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Ghiaccio bollente Ghiaccio bollente
ANNO XXVII
MAGGIO
2013
MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA
5
In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito
Groenlandia
Ghiaccio bollente
PRIMO PIANO
Venezuela
fragile equilibrio
FOCUS
Spirulina
l’alga che salverà il mondo
INCHIESTA
“Globesi”
e affamati
Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50
Fondazione Missio
Sezione Pontificie Opere Missionarie
Via Aurelia, 796 - 00165 Roma
MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA
Trib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica.
Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM)
Presidente (APM): GIOVANNI ATTILIO CESENA
La rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.
Direttore responsabile: GIULIO ALBANESE
Redazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis.
Segreteria: Emanuela Picchierini.
Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma.
Abbonamenti: 06 66502632.
Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Francesca Baldini,
Mario Bandera, Roberto Bàrbera, Marco Benedettelli, Francesco Ceriotti,
Azia Ciairano, Franz Coriasco, Francesca Lancini, Martina Luise, Luciana Maci,
Davide Maggiore, Paolo Manzo, Enzo Nucci, Francesco Occhetta, Alfonso Raimo,
Filippo Rizzatello, Mariella Romano, Alex Zappalà.
Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.
Foto di copertina: AFP Photo/Paul J. Richards/FILES
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Giustizia e Pace Giovanni Paolo II di Kampala, Gianni Cesena, Amedeo Cristino, Eugenio Di Giovine,
Ismaila Mbaye, Filippo Rizzatello, Aldo Vristi, Ansgar Walk.
Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;
Benemerito € 30,00; Estero € 40,00.
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Popoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e Missione
Cod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968
Stampa: Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 - Montefiascone (VT)
Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.
Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.
Chiuso in tipografia il 26-04-2013
Supplementi elettronici di Popoli e Missione:
MissioNews (www.missioitalia.it)
La Strada (www.giovani.missioitalia.it)
Don Giovanni Attilio Cesena, Direttore
Dr. Tommaso Galizia, Vice Direttore
Don Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazione
della Fede (C.C.P. 63062723)
Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo
(C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)
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INTENZIONI SS. MESSE
l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzione
delle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.
Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511
PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESE
La Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22
febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:
PER UN LEGATO
· di beni mobili
«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia
796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzionali dell'Ente».
· di beni immobili
«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia
796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».
PER UNA EREDITÀ
«... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sede
a Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specificare quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni mia
precedente disposizione testamentaria».
È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che
sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inoltre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cognome del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento
viene scritto.
Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected])
EDITORIALE
O tempora,
o mores
di GIULIO ALBANESE
[email protected]
L
a cronaca odierna fa venire in
mente la celebre locuzione ciceroniana “o tempora, o mores!”
che, tradotta letteralmente, significa
“che tempi, che costumi!”. Nella foga
del discorso contro Catilina, che aveva
tentato di farlo assassinare, Cicerone
deplorava la perfidia e la corruzione
dei suoi tempi. Probabilmente, oggi, se
fosse con noi, direbbe lo stesso. Basti
pensare alle raffiche di suicidi che avvengono nel nostro Paese per disperazione, non riuscendo più la gente ad
arrivare a fine mese o a pagare l’infinità
di balzelli che vengono in continuazione sfornati per ripianare il debito
pubblico. Come si fa ad essere indifferenti quando si legge sui giornali che
vi sono pensionati costretti a rubare
scatole di biscotti o latte nei supermercati per sfamarsi, oppure a raccogliere
tra gli scarti dei mercati rionali quanto
ancora è commestibile? Di fronte a questi fenomeni è difficile contenere la
rabbia per il mondo che lasciamo in
eredità alle giovani generazioni. Ma di
chi è la colpa? Sulle pagine della nostra
rivista, da anni, abbiamo denunciato il
malcostume delle classi dirigenti che
affamano tuttora molti Paesi del Sud
del mondo, stigmatizzando anche i disastri perpetrati da un sistema economico-finanziario planetario che ha
acuito a dismisura la divaricazione tra
i ceti sociali: da una parte un manipolo
di nababbi, dall’altra le masse impoverite. In Italia è successo più o meno lo
stesso: tranne alcune lodevoli eccezioni,
le maggioranze e le minoranze che si
sono succedute in Parlamento e più in
generale nella pubblica amministrazione hanno sperperato denaro a destra
e a manca, violando il dettato costituzionale. Infatti l’articolo 1 della nostra
Costituzione afferma un principio inderogabile su cui dovrebbe fondarsi la
democrazia, cioè che il nostro Paese è
«una Repubblica fondata sul lavoro».
Purtroppo la crescente disoccupazione
smentisce questo diritto e getta nello
sconforto una miriade di persone. D’altro canto, senza accesso al credito, chi
ha un’impresa, una famiglia sulle spalle,
chi ha un progetto di vita, chi ha una
vocazione raramente riesce a svolgere
una vita libera dai mille condizionamenti. La sfida, da questo punto di vista, consiste nel definire contratti ben
scritti e regole certe nell’interesse della
persona e del bene comune. Come ci
ricordano i nostri missionari, in molte
regioni del mondo si aiuta davvero un
povero più con un contratto di microcredito che con un regalo o con una
donazione in denaro. La visione cristiana dell’amore sostiene che l’eros non
si contrappone all’agape, così come
nella vita civile l’economia dei
»
(Segue a pag. 2)
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
1
Indice
(Segue a pag. 2)
contratti non è in contraddizione con l’economia del dono.
Sbaglia chi pensa che business
is business e che i valori cristiani entrano in gioco solo donando pochi spiccioli ad opere
filantropiche. È l’intera economia che deve essere plasmata
dai valori del Vangelo, riconoscendo il primato della persona
sul mercato, dell’economia reale
e, dunque, del lavoro, sui meccanismi della finanza speculativa. Quest’ultima è un autentico mostro, che impunemente
continua a fare disastri.
4
8
EDITORIALE
1 _ O tempora, o mores
di Giulio Albanese
PRIMO PIANO
4 _ Post Chavez
Venezuela, fragile
equilibrio
18
di Davide Maggiore
ATTUALITÀ
8_
Dopo le Primavere arabe
Incognita salafita
di Ilaria De Bonis
29
11 _
Cambiamenti climatici
Groenlandia
A cura di Emanuela Picchierini
Testo di Giulio Albanese
PANORAMA
26 _ Il bello dell’Africa
di Chiara Pellicci
DOSSIER
29 _ Alternative alla crisi
Per un nuovo
umanesimo
di Francesco Occhetta
37 _ Filo diretto
con l’economia
di Miela Fagiolo D’Attilia
Cooperare per ripartire
14 _ Nuove tecnologie e missione
Spirulina, a voi l’alga
che salverà il mondo
di Ilaria De Bonis
L’INCHIESTA
18 _ Malnutrizione planetaria
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
22 _ Giornata mondiale dell’Africa
Ghiaccio bollente
FOCUS
2
SCATTI DAL MONDO
di Ilaria De Bonis
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
38 _ Il rientro dei fidei donum
Molta “andata”,
quanto ritorno?
di Chiara Pellicci
41 _ Giustizia in Uganda
“Globesi” e affamati
Stop corruption now!
di Miela Fagiolo D’Attilia
di Ilaria De Bonis
11
8
OSSERVATORI
AFRICA
Il popolo del miele
PAG. 7
di Enzo Nucci
AMERICA LATINA
PAG. 13
Leonardo e Francesco
di Paolo Manzo
ASIA
PAG. 15
Il lato oscuro dell’India
di Francesca Lancini
MEDIO ORIENTE
PAG. 17
“Obama, vieni e vedi”
di Chiara Pellicci
GOOD NEWS
PAG. 21
Soldi finti, ma non troppo
di Chiara Pellicci
BALCANI
PAG. 43
Dopo la guerra, i tumori
di Roberto Bàrbera
44 _ Mutamenti
Diplomazia digitale
I Tayllerand della rete
46 _
RUBRICHE
52 _ Controcorrente
14
La Vergine
de los gauchos
di Mario Bandera
53 _ Musica
ASAF AVIDAN
Una voce
per sognare
di Franz Coriasco
54 _ Libri
L’industria delle armi
di Francesca Baldini
54 _ Dialogare sul
VITA DI MISSIO
58 _ Don Michele Autuoro,
Vangelo di Luca
nuovo direttore
di Martina Luise
Da Procida ad gentes
55 _ Giovani verso Taizé 2015
di Chiara Anguissola
61 _
di Miela Fagiolo D’Attilia
Missio Giovani
di Luciana Maci
L’altra edicola
Rischio nucleare
55 _ Dieci anni senza Carlo
Elogio della felicità
di Mariella Romano
Corea contro
Corea
56 _ Ciak dal mondo
di Alex Zappalà
Intenzione missionaria
di Ilaria De Bonis
49 _ Posta dei missionari
62 _
I nuovi discepoli
Un giorno
devi andare
Cristiani d’Algeria
Sul fiume
scorre la vita
a cura di Chiara Pellicci
di Miela Fagiolo D’Attilia
63 _
di Francesco Ceriotti
Inserto PUM
Non solo opere
di Alfonso Raimo
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
3
PRIMO PIANO
Post Chavez
Venezuela,
fragile
equilibrio
di DAVIDE MAGGIORE
[email protected]
on è stata la fine di un’epoca, o
quantomeno non ancora. Nel
momento in cui questo articolo
va in stampa, in Venezuela domina l’incertezza: le manifestazioni di piazza seguite alle elezioni presidenziali hanno
N
4
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
già provocato almeno 7 morti e oltre
60 feriti. Il voto del 14 aprile scorso - il
primo dopo la morte, a marzo, di Hugo
Chavez - ha visto, secondo i dati ufficiali,
la vittoria di Nicolas Maduro, candidato
del Partito socialista unito del Venezuela
(Psuv) che fu del “comandante” bolivariano. L’erede designato del “chavismo”,
però, ha sconfitto solo di misura il suo
Nicolas Maduro,
successore
di Hugo Chavez
alla presidenza
del Venezuela.
avversario Henrique Capriles: il candidato
dell’opposizione ha raccolto circa il 49%
dei consensi, contro poco più del 50%
per Maduro.
Capriles, governatore dello Stato di Miranda, ha denunciato massicci brogli,
chiedendo un nuovo conteggio delle
schede. Una proposta che ha immediatamente trovato l’appoggio degli Stati
Uniti - sponsor occulti dello sconfitto,
secondo la propaganda bolivariana - e
dell’Organizzazione degli Stati americani.
Nelle strade, alle manifestazioni di protesta convocate dall’opposizione sono
seguite violenze con morti e feriti: ad
esserne responsabile, per ognuno dei
due contendenti era - naturalmente - il rivale. Nonostante la cauta e tardiva In Venezuela domina non derivava solo dai sondaggi - di area prevalenapertura di Capriles a un
l’incertezza: le
temente filogovernativa “dialogo diretto” con Mache assegnavano al canduro, già frettolosamente manifestazioni
proclamato presidente dalle di piazza seguite alle didato del partito al potere
circa dieci punti di vanistituzioni competenti, il
elezioni presidenziali taggio, in linea con il riquadro del Venezuela uscito
dalle urne è quello di un hanno già provocato sultato dello scorso ottobre,
quando Chavez, già malato,
Paese polarizzato (situa- almeno 7 morti
aveva battuto Capriles con
zione non nuova nel quinil 55% dei voti contro il
dicennio chavista) ma so- e oltre 60 feriti.
44%. A favore del viceprattutto ormai diviso, inapresidente uscente poteva
spettatamente, in fazioni
giocare anche l’aspetto emotivo: la camche hanno lo stesso peso elettorale.
Quasi tutti gli osservatori internazionali pagna elettorale è stata tra le più brevi
si attendevano in effetti una vittoria nella storia del Paese ed è iniziata quando
più netta di Maduro. Questa sensazione ancora era viva l’eco della morte »
L’erede del
“comandante
bolivariano” è
stato proclamato
presidente, ma sul
futuro del Paese
spaccato restano
molte incognite.
E la fine del boom
petrolifero
preoccupa anche
al di là dei confini.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
5
PRIMO PIANO
del “comandante”, un fattore che l’erede qualche risultato, al di là della crescita del governo di Caracas dalla prospettiva
ha cercato di sfruttare. Ma malgrado il del prodotto interno lordo. È innegabile, di robuste sovvenzioni economiche sotto
lutto nazionale proclamato per l’ex pre- ad esempio, la diminuzione dei tassi di forma di petrolio (Dominica, Saint Vinsidente e la cadena nacional (la tra- povertà, nonostante una recente in- cent & Grenadines, Antigua & Barbuda)
smissione a reti unificate)
versione di tendenza.
oltre che dalla comune opposizione agli
dei discorsi del candidato
I critici, però, considerano Usa: è il caso di Cuba, che ricambia i
socialista, lo slogan del- Capriles, governatore questo modello non soste- 100mila barili di greggio al giorno con
l’opposizione, «Maduro dello Stato di
nibile, perché fondato solo 20mila medici a sostegno della sanità
non è Chavez», ha evisulla spesa pubblica, senza locale. Più in generale il Venezuela
dentemente fatto più pre- Miranda, ha
prospettive di medio ter- orfano della personalità trascinante di
sa sugli elettori di quanto denunciato
mine. Con il calo dei prezzi Chavez e con le questioni economiche
previsto dai governanti massicci brogli,
del greggio sullo sfondo, in da affrontare rischia di perdere quella
di Caracas.
effetti, il nuovo inquilino posizione di Paese guida che per molti
È inevitabile adesso chie- chiedendo un
del palazzo presidenziale di versi aveva assunto nella regione, indersi cosa accadrà nel nuovo conteggio
Miraflores dovrà affrontare staurando rapporti privilegiati soprattutto
Paese spaccato tra Ma- delle schede.
diversi nodi: l’inflazione si con la Bolivia di Evo Morales e l’Ecuador
duro - cinquantenne, ex
attesta oltre il 20%, ma po- di Rafael Correa.
autista di autobus e sintrebbe risentire ancora della I concorrenti che potrebbero approfittare
dacalista, avvicinatosi nesvalutazione della moneta degli spazi lasciati liberi da un Venezuela
gli anni Novanta alla politica e a Chavez locale, il bolivar. Anche il deficit di bi- più attento ai suoi scenari domestici
grazie alla moglie avvocato - e Capriles, lancio rappresenterà una sfida in un non mancano: si va dal Messico del
quarantenne avvocato di famiglia be- Paese che al 90% dipende dalle espor- presidente Enrique Peña Nieto - che,
nestante, incarcerato nel 2002 per quat- tazioni di petrolio. Dopo una campagna forte di una crescita economica intorno
tro mesi con l’accusa di tentato golpe elettorale basata anche sulle promesse al 4% (e in prospettiva del 6%), potrebbe
prima di essere assolto. Il lascito del economiche e che Maduro in particolare tentare di indirizzare l’integrazione releader della “rivoluzione bolivariana” ha imperniato sull’argomento della “con- gionale in una direzione diversa da
sarà certamente complesso da gestire tinuità” con il passato, la soluzione del quella perseguita dal bolivarismo - alla
per il nuovo capo dello Stato, che non rebus rischia di essere difficile, oppure Colombia, che è stata, soprattutto dupuò ereditare il carisma del predeces- impopolare.
rante gli anni della presore.
Un bolivarismo più austero,
sidenza di Alvaro Uribe,
Una questione irrisolta del quindicennio oltre che sui venezuelani, Con il calo dei prezzi tra i Paesi che hanno
chavista è quella della sicurezza e dei avrebbe conseguenze anche del greggio sullo
mantenuto le maggiori
tassi di criminalità, ma tra i punti critici per quei Paesi caraibici che sfondo, in effetti, il
distanze da Chavez. Un
che il neoeletto presidente dovrà af- sono stati attirati nell’orbita
ruolo più ampio potrà
nuovo inquilino del
frontare c’è quello economico: il boom
dei prezzi del petrolio - di cui il Venezuela
palazzo presidenziale
è grande produttore - ha consentito a
di Miraflores dovrà
Chavez di mettere in cantiere ambiziose
affrontare diversi
politiche spesso descritte come populiste,
ma che hanno certamente ottenuto
nodi: l’inflazione si
attesta oltre il 20%.
6
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Post Chavez
essere giocato anche dal Brasile di Dilma
Rousseff, che però ormai è una potenza
emergente a livello mondiale.
Per Maduro la situazione non si annuncia
facile neanche sul piano interno: l’ex
sindacalista potrebbe doversi guardare
soprattutto dai compagni di partito. La
principale fronda interna è quella dei
militari, a cui Chavez ha restituito un
ruolo nella vita politica del Paese: oggi
11 governatori statali su 23 provengono
dai ranghi dell’esercito. I principali esponenti di questa fazione politica all’interno
del Psuv sono il ministro del Petrolio,
Rafael Ramirez, che ha le chiavi del
budget nazionale, e soprattutto il presidente dell’assemblea nazionale Diosdado
Cabello. In parlamento i chavisti possono
ancora contare su un’ampia maggioranza
(98 deputati contro i 64 dell’opposizione)
che fa da contraltare al risultato deludente delle presidenziali. Da questa posizione Cabello potrebbe lanciare la sua
candidatura per le prossime presidenziali
- previste per il 2019 - a spese dello
stesso Maduro. L’ex autista non è riuscito
a vivere della luce riflessa della figura di
Chavez, ma ora per lui la questione è
radicalmente diversa: deve dimostrare dal punto di vista politico - di potergli
sopravvivere.
Impianto
petrolifero
nello Stato di
Anzoátegui,
Venezuela.
OSSERVATORIO
AFRICA
di Enzo Nucci
IL POPOLO
DEL MIELE
li Ogiek sono un antico popolo (di origine Kalenjin) che vive in Kenya nella
foresta Mau, dove il bacino del fiume Molo
sfocia nel lago Baringo. Sono appena 12mila
e prima sopravvivevano con la caccia e la
raccolta di erbe selvatiche. Il miele è la base
della loro alimentazione. La loro lingua non
è stata ancora né studiata né scritta.
Gli Ilchamus (un clan di origine Masai) vivono invece nella zona semiarida di Maragat: sono 450 piccoli allevatori, tremila persone in tutto. In origine erano pastori ma i
cambiamenti climatici li stanno trasformando in coltivatori che sfidano un territorio ingrato. Negli scontri tribali con i Pokot
hanno avuto la peggio: sono stati costretti
ad abbandonare il bestiame e a rifugiarsi
sull’isola di Kokwa.
La vita di questi popoli potrebbe migliorare
grazie ad un programma varato da varie
organizzazioni italiane, coordinate da Mani
Tese, che prevede la riforestazione di 40 ettari di terreno, sviluppo dell’apicoltura, tecniche di conservazione dell’acqua, oltre allo
sviluppo di tre presìdi Slow Food. Senza dimenticare lo studio della lingua e delle tradizioni orali degli Ogiek, coordinate da
un’antropologa dell’Università di Trieste che
ha trascorso due mesi nella foresta con una
fotografa per documentare la vita comunitaria.
Questo popolo è minacciato dal degrado
della foresta in cui vive: i nuovi insediamenti
abitativi hanno intaccato l’equilibrio ambientale incidendo sulla produzione del
cibo.
Gli Ogiek sono stati costretti ad adattarsi
ad un modello di vita agro-pastorale. La
loro organizzazione sociale era molto avanzata. Il territorio della foresta veniva assegnato ai vari clan che provvedevano a distribuirla alle famiglie. La comunità aveva
elaborato sistemi per sviluppare piani di gestione delle risorse naturali. Ad esempio:
solo agli anziani esperti era permesso fare
le arnie e raccogliere il miele. Una antica
cultura sta morendo: proviamo a salvarla,
perché non è mai troppo tardi.
G
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
7
Dopo le Primavere arabe
ATTUALITÀ
Incognita
Dopo le rivoluzioni d’Egitto e
Tunisia il mondo intero ha puntato
il dito contro i Fratelli Musulmani,
considerati ora una minaccia, ora
una scommessa per la tenuta delle
fragili democrazie. Presto però
sulla scena politica sono comparsi
movimenti islamici ben più radicali
che si rifanno al salafismo sunnita.
Eppure Tunisi non è Il Cairo, dicono
gli esperti.
di ILARIA DE BONIS
[email protected]
I
prestiti in danaro sono “una forma
di usura” e come tali vanno rifiutati,
anche se a prestare soldi è l’alleato
numero uno tra i Paesi del Golfo:
l’Arabia Saudita. A pronunciare il verdetto è il partito salafita egiziano (per
bocca di Salah Abdel Maaboud, rappresentante di al Nur) che mette in
guardia contro i crediti, considerati
8
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
salafita
operazioni economiche contrarie alla sharia, la legge
islamica. La componente
islamica salafita esercita
non poca influenza sulle
società nordafricane, alle
prese col post-Primavera. E
infiamma ancora molto
l’Egitto, tutt’altro che pacificato.
Quello che sin dall’inizio è stato guardato
con sospetto dagli analisti europei - il
movimento islamico dei Fratelli Musulmani, da cui proviene il presidente
egiziano Mohammed Morsi - appare
meno radicale di quanto si temesse,
ma facilmente in balia del “purismo”
coranico.
«Più la generazione dei Fratelli guadagna
importanza nel campo della legalità,
più deve affrontare una reazione salafita
che denuncia tali “modernizzazioni”
come altrettante “concessioni”», dice
François Burgat, direttore dell’Istituto
francese del Vicino Oriente. Don Marko
Talaat, sacerdote egiziano, diocesano
di Al Fayoun, ci spiega che «nessuno
dopo la rivoluzione aveva immaginato
un epilogo simile: i salafiti hanno preso
potere, si impongono anche rispetto
agli islamici moderati e sono finanziati
principalmente dal Qatar. La situazione
in Egitto è davvero peggiorata e la
libertà ridotta a zero». La Fratellanza
Musulmana, più disposta al dialogo con
l’Occidente, non è paragonabile al “cugino” salafita (“scientifico” o “jihadista”
che sia), anche perché negli anni ha
intrapreso profondi revisionismi dottrinari, ma appare oggi completamente
nella mani dei radicali. «La linea della
Chiesa cattolica in Egitto è: né con i
Fratelli musulmani né con i salafiti»,
Più la generazione dei
Fratelli Musulmani
guadagna importanza
nel campo della
legalità, più deve
affrontare la reazione
salafita che denuncia
tali “modernizzazioni”.
dice ancora don Talaat. È la libertà che
va sostenuta.
egiziani. I salafiti non spuntano dal
nulla ed hanno grandi aderenze sul
campo: sono predicatori che riescono
a far breccia nei cuori dei giovanissimi,
spesso disoccupati, nei sobborghi più
poveri delle grandi città, esclusi da ogni
processo decisionale, tenuti ai margini
perfino dopo le Primavere.
«Ciò che li attrae è il discorso di rottura
con una società che riflette di loro
un’immagine di perdenti - racconta il
sociologo Samir Amghar -. Il salafismo
si impernia su un’inversione di valori:
gli esclusi ritrovano una dignità e acquistano una certa visibilità». Per tutti
gli altri, all’avanguardia delle rivolte,
invece, i salafiti rappresentano un’involuzione rispetto a diritti e libertà faticosamente conquistati dopo il crollo
dei regimi.
NON SOLO “FRATELLI”
Tutti «concentrati sull’ascesa della Fra- SCIENTIFICI O JIHADISTI?
tellanza, gli analisti hanno trascurato «Il termine salafismo in origine si riferiva
l’esistenza di gruppi islamici ad essa alle pratiche di vita quotidiana dei mualternativi», spiega il ricercatore Pietro sulmani di prima generazione (i salaf
Longo, direttore del programma Medi- salihina o “pii buoni”), modello di un’esiterraneo e Vicino Oriente presso l’Istituto stenza utopica», scrive Longo. Oggi
sono una nebulosa imprevedibile: Burgat
di Alti Studi in geopolitica.
