento dei Focolarini. Tutto questo va nella direzione di costruire un mondo migliore, La Basilica della Pace ad Annaba (l’antica Ippona) sulla costa algerina: qui si trova una reliquia di sant’Agostino. to del francese, la visita ai malati, la gestione della biblioteca scolare, la pastorale dei giovani universitari sub-sahariani, la formazione femminile e l’impegno sociale con i più poveri e i portatori di handicap. Prima di salutarvi voglio dirvi che sono felice di essere qui in Algeria, adottata da questo popolo molto accogliente, che ha tanta fiducia in noi, i cui giovani hanno molte domande ed esigenze, la cui Chiesa, umile, semplice, in minoranza, è comunque un mondo fatto di differenze accolte, riconosciute, armonizzate per una ricchezza reciproca, per un’unità divina, già possibile su questa terra e verso cui tendiamo, tutti orientati alla medesima meta, pur arrivando da diversi orizzonti e attraverso svariati cammini. Essere cristiani è un dono magnifico e una responsabilità. È seguire i passi del Risorto al servizio dei crocifissi di oggi, per contagiare l’umanità con l’Amore di Dio per tutti. Suor Sandra Catapano Orano (Algeria) POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 51 La Vergine de los gauchos F in dalle prime battute è apparsa evidente la devozione mariana di papa Francesco. Per capire questa sua sensibilità bisogna conoscere la storia della devozione a Maria che c’è in Argentina e che ruota attorno al santuario di Lujan (una città a 80 chilometri da Buenos Aires), che è un po’ la Lourdes del Rio de la Plata. Nel 1600 una famiglia di Buenos Aires fece arrivare dal Brasile un’immagine della Madonna da collocare in una chiesa che si stava costruendo. Le cronache del tempo narrano che i buoi che trainavano il carro su cui viaggiava l’immagine della Beata Vergine, arrivati a Lujan, si rifiutarono di andare avanti. L’attacco di altri animali - cavalli, asini, ecc. - non sortì nessun effetto. Allora fu deciso, interpretando quel segno come volontà divina, che il santuario dedicato alla Madonna sarebbe sorto proprio lì. La devozione alla Vergine di Lujan degli argentini è davvero eccezionale e il santuario è visitato ogni anno da milioni di fedeli. Il riferimento alla Vergine di Lujan fa venire in mente un’altra situazione particolare legata alla Madonna: se credessimo che Buenos Aires sia la definizione in lingua spagnola di “buone arie”, cadremmo in un pacchiano errore; infatti il grande estuario del Rio de la Plata, confluenza di numerosi fiumi dalla portata d’acqua eccezionale, crea nell’atmosfera un’umidità molto forte e la scelta di far sorgere una città in quel luogo è legata solo al fatto che in quella zona era abbastanza facile l’attracco dei galeoni prima e delle navi mercantili ora. Del resto, dirimpetto alla metropoli argentina, sorge Montevideo, capitale dell’Uruguay, che risponde alla stessa logica: un porto marittimo che diventa fluviale, così da permettere ai barconi di risalire i fiumi e trasportare le merci all’interno dell’Argentina, in Paraguay, arrivando fino in Bolivia. Fatto sta che tra i primi marinai che sbarcarono in quello che venne chiamato il vicereame della Plata, c’erano componenti di un equipaggio sardo, i quali non trovarono di meglio che erigere una cappellina dedicata alla Madonna protettrice della loro isola, la Madonna di Bonaria, appunto, patrona della Sardegna. Mano a mano che sulle mappe si scrivevano i nomi delle città che andavano sorgendo nelle Americhe, Bonaria divenne, nella traslitterazione spagnola, Buenos Aires, un nome che più che al clima si rifà alla devozione mariana dei suoi fondatori e degli abitanti della città in ogni epoca, così come ben evidenziato da papa Francesco. Se a ciò aggiungiamo la devozione che i gauchos della Pampa hanno per la Virgen del mate, abbiamo il quadro completo di come sia grande la venerazione che gli argentini hanno per la Madre de Dios, declinata su misura degli struggenti scenari del Rio de la Plata e dei suoi abitanti, più che mai fieri del loro papa. Mario Bandera [email protected] 52 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 MUSICA ASAF AVIDAN Una voce per sognare A ll’ultimo Festival di Sanremo ha lasciato tutti a bocca aperta ed è fin troppo facile prevedere che l’apparizione sul palco più ambito e chiacchierato d’Italia gli schiuderà anche nel Bel Paese la popolarità e il successo che merita. Asaf Avidan è una delle più belle sorprese e dei talenti più luminosi proposti dal music-business in quest’ultimo lustro. E tra le sorprese c’è anzitutto il fatto che non arriva dai soliti mercati anglo-statunitensi, ma da una terra ben più complicata: Gerusalemme. A differenza della bella e conterranea barbie (la top model Bar Rafaeli) che l’ha presentato all’Ariston, Asaf ha poco a che spartire con i lustrini dello show business, anche se vanta background e curriculum tutt’altro che travagliati. Figlio di due diplomatici, ha passato parte dell’infanzia in Giamaica per poi tornare in patria. Ha studiato animazione all’Accademia di Arte & Design Bezalel, per poi concentrarsi sulla musica e fondare una sua band, i Mojos, che diventa ben presto uno dei gruppi più popolari del suo Paese. Ci tiene a non finire stritolato nei meccanismi del business, e allora dà vita a una sua etichetta indipendente e nel 2008 pubblica The reckoning