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Scarica il giornalino di dicembre 2015

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Scarica il giornalino di dicembre 2015
Uso familiare - copia omaggio
“...e il Verbo si fece
carne e venne
ad abitare in
mezzo a noi”
SEGNO DI ALLEANZA
Gv. Cap. 1
associazione
www.segnodialleanza.it - Dicembre 2015 anno VI - N° 12 - [email protected]
“Tutto il bello che c’è”
Questo numero del nostro giornalino vuole essere voce di quelle realtà che con
perseveranza cercano di costruire un mondo più giusto ed accogliente.
Il “bello” del titolo è proprio questo fiume di bene, impegno, fiducia, prossimità, speranza che cammina lento ma inesorabile e che, come dice il salmo 1,
“...sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, porterà frutto a suo tempo”.
Questa vera forza di cambiamento è ciò che ci auguriamo per questo
Santo Natale.
Le famiglie dell’associazione
...tutto il bello che c’è!
di don Giovanni Kirschner
Una volta, mentre ero in casa di una famiglia rom e stavamo leggendo insieme il
Vangelo, la nonna mi chiese improvvisamente “Padre, ma noi rom ci ha creati
Dio?”. Preso alla sprovvista da una questione così radicale, ho cercato di difendermi chiedendo: “Beh, perché no? perché ti viene questo dubbio?”. “Ma perché
non vede che ai nostri bambini a scuola dicono che sono sporchi, ma non è vero,
perché noi li teniamo puliti (è vero, dico io), quando andiamo per le fabbriche a
cercar lavoro appena vedono il cognome sui documenti ci dicono che non hanno
bisogno, ci guardano male per strada...” e via così con il racconto delle varie umiliazioni quotidiane. Poiché mi sembra un po' difficile sostenere che i rom e i sinti
siano uno sbaglio della creazione, credo invece che anche loro siano figli amati
da Dio e che la loro presenza in mezzo a noi abbia un senso, non sia un difetto da cancellare ma un tesoro da scoprire.
Così un po' di anni fa insieme ad altri compagni di viaggio ci siamo messi in cammino e abbiamo cominciato a frequentarli, ad andarli a trovare nelle loro case, nelle loro roulottes, nei loro campi. Quando ci chiedono cosa andiamo a fare mi
viene in mente sempre questa immagine: c'è un fossato che divide noi da loro, un fossato di diffidenza reciproca, di paura, di disprezzo. Noi cerchiamo di essere un ponte gettato sopra questo fossato, di stabilire delle relazioni di fiducia di
amicizia quando riusciamo. Nella speranza che poi sopra questo ponte ci possa passare anche qualcun altro.
Un giorno sono andato con un'amica in un campo di sinti: erano presi un po' male, con le roulottes malconce,
in mezzo al fango, sul retro di una fabbrica. Entriamo in una di queste e la padrona di casa ci fa sedere e ci prepara il caffè. Vedendo la disinvoltura con cui la mia amica si muove in quell'ambiente misero e la naturalezza
con cui accetta il caffè la donna sinta le fa “ma tu sei abituata?”. Intendeva dire: tu sei abituata a stare in mezzo
a noi, si vede subito che non sei come le altre donne italiane che ci tengono a distanza e ci guardano con diffidenza. Tu sei venuta qui e hai accettato di accorciare le distanze, di condividere quel poco che abbiamo.
Ho letto una volta, non so più dove, che “i poveri restano poveri finché non permettiamo loro di donarci qualcosa”. Restituire dignità a queste persone ha significato lasciarci accogliere da loro, sederci nelle loro case, ricche o povere che fossero, mangiare quello che ci preparavano, anche perché di solito era molto buono. Dare
dignità ha significato affidarci a loro, metterci nelle loro mani entrando nel loro territorio senza paura, con la
fiducia che ci avrebbero trattati bene.