I gruppi salafiti si muovono con capar- precisa che, nonostante la loro comparsa
apparentemente recente (in
bietà e molto vigore acseguito al ritorno in patria
canto ai (o in competi- La Tunisia si trova
degli esiliati, rifugiati in
zione con) partiti islamici
in
una
stretta:
Arabia Saudita, nel Qatar,
tradizionali e moderati
come al Nahda in Tunisia l’impressione è che nei Paesi del Golfo), «il loro
credo tra i movimenti islae al Hurriyya wa al ‘Adala l’Europa la stia un
misti non ha nulla di nuoin Egitto. Quest’ultimo,
po’
abbandonando.
vo».
Libertà e Giustizia, è il
I salafiti si rifanno alle fonti
braccio politico dei Fratelli
primarie del Corano e della Sunna del
profeta, ma vogliono rompere con il
sapere e l’esperienza delle scuole giuridiche sunnite in materia teologica. Criticano ogni sacralizzazione dei “mediatori” che si interpongono tra i credenti
e Dio e si attengono scrupolosamente
agli hadith, le parole di Maometto.
Inoltre «la Primavera araba ha resuscitato
la distinzione tra un salafismo scientifico
ed uno jihadista, il primo tendente alla
diffusione del messaggio islamico attraverso la dawa (la predicazione), il
secondo con il ricorso a metodi coercitivi», anche in politica, scrive ancora
Pietro Longo.
Al Nur, fondato nel 2011 ad Alessandria,
detiene otto seggi all’Assemblea Costituente, accetta la separazione dei poteri
e l’indipendenza della magistratura ma
solo nei limiti della sharia. La democrazia
dunque può essere impiegata, dice il
salafismo “scientifico”, ma a patto che
sia esercitata nei limiti della legge rivelata.
IL CAIRO NON È TUNISI
Lo spazio ‘politico’ occupato dal salafismo
egiziano si va allargando perché non è
adeguatamente arginato dalle opposizioni interne. Così non accade in Tunisia,
dove la società civile è decisamente più
strutturata: gli osservatori internazionali
e locali a Tunisi non si stancano di
spiegare la “specificità” tunisina.
Per capirla meglio, però, occorre andare
sul posto, soprattutto in occasione di
grandi eventi internazionali come »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
9
ATTUALITÀ
Dopo le Primavere arabe
il World Social Forum «Io sono molto ottimista: dare il via ad una spirale
di violenze o gettare la
che quest’anno si è svolla situazione tunisina
spugna hanno saputo
ta a Tunisi. Il pluralismo
è
completamente
reagire con dignità.
politico non solo resiste
Dopo l’omicidio di Bema apre nuovi spazi differente da quella
laid, il partito che ha
d’espressione. Nonostanegiziana», dice suor
perso veramente conte l’omicidio del leader
Chantal
Vankalck,
delle
sensi, conferma la gente,
dell’opposizione demoè stato Al Nahda, giucratica Chokri Belaid, missionarie di Nostra
dicato incapace di far
ucciso il 6 febbraio scorSignora d’Africa.
fronte agli estremismi.
so a Tunisi, ed episodi
«La Tunisia si trova in
di crescente tensione
una stretta: l’impressiosociale, la società civile
ne è che l’Europa la stia un po’ abbantunisina non si arrende.
«Le donne gridano il dolore dei figli donando - spiega Luigi Goglia, docente
martiri che hanno dato la vita per un di Storia e Istituzioni dell’Africa alla
avvenire diverso. Donne intrepide che Terza Università di Roma -. Dovremmo
sono disposte a tutto per non lasciarsi essere più rigorosi nei confronti dei
rubare la rivoluzione», spiega Filippo nuovi governi e al contempo sostenere
Ivardi, missionario comboniano, in Tu- l’opposizione che resiste».
nisia per partecipare all’evento. Forse è Suor Chantal Vankalck, religiosa belga
questa la prova che ci si attendeva dai dell’ordine delle Missionarie di Nostra
protagonisti della Primavera: anziché Signora d’Africa, conosciute come suore
Bianche dice: «Io sono molto ottimista:
la situazione tunisina è completamente
Sotto:
differente da quella egiziana. Con la
Un momento di “predicazione”
cacciata di Ben Ali qui qualcosa è campubblica in piazza, a Il Cairo.
10
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
biato per sempre e la presenza dei
salafiti non è una minaccia ingestibile».
TRA LEGALITÀ ED ESTREMISMO
Il limite da non superare è quello della
legalità, spiega Fabio Merone, ricercatore
della Fondazione tedesca Gerda Henkel
a Tunisi: «Finché i gruppi salafiti - come
Ansar al Sharia - si esprimeranno senza
far ricorso all’uso della violenza, la loro
presenza rientra nel gioco democratico
e non può essere ignorata. Rappresentano legittimamente una parte del popolo». Questo labile confine in realtà è
stato varcato più di una volta, ma mai
in maniera irreversibile.
Basta camminare per le vie di Tunisi
per scoprire un Paese che non ha affatto
“bruciato” la sua Primavera. Qui, a differenza dell’Egitto, la società civile laica
e “liberata” ha definitivamente superato
il terrore del potere e ha guadagnato il
diritto alla “parola”. E sa usarla molto
bene.
Sono decine e decine le ong, le organizzazioni di donne, di giovani, di sindacati ed attivisti tunisini, gli intellettuali
e i giornalisti pronti a “vigilare” sulla
neo-nata democrazia.
La comparsa del temuto Ansar al Sharia
e di altri gruppi minori di salafiti tunisini
è un monito costante al “pericolo” di
una deriva fondamentalista islamica che
tiene desta l’attenzione del popolo. Attraversando il lungo boulevard Bourghiba,
che fu il simbolo della rivoluzione contro
Ben Ali, si ha l’impressione di una “stanchezza” fisiologica subentrata all’entusiasmo del post-rivolta, ma anche questo
è parte del processo, spiegano in molti.
Tolto il tappo della dittatura anche i
rappresentanti dell’estremismo islamico,
un tempo messi alla gogna, sono tornati
in patria e fanno proselitismo. Ma è con
la forza guadagnata dalla libertà d’espressione e da una ritrovata dignità che i
tunisini affrontano il pericolo di una
deriva islamica. Finora sembrano proprio
aver avuto successo.
Cambiamenti climatici in Groenlandia
Ghiaccio
bollente
chilometri quadrati, mentre negli anni
Novanta la loro estensione variava tra i
sette e i nove chilometri quadrati. Il [email protected]
scaldamento delle zone artiche, che riulla sfugge agli occhi dei satelliti. guarda anche la Siberia e l’Alaska, conDue di loro, Topex e Jason, regi- tribuisce alla crescita del livello del mare
strano i cambiamenti climatici nel pianeta, come documenta uno studio
che, dal 2005 fino al picco di caldo del pubblicato su Geophysical Research Letsettembre 2012, hanno
ters’ da Tobias Bolch
visto soffrire la Groenlan- Lo scioglimento
dell’Università di Zurigo.
dia di un vero e proprio
«Lo scioglimento dei
dei ghiacciai in
colpo di caldo, con estati
ghiacciai in Groenlandia,
che diventano sempre più Groenlandia, coperta
coperta di ghiacci per
lunghe e calde e il conse- di ghiacci per circa
circa l’80% del territorio,
guente scioglimento dei
è una delle fonti principali
ghiacciai. Nel complesso, l’80% del territorio,
della crescita del livello
nell’area artica, nell’ultimo è una delle fonti
dei mari su un piano glosecolo la colonnina di mer- principali della crescita bale - dice Bolch -. Dai
curio è salita di oltre due
nostri risultati è emerso
gradi, una percentuale del livello dei mari.
che lo scioglimento dei
molto maggiore rispetto
ghiacciai ha contribuito
al resto del globo. A lanad aggiungere circa 30
ciare l’allarme è il National Snow and Gigaton di acqua all’anno ai livelli del
Ice Data Center (Nsidc) che, analizzando mare tra il 2003 e il 2008. Migliaia di
i dati degli ultimi due decenni di rileva- ghiacciai periferici che coprono un’area
zioni satellitari, ha documentato la ri- circa 50 volte superiore alla copertura
duzione dei ghiacci marini sotto i quattro di ghiaccio delle Alpi europee». Lastre
di MIELA FAGIOLO
D’ATTILIA
N
I ghiacciai millenari si
sciolgono ad una velocità
sempre maggiore. E la terra di
Erik il Rosso affronta la sfida
del cambiamento
dell’ecosistema con la grinta
dei suoi abitanti, gli Inuit,
impegnati a creare
allevamenti e piantagioni su
un terreno emerso dai ghiacci.
bianche che si sfaldano, larghi pantani
di neve sciolta, blocchi di ghiacciai grandi
come palazzi che crollano nel mare sono
i segnali di un anomalo “disgelo” che, se
continuasse a crescere dell’8% al decennio,
potrebbe cambiare completamente i panorami del Paese delle aurore boreali.
IL POPOLO DEGLI INUIT
Mentre i geologi riflettono preoccupati
sull’accelerazione che stanno subendo i
cambiamenti climatici planetari, »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
11
ATTUALITÀ
come vivono gli abitanti della Groenlandia
l’impatto con una simile rivoluzione climatica? Niente male, si direbbe. Mentre
i cacciatori di foche si stanno trasformando
in guide turistiche, a sorpresa, i frutti più
saporiti del cambiamento spuntano dalle
terre emerse. Oggi il popolo degli Inuit
coltiva patate, erbe aromatiche, addirittura
pomodori in un angolo del mondo estremo
in cui non avremmo mai immaginato di
trovare questi prodotti. Non si tratta di
orticelli “dietro casa” ma di
vere e proprie piantagioni
La Groenlandia è oggi da millenni di gelo. Basti
pensare ai milioni di tonche nella parte meridionale
nellate di petrolio, ai giadell’isola hanno prodotto lo un Paese in forte
cimenti d’oro, diamanti,
scorso anno un raccolto di trasformazione, non
oltre 100mila tonnellate di
solo dal punto di vista pietre preziose e persino
i minerali compresi nella
patate ad esempio, tanto
definizione di “terre rare”,
che dall’isola partono for- climatico ma anche
di cui fino a qualche anno
niture di frutta e verdura, da quello politico.
fa si conoscevano giacima anche di montoni, per
menti solo in Cina e in
la Danimarca.
Sembra così avverarsi la profetica defi- alcuni Paesi d’Africa. In questo forziere
nizione che il primo vichingo approdato di ricchezze custodito dall’inaccessibilità
sull’isola, Erik il Rosso, diede di questa dell’habitat naturale, il cambiamento clilanda desolata, chiamandola Groenlandia, matico sta generando una vera e propria
cioè “terra verde”. In un Paese grande rivoluzione.
quattro volte la Francia abitano solo
57mila persone su una terra fertile sia in TERRA PROMESSA PER GLI INVESTITORI
superficie che nelle sue profondità inviolate La Groenlandia è oggi un Paese in forte
12
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
trasformazione, non solo dal punto di
vista climatico ma anche da quello politico. Territorio autonomo e costitutivo
della Danimarca, dallo scorso aprile ha
un nuovo primo ministro, la signora
Aleqa Hammond, leader del partito Inuit
Ataqatigiit che ha vinto le elezioni dell’aprile scorso con il 42,8% di voti, aggiudicandosi 14 seggi su 31, in un governo di coalizione con il premier uscente
Kuupik Kleist. Già ministro delle Finanze
dal 2008, nelle ultime elezioni ha firmato
un accordo con il Partito Progressista,
con quello Inuit e Atassut per diventare
presidente del governo locale. Tutta la
campagna elettorale della Hammond è
stata imperniata sull’ottimizzazione dello
sfruttamento delle enormi ricchezze
Cambiamenti climatici in Groenlandia
minerarie, puntando ad aprire la Groenlandia a investitori stranieri attirati
dalle ingenti ricchezze del sottosuolo.
Chi pagherà le royalties in aumento
potrà anche accaparrarsi materiali radioattivi come l’uranio, la cui estrazione
era finora vietata. La nuova situazione
che mette la Groenlandia sul mercato
dei Paesi fornitori di minerali pregiati,
Sotto:
Aleqa Hammond, esponente del
partito Siumut, dallo scorso aprile primo
ministro donna della Groenlandia.
In basso:
Il villaggio di Ilulissat, nella Baia
di Disko, Groenlandia.
ha già suscitato l’interesse di investitori
nordamericani, cinesi, europei e giapponesi, facilitati nel trasporto dei materiali (ferro, gas, petrolio, uranio, ecc.)
dai nuovi passaggi per le navi cargo
creati dallo scioglimento dei ghiacci tra
Polo Nord e Groenlandia. Alcune società
sono già in prima linea negli investimenti
per trarre profitto dal riscaldamento
climatico e banche d’investimento come
la Morgan Stanley e la Goldman Sachs
hanno acquisito partecipazioni in progetti
sulle energie alternative. Ma anche la
compagnia mineraria NunaMinerals è
alla ricerca di giacimenti d’oro nel sud
dell’isola, mentre la joint venture danese
e americana Avannaa Resource ha investito più di 15 milioni di
dollari per la ricerca, nell’Est
della Groenlandia, di ottone
e altri minerali. Insomma la
“corsa alla terra promessa” è
già iniziata e certo nei prossimi mesi molti altri investitori
si faranno avanti.
Molti sono i tesori e i segreti
nascosti in questo grande
“scrigno” in cima al mondo.
A 150 chilometri da Nuuk, la
città più grande della Groenlandia, alcuni ricercatori
hanno recentemente trovato,
tra i fanghi del vulcano Isua,
tracce di elementi chimici,
tra cui la serpentinite, necessari per innescare il processo della vita. Sarebbe accaduto circa quattro miliardi di anni
sullo sfondo degli strepitosi orizzonti
attraversati da irreali fasci di luce. Lo
dicono gli scienziati del Laboratorio di
Geologia di Lione, che hanno pubblicato
un saggio sulla rivista scientifica dell’Accademia delle Scienze statunitense
su questi minerali, considerati i più
antichi del pianeta. Terra madre e luogo
ai limiti della sopravvivenza, la rivoluzione
dei millenni riparte oggi dalla Groenlandia?
OSSERVATORIO
AMERICA
LATINA
di Paolo Manzo
LEONARDO E
FRANCESCO
na scelta provvidenziale, un dono
di Dio». Dalla Costa Rica, dove ha
trascorso a metà aprile una settimana per
una full immersion tra incontri e conferenze
organizzati dall’Universidad de La Salle,
Popoli e Missione ha dialogato con l’ex frate
francescano Leonardo Boff, che si dice «felicissimo per la scelta del cardinale Bergoglio al soglio di Pietro». Teologo, forse il
più importante esponente della Teologia
della Liberazione, nel 1984 fu convocato in
Vaticano per essere sottoposto ad un processo da parte della Congregazione per la
Dottrina della Fede guidata dall’allora prefetto Joseph Ratzinger. Otto anni dopo Boff
scelse di abbandonare l’ordine francescano
perché la Chiesa di Roma voleva a suo dire
ridurlo “al silenzio”, ma oggi, nonostante i
suoi 74 anni ed una barba bianchissima,
appare più infaticabile e pieno di energia
che mai. E soprattutto felice perché, spiega,
«Francesco è più di un nome, è un progetto
di Chiesa. Una Chiesa semplice, evangelica,
popolare, legata alle basi della società e legata alla natura. Noi abbiamo bisogno di
un papa così oggi».
Un massimo esponente della Teologia della
Liberazione che si entusiasma per la scelta
di un papa non è cosa di tutti i giorni. Gli
chiediamo allora se, a suo avviso, papa
Francesco ce la farà a centrare le sue aspettative. Per Boff non ci sono dubbi. «No,
non deluderà». E come giudica il fatto che
si tratti del primo gesuita eletto papa? «È
importante perché un gesuita arriva al soglio di Pietro con la testa molto ben formata, quasi militare. Nella storia i membri
della Compagnia di Gesù sono sempre stati
considerati l’avanguardia intellettuale dell’esercito del papa, prima per affrontare la
riforma luterana, poi la modernità. E di
fronte alla Curia romana papa Bergoglio
non deve essere francescano come con i
poveri, ma gli servirà molto il fatto di essere
gesuita».
«U
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
13
FOCUS
Nuove tecnologie e missione
Spirulina,
a voi l’alga
che salverà il
mondo!
di ILARIA DE BONIS
[email protected]
«N
on è un’alga miracolosa, è
un alimento antichissimo,
addirittura conosciuto dai
Maya e dagli Atzechi. Ma può diventare
una rivoluzione. Sconfigge la fame perché
nutre cento volte più del normale».
Quando parla della Spirulina e di cosa
può fare l’alga delle meraviglie, il diacono
14
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Contiene proteine, vitamine, amminoacidi,
carboidrati e sali minerali in quantità
inimmaginabili. L’alga Spirulina può
contribuire a sconfiggere la fame nel mondo,
dice la Fao. Il business internazionale comincia
ad accorgersene e i missionari accelerano
la produzione per l’Africa.
Umberto Silenzi, direttore della Caritas scarso utilizzo da parte dei Paesi in via di
di San Benedetto del Tronto, si entusiasma sviluppo e di quelli sviluppati, ad eccezione
come un ragazzino. Ma è un’euforia so- della Cina - è andato anche oltre: con la
stenuta dalla concretezza di risultati spirulina farà produrre biscotti per i
scientifici la sua: da quando ha contattato bambini degli slum più miseri delle Figli scienziati del Cnr e li ha coinvolti lippine. E conta di replicare l’esperimento
nella sperimentazione della coltivazione a breve anche in Africa.
di Spirulina a Tagbilaran, nella
«Non faccio compresse,
provincia di Bohol (Filippine),
faccio biscotti – dice -.
Non è un’alga
Silenzi ha trasformato un sogno
Devo ancora decidere se a
miracolosa,
in realtà.
forma di animale o sem«Per farla crescere ci vogliono è un alimento
plicemente a forma di bicondizioni ottimali: vasche di
scotto. Il fatto è che i bamantichissimo,
acqua salmastra, sali minerali,
bini devono poter desidela giusta temperatura, pale che addirittura
rare di mangiare questo
girano per ossigenarla, e poi conosciuto
prodotto e quindi deve esbisogna calcolare bene l’acidità
sere anche gradevole per
e la salinità dell’acqua. L’alga dai Maya e
il palato. Se noi gliela diamo
va curata perché è un organismo dagli Atzechi.
come fosse una pasticca
vivente», racconta. In un soffio Ma può diventare per ammalati non la vordi viscidi fili verdi si concentrano
ranno mai!». A Tagbilaran
proteine, vitamine, amminoacidi, una rivoluzione.
sono le suore che cucinano
carboidrati e sali minerali in
i biscotti di Spirulina fatti
una tale quantità da poter alicon la farina, il lattosio e
mentare intere popolazioni dei Paesi po- la malva. Hanno un buon sapore, fanno
veri, semplicemente aggiungendo la pol- bene alla salute e soprattutto preservano
vere essiccata alle normali farine. Quando dalle malattie polmonari. La produzione
il direttore Caritas ha intuito le potenzialità delle alghe è ovunque possibile a patto
dell’alga – già da tempo all’attenzione che si seguano alcune regole piuttosto
»
della Fao che denunciava nel 2008 il suo puntigliose, ci spiega in diacono,
La lavorazione della Spirulina in
un villaggio del Ciad.
OSSERVATORIO
ASIA
di Francesca Lancini
IL LATO OSCURO
DELL’INDIA
ontagio. Le medicine non funzionano”. È così intitolato su Time l’ultimo reportage dall’India del fotografo pluripremiato James Nachtwey e della
giornalista Krista Mahr. Una denuncia senza
uguali di una delle piaghe più preoccupanti
del nostro secolo: la comparsa di una forma
di tubercolosi resistente a ogni farmaco. Se
poi si indagano le cause, si scopre che ancora una volta si tratta di povertà e indifferenza. Nell’India propagandata come una
tra le più grandi democrazie al mondo o
“shining” per il suo tasso di crescita del Pil,
Mahr scrive: «Due persone muoiono ogni
tre minuti di tubercolosi. Circa due milioni
di indiani sviluppano la Tbc ogni anno, lasciando il governo con il compito non invidiabile di gestire in modo approssimativo
un quarto dei casi al mondo di Tbc». La Tbc
multi resistente ai farmaci è emersa per diagnosi sbagliate e cattivo uso e gestione delle
potenti medicine impiegate per curare la
Tbc già nota. Ad esempio, se un povero tubercolotico delle baraccopoli di Mumbai,
dove il batterio prolifera, non riesce a seguire il regime di cure che durano mesi,
questo può rafforzarsi e diventare Mdr, Multi
Drug Resistant. A rendere più vulnerabili al
contagio, inoltre, ci sono Hiv e malnutrizione, per la quale l’India detiene un altro
triste primato: sul suo immenso territorio,
infatti, è più diffusa che nell’Africa subsahariana. Secondo l’Unicef uno su tre bambini
malnutriti vive in India. Le foto scattate da
Nachtwey in bianco e nero ai malati di un
ospedale di Mumbai, la capitale economica
dell’India, ritraggono un Medio Evo. Ma fuori
dalle metropoli, nelle immense campagne,
la situazione è ancor più difficile. Le cliniche
pubbliche, dove accedere gratuitamente alle
cure, sono rare. Intanto la tubercolosi Mdr
sta diventando una priorità globale che colpisce anche nel mondo “ricco”, come in
Gran Bretagna dove sono stati registrati casi
nelle prigioni.
“C
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
15
FOCUS
In un soffio di viscidi fili verdi
si concentrano proteine, vitamine,
aminoacidi, carboidrati e sali
minerali in una tale quantità
da poter alimentare intere
popolazioni dei Paesi poveri.
A destra:
Una delle sette vasche per la
coltivazione della Spirulina a Tagbilaran,
nelle Filippine, dove i missionari
sperimentano l’alga super-proteica.
che intanto pensa a come brevettare il
suo biscotto proteico che sarà un’evoluzione di quello classico “missionario”, al
miglio, soia e lattosio. La coltivazione di
Spirulina richiede la costruzione di diverse
vasche (in ogni metro cubo d’acqua ne
cresce un grammo) nelle quali l’acqua
salmastra, in continuo movimento, viene
pompata e consente all’alga di alimentarsi.
Quando è pronta si essicca e una volta
trasformata in sottilissima polvere può
essere accompagnata alle farine nelle
giuste dosi. «Tutte le indicazioni tecniche
su come costruire le sei vasche a Tagbilaran, me le ha date il professor Giuseppe
Torzillo del Cnr di Firenze. Tra un paio di
mesi verrà con me in missione e daremo
il via all’impianto».
Il primo input il vulcanico diacono Um-
16
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
berto non l’ha ricevuto dal Cnr, bensì
dalla fondazione del Rotary che, quattro
anni fa già produceva alghe. Notata
una vaschetta di cemento dove galleggiava qualcosa di verde in acque
salmastre, Umberto si era a quel tempo
chiesto cosa fosse e a che cosa servisse
la bizzarra coltivazione; gli erano state
fornite alcune risposte utili. Poi arrivarono la ricerca, lo studio individuale, il
contatto con il Cnr, i finanziamenti
della Conferenza episcopale italiana.
«Può essere una rivoluzione - dice il
missionario – lì dove davvero non hanno
nulla». In effetti la Fao parla così della
Spirulina, nella circolare n.1034 del
2008 (Production and use of Spirulina
as food for humans and feeds for domestic animals and fish). L’Agenzia
delle Nazioni Unite per l’alimentazione
e l’agricoltura scrive: «Le Spirulina sono
micro-alghe multicellulari e filamentose
di colore blu-verde; appartengono a
due generi, Spirulina e Arthrospira, e
ne esistono di 15 specie differenti. Di
queste, l’Arthrospira platensis è la più
comune ed è ampiamente disponibile
in natura. Cresce nell’acqua, può essere
lavorata e prodotta con facilità ed ha
contenuti macro e micro-nutrizionali
significativamente alti».