che gli conquista l’attenzione della critica e la curiosità dei mercati anche al di là dei patri confini. Comincia a girare il mondo con tour sempre più affollati: l’Europa e gli States, e poi l’India e la Cina. Grazie alla rivisitazione modernista di un dj tedesco il remix di One Day/Reckoing Song spiana la strada al suo decollo come solista, suggellato lo scorso anno con la pubblicazione del pregevole Different Pulses, a tutt’oggi il suo ultimo album. Fin qui la storia. Avidan miscela folk-rock e blues d’autore con grande personalità e un timbro vocale da brividi. I suoi testi prediligono le immersioni introspettive alle estro- versioni sociologiche, ma non di rado racchiudono e fotografano molte delle inquietudini contemporanee, tanto più presenti in una terra da troppo tempo abituata a convivere con la paura. «La riprovazione, il senso di colpa, il dolore, la vergogna, i padri fondatori del nostro piano: tutto questo è incastrato dentro nuvole cariche di pioggia. Un giorno saremo vecchi, e penseremo a tutte le storie che avremmo potuto raccontare», così canta nel suo brano più celebre. Il mondo di Avidan è, come ben mostrano molti suoi clip, il riflesso di quello che ci passa accanto ogni giorno: con le sue pulsioni e i suoi smarrimenti, e le sue derive anche; ansie e valori non sempre condivisibili, ma mostrati senza retorica o sentimentalismi da supermercato. Là dove il binomio dolore - amore pervade tutta la sua poetica, richiamando maestri a cui spesso è stato accostato: Leonard Cohen e Jeff Buckley in primis. Ha poco più di 30 anni Asaf, e forse per questo sa raccontare il precariato del vivere col linguaggio diretto ed emotivo degli adolescenti e il disincanto dolente degli adulti. Eppure sotto le note e le rime delle sue canzoni sopravvivono speranze universali e sogni grandi: fremiti di un’anima irrequieta che solo una voce davvero straordinaria riesce a trasformare, a seconda delle occasioni, in ali o in stimmate. Ascoltare per credere. Franz Coriasco [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 53 LIBRI L’industria delle armi I l ruolo dell’industria militare, la questione internazionale dei trasferimenti di armi, il dibattito sulla non violenza e l’obiezione di coscienza; sono tematiche, di grande attualità, affrontate dal libro “Affari di Armi. Percorsi di pace. Attualità, ricerca e memoria per la pratica della nonviolenza” (edito da Emi). L’Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa) nel suo quinto annuario decide di partire dall’attualità per far luce su tematiche che spesso rimangono fuori dai dibattiti pubblici. Il libro analizza la “questione armi” seguendo una mappa geopolitica. Al fianco dell’attualità, troviamo le vie della ricerca e della memoria, per ricordare i disastri della guerra e al tempo stesso promuovere una cultura della non violenza. Di fondamentale importanza affrontare la questione in un’ottica di attualità, partendo Opal AFFARI DI ARMI. PERCORSI DI PACE. ATTUALITÀ, RICERCA E MEMORIA PER LA PRATICA DELLA NON VIOLENZA Edizioni EMI - € 17,00 dalla questione delle “pistole fantasma” dell’azienda Beretta o le esportazioni di armi verso la Libia. Al fianco dell’attualità troviamo, nella parte centrale del volume, una sezione dedicata alla ricerca, che ripercorre, in maniera approfondita con l’ausilio di tabelle e grafici, sia i cambiamenti del commercio di armi a partire dalla caduta del muro di Berlino, fino al sopraggiungere della crisi finanziaria, sia come l’industria aerospaziale in Europa in questi anni sia mutata. La terza ed ultima parte viene dedicata alla memoria, dando voce alle esperienze degli obiettori di coscienza della città di Brescia, a partire dai primi anni Settanta. Episodi che dimostrano come il movimento non violento abbia dato importanti input, sia per la creazione di nuove leggi, sia nell’esempio per altre storie, come i cosiddetti “obiettori professionali”, ovvero coloro che lavorando in aziende armiere, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, si opposero alla collaborazione di produzioni belliche. Francesca Baldini Dialogare sul Vangelo di Luca U Marcelo Barros IL VANGELO CHE LIBERA Edizioni Emi - € 15,00 54 n dialogo per commentare il Vangelo secondo Luca. È così che si presenta il libro di Marcelo Barros dal titolo: “Il Vangelo che libera”, edito dalla Emi. Attraverso la conversazione che l’autore ha con persone di diversi contesti culturali e spirituali, con esegeti e uomini e donne che hanno scritto sul Vangelo secondo Luca, si struttura il testo, che proprio per questa sua genesi acquisisce quasi la forma di un lavoro comunitario. Nelle pagine del libro sono, però, anche inserite preghiere e affermazioni di persone di altre tradizioni religiose, dato che Marcelo Barros nei suoi scritti difende una spiritualità improntata al dialogo interreligioso e volta al rispetto del creato. L’autore presenta il suo testo scrivendo: «Desidero invitare te, che tieni in mano questo libro, a partecipare ad una riunione a distanza. Da tempo volevo scrivere un commento ai Vangeli sullo stile di una chat o di un blog, cioè in uno stile dialogante, accessibile anche ai giovani. Così mi sono messo d’accordo con alcune persone di diverse sensibilità e ho cominciato a scrivere, in uno stile colloquiale, un commento al Vangelo di Luca. Nel volume ho riportato