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MARIA VALTORTA (Il poema dell`Uomo

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MARIA VALTORTA (Il poema dell`Uomo
MARIA VALTORTA
(Il poema dell'Uomo-Dio)
Nuovo titolo:
L' EVANGELO COME MI E' STATO RIVELATO
Edizione 2000
Per speciale concessione del
CENTRO EDITORIALE VALTORTIANO
20 % ON LINE
Volume I
La preparazione
Volume II
Il primo anno di vita pubblica
Volume III
Il secondo anno di vita pubblica: parte prima
Volume IV
Il secondo anno di vita pubblica: parte seconda
Volume V
Il terzo anno di vita pubblica:
parte prima
Volume VI
Il terzo anno di vita pubblica:
parte seconda
Volume VII
Il terzo anno di vita pubblica:
parte terza
Volume VIII
Preparazione alla passione
Volume IX
La passione
Volume X
La glorificazione
Presentazione da :
'La MADONNA negli scritti di Maria Valtorta'
di P. Gabriele Maria ROSCHINI: Centro Editoriale Valtortiano 1996
[Professore della Pontificia Università Lateranense,
Professore nella Pontificia Facoltà teologica ''Marianum'',
Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede
Consultore della Congregazione per le Cause dei Santi]
« E' da mezzo secolo che mi occupo di Mariologia: studiando, insegnando, predicando e scrivendo.
Ho dovuto leggere perciò innumerevoli scritti mariani, d'ogni genere: una vera 'Biblioteca mariana'.
Mi sento però in dovere di confessare candidamente che la Mariologia quale risulta dagli
scritti, editi ed inediti, di Maria Valtorta, è stata per me una vera rivelazione. Nessun altro scritto
mariano, e neppure la somma degli scritti mariani da me letti e studiati, era stato in grado di darmi,
del Capolavoro di Dio, un'idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa e così
affascinante: semplice insieme e sublime.
Tra la Madonna presentata da me e dai miei colleghi e la Madonna presentata da Maria
Valtorta, a me sembra trovare la stessa differenza che corre tra una Madonna di cartapesta e una
Madonna viva, tra una Madonna più o meno approssimativa e una Madonna completa in ogni sua
parte, sotto tutti i suoi aspetti.
.......
E' bene inoltre, che si sappia che io non sono stato un facile ammiratore della Valtorta.
Anch'io infatti, sono stato, un tempo, tra coloro che, senza un'adeguata conoscenza dei suoi scritti,
hanno avuto un sorrisino di diffidenza nei riguardi dei medesimi. Ma dopo averli letti e ponderati,
ho dovuto -come tanti altri- lealmente riconoscere di essere stato troppo corrivo; e ho dovuto
concludere: "Chi vuol conoscere la Madonna (una Madonna in p e r f e t t a sintonia col Magistero
ecclesiastico, particolarmente col Concilio Vaticano II, con la S.Scrittura e la Tradizione
ecclesiastica), legga la Mariologia della Valtorta!".
A chi poi volesse vedere, in questa mia asserzione, uno dei soliti iperbolici 'slogan'
pubblicitari, non ho da dare che una sola risposta: "Legga, e poi giudichi..." . »
.......
N.B.
Nello stesso libro Padre G.M Roschini spiega la differenza tra
'Rivelazioni pubbliche' come l'Antico e il Nuovo Testamento, e
'rivelazioni private'.
Tra queste, nelle 'principali mistiche mariane', elenca, in ordine di tempo :
1) S. Ildegarda di Bingen (benedettina 1098-1179)
2) S. Matilde di Hefta (cistercense 1241-1299)
3) S. Geltrude la Grande (cistercense 1256-1302)
4) Beata Angela da Foligno (T. Francescana 'la maestra dei teologi' 1246-1309)
5) S. Brigida di Svezia ('la Mistica del Nord 1309-1373)
6) S. Caterina da Siena (terziaria domenicana 1347-1380; Dottore della Chiesa)
.....
.....
.....
18) Maria Valtorta (terziaria dell'Ordine dei Servi di Maria 1897-1961)
///
Centro coordinamento Volontari:
' [email protected] '
Club Amici di Maria Valtorta :
libera associazione on line su Maria Valtorta e le sue opere
moderatore tel: 333 2992852
' [email protected] '
http://it.groups.yahoo.com.group/clubamicivaltortiani/
Indice del Volume Primo
NASCITA E VITA NASCOSTA DI MARIA E DI GESU'
* = in linea
l. Pensiero d'introduzione. Dio volle un seno senza macchia.
2. Gioacchino e Anna fanno voto al Signore.
3. Alla festa dei Tabernacoli.
Gioacchino e Anna possedevano la Sapienza.
4. Anna con un cantico annunzia di esser madre.
Nel suo seno è l'anima immacolata di Maria.
5. Nascita di Maria.
La sua verginità nell'eterno pensiero del Padre.
6. Purificazione di Anna e offerta di Maria, che è la
Fanciulla perfetta per il regno dei Cieli.
7. La piccola Maria con Anna e Gioacchino.
Sulle sue labbra è già la Sapienza del Figlio.
8. Maria accolta nel Tempio.
Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la Piena di Sapienza.
9. La morte di Gioacchino e Anna fu dolce,
dopo una vita di sapiente fedeltà a Dio nelle prove.
10. Cantico di Maria. Ella ricordava quanto il suo spirito
aveva visto in Dio.
11. Maria confida il suo voto al Sommo Sacerdote.
12. Giuseppe prescelto come sposo della Vergine.
13. Sposalizio della Vergine con Giuseppe, istruito dalla
Sapienza ad essere custode del Mistero.
14. Gli Sposi arrivano a Nazareth.
15. A conclusione del Prevangelo.
16. L'Annunciazione.
17. La disubbidienza di Eva e l'ubbidienza di Maria.
18. Maria annuncia a Giuseppe la maternità di Elisabetta
e affida a Dio il compito di giustificare la sua.
19. Maria e Giuseppe alla volta di Gerusalemme.
20. Partenza da Gerusalemme. L'aspetto beatifico di Maria.
Importanza della preghiera per Maria e Giuseppe.
21. L'arrivo di Maria a Ebron e il suo incontro con Elisabetta.
22. Le giornate ad Ebron.
I frutti della carità di Maria verso Elisabetta.
23. Nascita di Giovanni Battista.
Ogni sofferenza si placa sul seno di Maria.
24. Circoncisione di Giovanni Battista.
Maria è Sorgente di Grazia per chi accoglie la Luce.
25. Presentazione di Giovanni Battista al Tempio e partenza di Maria.
La Passione di Giuseppe.
26. Giuseppe chiede perdono a Maria.
Fede, carità e umiltà per ricevere Dio.
27. L'editto del censimento.
Insegnamenti sull'amore allo sposo e sulla fiducia in Dio.
28. L'arrivo a Betlemme.
29. La nascita di Gesù.
Efficacia salvifica della divina maternità di Maria.
30. L'annuncio ai pastori, che diventano i primi adoratori del
Verbo fatto Uomo.
31. Visita di Zaccaria. La santità di Giuseppe e l'ubbidienza ai sacerdoti.
32. Presentazione di Gesù al Tempio.
La virtù di Simeone e la profezia di Anna.
33. Ninna-nanna della Vergine.
34. Adorazione dei Magi. E' "vangelo della fede".
35. Fuga in Egitto.
Insegnamenti sull'ultima visione legata all'avvento di Gesù.
36. La sacra Famiglia in Egitto. Una lezione per le famiglie.
37. Prima lezione di lavoro a Gesù, che non uscì dalla regola dell'età.
38. Maria maestra di Gesù, Giuda e Giacomo.
39. Preparativi per la maggiore età di Gesù e partenza da Nazareth.
40. L'esame di Gesù maggiorenne al Tempio.
*
41. La disputa di Gesù nel Tempio coi dottori.
L'angoscia della Madre e la risposta del Figlio.
42. La morte di Giuseppe.
Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore.
43. A conclusione della vita nascosta.
PRIMO ANNO DELLA VITA PUBBLICA DI GESU'
44. L'addio alla Madre e partenza da Nazareth.
Il pianto e la preghiera della Corredentrice.
45. Predicazione di Giovanni Battista e Battesimo di Gesù.
La manifestazione divina.
46. Gesù tentato da Satana nel deserto.
Come si vincono le tentazioni.
47. L'incontro con Giovanni e Giacomo.
Giovanni di Zebedeo è il puro fra i discepoli.
48. Giovanni e Giacomo riferiscono a Pietro il loro incontro con il Messia.
49. L'incontro con Pietro e Andrea dopo un discorso nella sinagoga.
Giovanni di Zebedeo grande anche nell'umiltà.
50. A Betsaida nella casa di Pietro.
L'incontro con Filippo e Natanaele.
51. Maria manda Giuda Taddeo ad invitare Gesù alle nozze di Cana.
52. Le nozze di Cana.
Il Figlio, non più soggetto alla Madre, compie per Lei il primo miracolo.
53. La cacciata dei mercanti dal Tempio.
54. L'incontro con Giuda di Keriot e con Tommaso.
Simone Zelote sanato dalla lebbra.
55. Un incarico affidato a Tommaso.
56. Simone Zelote e Giuda Taddeo uniti nella sorte.
57. A Nazareth con Giuda Taddeo e con altri sei discepoli.
58. Guarigione di un cieco a Cafarnao.
59. L'indemoniato guarito nella sinagoga di Cafarnao.
60. Guarigione della suocera di Simon Pietro.
*
61. Gesù benefica i poveri dopo aver detto la parabola
del cavallo amato dal re.