Nuove tecnologie e missione
Ovviamente i missionari e gli operatori mento che l’alga in realtà di per sé ha
umanitari non sono gli unici ad essersi costi ridottissimi.
accorti della sua grande efficacia per i «Sono molti i governi e gli sponsor intePaesi poveri: l’azienda padovana Micro ressati ad inserirsi in questo mercato»,
Life, nata proprio nel 2008, la produceva conferma Villa. Per quanto riguarda i
per le diete. Poi quando Fao e Unicef missionari, l’idea è quella di continuare
hanno capito sempre meglio che la Spi- ad espandere la produzione dell’alga a
rulina può essere cruciale per sconfiggere costi quasi irrisori, utilizzando gli impianti
la fame nel mondo, ha cominciato a locali e il lavoro di tecnici scelti e formati
guardarla con altri occhi.
sul posto. Ancora una volta è la Cina il
«Ci stiamo concentrando nella realizza- Paese che per primo ha captato le pozione di fabbriche di proteine da installare tenzialità dell’alga miracolosa e che sta
nei Paesi poveri», ha dichiarato l’ammi- già da tempo dandosi da fare per lanciare
nistratore delegato della società, Matteo un’industria redditizia.
Villa a Repubblica. Il primo impianto È stata la Fao stessa in quella famosa
per la Spirulina è stato realizzato l’estate circolare n.1034 a fornire alcune raccoscorsa ad Adwa, in Etiopia, a circa mandazioni importanti e a notare che
duemila metri d’altitudine.
«la produzione in Cina era
Il mercato italiano e quello Le Spirulina
inizialmente di 19.080 toninternazionale, dunque, se- sono micro-alghe
nellate nel 2003, ed è poi
guono con interesse questo
salita a 41.570 tonnellate
multicellulari
nuovo filone tanto che il
nel 2004; non ci sono per
business attorno alla Spi- e filamentose
ora dati significativi relativi
rulina cresce. L’auspicio è di colore blu-verde; alla sua produzione nel resto
che non diventi un mercato
del mondo. Questo suggeappartengono
come tanti altri, che arricrisce che, nonostante la cochiscono le tasche di pochi a due generi,
noscenza oramai globale
e costano cifre esorbitanti Spirulina
della Spirulina e dei benefici
a chi consuma il prodotto.
che produce, l’alga non ha
e
Arthrospira.
In questo caso sarebbe dopricevuto ancora tutta la conpiamente scorretto, dal mosiderazione che merita».
OSSERVATORIO
MEDIO ORIENTE
di Chiara Pellicci
“OBAMA,
VIENI E VEDI”
ella visita del presidente Obama in Israele,
la prima nel suo doppio mandato alla
Casa Bianca, giornali e tv hanno raccontato
molto: l’accoglienza di Netanyahu all’aeroporto
di Tel Aviv; la conferenza stampa congiunta;
la visita alle tombe di Hertzl (fondatore del
movimento sionista) e di Rabin; l’omaggio
allo Yad Vashem, memoriale della shoah;
l’incontro con gli studenti dell’Università
ebraica di Gerusalemme; e poi ancora la
visita a Ramallah per incontrare Abu Mazen
e la sosta nella Basilica della Natività a Betlemme.
I commenti degli analisti sono abbondanti,
come è normale per un evento storico di
questo tipo, ma quasi nessuno ha ritenuto
importante dare risalto alla voce di un ragazzino
palestinese, Mohammed El Kurd, che ha
scritto una lettera ad Obama invitandolo a
casa sua: «Caro presidente, ho 14 anni e vivo
nel quartiere palestinese di Sheikh Jarra, Gerusalemme Est. Circa quattro anni fa, io e la
mia famiglia siamo stati sfrattati da una parte
della nostra casa da coloni ebrei, sulla base
di sentenze del tribunale israeliano. Il processo
ha reso la vita, per me e per decine di migliaia
di palestinesi, quasi insopportabile. I coloni
lavorano per il controllo israeliano di tutta
Gerusalemme Est, a volte usando la violenza
contro i palestinesi. Una volta questa era una
bellissima zona. Tutti erano vicini e, prima
che una parte della mia casa ci venisse
sottratta, non avevo mai paura di andare a
dormire. Non avevamo preoccupazioni. Adesso
non è più un quartiere palestinese: tutti i
segnali sono in ebraico, e anche la musica...».
La lettera continua e, con la massima ingenuità,
invita il presidente Obama a «vedere la nostra
situazione di persona e parlarne, vedere la
realtà e dire ciò che vedi». Effettivamente è la
cosa più normale che si possa fare quando si
è in visita in un Paese straniero: andare, osservare, dedurre.
L’invito di Mohammed, purtroppo, è stato
vano. Se altrettanto sia stata la visita di Obama,
spetta solo alla Storia deciderlo.
D
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
17
L’INCHIESTA
Malnutrizione planetaria
“Globesi”
L’allarme viene
dall’Organizzazione mondiale
della Sanità: negli ultimi due
decenni l’obesità è cresciuta
tanto da diventare una
pandemia che riguarda milioni
di uomini, donne e bambini, nei
Paesi ricchi, ma non solo.
E mentre la fame continua a
mietere le sue vittime, le
contraddizioni della
malnutrizione, alimentate dagli
interessi delle multinazionali
del cibo, devono farci riflettere.
18
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
e affa
di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA
[email protected]
roppo grassi, troppo affamati: un abitante del pianeta su tre ha problemi “di” e “col” cibo. Uno squilibrio insostenibile innanzitutto dal
punto di vista etico. Nell’atlante globale della malnutrizione, c’è un
dato che allarma: nel mondo ci sono più obesi che denutriti. Oltre un miliardo e 800 milioni di obesi e un numero allarmante di morti per malattie
da vite oversize fanno pendere un piatto della bilancia, mentre sull’altro si
colloca la realtà di 925 milioni di denutriti. Come a dire che per ogni persona denutrita, due si ingozzano di cibo, tanto che a livello mondiale due decessi su tre sono oggi correlati a problemi alimentari. Con un aumento sensibile delle morti correlate all’obesità rispetto a quelle causate dalla denutrizione.
L’allarme è stato lanciato un paio di anni fa dalla Croce Rossa internazionale e non cessa di far discutere esperti, giornali e soprattutto la rete, con un
numero incredibile di tweet sul tema. Segno di una inquietudine globalizzata che riguarda almeno un terzo degli abitanti del pianeta: la malnutri-
T
famati
peso, qualcosa è andato storto da qualche parte».
Il World Report annuale evidenzia che,
mentre aumenta la produzione di cibo a
livello globale (a parte le crisi dovute alle
emergenze climatiche), restano alcune
motivazioni di fondo: gli sprechi, le
speculazioni economiche nella filiera
della distribuzione e l’aumento dei prezzi dei prodotti base come riso e grano.
Come dire, amaramente, che la macchina della mancanza di cibo è manovrata
più dall’uomo che da madre Natura. Sul
pianeta muoiono ogni anno 36 milioni
di persone per fame mentre si estende la
zione è la spia di laceranti diseguaglian- pandemia dell’obesità, come evidenzia il
ze alimentari. Fame e abbuffate, “man- Barilla Center for Food & Nutrition che
giare per vivere o vivere per mangiare?” mette in evidenza le due facce ugualcome recita un antico detto, sono «uno mente allarmanti della malnutrizione.
Squilibro ancora più eviscandalo a doppio taglio»
dente se si guarda all’infancome ha giustamente nota- L’altro volto del
zia. Secondo l’osservatorio
to l’etiope Bekele Geleta,
dell’International Obesity
Segretario generale della Giano bifronte
Firc, International Federa- della malnutrizione Task Force, «i bambini in
età scolare obesi o in
tion of Red Cross and Red è l’obesità.
sovrappeso nel mondo sono
Crescent Societies, sottolin155 milioni, cioè uno su
eando che «se il libero movimento delle forze di mercato ha prodot- dieci, ma allo stesso tempo 148 milioni
to un risultato in cui il 15% dell’umani- di bimbi sotto i 5 anni sono sottopeso e
tà ha fame mentre il 20% è in sovrap- si trovano prevalentemente nei Paesi in
via di sviluppo». E
oggi, di fatto, tra le
sfide globali c’è
quella del cibo: dal
diritto all’accesso,
alla sua assunzione sana ed equilibrata.
Oltre un miliardo
e 800 milioni di
obesi e un numero
allarmante di morti
per malattie da vite
oversize fanno
pendere il piatto
della bilancia, mentre
sull’altro si colloca
la realtà di 925
milioni di denutriti.
MORIRE DI FAME
Oltre un miliardo
di esseri umani sul
nostro pianeta
soffre di denutrizione cronica e
non ha modo di disporre del minimo fabbisogno energetico. A causa della povertà che affligge molti Paesi del Sud del
mondo, oltre 200 milioni di bambini sotto i cinque anni portano addosso i segni
di una malnutrizione cronica che mette a rischio la loro vita. Già nel grembo
delle madri, i figli crescono sotto il segno
della fame e 30 milioni di piccoli nascono con fisici segnati dalla malnutrizione prenatale. Così infezioni come il
morbillo, la diarrea, la malaria, l’Aids pediatrico o la polmonite sono i killer di 13
milioni di bambini che ogni anno muoiono per mancanza di alimenti e cure
adeguate. Il 90% delle persone che non
hanno cibo a sufficienza, vive nei Paesi
del Sud del mondo, ma la crisi economica che sta colpendo i Paesi ricchi ha prodotto un repentino aumento delle persone che hanno seri problemi a procurarsi cibo adeguato per sé e per le proprie famiglie. Osservando l’ “atlante”
mondiale della fame, vediamo che il numero più alto di persone sottoalimentate (circa 600 milioni) si trova in Asia, seguita dall’Africa sub-sahariana che con
239 milioni di affamati registra la percentuale più alta (30%) rispetto alla popolazione. In Nord Africa e Medio Oriente ci sono 37 milioni di sottoalimentati,
mentre in America Latina, malgrado i segnali di miglioramento degli ultimi anni,
sopravvivono agli stenti 53 milioni di persone.
»
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
19
L’INCHIESTA
L’AGO DELLA BILANCIA IN SALITA LIBERA
L’altro volto del Giano bifronte della malnutrizione è l’obesità, problema già noto
dagli inizi degli anni Ottanta in Occidente dove oggi il 20-30% della popolazione adulta soffre di quella che viene
chiamata “globesità”. Considerata come
una pandemia che oggi riguarda anche
Paesi in via di sviluppo, in particolare i cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina
e Sudafrica), in molte aree di antica povertà ci si sta confrontando con il duplice problema della sottoalimentazione da
una parte e delle malattie legate alla malnutrizione o alla cattiva qualità di cibi dall’altra (conservanti, insetticidi, agenti
microbici, cattiva conservazione, ecc.).
Già cinque anni fa, l’Organizzazione
mondiale della Sanità metteva in guardia sul fatto che «un miliardo e mezzo di
persone in tutto il mondo è in sovrappeso; di queste 500 milioni sono obesi con
gravi problemi che ne mettono a rischio
la vita e almeno 2,6 milioni muoiono ogni
anno per patologie legate all’obesità». Tra
queste l’ipertensione (la giornata del 7
aprile scorso è stata dedicata alla sensibilizzazione in materia) è al primo posto,
come evidenzia la ricerca del
anno per malattie collegaGlobal Burden of Disease
Sia la denutrizione
te all’eccesso di peso: solo
che mette in luce come dal
in Italia, patria della dieta
1990 si sia registrata una cre- che la sua
mediterranea, ne muoioscita del 27% di gravi cardio- condizione opposta
no 52mila. Altissimi i copatie. In ben 177 Paesi del
sti sociali per arginare una
mondo il 38% degli adulti è sono causa
malattia pericolosa quanobeso. In altre parole nei 10 della povertà e
to il fumo, malattia che
Paesi più ricchi del mondo c’è dell’insicurezza
ormai i sistemi sanitari
il maggior numero di adulti
colpiti dalla crisi non riein sovrappeso: in testa alla li- alimentare.
scono più a fronteggiare.
sta ci sono gli Stati Uniti
(33,8%), seguiti da Messico
(30%), Nuova Zelanda (26,5), Cile (25%), STILI DI VITA
Australia (24,6%). Ma, a sorpresa, la Francesco Branca, director of Nutrition
percentuale più alta si tocca in Polinesia, World Heath Organization, spiega che «aldove nella microscopica Repubblica di cuni grandi Paesi occidentali hanno adNaru ci sono oltre il 75% di obesi: a cau- dirittura un terzo della popolazione tocsa della ricchezza portata dal turismo, in cata dal problema dell’obesità. Oltre che
pochi decenni, il numero degli obesi è sa- negli Stati Uniti e nei Paesi del Medio
lito in modo esponenziale. In Europa due Oriente (Egitto e Arabia Saudita sopratmilioni di cittadini perdono la vita ogni tutto), anche nei Paesi del Sud d’Europa
20
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
ci sono moltissimi obesi, sia adulti che
bambini. La novità è che il problema dell’obesità nei bambini in età prescolare sta
crescendo anche nei Paesi in via di sviluppo che stanno attraversando una transizione economica. Abbiamo dati che ci dicono che in Africa nel 2010 l’8% dei bambini sotto i cinque anni era sovrappeso.
Negli ultimi 10 anni la tendenza all’obesità in Africa è raddoppiata».
Una dichiarazione che sembra incredibile alla luce degli stereotipi consolidati che
riguardano il continente nero, ma che il
professor Andrea Segrè, ordinario di Politica agraria internazionale e comparata dell’Università di Bologna, spiega così:
«Un numero significativo di africani ha lasciato le aree rurali per recarsi in quelle
urbane, dove consuma molto cibo ma di
scarsa qualità. Per questo motivo il sovrappeso è divenuto un problema non meno
Malnutrizione planetaria
Oltre un miliardo
preoccupante della carenza di di esseri umani sul
ta del take away, fino al
cibo. Sia la denutrizione che
cosiddetto junk food,
nostro pianeta soffre spuntini ad alto contela sua condizione opposta
sono causa della povertà e di denutrizione
nuto calorico e scarso
dell’insicurezza alimentare, cronica e non ha
valore nutrizionale, il
che colpiscono una larga porcibo spazzatura è una
modo di disporre del realtà globalizzata grazione di popolazione urbana
che non è in grado di accede- minimo fabbisogno
zie alle grandi catene inre ad alimenti freschi e nu- energetico.
ternazionali di fast food.
trienti. In alcune aree del
Piace soprattutto ai gioNord e del Sud dell’Africa, le
vani, che ignorano le
persone in sovrappeso hanno superato di percentuali di grassi idrogenati, consernumero quelle denutrite. Qui però l’obe- vanti, coloranti, ecc. contenuti nei crocsità non è vista come un problema ma canti bastoncini di patatine fritte o nel
come uno status invidiabile, simboleg- tritato di carne (con sorprese “equine”,
giante un buon tenore di vita».
a volte) del triplo hamburger grondante formaggio fuso. Studiati a tavolino per
FAST FOOD E CIBI SPAZZATURA
stuzzicare il palato con spezie e salse,
Tra le cause di questo trend c’è il con- questi cibi, è il caso di dire “mordi e fugsumo di bevande in lattina contenenti gi”, hanno anche il vantaggio di essere
troppo zucchero, la vita sedentaria e economici e alla portata di tutte le tal’aumento significativo del consumo di sche. Costa la metà, ma fa ingrassare il
carne. Senza dimenticare i pasti fuori doppio: per questo si chiama junk food
casa e i cibi preparati e non cucinati, di ed è in mano ai ragazzi di tutte le grancui spesso non sono noti ingredienti, per- di metropoli del mondo. Il giro vita delcentuali e conservanti. Dalle abbuffate la globesità oggi è simbolicamente lardi snack fuori pasto alle scatoline di lat- go come l’equatore.
OSSERVATORIO
GOOD
NEWS
di Chiara Pellicci
SOLDI FINTI,
MA NON TROPPO
ono banconote colorate, dai nomi assolutamente inusuali per la cartamoneta.
Si chiamano “baci”, “palme”, “girasoli” e
vengono usate in molte favelas brasiliane.
Nel Paese verde-oro, girando tra i quartieri
più popolari delle grandi città, non è difficile imbattersi in piccoli negozi che espongono cartelli che recitano più o meno così:
oltre al real si accettano monete sociali
alternative. Hanno valore esclusivamente
nella comunità in cui sono state emesse e
spesso vengono date a chi si impegna in
una pratica per migliorare la zona in cui
vive. Per esempio: c’è chi pulisce un’area
sommersa da rifiuti abbandonati raccogliendo avanzi differenziati da recuperare e
in cambio ottiene “moneta verde” da spendere in una rete di negozi della zona per
comprare alimenti o altri beni di prima
necessità.
Capire quale sia l’utilità delle banconote
alternative non è difficile: «L’obiettivo di
una moneta sociale è quello di incoraggiare le persone ad usare i loro soldi nella
comunità in cui vivono, contribuendo così
allo sviluppo dell’economia locale» spiega
alla Bbc Leonora Mol, direttrice del Banco
Bem, istituzione brasiliana di microcredito.
All’inizio la Banca centrale del Brasile ha
osteggiato l’introduzione delle “monete
sociali”, poi le ha accettate anche grazie
all’opera del Segretariato nazionale di economia di solidarietà (Senaes), collegato al
ministero del Lavoro e dell’Occupazione.
In un mondo sempre più globalizzato, dove
la finanza tiene in mano l’economia e dove
in molte nazioni (per esempio nella zona
Euro) è diventato impossibile stampare
moneta, sapere che ci sono comunità locali che usano banconote alternative alla
valuta ufficiale riempie di speranza: anche
chi non ha soldi (quelli veri), grazie al suo
comportamento virtuoso può fare la spesa
e vivere senza indebitarsi, né chiedere l’elemosina. Una piccola grande buona notizia.
S
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
21
SCATTI DAL MONDO
A cura di
EMANUELA PICCHIERINI
[email protected]
Testo di
GIULIO ALBANESE
[email protected]
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
GIORNATA MONDIALE DELL’AFRICA
EX AFRICA SEMPER ALIQUID NOVI
Il 25 maggio, su iniziativa dell’Unione Africana (Ua), si celebra la Giornata
mondiale dell’Africa. La ricorrenza coincide con l’anniversario della fondazione dell’Organizzazione per l’Unità Africana (Oua), avvenuta nel 1963 e
sostituita poi, nel 2002, dall’attuale organismo panafricano.
Viene, pertanto, spontaneo chiedersi quale sia il contributo che la Chiesa
cattolica offre nel percorso di crescita dell’Africa. Stiamo parlando di un continente con una popolazione stimata di un miliardo 15 milioni e 544mila.
Nel 1960 esso contava circa 284 milioni di abitanti, il che, in sostanza, significa che se l’Italia fosse cresciuta allo stesso ritmo, oggi gli italiani sarebbero 185 milioni. Attualmente i cattolici africani sono circa 185 milioni
e 620mila e rappresentano, secondo i dati dell’ultimo Annuario statistico
della Chiesa elaborati dall’Agenzia Fides, il 18,28% del computo totale degli abitanti del continente. Sebbene il numero di abitanti per sacerdote sia
27mila e 62 unità e quello dei cattolici per sacerdote di 4mila e 946 (ancora dunque inferiore alla vecchia Europa che conta 3mila e 752 abitanti
per sacerdote e mille e 498 cattolici per sacerdote), l’Africa ha avuto in questi anni una sporulazione significativa di vocazioni. Basti pensare che al 31
dicembre 2010 in Africa è stato segnalato un incremento di 752 rispetto
all’anno precedente, contro i -282 dell’Europa.
Colpisce in primo luogo il fatto che l’impulso alla crescita, in Africa, sia accompagnato da una forte percezione che occorre voltare pagina, mettendo in discussione una mentalità remissiva di fronte alle grandi questioni imposte dalla globalizzazione. È sintomatico che a pensarla così non siano
esperti stranieri, ma gli stessi africani. In effetti, il messaggio finale del Secondo Sinodo africano (5-25 ottobre 2009) parla chiaro, rifuggendo da inutili e sterili pietismi, nella certezza che occorre mettere in discussione una
mentalità remissiva. Una consapevolezza, questa, che parte dal presupposto che il continente ha davvero i numeri per farcela. Se da una parte è vero
che le carestie continuano a mietere vittime – nel 2011 nel martoriato Corno d’Africa, l’anno successivo nel Sahel – secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), il Ghana nel 2012 è cresciuto del 13,5%, il Niger del 12,5%,
l’Angola del 10,5%. Mediamente, la crescita del Pil, a livello continentale,
è stata intorno al 6%, anche se poi, e questo è un dato non irrilevante, l’attuale crisi dei mercati ha esaltato la tendenza alla concentrazione di elevate proporzioni della ricchezza nelle mani di una piccola minoranza. Comunque,
una quota consistente di questa crescita dipende dagli investimenti cinesi. Nel 2000 il governo di Pechino aveva investito appena 60 milioni di dollari in Africa. Ma da allora il flusso di capitali cinesi è cresciuto in termini
esponenziali, fino a aggiungere livelli 200 volte superiori. Non è un caso se
la Banca mondiale (Bm) prevede che entro pochi anni la Cina avrà “esportato” ben 85 milioni di posti di lavoro in Africa. Ma attenzione: l’Impero del
Drago non fa beneficenza e senza altri investimenti stranieri che tengano
conto non solo del profitto delle imprese ma anche dei diritti della gente,
l’Africa continuerà ad essere una terra di conquista. Su questo fenomeno,
la Chiesa auspica, come leggiamo nella recente Esortazione Post Sinodale Africae Munus di Benedetto XVI, che la globalizzazione della solida- »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
23
SCATTI DAL MONDO
24
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
GIORNATA MONDIALE DELL’AFRICA
rietà giunga sino a inscrivere «nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità» (n. 86). Interessante, a questo
proposito, è la situazione del Sudafrica, unico Paese
del continente africano a sedere attorno al tavolo del
G20. Questa nazione, infatti, rimane la vera potenza
di riferimento, a livello politico-diplomatico, anche se,
guardando al futuro, la sfida consisterà innanzitutto e
soprattutto nel ridurre la forbice tra i ceti ricchi e quelli meno abbienti che, comunque, rappresentano ancora la stragrande maggioranza della popolazione. Le
Chiese cristiane in Sudafrica si stanno impegnando nel
risanamento del tessuto sociale. Una sorta di “solidarietà critica” – termine tecnico adottato dal Consiglio
Ecumenico delle Chiese del Sudafrica (Sacc) – di pieno appoggio alle iniziative politiche sociali non in contrasto con i fondamentali valori umani e cristiani.
Non v’è dubbio che nelle relazioni tra Nord e Sud del
mondo, tra Europa e Africa in particolare, la sfida, prim’ancora che essere sociale, politica o economica,
è culturale. D’altronde, certi pregiudizi sulle Afriche è meglio usare il plurale parlando di un continente grande tre volte l’Europa - retaggio dell’epoca coloniale, sono
duri a morire e condizionano non poco l’immaginario
collettivo a livello planetario. Sta di fatto che l’Africa,
al singolare o al plurale che dir si voglia, viene sempre e comunque percepita, soprattutto nei Paesi occidentali, come realtà a sé stante, anni luce distante
dal resto del mondo; una terra di conquista fatta di savane, deserti e foreste pluviali, i cui popoli, per misteriose ragioni ancestrali, sarebbero istintivamente avversi alla mente razionale e al pensiero scientifico. Eppure, per chi le ama davvero, le Afriche, di cui sopra,
non solo sono ricche d’immense risorse naturali, ma
appaiono costellate di popoli ed etnie più che mai palpitanti. Malgrado le sciagure causate dai signori della guerra, da certe oligarchie locali e dalla bramosia
di poteri soprannazionali che hanno fortemente penalizzato la vita d’intere nazioni, la gente comune è riuscita sorprendentemente ad “ottimizzare il caos” attraverso ingegno, istinto di sopravvivenza e buona volontà per un futuro davvero sostenibile. Ecco che allora, proprio per questa sua peculiare collocazione nel
contesto del villaggio globale, segnato da ingiustizie
e sopraffazioni, il ruolo della Chiesa, come auspicato da Benedetto XVI in Africae Munus, è quello di essere «uno dei polmoni spirituali dell’umanità».