Un giorno avevo accompagnato una donna rom a fare delle pratiche in un ufficio. Quando siamo usciti, per
ringraziarmi mi ha invitato a bere un caffè nel bar lì vicino. Mentre ci incamminavamo le ho chiesto come andava col lavoro. “Male – mi dice – mi hanno lasciata a casa”. Lavorava in un'impresa di pulizie. “E adesso come
fai?” Si è fermata un attimo e fissandomi mi ha detto “beh, vado a rubare”. Poi ha abbassato gli occhi mentre io
cercavo di dire qualcosa per toglierla dall'imbarazzo “almeno tu ci riesci, se vado io mi prendono subito”. Riprendiamo il cammino in silenzio e poco dopo lei sbotta “ecco, adesso chissà cosa pensi di me, che sono una
ladra”. Cerco di tranquillizzarla, dicendole che non mi cambia niente, poi arriviamo al bar. Beviamo il caffè e
alla fine, quando lei mette sul bancone una banconota da 5 euro per pagare, subito mi viene da pensare che
forse quei soldi li ha rubati, e io ho bevuto un caffè pagato con un furto. Ma poi nella mia coscienza ho detto al
Signore “beh, per lei in fondo potermi offrire qualcosa al bar significa essere riconosciuta nella sua dignità.
Questo conta più del furto” Così il caffè andò giù senza scrupoli.
Me l'avevano detto all'inizio “l'unica cosa che conta è che tu sia fedele”. E così è stato: i secoli di pregiudizi che
ci dividevano non potevano essere superati in un'oretta di una visita occasionale. Ma continuando a frequentarci, lentamente nel tempo si è creato quello spazio di confidenza che ti può far diventare amico. Così mi sono
trovato ad ascoltare storie di ragazzi innamorati, di sposi in crisi, preoccupazioni per l'educazione dei figli, ansie per i problemi di salute, gioia per l'arrivo di nuovi figli o di un nuovo lavoro. Mi hanno chiesto di pregare
insieme, di ascoltare insieme il Vangelo per poterlo comprendere meglio, di benedirli per sentire che il Signore
stava con loro anche quando non c'era nessun altro che potesse sostenerli.
Rimangono i problemi, certo: molti fanno fatica a trovare lavori stabili, specialmente se dai cognomi i datori di
lavoro si accorgono che sono rom o sinti, e allora bisogna cominciare il pellegrinaggio dalle assistenti sociali, i
centri d'ascolto, la Caritas, la Croce Rossa. Ma pur dentro questa vita precaria, possiamo incontrarci da persone,
non più sotto l'etichetta di “zingari” “giostrai” o “gagi” (come loro ci chiamano), ma semplicemente coi nostri
nomi e le nostre storie, dove in fondo tutti cerchiamo la stessa cosa, di poter sentirci voluti bene e di poter stare
un po' bene a questo mondo.
Un'altra volta ero andato a trovare una donna sinta, madre di tre figli. Sapevo che non avevano soldi e facevano fatica ad andare avanti, così mentre la salutavo le ho detto “ho un po' di latte in macchina, vuoi che te lo
porto su?” Lei mi ha guardato quasi offesa e mi ha risposto “guarda che io ti chiamo non perché ho bisogno
del latte, ma perché ho bisogno di te”.
Spesso è questo che non si capisce nei centri d'ascolto e negli uffici comunali: finché rimaniamo nel nostro ruolo, noi dietro le nostre scrivanie e computer e loro a mendicare aiuto, non c'è possibilità di andare oltre. Ma se
abbiamo il coraggio di uscire da questi schemi, di uscire dalle nostre sicurezze per entrare nelle loro abitazioni,
a condividere almeno un po' la loro vita, allora si apre la possibilità di incontrarci per ciò che davvero siamo,
persone, uomini e donne, figli di Dio e fratelli tra noi, se queste parole hanno un senso anche fuori della liturgia. Allora mentre cresce una relazione con loro, comprendiamo che anche questo popolo ha un posto nel disegno di Dio. Come diceva un vecchio rom: “i nostri antenati erano con Mosè nel deserto, in cammino verso la
Terra Promessa. Ma poi si sono persi e non sono più arrivati. Ecco, noi siamo i discendenti di quelli che erano
con Israele ma si sono persi nel deserto”. Questo popolo ci insegna che le relazioni nella famiglia, tra gli amici,
sono la cosa più importante. Più importante della terra, dei soldi, di ciò che si possiede. Ci insegna a rispettare
il mistero dell'altro. Ad ascoltarlo e provare a comprenderlo, prima di giudicarlo. E in questo mistero riconosciamo il mistero di Dio che in loro ci accoglie perché noi allarghiamo i ristretti confini della nostra fraternità.