62. Gesù cercato dai discepoli mentre prega nella notte.
63. Il lebbroso guarito presso Corazim.
64. Il paralitico guarito a Cafarnao.
65. La pesca miracolosa e l'elezione dei primi quattro apostoli.
66. Giuda di Keriot al Getsemani diviene discepolo.
67. Il miracolo delle lame spezzate alla porta dei Pesci.
68. Gesù, nel Tempio con l'Iscariota, ammaestra.
69. Gesù istruisce Giuda Iscariota.
70. Al Getsemani con Giovanni di Zebedeo.
Un paragone tra il Prediletto e Giuda di Keriot.
71. Giuda Iscariota presentato a Giovanni e a Simone Zelote.
72. Verso Betlem con Giovanni, Simone Zelote e Giuda Iscariota.
73. A Betlem, nella casa di un contadino e nella grotta della Natività.
74. All'albergo di Betlem e sulle macerie della casa di Anna.
75. Gesù ritrova i pastori Elia e Levi.
76. A Jutta dal pastore Isacco. Sara e i suoi bambini.
77. A Ebron nella casa di Zaccaria. L'incontro con Aglae.
78. A Keriot. Morte del vecchio Saul
41. La disputa di Gesù nel Tempio coi dottori.
L’angoscia della Madre e la risposta del Figlio.
28 gennaio 1944.
Vedo Gesù. E’ adolescente. Vestito di una tunica che mi sembra di lino candido, lunga sino ai piedi.
Su questa si posa e si drappeggia un drappo rettangolare d’un rosso pallido. E’ a testa nuda, coi
capelli lunghi sino a metà orecchie, più carichi di tinta di quando lo vidi bambino. E’ un fanciullo
robusto e molto alto per la sua età che, come dimostra il viso, è molto fanciulla.
Mi guarda e sorride tendendomi le mani. Un sorriso però che somiglia già a quello che gli vedo da
uomo: dolce e piuttosto serio. E’ solo. Non vedo altro per ora. Sta appoggiato ad un muretto su una
stradellina tutta a sali e scendi, sassosa e con una fossa verso il centro che certo in tempo di pioggia
si muta in rigagnolo. Ma ora è asciutta perché è giornata serena.
Mi pare di accostarmi io pure al muretto e di guardare intorno e in basso come fa Gesù. Vedo un
agglomerato di case. Un agglomerato disordinato. Le case sono quali alte, quali basse, e vanno in
tutti i sensi. Sembra, con un paragone molto povero ma molto somigliante, una manciata di ciottoli
bianchi gettata su un terreno scuro. Le vie e viette sono come vene di quel biancore. Qua e là delle
piante sporgono dai muri. Molte sono in fiore e molte sono già coperte di foglie novelle. Deve
essere primavera.
A sinistra, rispetto a me che guardo, vi è un grande agglomerato, fatto a tre ordini di terrazze
coperte di fabbricati, e torri e cortili e porticati, al centro del quale si alza un più alto, maestoso,
ricchissimo fabbricato a cupole tonde, splendenti al sole come fossero coperte di metallo: rame od
oro. Il tutto è recinto da una muraglia merlata: dei merli fatti cosi (‘M’) come fosse una fortezza.
Una torre più alta delle altre, posta a cavalcioni di una via piuttosto stretta e che è in salita, domina
nettamente quel vasto agglomerato. Sembra una sentinella severa.
Gesù guarda fissamente quel luogo. Poi torna a voltarsi, riappoggiando la schiena al muretto, come
era prima, e guarda un monticiattolo che sta in fronte all’agglomerato. Un monticiattolo assalito
dalle case sino alla base, poi lasciato nudo. Vedo che una via termina là con un arco, oltre il quale
non c’è che una via lastricata a pietre quadrangolari, irregolari e sconnesse. Non sono troppo grandi,
non come le pietredelle strade consolari romane; sembrano piuttosto le classiche pietre dei vecchi
marciapiedi viareggini (non so se ne esistano ancora) ma messe senza connessione. Una stradaccia.
Il volto di Gesù si fa tanto serio che io mi fisso a cercare su quel monticiattolo la causa di questa
malinconia. Ma non trovo nulla di speciale. E’ un’altitudine nuda. E basta. In cambio perdo Gesù,
perché quando mi volgo, non è più lì. E mi assopisco con questa visione.
...Quando mi risveglio col ricordo della stessa nel cuore, dopo esser tornata un poco in forze e in
pace, perché tutti dormono, mi trovo in un posto che non ho mai visto. Vi sono cortili e fontane e
porticati e case, ossia padiglioni, perché hanno più la caratteristica di padiglioni che di case. Vi è
molta folla vestita all’ebraica antica, e molto vociare. Guardandomi intorno comprendo d'essere
dentro a quell’agglomerato che Gesù guardava, perché vedo la muraglia merlata che lo cinge, la
torre che lo vigila e l’imponente fabbricato che si erge nel centro e contro il quale si stringono i
porticati, molto belli e vasti, e sotto i quali vi è molta folla intenta chi a una cosa, chi ad un’altra.
Comprendo di essere nel recinto del Tempio di Gerusalemme. Vedo farisei in lunghe vesti
ondeggianti, sacerdoti vestiti di lino e con una placca preziosa al sommo del petto e della fronte e
altri punti luccicanti sparsi qua e là sulle diverse vesti molto ampie e bianche, strette alla vita da una
cintura preziosa. Poi altri che sono meno ornati, ma devono sempre appartenere alla casta
sacerdotale, e che sono circondati da discepoli più giovani. Comprendo che sono i dottori della
Legge. Fra tutti questi personaggi mi trovo spersa, perché non so proprio che ci sto a fare.
Mi accosto al gruppo dei dottori dove si è iniziata una disputa teologica. Molta folla fa la stessa
cosa.
Fra i ‘dottori’ vi è un gruppo, capitanato da uno chiamato Gamaliele e da un altro, vecchio e quasi
cieco, che sostiene Gamaliele nella disputa. Costui, che sento chiamare Hillel (metto l'h perché
sento un aspirazione in principio al nome) mi pare maestro o parente di Gamaliele, perché questo lo
tratta con confidenza e rispetto insieme. Il gruppo di Gamaliele ha vedute più larghe, mentre un
altro gruppo, ed è il più numeroso, è diretto da uno che chiamano Sciammai, ed è dotato di
quell’intransigenza astiosa e retriva che il Vangelo tanto bene ci illustra.
Gamaliele, circondato da un folto gruppo di discepoli, parla della venuta del Messia e,
appoggiandosi alla profezia di Daniele, sostiene che il Messia deve ormai essere nato, perché da una
decina d’anni circa, le settanta settimane profetate sono compiute da quando era uscito il decreto di
ricostruzione del Tempio. Sciammai lo combatte asserendo che, se è vero che il Tempio è stato
riedificato, è anche vero che la schiavitù di Israele è aumentata, e la pace, che avrebbe dovuto
portare seco Colui che i Profeti chiamavano ‘Principe della pace’, è ben lontana d’essere nel mondo
e specie a Gerusalemme, oppressa da un nemico che osa spingere la sua dominazione fin entro il
recinto del Tempio, dominato dalla Torre Antonia piena di legionari romani, pronti a sedare con la
spada ogni tumulto di indipendenza patria.
La disputa, piena di cavilli, va per le lunghe. Ogni maestro fa sfoggio di erudizione, non tanto per
vincere il rivale, quanto per imporsi all’ammirazione degli ascoltatori. E’ palese questo intento.
Dal folto gruppo dei fedeli esce una fresca voce di fanciullo: “Gamaliele ha ragione.”
Movimento della folla e del gruppo dottorale. Si cerca l’interruttore. Ma non occorre cercarlo. Non
si nasconde. Si fa largo da sé e si accosta al gruppo dei ‘rabbi’. Riconosco il mio Gesù adolescente.
E’ sicuro e franco, con due sfavillanti occhi pieni di intelligenza.
“Chi sei?” gli chiedono.
“Un figlio di Israele venuto a compere ciò che la Legge ordina.”
La risposta ardita e sicura piace e ottiene sorrisi di approvazione e benevolenza. Ci si interessa del
piccolo israelita.
“Come ti chiami?”
“Gesù di Nazaret”.
La benevolenza si smorza nel gruppo di Sciammai. Ma Gamaliele, più benigno, prosegue il dialogo
insieme ad Hillel. Anzi è proprio Gamaliele che con deferenza dice al vecchio: “Chiedi al fanciullo
qualcosa.”
“Su che cosa fondi la tua sicurezza?” chiede Hillel.
(Metto i nomi in testa alle risposte per abbreviare e rendere chiaro.)
Gesù: “Sulla profezia che non può errare nell’epoca e sui segni che l’hanno accompagnata quando
fu il tempo del suo avverarsi. E’ vero che Cesare ci domina. Ma il mondo era tanto in pace e la
Palestina tanto in calma quando si compirono le settanta settimane, che fu possibile a Cesare
ordinare il censimento nei suoi domini. Non lo avrebbe potuto se la guerra fosse stata nell’lmpero e
le sommosse in Palestina. Come era compìto quel tempo, così si sta compiendo l’altro delle
sessantadue più una dal compimento del Tempio, perché il Messia sia unto e si avveri il seguito
della profezia per il popolo che non lo volle. Potete avere dubbi? Non ricordate che la stella fu vista
dai Savi d’Oriente e che andò a posarsi proprio sul cielo di Betlemme di Giuda e che le profezie e le
visioni, da Giacobbe in poi, indicano quel luogo come il destinato ad accogliere la nascita del
Messia, figlio del figlio del figlio di Giacobbe, attraverso Davide che era di Betlemme? Non
ricordate Balaam? ‘Una Stella nascerà da Giacobbe’. I Savi d’Oriente, che la purezza e la fede
rendevano occhi e orecchi aperti, hanno visto la stella e compreso il suo nome: ‘Messia’, e sono
venuti ad adorare la Luce scesa nel mondo.”
Sciammai, con sguardo livido: “Tu dici che il Messia nacque nel tempo della stella a Betlemme
-Efrata?”