D’altronde, come già nel primo secolo d.C. scriveva
Plinio il Vecchio, «Ex Africa semper aliquid novi», dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
25
PANORAMA
[email protected]
DI CHIARA PELLICCI
L’Africa non è solo fame, guerra,
schiavitù. Nonostante gli schiavi
africani, per la tratta verso le
Americhe, partissero proprio
dall’isola in cui Ismaila Mbaye senegalese, 35enne - è nato e
cresciuto. Alto, capelli lunghi
dreadlocks, pelle lucida e brillante,
un sorriso irresistibile, è
percussionista nella Kilimangiaro
Band, attore di tv e teatro, modello.
Ma è anche un africano che vive in
Italia da 12 anni e sente di avere
una grande missione: quella di far
scoprire a tutti un’Africa
sconosciuta e sorprendente.
A partire dai più piccoli.
26
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Il bello
dell’Africa
utto è cominciato tanti anni fa con un tamburo. Anzi un djembe, per essere precisi. Ismaila Mbaye, senegalese, è poco più che un ragazzo e insieme ad altri giovani che, come lui, suonano le percussioni, partecipa ad
un gemellaggio con una scuola francese. Il viaggio dalla sua isola di Gorée
(Senegal) all’Europa è relativamente semplice: non è difficile portare con sé
i voluminosi tamburi costruiti in pelle di animale e legno, tipici dell’Africa Occidentale. Gli alunni della scuola che Ismaila e i suoi amici incontrano soffrono di disturbi di interazione sociale e comunicazione: musica e ritmi, più
che parole e attività, possono essere una buona cura. Così i ragazzi africani, arrivati a destinazione, iniziano subito a suonare ciascuno il proprio djembe. I bambini francesi sono impauriti e stanno alla larga. È Ismaila stesso a
ricordare con precisione questo momento, nonostante siano passati quasi
T
20 anni: «All’inizio in loro prevalse la diffidenza: noi eravamo alti, con la pelle nera,
capelli lunghi e crespi… Però la musica attirava la loro curiosità e non ci staccavano
gli occhi da dosso. Il ritmo ci aiutò ad entrare in relazione: piano piano, suonando e
cantando, un bambino si avvicinò al mio
tamburo e cominciò ad accarezzarlo. Allora lo invitai a battere sulla pelle: io continuavo a suonare, ma gli facevo capire che stava suonando anche
lui con me. Alla fine si ruppe il
ghiaccio e tutti gli altri si avvicinarono. Fu grazie alla musica
che abbatte le barriere e aiuta a
sentirsi amici».
È da questa esperienza che
Ismaila capisce come sia poten-
Tutto è cominciato
tanti anni fa con un
tamburo. Anzi un
djembe, per essere
precisi. Ismaila Mbaye,
senegalese, è poco
più che un ragazzo
e partecipa ad un
gemellaggio con
una scuola francese
A sinistra:
Ismaila Mbaye, senegalese, 35 anni,
percussionista nella Kilimangiaro Band.
Sopra:
Ismaila durante le prove della trasmissione
tv “Alle falde del Kilimangiaro” in onda ogni
domenica pomeriggio su Rai 3.
In basso:
Nell’isola di Gorée (Senegal) si impara
sin da piccoli a suonare il tamburo.
te e preziosa l’arte dei suoni per andare oltre, superare ogni ostacolo comunicativo,
ritrovarsi in sintonia. Scopre così che i ritmi africani sono un ottimo modo per far parlare la sua terra, la sua cultura, meglio delle grandi teorie o di chissà quali ragionamenti: bastano un djembe, le mani e la voce.
Così la musica diventa per lui un modo di
veicolare il bello e il buono dell’Africa. La sua
terra, infatti, non è solo fame, guerra,
schiavitù, nonostante gli schiavi africani, per
la tratta verso le Americhe, partissero proprio dall’isola in cui lui stesso è nato e cresciuto. Eppure ci sono mille originalità e altrettanti segreti nella cultura del Continente nero, nei ritmi che scorrono nel sangue
e parlano più di milioni di parole, negli strumenti musicali così semplici e al contempo così preziosi che diventano quasi
l’estensione del corpo di chi li suona.
«Oggi le percussioni sono la mia vita e il
djembe, quello che in Italia è chiamato genericamente tamburo, è il mio compa- »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
27
PANORAMA
gno quotidiano, tanto che mi riesce più facile esprimermi con quello che con le parole» confessa Ismaila, 35enne, nel nostro
Paese da 12 anni, oggi percussionista
della Kilimangiaro Band che ogni domenica pomeriggio si esibisce su Rai3 nel programma “Alle falde del Kilimangiaro”.
Ismaila si riconosce per la sua altezza, i capelli lunghi dreadlocks che ricordano la criniera di un leone, la pelle lucida e brillante,
un sorriso dolce, regalato con tutti i denti.
E anche con gli occhi che luccicano.
Sin da piccolo suonava con le mani tutto
quello che trovava: tavoli, bicchieri, tamburi… Oggi per lui le percussioni sono il modo
di andare verso l’altro, superando ogni barriera. Ma oltre alla sua professione di per- ste ultime ad essere guidate dai ritmi.
cussionista – e anche di modello e di atto- Nel progetto “Laboratorio di percussioni afrire in tv e a teatro - Ismaila da più di dieci cane”, che Ismaila realizza negli istituti scoanni cerca di far scoprire ai bambini delle lastici italiani interessati, i bambini si trovascuole italiane la cultura africana a partire no ad acquisire le tecniche di base per l’utidai suoi ritmi: «La musica può
lizzo di uno strumento a
fare da terapia, può guarire le
percussione, a scoprire le
persone, può fare bene anche al- Non è mai
origini del djembe, del
l’anima» dice. È per questo che troppo tardi per
djun-djun e delle rispettive
ritiene fondamentale svelare il imparare che si
funzioni nell’espressione
vero volto dell’Africa ai più picmusicale della tradizione
coli: «Non è mai troppo presto è tutti uguali,
dell’Africa Occidentale, a
per imparare che si è tutti ugua- indipendentemente conoscere i principali incali, indipendentemente dal colo- dal colore della
stri ritmici e i relativi signire della pelle o dal Paese di proficati di natura rituale, relivenienza. E ognuno ha le sue ca- pelle o dal Paese
giosa e sociale, ad integraratteristiche, tradizioni, usanze: di provenienza.
re elementi culturali e mututte da imparare ad apprezzasicali provenienti da altri
re» ripete come per voler conPaesi e culture.
vincere chi lo sta ascoltando. Ma poi, La missione più grande di Ismaila è proprio
quando le parole lasciano spazio alla mu- questa: far scoprire a tutti un’Africa sconosica, non c’è più bisogno di niente: sono i sciuta e sorprendente. Non solo ai più picsuoni, ora acuti, ora bassi, a impossessar- coli. «Quando i miei amici mi chiedono
si della scena, a far muovere le mani sulla come si vive la crisi nel mio continente, io
pelle tesa del djembe, come fossero que- rispondo che l’Africa è in crisi da mo’, ma
Isola di Gorée (Senegal) – Il fortino al cui interno
venivano tenuti prigionieri gli schiavi in partenza
dall’Africa per le Americhe.
28
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
– nonostante questo – non ho mai visto un
africano suicidarsi per questioni economiche. Perché là non si sente la solitudine: si
è solidali anche nel poco. Avete mai visto
un africano che si dimentica di salutare un
passante perché va di fretta? Da noi è impensabile! Ai miei amici africani chiedo di
salutare meno e lavorare di più. Ai miei amici europei chiedo di lavorare meno e salutare di più» conclude ridendo. Ma è bene
imparare sin da piccoli a saper apprezzare il buono e il bello di ogni popolo. Anche
per evitare che si formino pregiudizi difficili da estirpare. Effettivamente al Laboratorio di Ismaila ognuno arriva al primo incontro con la propria idea di Africa: «Una volta un bambino alla fine del corso mi si è avvicinato e mi ha detto: “Quando ero piccolo la mia mamma mi cantava una ninna nanna che diceva che se non avessi dormito
sarebbe arrivato l’uomo nero. Quando ho
conosciuto te, però, ho capito che quella ninna nanna non era vera perché l’uomo
nero è buono”. Ecco, questo non lo dimenticherò mai».
Per un nuovo
umanesimo
Dossier
ALTERNATIVE ALLA CRISI
* Gesuita, giornalista professionista
DALLA CRISI SISTEMICA
CHE STIAMO ATTRAVERSANDO
– NON SOLO ECONOMICA, MA
SOCIALE E POLITICA IN SENSO
LATO – SE NE ESCE SOLO
IMMAGINANDO MONDI ALTERNATIVI NEI QUALI IL PRIMATO
SPETTI ALL’ETICA E ALLA
SPIRITUALITÀ NON
ALL’ECONOMIA. PERCHÉ LA
NOSTRA ANIMA HA UNO SPAZIO
TUTTO SUO CHE VA
RISCOPERTO E LA SPIRITUALITÀ
POSSIEDE UNA POTENZA DI
TRASFORMAZIONE DEL MONDO.
di Francesco Occhetta*
[email protected]
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
29
«L’
uomo non è solo ciò che consuma». Lo ha
ricordato papa F rancesco, incontrando i
leader religiosi della terra il 20 marzo scorso; l’uomo
è chiamato a qualcosa di più, anzi è ri-chiamato da
“Qualcuno di più”. Questo desiderio latente sta
emergendo dalle culture e da tante persone che,
anche nei social network, esprimono l’amore per la
vita davanti a tanta crisi di senso. Si respira un
desiderio di «una nuova primavera»; è vero, il cambio
epocale, segnato dalla crisi in corso sia istituzionale
sia antropologica, ha posto l’umanità davanti ai suoi
limiti: paura sociale e individuale, legami sempre più
fragili e mutevoli, città per molti aspetti alienanti,
guerre tra poveri sempre meno giustificabili… Eppure
è bastata l’ele zione di un papa per commuovere
popoli e culture e per dimostrare come sotto la
cenere esiste una brace che si infiamma ascoltando
30
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
parole di vita e guardando testimoni credibili.
Ripartiamo da qui.
La crisi di sistema e lo smarrimento del senso
Quella in corso è una crisi di sistema, non è la crisi di
un partito, di alcuni leader o del funzionamento
delle istituzioni. I “fattori antidemocratici” che minano
la possibilità di vivere in pace in ordinamenti
democratici retti dallo stato di diritto sono ancora
molti, ne accenniamo alcuni: la crisi del fondamento
dei diritti umani sanciti nella Dichiarazione universale
dei Diritti umani (1 948); l’infiltrazione dei poteri
criminali (le mafie, il narcotraffico, il traffico di prostituzione e altri); la scarsa credibilità della stampa
spesso poco indipendente e trasparente; la crisi dei
partiti che hanno occupato le istituzioni; l’evasione
fiscale; le grandi manovre finanziarie che sono fatte
IL GRANDE BUSINESS DEI CENTRI COMMERCIALI
Lucignolo nel paese
dei balocchi
N
on sembrano risentire della crisi economica globalizzata. Anzi. Continuano
a spuntare come funghi ai margini delle
grandi città, meta di migliaia di persone,
soprattutto giovani, che in obbedienza ad
uno stile di vita votato al consumo, amano
passare nei centri commerciali una cospicua
fetta del loro tempo libero. Luogo di aggregazione, festival delle carte di credito e
stimolo di desideri superflui, le città dello
shopping sono da un paio di decenni i
non-luoghi, espressione di un fenomeno
sociale che coinvolge masse sempre più
ampie di persone in Italia come in Cina, in
Turchia come negli Usa. Sparsi nel mondo
come cattedrali del consumo - così li ha
definiti il sociologo americano George Ritzer
- i centri commerciali sono tra gli indicatori
più evidenti della ricchezza del Paese che li
ha costruiti. Migliaia di metri quadrati di
cemento e vetro racchiudono in una cittadella
colorata negozi delle griffes globalizzate,
fontane, musica, attrazioni, piste da bowling
o da sci, sale giochi e chi più ne ha più ne
metta, attraendo senza sosta il via vai dei
visitatori che, h24, si addentrano nel mi-
crocosmo dei centri commerciali.
Se una volta l’uso
del tempo libero
era legato alle gite
in famiglia, allo
sport, alla visite ai musei o a semplici passeggiate nel quartiere, oggi il centro commerciale è diventato il nuovo luogo in cui,
per attirare i consumatori, sono state create
strutture sportive, cinema multisale, meraviglie come l’acquario del Dubai Mall, nell’omonima città. Non manca un occhio
d’attenzione all’arte in centri come l’immenso
Paragon di Bangkok in Thailandia che, accanto alla galleria d’arte contemporanea,
offre anche una sala da concerto, una pista
da pattinaggio e l’immancabile discoteca
per gli aficionados del karaoche. Grandi
luna park dell’acquisto, giganti multipiano
come l’Istanbul Cavahir con oltre 400 negozi
possono offrire al numeroso pubblico anche
un giro sulle montagne russe, tanto per riprendere fiato - si fa per dire - tra una
compera e l’altra. Ma non tutti i visitatori
possono permettersi di spendere soldi,
Dossier
ALTERNATIVE ALLA CRISI
Nella sua proposta di
società e di uomo rivolta al
mondo, la Chiesa propone
di basare una nuova
convivenza, ripartendo
dall’idea di Stato che nasce
dal basso, dai territori
attraverso strutture
sussidiarie e solidali.
in spazi internazionali che vanno oltre le competenze
degli Stati.
Esiste però l’altra faccia della medaglia, ed è la parte
di cultura che silenziosamente fa crescere la foresta
del mondo senza spaventarsi del rumore degli alberi
che cadono. È la nuova cultura democratica che la
Chiesa considera come un modo di vivere basato
sulla responsabilità individuale e delle comunità,
prima ancora di essere una forma di governo. Il processo è inarrestabile e i dati lo dimostrano: nel 1980
il 46% della popolazione mondiale viveva in Stati
fondati su standard democratici minimi (stato di
diritto, pluralismo, elezioni libere, libertà di espressione);
nel 2010 la popolazione mondiale sotto reg imi democratici era salita al 70%, in 130 Stati dei 191 che
sono membri dell’Onu.
»
come accade nello sterminato New Wsouth
Mall, nella provincia cinese di Guangdong,
che è il più grande centro commerciale del
mondo, diviso in sette “quartieri” in cui rivivono grandi città del mondo come Parigi
e Venezia.
In Italia da 30 anni a questa parte la grande
distribuzione ha cominciato a “ripulire la
piazza” dai piccoli negozianti, con la creazione
di grandi concentrazioni di vendita spesso
in mano ad aziende straniere titolari di una
buona fetta dei circa 800 centri commerciali
sparsi nella penisola. E nell’ “economia
dell’indistinto”, che consuma scarpe low
cost come arte, sport, musica, la merce su
cui si concentrano gli interessi del mercato
sono i desideri - più indotti che reali - dei
consumatori. E l’acquisto non è più una
necessità ma uno stile di vita.
Miela Fagiolo d’Attilia
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
31
Zagrebelsky e la democrazia
N
on ha mai smesso di
riflettere sul rapporto
fra lex e ius, fra legge morale e norma giuridica. Gustavo Zagrebelsky (1943),
docente universitario, giurista e giudice emerito della
Corte costituzionale, nella
sua prolifica attività saggistica è tornato a spiegare
più volte e da differenti
prospettive che le norme
di diritto non possono divenire né interesse di
espressioni di parte né tantomeno formule immutabili che qualcuno impone. Se prevale uno dei
due aspetti - spiega Zagrebelsky in “Il pensiero mite” (Einaudi, 1992) ecco che ci si avvita nel nichilismo giuridico, una delle storture della
nostra contemporaneità. Prevale cioè una abnorme produzione di
norme giuridiche, di tecnicismi curvi su sé stessi e scollati dalla realtà e
dalla vita reale della gente.
In “Il Crucifige e la democrazia” (Einaudi, 1995 e poi 2007), Zagrebelsky
concentra la sua riflessione sull’episodio del Vangelo che vede schierati,
di fronte al procuratore romano e al popolo della Giudea, Gesù e i
sacerdoti del Sinedrio. L’episodio diventa fonte per una riflessione sui
funzionamenti e sulla difesa del sistema democratico. Dove finisce la
democrazia e inizia l’oligarchia e il populismo? La democrazia è un
fine, e non un mezzo. È un modello di pensiero volto alla ricerca della
verità, ripete Zagrebelsky in questo e in altri interventi. Del 2008 è il
libro “Contro l’etica della verità”, che riflette sul rapporto tra Stato e
Chiesa, tra regola laica e dogmi spirituali. «La capacità di dialogo
equivale alla disponibilità all’auto-modificazione, in base ai buoni
argomenti. Se non è così il dialogo si trasforma in monologhi tra sordi.
Questo pericolo – scrive Zagrebelsky - esiste sia per il pensiero
razionale, sia per quello religioso, ma per quest’ultimo è più grave, in
quanto solo esso è sostenuto da un’autorità concentrata, produttiva di
dottrine nel suo ambito vincolanti».
Marco Benedettelli
Nel 2010 la popolazione
mondiale sotto regimi
democratici era salita al 70%,
in 130 Stati dei 191 che sono
membri dell’Onu.
32
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
L’aspetto antropologico che sta toccando
il versante della cittadinanza è invece il
cambiamento del telos (il fine) delle società,
degli interessi e dei gusti delle persone:
chiese e piazze, almeno in Occidente, si
stanno spopolando; i centri commerciali
sono diventati “le nuove cattedrali del
nostro tempo”, mete di “pelleg rini-consumatori”, che scelgono di par tecipare ai riti
della “religione dei consumi”. In quasi tutte
le culture — da quella europea a quelle
americana e asiatica — è difficile resistere
alla “seduzione” che induce a consumare
più di quanto se ne abbia realmente
bisogno. Tutti hanno un motivo per andarci:
le famiglie povere sono attirate dalle logiche
dei prodotti “3 x 2”; i g iovani si incontrano insieme,
vanno al cinema, si vestono e si pettinano secondo
l’ultima moda, che il centro commerciale soddisfa in
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Dossier
Tre vie di speranza
Nella sua proposta di società e di uomo rivolta al
mondo, la Chiesa propone di basare una nuova convivenza, ripartendo dall’idea di Stato che nasce dal
basso, dai territori attraverso strutture sussidiarie e
solidali. Lo Stato di stampo liberale è definitivamente
in crisi, lo Stato sociale di matrice umanistico-cristiana
è la vera alternativa. Per rigenerare processi democratici
sono necessari almeno tre condizioni: la fiducia tra le
persone, il senso di appartenenza a comunità politiche
locali, l’investimento sugli enti intermedi dello Stato
sociale.
La fiducia tra le persone, che si crea quando ci si
connette e ci si incontra come co-creatori e codefinitori della società, è già capitale sociale. La fiducia
è il sale dell’economia; senza di questa, i rappor ti sarebbero molto “costosi”. Se mantenere il valore della
fiducia costa 1, crearla costerebbe 20; così quando distruggiamo la fiducia tra noi, dannegg iamo il »
ALTERNATIVE ALLA CRISI
tutto; gli anziani, soprattutto quelli soli e meno
abbienti, passano i loro pomerigg i per scambiare
qualche parola e, durante i mesi estivi, per usufruire
dell’aria condizionata. Il 70% degli europei intervistati
da uno studio di qualche anno fa ha dichiarato che
la spesa nel centro commerciale è decisa dai bambini,
influenzati dalla pubblicità televisiva. Al loro interno
non si fa politica, non si ascoltano urla, l’ambiente è
pulito.
I riti del consumo portano a confondere la realtà con
la fiction, a vivere una città finta uguale a tutte le
altre che fa sentire a casa ovunque uno si trovi, a
Praga, a Bogotá, a Singapore. Si tratta di esperienze
spersonalizzanti e omologanti, che non lasciano
tracce di un’esperienza vissuta insieme. Allo stesso
tempo, però, i centri commerciali sono diventati le
moderne agorà che offrono spazi sicuri e tranquilli e
la possibilità di istaurare quelle relazioni sociali che
non si riesce più a costruire fuori.
33
Quella in corso è
una crisi di sistema,
non è la crisi di un
partito, di alcuni
leader o del
funzionamento
delle istituzioni.
sistema economico e sociale a causa dei costi altissimi
necessari per ri-crearla. Gli economisti parlano anche
di “costi di transazione”: se un Paese o una persona ha
poca fiducia in un altro Paese o in un’altra persona, lo
scambio di beni chiederà garanzie contrattuali molto
alte. È la sfiducia radicale che genera le guerre e le crisi
finanziarie con le loro vittime. La fiducia non ha valore:
è semplicemente un capitale relazionale e non si può
comprare, ma vale più di qualsiasi altro bene. Come
fare per aumentare la fiducia? Investendo sulle relazioni,
34
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
sulla conoscenza gli uni degli altri,
abbattendo gli steccati della diffidenza
culturale e sociale e migliorando i
rapporti tra le persone: la fiducia
genera anche maggiore felicità.
L’altra dimensione è quella della
comunità in cui si vive (famiglia,
gruppi di volontariato, associazioni,
parrocchie, ong, ecc.). Per la Scrittura
la comunità è la dimensione in cui
l’uomo diventa una persona (essere
in relazione con), recupera il senso
della propria umanità e può ricercare
il senso della trascendenza. È il
luogo relazionale in cui si recupera
la dimensione locale e sussidiaria
degli organismi intermedi.
Ultima dimensione di speranza è
la ricostruzione dello Stato Sociale.
Quando si parla di democrazia, ci
si limita a valutarla nei suoi caratteri
formali, nelle sue procedure e nelle sue regole,
attraverso le garanzie e i doveri codificati dal sistema.
È l’eredità liberale in cui l’individuo è svincolato dalle
sue relazioni sociali ed è considerato una monade da
proteggere nelle sue liber tà. Dalla metà del secolo
scorso, il magistero della Chiesa ha voluto che ai diritti
sociali e politici corrispondano i diritti economici e
sociali, per garantire coloro che non appar tengono a
classi sociali ricche o a ceti privileg iati. Così lo stato di
diritto può essere sostituito solamente con un’idea di
Welfare transnazionale
un dato di fatto che il welfare italiano e quello europeo
avranno sempre più bisogno di immigrati. Una migrazione
“circolare” (che porti benefici effetti sia ai Paesi d’origine sia a
quelli di destinazione) non può prescindere da una visione di
Stato sociale che travalichi la stretta dimensione “nazionale”.
Loredana Ligabue, in uno dei capitoli del volume “Welfare transnazionale” dedicato alla componente “globale” del welfare
state, nota come nell’Europa a 27 la fascia di persone con oltre
65 anni di età raddoppierà da qui al 2060, mentre quella over
80 addirittura triplicherà. Ragion per cui l’immigrazione sarà
sempre più parte integrante del nostro Stato sociale e perno
della componente della “cura” domestica.