alcuni di questi dialoghi, a volte indirettamente per rispettare la riservatezza degli autori, altre volte in modo più esplicito dopo aver ricevuto il loro permesso. A te che ora cominci la lettura chiedo di entrare in una prospettiva plurale e macroecumenica. Parteciperai a un dialogo con la comunità che, intorno all’anno 80 d.C., era legata al nome di Luca, profeta e discepolo della seconda generazione cristiana». Martina Luise POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 U n libro indirizzato ai giovani di tutti i continenti affinché, animati dal principio ereditato da frère Roger sulla “nuova solidarietà”, «mobilitino le loro energie, mettano in comune le loro attese, intuizioni ed esperienze» per dare nuovo slancio al cammino di fede che li porterà a Taizé nell’agosto 2015. Sono più di 30 anni che prosegue il «pellegrinaggio di fiducia sulla terra», lanciato da frère Roger per «permettere alle nuove generazioni di testimoniare che Cristo ha instaurato una solidarietà nuova estesa a tutta la famiglia umana, al di là delle frontiere politiche, etniche, sociologiche, confessionali e anche religiose». Il priore della Comunità di Taizé, frère Alois, nel libro “Pellegrini di fiducia. Il cammino di comunione seguito a Taizé” (edizioni Emi), raccoglie le lettere e gli scritti del suo fondatore e sottolinea il desiderio di riconciliazione tra la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e quella protestante. In uno scritto frère Roger sottolinea che «la Chiesa è divisa, ma nelle sue profondità è indivisa: nel cuore di Dio è una. Sta a noi creare dei luoghi in cui questa unità possa emergere e diventare manifesta». Questa è la vocazione di Taizé. Prendendo spunto dagli Atti del Concilio Vaticano II, nel 1959, frère Roger fa sue le parole di PELLEGRINI DI FIDUCIA IL CAMMINO DI COMUNIONE SEGUITO A TAIZÉ Edizioni Emi - € 10,00 papa Giovanni XXIII: «Non faremo un processo alla storia, le responsabilità sono comuni, non cerchiamo di sapere chi ha avuto torto e chi ragione, diciamo solo: “Riconciliamoci!”». E per Roger l’unità dei cristiani sembrava poter diventare una realtà. Ancor oggi a Taizé vive lo spirito del Concilio. Dalla fine del Vaticano II il numero dei giovani cresce. Durante la crisi degli anni Sessanta frère Roger propone loro di vivere un’esperienza di comunione simile a quella vissuta dai vescovi: nasce così il “Concilio dei giovani”, sostituito più tardi dal “pellegrinaggio di fiducia sulla terra” che prosegue tutt’oggi con incontri a Taizé e nel mondo. Sono migliaia i giovani ortodossi, cattolici e protestanti di varie nazionalità che continuano a vivere la stessa esperienza di amicizia, rispetto, sostegno reciproco, superando barriere culturali e confessionali per trovare in Cristo la loro unità e fede. Chiara Anguissola Dieci anni senza Carlo C’ è un uomo semplice al centro di una grande storia umanitaria. Nel libro di Vincenzo Varagona, “Il medico della Sars. Carlo Urbani raccontato da quanti lo hanno conosciuto” (Edizioni Paoline), c’è un solo protagonista descritto a più voci da parenti e amici: si chiama Carlo Urbani ed è il ricercatore di Castelplanio, in provincia di Ancona, morto il 29 marzo 2003 a Bangkok per una polmonite atipica provocata dal virus della Sars. La stessa malattia contro la quale Carlo Urbani, da settimane, stava combattendo nel suo laboratorio in Thailandia per tentare di scongiurare una possibile pandemia. Una battaglia che gli è costata la vita: dopo aver scoperto e reso inoffensivo il virus, Urbani, già esponente di Medici Senza Frontiere e punto di riferimento per la Regione del Pacifico Occidentale dell’Organizzazione mondiale della LIBRI Giovani verso Taizé 2015 Frère Aloise di Taizé cata solidarietà, di emergente umanità», come ricorda don Decio Cipolloni, oggi vicario per la Pastorale a Loreto. «Mio figlio sapeva sognare» dice mamma Maria, che per dare continuità all’azione svolta dal suo primogenito, in collaborazione con Giuliana, la moglie di Carlo, e di un gruppo di amici, nel 2003 fa nascere l’Associazione Italiana Carlo Urbani (onlus). L’intento è quello di «raccogliere risorse per continuare a lavorare sui progetti avviati dal medico marchigiano». Mariella Romano Sanità, ne è rimasto contagiato. Così, a dieci anni dalla sua scomparsa, il cronista dell’Avvenire e di Famiglia Cristiana, Vincenzo Varagona, torna in punta di penna a Castelplanio, nei luoghi che hanno visto Carlo bambino e poi studente universitario impegnato attivamente nel mondo del volontariato cattolico; e infine scienziato di grande umanità. Ne fa un ritratto, andando a bussare alla porta di casa di parenti e amici. E soprattutto affidandosi ai ricordi di mamma Maria Concetta Scaglione, dei fratelli Paolo e Cristiana, del giovanissimo figlio Tommaso, ma anche dei tanti amici che hanno condiviso con Carlo, negli anni Settanta, la nascita del Vincenzo Varagona “Gruppo Solidarietà”: un’espe- IL MEDICO DELLA SARS CARLO URBANI RACCONTATO rienza a favore dei malati che DA QUANTI LO HANNO ha trasformato Castelplanio, «in CONOSCIUTO un centro di accoglienza, di spic- Edizioni Paoline - € 17,00 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 55 CIAK DAL MONDO 56 U N G I O R N O D E V I A Sul fiume scorre l S civola lento sul fiume il battello che porta suor Franca e Augusta tra le comunità degli indios sparse