Un giorno ho portato un po' di chili di farina a una famiglia di rom che abita in un condominio di case popolari. “Ti fai ancora il pane in casa?” chiedo alla mamma che sta lavorando in cucina. “Sì, così spendo meno, al
panificio hanno di quei prezzi” mi risponde “Guarda, lo sto cuocendo proprio adesso, se rimani qui tra un po' è
pronto e te lo faccio assaggiare”. Così chiacchieriamo dei figli, del marito, del lavoro che non c'è e quando suona mezzogiorno lei tira fuori dal forno un gran pane rotondo.
“Lo fai bello grande” “Sì, così i ragazzi intanto mangiano questo e si levano la fame”.
Poi prende in mano il pane, lo spezza, e me ne dà un pezzo da mangiare. Un gran pezzo del pane dei suoi figli.
Mi son venuti i brividi a vederle compiere per me il gesto dell'Ultima Cena.
Gruppo coro del carcere
È
più conosciuto come il carcere di S. Bona, ma in realtà il vero nome è Casa Circondariale di Treviso. L’Istituto Penitenziario, nel quale si trovano più di 200 detenuti, è affiancato dall’Istituto Penale
Minorile, unico nel Triveneto, che ospita una quindicina di ragazzi.
Negli anni si sono sviluppate alcune iniziative tra la realtà del territorio e i due istituti, anche se permangono difficoltà di relazione dovute in parte alle normative che regolano gli accessi e le attività del
carcere, e in parte a una società poco attenta e disponibile nei confronti di chi sta scontando la sua
pena. Per la Casa Circondariale, una delle iniziative che ha maggior continuità nel tempo è l’animazione delle S. Messe di Natale e Pasqua alle quali, dal 1990 ad oggi, hanno partecipato persone provenienti da alcune parrocchie della Diocesi. Attualmente questo coro è composto in prevalenza da giovani e adulti della Collaborazione Pastorale di S. Bona.
Le messe, presiedute dal Vescovo di Treviso e concelebrate dal cappellano del carcere don Pietro Zardo, sono un appuntamento atteso dai detenuti al quale si presentano numerosi e con partecipazione.
Don Pietro, con il quale ci accordiamo per la presenza e l’animazione, durante tutto l’anno si prende a
cuore la realtà del carcere e il vissuto di ciascun detenuto con dedizione e fraternità. Il suo ruolo, tanto impegnativo quanto indispensabile, viene ricompensato con stima e affetto sinceri da coloro che
trovano in lui un punto di riferimento e una luce di speranza. Il nostro servizio è atteso da chi partecipa alla S. Messa perché contribuisce non solo a dare maggior solennità alla celebrazione, ma anche a
rendere diversa la giornata di festa. La nostra presenza è infatti vissuta dai carcerati come momento
d’incontro e vicinanza del territorio alla loro situazione.
Questi appuntamenti ci consentono di entrare in contatto con la realtà del carcere e conoscere le difficoltà e i disagi vissuti quotidianamente, ma anche le speranze e
le attese che vengono presentate al termine della celebrazione
con una lettera scritta dai detenuti e letta da un loro rappresentante. Da quest’anno accompagniamo la nostra presenza con un
dono concreto secondo le necessità segnalate da Don Pietro. A
tal proposito, chiunque abbia il desiderio di partecipare all’animazione e/o contribuire al dono di
solidarietà, può contattare la referente Silvia
( [email protected] ).
Gruppo Coro del Carcere di S. Bona
Questa è la Notte
Notte di evangelizzazione, preghiera e
incontro per giovani che desiderano vivere il
sabato sera nella novità del Vangelo.