«Il ruolo dei lavoratori immigrati diventerà fondamentale per
rispondere ad una domanda di welfare che si fa progressivamente più ampia e complessa», scrive. Due fenomeni si intrecciano: la nascita di un modello che ha una dimensione globale
e l’incerta sostenibilità di questo modello. In Europa sarà necessario affrontare le questioni legate alla “sostenibilità della cura”,
all’integrazione e alla promozione dei diritti di quanti operano
in questo settore (per esempio l’assistenza agli anziani), affinché siano essi stessi tutelati. E per farlo sempre di più sarà
necessaria una collaborazione tra Paesi. Non è facile metter
mano oggi ad una riforma complessiva e lungimirante dello
Stato sociale. E tuttavia è questa la priorità delle moderne democrazie europee. È probabile - dicono gli esperti di economia con
un approccio legato allo “sviluppo umano” - che sarà proprio
sul piano del welfare che si giocherà la buona riuscita della svolta riformista nei nostri Paesi. Laura Pennacchi in un suo pregevolissimo studio di qualche anno fa – La moralità del welfare –
scriveva: «Bisogna chiedersi se i welfare europei siano davvero
in crisi o non abbiano piuttosto raggiunto “uno stato di maturi-
È
Dossier
Ripartire dal “mio” mondo
L’alternativa al consumismo, orientato verso l’avere
anziché verso l’essere, dipende molto dai compor-
tamenti di ciascuno e dalle scelte di coloro che occupano posti di responsabilità. Soprattutto a loro
spetta dare testimonianza e coniugare crescita e
profitto, con la tutela delle persone più povere e
indifese. Il pericolo è dietro l’angolo. Gustavo Zagrebelsky, nel suo volume ”il Crucifige e la democrazia”, ricorda come la delega in bianco possa
essere un pericolo, fare massa senza voler essere
persone può generare una dinamica che si ripete
nella storia: «Il Crucifige! fu un urlo unanime. Nella
folla davanti al pretorio non c’era posto per il
dissenso […]. Quella folla non era un soggetto, »
ALTERNATIVE ALLA CRISI
Stato Sociale, che la Chiesa ha sempre contribuito a
costruire nei P aesi in cui è presente, con ospedali,
scuole, mense, servizi nelle carceri, e, attraverso l’idea
di giustizia riparativa, modi umani di riconciliarsi e perdonarsi. È lo Stato Sociale, prima delle istituzioni, da
dover essere rianimato, in ambiti come la sanità, il
lavoro, l’istruzione, la gestione delle risorse del territorio
e l’amministrazione della giustizia.
tà” rispetto al quale la mitologia della crisi, da una parte risulta
utilizzata come grimaldello per spingere verso modelli neo-liberisti americanizzanti, dall’altra sembra fare velo alla percezione
delle vere criticità che il modello sociale europeo presenta».
Quando ci si interroga sulle riforme nascono ragionamenti sempre più interessanti e complessi che spaziano dal modello di
“secondo welfare” al concetto di “sussidiarietà”. Negli anni a
venire, è poco ma sicuro, sarà necessario rivedere categorie che
eravamo abituati ad intendere unidimensionali, trasformandole
in qualcosa di trasversale, globale e sovranazionale.
I.D.B.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
35
ALTERNATIVE ALLA CRISI
Dossier
CONSUMISMO USA E GETTA
C
ontrastare la società dei consumi che richiede di crescere all’infinito e
produrre senza tregua - implica una sola
drastica strada: quella della decrescita. È
sempre questa la conclusione cui giunge
il filosofo-economista francese Serge Latouche, nel suo ultimo saggio “Usa e
getta” alle prese con un aspetto specifico
del consumismo sfrenato: l’ “obsolescenza
programmata”. È “obsolescente” tutto ciò
che è già vecchio, superato e inutilizzabile;
è obsolescente tutto ciò che non funziona
più o che non è più di moda. Il punto è
che l’industria moderna costringe all’obsolescenza. Ma come? Si tratta di un fenomeno non secondario che alimenta il meccanismo della crescita fine a se stessa (peraltro oramai economicamente insostenibile). «L’obsolescenza programmata nelle
sue due forme - l’obsolescenza pianificata
in senso stretto, cioè la fragilità tecnica calcolata, e in senso lato, cioè l’obsolescenza
psicologica, la desuetudine organizzata si-
stematicamente
dalla moda - è
un’invenzione statunitense», scrive
Latouche. Tuttavia
vi si ritrovano radici
europee. Il filosofo
francese compie un
excursus storico alla ricerca delle origini etimologiche e ontologiche
dell’obsolescenza, fino a chiedersi se essa
sia in qualche modo “morale”. E rispondendosi che fa strutturalmente parte della
società dei consumi. Dunque, nel sistema
di pensiero del consumismo moderno,
che vede nell’occupazione (finalizzata ad
aumentare il reddito per poter consumare)
uno dei capisaldi, l’obsolescenza risulta
necessaria. «È parte integrante della coerenza
sistemica della società dei consumi. Senza
una limitazione drastica del ciclo di vita
del prodotto, il keyneso-fordismo dei Trenta
L’alternativa al consumismo, orientato
verso l’avere anziché verso l’essere,
dipende molto dai comportamenti di
ciascuno e dalle scelte di coloro che
occupano posti di responsabilità.
36
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Gloriosi sarebbe stato zoppo», scrive.
Se ne può uscire solo scegliendo
consapevolmente di consumare
meno, di decelerare, di riciclare,
di riparare anziché di ricomprare.
Insomma, fuori dal trabocchetto
c’è solo un altro sistema parallelo che implica una rivoluzione di pensiero.
Latouche torna a descrivere
la società della decrescita senza aggiungere
molto al già detto: «Il punto chiave è la
decolonizzazione dell’immaginario: liberarsi
dall’imperialismo dell’economia sulle nostre
menti e al contempo procedere a un reincantamento del mondo». Il valore aggiunto
di questo piccolo saggio (rispetto ai precedenti) sta senz’altro nella forza delle
parole e nel fascino dell’immaginazione.
Rimane il dubbio se anche la prolusione
di parole su temi già scandagliati non richieda piccole obsolescenze culturali.
Ilaria De Bonis
ma un oggetto. Una folla di questo genere era per
sua natura por tata all’estremismo, alle soluzioni
senza sfumature, prive di compromessi».
Davanti a questo pericolo non ci può essere un richiamo all’etica se prima non la si fonda sulla spiritualità. È fallito il modello economico, che ha
ridotto l’esperienza del consumo a un surrogato
dell’esperienza spirituale: consumando la prima ci
siamo consumati; invece la seconda è un’esperienza
gratuita e liberante, non è mai l’incontro con
qualcosa, ma è sempre l’incontro con Qualcuno.
La tragica forza e debolezza dell’uomo e della democrazia si tiene insieme scegliendo il bene e perseguendolo attraverso la responsabilità di tutti gli
enti educativi, incluse le parrocchie, gli oratori, i
vari gruppi e movimenti cattolici che stentano a
parlarsi tra loro; la formazione alla spiritualità della
politica, l’educazione alle pratiche della democrazia,
il recupero dell’identità locale immersa nel globale
e la scelta di uomini “per gli altri” sono per la
Chiesa le radici che nutrono i frag ili germogli del
nuovo umanesimo in corso. Ma a questi dobbiamo
crederci.
L’INTERVISTA: FRANCESCO PETRELLI
Filo diretto
CON L’ECONOMIA
COOPERARE
PER RIPARTIRE
«L
Francesco Petrelli
IN UN MONDO IN EVOLUZIONE,
ALLE PRESE CON LA PIÙ
GRANDE IMPASSE ECONOMICA
DEGLI ULTIMI 50 ANNI, LA
COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
NON PUÒ PIÙ ESSER
CONSIDERATA SOLTANTO «UN
ATTO DI GENEROSITÀ» VERSO I
POVERI. «SE FATTA IN MODO
CORRETTO E LUNGIMIRANTE»
DIVENTA UN PREZIOSO
ALLEATO CONTRO LA CRISI
ECONOMICA GLOBALE. A PATTO
CHE SIA MULTILATERALE.
a Cooperazione internazionale non è
qualcosa che si può
elargire in momenti di vacche
grasse e che poi si taglia drasticamente in tempi di vacche magre»,
spiega in questa intervista Francesco Petrelli, responsabile Relazioni Istituzionali di Oxfam Italia.
«Certamente le Ong lavorano nell’ottica dell’affermazione di una giustizia globale, però ormai dobbiamo dire che la Cooperazione serve anche a chi la fa. Se non è asfitticamente legata a interessi di breve periodo, o peggio, ci aiuta a recuperare un ruolo globale» e a
guardare al mondo con altri occhi.
Cosa rispondete a chi dice che
in tempi di crisi non si può aumentare la quota di Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps)?
«La risposta è sul piano dei valori ma anche della politica e dell’economia: è una questione di
comprensione del mondo. Come
non capire che alcuni Paesi europei, anche in tempi di crisi, mantengono alti i livelli di
Aps perché questa è considerata un’opportunitò anche
per loro? Dalla crisi se ne esce solo insieme: non c’è
priorità di scelta tra una povertà interna ed una esterna; tra risorse da destinare alle pensioni minime o alla
Cooperazione internazionale. Fa parte tutto di un’unica grande agenda globale. La Cooperazione non è un
di più, al contrario, può essere uno strumento per uscire dalla crisi. Tant’è vero che ormai la lotta alla povertà si pone in modo completamente inedito. Più che parlare di Cooperazione dovremmo parlare di modelli di sviluppo, delle disuguaglianze e di una nuova questione
sociale globale.
È anche una questione di numeri. L’Italia spende
sempre meno.
Certo. L’Aps dell’Italia ormai è sceso allo 0,13% del Pil,
anche se l’anno prossimo arriverà allo 0,15- 0,16%.
Speriamo sia un primo segnale perchè siamo lontanissimi dagli Obiettivi di sviluppo del Millennio e dalla
media dei Paesi Ocse. Ci vuole un piano pluriennale per
riallineare l’Italia alla media dello 0,30% nel giro di 3-4
anni. Il tema dello sviluppo deve essere parte integrante di tutte le politiche dell’Italia e, direi di più, del modo
in cui l’Italia sta al mondo e concepisce se stessa. L’Italia ha bisogno della Cooperazione per la sua collocazione geo-politica perché è il ponte tra l’Europa e l’Africa.
È un Paese che non ne può fare a meno. Possiamo parlare di Cooperazione, oggi, e non coinvolgere il ministero dell’Economia, dell’Agricoltura, dell’Ambiente? È una
questione di coerenza di politiche».
La legge sulla Cooperazione, la n.49 del 1987, è evidentemente datata. A che punto si è con la riforma?
«Attendiamo da anni una nuova legge; quella del 1987
era allora innovativa. Ma dopo 25 anni appartiene ad
un’altra epoca storica e mostra tutti i suoi limiti. Il testo di riforma approvato alla Commissione Esteri del Senato nel novembre 2012 affronta alcuni nodi cruciali tra
i quali il rapporto tra Cooperazione allo sviluppo e ministero degli Esteri; la necessità di maggiore responsabilità politica; l’opportunità di creare una Agenzia; di
istituire un fondo unico che coordini le risorse di tutti
i ministeri. La discussione è aperta invece tra quanti vogliono un ministero ad hoc per la Cooperazione Internazionale e quanti (e io sono tra questi) dicono che bisogna fare un lavoro dentro la Farnesina, per cambiare il senso e la ragione sociale del ministero degli Esteri. L'idea in ogni caso è quella di un vero responsabile
politico, un ministro della Cooperazione con portafoglio,
che abbia reale voce in capitolo, e partecipi al Consiglio dei Ministri».
di Ilaria De Bonis
[email protected]
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
37
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
Il rientro dei fidei donum
Molta “andata”,
La missione dei fidei
donum, che siano sacerdoti
o laici, prevede un’andata
e un ritorno. In altre parole
implica un doppio senso di
marcia, che mette in
relazione la diocesi che
invia con quella che riceve.
Ma se per l’andata è in
genere tutto pianificato,
non altrettanto si può
sempre dire per il ritorno.
Cosa fare perché anche il
“senso di marcia inverso”
diventi un’esperienza
arricchente e peculiare
per la Chiesa locale?
quanto ritorno?
di CHIARA PELLICCI
[email protected]
hi frequenta assiduamente la
vita ecclesiale della propria diocesi avrà avuto modo di partecipare alla celebrazione di un “mandato
missionario”: la consegna da parte del
vescovo del Crocifisso al sacerdote o al
laico in partenza, con la partecipazione
di tutta la comunità diocesana, è in
genere un bel momento per far sentire
a chi parte il sostegno della Chiesa che
invia e per rendere partecipe chi resta
di un’esperienza che aprirà ad uno
scambio arricchente.
Più difficile, invece, anche tra i più
C
38
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
assidui frequentatori della vita ecclesiale
della propria diocesi, sarà trovare chi
ha avuto modo di partecipare ad una
celebrazione in cui viene valorizzata
l’accoglienza del fidei donum che ha
appena concluso la sua esperienza missionaria pluriennale. Già questo è un
semplice segno del fatto che se la missione prevede un’andata e un ritorno,
mentre per l’andata è in genere tutto
pianificato - con il coinvolgimento della
comunità che manda, una formazione
in vista della partenza, un progetto da
realizzare una volta arrivati a destinazione - per il ritorno non si può dire altrettanto.
Eugenio Di Giovine ha vissuto insieme
alla sua famiglia tre anni in Venezuela:
«Alla partenza tutti ci hanno manifestato
la loro gioia: la diocesi di Milano,
l’Ordine Francescano Secolare (di cui
Eugenio e la moglie Elisabetta fanno
parte, ndr). Il rientro, invece, è stato
molto meno condiviso: certamente
siamo stati valorizzati nella realtà ecclesiale, nel servizio che svolgiamo nella
nostra parrocchia all’interno della pastorale familiare ordinaria, nella promozione della missione ad gentes all’interno della famiglia francescana e
anche nelle tante testimonianze che
tramite il Centro missionario diocesano
teniamo nei diversi contesti in cui veniamo chiamati. Sono tutti servizi nella
Chiesa, di cui siamo contenti. Ma non
possiamo negare che una cosa è “raccontare” quello che abbiamo vissuto
là, un’altra è “farlo vedere”, cioè “viverlo”
qui. Invece, una volta rientrati, abbiamo
accantonato tanti sogni». Eugenio tiene
a precisare che non vuole criticare
niente e nessuno: anzi, come famiglia
è sempre stato accompagnato anche
dagli incontri che il Centro missionario
diocesano di Milano organizza una
volta l’anno con i fidei donum rientrati.
A fianco:
Vista aerea di Caracas, Venezuela.
Sotto:
Chiara e Giovanni Balestreri, con la piccola
Benedetta, accolgono nella loro casa di Sayan
(Perù) il cardinale Tettamanzi, allora vescovo
di Milano.
A destra:
Teresa e Sara, figlie di Eugenio ed Elisabetta
Di Giovine, immortalate prima
della partenza per il rientro in Italia: posano
con Iris (una ragazza della parrocchia
di Guanare) indossando i vestiti
tradizionali venezuelani.
Eugenio Di Giovine
ha vissuto insieme
alla sua famiglia
tre anni in
Venezuela: «Alla
partenza tutti ci
hanno manifestato
la loro gioia».
Ma è un dato di fatto
che l’esperienza fatta in
missione, che Eugenio paragona ad una «scuola di
specializzazione, un master universitario», meriterebbe una maggiore valorizzazione nell’ottica di
un più proficuo scambio
tra le Chiese.
Anche Chiara e Giovanni
Balestreri, recentemente
rientrati dopo cinque anni in Perù con
le loro tre bambine, parlano del ritorno
dalla missione così: «Lo metti in preventivo
un rientro “sotto tono” (rispetto alla
partenza) e ti prepari. Anche se il direttore
del nostro Centro missionario (della diocesi di Milano, ndr) si è preso a cuore i
laici che rientrano e ci segue con particolare attenzione. La Chiesa che invia
fa un grande investimento in termini
umani, economici e di formazione: anche
solo per questo sarebbe importante riuscire a farlo fruttare al massimo, mettendo
al servizio della diocesi la nostra esperienza una volta rientrati».
Il ritorno dalla missione viene progettato qualche mese
prima, soprattutto se il fidei
donum in questione è un
laico: il Centro missionario
diocesano invita così a pensare concretamente ad una
pianificazione del rientro.
A Giovanni e Chiara è stato
proposto di inserirsi come
famiglia in una unità pastorale appena formatasi
dall’unione di più parrocchie: la loro
presenza affiancherà quella del parroco
e fisicamente sarà nella canonica di
Vigano Certosino, una frazione di Gaggiano. «Abbiamo accolto la proposta
mettendoci in un’ottica di servizio: è
tutto da scoprire, ma non siamo soli.
All’inizio – confessa Chiara – avevamo
anche voglia di anonimato, dopo cinque
anni di vita in missione dove la tua
casa è aperta h24 e diventa il rifugio
di tutti. Poi siamo stati colpiti dall’accoglienza riservataci anche nei piccoli
gesti: i parrocchiani di Vigano ci hanno
fatto trovare la casa imbiancata e »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
39
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
sul tavolo latte e uova fresche». Anche
Giovanni è ben disposto a questo “esperimento ecclesiale”: «La soluzione di
Vigano ci lascia di fronte ad una precarietà evangelica: è anche per questo
che mi piace. Inoltre la nostra nuova
“missione” non sarà solo come famiglia,
ma come comunità. Mi piace pensare
che noi siamo regalati ad un’altra parrocchia. Sarebbe bello se anche altre
famiglie si donassero alle parrocchie
vicine».
Le idee per far fiorire il “ritorno” dalla
missione non mancano. L’importante
è tenere presente che il rientro – a
detta di tutti – è destabilizzante o, comunque, un momento di discontinuità
nella concretezza della vita quotidiana:
prevedere un accompagnamento umano, spirituale, emotivo, psicologico potrebbe aiutare.
C’è da dire che i racconti dei coniugi
Di Giovine e Balestreri rappresentano
il punto di vista di sole due esperienze
tra quelle dei 543 fidei donum italiani
oggi in missione. Ma andando a rileggere la ricerca effettuata da Dario
40
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Il rientro dei fidei donum
A fianco:
Il cardinale Tettamanzi, allora
vescovo di Milano, in visita alla
diocesi di Haucho (Perù) saluta
Chiara e Giovanni Balestreri fidei
donum laici.
Sopra:
Elisabetta in visita alle famiglie povere
di Guanare (Venezuela), dove la famiglia
Di Giovine ha trascorso tre anni in missione.
In alto a destra:
Teresa, la figlia più grande della famiglia
Di Giovine, viene consolata da un bimbo
della missione.
Nicoli, docente all’Università Cattolica
di Brescia, in occasione del 50esimo
anniversario dell’enciclica Fidei Donum
(1957) - primo (e per il momento
unico) studio effettuato con metodo
scientifico sui missionari rientrati - il
ritorno viene sempre descritto come
un momento critico: qualunque sia la
realtà ecclesiale da cui si è partiti e in
cui si è vissuto per anni, si evidenzia
ovunque una certa antinomia tra il
contesto di missione e quello della
diocesi di provenienza; in altre parole
la sfida sta nel reinserirsi qui senza
tradire l’essenziale dell’esperienza missionaria (cfr “Il Movimento Fidei Donum.
Tra memoria e futuro”, edizioni EMI).
Non c’è dubbio che il rientro sia fondamentale nella costruzione di ponti
tra le diocesi “sorelle” e nel tanto citato
scambio tra le Chiese. Se i vari soggetti
ecclesiali coinvolti e gli stessi missionari
in vista del loro ritorno riuscissero a
pianificare un progetto concreto, la
ricchezza dell’esperienza vissuta non
andrebbe dispersa, anzi, sarebbe valorizzata al massimo. E la famosa cooperazione missionaria ne beneficerebbe.
Parola di chi è rientrato e vede nel ritorno una nuova partenza. Ma stavolta
senza bisogno della valigia.
Giustizia in Uganda
Stop
corruption
L’Uganda rimane
uno dei Paesi più
colpiti dall’alto tasso
di corruzione tra
quelli dell’Africa
sub-sahariana.
La popolazione
comincia a prendere
coscienza del proprio
potenziale di protesta
e di come la lotta alla
corruzione partendo
dal basso possa
arrivare alle alte
sfere di governo.
now!
di ILARIA DE BONIS
[email protected]
«E
very bribe you refuse, plugs
a leak in the system». Recita così uno degli slogan
della campagna anticorruzione ideata
dal Centro Giustizia e Pace Giovanni
Paolo II di Kampala. Sullo sfondo del
manifesto una vignetta satirica: un
uomo porta “in dono” un pacco con su
scritto bribe, tangente, e riceve soldi in
cambio.
«Per ogni tangente che rifiuti, tappi
una falla nel sistema», dice il testo. E in
effetti è proprio rifiutando di diventare
corruttibili che viene avviato il circolo
virtuoso del cambiamento nel sistema
politico ugandese. Questa è una massima
di suor Fernanda Pellizzer, missionaria
comboniana in Uganda da circa 30 »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
41
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
anni. D’altra parte i livelli di corruzione
ugandesi sono universalmente noti e
procurano non pochi danni al Paese di
Museveni. «I governi di Oslo, Stoccolma
e Copenaghen hanno chiesto la restituzione degli aiuti allo sviluppo versati
all’Uganda in seguito a uno scandalo
per corruzione – si legge in una news . La stessa richiesta è già stata fatta dal
governo di Dublino che ha ottenuto il
rimborso di quattro milioni di euro. Lo
scorso ottobre la Corte dei conti ugandese rivelò che circa 10 milioni di euro
provenienti da finanziamenti internazionali erano stati illecitamente prelevati da funzionari ministeriali ugandesi».
È con l’iniziativa del Black Monday che
a Kampala ogni lunedì la società civile
ugandese protesta contro i corrotti: ma
la campagna delle ong lanciata alla fine
dello scorso anno non piace affatto al
Presidente. L’obiettivo di quelli che protestano indossando una maglietta nera
con su scritto no to corruption ha lo
scopo di esercitare una pressione sul
governo affinché prenda posizione forte
contro i corrotti.
A fianco:
Insegnanti delle scuole superiori
mostrano la copertina del manuale
di educazione civica del Centro
Giustizia e Pace.
42
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
«Il lunedì nero ricorda semplicemente
alla gente che la corruzione è un lutto
– ci spiega suor Fernanda -. Noi missionari del Centro Giustizia e Pace Giovanni Paolo II di Kampala, stiamo contribuendo a questa lotta vitale per il
futuro del Paese, anche tramite la diffusione di un manuale di educazione
civica per le scuole superiori». Si tratta
di un volume che è anche il primo nel
suo genere: l’educazione ai diritti civili
e umani non è stata mai considerata
materia di studio nelle scuole ugandesi,
soprattutto nei villaggi lontani dalla
capitale. Ma pian piano entrerà a far
parte del normale curriculum scolastico.
Il manuale del Centro studi cui suor
Fernanda appartiene (elaborato in collaborazione con il Segretariato cattolico
nazionale dell’educazione) è un piccolo
tesoro per gli studenti: contiene circa
100 pagine in inglese, si compone di
sei topics sui diritti umani, la leadership,
il buon governo, la giustizia. Alla teoria
si alterna la pratica: piccoli case study
di storie di violazione, esercizi e domande
su come agire in caso di evidente violazione dei diritti, come quelli delle
donne, frequentemente calpestati.
«La sperimentazione del manuale è appena partita: abbiamo stampato 4mila
copie per ora. Aspettiamo un riscontro.
Abbiamo cercato di lavorare sui moltiplicatori sociali – spiega la missionaria,
classe 1950, originaria di Treviso, già
Giustizia in Uganda
impegnata in Ecuador in passato – e lo D’altro lato in Uganda diritti civili ed
facciamo in collaborazione con gli in- umani non sono tenuti in gran conto
segnanti delle scuole superiori. Abbiamo neanche durante le elezioni presidenziali:
cercato di raggiungere tutte le diocesi «Questa volta è mancata la violenza
(due scuole per diocesi)».