Gesù: “Io lo dico.”
Sciammai: “Allora non vi è più. Non sai, fanciullo, che Erode fece uccidere tutti i nati di donna, da
un giorno a due anni di età, di Betlemme e dintorni? Tu, tanto sapiente nella Scrittura, devi sapere
anche questo: ‘Un grido s’è sentito nell’alto.... E’ Rachele che piange i suoi figli’. Le valli e le cime
di Betlemme, che hanno raccolto il pianto di Rachele morente, sono rimaste piene di pianto, e le
madri l’hanno ripetuto sui figli uccisi. Fra esse era certo anche la Madre del Messia.”
Gesù: “Ti sbagli, o vecchio. Il pianto di Rachele s’è volto in osanna, perché là dove essa ha dato alla
luce ‘il figlio del suo dolore’, la nuova Rachele ha dato al mondo il Beniamino del Padre celeste, il
Figlio della sua destra, Colui che è destinato a riunire il popolo di Dio sotto il suo scettro e a
liberarlo dalla più tremenda schiavitù.”
Sciammai: “E come, se Egli fu ucciso?”
Gesù: “Non hai letto di Elia? Egli fu rapito dal cocchio di fuoco. E non potrà il Signore Iddio aver
salvato il suo Emmanuele perché fosse Messia del suo popolo? Egli, che ha aperto il mare davanti a
Mosè perché Israele passasse a piede asciutto verso la sua terra, non avrà potuto mandare i suoi
angeli a salvare il Figlio suo, il suo Cristo, dalla ferocia dell’uomo? In verità vi dico: ‘Il Cristo vive
ed è tra voi, e quando sarà la sua ora si manifesterà nella sua potenza’. Gesù, nel dire queste parole,
che sottolineo, ha nella voce uno squillo che empie lo spazio. I suoi occhi sfavillano più ancora e,
con mossa d’imperio e promessa, Egli tende il braccio e la mano destra e li abbassa come per
giurare. E’ un fanciullo, ma è solenne come un uomo.
Hillel: “Fanciullo, chi ti ha insegnato queste parole?”
Gesù: “Lo Spirito di Dio. Non ho maestro umano. Questa è la Parola del Signore che vi parla
attraverso le mie labbra.”
Hillel: “Vieni fra noi, che io ti veda da presso, o fanciullo, e la mia speranza si ravvivi a contatto
della tua fede e la mia anima si illumini al sole della tua.”
E Gesù viene fatto sedere su un alto sgabello fra Gamaliele e Hillel, e gli vengono porti dei rotoli
perché li legga e spieghi. E’ un esame in piena regola. La folla si accalca e ascolta.
La voce fanciulla di Gesù legge: “Consolati, o mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme,
consolatela perché la sua schiavitù è finita... Voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del
Signore... Allora apparirà la gloria del Signore...”.
Sciammai: “Lo vedi, o nazareno! Qui si parla di schiavitù finita. Mai come ora siamo schiavi. Qui si
parla di un precursore. Dove è egli? Tu farnetichi.”
Gesù: “Io ti dico che a te più che agli altri va fatto l’invito del Precursore. A te e ai tuoi simili.
Altrimenti non vedrai la gloria del Signore né comprenderai la parola di Dio, perché le bassezze, le
superbie, le doppiezze ti faranno ostacolo a vedere ed udire.”
Sciammai: “Così parli ad un maestro?”
Gesù: “Così parlo. E così parlerò sino alla morte. Poiché sopra il mio utile sta l’interesse del
Signore e l’amore alla Verità di cui sono Figlio. E ti aggiungo, o rabbi, che la schiavitù di cui parla
il Profeta, e di cui Io parlo, non è quella che credi, come la regalità non sarà quella che pensi. Ma
sibbene per merito del Messia verrà reso libero l’uomo dalla schiavitù del Male che lo separa da
Dio, e il segno del Cristo sarà sugli spiriti, liberati da ogni giogo e fatti sudditi dell’eterno Regno.
Tutte le nazioni curveranno il capo, o stirpe di Davide, davanti al Germoglio nato da te e divenuto
albero che copre tutta la terra e si alza al Cielo. E in Cielo e in terra ogni bocca loderà il suo Nome e
piegherà il ginocchio davanti all’Unto di Dio, al Principe della Pace, al Condottiero, a Colui che con
Se stesso avrà inebriato ogni anima stanca e saziato ogni anima affamata, al Santo che stipulerà una
alleanza fra terra e Cielo. Non come quella stipulata coi Padri d’Israele quando Dio li trasse
d’Egitto trattandoli ancora da servi, ma imprimendo la paternità celeste nello spirito degli uomini
con la Grazia nuovamente infusa per i meriti del Redentore, per il quale tutti buoni conosceranno il
Signore e il Santuario di Dio non sarà più abbattuto e distrutto.”
Sciammai: “Ma non bestemmiare, fanciullo! Ricorda Daniele. Egli dice che, dopo l’uccisione del
Cristo, il Tempio e la Città saranno distrutti da un popolo e da un condottiero che verrà. E Tu
sostieni che il Santuario di Dio non sarà più abbattuto! Rispetta i Profeti!”
Gesù: “In verità vi dico che vi è Qualcuno che è da più dei Profeti, e tu non lo conosci e non lo
conoscerai, perché te ne manca la voglia. E ti dico che quanto ha detto è vero. Non conoscerà più
morte il Santuario vero. Ma come il suo Santificatore, risorgerà a vita eterna e alla fine dei giorni
del mondo vivrà in Cielo.”
Hillel: “”Ascolta me, fanciullo. Aggeo dice: ‘...Verrà il Desiderato delle genti... Grande sarà allora
la gloria di questa casa, e di quest’ultima più della prima’. Vuol forse parlare del Santuario di cui Tu
parli?”
Gesù: “Sì, maestro. Questo vuol dire. La tua rettezza ti porta verso la Luce ed Io te lo dico: quando
il Sacrificio del Cristo sarà compiuto, a te verrà pace, perché sei un israelita senza malizia.”
Gamaliele: “Dimmi, Gesù. La pace di cui parlano i Profeti come può sperarsi se a questo popolo
verrà distruzione di guerra? Parla e dà luce anche a me.”
Gesù: “Non ricordi, maestro, cosa dissero coloro che furono presenti la notte della nascita del
Cristo? Che le schiere angeliche cantarono: ‘Pace agli uomini di buona volontà’. Ma questo popolo
non ha buona volontà e non avrà pace. Esso misconoscerà il suo Re, il Giusto, il Salvatore, perché
lo spera re di umana potenza, mentre Egli è Re dello spirito. Esso non lo amerà, dato che il Cristo
predicherà ciò che a questo popolo non piace. Il Cristo non debellerà i nemici coi loro cocchi e i
loro cavalli, ma i nemici dell’anima, che piegano a possesso infernale il cuore dell’uomo creato per
il Signore. E questa non è la vittoria che Israele attende da Lui. Egli verrà, Gerusalemme, il tuo Re,
cavalcando ‘l’asina e l’asinello’, ossia i giusti di Israele e i gentili. Ma l’asinello, Io ve lo dico, sarà
a Lui più fedele e lo seguirà precedendo l’asina e crescerà nella via della Verità e della Vita. Israele
per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re,
che sarà da esso ridotto il Re di dolore di cui parla Isaia.”
Sciammai: “La tua bocca sa insieme di latte e di bestemmia, nazareno. Rispondi: e dove è il
Precursore? Quando lo avremmo?”
Gesù: “Egli è. Non dice Malachia: ‘Ecco io mando il mio angelo a preparare davanti a Me la strada;
e subito verrà al suo Tempio il Dominatore da voi cercato e l’Angelo del Testamento, da voi
bramato’? Dunque il Precursore precede immediatamente il Cristo. Egli già è come è il Cristo. Se
anni passassero fra colui che prepara le vie del Signore e il Cristo, tutte le vie tornerebbero
ingombre e contorte. Dio lo sa e predispone che il Precursore anticipi di un’ora sola il Maestro.
Quando vedrete questo Precursore, potrete dire: ‘La missione del Cristo ha inizio’. A te dico: il
Cristo aprirà molti occhi e molti orecchi quando verrà a queste vie. Ma non le tue e quelle dei tuoi
pari, che gli darete morte per la Vita che vi porta. Ma quando più alto di questo Tempio, più alto del
Tabernacolo chiuso nel Santo dei santi, più alto della Gloria sostenuta dai Cherubini, il Redentore
sarà sul suo trono e sul suo altare, maledizione ai deicidi e vita ai gentili fluiranno dalle sue mille e
mille ferite, perché Egli, o maestro che non sai, non è, lo ripeto, Re di un regno umano, ma di un
Regno spirituale, e suoi sudditi saranno unicamente coloro che per suo amore sapranno rigenerarsi
nello spirito e, come Giona, dopo esser già nati, rinascere, su altri lidi: ‘quelli di Dio’, attraverso la
spirituale generazione che avverrà per Cristo, il quale darà all’umanità la Vita vera.”
Sciammai e i suoi accoliti: “Questo nazareno è Satana!”
Hillel e i suoi: “No. Questo fanciullo è Profeta di Dio. Resta con me, Bambino. La mia vecchiezza
trasfonderà quanto sa al tuo sapere e Tu sarai Maestro del popolo di Dio.”
Gesù : “In verità ti dico che, se molti fossero come tu sei, salute verrebbe ad Israele. Ma la mia ora
non è venuta. A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finché non sarà
la mia ora. Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti
lapidati e uccisi da essa. Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto
Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua gloria, in attesa che Egli faccia del
mondo sgabello ai piedi del Cristo. Attendetemi nella mia ora. Queste pietre riudranno la mia voce e
fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno
in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano,
mentre è celeste, e per il quale Io dico: ‘Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà.