QUESTA È LA NOTTE è un momento privilegiato per “ritornare al cuore” e incontrare Gesù, insieme a tanti altri giovani che nella notte sono alla ricerca della fonte
a cui dissetarsi. La proposta sarà realizzata dalla Gioventù Francescana e dai giovani del Gruppo Vangelo e Fraternità, in collaborazione con i Frati di San Francesco Treviso, insieme a tutti coloro che vorranno unirsi nell’organizzazione di
questi momenti.
QUESTA È LA NOTTE sarà proposta nelle date:
Sabato 5 dicembre 2015, dalle 21.30 alle 23.30
Sabato 27 febbraio 2016, dalle 21.30 alle 23.30
Sabato 4 giugno 2016, dalle 21.30 alle 23.30
Blog
FB
Twitter
o scrivendo a
Info e Contatti
frati-treviso.blogspot.it
Frati San Francesco Treviso
@frati_treviso
[email protected]
CASA MILAICO - MISSIONARI
DELLA CONSOLATA
Una comunità missionaria nei
boschi del Montello
Casa Milaico è la casa dei missionari della Consolata sul
Montello, a SS.Angeli in comune di Nervesa d.B. Si tratta di un
centro di animazione missionaria caratterizzato dalla comunità
di vita tra laici e religiosi. Dalla fine dell’estate infatti siamo in
9 persone a vivere sotto lo stesso tetto: 2 famiglie e 2 religiosi. Per noi (fam Colombo) che siamo qui da
ormai 9 anni si tratta di una situazione nuova: la comunità non era mai stata così numerosa e ora possiamo dire di poter gustare in pieno la bellezza del nostro vivere insieme! Cosa facciamo qui? Perché viviamo così? Sono le tipiche domande che chi ci conosce o viene qui immancabilmente ci rivolge. Prima di
tutto l’obiettivo è “animare”, nel senso latino di dare vita, un'anima appunto... Cerchiamo attraverso le
attività che proponiamo, di trasmettere con gioia ed entusiasmo il bello della nostra vocazione cristiana,
dello stare insieme tra di noi e con Gesù, con lo sguardo attento al mondo e al vicino. In concreto offriamo momenti formativi e spirituali, rivolti a tante fasce d’età, dai ragazzi di 10 anni ai giovani, fino alle
famiglie. Chi ci frequenta può anche alla fine dell’anno “scolastico” partecipare a uno dei tanti campi
estivi che caratterizzano e rallegrano la nostra densissima estate (e quella dei vicini di casa). Ogni 2 o 3
anni inoltre organizziamo un campo in missione per i giovani che vogliono un po’ mettersi in discussione, e aprire gli orizzonti della propria vita facendo esperienza diretta di una realtà missionaria. Il martedì
sera invece è per noi il momento più bello e intimo con la preghiera comunitaria, vissuta con chi vuole
condividere con noi la bellezza e la ricchezza del “masticare insieme” la Parola di Dio. Un'altra bella realtà è quella del coro TataNzambe che ormai da diversi anni gira per le strade delle diocesi di Treviso e
Vittorio V.to portando attraverso la musica e i canti la freschezza e la dinamicità tipiche delle giovani
chiese del sud del mondo: la missione, oggi come non mai, è anche scambio, condivisione di ricchezze.
La bella casa in cui viviamo ci dà anche la possibilità di accogliere gruppi che desiderano fare una giornata di ritiro o formazione missionaria, o anche brevi convivenze di qualche giorno. Ci capita spesso inoltre di essere noi a dover “uscire” o perché siamo chiamati per qualche animazione in parrocchie, o
per partecipare alle innumerevoli riunioni che gli impegni di ognuno richiede: centro missionario, corso
fidanzati, incontri di preghiera, testimonianze, gruppo GAS... Siamo inseriti anche nella chiesa locale,
dove i padri prestano i loro servizi religiosi in collaborazione coi parroci. Questo un po’ in sintesi quello
che facciamo, oltre, per noi, alla “normale” e un po’ stressante vita di genitori con 3 figli (per cui altre
riunioni, figli da scorrazzare in giro, ecc...) Ma torniamo al perché...