– scrive il mensile comboniano Nigrizia
Il capitolo dedicato al buon leader in occasione delle ultime elezioni del
spiega ai ragazzi quanti tipi di leadership 2011 che hanno visto vincere Museveni
esistono: da quella formale a quella ancora una volta -; più pesante è parsa
tradizionale, da quella burocratica a la corruzione, soprattutto da parte di
quella carismatica. Un tipo
alcuni esponenti del
di “autorevolezza” che pare
partito di governo.
spesso mancare però ai po- «Per ogni tangente
Alla vigilia del voto,
litici nazionali. A partire che rifiuti, tappi una
numerosi erano stati
dal modo in cui essi coni casi di oppositori
falla nel sistema».
quistano il potere.
“comperati” con
«I giovani hanno la perce- È proprio rifiutando di
grossi cifre di danaro,
zione che la classe domisenza, peraltro, che
diventare
corruttibili
nante (che è poi sostani magistrati se ne
zialmente un regime mili- che viene avviato il
occupassero minitare dittatoriale) sia cormamente».
rotta ma ancora soccom- circolo virtuoso del
Difficile per la gente
bono, non hanno la forza cambiamento
spezzare tali catene
e gli strumenti per reagire,
di connivenza tra
nel sistema
per combattere il sistema»,
politica, burocrazia,
spiega ancora suor Fer- politico ugandese.
business ed élite minanda.
litari. Ma già partire
dall’educazione e
dallo studio di materie che hanno a
che fare con il diritto, è un punto segnato a favore dell’onestà e della coerenza. Un altro canale può essere quello
del contatto costante con Paesi nei
quali la ribellione morale è già iniziata
e ha dato frutti: la presenza della
grande famiglia comboniana a Tunisi,
durante il World Social Forum di quest’anno, ha toccato queste corde, mettendo per la prima volta in contatto
giovani africani e missionari attivi in
Uganda, con la controparte tunisina,
impegnata a salvare la propria rivoluzione.
Un link che forse porterà qualche frutto
in un futuro prossimo - si augura suor
Fernanda che ha partecipato all’evento
tunisino - se non altro come impulso
ad assumere iniziative per tenere testa
a regimi anti-democratici ed iniziare a
prendere coscienza delle proprie responsabilità e della infinita forza di
popolo.
OSSERVATORIO
di Roberto Bàrbera
DOPO LA GUERRA, I TUMORI
l 24 marzo 1999 forze militari di Stati Uniti e Nato
cominciarono una serie durissima di bombardamenti contro la Serbia. Il motivo dell'attacco era difendere la popolazione di origine albanese nella
regione del Kosovo dalla “pulizia etnica” compiuta
da formazioni serbe. Le incursioni su Belgrado e
sul resto della Serbia durarono 78 giorni e causarono
la morte di migliaia di civili e danni immensi.
L'azione si è rivelata poi fallimentare. Il tentativo di
bloccare l'opera di “eliminazione” di una nazionalità
dal Kosovo ha solo sostituito le vittime: al posto
degli albanesi da quella regione sono stati espulsi
quasi tutti i serbi e le milizie albanesi hanno
devastato e distrutto moltissimi monasteri e chiese
ortodosse per cancellare da quelle terre l'antica
presenza degli “odiati nemici”. Ma gli esiti di quella
ennesima “guerra per la pace” non si solo limitati
al colossale fiasco diplomatico e politico. Durante i
raid i cacciabombardieri della Nato sganciarono
tonnellate di ordigni contenenti uranio impoverito
e le conseguenze di quella contaminazione ambientale a distanza di anni stanno producendo altri
disastri. Le denunce delle associazioni umanitarie
che operano in quelle aree rimangono inascoltate,
come quelle dei sanitari.
Slobodan Cikaric, presidente della Società dei
medici serbi, ha detto: «Esistono falsi esperti che
continuano a sostenere che l’epidemia di tumori
maligni nell’ultimo decennio non ha nulla a che
vedere con le oltre 15 tonnellate di uranio impoverito
disseminate nel nostro Paese in 78 giorni di bombardamenti, soprattutto in Kosovo e nella regione
di Pcjnj; oltre che dal nostro Paese continuano a
giungere rapporti da Grecia e Bulgaria che parlano
di un incremento di più di 30 volte dei casi di neoplasie e lo collegano all’evidente innalzamento
della radioattività in molte aree della penisola balcanica». Cikaric è convinto che le nano-particelle
degli ordigni si siano diffuse nell’aria e siano
penetrate nel terreno, diventando parte della catena
alimentare e causa di linfomi e neoplasie.
Il medico serbo ha spiegato: «Il disastro giapponese
di Fukushima è nulla se paragonato a quanto sta accadendo nelle nostre regioni, e se consideriamo il
fatto che ai pescatori di quell’area è stato riconosciuto
un risarcimento di due milioni di dollari soltanto per
l’effetto che la fuga radioattiva avrebbe potuto avere
sul mare, sarebbe interessante chiedersi quanti
miliardi di dollari potrebbero mai chiedere la Serbia
e i Paesi vicini». Chissà se l'Organizzazione mondiale
della Sanità e l'Onu troveranno mai la volontà di
analizzare il fenomeno per smentirlo o per cercare
soluzioni che possano evitare il diffondersi delle
malattie.
I
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
43
MUTAMENTI
I Tayllerand
della rete
di LUCIANA MACI
[email protected]
D
alle segrete stanze del potere,
negli ultimi anni la diplomazia
si è gradualmente trasferita sul
web. Un mondo abituato a nutrirsi da
secoli di discrezione, accortezza, formalità
e tempi comunicativi lunghi sta utilizzando sempre più internet, e in particolare i social network, per comunicare
con un pubblico più ampio nel segno
della trasparenza, dell’interazione e della
rapidità.
Il debutto ufficiale della digital diplomacy
è avvenuto il 3 ottobre 2011 con l’apertura della prima ambasciata americana
solo virtuale in Iran, dopo un congelamento delle relazioni bilaterali durato
oltre 30 anni. Gli Stati Uniti e la Repubblica islamica non avevano infatti
rapporti diplomatici dal 1979, cioè dal
sequestro degli ostaggi nordamericani
44
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
nella sede diplomatica iraniana. Da
allora, a rappresentare gli interessi statunitensi in Iran era la diplomazia elvetica. Così, nonostante le ripetute proteste
delle autorità di Teheran, fin dall’annuncio del progetto da parte dell’allora
segretario di Stato Hillary Clinton, l’amministrazione Obama ha inaugurato
una sede diplomatica completamente
on line, in inglese e in lingua farsi. All’indirizzo http://iran.usembassy.gov/
sono tuttora disponibili dichiarazioni
politiche di Washington, informazioni
sui visti americani, notizie dell’agenzia
di stampa Voice of America ed è prevista
la possibilità di scambiare messaggi attraverso i social network.
Internet viene ormai
usato sempre più anche
per delicati contatti
diplomatici. Dalle
Primavere arabe alla
campagna elettorale
di Obama, la diplomazia
digitale ha contagiato
molti Paesi occidentali.
Persino la Cina, dove
il web è sottoposto
a censura.
Diplomazia digitale
Sono così cominciati i primi “cinguettii”
su Twitter e le conversazioni con i cittadini su Facebook da parte della diplomazia statunitense, seguita a ruota
da molte altre.
CONTATTI COL MONDO MUSULMANO
In realtà le diplomazie avevano cominciato a interagire in modo sempre
più intenso con il web già nel periodo
immediatamente successivo all’11 settembre 2001. Come rileva Antonio Deruda nel libro “Diplomazia digitale”,
alla luce del nuovo conflitto contro il
terrorismo globale, si cominciò a pensare
a «un riposizionamento della comunicazione diplomatica». In particolare il
diplomatico americano Richard Hoolebroke, artefice degli accordi di Dayton
(novembre 1995), che avevano posto
fine alla guerra nella ex Jugoslavia,
sottolineò apertamente la contraddizione di una nazione, gli Usa, che
«vanta una schiacciante egemonia nel
settore delle nuove tecnologie ma che
comunica, soprattutto con il mondo
musulmano, usando tecniche pateticamente obsolete e con un apparato
burocratico non all’altezza».
CONTATTI IN ZONE DI GUERRA
Come ha ricordato l’ormai ex ministro
Giulio Terzi in un convegno dello scorso
marzo alla Farnesina su “Digital Media
in zone di guerra”, strumenti come Facebook e Twitter hanno avuto un ruolo
importante nelle Primavere arabe per
«connettere le coscienze, favorire l’organizzazione della protesta e raccontare
al resto del mondo ciò che accade durante una rivoluzione, quando i mass
media convenzionali sono oscurati dalla
censura». Negli scenari di guerra, inoltre,
i digital media riescono a documentare
storie non coperte dai media tradizionali
e gli episodi narrati sui blog «restano
come testimoni indelebili, a portata di
un semplice click su Google». Un altro
dei vantaggi dei social media è garantire
una velocità di informazione mai conosciuta prima: per esempio il primo
tweet da Haiti è stato postato sette
minuti dopo il terribile terremoto del
12 gennaio 2010 e 24 ore prima della
diretta televisiva.
Terzi mette anche in guardia contro il
«magma di comunicazione mista a propaganda» che può diventare il web se
non è gestito in modo responsabile da
professionisti dell’informazione. Ma intanto il ministero si è attrezzato per la
digital diplomacy con un programma
di comunicazione per il 2013 che dedica
un intero capitolo ai new tools, i nuovi
strumenti comunicativi. «Non possiamo
pensare alla sostituzione tout court
della diplomazia tradizionale con quella
digitale – ha detto Luca Poma, consigliere del ministro per le iniziative di
promozione innovativa e le nuove tecnologie - ma dobbiamo comunque tenerne conto. Sul web la comunicazione
è informale, trasparente, rapida e la
pubblica opinione è sempre più coinvolta
nei processi comunicativi, mentre la
diplomazia old style è formale, tendente
alla segretezza, con tempi più lunghi e
non punta a coinvolgere i non addetti
ai lavori».
LA RETE MONDIALE
La diplomazia digitale non ha contagiato
solo l’Italia. In Gran Bretagna una ventina di ambasciatori sono su Twitter, in
Russia pare che il Ministero degli Esteri
abbia oltre 40 account sulla piattaforma
dei “cinguettii”. Anche Israele ha annunciato l’intenzione di puntare sempre
più sulla e-diplomacy. E persino la
Cina, dove la rete è sottoposta a censura
in patria, internet viene invece molto
usato come strumento di propaganda
diplomatica all’estero.
In altri Paesi sono i singoli politici a
spingere verso l’estensione della diplomazia on line. Oltre a Barack Obama,
che può vantare quasi 20 milioni di
follower su Twitter, era molto attivo in
rete il defunto Presidente venezuelano
Hugo Chavez, con 3,4 milioni di seguaci,
e lo è tuttora il primo ministro russo
Dmitry Medvedev (1,5 milioni).
Ma anche da nazioni economicamente
più arretrate arrivano sorprese. È il
caso della Cambogia dove, grazie a
una campagna di comunicazione su
Facebook, in meno di un anno il sito
dell’ambasciata del Regno Unito a
Phnom Penh è passato da 200 a 56mila
likes.
Con tanti Talleyrand in rete c’è però
anche il rischio di incidenti diplomatici.
A giugno 2012, per esempio, Paul Krugman, economista statunitense e Premio
Nobel, aveva scritto un articolo critico
nei confronti della politica economica
dell’Estonia. Per tutta risposta il Presidente del Paese, Toomas Hendrik, lo ha
definito su Twitter «compiaciuto di sé,
prepotente e paternalistico». L’auspicio
è che la diplomazia virtuale non scateni
mai guerre reali.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
45
L’altra
edicola
LA NOTIZIA
LA COREA DEL NORD HA REALMENTE
INTENZIONE DI ATTACCARE CON
L’ARMA ATOMICA LA COREA DEL SUD E
L’ETERNO NEMICO USA, O KIM JONG UN
BLUFFA? LA STAMPA INTERNAZIONALE
SE LO CHIEDE DA MESI, USANDO MOLTE
CAUTELE, MENTRE L’AGENZIA DI
STAMPA NORDCOREANA KCNA
CONTINUA LA SUA IMBARAZZANTE
PROPAGANDA.
46
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Rischio nucleare
COREA
CONTRO
COREA
di ILARIA DE BONIS
[email protected]
eggere i comunicati ufficiali e le dichiarazioni della propaganda del dittatore nord-coreano Kim Jong Un, rilanciati dall’agenzia di stampa governativa, la Korean Central News (Kcna), è un’esperienza imbarazzante per qualsiasi osservatore occidentale. Ogni lancio d’agenzia, che affronta il tema della minaccia nucleare, contiene invettive contro
il «puppet regime», il regime fantoccio di Seul. E ogni lancio
che non sia un elenco di pure formalità e di incontri ufficia-
L
Ogni lancio
d’agenzia, che
affronta il tema
della minaccia
nucleare, contiene
invettive contro
il «puppet regime»,
il regime
fantoccio di Seul.
li, cui partecipa il «beneamato leader Kim Jong», è un insulto
agli Usa e alla Corea del Sud, accusate di minacciare «l’incolumità del Paese più invincibile del mondo».
«La Repubblica Democratica di Corea ha ottenuto molte vittorie sugli Stati Uniti ed è con questo spirito che sta intraprendendo una campagna militare fiduciosa nella vittoria finale»,
si legge. «Il regime sudcoreano parla di “guerra psicologica” e
di “propaganda” ma questo è un atto spregevole che viene da
pazzi, inconsapevoli di quello che può significare un’azione totale di guerra dichiarata dalla Repubblica Democratica Popolare della Corea. I nemici dovrebbero sapere che questa è l’era
del grande Marshal Kim Jong Un,
leader del Paese più potente ed invincibile della grande nazione Paektusan», questo lo stile delle veline.
Le altre news della Kcna hanno titoli come Foreign guests here (ospiti stranieri in arrivo) o Floral basket
from Chinese Zhang Weihua’s family, ossia cesto di fiori in omaggio
da parte della famiglia di Zhang
Weihua, martire cinese della rivoluzione anti-giapponese. E giù
di lì.
La Reuters riferisce in dettaglio le notizie dell’agenzia di Stato, anche perché si tratta dell’unica fonte d’informazione, sebbene di propaganda, proveniente dal Nord Corea. E così fa anche il sito della Cnn con un pezzo sulle ultime minacce nucleari. Ma se i mass media internazionali hanno come unica fonte d’informazione quest’agenzia manipolata dal regime militare con l’unico scopo di intimorire il mondo, è lecito dubitare anche della reale portata di una minaccia di guerra totale
sbandierata dal leader trentenne.
Inoltre la propaganda, ribaltando completamente i termini della questione, dichiara di volersi difendere dalle minacce altrui:
«È chiaro che tutte le esercitazioni militari condotte dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud all’insegna della “difesa” sono soltanto qualcosa che prelude ad un attacco nucleare alla Repubblica Democratica Popolare di Corea», scrive ancora l’agenzia
governativa. Il sito di Al Jazeera fa notare che «la Corea del
Nord ha di recente minacciato, come ciclicamente avviene, Stati Uniti e Corea del Sud, sebbene il lancio di missili-test, temuto e atteso da parte della Corea del Nord, non si sia verificato ancora».
Dunque la stampa estera da una parte ha l’obbligo di riferire
le folli minacce di rappresaglia provenienti dal leader coreano, dall’altra smorza i toni evidenziando un gioco che pare più
una prova di forza che una reale volontà d’attacco.
Tuttavia dalle colonne del Washington Post il giornalista Joby
Warrick scrive che «ci sono due percorsi che conducono all’ar»
ma nucleare: la bomba che gli Stati Uniti sganciarono
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
47
L’altra
edicola
Rischio nucleare
Central News Agency – avrà inizio senza alcun avvertimento».
su Hiroshima nel 1945 contenente l’Heu (l’uranio altamente arDal canto suo la Corea del Sud sente di dover replicare alle miricchito) come componente principale, e quella sganciata su
nacce facendo la voce grossa. Parlando con alcuni funzionaNagasaki conteneva elementi di plutonio. La Corea del Nord
ri del ministero della Difesa, la presidente Park Geun - hye ha
possiede da molto tempo il plutonio, invece il suo arricchimendichiarato che considera “molto serie” le ultime
to di uranio è ad uno stadio molto meno avanmosse del regime di Pyongyang. “Se ci saranno alzato. L’Iran ha concentrato le proprie forze sull’uranio arricchito che dice di voler usare a sco- Inoltre la propaganda, tre provocazioni contro di noi risponderemo dal
punto di vista militare senza preoccuparci delle
pi civili. Sebbene la Corea del Nord e l’Iran ab- ribaltando
conseguenze politiche”, ha detto Park Geun - hye»,
biano cooperato per quanto riguarda le tecnocompletamente
come scrive il sito di Internazionale.
logie missilistiche, i funzionari degli Stati UniLa Bbc avanza dubbi: «Pochi pensano che la Coti affermano che non c’è nessuna prova di una i termini della
rea del Nord abbia davvero intenzione di scatecooperazione in campo nucleare».
questione, dichiara
nare una guerra». D’altro canto lo stesso presidenPerò aggiunge che «una recente visita alla Codi
volersi
difendere
te Usa, Barack Obama in un’intervista alla Nbc ha
rea del Nord da parte di esperti del nucleare ameaffermato sostanzialmente che la minaccia di
ricani ha confermato che Pyongyang possiede dalle minacce altrui.
Pyongyang sa più di bluff che di altro e che lui
almeno una fabbrica di uranio arricchito, descritnon ritiene affatto che il regime abbia missili nuta da questi osservatori come “ampia, sofisticacleari. Questa la dichiarazione testuale: «Secondo le ultime peta e pienamente operativa”». Pare che se anche avesse intenrizie effettuate dall’intelligence americana, non riteniamo che
zione di attaccare, Pyongyang lo farebbe in modo “repentino”
(la Corea del Nord ndr.) abbia questa capacità».
e senza troppi annunci. «La nostra azione di rappresaglia – così
Sarà veramente così? «Non sono uno psichiatra e non conola definisce Kim Jong Un alla solita agenzia di stampa Korean
sco personalmente il leader della Corea», avrebbe tagliato corSotto:
to Obama parlando con un giornalista della Nbc che gli do12 aprile 2013. Il segretario di Stato USA John Kerry
mandava se Kim Jong è mentalmente “instabile”. Sta di fatto
incontra la presidente sudcoreana Park Geun – hye presso la
che per ora il “caro leader” appare piuttosto imprevedibile e molCasa Blu, il Palazzo Presidenziale di Seul.
to bellicoso.
48
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
Posta dei missionari
Cristiani
d’Algeria
Due suore missionarie di Nostra Signora
degli Apostoli, in visita ad una famiglia
allietata dalla nascita di una bambina.
a cura di
CHIARA PELLICCI
[email protected]
ari lettori di Popoli e Missione, mi
chiamo Sandra e sono una suora
missionaria dell’Istituto di Nostra
Signora degli Apostoli. Vivo in Algeria da
poco più di due anni, dopo essere stata
in Costa d’Avorio, in Nigeria e negli ultimi setti anni in Italia per un servizio di
animazione missionaria.
La missione della Chiesa in Algeria non
si può descrivere se non diamo prima uno
sguardo all’attuale situazione del Paese.
La posizione geografica dell’Algeria, infatti, influenza la cultura e lo stile di vita:
un miscuglio di Africa e Occidente, con
il quale si condivide il Mediterraneo e le
relazioni umane e commerciali.
C
L’Algeria si estende su una superficie di oltre due milioni di chilometri quadrati. E
i seimila chilometri di confine che la separano dal Marocco, dalla Tunisia, dalla
Mauritania, dal Sahara occidentale, dal Niger, dal Mali e dalla Libia si sono rivelati attualmente un pericolo, perché difficili da controllare. Dopo l’attentato nel
giacimento di gas di In Amenas del gennaio scorso, il governo ha moltiplicato gli
sforzi e i militari sul terreno e ha chiuso
le frontiere; purtroppo questo ha avuto
gravi conseguenze sui migranti che
avrebbero voluto ritornare al loro Paese
di origine. Ecco perché in questo periodo è aumentata la popolazione sub-sahariana (proveniente da Camerun, Mali,
Niger, Costa d’Avorio, Liberia) non solo nel
sud del Paese: alcune famiglie con bambini arrivano nelle città della zona costie-
ra e cercano rifugi e abitazioni di emergenza. Vedere i ragazzi mendicare ai semafori è un fenomeno nuovo qui ad Orano, segno che non tutti i migranti vogliono rimanere nei campi di accoglienza
aperti nell’Algeria meridionale.
Per la sua posizione strategica, il Paese è
diventato luogo di transito per migliaia
di sub-sahariani che vogliono arrivare in
Europa. Tra questi c’è sicuramente anche
una rete di prostituzione che passa da qui,
ma non è facile identificarla. Come comunità cristiana cerchiamo di essere attenti al disagio e alla solitudine, sia della popolazione locale algerina musulmana, sia nei confronti dei migranti, che in
quest’ultimo decennio sono aumentati a
vista d’occhio, cambiando la morfologia
e il colore non solo della società ma anche della Chiesa.
»
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
49
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
A fianco:
Foto di gruppo della
comunità delle
missionarie di Nostra
Signora degli Apostoli
presente ad Orano. Da
sinistra a destra: suor
Marie Claude, suor
Sandra Catapano, suor
Liliana, suor Flora, il
nostro nuovo vescovo
monsignor Jean-Paul
Vesco, suor Bernadette
e suor Agnes Marie.
Nella società algerina il capitolo del ruolo della donna merita un’attenzione particolare. L’enorme sforzo di istruzione intrapreso fin dagli anni Sessanta ha dato
alle donne la possibilità di prendere il loro
posto nel mercato del lavoro (scuola, medicina, commercio, polizia, giustizia, ecc.).
Ma se la donna è “superiore” (cioè ha capacità anche maggiori rispetto all’uomo)
in ambito politico ed economico, rimane
“inferiore” per il “codice di famiglia”.
Questa dicotomia è flagrante: ogni giorno incontriamo e ascoltiamo le donne, con
le loro situazioni invivibili, gli abbandoni, i divorzi, gli scoraggiamenti, le fatiche
di portare avanti da sole i figli. È anche
vero che il nostro punto di vista non spazia a 360 gradi su tutta la società: chi viene in contatto con noi in genere vive condizioni sociali di disagio. Ma c’è da dire che
la società è composta da un’esigua minoranza di ricchissimi, una fascia di benestanti di media dimensione, una fascia media (che vive senza superflui né prestiti)
molto ampia e da tanti poveri.
Per quanto riguarda il servizio che svolgo presso i migranti, attraverso l’équipe
interculturale ed ecumenica parrocchiale, quest’anno è stato un tempo di forte
immersione nella società, per creare lega-
50
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
La celebrazione di una Messa con
la pastorale giovanile diocesana.
mi di amicizia e collaborazione con le associazioni locali algerine impegnate in ambito sociosanitario. Incontriamo ogni
giorno uomini e donne, personale sanitario e volontari dei diritti umani che si donano gratuitamente insieme a noi nel servizio e nella formazione sanitaria degli
adulti migranti. L’équipe è in costante riflessione: ci incontriamo ogni due mesi,
vista la gravità dei problemi, per analizzare i casi che si susseguono e che esigono una decisione comune. Spesso aiutiamo le donne in difficoltà o sole al momento del parto, attraverso una donazione di
abitini per bebè, di pannolini e materiale utile al primo mese di vita. Un altro settore importante in cui è necessario far sentire la nostra presenza è nella prevenzione dell’Hiv e nell’accompagnamento e nella cura dei malati di Aids. Il parroco visita molto spesso le prigioni: la mancanza
di lavoro comporta che gli immigrati vengano impegnati nel lavoro nero, spesso con
documenti falsi, e finiscano facilmente in
prigione. Una religiosa e una laica dell’équipe visitano le nuove mamme, tre laici sono impegnati nel seguire i malati a domicilio nei quartieri a rischio ed io fino ad
Posta dei missionari
ora ero responsabile della visita e dell’accompagnamento all’ospedale dei malati
gravi e soli.