Consumala, perché di compierla Io ardo.”
E qui, con la visione di Gesù col volto infiammato di ardore spirituale alzato al cielo, le braccia
aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti, mi finisce la visione.
(e sono le 3,30 del 29).
29 gennaio 1944.
Avrei qui da dirle due cose che la interessano certo e che avevo deciso di scrivere non appena
tornata dal sopore. Ma siccome c’è dell’altro più pressante, scriverò poi.
[...].
Quello che volevo dirle all’inizio è questa cosa.
Lei oggi mi diceva come avevo potuto sapere i nomi di Hillel e Gamaliele e quello di Sciammai.
E’ la voce che io chiamo ‘seconda voce’ quella che mi dice queste cose. Una voce ancor meno
sensibile di quella del mio Gesù e degli altri che dettano. Queste sono voci, glielo ho detto e glielo
ripeto, che il mio udito spirituale percepisce uguali a voci umane. Le sento dolci o irate, forti o
leggere, ridenti o meste. Come uno parlasse proprio vicino a me. Mentre questa ‘seconda voce’ è
come una luce, una intuizione che parla nel mio spirito. ‘Nel’ non ‘al’ mio spirito. E’ una
indicazione.
Così mentre io mi avvicinavo al gruppo dei disputanti e non sapevo chi era quell’illustre
personaggio che a fianco di un vecchio disputava con tanto calore, questo ‘che’ interno mi disse:
‘Gamaliele - Hillel’. Sì. Prima Gamaliel e poi Hillel. Non ho dubbi. Mentre pensavo chi erano
costoro, questo indicatore interno mi indicò il terzo antipatico individuo proprio mentre Gamaliel lo
chiamava a nome. E così ho potuto sapere chi era costui dal farisaico aspetto.
[...].
22 febbraio 1944..
Dice Gesù:
[...].
Torniamo indietro molto, molto. Torniamo al Tempio dove Io dodicenne sto disputando. Anzi
torniamo nelle vie che conducono a Gerusalemme e da Gerusalemme al Tempio.
Vedi l’angoscia di Maria quando, riunitesi le schiere degli uomini e delle donne, Ella vede che Io
non sono con Giuseppe.
Non alza la voce in rimproveri aspri verso lo sposo. Tutte le donne l’avrebbero fatto. Lo fate per
molto meno, dimenticando che l’uomo è sempre il capo di casa. Ma il dolore che traspare dal volto
di Maria trafigge Giuseppe più d’ogni rimprovero. Non si abbandona Maria a scene drammatiche.
Per molto meno lo fate, amando d’esser notate e compatite. Ma il suo dolore contenuto è così
palese, dal tremito che la prende, dal volto che impallidisce, dagli occhi che si dilatano, che
commuove più d’ogni scena di pianto e clamore.
Non sente più fatica, non fame. E il cammino era stato lungo e da tante ore non s’era preso ristoro!
Ma Ella lascia tutto. E il giaciglio che si sta preparando e il cibo che sta per essere distribuito. E
torna indietro. E’ sera, scende la notte. Non importa. Ogni passo la riporta verso Gerusalemme.
Ferma le carovane, i pellegrini. Interroga. Giuseppe la segue, la aiuta. Un giorno di cammino a
ritroso e poi l’affannosa ricerca per la città.
Dove, dove può essere il suo Gesù? E Dio permette che Ella non sappia per tante ore dove cercarmi.
Cercare un bambino nel Tempio era cosa senza giudizio. Che ci doveva fare un bambino nel
Tempio? Al massimo, se s’era sperduto per la città ed era tornato là dentro, portato dai suoi piccoli
passi, la sua voce piangente avrebbe chiamato la mamma ed attirato l’attenzione degli adulti, dei
sacerdoti, i quali avrebbero provveduto a ricercare i genitori con dei bandi messi alle porte. Ma non
c’era nessun bando. Nessuno in città sapeva di questo Bambino. Bello? Biondo? Robusto? Eh! ce
ne sono tanti! Troppo poco per poter dire: ‘L’ho visto. Era là e là’!
Poi, dopo tre giorni, simbolo di altri tre giorni di angoscia futura, ecco che Maria esausta penetra nel
Tempio, scorre i cortili e i vestiboli. Nulla. Corre, corre, la povera Mamma, là dove sente una voce
di bimbo. E fin gli agnelli col loro belare le paiono il pianto della sua Creatura che la cerca. Ma
Gesù non piange. Ammaestra. Ecco che Maria sente, oltre una barriera di persone, la cara voce che
dice: ‘Queste pietre fremeranno...’. Ella cerca di fendere la calca e vi riesce dopo molto stento.
Eccolo, il Figlio, a braccia aperte, ritto fra i dottori.
Maria è la Vergine prudente. Ma questa volta l’affanno soverchia la sua riservatezza. E’ una diga
che abbatte ogni altra cosa. Corre al Figlio, lo abbraccia levandolo dallo sgabello e posandolo al
suolo ed esclama: “Oh! perché ci hai fatto questo? Da tre giorni ti andiamo cercando. La tua
Mamma sta per morire di dolore, Figlio. Il padre tuo è sfinito di fatica. Perché, Gesù?”
Non si chiedono i ‘perché’ a Chi sa. I ‘perché’ del suo modo dia agire. Ai vocati non si chiede
‘perché’ lasciano tutto per seguire la voce di Dio. Io ero Sapienza e sapevo. Io ero ‘vocato’ ad una
missione e la compivo. Sopra il padre e la madre della terra vi è Dio, Padre divino. I suoi interessi
superano i nostri, i suoi affetti sono superiori ad ogni altro. Io lo dico a mia Madre.
Termino l’insegnamento ai dottori con l’insegnamento a Maria, Regina dei dottori. Ed Ella non se
lo è più dimenticato. Il sole le è tornato nel cuore avendomi per mano, umile e ubbidiente, ma le
mie parole le sono pure nel cuore. Molto sole e molte nubi scorreranno nel cielo durante quei
ventuno anni in cui sarò ancora sulla terra. E molta gioia e molto pianto si alternerà nel suo cuore
per altri ventuno anni. Ma Ella non chiederà più: ‘Perché, Figlio mio, ci hai fatto questo?’.
Imparate, o uomini protervi.
Ho istruito e illuminato Io la visione, perché tu non sei in grado di fare di più.
[...]”.
42. La morte di Giuseppe.
Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore.
5 febbraio 1944, ore 13,30.
Prepotentemente, mentre sono dietro a correggere il fascicolo, e precisamente quel dettato sulle
pseudo-religioni di ora, entra in me questa visione. La scrivo mentre la vedo.
Vedo un interno di laboratorio da falegname. Ma sembra che due delle pareti di esso siano formate
da pareti di roccia, come se si fosse approfittato di grotte naturali per formare vani di casa. Qui sono
precisamente i lati nord e ovest quelli che sono di roccia, mentre le altre due pareti, sud e est, sono
di intonaco come le nostre.
Nel lato nord, in un’insenatura della roccia, è stato ricavato un focolare rudimentale, sul quale è un
pentolino con della vernice o colla, non capisco bene. Le legna, bruciate da anni in quel posto,
hanno tinto la parete che pare incatramata tanto è nera. Un buco nella parete, sormontato da una
specie di grosso tegolone ricurvo, vorrebbe fare da camino aspirante il fumo delle legna. Ma deve
aver fatto male il suo compito, perché anche le altre pareti sono molto annerite dal fumo, e una
nebbia fumosa è anche in questo momento sparsa nella stanza.
Gesù lavora ad un tavolone da falegname. Sta piallando delle tavole che poi addossa al muro dietro
a Sé. Poi prende un specie di sgabello, stretto ai due lati in una morsa, lo libera dalla stessa, guarda
se il lavoro è esatto, lo squadra in tutti i sensi, poi va al camino, prende il pentolino e vi fruga dentro
con un bastoncino o pennello, non so; io vedo solo la parte che sporge e che è simile a un
bastoncino.
Gesù è vestito di nocciola scuro e ha la tunica piuttosto corta, le maniche rimboccate oltre il gomito
e una specie di grembiule davanti, nel quale si sfrega le dita dopo aver toccato il pentolino.
E’ solo. Lavora assiduamente ma con pacatezza. Nessuna mossa disordinata, impaziente. E’ preciso
e continuo nel suo lavoro. Non si infastidisce di nulla, né di un nodo nel legno che non si lascia
piallare, né di un cacciavite (mi pare) che gli cade due volte dal banco, né del fumo sparso che gli
deve andare negli occhi.
Ogni tanto alza il capo e guarda verso la parete sud, dove è una porta chiusa, come ascoltando. A un
dato momento si affaccia, aprendo una porta che è nella parete est e che dà sulla via. Vedo uno
squarcio di viuzza polverosa. Sembra che attenda qualcuno. Poi torna al lavoro. Non è triste, ma è
serio. Rinchiude l’uscio e torna al lavoro.
Mentre è occupato a fabbricare qualcosa che mi sembrano pezzi di cerchio di ruota, entra la
Mamma. Entra da una porta della parete meridionale. Entra affrettatamente e corre verso Gesù. E’
vestita di azzurro cupo e senza nulla sul capo. Una semplice tunica tenuta stretta alla vita da un
cordone d’uguale colore. Chiama con affanno il Figlio e gli si appoggia con ambo le mani ad un
braccio con mossa di supplica e di dolore Gesù la carezza passandole il braccio sulla spalla e la
conforta, poi si avvia con Essa lasciando subito il lavoro e levandosi il grembiule.
Penso che lei voglia sapere anche le parole dette. Ben poche da parte di Maria: “Oh! Gesù! Veni,
vieni. Sta male!” Vengono dette con labbra che tremano e con un luccichio di pianto negli occhi
arrossati e stanchi. Gesù non dice che: “Mamma!” ma vi è tutto in quella parola.
