299 Elisabeth e i Due Nudi - Fondazione Internazionale Menarini
by user
Comments
Transcript
299 Elisabeth e i Due Nudi - Fondazione Internazionale Menarini
n° 299 - aprile 2001 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Elisabeth e i Due Nudi “Bisogna arrendersi a quello che viene” da Le lettere a un giovane poeta di Rainer M. Rilke Nella certezza di una donna determinata e convinta che la buona stella non l’avrebbe mai abbandonata, la filosofia di Elisabeth Chaplin parte anch’essa da questo presupposto: un determinismo trascendente cui non sarebbe stato giusto fare resistenza. «In un decennio e più di studio ho avuto modo di constatare che anche chi non ha conosciuto Elisabeth Chaplin da vicino è rimasto contagiato dalla sua aura, dall’imperioso appeal del personaggio. Per cui, procedendo nella mia ricerca, mi sono reso conto dell’impossibilità di eludere tale fattore, a costo di smentire l’aforisma di Oscar Wilde, secondo cui scopo dell’arte sarebbe rivelare l’opera e nascondere l’artista» scrive di lei Giuliano Serafini. L’interrogativo di Vittorio Pica “francese o italiana?” (era francese di nascita e italiana di adozione) alla Primaverile del 1922 diventa per noi una traccia per addentrarci nel mondo creativo della Chaplin, nel suo percorso articolato e anche contraddittorio, sempre diverso in ogni sua stagione, spesso persino sfuggente nei suoi esiti. Ambivalenza, originalità e atipicità di poetica e di linguaggio, caratteristica della sua amplissima produzione artistica, hanno fatto convergere sull’artista l’attenzione di grandi studiosi quali Ugo Procacci, Luciano Berti, Sandra Pinto, Raffaele Monti ed Ettore Spalletti, cui dobbiamo il colto contributo alla sua riscoperta. «…Seduta sulla sua poltrona, la stimolano le mie domande. La porta delle rimembranze si è spalancata, e lei, simbolista, la potrebbe raffigurare con un gran fiotto di luce che ne proviene; come la porta paradisiaca nel “Giudizio” del Beato Angelico», scrive Luciano Berti, in occasione di una sua visita a Elisabeth Chaplin al “Treppiede” nel 1978. Prima con la sua famiglia aveva abitato a Villa Levi; l’ultimo ritratto dipinto lì è il Ritratto di famiglia in un interno. Noi leggeremo la parte “italiana” delle sue opere, dei primi dieci anni della sua lunghissima carriera che la vede al “Treppiede”, villa il cui nome esoterico viene dalla pianta triangolare, come quello di tante dimore aristocratiche di San Domenico a Fiesole, in cui si era trasferita con al sua famiglia. Una antica casa del contado fiorentino cresciuta di rango (la madre di Elisabeth la fece sopraelevare più per spaziare su Fiesole e Monte Ceceri che per aprirsi una veduta su Firenze) Elisabeth Chaplin: Ritratto di famiglia in interno - Firenze, Galleria d’Arte Moderna quando “l’andare in villa” cominciò a rientrare nei riti della città opulenta. Qui troviamo lo studio di Elisabeth, il sancta santorum della casa, una vista diretta su Fiesole con sotto la distesa degli olivi, i cipressi e le ville. Altro luogo prediletto dall’artista era il viottolo che porta dalla volta di San Giuseppe fino al confine di via delle Forbici. Lungo quel tragitto sarebbero avvenuti incontri, conversazioni, commiati fondamentali per la sua vita di donna e di artista. Un tema, questo, tra i temi privilegiati dalla Chaplin simbolista, il luogo dove terrestre e divino, passato e presente venivano evocati. Ai primi anni del “Treppiede”, risale La mamma e Nenette sulla spiaggia, un grande dipinto di datazione incerta: a Forte Elisabeth Chaplin: La mamma e Nenette sulla spiaggia - Firenze, Galleria d’Arte Moderna pag. 2 dei Marmi, Elisabeth è sotto braccio alla mamma, come lei scalza sulla spiaggia. La vediamo con indosso una tunica leggera fermata sui fianchi da una fascia scura, mentre procede un po’ arretrata rispetto