Sul territorio della diocesi di Orano esistono sette parrocchie sparse in sei città. Il
personale permanente impegnato nelle attività è per la quasi totalità formato da sacerdoti e religiose e religiosi (di nove istituti diversi), salvo per l’équipe di aiuto ai
migranti della nostra parrocchia (in cui vi
sono quattro laici di origine sub-sahariana) e per la parrocchia di Mascara in cui
vive da parecchi anni una laica francese.
In totale siamo una trentina di missionari: pochi per rispondere ai bisogni emergenti. Speriamo nell’avvenire in una pre-
Una vista sulla città di Orano: in
primo piano il forte spagnolo.
Sopra:
Mappa della diocesi di Orano, una delle
quattro diocesi in cui è organizzata
la Chiesa cattolica di Algeria.
senza più numerosa di laici volontari. A seconda dei luoghi occorre parlare l’arabo
dialettale per comunicare con i giovani,
perché spesso non conoscono bene il francese.
La mia congregazione, le Suore missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, istituto missionario di origine francese nato
nel 1876 a Lione dal cofondatore della Società Missioni Africane, padre Agostino
Planque, è presente in Algeria dal 1938.
Siamo ora in sei suore, divise in due comunità: Orano e Hennaya (che si trova a
circa 150 chilometri a ovest, verso il Marocco). I servizi di cui le mie consorelle sono
responsabili sono vari: c’è l’insegnamen-
molto viva e creativa. L’arrivo del nuovo
vescovo dopo due anni di attesa è un sospiro di sollievo, occasione per verificare e orientare il nostro vivere insieme per
servire con carità, alla scuola dell’amore
di Dio, affinché quanti ci incontrano possano riconoscere che quell’Amore universale che testimoniamo è presente anche
nelle radici dell’islam, nel cuore del Corano, e possano crescere in questa spiritualità vissuta dai mistici sufi; spiritualità vissuta anche in modo particolarissimo da quei musulmani che aderiscono,
restando pienamente tali, al movimento
dei Focolarini. Tutto questo va nella direzione di costruire un mondo migliore,
La Basilica della Pace ad Annaba (l’antica Ippona) sulla
costa algerina: qui si trova una reliquia di sant’Agostino.
to del francese, la visita ai malati, la gestione della biblioteca scolare, la pastorale dei
giovani universitari sub-sahariani, la formazione femminile e l’impegno sociale con i più
poveri e i portatori di handicap.
Prima di salutarvi voglio dirvi
che sono felice di essere qui in
Algeria, adottata da questo popolo molto accogliente, che ha tanta fiducia in noi, i cui giovani hanno molte domande ed esigenze, la cui Chiesa, umile,
semplice, in minoranza, è comunque
un mondo fatto di differenze accolte, riconosciute, armonizzate per una ricchezza reciproca, per un’unità divina, già
possibile su questa terra e verso cui tendiamo, tutti orientati alla medesima
meta, pur arrivando da diversi orizzonti
e attraverso svariati cammini.
Essere cristiani è un dono magnifico e una
responsabilità. È seguire i passi del Risorto al servizio dei crocifissi di oggi, per contagiare l’umanità con l’Amore di Dio per
tutti.
Suor Sandra Catapano
Orano (Algeria)
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
51
La Vergine
de los
gauchos
F
in dalle prime battute è apparsa evidente la devozione mariana di papa
Francesco. Per capire questa sua sensibilità bisogna conoscere la storia della devozione a
Maria che c’è in Argentina e che ruota attorno al
santuario di Lujan (una città a 80 chilometri da
Buenos Aires), che è un po’ la Lourdes del Rio
de la Plata. Nel 1600 una famiglia di Buenos Aires fece arrivare dal Brasile un’immagine della
Madonna da collocare in una chiesa che si stava costruendo. Le cronache del tempo narrano
che i buoi che trainavano il carro su cui viaggiava l’immagine della Beata Vergine, arrivati a
Lujan, si rifiutarono di andare avanti. L’attacco di altri animali - cavalli, asini, ecc. - non sortì
nessun effetto. Allora fu deciso, interpretando quel segno come volontà divina, che il santuario
dedicato alla Madonna sarebbe sorto proprio lì. La devozione alla Vergine di Lujan degli argentini
è davvero eccezionale e il santuario è visitato ogni anno da milioni di fedeli.
Il riferimento alla Vergine di Lujan fa venire in mente un’altra situazione particolare legata alla
Madonna: se credessimo che Buenos Aires sia la definizione in lingua spagnola di “buone
arie”, cadremmo in un pacchiano errore; infatti il grande estuario del Rio de la Plata, confluenza
di numerosi fiumi dalla portata d’acqua eccezionale, crea nell’atmosfera un’umidità
molto forte e la scelta di far sorgere una
città in quel luogo è legata solo al fatto che
in quella zona era abbastanza facile l’attracco
dei galeoni prima e delle navi mercantili ora.
Del resto, dirimpetto alla metropoli argentina,
sorge Montevideo, capitale dell’Uruguay,
che risponde alla stessa logica: un porto
marittimo che diventa fluviale, così da permettere ai barconi di risalire i fiumi e trasportare le merci all’interno dell’Argentina,
in Paraguay, arrivando fino in Bolivia. Fatto
sta che tra i primi marinai che sbarcarono
in quello che venne chiamato il vicereame
della Plata, c’erano componenti di un equipaggio sardo, i quali non trovarono di meglio che erigere una cappellina dedicata alla Madonna
protettrice della loro isola, la Madonna di Bonaria, appunto, patrona della Sardegna. Mano a
mano che sulle mappe si scrivevano i nomi delle città che andavano sorgendo nelle Americhe,
Bonaria divenne, nella traslitterazione spagnola, Buenos Aires, un nome che più che al clima
si rifà alla devozione mariana dei suoi fondatori e degli abitanti della città in ogni epoca, così
come ben evidenziato da papa Francesco. Se a ciò aggiungiamo la devozione che i gauchos
della Pampa hanno per la Virgen del mate, abbiamo il quadro completo di come sia grande la
venerazione che gli argentini hanno per la Madre de Dios, declinata su misura degli struggenti
scenari del Rio de la Plata e dei suoi abitanti, più che mai fieri del loro papa.
Mario Bandera
[email protected]
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
MUSICA
ASAF
AVIDAN
Una voce
per sognare
A
ll’ultimo Festival di Sanremo ha lasciato
tutti a bocca aperta ed è fin troppo
facile prevedere che l’apparizione sul palco
più ambito e chiacchierato d’Italia gli schiuderà anche nel Bel Paese la popolarità e il
successo che merita. Asaf Avidan è una
delle più belle sorprese e dei talenti più luminosi proposti dal music-business in
quest’ultimo lustro. E tra le sorprese c’è
anzitutto il fatto che non arriva dai soliti
mercati anglo-statunitensi, ma da una terra
ben più complicata: Gerusalemme.
A differenza della bella e conterranea barbie
(la top model Bar Rafaeli) che l’ha presentato
all’Ariston, Asaf ha poco a che spartire
con i lustrini dello show business, anche
se vanta background e curriculum tutt’altro
che travagliati. Figlio di due diplomatici, ha
passato parte dell’infanzia in Giamaica per
poi tornare in patria. Ha studiato animazione
all’Accademia di Arte & Design Bezalel,
per poi concentrarsi sulla musica e fondare
una sua band, i Mojos, che diventa ben
presto uno dei gruppi più popolari del suo
Paese. Ci tiene a non finire stritolato nei
meccanismi del business, e allora dà vita
a una sua etichetta indipendente e nel 2008
pubblica The reckoning che gli conquista
l’attenzione della critica e la curiosità dei
mercati anche al di là dei patri confini. Comincia a girare il mondo con tour sempre
più affollati: l’Europa e gli States, e
poi l’India e la Cina. Grazie alla rivisitazione modernista di un dj tedesco il remix di One Day/Reckoing
Song spiana la strada al suo decollo
come solista, suggellato lo scorso
anno con la pubblicazione del pregevole Different Pulses, a tutt’oggi
il suo ultimo album.
Fin qui la storia. Avidan miscela
folk-rock e blues d’autore con grande personalità e un timbro vocale
da brividi. I suoi testi prediligono
le immersioni introspettive alle estro-
versioni sociologiche, ma non di rado racchiudono e fotografano molte delle inquietudini contemporanee, tanto più presenti
in una terra da troppo tempo abituata a
convivere con la paura. «La riprovazione,
il senso di colpa, il dolore, la vergogna, i
padri fondatori del nostro piano: tutto questo
è incastrato dentro nuvole cariche di pioggia.
Un giorno saremo vecchi, e penseremo a
tutte le storie che avremmo potuto raccontare», così canta nel suo brano più celebre. Il mondo di Avidan è, come ben mostrano molti suoi clip, il riflesso di quello
che ci passa accanto ogni giorno: con le
sue pulsioni e i suoi smarrimenti, e le sue derive anche; ansie e valori non
sempre condivisibili, ma
mostrati senza retorica o
sentimentalismi da supermercato. Là dove il binomio
dolore - amore pervade tutta la sua poetica, richiamando maestri a cui spesso è stato accostato: Leonard Cohen e Jeff Buckley in primis.
Ha poco più di 30 anni Asaf, e forse per
questo sa raccontare il precariato del vivere
col linguaggio diretto ed emotivo degli adolescenti e il disincanto dolente degli adulti.
Eppure sotto le note e le rime delle sue
canzoni sopravvivono speranze universali
e sogni grandi: fremiti di un’anima irrequieta
che solo una voce davvero straordinaria
riesce a trasformare, a seconda delle occasioni, in ali o in stimmate. Ascoltare per
credere.
Franz Coriasco
[email protected]
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
53
LIBRI
L’industria delle armi
I
l ruolo dell’industria militare, la questione
internazionale dei trasferimenti di armi,
il dibattito sulla non violenza e l’obiezione
di coscienza; sono tematiche, di grande
attualità, affrontate dal libro “Affari di Armi.
Percorsi di pace. Attualità, ricerca e memoria
per la pratica della nonviolenza” (edito da
Emi).
L’Opal (Osservatorio permanente sulle armi
leggere e politiche di sicurezza e difesa)
nel suo quinto annuario decide di partire
dall’attualità per far luce su tematiche che
spesso rimangono fuori dai dibattiti pubblici.
Il libro analizza la “questione armi” seguendo
una mappa geopolitica. Al fianco dell’attualità, troviamo le vie della ricerca e della
memoria, per ricordare i disastri della guerra
e al tempo stesso promuovere una cultura
della non violenza.
Di fondamentale importanza affrontare la
questione in un’ottica di attualità, partendo
Opal
AFFARI DI ARMI. PERCORSI DI PACE.
ATTUALITÀ, RICERCA E MEMORIA PER LA
PRATICA DELLA NON VIOLENZA
Edizioni EMI - € 17,00
dalla questione delle “pistole fantasma”
dell’azienda Beretta o le esportazioni di
armi verso la Libia. Al fianco dell’attualità
troviamo, nella parte centrale del volume,
una sezione dedicata alla ricerca, che ripercorre, in maniera approfondita con l’ausilio di tabelle e grafici, sia i cambiamenti
del commercio di armi a partire dalla caduta
del muro di Berlino, fino al sopraggiungere
della crisi finanziaria, sia come l’industria
aerospaziale in Europa in questi anni sia
mutata. La terza ed ultima parte viene dedicata alla memoria, dando voce alle esperienze degli obiettori di coscienza della città
di Brescia, a partire dai primi anni Settanta.
Episodi che dimostrano come il movimento
non violento abbia dato importanti input,
sia per la creazione di nuove leggi, sia nell’esempio per altre storie, come i cosiddetti
“obiettori professionali”, ovvero coloro che
lavorando in aziende armiere, a cavallo tra
gli anni Settanta e Ottanta, si opposero alla
collaborazione di produzioni belliche.
Francesca Baldini
Dialogare sul
Vangelo di Luca
U
Marcelo Barros
IL VANGELO CHE LIBERA
Edizioni Emi - € 15,00
54
n dialogo per commentare il Vangelo secondo Luca. È così che si presenta il libro di Marcelo
Barros dal titolo: “Il Vangelo che libera”, edito dalla Emi. Attraverso la conversazione che
l’autore ha con persone di diversi contesti culturali e spirituali, con esegeti e uomini e donne che
hanno scritto sul Vangelo secondo Luca, si struttura il testo, che proprio per questa sua genesi
acquisisce quasi la forma di un lavoro comunitario. Nelle pagine del libro sono, però, anche
inserite preghiere e affermazioni di persone di altre tradizioni religiose, dato che Marcelo Barros
nei suoi scritti difende una spiritualità improntata al dialogo interreligioso e volta al rispetto del
creato. L’autore presenta il suo testo scrivendo: «Desidero invitare te, che tieni in mano questo
libro, a partecipare ad una riunione a distanza. Da tempo volevo scrivere un commento ai Vangeli
sullo stile di una chat o di un blog, cioè in uno stile dialogante, accessibile anche ai giovani. Così
mi sono messo d’accordo con alcune persone di diverse sensibilità e ho cominciato a scrivere, in
uno stile colloquiale, un commento al Vangelo di Luca. Nel volume ho riportato alcuni di questi
dialoghi, a volte indirettamente per rispettare la riservatezza degli autori, altre volte in modo più
esplicito dopo aver ricevuto il loro permesso. A te che ora cominci la lettura chiedo di entrare in
una prospettiva plurale e macroecumenica. Parteciperai a un dialogo con la comunità che, intorno
all’anno 80 d.C., era legata al nome di Luca, profeta e discepolo della seconda generazione cristiana».
Martina Luise
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
U
n libro indirizzato ai giovani di tutti i continenti affinché, animati
dal principio ereditato da frère Roger sulla “nuova solidarietà”,
«mobilitino le loro energie, mettano in comune le loro attese,
intuizioni ed esperienze» per dare nuovo slancio al cammino di
fede che li porterà a Taizé nell’agosto 2015. Sono più di 30 anni
che prosegue il «pellegrinaggio di fiducia sulla terra», lanciato da
frère Roger per «permettere alle nuove generazioni di testimoniare
che Cristo ha instaurato una solidarietà nuova estesa a tutta la
famiglia umana, al di là delle frontiere politiche, etniche, sociologiche,
confessionali e anche religiose». Il priore della Comunità di Taizé,
frère Alois, nel libro “Pellegrini di fiducia. Il cammino di comunione
seguito a Taizé” (edizioni Emi), raccoglie le lettere e gli scritti del
suo fondatore e sottolinea il desiderio di riconciliazione tra la
Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e quella protestante. In uno
scritto frère Roger sottolinea che «la Chiesa è divisa, ma nelle
sue profondità è indivisa: nel cuore di Dio è una. Sta a noi creare
dei luoghi in cui questa unità possa emergere e diventare manifesta».
Questa è la vocazione di Taizé. Prendendo spunto dagli Atti del
Concilio Vaticano II, nel 1959, frère Roger fa sue le parole di
PELLEGRINI DI FIDUCIA
IL CAMMINO DI COMUNIONE
SEGUITO A TAIZÉ
Edizioni Emi - € 10,00
papa Giovanni XXIII: «Non faremo un processo alla storia,
le responsabilità sono comuni, non cerchiamo di sapere
chi ha avuto torto e chi ragione, diciamo solo: “Riconciliamoci!”». E per Roger
l’unità dei cristiani sembrava
poter diventare una realtà.
Ancor oggi a Taizé vive lo spirito del Concilio. Dalla fine del
Vaticano II il numero dei giovani cresce. Durante la crisi degli
anni Sessanta frère Roger propone loro di vivere un’esperienza
di comunione simile a quella vissuta dai vescovi: nasce così il
“Concilio dei giovani”, sostituito più tardi dal “pellegrinaggio di
fiducia sulla terra” che prosegue tutt’oggi con incontri a Taizé e
nel mondo. Sono migliaia i giovani ortodossi, cattolici e protestanti
di varie nazionalità che continuano a vivere la stessa esperienza
di amicizia, rispetto, sostegno reciproco, superando barriere
culturali e confessionali per trovare in Cristo la loro unità e fede.
Chiara Anguissola
Dieci anni senza Carlo
C’
è un uomo semplice al centro di una
grande storia umanitaria. Nel libro di
Vincenzo Varagona, “Il medico della Sars.
Carlo Urbani raccontato da quanti lo hanno
conosciuto” (Edizioni Paoline), c’è un solo
protagonista descritto a più voci da parenti
e amici: si chiama Carlo Urbani ed è il ricercatore di Castelplanio, in provincia di
Ancona, morto il 29 marzo 2003 a Bangkok
per una polmonite atipica provocata dal
virus della Sars. La stessa malattia contro
la quale Carlo Urbani, da settimane, stava
combattendo nel suo laboratorio in Thailandia per tentare di scongiurare una possibile pandemia. Una battaglia che gli è costata la vita: dopo aver scoperto e reso
inoffensivo il virus, Urbani, già esponente
di Medici Senza Frontiere e punto di riferimento per la Regione del Pacifico Occidentale dell’Organizzazione mondiale della
LIBRI
Giovani verso
Taizé 2015
Frère Aloise di Taizé
cata solidarietà, di emergente umanità»,
come ricorda don Decio Cipolloni, oggi vicario per la Pastorale a Loreto.
«Mio figlio sapeva sognare» dice mamma
Maria, che per dare continuità all’azione
svolta dal suo primogenito, in collaborazione
con Giuliana, la moglie di Carlo, e di un
gruppo di amici, nel 2003 fa nascere l’Associazione Italiana Carlo Urbani (onlus).
L’intento è quello di
«raccogliere risorse
per continuare a lavorare sui progetti
avviati dal medico
marchigiano».
Mariella Romano
Sanità, ne è rimasto contagiato. Così, a
dieci anni dalla sua scomparsa, il cronista
dell’Avvenire e di Famiglia Cristiana, Vincenzo
Varagona, torna in punta di penna a Castelplanio, nei luoghi che hanno visto Carlo
bambino e poi studente universitario impegnato attivamente nel mondo del volontariato cattolico; e infine scienziato di grande
umanità. Ne fa un ritratto, andando a bussare
alla porta di casa di parenti e amici. E soprattutto affidandosi ai ricordi di mamma
Maria Concetta Scaglione, dei fratelli Paolo
e Cristiana, del giovanissimo figlio Tommaso,
ma anche dei tanti amici che
hanno condiviso con Carlo, negli
anni Settanta, la nascita del Vincenzo Varagona
“Gruppo Solidarietà”: un’espe- IL MEDICO DELLA SARS
CARLO URBANI RACCONTATO
rienza a favore dei malati che DA QUANTI LO HANNO
ha trasformato Castelplanio, «in CONOSCIUTO
un centro di accoglienza, di spic- Edizioni Paoline - € 17,00
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
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CIAK DAL MONDO
56
U N
G I O R N O
D E V I
A
Sul fiume scorre l
S
civola lento sul fiume il battello che
porta suor Franca e Augusta tra le comunità degli indios sparse in mezzo alla
Foresta amazzonica brasiliana. Grandi orizzonti e silenzi rendono profonde le risonanze
delle emozioni interiori delle due viaggiatrici,
in particolare di Augusta, una donna italiana
di 30 anni alla ricerca del senso della sua
vita dopo la fine del matrimonio e la perdita
di un bambino. E chi meglio di una missionaria può accompagnare una strada
così difficile? Il senso di tanti cammini
diversi si riassume nel titolo dell’ultimo
film di Giorgio Diritti “Un giorno devi
andare”, il regista de
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
“Il vento fa il suo giro” (2005), vincitore
nel 2009 del Festival Internazionale del
Film di Roma con “L’uomo che verrà”. Attraverso gli occhi della giovane donna (una
convincente Jasmine Trinca) seguiamo il
lavoro quotidiano dei missionari che cercano
di dare risposte concrete ai bisogni materiali
e spirituali delle comunità di indios sparse
sul territorio. Suor Franca (Pia Engleberth)
insegna ai bambini, cura i malati, cerca di
recuperare chi si lascia affascinare dalle
promesse delle sètte, mangia poco e male,
attraversa grandi distanze da sola o in
compagnia, è al servizio del Vangelo 24
ore su 24. Nei suoi spostamenti incontra
padre Mirko (Fredo Valla), impegnato a
costruire un grosso complesso alberghiero
con imprenditori italiani: un modo di fare
missione attraverso la realizzazione di
grandi opere come ospedali, scuole,
chiese, centri turistici, realizzati con
flussi di denaro dall’Europa. Nel centro
sanitario di un villaggio padre Fernando
(Davide Tuniz), gesuita di 40 anni,
cura gli ammalati e si dedica completamente al servizio ai poveri. La sua
messa è spoglia, essenziale, ma
ricca di spiritualità perché il missionario crede che il Vangelo sia da vi-
vere e non da predicare e che l’esempio
sia la chiave del cammino dell’evangelizzazione.
I due sacerdoti e la religiosa incarnano
modi diversi di fare missione, spendendo
la vocazione tra evangelizzazione e promozione umana. L’irrequieta Augusta osserva e condivide quella ricerca di senso
che l’ha fatta arrivare fino agli estremi
confini della terra. E che ancora la spinge
CIAK DAL MONDO
A N D A R E
la vita
in uno slum di Manaus, tra gli emarginati
con cui condivide l’umanità e la povertà.
Forte è il contrasto con la vita borghese
che Augusta si è lasciata in Italia, dove
persino con la madre (Anne Alvaro) e la
nonna i rapporti sono scarni e quasi imbarazzati. L’irrequieta esploratrice dei fondali
dell’anima cerca la felicità tra tutto ciò che
è vero al di là del consumismo e delle
convenzioni sociali. La natura è il suo
ultimo approdo, l’ultima spiaggia in cui
restare sola per guardarsi dentro e riconoscere quell’ansia di vita che la perdita
di un figlio ha reso più acuta. Dice il
regista, cresciuto alla scuola di Olmi: «Abbiamo cercato di dare una lettura laica
della missione, seguendo un viaggio in
cui lo spettatore potesse sentirsi vicino ad
Augusta, ai suoi sentimenti, per rispondere
alle cose che ci interrogano. Anni e anni
di consumismo ci hanno portato benessere
ma anche una vita sempre di corsa e oggi
insicurezza a causa delle certezze che si
sfaldano per colpa della crisi. Invece il
film ci mostra le immagini senza prezzo di
un bambino che sorride in mezzo alle baracche di una favela».
Miela Fagiolo D’Attilia
[email protected]
MOZAMBICO
PATTO DI PACE
A poco più di 20 anni da quello
storico 4 ottobre 1992, un documentario racconta la lunga strada
verso la pace che, dal Mozambico insanguinato dalla guerra, avrebbe portato fino a
Roma per la firma di un trattato che ha voltato
pagina alla storia del Paese africano. Mozambique, paths of peace è il titolo dell’opera firmata dalla regista Sol de Carvalho (prodotta
da FilmWork Trento e Pomarte Maputo) che
ricostruisce il lento processo di dialogo che
ha portato i leader del Frelimo e della Renamo a trattare lungamente grazie alla
mediazione del diplomatico Mario Raffaelli
e della Comunità di Sant’Egidio di Roma.
Raffaelli, che a questo scopo ha dedicato 10 anni della
sua vita, prima come sottosegretario agli Esteri del governo italiano e
poi come coordinatore dei mediatori durante la trattativa di pace, è uno
dei protagonisti che raccontano gli eventi in un sapiente montaggio in
cui si alternano politici mozambicani, mediatori, diplomatici e giornalisti.