Entrano nella stanza accanto, tutta ridente di sole che entra da una porta spalancata su un orticello
pieno di luce e di verde, nel quale svolazzano dei colombi fra uno sventolio di panni stesi ad
asciugare. La stanza è povera ma ordinata. Vi è un giaciglio basso, coperto di materassini (dico
materassini perché sono certe cose alte e morbide ma non è un letto come il nostro). Su esso,
appoggiato a molti cuscini, è Giuseppe. E’ morente. Lo dice chiaramente il volto di un pallore
livido, l’occhio spento, il petto ansante, e l’abbandono di tutto il corpo.
Maria si mette alla sua sinistra, gli prende la mano rugosa, e livida nelle unghie, la strofina, la
carezza, la bacia, gli asciuga con un pannilino il sudore che fa righe lucide alle tempie incavate, la
lacrima che si invetra nell’angolo dell'occhio, gli bagna le labbra con un lino intinto in un liquido
che pare vino bianco.
Gesù si mette a destra. Solleva con sveltezza e cura il corpo che si affossa, lo raddrizza sui cuscini
che accomoda insieme a Maria. Carezza aulla fronte l’agonizzante e cerca di rianimarlo.
Maria piange piano, senza rumore, ma piange. I lacrimoni rotolano lungo le guance pallide sino
sulla veste azzurro cupo e sembrano zaffiri lucenti.
Giuseppe si rianima alquanto e guarda fisso Gesù, gli dà la mano come per dirgli qualcosa e per
avere, al contatto divino, forza nell’ultima prova. Gesù si china su quella mano e la bacia. Giuseppe
sorride. Poi si volge a cercare con lo sguardo Maria e sorride anche a Lei. Maria si inginocchia
presso il letto cercando di sorridere. Ma le riesce male e curva il capo. Giuseppe le mette la mano
sul capo con una casta carezza che pare una benedizione.
Non si sente che lo svolazzio e il tubare dei colombi, il frusciare delle foglie, un chioccolio d’acqua
e, nella stanza, il respiro del morente.
Gesù gira intorno al letto, prende uno sgabello e fa sedere Maria, chiamandola ancora e unicamente:
“Mamma”. Poi torna al suo posto e riprende nelle sue la mano di Giuseppe. E’ così vera la scena,
che piango per la pena di Maria.
Poi Gesù curvandosi sul morente gli mormora un salmo. So che è un salmo ma ora non vi posso
dire quale (è il Salmo 15). Comincia così:
“ ‘Proteggimi, o Signore, perché in Te ho posto la mia speranza...
A pro dei santi che sono sulla terra di lui, ha compiuto mirabilmente tutti i miei desideri...
Benedirò il Signore che mi dà consiglio...
Io tengo sempre dinanzi a me il Signore. Egli mi sta alla destra perché io non vacilli.
Per questo si rallegra il mio cuore ed esulta la mia lingua, anche il mio corpo riposerà nella
speranza.
Perché Tu non abbandonerai l’anima mia nel soggiorno dei morti, né permetterai che il tuo santo
veda la corruzione.
Mi farai conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia colla tua faccia’ ”.
Giuseppe si rianima tutto e con uno sguardo più vivo sorride a Gesù e gli stringe le dita.
Gesù risponde con un sorriso al sorriso e con una carezza alla stretta, e continua dolcemente, curvo
sul suo padre putativo:
“ ‘Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore,
L’anima mia si consuma di desiderio verso gli atrii del Signore.
Anche il passero si trova una casa e la tortorella un nido per i suoi nati. Io desidero i tuoi altari,
Signore.
Beati coloro che abitano la tua casa... Beato l’uomo che trova in Te la sua forza. Egli ha disposte nel
suo cuore le ascensioni dalla valle delle lacrime al luogo eletto.
O Signore, ascolta la mia preghiera...
O Dio, volgi il tuo sguardo e mira la faccia del tuo Cristo...’ ”.
Giuseppe con un singhiozzo guarda Gesù e fa il moto di parlare come per benedirlo. Ma non può. Si
comprende che capisce, ma ha la parola impedita. E’ però felice e guarda con vivacità e fiducia il
suo Gesù.
“ ‘Oh! Signore’ ” continua Gesù “ ‘Tu sei stato propizio alla tua terra, hai liberato dalla schiavitù
Giacobbe...
Mostraci, o Signore, la tua misericordia e donaci il tuo Salvatore.
Voglio sentire quel che dice dentro di me il Signore Iddio. Certo Egli parlerà di pace al suo popolo
per i suoi santi e per chi di cuore torna a Lui.
Sì, la tua salute è vicina... e la gloria abiterà sulla terra... La bontà e la verità si sono incontrate, la
giustizia e la pace si sono baciate. La verità è spuntata dalla terra e la giustizia ha guardato dal
Cielo.
Sì, il Signore si mostrerà benigno e la nostra terra darà il suo frutto. La giustizia camminerà dinanzi
a Lui e lascerà nella via le sue impronte’.
Tu l’hai vista quest’ora, padre, e per essa ti sei affaticato. Tu hai aiutato quest’ora a formarsi, e il
Signore te ne darà premio. Io te lo dico” aggiunge Gesù, asciugando una lacrima di gioia che scende
lenta sulla guancia di Giuseppe.
Poi riprende: “ ‘O Signore, ricordati di Davide e di tutta la sua mansuetudine.
Come egli giurò al Signore: io non entrerò dentro alla mia casa, non salirò sul letto del mio riposo,
non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempie
finché non ho trovato un posto al Signore, una dimora per il Dio di Giacobbe...
Sorgi, o Signore e vieni al tuo riposo, Tu e l’Arca della tua santità (Maria comprende e ha uno
scoppio di pianto).
Sian rivestiti di giustizia i tuoi sacerdoti e faccian festa i tuoi santi.
Per amore di Davide tuo servo non negarci il volto del tuo Cristo.
Il Signore ha giurato a Davide la promessa e la manterrà: ‘Porrò sul tuo trono il frutto del tuo seno’.
Il Signore l’ha scelta a sua dimora...
Io farò fiorire la potenza di Davide preparando una fiaccola accesa pel mio Cristo’.
Grazie, padre mio, per Me e per la Madre. Tu mi sei stato padre giusto e te ha posto l’Eterno a
custodia del suo Cristo e della sua Arca. Tu fosti la fiaccola accesa per Lui, e per il Frutto del seno
santo hai avuto viscere di carità. Va' in pace, padre. La Vedova non sarà senza aiuto. Il Signore ha
predisposto perché sola non sia. Vai sereno al tuo riposo. Io te lo dico.”
Maria piange col volto curvo sulle coperte (sembrano mantelli) stese sul corpo di Giuseppe che si
raffredda. Gesù affretta i suoi conforti, perché l’anelito si fa più affannoso e lo sguardo torna a
velarsi.
“ ‘Felice l’uomo che teme il Signore e pone nei suoi comandamenti ogni diletto...
La giustizia di lui rimane nei secoli dei secoli.
Fra gli uomini retti sorge fra le tenebre come luce il misericordioso, il benigno, il giusto...
Il giusto sarà ricordato in eterno... La sua giustizia è eterna, la sua potenza si alzerà fino alla
gloria...’.
Tu l’avrai questa gloria, padre. Presto verrò a trarti, coi Patriarchi che ti hanno preceduto, alla gloria
che ti attende. Esulti il tuo spirito nella mia parola.
‘Chi riposa nell’aiuto dell’Altissimo vive sotto la protezione del Dio del Cielo’.
Tu vi sei, padre mio.
‘Egli mi liberò dal laccio dei cacciatori e dalle aspre parole.
Ti coprirà colle sue ali e sotto alle sue penne troverai rifugio.
La sua verità ti circonderà come scudo, non temerai i notturni spaventi..
Non si avvicinerà a te il male.. perché ai suoi angeli ha dato l’ordine di custodirti in tutte le tue vie.
Ti porteranno sulle loro palme, affinché il tuo piede non urti nei sassi.
Camminerai sopra l’aspide e il basilisco e calpesterai il dragone e il leone.
Perché hai sperato nel Signore, Egli ti dice, o padre, che ti libererà e ti proteggerà.
Perché hai alzato a Lui la tua voce ti esaudirà, sarà teco nella tribolazione ultima, ti glorificherà
dopo questa vita, facendoti vedere già da questa la sua Salvezza’, e nell’altra facendoti entrare, per
la Salvezza che ora ti conforta e che presto, oh! presto verrà, te lo ripeto, a cingerti di un abbraccio
divino e a portarti Seco, alla testa di tutti i Patriarchi, là dove è preparata la dimora del Giusto di
Dio che mi fu padre benedetto.
Precedimi per dire ai Patriarchi che la Salvezza è nel mondo e il Regno dei Cieli presto sarà a loro
aperto. Va', padre. La mia benedizione ti accompagni.”
La voce di Gesù si è elevata per giungere alla mente di Giuseppe che sprofonda nelle nebbie della
morte. La fine è imminente. Il vecchio ansima a fatica. Maria lo carezza, Gesù si siede sulla sponda
del lettuccio e cinge e attira a Sé il morente, che si accascia e si spenge senza sussulti.
La scena è piena di una pace solenne. Gesù riadagia il Patriarca e abbraccia Maria, che in ultimo si
era avvicinata a Gesù nello strazio che la angosciava.
Dice Gesù:
“A tutte le mogli che un dolore tortura, insegno ad imitare Maria nella sua vedovanza: unirsi a
Gesù.
Quelli che pensano che Maria non abbia sofferto per le pene del cuore, sono in errore. Mia Madre
ha sofferto. Sappiatelo. Santamente, perché in Lei tutto era santo, ma acutamente.