alla madre Margherite, ritratta di profilo e intenta, forse, a osservare gli altri figli sulla battigia. A giudicare dall’esecuzione sommaria, l’opera sembra non sia finita. Un’opera in cui l’emergenza delle figure e lo sfondo deserto fissano con decisione un momento reale reso irrealistico dalla luce che si tinge di viola e che diventa la vera protagonista del quadro. Questa, fa notare Serafini, «è un’opera rara, sia per quella sorta di azzeramento cromatico, che per la totale assenza di ombre, proprio quando tutta la pittura della Chaplin dimostra di privilegiare, almeno fino al secondo decennio del secolo, la maniera luministica dai forti contrasti timbrici». Nel pastello con La mamma e Nanette del 1911, Elisabeth riprende la stessa maniera, sebbene con accenti più sfumati: Nanette è in secondo piano, mentre osserva la madre che guarda lo spettatore, puntando il dito sul libro in un pausa della lettura. Entrambi i dipinti sono oggi conservati alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze. Dell’anno seguente, e oggi sempre a Pitti, è l’Autoritratto con lo scialle rosso: qui la grande la forza attrattiva è data oltre che dal colore rosso vivo dello scialle, contrapposto cromaticamente al blu smaltato dello sfondo, dallo sguardo deciso di Elisabeth che si legge e si percepisce, e che fa arrivare in modo diretto all’acme pittorico dell’opera. La tavolozza e i pennelli in primo piano sono i suoi attributi creativi ed emergono netti dal manto raffinato e vivace che avvolge la snella figura della Chaplin poco più che ventenne. E per l’artista la sua arte sarebbe diventata sempre più negli anni la sua ragione di vita, tenendo bellezza, talento ed educazione tutte per sé. Fanno eccezione le schermaglie amorose, castigate ma costanti nel tempo, di Guido Corsini che a suo modo rimase sempre presente nella sua vita e che soltanto in punto di morte le disse, stringendole la mano, il suo primo e ultimo “ti ho sempre amato”. Bellezza e sensualità che traspaiono in tutta la loro vivezza nell’ autoritratto del 1918, dal titolo Due Nudi, oggi in una collezione privata, che raffigura una poco riconoscibile, ma molto sensuale Elisabeth vista di schiena e di fronte. Una doppia immagine forte e aggressiva, con una donna dai lunghi capelli nero corvino avvolta in uno scialle rosso, quasi un pareo, che maliziosamente le scivola di dosso. Una pienezza di stile e di realismo, un richiamo all’esotico: un quasi involontario richiamo a Van Gogh. «Intorno a questo momento magico, momento di un’intelligenza pittorica che continua a essere in anticipo con quella anagrafica», scrive sempre Serafini, fa da corollario un repertorio grafico di taccuini, fogli sparsi disegni preparatori, come il Ritratto di Nanette del 1918, a matita su carta o il Ritratto di fanciulla del 1930. E qui, nel cosiddetto decennio italiano, nella ripetuta pratica del disegno, prima ancora che nelle pitture, si coglie l’atmosfera affettuosa degli affetti della Chaplin. Ritratti, in fondo, di una parte di sé, anch’essi quindi un po’ suoi autoritratti. Disegni che rappresentano l’altra metà dell’opera di Elisabeth, l’altra metà della sua dimensione affettiva e intellettuale, dove l’impulso creativo è più immediato ma non per questo meno elaborato concettualmente. Dove come scrive la Petrioli Tofani «lo studio sistematico dei dipinti precinquecenteschi della Galleria degli Uffizi, le forniva i mezzi per una autonomia intellettuale e stilistica rispetto alle correnti dominanti nell’arte contemporanea contro la quale riscontra ogni tentativo di troppe sbrigative definizioni critiche». E l’eleganza sofisticata dei suoi disegni ben lo dimostra. maria siponta de salvia Elisabeth Chaplin: Autoritratto con scialle rosso Firenze, Collezione privata Elisabeth Chaplin: Due nudi - Firenze, Collezione privata