in mezzo alla Foresta amazzonica brasiliana. Grandi orizzonti e silenzi rendono profonde le risonanze delle emozioni interiori delle due viaggiatrici, in particolare di Augusta, una donna italiana di 30 anni alla ricerca del senso della sua vita dopo la fine del matrimonio e la perdita di un bambino. E chi meglio di una missionaria può accompagnare una strada così difficile? Il senso di tanti cammini diversi si riassume nel titolo dell’ultimo film di Giorgio Diritti “Un giorno devi andare”, il regista de POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 “Il vento fa il suo giro” (2005), vincitore nel 2009 del Festival Internazionale del Film di Roma con “L’uomo che verrà”. Attraverso gli occhi della giovane donna (una convincente Jasmine Trinca) seguiamo il lavoro quotidiano dei missionari che cercano di dare risposte concrete ai bisogni materiali e spirituali delle comunità di indios sparse sul territorio. Suor Franca (Pia Engleberth) insegna ai bambini, cura i malati, cerca di recuperare chi si lascia affascinare dalle promesse delle sètte, mangia poco e male, attraversa grandi distanze da sola o in compagnia, è al servizio del Vangelo 24 ore su 24. Nei suoi spostamenti incontra padre Mirko (Fredo Valla), impegnato a costruire un grosso complesso alberghiero con imprenditori italiani: un modo di fare missione attraverso la realizzazione di grandi opere come ospedali, scuole, chiese, centri turistici, realizzati con flussi di denaro dall’Europa. Nel centro sanitario di un villaggio padre Fernando (Davide Tuniz), gesuita di 40 anni, cura gli ammalati e si dedica completamente al servizio ai poveri. La sua messa è spoglia, essenziale, ma ricca di spiritualità perché il missionario crede che il Vangelo sia da vi- vere e non da predicare e che l’esempio sia la chiave del cammino dell’evangelizzazione. I due sacerdoti e la religiosa incarnano modi diversi di fare missione, spendendo la vocazione tra evangelizzazione e promozione umana. L’irrequieta Augusta osserva e condivide quella ricerca di senso che l’ha fatta arrivare fino agli estremi confini della terra. E che ancora la spinge CIAK DAL MONDO A N D A R E la vita in uno slum di Manaus, tra gli emarginati con cui condivide l’umanità e la povertà. Forte è il contrasto con la vita borghese che Augusta si è lasciata in Italia, dove persino con la madre (Anne Alvaro) e la nonna i rapporti sono scarni e quasi imbarazzati. L’irrequieta esploratrice dei fondali dell’anima cerca la felicità tra tutto ciò che è vero al di là del consumismo e delle convenzioni sociali. La natura è il suo ultimo approdo, l’ultima spiaggia in cui restare sola per guardarsi dentro e riconoscere quell’ansia di vita che la perdita di un figlio ha reso più acuta. Dice il regista, cresciuto alla scuola di Olmi: «Abbiamo cercato di dare una lettura laica della missione, seguendo un viaggio in cui lo spettatore potesse sentirsi vicino ad Augusta, ai suoi sentimenti, per rispondere alle cose che ci interrogano. Anni e anni di consumismo ci hanno portato benessere ma anche una vita sempre di corsa e oggi insicurezza a causa delle certezze che si sfaldano per colpa della crisi. Invece il film ci mostra le immagini senza prezzo di un bambino che sorride in mezzo alle baracche di una favela». Miela Fagiolo D’Attilia [email protected] MOZAMBICO PATTO DI PACE A poco più di 20 anni da quello storico 4 ottobre 1992, un documentario racconta la lunga strada verso la pace che, dal Mozambico insanguinato dalla guerra, avrebbe portato fino a Roma per la firma di un trattato che ha voltato pagina alla storia del Paese africano. Mozambique, paths of peace è il titolo dell’opera firmata dalla regista Sol de Carvalho (prodotta da FilmWork Trento e Pomarte Maputo) che ricostruisce il lento processo di dialogo che ha portato i leader del Frelimo e della Renamo a trattare lungamente grazie alla mediazione del diplomatico Mario Raffaelli e della Comunità di Sant’Egidio di Roma. Raffaelli, che a questo scopo ha dedicato 10 anni della sua vita, prima come sottosegretario agli Esteri del governo italiano e poi come coordinatore dei mediatori durante la trattativa di pace, è uno dei protagonisti che raccontano gli eventi in un sapiente montaggio in cui si alternano politici mozambicani, mediatori, diplomatici e giornalisti. Le trattative, iniziate nel 1990, si erano rese indispensabili per riportare a normalità un Paese insanguinato dalla guerra civile, in particolare dopo la morte, il 19 ottobre 1986, del presidente Samora Machel che aveva lottato per ottenere l’indipendenza del Mozambico dal Portogallo (ottenuta il 25 giugno 1975). Gli successe, come ben ricostruisce il documentario, Joaquim Chissano (a capo del Paese fino al 2005) che si avvicinò all’Unione Sovietica e gestì i non facili rapporti con i vicini Sudafrica e Zimbabwe che sovvenzionano il gruppo anticomunista Renamo - Resistencia Nacional Mocambicana, con a capo Alfonso Dhlakama, in guerra con il governo. Proprio quest’ultimo, insieme a Mario Raffaelli, il vescovo Matteo Zuppi, Andrea Riccardi e molti altri invecchiati dagli anni, ricostruiscono “a futura memoria” ciò che accadde in quegli anni per costruire una pace, rivelatasi poi salda perché fondata su solidi pilastri. M.F.D’A. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 57 VITA DI MISSIO di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA [email protected] on Michele Autuoro è il nuovo direttore di Missio, organismo pastorale della Cei. Nato a Procida 47 anni fa, è entrato in seminario a Napoli nel 1985 e dopo il diaconato è stato nominato viceparroco in una parrocchia della città, svolgendo anche il ruolo di viceassistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica cittadina. In seguito è stato per otto anni formatore nel seminario di Napoli, collaborando attivamente con la Caritas locale. Nel 2000 è tornato nella sua isola come parroco, dove si è occupato soprattutto di pastorale giovanile fino al 2007, quando il cardinale Crescenzio Sepe lo ha nominato parroco di Santa Maria della Mercede in Sant’Orsola a Chiaia, quartiere che è un po’ il “salotto buono” della città partenopea. Ma dove, dice il nuovo direttore di Missio, «abbiamo cercato di lasciare sempre le porte aperte per dare a tutti la possibilità di fermarsi. La mia formazione di questi anni è legata non solo al mondo missionario ma al rapporto con la gente, alla vita di parrocchia». Come direttore del Centro missionario diocesano di Napoli ha svolto un primo mandato che il vescovo gli aveva rinnovato anche se, dice don Autuoro, «nei prossimi mesi sarà nominato un nuovo direttore e quindi lascerò l’esperienza diocesana per assumere questo incarico nazionale. Il mio primo contatto con la missione è nato con qualche viaggio fatto 16 anni fa in Uganda e poi in Kenya, grazie all’amicizia con un istituto di suore che seguo spiritualmente da anni. Avevo 28 anni ed ero stato ordinato sacerdote da quattro». Oggi che don Autuoro festeggia i 22 D Da Procida ad gentes 58 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 DonVademecum Michele Autuoro, nuovomissionario direttore del Centro Per fede anche noi D ai Seminari maggiori d’Italia 121 seminaris ti ha cipato al 57esimo Co nvegno Missionario Na nno partenaristi dal titolo “Per zionale Semifede anche noi”, svolt osi dal 12 al 15 aprile scorsi presso il Ce ntro vani partecipanti, appa Giovanni XXIII di Frascati (RM). I giort sionaria dei Seminari enenti a 26 gruppi di animazione mismaggiori d’Italia, si so no ritrovati al convegno promosso ogni anno da Missio Consac rati: format simile ad un pr ogramma televisivo ha mediante un nn loro confratelli giunt i da tutta Italia che ha o coinvolto i nn to e fatto conoscere le peculiarità delle lor o presentao zone di provenienza. I lavori si sono aper signor Raffaello Mar ti con la messa presieduta da montin don Alfonso Raimo, se elli, vescovo di Frascati, mentre gretario nazionale di M iss ti e della Pontificia Op era di San Pietro Apos io Consacradotto la relazione “C tolo, ha introristo Missionario” pr esentata da monsignor Gianfrancesco Colzani, docente di Te ologia della Missione presso la Pont ificia Università Urba niana di Roma. Nel corso della conferenza sono emerse diverse ve all’esortazione ap domande relatiostolica post sinodale Evangelii Nuntiandi di Paolo VI del 1975 , ch gelizzazione del mondo e introduceva la tematica dell’evanmoderno; uno spunto i gruppi di studio che di riflessione per sono seguiti, momen to sempre molto richiesto e apprezzato da tutti i seminaristi in ogni convegno. I lavori sono proseguit i con una tavola roto nda alla quale hanno partecipato padre Gi uli la Fondazione Missio, o Albanese, direttore delle riviste delGianfranco Cattai, pr esidente della Focsiv, Fulvio ed Elisabett a Ferrari, famiglia fid ei donum della diocesi di Roma, recentemen te rientrati dal Mozam bico, che hanno presentato le loro espe rienze forti di mission e. Filippo Rizzatello Sopra: Alcuni momenti del convegno nazionale dei seminaristi promosso come ogni anno da Missio Consacrati. anni di sacerdozio, ricorda il suo desiderio di partire missionario ad gentes, nato da quei primi approcci con la missione in Africa. Ricorda: «Negli anni successivi ho chiesto al mio vescovo, che allora era il cardinale Giordano, di poter partire come fidei donum, perché sentivo che il desiderio di essere missionario si stava facendo strada in me. Ma il vescovo ritenne che la diocesi non potesse permettersi che un sacerdote partisse per la missione. Così mi sono tenuto la missione nel cuore, anche perché, come diocesi, Napoli non ha esperienza di sacerdoti fidei donum, se non nel caso di un missionario in Madagascar ormai molto anziano che ha deciso di non rientrare più in Italia e di morire lì. Solo negli ultimi anni è stato inviato un sacerdote, don Angelo » Esposito, in Guatemala». POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 59 VITA DI MISSIO La strada del servizio di don Autuoro tornava invece in seminario per formare nuovi sacerdoti e «il vescovo mi nominò parroco perché disse che quella realtà era la mia missione. Sono stato nominato parroco là dove non sarei voluto andare, cioè nella mia isola, dove sono stato parroco otto anni. Nel frattempo ho mantenuto i contatti con le missioni che avevo conosciuto in Africa e quando è arrivato l’attuale vescovo, il cardinale Sepe, mi ha incaricato di dirigere il Centro missionario». 