Le trattative, iniziate nel 1990, si erano rese indispensabili per riportare a
normalità un Paese insanguinato dalla guerra civile, in particolare dopo
la morte, il 19 ottobre 1986, del presidente Samora Machel che aveva
lottato per ottenere l’indipendenza del Mozambico dal Portogallo
(ottenuta il 25 giugno 1975). Gli successe, come ben ricostruisce il documentario, Joaquim Chissano (a capo del Paese fino al 2005) che si
avvicinò all’Unione Sovietica e gestì i non facili rapporti con i vicini
Sudafrica e Zimbabwe che sovvenzionano il gruppo anticomunista
Renamo - Resistencia Nacional Mocambicana, con a capo Alfonso Dhlakama, in guerra con il governo. Proprio quest’ultimo, insieme a Mario
Raffaelli, il vescovo Matteo Zuppi, Andrea Riccardi e molti altri invecchiati
dagli anni, ricostruiscono “a futura memoria” ciò che accadde in quegli
anni per costruire una pace, rivelatasi poi salda perché fondata su solidi
pilastri.
M.F.D’A.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
57
VITA DI MISSIO
di MIELA FAGIOLO
D’ATTILIA
[email protected]
on Michele Autuoro è il nuovo
direttore di Missio, organismo
pastorale della Cei. Nato a Procida 47 anni fa, è entrato in seminario
a Napoli nel 1985 e dopo il diaconato
è stato nominato viceparroco in una
parrocchia della città, svolgendo anche
il ruolo di viceassistente ecclesiastico
dell’Azione Cattolica cittadina. In seguito è stato per otto anni formatore
nel seminario di Napoli, collaborando
attivamente con la Caritas locale. Nel
2000 è tornato nella sua isola come
parroco, dove si è occupato soprattutto di pastorale giovanile fino al
2007, quando il cardinale Crescenzio
Sepe lo ha nominato parroco di Santa
Maria della Mercede in Sant’Orsola a
Chiaia, quartiere che è un po’ il “salotto
buono” della città partenopea. Ma
dove, dice il nuovo direttore di Missio,
«abbiamo cercato di lasciare sempre le
porte aperte per dare a tutti la possibilità di fermarsi. La mia formazione di
questi anni è legata non solo al mondo
missionario ma al rapporto con la
gente, alla vita di parrocchia».
Come direttore del Centro missionario
diocesano di Napoli ha svolto un
primo mandato che il vescovo gli
aveva rinnovato anche se, dice don
Autuoro, «nei prossimi mesi sarà nominato un nuovo direttore e quindi lascerò l’esperienza diocesana per assumere questo incarico nazionale. Il
mio primo contatto con la missione è
nato con qualche viaggio fatto 16
anni fa in Uganda e poi in Kenya, grazie all’amicizia con un istituto di suore
che seguo spiritualmente da anni.
Avevo 28 anni ed ero stato ordinato
sacerdote da quattro».
Oggi che don Autuoro festeggia i 22
D
Da Procida
ad gentes
58
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
DonVademecum
Michele Autuoro,
nuovomissionario
direttore
del Centro
Per fede anche noi
D
ai Seminari maggiori
d’Italia 121 seminaris
ti ha
cipato al 57esimo Co
nvegno Missionario Na nno partenaristi dal titolo “Per
zionale Semifede anche noi”, svolt
osi dal 12 al 15 aprile scorsi presso il Ce
ntro
vani partecipanti, appa Giovanni XXIII di Frascati (RM). I giort
sionaria dei Seminari enenti a 26 gruppi di animazione mismaggiori d’Italia, si so
no ritrovati al convegno promosso ogni
anno da Missio Consac
rati:
format simile ad un pr
ogramma televisivo ha mediante un
nn
loro confratelli giunt
i da tutta Italia che ha o coinvolto i
nn
to e fatto conoscere
le peculiarità delle lor o presentao zone di provenienza. I lavori si sono
aper
signor Raffaello Mar ti con la messa presieduta da montin
don Alfonso Raimo, se elli, vescovo di Frascati, mentre
gretario nazionale di M
iss
ti e della Pontificia Op
era di San Pietro Apos io Consacradotto la relazione “C
tolo, ha introristo Missionario” pr
esentata da monsignor Gianfrancesco
Colzani, docente di Te
ologia della Missione presso la Pont
ificia Università Urba
niana di Roma. Nel
corso della conferenza
sono emerse diverse
ve all’esortazione ap
domande relatiostolica post sinodale
Evangelii Nuntiandi di Paolo VI del 1975
, ch
gelizzazione del mondo e introduceva la tematica dell’evanmoderno; uno spunto
i gruppi di studio che
di riflessione per
sono seguiti, momen
to sempre molto richiesto e apprezzato
da tutti i seminaristi
in ogni convegno. I
lavori sono proseguit
i con una tavola roto
nda alla quale hanno
partecipato padre Gi
uli
la Fondazione Missio, o Albanese, direttore delle riviste delGianfranco Cattai, pr
esidente della Focsiv, Fulvio ed Elisabett
a Ferrari, famiglia fid
ei donum della diocesi di Roma, recentemen
te rientrati dal Mozam
bico, che hanno presentato le loro espe
rienze forti di mission
e.
Filippo Rizzatello
Sopra:
Alcuni momenti del convegno nazionale
dei seminaristi promosso come
ogni anno da Missio Consacrati.
anni di sacerdozio, ricorda il suo desiderio di
partire missionario ad
gentes, nato da quei
primi approcci con la
missione in Africa. Ricorda: «Negli anni successivi ho chiesto al mio vescovo, che
allora era il cardinale Giordano, di poter partire come fidei donum, perché
sentivo che il desiderio di essere missionario si stava facendo strada in me.
Ma il vescovo ritenne che la diocesi
non potesse permettersi che un sacerdote partisse per la missione. Così mi
sono tenuto la missione nel cuore, anche perché, come diocesi, Napoli non
ha esperienza di sacerdoti fidei donum,
se non nel caso di un missionario in
Madagascar ormai molto anziano che
ha deciso di non rientrare più in Italia
e di morire lì. Solo negli ultimi anni è
stato inviato un sacerdote, don Angelo
»
Esposito, in Guatemala».
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
59
VITA DI MISSIO
La strada del servizio di don Autuoro
tornava invece in seminario per formare nuovi sacerdoti e «il vescovo mi
nominò parroco perché disse che
quella realtà era la mia missione. Sono
stato nominato parroco là dove non
sarei voluto andare, cioè nella mia
isola, dove sono stato parroco otto
anni. Nel frattempo ho mantenuto i
contatti con le missioni che avevo conosciuto in Africa e quando è arrivato
l’attuale vescovo, il cardinale Sepe, mi
ha incaricato di dirigere il Centro missionario».
60
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
Don Michele Autuoro, nuovo direttore
La Chiesa è molto sensibile alla realtà
missionaria, le parrocchie hanno gemellaggi e scambi con le Chiese del
Sud del mondo, il problema, come Centro missionario diocesano di Napoli, è
quello di confrontarsi con una realtà
molto frammentata con la presenza di
tanti volontari, in un territorio ricco di
fermenti missionari. «In questi anni –
continua don Autuoro - si è puntato a
creare una équipe di animazione missionaria, stabile e affiatata in cui anche
i rappresentanti degli Istituti missionari hanno dato un grande apporto al
lavoro comunitario in diocesi. Da questo punto di vista c’è stata partecipazione e comunione anche con laici impegnati in gruppi missionari o
parrocchie che avevano già esperienza
nell’animazione missionaria nell’orizzonte della missio ad gentes».
Come direttore di Missio, don Autuoro
è impegnato a mettere a fuoco le sfide
della missione nell’era della globalizzazione. Con impegno e ottimismo. Dice
infatti che «se è vero che la Chiesa italiana negli ultimi decenni ha registrato
la diminuzione del numero di sacerdoti, è anche vero che non mancano
segnali di una rinascita delle vocazioni,
espressione di ricchezza, vivacità spirituale e pastorale che oggi trovano spazio in molte forme di partecipazione
alla vita della Chiesa e della missione.
Penso non solo ai sacerdoti ma anche
ai laici. Certamente gli orizzonti pastorali sono cambiati, diventando sempre
più variegati. A volte siamo portati a
dire che la missione è qui, toccando
con mano che le sfide della missione
sul nostro territorio sono aumentate,
impegnandoci ad investire molte energie e personale. Questo non deve farci
mai dimenticare, però, l’orizzonte della
missio ad gentes, nell’ottica del documento della Cei “Il volto missionario
delle parrocchie in un mondo che
cambia”. Dall’osservatorio privilegiato
di Missio, queste e molte altre tematiche emergono con urgenza e chiarezza. Qui c’è un grande lavoro in cui
mi inserisco “in corsa” per continuare
un servizio già molto ampio. Mi metto
al servizio della missione».
In questo lo aiuterà una frase della liturgia che si porta dietro da quando è
diventato sacerdote: «“Fare di Cristo il
cuore del mondo”: è questo il mio programma di servizio».
ELOGIO
DELLA FELICITÀ
I
n una delle sue prime omelie, papa Francesco esortava noi giovani a non avere paura della felicità, anzi a progettare la nostra vita in funzione della felicità piena, autentica. Il nostro itinerario per quest’Anno della Fede si conclude dunque “rischiando” la felicità. Non ci può essere
infatti una vita felice per ognuno di noi se non si corrono
dei sani rischi, se non si fanno delle scelte importanti con
la conseguente presa di coscienza che ogni scelta poi chiede l’assunzione delle proprie responsabilità.
Una vita felice, piena, appagata, non la regala nessuno. Possono illuderci con proposte emozionanti, ma tutte avranno un retrogusto insoddisfacente se non orientate alla felicità vera. La felicità non è l’allegria momentanea, ma è pienezza interminabile. La felicità va scelta e progettata, va
desiderata ardentemente e difesa dagli attacchi del
“buon mercato” che offre altro a miglior prezzo, ma senza lo stesso esito finale. La felicità passa per una porta stretta che, se devi scegliere razionalmente, non varcherai mai,
ma una vita felice spesso deve sgretolare le mura della razionalità che invece vorrebbe imprigionare
i sogni.
Osate una vita felice, giovani della bella speranza, non accontentatevi di trascinare un’esistenza per seguire il conformismo di chi crede che
i sognatori sono degli imbecilli. Osare anche col
rischio di fallire, certo! Nessuna strada è certa finchè non la si percorre! Nessun cammino sarà il
proprio finché i sandali non scuoteranno la terra sotto di essi. E se poi si sbaglia? Si ricomincia.
Nulla è talmente definitivo da non avere rimedio,
da non avere ancora una chance. È la paura di fallire che immobilizza i nostri piedi, che congela
i nostri sogni: ma cos’è questa se non una trap-
pola? Un discernimento così lungo da non farti più scegliere è l’aborto di un sogno. Allontanatevi da questi tormenti, prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro, ma subito! Non esitate! Non aspettate di invecchiare e di scegliere per stanchezza: siate coraggiosi come lo
è stato Gesù di Nazareth.
Se gambe e cuore non sono coordinati si rischia di inciampare durante la strada, ecco perché ogni sogno va progettato: la vita non si improvvisa, ma si percorre un passo alla volta. Molto importante è certamente camminare
insieme, mai da soli. La solitudine può divenire una corazza impenetrabile mentre in un buon discernimento il
cuore deve essere libero e conoscibile, puro, senza filtri, disposto a compromettersi e mettersi in gioco.
«Canta e cammina» scriveva Agostino da Ippona. Sia il
nostro stile lungo questa strada che adesso ci chiede di
osare!
DI ALEX ZAPPALÀ* - [email protected]
SPAZIO
GIOVANI
*Segretario nazionale Missio Giovani
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
61
VITA DI MISSIO
I nuovi
discepoli
Perché i Seminari, specialmente delle Chiese di
missione, formino pastori secondo il cuore di Cristo,
interamente dedicati all’annuncio del Vangelo.
di FRANCESCO CERIOTTI
[email protected]
invito a pregare secondo l’intenzione di questo mese richiama il compito che Gesù affidò ai suoi discepoli prima di salire al
cielo: «Andate dunque e fate discepoli
L’
62
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
tutti i popoli, battezzandoli nel nome
del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo, insegnando loro a osservare tutto
ciò che vi ho comandato» (Mt 28,20).
Un compito che Gesù affida anche a
quanti, lungo il corso del tempo, continuano la missione degli apostoli: annunciare il Vangelo.
Intenzione missionaria
Maggio 2013
«Amatevi gli uni gli altri, come io ho
amato voi» raccomanda Gesù ai suoi
discepoli. E il suo amore abbraccia ogni
essere umano: gli “altri”, a cui Gesù invia i suoi discepoli, e quanti credono in
lui, sono tutti i popoli.
La necessaria formazione dei pastori di
cui parla l’intenzione del mese, perché
sia «secondo il cuore di Cristo», richiede
di saper accogliere l’amore di Dio per
donarlo agli altri, non chiudendosi in se
stessi. L’amore di Dio è infinitamente
comunicativo e, se veramente vissuto,
stimola chi lo riceve a farne partecipi
anche gli altri.
L’invito di questo mese, se accolto come
punto di riferimento della preghiera, è
una provvidenziale occasione per riflettere sull’amore fraterno, di cui la preghiera è una, non secondaria, espressione.
L’amore fraterno del cristiano, che ha
come punto di riferimento l’amore di
Gesù, non ha la sua misura in sé ma sopra di sé, poiché l’amore di Dio è stato
riversato nel cuore del credente per
mezzo dello Spirito Santo che gli è stato
donato il giorno del battesimo.
PONTIFICIA
UNIONE
MISSIONARIA
Non solo
INSERTO PUM
opere
di ALFONSO RAIMO
[email protected]
P
adre Paolo Manna, fondato- no ottenute comunità di cristiani dire della Pontificia Unione pendenti «dai sacrifici, dagli sforzi deMissionaria, con estrema fer- gli altri», più abituati a ricevere che a
mezza, polemizzando con una pras- dare. Alla domanda: «Il denaro per le
si missionaria consolidata, denunciò missioni non serve?» soleva rispondequella che definì «l’organizzazione ma- re: «Serve, come ho già detto, ma servono di più i missionaterialistica delle misri. Quante missioni, afsioni», basata sulla «teoNON C’È,
ria dell’assoluta necesPREGIUDIZIALE fidate ad Istituti di nasità del denaro», la cui DEMONIZZAZIONE zioni dove le vocazioni
scarseggiano, rinunziericerca era diventata
DEL DENARO MA
rebbero volentieri a
«quasi un’ossessione».
RIVENDICAZIONE
qualunque denaro, per
Non intendeva negare
DI
UNA
LIBERTÀ
avere di buoni rinforzi
l’importanza degli aiuPER
IL
SERVIZIO
di nuovo personale!».
ti economici alla causa
Non c’è, dunque, predella missione, ma conALLA PAROLA
giudiziale demonizzadannare la perniciosa e
E RIFIUTO DI
zione del denaro ma
quasi assoluta dipenUNA LOGICA
rivendicazione di una lidenza dell’attività misASSENTEISTA,
bertà per il servizio alla
sionaria dal denaro.
GIUSTIFICATA
Parola e rifiuto di una
Riteneva che il denaro
DAL
PRINCIPIO
logica assenteista, giustifosse, lentamente e siNON
CRISTIANO
ficata dal principio non
lenziosamente, diventato il «criterio ultimo
DELLA DELEGA. cristiano della delega.
Non disdegnando l’are supremo» di un’attività ridotta a faccenda economica. ma dell’ironia commentò la situazioQuesto modo di concepire la missio- ne con queste amare parole: «Lo
ne aveva prodotto una deplorevole di- Spirito Santo deve oggi fare i conti
pendenza non solo ecclesiale, ma con gli economi delle missioni e
anche politica ed economica. Si era- può permettersi di spingersi solo fin
dove consentono le finanze». Vedeva
in questa dipendenza dal denaro un
pericolo per la stessa causa di Dio.
Questa interpretazione riduzionista
che identifica la missione con cose da
fare e progetti da realizzare, ritiene che
l’efficacia di un’azione missionaria dipenda dalla quantità di denaro investito e dei mezzi utilizzati. Un’idea della missione legata esclusivamente
alle opere da compiere, sempre secondo padre Manna, porta all’inevitabile ricerca del prestigio, dell’interesse,
della gloria da parte degli evangelizzatori. Una mentalità eccessivamente umana (e occidentale) aveva ridotto la missione alle sue sole opere.
Quanto gli sembrava antievangelica
questa visione della missione! Quanto lontano dallo stile imposto da Gesù
ai discepoli partenti, appariva quello
dei nuovi inviati! Il sine pera et sine sacculo aveva lasciato il posto alle nuove esigenze di una evangelizzazione
materialmente quantificabile. Critico verso il mito dell’efficienza e delle opere, osservò che ci sono troppe
missioni «ricche e stagnanti».
Le polemiche osservazioni di padre
Manna volevano condannare »
(Segue a pag. 65)
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
63
PONTIFICIA
UNIONE
GAMIS TORINO
I
l gruppo missionario del Seminario diocesano di Torino è rifiorito nell’ultimo biennio, grazie all’entusiasmo e all’impegno di alcuni nuovi membri. Quest’anno, a formare il GAMIS siamo una decina di seminaristi. Ci coordina il rettore del Seminario maggiore, don Ennio Bossù, che ha trascorso gran parte dei suoi 50 anni
di sacerdozio come fidei donum, soprattutto in Guatemala. Riteniamo che conoscere e sostenere la Chiesa missionaria sia indispensabile nella formazione dei futuri preti; tanto più nell’Europa
del secolo XXI, dove la nuova evangelizzazione e la pastorale dei
migranti fanno tesoro dell’esperienza maturata nel Sud del mondo dai missionari ad gentes. Tra le tante iniziative, i momenti di
preghiera guidati dal GAMIS sono il nostro principale contributo
per le missioni. Proponiamo innanzitutto il rosario (quotidiano in
ottobre e settimanale nel resto dell’anno), durante il quale leggiamo alcuni pensieri di qualche santo o beato. Nel corso dei sette
anni di formazione, ogni seminarista torinese compie almeno un
64
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
MISSIONARIA
viaggio in un Paese di missione, ed anche in Italia non mancano
le occasioni per incontrare chi annuncia il Vangelo in altre parti del
mondo. In Seminario e presso la facoltà teologica, viviamo a stretto contatto con alcuni seminaristi africani e indiani. Ospitiamo volentieri vescovi e preti missionari, testimoni autorevoli delle molte forme attraverso cui la Chiesa esprime l’unica fede in Cristo.
Ospite d’eccezione è il visitatore inviato ogni anno dalla Pontificia
Unione Missionaria, padre Lorenzo Snider, della Società Missioni Africane. Ogni primavera due rappresentanti del GAMIS torinese partecipano al Convegno missionario nazionale dei seminaristi diocesani, occasione d’incontro con i nostri “colleghi” del resto d’Italia: molte delle idee contenute in quest’articolo sono frutto delle riflessioni suggerite dagli animatori della Fondazione Missio. Oltre alla Mole Antonelliana, a rendere nota la nostra provincia concorre l’impegno caritativo di tanti cittadini, dai “santi sociali” fino ai giorni nostri. Naturalmente la nostra arcidiocesi è molto attenta agli aspetti pratici della carità evangelica. Non dimentichiamo che, in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo, la promozione umana accompagna necessariamente l’annuncio del Vangelo, per consentire la crescita integrale delle persone e dei popoli. Almeno in Quaresima, partecipiamo anche noi alla raccolta
d’offerte promossa dall’Ufficio missionario diocesano: dopo
aver sostenuto un prete indiano nel Tamil Nadu, ora stiamo aiutando i nostri due sacerdoti fidei donum in Kenya. Attraverso queste ed altre iniziative, e con la speranza di avviare anche nuove collaborazioni, il GAMIS tiene viva l’attenzione missionaria dei seminaristi di Torino.
GAMIS del Seminario diocesano di Torino
INSERTO PUM
MISSIONE KABUL
IL CORAGGIO DI ESSERCI
D
una metodologia che
LE POLEMICHE
dava «troppa prevaOSSERVAZIONI
lenza al materiale con
DI PADRE MANNA
mortificazione dello
VOLEVANO
spirituale». A rimedio
CONDANNARE
di tutto questo proponeva l’acquisizione di UNA METODOLOGIA
una diversa mentalità, CHE DAVA «TROPPA
più apostolica e testiPREVALENZA AL
moniale, frutto genuiMATERIALE CON
no di un’autentica conMORTIFICAZIONE
versione degli evangelizzatori e di un recu- DELLO SPIRITUALE».
pero della dimensione
personale e relazionale. Nella sua azione il missionario dovrà continuamente far riferimento a Cristo, nella cui scia si colloca, il Figlio di Dio sceso «dal cielo
in terra per mostrarcene la via e il metodo». La mentalità della missione non può che derivare da Gesù, dal
suo insegnamento, dal suo mandato; non basta evangelizzare, ma siamo chiamati a evangelizzare con lo stile e i modi di Gesù.
Possiamo essere d’accordo o meno sulle osservazioni
di padre Manna, possiamo considerarle passate o attuali, ma dobbiamo necessariamente ritenere che la missione è, e deve restare, bellezza del servizio, gioia dell’annuncio, stupore dell’incontro, ricchezza della
condivisione.
al 2006 è presente a Kabul una
comunità religiosa intercongregazionale che racconta ogni giorno l’amore di Dio per tutti, oltre ogni
distinzione culturale, religiosa o etnica. Questa piccola fraternità è la
risposta al grido accorato di Giovanni Paolo II: «Salvate i bambini
di Kabul!». Era il Natale del 2001:
di qui è iniziato un percorso sostenuto dalle due Conferenze nazionali dei religiosi e delle religiose CISM e USMI - sfociato, il 7 aprile 2004, nella istituzione dell’Associazione Onlus Pro Bambini di
Kabul (PBK), formata da 14 congregazioni religiose, che ha reso
possibile l’avvio di un progetto molto coraggioso: l’apertura a Kabul
di un Centro diurno per bambini disabili mentali, animato e curato da
religiose.
Una piccola casa in affitto ha accolto il 29 aprile 2006 la prime
quattro sorelle di tre diverse congregazioni, mentre il 22 maggio si
inaugurava il Centro diurno per
bambini disabili mentali non gravi, che attualmente raccoglie una
quarantina di bambini e bambine
tra i 6 e i 12 anni, destinatari del
progetto finalizzato allo sviluppo
dell’autonomia di ciascun allievo
in vista di una integrazione nella
scuola normale. L’azione educa-
tiva – che si propone ed è riconosciuta come un modello innovativo - si avvale di importanti collaborazioni esterne: i genitori dei
bambini, la scuola statale afghana e lo stesso Ministero dell’Educazione afghano.
Ma è la testimonianza della carità che ha fatto del Centro un vero
cortile dei gentili, edificato dalle
missionarie che, con indubbio coraggio, fiducia illimitata nella forza dello Spirito e francescana letizia, condividono la vita della
gente, nel segno della più radicale incarnazione, rispettando e assumendo usi e costumi del popolo, dicendo con i fatti che la convivenza pacifica, l’amore fraterno
e il perdono richiesti da Gesù ai
suoi sono possibili. Il loro prendersi cura dei piccoli disabili
emarginati può far risplendere la
stella della speranza in mezzo a un
popolo segnato da tensioni etniche e religiose e lacerato dalle
guerre: un servizio a cui tutti siamo chiamati, ci ricordava papa
Francesco all’inizio del suo pontificato. E questa stella brilla anche nelle notti più buie di Kabul.
Suor Azia Ciairano
Responsabile animazione
missionaria USMI
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2013
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