Coloro che pensano che Maria amasse di un amore tiepido lo sposo, poiché le era sposo di spirito e
non di carne, sono parimenti in errore. Maria amava intensamente il suo Giuseppe, al quale aveva
dedicato sei lustri di vita fedele. Giuseppe le era stato padre, sposo, fratello, amico, protettore.
Ora Ella si sentiva sola come il tralcio di vite al quale viene segato l’albero a cui si reggeva. La sua
casa era come colpita dal fulmine. Si divideva. Prima era una unità in cui i membri si sostenevano a
vicenda. Ora veniva a mancare il muro maestro, primo dei colpi inferti a quella Famiglia segnacolo
del prossimo abbandono del suo amato Gesù.
La volontà dell’Eterno, che l’aveva voluta sposa e Madre, ora le imponeva vedovanza e abbandono
della sua Creatura. Maria dice fra le lacrime uno dei suoi sublimi ‘Sì’. ‘Sì, Signore, si faccia di me
secondo la tua parola.’ E per aver forza in quell’ora, si stringe a Me.
Sempre si è stretta a Dio, Maria, nelle ore più gravi della sua vita. Nel Tempio chiamata alle nozze,
a Nazaret chiamata alla Maternità, ancora a Nazaret fra le lacrime della vedovanza, a Nazaret nel
supplizio del distacco dal Figlio, sul Calvario nella tortura del vedermi morire.
Imparate, voi che piangete. E imparate voi che morite. Imparate voi, che vivete per morire. Cercate
di meritare le parole che dissi a Giuseppe. Saranno la vostra pace nella lotta della morte. Imparate,
voi che morite, a meritare d’aver Gesù vicino, a vostro conforto. E, se anche non l’avete meritato,
osate ugualmente di chiamarmi vicino. Io verrò. Le mani piene di grazie e di conforti, il Cuore
pieno di perdono e d’amore, le labbra piene di parole di assoluzione e di incoraggiamento.
La morte perde ogni asprezza se avviene fra le mie braccia. Credetelo. Non posso abolire la morte,
ma la rendo soave a chi muore fidando in Me.
Il Cristo l’ha detto per tutti voi, sulla sua Croce: “Signore, confido a Te lo spirito mio”. L’ha detto
pensando, nella sua, alle vostre agonie, ai vostri terrori, ai vostri errori, ai vostri timori, ai vostri
desideri di pendono. L’ha detto col cuore spaccato di strazio, prima che per la lanciata, e strazio
spirituale più che fisico, perché le agonie di coloro che muoiono pensando a Lui fossero addolcite
dal Signore e lo spirito passasse dalla morte alla Vita, dal dolore al gaudio, in eterno.
Questa, piccolo Giovanni, la lezione di oggi. Sii buona e non temere. La mia pace rifluirà in te
sempre, attraverso la parola e attraverso la contemplazione. Vieni. Fa' conto d’essere Giuseppe, che
ha per guanciale il petto di Gesù, ed ha per infermiera Maria. Riposa fra noi come un bambino nella
cuna.”
43. A conclusione della vita nascosta.
10 giugno 1944.
Dice Maria:
“Prima di consegnare questi quaderni unisco la mia benedizione.
Ora, solo che lo vogliate con un poco di pazienza, potete avere una collana completa della vita
intima del mio Gesù. Dall’Annunciazione al momento che esce da Nazareth per la predicazione,
avete non solo i dettati ma anche l’illustrazione dei fatti che accompagnarono la vita famigliare di
Gesù.
L’infanzia, la fanciullezza, l’adolescenza e la gioventù del Figlio mio hanno solo brevi tratti nel
quadro vasto della sua vita descritto dai Vangeli. In essi Egli è il Maestro. Qui é l’Uomo. E’ il Dio
che si umilia per amore dell’uomo. E che pure opera miracoli anche nell’annichilimento di una vita
comune. Li opera in me, che sento portata alla perfezione la mia anima a contatto col Figlio che mi
cresce in seno. Li opera nella casa di Zaccaria santificando il Battista, aiutando il travaglio di
Elisabetta, rendendo parola e fede a Zaccaria. Li opera in Giuseppe, aprendogli lo spirito alla luce di
una verità talmente eccelsa che egli non la poteva da solo comprendere. nonostante fosse un giusto.
E, dopo di me, il più letificato da questa pioggia di divini benefici è Giuseppe.
Osserva quanto cammino fa, spirituale cammino, da quando viene nella mia casa sino al momento
della fuga in Egitto. All’inizio non era che un uomo giusto del suo tempo. Poi, per fasi successive,
diviene il giusto del tempo cristiano. Acquista la fede nel Cristo e si abbandona a questa fede sicura,
tanto che dalla frase detta all’inizio del viaggio da Nazareth a Betlem: “Come faremo?”, frase in cui
vi è tutto l’uomo che si disvela coi suoi timori umani e le sue umane preoccupazioni, passa alla
speranza. Nella grotta, avanti la nascita, dice: “Domani andrà meglio”. Gesù che si avvicina lo
fortifica già con questa speranza, che fra i doni di Dio è uno dei più belli. E da questa speranza,
quando il contatto con Gesù lo santifica, passa all’ardimento. Si è sempre lasciato dirigere da me,
per il rispetto venerabondo che per me nutriva. Ora dirige lui, e le cose materiali e quelle superiori,
e decide, da capo della Famiglia, quando vi è da decidere. Non solo, ma nell’ora penosa della fuga,
dopo che mesi di unione col Figlio divino lo hanno saturato di santità, è lui che conforta il mio
penare e mi dice: “Anche non dovessimo avere più niente, avremo sempre tutto perché avremo
Lui.”
Li opera, il mio Gesù, i suoi miracoli di grazia nei pastori. L’Angelo va là dove è il pastore che il
fugace incontro con me predispone alla Grazia, e lo porta alla Grazia perché Essa lo salvi in eterno.
Li opera là dove passa, esiliato o tornato alla sua piccola patria di Nazareth. Perché, dove Egli era,
la santità si espandeva come olio su un lino e fragranza di fiori nell’aria, e chi n’era tocco, se non
era un demonio, ne usciva ansioso di santità. Dove è quest’ansia è radice di vita eterna, perché chi
vuole esser buono raggiunge la bontà, e la bontà porta al Regno di Dio.
Voi ora avete, vista per punti che vi riflettono momenti diversi, la santa Umanità del Figlio mio.
Dalla sua alba al suo tramonto. E, se il Padre M. lo crede, può farne una ordinata riunione dei punti
in modo da formarne un complesso senza lacune. Questo se trova sia utile farlo.
Avremmo potuto dare tutto insieme. Ma la Provvidenza giudicò esser bene fare così. Per te, anima
mia. In ogni dettato ti abbiamo dato la medicina per le ferite che ti dovevano esser inflitte. Te
l’abbiamo data in anticipo per prepararti. Sembra, durante la gragnola, che nulla faccia riparo. Ma
non è così. La tempesta fa affiorare l’umanità che dorme sepolta sotto le acque spirituali, ma porta a
galla anche le gemme di una dottrina soprannaturale che sono cadute nel vostro cuore e che
attendono proprio quell’ora di tempesta per riaffiorare e dirvi: “Ci siamo anche noi. Ricordateci.”
Vi è inoltre, anima mia, una ragione di bontà oltre che di Provvidenza. Come avresti potuto,
nell’attuale accasciamento, vedere e udire certe visioni e certi dettati? Ti avrebbero ferito sino a
renderti incapace della tua missione di ‘portavoce’. Li abbiamo perciò dati prima, evitando di
frantumarti il cuore, perché in Noi è bontà, con visioni e parole troppo consone al tuo soffrire e
perciò acutizzanti questo sino allo spasimo. Non siamo crudeli, Maria. E agiamo sempre in modo
che voi da Noi abbiate conforto, non sgomento e accresciuto dolore. Ci basta che di Noi vi fidiate.
Ci basta che diciate con Giuseppe: “Se mi resta Gesù, tutto mi resta” perché Noi si venga coi doni
celesti a consolare il vostro spirito.
Non ti prometto doni e consolazioni umane. Ti prometto le stesse consolazioni che ebbe Giuseppe:
soprannaturali. Perché, lo sappiano tutti, i doni dei Magi, nell’usura che stringe alla gola un povero
fuggiasco, dileguarono rapidi come il baleno per l’acquisto di un tetto e di quel minimo di
masserizie necessarie alla vita, di quel cibo che era pur necessario e che solo da quel cespite venne,
sinché non trovammo lavoro.
La comunità ebraica si è sempre molto aiutata. Ma la comunità raccolta in Egitto era quasi tutta
composta di profughi perseguitati, poveri perciò come noi, che venivamo ad aggiungerci a loro. E
un poco di quella ricchezza, che volevamo tenere per Gesù, per il nostro Gesù adulto, salvatasi dalle
spese della sistemazione in Egitto, fu provvida per il ritorno e appena sufficiente a riorganizzare
casa e laboratorio a Nazareth al nostro ritorno. Perché gli evi cambiano, ma l’avidità umana è
sempre uguale, e dell’altrui bisogno se ne serve per succhiare la sua parte in maniera esosa.
No. L’aver con noi Gesù non ci procurò beni materiali. Molti di voi pretendono questo quando
appena appena sono un poco uniti a Gesù. Dimenticano che Egli ha detto: “Cercate le cose dello
spirito”. Tutto il resto è un sovrappiù. Dio provvede anche il cibo. Agli uomini come agli uccelli.
Perché sa che di cibo avete bisogno sinché la carne è armatura intorno alla vostra anima. Ma
chiedete prima la sua Grazia. Chiedete prima per lo spirito vostro. Il resto vi sarà dato per giunta.
Giuseppe dall’unione con Gesù ebbe, umanamente parlando, affanni, fatiche, persecuzioni, fame.