60 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 Don Michele Autuoro, nuovo direttore La Chiesa è molto sensibile alla realtà missionaria, le parrocchie hanno gemellaggi e scambi con le Chiese del Sud del mondo, il problema, come Centro missionario diocesano di Napoli, è quello di confrontarsi con una realtà molto frammentata con la presenza di tanti volontari, in un territorio ricco di fermenti missionari. «In questi anni – continua don Autuoro - si è puntato a creare una équipe di animazione missionaria, stabile e affiatata in cui anche i rappresentanti degli Istituti missionari hanno dato un grande apporto al lavoro comunitario in diocesi. Da questo punto di vista c’è stata partecipazione e comunione anche con laici impegnati in gruppi missionari o parrocchie che avevano già esperienza nell’animazione missionaria nell’orizzonte della missio ad gentes». Come direttore di Missio, don Autuoro è impegnato a mettere a fuoco le sfide della missione nell’era della globalizzazione. Con impegno e ottimismo. Dice infatti che «se è vero che la Chiesa italiana negli ultimi decenni ha registrato la diminuzione del numero di sacerdoti, è anche vero che non mancano segnali di una rinascita delle vocazioni, espressione di ricchezza, vivacità spirituale e pastorale che oggi trovano spazio in molte forme di partecipazione alla vita della Chiesa e della missione. Penso non solo ai sacerdoti ma anche ai laici. Certamente gli orizzonti pastorali sono cambiati, diventando sempre più variegati. A volte siamo portati a dire che la missione è qui, toccando con mano che le sfide della missione sul nostro territorio sono aumentate, impegnandoci ad investire molte energie e personale. Questo non deve farci mai dimenticare, però, l’orizzonte della missio ad gentes, nell’ottica del documento della Cei “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”. Dall’osservatorio privilegiato di Missio, queste e molte altre tematiche emergono con urgenza e chiarezza. Qui c’è un grande lavoro in cui mi inserisco “in corsa” per continuare un servizio già molto ampio. Mi metto al servizio della missione». In questo lo aiuterà una frase della liturgia che si porta dietro da quando è diventato sacerdote: «“Fare di Cristo il cuore del mondo”: è questo il mio programma di servizio». ELOGIO DELLA FELICITÀ I n una delle sue prime omelie, papa Francesco esortava noi giovani a non avere paura della felicità, anzi a progettare la nostra vita in funzione della felicità piena, autentica. Il nostro itinerario per quest’Anno della Fede si conclude dunque “rischiando” la felicità. Non ci può essere infatti una vita felice per ognuno di noi se non si corrono dei sani rischi, se non si fanno delle scelte importanti con la conseguente presa di coscienza che ogni scelta poi chiede l’assunzione delle proprie responsabilità. Una vita felice, piena, appagata, non la regala nessuno. Possono illuderci con proposte emozionanti, ma tutte avranno un retrogusto insoddisfacente se non orientate alla felicità vera. La felicità non è l’allegria momentanea, ma è pienezza interminabile. La felicità va scelta e progettata, va desiderata ardentemente e difesa dagli attacchi del “buon mercato” che offre altro a miglior prezzo, ma senza lo stesso esito finale. La felicità passa per una porta stretta che, se devi scegliere razionalmente, non varcherai mai, ma una vita felice spesso deve sgretolare le mura della razionalità che invece vorrebbe imprigionare i sogni. Osate una vita felice, giovani della bella speranza, non accontentatevi di trascinare un’esistenza per seguire il conformismo di chi crede che i sognatori sono degli imbecilli. Osare anche col rischio di fallire, certo! Nessuna strada è certa finchè non la si percorre! Nessun cammino sarà il proprio finché i sandali non scuoteranno la terra sotto di essi. E se poi si sbaglia? Si ricomincia. Nulla è talmente definitivo da non avere rimedio, da non avere ancora una chance. È la paura di fallire che immobilizza i nostri piedi, che congela i nostri sogni: ma cos’è questa se non una trap- pola? Un discernimento così lungo da non farti più scegliere è l’aborto di un sogno. Allontanatevi da questi tormenti, prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro, ma subito! Non esitate! Non aspettate di invecchiare e di scegliere per stanchezza: siate coraggiosi come lo è stato Gesù di Nazareth. Se gambe e cuore non sono coordinati si rischia di inciampare durante la strada, ecco perché ogni sogno va progettato: la vita non si improvvisa, ma si percorre un passo alla volta. Molto importante è certamente camminare insieme, mai da soli. La solitudine può divenire una corazza impenetrabile mentre in un buon discernimento il cuore deve essere libero e conoscibile, puro, senza filtri, disposto a compromettersi e mettersi in gioco. «Canta e cammina» scriveva Agostino da Ippona. Sia il nostro stile lungo questa strada che adesso ci chiede di osare! DI ALEX ZAPPALÀ* - [email protected] SPAZIO GIOVANI *Segretario nazionale Missio Giovani POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 61 VITA DI MISSIO I nuovi discepoli Perché i Seminari, specialmente delle Chiese di missione, formino pastori secondo il cuore di Cristo, interamente dedicati all’annuncio del Vangelo. di FRANCESCO CERIOTTI [email protected] invito a pregare secondo l’intenzione di questo mese richiama il compito che Gesù affidò ai suoi discepoli prima di salire al cielo: «Andate dunque e fate discepoli L’ 62 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,20). Un compito che Gesù affida anche a quanti, lungo il corso del