L’aspetto più bello crediamo e forse importante della nostra comunità di vita è quello di essere un segno
di speranza verso l’esterno. Il vivere con le porte un po’ aperte ci permette di entrare in relazione con
tante persone, di poter incontrare e ascoltare, due azioni molto semplici ma oggi estremamente importanti e purtroppo sempre più rare!Ci rendiamo conto che al giorno d’oggi il costruire relazioni sia un’
assoluta priorità, perché il mondo ci spinge nella direzione opposta, quella dell’individualismo (che diventa inesorabilmente solitudine) e del miope e illusorio benessere materiale, senza che noi neppure ce
ne accorgiamo! Siamo convinti che l’evangelizzazione passa attraverso la testimonianza, e che lo stile di
vita al giorno d’oggi sia più evangelizzante e missionario di tante altre cose. Con le nostre povertà e debolezze, i nostri limiti e difetti, vediamo che la gente che passa di qua e ci conosce, le tante persone che
frequentano la casa, apprezzano e guardano con estremo interesse al nostro modo di vivere insieme.
Siamo colpiti quando ci dicono di sentirsi accolti solo per il fatto di avergli offerto un caffè e dato retta
per un po’. Come in tutte le famiglie, anche chi entra in casa Milaico respira un clima, che dice tante cose… Se chi viene si sente accolto sarà più facile spiegare che la Missione è anche accoglienza…
Estendiamo quindi l’invito anche a voi lettori, che se passate sul Montello e volete conoscerci meglio
potete venire a salutarci.
www.milaico .it
Comunità “il mandorlo”
Quando abbiamo scelto il nome “Il Mandorlo” abbiamo pensato a questa comunità come a un
piccolo segno di “primavera” in questo quartiere, dentro la comunità cristiana a cui appartiene,
nelle relazioni che intesse giorno per giorno. Desideriamo essere segno di vita e di speranza per
le persone che incontriamo, per le mamme e i bambini, per ragazzi e giovani e per le loro famiglie. Da qualche anno abbiamo attivato un doposcuola al fine di favorire il processo di integrazione dei bambini e delle loro famiglie nel contesto in cui vivono.
“La porta si apre e un viso sempre sorridente ti saluta e ti accoglie calorosamente in quest’oasi
dove esplodono le risate e il vociare dei bambini festosi che giocano insieme, in attesa della
merenda, prima di riprendere a svolgere i compiti per casa. Decine di visi e di pettinature diverse, di personalità differenti che è piacevole stare a guardare. Le suore sono instancabili nel creare un ambiente affettuoso: oltre a rispondere alle esigenze materiali, sono sempre pronte a dare una parola di incoraggiamento a
grandi e piccini e a distribuire qualche dritta quando serve, pur senza alcun giudizio. Si scambia qualche parola con le altre volontarie, si scherza, ci si racconta, si scambino opinioni e consigli. Ma i veri protagonisti sono loro, i bambini. Ti prendono per mano,
chiedendoti di giocare, di allacciargli una scarpa, di spiegargli qualcosa che non hanno capito. A loro non importa chi sei o cosa fai.
Sei un adulto e sei lì per stare con loro, questo basta. Si fidano di te con immediata semplicità. Con la capacità rigenerativa di cui
solo loro sono capaci, dimenticano in fretta le arrabbiature che sempre si verificano nei rapporti umani. Qui non valgono frenesia,
apparenze, invidie, competizioni, stress che popolano la nostra quotidianità. Qui soprattutto ci si ricorda di avere un cuore che va
oltre le regole razionali e le costruzioni mentali che ci siamo imposti e che è faticoso abbandonare. Da qui si esce rinnovati ed arricchiti; ognuno può dare e ricevere semplicemente rimanendo se stesso”. (Alessandra)
Riconosciamo che la partecipazione non solo è costante e in crescita di anno in anno, ma il
doposcuola è diventato per tutti, grandi e piccoli, un appuntamento atteso e desiderato
nella settimana. L’arrivo gioioso, la merenda, il lavoro post-scolastico, scandiscono i due
pomeriggi settimanali di questa vivace, simpatica, affettuosa “combriccola” multietnica. “Io
vengo volentieri” dice Joemi “perché sto in compagnia, trovo persone che mi aiutano con
pazienza e gentilezza e cercano di spiegarci le cose meglio che possono. Mi piace venire anche perché mi sento a mio agio, imparo ad aiutare i più piccoli e fidarmi degli altri . Qui si
possono fare un sacco di cose: i compiti, i disegni, i giochi, le gite…” aggiunge Noa “Mi piace conoscere nuovi amici, stare insieme
con gli altri. (Noa) Impariamo ad essere gentili con tutti (Jacklin e Kofi).