Altro non ebbe. Ma, poiché tendeva a Gesù solo, tutto questo si cambiò in spirituale pace, in
sovrannaturale letizia. Io vorrei portarvi al punto in cui era lo sposo mio quando diceva “Anche non
dovessimo avere più niente avremo sempre tutto, perché abbiamo Gesù”.
Lo so, il cuore si spezza. Lo so, la mente si offusca. Lo so, la vita si consuma. Ma, Maria!.... Sei di
Gesù? Vuoi esserlo? Dove, come è morto Gesù? Bambina a me cara, piangi, ma persevera nella
fortezza. Il martirio non è nella forma del tormento. E’ nella costanza con cui il martire lo sopporta.
Perciò è martirio un’arma come una pena morale, quando è sopportata per uno scopo uguale. Tu
sopporti per amore del mio Figlio. Quanto fai per fratelli è sempre amore per Gesù che li vuole
salvi. Perciò il tuo è martirio. Persevera in esso. Non volere fare da te. Basta -perché la stretta è
troppo forte perché tu possa avere ancora tanta forza da guidarti da te e dominare anche la tua
umanità impedendole di piangere- basta che tu lasci che il dolore ti torturi senza ribellarti. Basta che
tu dica a Gesù: “Aiutami!”. Quello che non puoi fare tu, Egli lo farà in te. Sta' in Lui. Sempre in
Lui. Non volerne uscire. Se tu non vuoi, non ne esci, e anche se il dolore, tanto è forte, ti impedisce
di vedere dove sei, tu sarai sempre in Gesù.
Io ti benedico. Di' con me: “Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto”. Sia sempre il tuo grido. Sinché
lo dirai in Cielo. La grazia del Signore sia sempre in te”.
IL PRIMO ANNO DI VITA PUBBLICA
44. L’addio alla Madre e partenza da Nazareth.
Il pianto e la preghiera della Corredentrice.
9 febbraio 1944, ore 9.30.
(iniziata durante la S. Comunione)
Vedo l'interno della casa di Nazareth. Vedo una stanza, pare un tinello dove la Famiglia prenda i
pasti e sosti nelle ore di riposo. E’ una stanzetta molto piccina e con una semplice tavola
rettangolare contro una specie di cassapanca, addossata ad una parete. Questo è il sedile di un lato.
Contro le altre pareti vi è un telaio e uno sgabello, e due altri sgabelli e una scansia con sopra dei
lumi ad olio e altri oggetti. Una porta è aperta sull’orticello. Deve essere verso sera, perché non vi è
altro che un ricordo di sole sulla cima di un alto albero, che appena verzica con le prime foglie.
Alla tavola è seduto Gesù. Mangia e Maria lo serve andando e venendo da una porticina, che
suppongo conduca al posto dove è il focolare, del quale si vede il bagliore dalla porta socchiusa.
Gesù dice due o tre volte a Maria di sedere... e di mangiare Essa pure. Ma Lei non vuole, scuote il
capo sorridendo mestamente e porta, dopo le verdure lessate, che mi pare abbiano il ruolo di
minestra, dei pesci arrostiti e poi un formaggio piuttosto molle, come un pecorino fresco, di forma
appallottolata come una di quelle pietre che si vedono nei torrenti, e delle ulive piccole e scure. Il
pane, in piccole forme tonde (larghe quanto un piatto comune) e poco alto, è già sulla tavola. E’
piuttosto scuro, come non fosse privato del cruschello. Gesù ha davanti un’anfora con dell’acqua e
una coppa. Mangia in silenzio, guardando la Mamma con doloroso amore.
Maria, lo si vede visibilmente, è in pena. Va, viene, per darsi un contegno. Accende, e vi è ancora
luce sufficiente, una lucerna e la mette presso a Gesù, e nell’allungare il braccio carezza la testa del
Figlio furtivamente, riapre una bisaccia, che mi pare di quelle stoffe tessute a mano di lana vergine
e perciò impermeabile, color nocciola, vi fruga dentro, esce nell’orticello e va in fondo ad esso, in
una specie di ripostiglio, ne esce con delle mele piuttosto vizze, certo conservate dall’estate, e le
mette nella bisaccia, poi prende un pane e una formaggella e unisce anche questa, per quanto Gesù
non voglia, dicendo che basta ciò che ha.
Poi Maria si accosta alla tavola di nuovo, dal lato più stretto, alla sinistra di Gesù, e lo guarda
mangiare. Se lo guarda con struggimento, con adorazione, con il volto ancor più pallido del solito e
che la pena rende come invecchiato, con gli occhi più grandi per un’ombra che li segna, indizio di
lacrime già versate. Sembrano anche più chiari del solito, come lavati dal pianto che è già
nell’occhio, pronto a cadere. Due occhi dolorosi e stanchi.
Gesù, che mangia adagio e palesemente contro voglia, tanto per fare contenta la Madre, e che è
pensieroso più del solito, alza il capo e la guarda. Incontra uno sguardo pieno di lacrime e curva il
capo per lasciarla libera, limitandosi a prenderle la manina sottile che Ella tiene appoggiata all’orlo
del tavolo. Gliela prende con la sinistra e se la porta alla guancia, vi appoggia sopra la guancia e ve
la strofina un momento per sentire la carezza di quella povera manina che trema, e poi la bacia sul
dorso con tanto amore e rispetto.
Vedo Maria che si porta la mano libera, la sinistra, alla bocca, come per soffocare un singhiozzo, e
poi si asciuga con le dita un lacrimone che è traboccato dal ciglio e riga la guancia.
Gesù riprende a mangiare e Maria esce svelta svelta nell’orticello, dove è ormai poca luce, e
scompare. Gesù appoggia il gomito sinistro sul tavolo, e sulla mano appoggia la fronte e si immerge
nei suoi pensieri, smettendo di mangiare.
Poi ascolta e si alza. Esce anche Lui nell’orto e, dopo essersi guardato intorno, si dirige verso
destra, rispetto al lato della casa, ed entra, per una spaccatura, in una parete rocciosa, dentro a quello
che riconosco per il laboratorio del falegname, questa volta tutto ordinato, senza assi, senza trucioli,
senza fuoco acceso. Vi è il bancone e gli utensili, tutti al loro posto, e basta.
Curva sul bancone, Maria piange. Sembra una bambina. Ha il capo sul braccio sinistro ripiegato e
piange senza rumore, ma con molto dolore. Gesù entra piano e le si accosta così leggermente che
Ella capisce che è lì solo quando il Figlio le posa la mano sulla testa china, chiamandola:
“Mamma!” con voce di amoroso rimprovero.
Maria alza la testa e guarda Gesù fra un velo di pianto e si appoggia a Lui, con le due mani
congiunte, contro al suo braccio destro. Gesù le asciuga il volto con un lembo della sua larga
manica e poi l’abbraccia, traendosela sul cuore e baciandola sulla fronte. Gesù è maestoso, sembra
più virile del solito, e Maria sembra più bambina, fuorché nel volto che il dolore segna.
“Vieni, Mamma” le dice Gesù e, tenendola stretta a Sé col braccio destro, si incammina tornando
nell’orto, dove si siede su un banco contro il muro della casa. L’orto è silenzioso e ormai oscuro. Vi
è solo un bel chiaro di luna e la luce che esce dal tinello. La notte è serena.
Gesù parla a Maria. Non intendo in principio le parole appena mormorate, alle quali Maria assente
col capo. Poi odo: “E fatti venire le parenti. Non rimanere sola. Sarò più tranquillo, Madre, e tu sai
se ho bisogno d’esser tranquillo per compiere la mia missione. Il mio amore non ti mancherà. Io
verrò sovente e ti farò avvertire quando sarò in Galilea e non potrò venire a casa. Tu verrai da Me,
allora. Mamma, quest’ora doveva venire. Si è iniziata qui, quando l’Angelo ti apparve; ora scocca e
noi dobbiamo viverla, non è vero, Mamma? Dopo verrà la pace della prova superata e la gioia.
Prima bisogna valicare questo deserto come gli antichi Padri per entrare nella Terra Promessa. Ma il
Signore Iddio ci aiuterà come aiutò loro. E ci darà il suo aiuto come manna spirituale per nutrire il
nostro spirito nello sforzo della prova. Diciamo insieme al Padre nostro...” E Gesù si alza e Maria
con Lui e alzano il volto al cielo. Due ostie vive che lucono nell’oscurità.
Gesù dice lentamente, ma con voce chiara e scandendo le parole, la preghiera dominicale. Appoggia
molto sulle frasi: “adveniat Regnum tuum, fiat voluntas tua” distanziando molto queste due frasi
dalle altre. Prega con le braccia aperte, non proprio a croce, ma come stanno i sacerdoti quando si
volgono a dire “Dominus vobiscum”. Maria tiene le mani congiunte.
Poi tornano a casa e Gesù, che non ho mai visto bere vino, versa in una coppa, da un’anfora presa
sulla scansia, un poco di vino bianco e la porta sulla tavola, prende per mano Maria e la obbliga a
sedersi vicino a Lui e a bere di quel vino, in cui intinge una fettina di pane che le fa mangiare.
L’insistenza è tale che Maria cede, Gesù beve il rimanente vino. E poi si stringe la Mamma al
fianco e se la tiene così, contro la persona, dalla parte del cuore. Né Gesù né Maria stanno sdraiati,
ma seduti come noi. Non parlano più. Attendono. Maria carezza la mano destra di Gesù e le sue
ginocchia. Gesù carezza Maria sul braccio e sul capo.
Poi Gesù si alza e Maria con Lui e si abbracciano e si baciano amorosamente più e più volte.
Sembra che sempre si vogliano lasciare, ma Maria torna a stringere a sé la sua Creatura. E’ la
Madonna, ma è una mamma infine, una mamma che si deve staccare dal suo figlio e che sa dove
conduce quel distacco. Non mi si venga più a dire che Maria non ha sofferto. Prima lo credevo
poco, ora più affatto.