tempo, continuano la missione degli apostoli: annunciare il Vangelo. Intenzione missionaria Maggio 2013 «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi» raccomanda Gesù ai suoi discepoli. E il suo amore abbraccia ogni essere umano: gli “altri”, a cui Gesù invia i suoi discepoli, e quanti credono in lui, sono tutti i popoli. La necessaria formazione dei pastori di cui parla l’intenzione del mese, perché sia «secondo il cuore di Cristo», richiede di saper accogliere l’amore di Dio per donarlo agli altri, non chiudendosi in se stessi. L’amore di Dio è infinitamente comunicativo e, se veramente vissuto, stimola chi lo riceve a farne partecipi anche gli altri. L’invito di questo mese, se accolto come punto di riferimento della preghiera, è una provvidenziale occasione per riflettere sull’amore fraterno, di cui la preghiera è una, non secondaria, espressione. L’amore fraterno del cristiano, che ha come punto di riferimento l’amore di Gesù, non ha la sua misura in sé ma sopra di sé, poiché l’amore di Dio è stato riversato nel cuore del credente per mezzo dello Spirito Santo che gli è stato donato il giorno del battesimo. PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA Non solo INSERTO PUM opere di ALFONSO RAIMO [email protected] P adre Paolo Manna, fondato- no ottenute comunità di cristiani dire della Pontificia Unione pendenti «dai sacrifici, dagli sforzi deMissionaria, con estrema fer- gli altri», più abituati a ricevere che a mezza, polemizzando con una pras- dare. Alla domanda: «Il denaro per le si missionaria consolidata, denunciò missioni non serve?» soleva rispondequella che definì «l’organizzazione ma- re: «Serve, come ho già detto, ma servono di più i missionaterialistica delle misri. Quante missioni, afsioni», basata sulla «teoNON C’È, ria dell’assoluta necesPREGIUDIZIALE fidate ad Istituti di nasità del denaro», la cui DEMONIZZAZIONE zioni dove le vocazioni scarseggiano, rinunziericerca era diventata DEL DENARO MA rebbero volentieri a «quasi un’ossessione». RIVENDICAZIONE qualunque denaro, per Non intendeva negare DI UNA LIBERTÀ avere di buoni rinforzi l’importanza degli aiuPER IL SERVIZIO di nuovo personale!». ti economici alla causa Non c’è, dunque, predella missione, ma conALLA PAROLA giudiziale demonizzadannare la perniciosa e E RIFIUTO DI zione del denaro ma quasi assoluta dipenUNA LOGICA rivendicazione di una lidenza dell’attività misASSENTEISTA, bertà per il servizio alla sionaria dal denaro. GIUSTIFICATA Parola e rifiuto di una Riteneva che il denaro DAL PRINCIPIO logica assenteista, giustifosse, lentamente e siNON CRISTIANO ficata dal principio non lenziosamente, diventato il «criterio ultimo DELLA DELEGA. cristiano della delega. Non disdegnando l’are supremo» di un’attività ridotta a faccenda economica. ma dell’ironia commentò la situazioQuesto modo di concepire la missio- ne con queste amare parole: «Lo ne aveva prodotto una deplorevole di- Spirito Santo deve oggi fare i conti pendenza non solo ecclesiale, ma con gli economi delle missioni e anche politica ed economica. Si era- può permettersi di spingersi solo fin dove consentono le finanze». Vedeva in questa dipendenza dal denaro un pericolo per la stessa causa di Dio. Questa interpretazione riduzionista che identifica la missione con cose da fare e progetti da realizzare, ritiene che l’efficacia di un’azione missionaria dipenda dalla quantità di denaro investito e dei mezzi utilizzati. Un’idea della missione legata esclusivamente alle opere da compiere, sempre secondo padre Manna, porta all’inevitabile ricerca del prestigio, dell’interesse, della gloria da parte degli evangelizzatori. Una mentalità eccessivamente umana (e occidentale) aveva ridotto la missione alle sue sole opere. Quanto gli sembrava antievangelica questa visione della missione! Quanto lontano dallo stile imposto da Gesù ai discepoli partenti, appariva quello dei nuovi inviati! Il sine pera et sine sacculo aveva lasciato il posto alle nuove esigenze di una evangelizzazione materialmente quantificabile. Critico verso il mito dell’efficienza e delle opere, osservò che ci sono troppe missioni «ricche e stagnanti». Le polemiche osservazioni di padre Manna volevano condannare » (Segue a pag. 65) POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 63 PONTIFICIA UNIONE GAMIS TORINO I l gruppo missionario del Seminario diocesano di Torino è rifiorito nell’ultimo biennio, grazie all’entusiasmo e all’impegno di alcuni nuovi membri. Quest’anno, a formare il GAMIS siamo una decina di seminaristi. Ci coordina il rettore del Seminario maggiore, don Ennio Bossù, che ha trascorso gran parte dei suoi 50 anni di sacerdozio come fidei donum, soprattutto in Guatemala. Riteniamo che conoscere e sostenere la Chiesa missionaria sia indispensabile nella formazione dei futuri preti; tanto più nell’Europa del secolo XXI, dove la nuova evangelizzazione e la pastorale dei migranti fanno tesoro dell’esperienza maturata nel Sud del mondo dai missionari ad gentes. Tra le tante iniziative, i momenti di preghiera guidati dal GAMIS sono il nostro principale contributo per le missioni. Proponiamo innanzitutto il rosario (quotidiano in ottobre e settimanale nel resto dell’anno), durante il quale leggiamo alcuni pensieri di qualche santo o beato. Nel corso dei sette anni di formazione, ogni seminarista torinese compie almeno