Riusciamo a realizzare tutto questo grazie all’aiuto prezioso ed entusiasta di tante persone amiche che ci danno una mano: mamme,
ragazze, giovani.
C’è un aspetto che sta rendendo quest’esperienza indimenticabile: i bambini, tutti fantastici e simpaticissimi, ognuno per fortuna a
modo suo. Con loro ho imparato molte cose, una di queste è che ogni bambino è speciale e unico: con il proprio carattere, alcuni
più chiusi, altri più aperti, ma comunque tutti fantastici, e riescono a trovarsi, giocare, parlare, rispettarsi pur nella diversità e questa è
una cosa davvero meravigliosa. (Vanessa) Devo dire che quest' esperienza aiuta tutti noi volontari a stare insieme, a relazionarci con
coloro che hanno lingua e cultura differente. La trovo un' occasione preziosa per aiutarci a vicenda, imparare giocando e per condividere momenti sinceri e felici, per ridere insieme." (Camilla)
“In questa casa la prima cosa che ti colpisce è il clima sereno che si respira, dove i bambini si trovano perfettamente a proprio agio,
fra persone da cui ricevono e alle quali ricambiano affetto e simpatia. Così sperimenti il fascino dell’energia infantile, rinnovabile ed
infinita che ti porta a gridare: sono felice di essere qui”! (Rita)
Ci sembra proprio di poter dire che la consegna lasciataci dal nostro fondatore don Luca Passi stia trovando qui un buon terreno:
“chi entra una volta nelle vostre case abbia il desiderio di ritornarvi ancora”.
Comunità il Mandorlo 0422/432845 e-mail [email protected]
Le suore, i volontari, i bambini
Comunità di Sant’Egidio
La Comunità di Sant’Egidio nasce a Roma nel 1968, all’indomani del Concilio Vaticano II. Oggi è un
movimento di laici a cui aderiscono più di 60.000 persone, impegnato nella comunicazione del Vangelo e
nella carità in Italia e in 73 paesi dei diversi continenti. E' "Associazione pubblica di laici della Chiesa".
Le differenti comunità, sparse nel mondo, condividono la stessa spiritualità e i fondamenti che caratterizzano il cammino di Sant’Egidio: la preghiera, che accompagna la vita di tutte le comunità nel mondo e ne
costituisce un elemento essenziale; la solidarietà con i poveri, vissuta come servizio volontario e gratuito,
nello spirito evangelico di una Chiesa che è "Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri" (Giovanni
XXIII); la costruzione della pace attraverso la creazione di ponti tra diversi e distanti sia nel tessuto sociale in cui la comunità locale vive sia nei conflitti del mondo operando come un'unica comunità mondiale.
Nell’incontro a Santa Maria in Trastevere, Papa Francesco ha sintetizzato con “3 P” la missione di della
Comunità di Sant’Egidio: “Preghiera, Poveri e Pace”.
Nella foto la cena della Vigilia di Natale in “Casa Albergo” con anziani, senzatetto e ragazzi profughi
A Treviso la Comunità si ritrova tutti i venerdì sera alle ore 20.30 nella chiesa di Santa Lucia (Piazza San
Vito, Treviso). Il terzo lunedì del mese la preghiera è dedicata agli ammalati e viene celebrata nella chiesa
di San Martino, mentre la prima domenica del mese alle ore 18.00 c’è la preghiera per la pace sempre nella chiesa di San Martino (Corso del Popolo, Treviso). La Comunità di Sant'Egidio a Treviso si occupa:
degli anziani soli in casa ed in istituto in particolare nella “Casa Albergo” (ISRAA) di Treviso; dei senza
fissa dimora con i servizi di distribuzione in strada di cibo e coperte e organizzando una volta al mese una
cena o un pranzo. In aggiunta, la Comunità collabora con altre associazioni e istituzione per attività di
accompagnamento e reinserimento delle persone che vivono in strada; dei profughi con servizi di accoglienza, sostegno allo studio della lingua italiana e attività di inserimento.