un 64 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 MISSIONARIA viaggio in un Paese di missione, ed anche in Italia non mancano le occasioni per incontrare chi annuncia il Vangelo in altre parti del mondo. In Seminario e presso la facoltà teologica, viviamo a stretto contatto con alcuni seminaristi africani e indiani. Ospitiamo volentieri vescovi e preti missionari, testimoni autorevoli delle molte forme attraverso cui la Chiesa esprime l’unica fede in Cristo. Ospite d’eccezione è il visitatore inviato ogni anno dalla Pontificia Unione Missionaria, padre Lorenzo Snider, della Società Missioni Africane. Ogni primavera due rappresentanti del GAMIS torinese partecipano al Convegno missionario nazionale dei seminaristi diocesani, occasione d’incontro con i nostri “colleghi” del resto d’Italia: molte delle idee contenute in quest’articolo sono frutto delle riflessioni suggerite dagli animatori della Fondazione Missio. Oltre alla Mole Antonelliana, a rendere nota la nostra provincia concorre l’impegno caritativo di tanti cittadini, dai “santi sociali” fino ai giorni nostri. Naturalmente la nostra arcidiocesi è molto attenta agli aspetti pratici della carità evangelica. Non dimentichiamo che, in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo, la promozione umana accompagna necessariamente l’annuncio del Vangelo, per consentire la crescita integrale delle persone e dei popoli. Almeno in Quaresima, partecipiamo anche noi alla raccolta d’offerte promossa dall’Ufficio missionario diocesano: dopo aver sostenuto un prete indiano nel Tamil Nadu, ora stiamo aiutando i nostri due sacerdoti fidei donum in Kenya. Attraverso queste ed altre iniziative, e con la speranza di avviare anche nuove collaborazioni, il GAMIS tiene viva l’attenzione missionaria dei seminaristi di Torino. GAMIS del Seminario diocesano di Torino INSERTO PUM MISSIONE KABUL IL CORAGGIO DI ESSERCI D una metodologia che LE POLEMICHE dava «troppa prevaOSSERVAZIONI lenza al materiale con DI PADRE MANNA mortificazione dello VOLEVANO spirituale». A rimedio CONDANNARE di tutto questo proponeva l’acquisizione di UNA METODOLOGIA una diversa mentalità, CHE DAVA «TROPPA più apostolica e testiPREVALENZA AL moniale, frutto genuiMATERIALE CON no di un’autentica conMORTIFICAZIONE versione degli evangelizzatori e di un recu- DELLO SPIRITUALE». pero della dimensione personale e relazionale. Nella sua azione il missionario dovrà continuamente far riferimento a Cristo, nella cui scia si colloca, il Figlio di Dio sceso «dal cielo in terra per mostrarcene la via e il metodo». La mentalità della missione non può che derivare da Gesù, dal suo insegnamento, dal suo mandato; non basta evangelizzare, ma siamo chiamati a evangelizzare con lo stile e i modi di Gesù. Possiamo essere d’accordo o meno sulle osservazioni di padre Manna, possiamo considerarle passate o attuali, ma dobbiamo necessariamente ritenere che la missione è, e deve restare, bellezza del servizio, gioia dell’annuncio, stupore dell’incontro, ricchezza della condivisione. al 2006 è presente a Kabul una comunità religiosa intercongregazionale che racconta ogni giorno l’amore di Dio per tutti, oltre ogni distinzione culturale, religiosa o etnica. Questa piccola fraternità è la risposta al grido accorato di Giovanni Paolo II: «Salvate i bambini di Kabul!». Era il Natale del 2001: di qui è iniziato un percorso sostenuto dalle due Conferenze nazionali dei religiosi e delle religiose CISM e USMI - sfociato, il 7 aprile 2004, nella istituzione dell’Associazione Onlus Pro Bambini di Kabul (PBK), formata da 14 congregazioni religiose, che ha reso possibile l’avvio di un progetto molto coraggioso: l’apertura a Kabul di un Centro diurno per bambini disabili mentali, animato e curato da religiose. Una piccola casa in affitto ha accolto il 29 aprile 2006 la prime quattro sorelle di tre diverse congregazioni, mentre il 22 maggio si inaugurava il Centro diurno per bambini disabili mentali non gravi, che attualmente raccoglie una quarantina di bambini e bambine tra i 6 e i 12 anni, destinatari del progetto finalizzato allo sviluppo dell’autonomia di ciascun allievo in vista di una integrazione nella scuola normale. L’azione educa- tiva – che si propone ed è riconosciuta come un modello innovativo - si avvale di importanti collaborazioni esterne: i genitori dei bambini, la scuola statale afghana e lo stesso Ministero dell’Educazione afghano. Ma è la testimonianza della carità che ha fatto del Centro un vero cortile dei gentili, edificato dalle missionarie che, con indubbio coraggio, fiducia illimitata nella forza dello Spirito e francescana letizia, condividono la vita della gente, nel segno della più radicale incarnazione, rispettando e assumendo usi e costumi del popolo, dicendo con i fatti che la convivenza pacifica, l’amore fraterno e il perdono richiesti da Gesù ai suoi sono possibili. Il loro prendersi cura dei piccoli disabili emarginati può far risplendere la stella della speranza in mezzo a un popolo segnato da tensioni etniche e religiose e lacerato dalle guerre: un servizio a cui tutti siamo chiamati, ci ricordava papa Francesco all’inizio del suo pontificato. E questa stella brilla anche nelle notti più buie di Kabul. Suor Azia Ciairano Responsabile animazione missionaria USMI POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013 65