La Comunità di Sant'Egidio è presente a Treviso anche con i Giovani per la Pace che coinvolge gli studenti delle superiori e universitari nel servizio ai poveri in particolare con gli anziani e i profughi ed è in
collegamento con la rete più vasta dei Giovani della Pace del Veneto.
(Contatti: e-mail: [email protected]; cel. 328.3789767).
Padre Paolo Bizzeti SJ
Vicario apostolico dell'Anatolia
Nel giorno in cui ricorre la memoria di S. M. Kolbe, papa Francesco ha
nominato vescovo p. Paolo Bizzeti SJ con l'incarico di vicario apostolico dell’Anatolia. Tra qualche tempo inizierà il suo servizio pastorale
nella regione ecclesiastica che va da Antiochia sull’Oronte (oggi Antalya) e Tarso - nel profondo sud della Turchia – fino alle coste del
Mar Nero, con le città di Trabzon e Samsun. Padre Bizzeti succede a
monsignor Padovese, assassinato cinque anni fa. A Padova il 1 novembre è stato ordinato vescovo, riportiamo alcune parole del suo bellissimo intervento: “Ritengo che, se
davvero vogliamo essere discepoli di Gesù, dobbiamo diventare maggiormente consapevoli che siamo chiamati
ad un nuovo tipo di famiglia e di comunità umana. Siamo infatti chiamati ad essere segno; per noi, i legami di
sangue e affettivi, con una terra particolare o con un gruppo particolare, per quanto buoni siano, sono relativi.
O meglio: vanno interpretati alla luce dell’incontro con il Messia. Il Signore chiama, noi andiamo”. “...ringrazio
tutti i fedeli laici, spesso più avanti di noi consacrati nel vivere il Vangelo della vita! Spesso più simili di noi a
Myriam di Nazareth, a Josef suo sposo e al loro Figlio, l’umile Carpentiere di Galilea. Molti di loro sono stati
per me vere madri e padri spirituali. Mi hanno formato, spesso più dei formatori ufficiali. Mi hanno amato e a
volte, portano le ferite - come Cristo - causate dalla mia paternità confusa”. “...siate misericordiosi con me e
pregate che mi lasci educare da chiunque abbia lo Spirito di Dio: cristiano, musulmano, alawita...o non credente”. Ha collaborato con la nostra associazione “SEGNO DI ALLEANZA”, fin dai primi passi della sua fondazione, aiutandoci negli orientamenti e nella scelta del nome stesso.
Mamme insieme...
Nel 2011 nasce, all‛ interno della Scuola dell‛ Infanzia Maria Immacolata di Santa
Bona, un gruppo di mamme che prenderà il nome di “Mamme di Fata”.
Sono anni difficili per le scuole paritarie e i genitori, attenti e sensibili, si attivano
per trovare delle soluzioni, Ognuno cerca di mettere a disposizione i talenti che
possiede e ad alcune mamme, tra una chiacchiera e l‛altra, in giardino, aspettando
l‛uscita dei propri figli, viene l‛idea di produrre dei lavoretti da poter vendere per
raccogliere i soldi necessari a finanziare le attività della scuola. Tra di loro c‛è chi sa cucire, chi per hobby realizza braccialetti, chi ricama,chi non possiede nessuna abilità manuale ma si lascia travolgere dall‛entusiasmo e si aggrega. L‛idea si
diffonde e raccoglie molte adesioni ; le proposte incalzano, ai braccialetti si aggiungono i cerchielli, le borse, i centrotavola,
e alla fine i prototipi sono così belliche si pensa ad un vero e proprio mercatino e per iscriversi si conia il nome del gruppo
assolutamente appropriato viste le magiche creazioni “Mamme di Fata” Mamme, nonne, zie, amiche offrono il proprio contributo: si riuniscono una sera alla settimana, portano a casa il lavoro, si ritrovano anche al mattino a seconda delle possibilità e, piano piano, tutto prende forma. Insieme ai lavoretti iniziano ad arrivare anche le torte da condividere in allegria durante il lavoro; l‛atmosfera si scalda e gli
argomenti legati al lavoro lasciano il posto alle difficoltà familiari, alle malattie dei
bambini, alla difficile organizzazione della vita divisi tra famiglia e lavoro. Si condividono le gioie e le preoccupazioni, si contattano gli assenti per informarsi, per essere vicini . Al momento di allestire il mercatino non mancano i papà che procurano
tavoli e cavalletti, prese elettriche e lampade….a ciascuno il suo! Alla fine tanta
stanchezza ma soprattutto grande successo e grande soddisfazione …. E l‛anno dopo ? sono ancora qui, non solo a passare il testimone, ma alcune tornano per senso di
appartenenza, per il piacere di stare insieme. Sono persone semplici, ma dal cuore
grande che vivono la scuola come una grande famiglia. Si impegnano donando un po‛ del loro tempo, mettendo a disposizione
la loro creatività, la loro passione, il loro entusiasmo, per dare testimonianza ai figli della gratuità e dell‛ impegno che devono contraddistinguere le nostre azioni. Sono esempio di condivisione e rispetto per il lavoro altrui e per le diverse capacità
di ognuno.
...ogni giorno ascoltare della bella musica, leggere una
bella pagina, parlare di una bella cosa.
Goethe
Letti per voi….
Una bottiglia nel mare di Gaza
www.segnodialleanza.it
Una giornata qualsiasi a Gerusalemme. Un attentato: un
kamikaze in un caffè, sei morti, due giorni di telegiornali
continui. Dopo una speranza
di pace, la Città Santa sembra
andare dritta all'inferno. Tal
proprio non riesce ad accettare la situazione, ama troppo la
sua città e la vita. Vorrebbe
morire molto vecchia e saggia. Un giorno un'idea le illumina
la mente: un messaggio in bottiglia potrebbe avvicinarla a
una ragazza ''dell'altra parte'', in modo da superare, insieme,
illusioni e disillusioni e cercare finalmente un'unità. Tal immagina già questa nuova amica, sogna di specchiarsi in lei. E
intanto chiede al fratello di lasciare la bottiglia su una spiaggia di Gaza. Dentro, il suo indirizzo email e tante speranze.
A inviarle una risposta è Gazaman, e non sembra certo un
messaggio di pace. Titolo originale: ''Une bouteille dans la
mer de Gaza''(2005).
Mani calde
Davide ha nove anni e non ne vuole
sapere di andare a comprare le cose per
la scuola, la mamma insiste e quel banale tragitto tra l'abitazione e il negozio si rivelerà fatale. In coma, nel sonno in cui è costretto, Davide sente e
"vede" le persone distraendosi con le
storie degli altri: storie di ospedale, di
chiacchiere in corsia, di infermiere e
lotte fra medici, come quel "dottore
antipatico" che tenterà l'impossibile
per salvarlo. Un legame speciale fatto di empatia e sensazioni destinate a durare si formerà fra il medico e il ragazzino:
eppure il primo è un uomo schivo, scorbutico, bravissimo nel
proprio lavoro ma incapace di gestire ogni genere di rapporti
umani; l'altro è pieno di vita ma immobile su un letto. Una
storia semplice, dall'emozionante lieto fine, è al centro di
questo romanzo a più voci che dà spazio ai sentimenti e ai
tanti diversi personaggi che si ritroveranno uniti di fronte alla
sofferenza. Il dramma dei pazienti e del loro amore per la
vita in un libro forte, tenero, poetico.
Formazione 2015-2016
presso casa Kobe ore 20.45
16 novembre
14 dicembre
18 gennaio
15 febbraio
21 marzo
...per crescere insieme
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