Gesù prende il mantello (blu scuro) e se lo drappeggia sulle spalle e sul capo a cappuccio. Poi si
passa a tracolla la bisaccia, di modo che non gli ostacoli il cammino. Maria lo aiuta e mai finisce di
accomodargli la veste e il manto e il cappuccio, e intanto lo carezza ancora.
Gesù va verso l’uscio dopo aver tracciato un gesto di benedizione nella stanza. Maria lo segue e
sull’uscio ormai aperto si baciano ancora.
La via è silenziosa e solitaria, bianca di luna. Gesù si incammina. Si volta ancora per due volte a
guardare la Mamma, che è rimasta appoggiata allo stipite, più bianca della luna e tutta lucente di
pianto silenzioso. Gesù si allontana sempre più per la viuzza bianca. Maria piange sempre contro la
porta. Poi Gesù scompare ad una svolta della via
E’ cominciato il suo cammino di Evangelizzatore, che terminerà al Golgota. Maria entra piangendo
e chiude la porta. Anche per Lei è cominciato il cammino che la porterà al Golgota. E per noi...
Dice Gesù:
“Questo è il quarto dolore di Maria Madre di Dio. Il primo, la presentazione al Tempio; il secondo,
la fuga in Egitto; il terzo, la morte di Giuseppe; il quarto, il mio distacco da Lei.
Conoscendo il desiderio del Padre, ti ho detto ieri sera che affretterò la descrizione dei ‘nostri’
dolori perché siano resi noti. Ma, come vedi, già ne erano stati illustrati di quelli di mia Madre. Ho
spiegato prima la fuga che la Presentazione, perché vi era bisogno di farlo in quel giorno. Io so. E tu
comprendi e dirai il perché al Padre. A voce.
E’ mio disegno alternare le tue contemplazioni, e le mie conseguenti spiegazioni, coi dettati veri e
propri, per sollevare te e il tuo spirito dandoti la beatitudine del vedere, e anche perché così è palese
la differenza stilistica fra il tuo comporre ed il mio.
Inoltre, davanti a tanti libri che parlano di Me e che, tocca e ritocca, muta e infronzola, sono
divenuti irreali, Io ho desiderio di dare a chi in Me crede una visione riportata alla verità del mio
tempo mortale. Non ne esco diminuito, ma anzi reso più grande nella mia umiltà, che si fa pane a
voi per insegnarvi ad essere umili e simili a Me, che fui uomo come voi e che portai nella mia veste
d’uomo la perfezione di un Dio. Dovevo essere Modello vostro, e i modelli devono essere sempre
perfetti.
Non terrò nelle contemplazioni una linea cronologica corrispondente a quella dei Vangeli. Prenderò
i punti che troverò più utili in quel giorno per te o per altri, seguendo una mia linea di
insegnamento e di bontà.
L’insegnamento che viene dalla contemplazione del mio distacco, va specialmente ai genitori e ai
figli, che la volontà di Dio chiama alla rinuncia reciproca per un più alto amore. In secondo luogo
va a tutti coloro che si trovano di fronte ad una rinuncia penosa.
Quante ne trovate nella vita! Esse sono spine sulla terra e trafiggenti il cuore, lo so. Ma a chi le
accoglie con rassegnazione -badate, non dico: ‘a chi le desidera e le accoglie con gioia’, ciò è già
perfezione; dico: ‘con rassegnazione’- si mutano in eterne rose. Ma pochi le accolgono con
rassegnazione. Come asinelli restii, recalcitrate al volere del Padre e vi impuntate, se pur non
cercate colpire con spirituali calci e morsi, ossia con ribellione e bestemmie al buon Dio.
E non dite: ‘Ma io non avevo che questo bene e Dio me lo ha tolto. Ma io non avevo che questo
affetto e Dio me l’ha strappato’. Anche Maria, donna gentile, amorosa alla perfezione, perché Tutta
Grazia anche le forme affettive e sensitive erano perfette, non aveva che un bene e un amore sulla
terra: il Figlio suo. Non le rimaneva che Quello. I genitori morti da tempo, Giuseppe morto da
qualche anno. Non c’ero che Io per amarla e farle sentire che non era sola. I parenti, per cagione di
Me, di cui non sapevano l’origine divina, le erano un poco ostili, come verso una mamma che non
sa imporsi al figlio che esce dal comune buon senso, che rifiuta le nozze proposte, le quali
potrebbero dare lustro alla famiglia, e aiuto anche.
I parenti, voce del senso comune, del senso umano -voi lo chiamate buon senso, ma non è che senso
umano, ossia egoismo- avrebbero voluto queste pratiche svolte nella mia vita. In fondo c’era sempre
la paura di dover un giorno passare delle noie per causa mia, che già osavo mettere fuori delle idee
troppo idealiste, secondo loro, le quali potevano urtare la sinagoga. La storia ebraica era piena
d’insegnamenti sulla sorte dei profeti. Non era una facile missione quella del profeta, e dava
sovente morte allo stesso e noie al parentado. In fondo c’era sempre il pensiero di dovere, un
giorno, occuparsi di mia Madre.
Perciò il vedere che Ella non mi ostacolava in nulla e pareva in continua adorazione davanti al
Figlio, li urtava. Questo urto sarebbe poi cresciuto nei tre anni di ministero, sino a culminare nei
rimproveri aperti quando mi raggiungevano in mezzo alle folle e si vergognavano della mia,
secondo loro, mania di urtare le caste potenti. Rimprovero a Me e Lei, povera Mamma!
Eppure Maria, che sapeva l’umore dei parenti -non tutti furono come Giacomo, Giuda e Simone, né
come la loro madre Maria di Cleofa- e che prevedeva l’umore futuro, Maria, che sapeva la sua sorte
durante quei tre anni e quella che l’attendeva alla fine degli stessi e la sorte mia, non recalcitrò
come voi fate. Pianse. E chi non avrebbe pianto davanti ad una separazione da un figlio che l’amava
come Io l’amavo, davanti alla prospettiva dei lunghi giorni, vuoti della mia presenza, nella casa
solitaria, davanti al futuro del Figlio destinato a dare di cozzo contro il malanimo di chi era
colpevole e che si vendicava d’esser colpevole offendendo l’Incolpevole sino ad ucciderlo?
Pianse perché era la Corredentrice e la Madre del genere umano rinato a Dio, e doveva piangere,
per tutte le mamme che non sanno fare, del loro dolore di madri, una corona di gloria eterna.
Quante madri nel mondo, a cui la morte svelle dalle braccia una creatura! Quante madri a cui un
soprannaturale volere strappa dal fianco un figlio! Per tutte le sue figlie, come Madre dei cristiani,
per tutte le sue sorelle, nel dolore di madre orbata, ha pianto Maria. E per tutti i figli che, nati da
donna, sono destinati a divenire apostoli di Dio o martiri per amore di Dio, per fedeltà a Dio, o per
ferocia umana.
Il mio Sangue e il pianto di mia Madre sono la mistura che fortifica questi segnati a eroica sorte,
quella che annulla in loro le imperfezioni, o anche le colpe commesse dalla loro debolezza, dando,
oltre al martirio, comunque subìto, la pace di Dio e, se sofferto per Dio, la gloria del Cielo.
Le trovano i missionari come fiamma che scalda nelle regioni dove la neve impera, le trovano come
rugiada là dove il sole arde. Sono (lacrime) spremute dalla carità di Maria e sono sgorgate da un
cuore di giglio. Hanno perciò, della carità verginale le sposate all’Amore, il fuoco, e della verginale
purezza la profumata frescura, simile a quella dell’acqua raccolta nel calice di un giglio dopo una
notte rugiadosa.
Le trovano i consacrati in quel deserto che è la vita monastica bene intesa: deserto perché non vive
che l’unione con Dio, e ogni altro affetto cade divenendo unicamente carità soprannaturale: per i
parenti, gli amici, i superiori, gli inferiori.
Le trovano i consacrati a Dio nel mondo, nel mondo che non li capisce e non li ama, deserto anche
per questi, in cui essi vivono come fossero soli, tanto sono incompresi e derisi per amor mio.
Le trovano le mie care ‘vittime’, perché Maria è la prima delle vittime per amore di Gesù, ed alle
sue seguaci Ella dà, con mano di Madre e di Medico, le sue lacrime che ristorano e inebbriano a più
alto sacrificio.
Santo pianto della Madre mia!
Maria prega. Non si rifiuta di pregare perché Dio le dà un dolore. Ricordatelo. Prega insieme a
Gesù. Prega il Padre. Nostro e vostro.
Il primo ‘Pater noster’ è stato pronunciato nell’orto di Nazareth per consolare la pena di Maria, per
offrire le ‘nostre’ volontà all’Eterno nel momento che si iniziava per queste volontà il periodo di
sempre crescente rinunzia, culminante a quella della vita per Me e della morte di un figlio per
Maria.
E per quanto noi non avessimo nulla da farci perdonare dal Padre, pure per umiltà noi, i Senza
Colpa, abbiamo chiesto il perdono del Padre per andare perdonati, assolti anche di un sospiro,
incontro alla nostra missione degnamente. Per insegnarvi che più si è in grazia di Dio e più la
missione è benedetta e fruttuosa. Per insegnarvi il rispetto a Dio e l’umiltà. Davanti a Dio Padre
anche le nostre due perfezioni di Uomo e di Donna si sono sentite nulla e hanno chiesto perdono.
Come hanno chiesto il ‘pane quotidiano’.
Quale era il nostro pane? Oh! non quello impastato dalle pure mani di Maria e cotto nel piccolo
forno, per il quale tante volte avevo formato fastelli e fascine. Anche quello necessario finché si è
sulla terra. Ma il ‘nostro’ pane quotidiano era quello di fare giorno per giorno la nostra parte di
missione. Che Dio ce la desse ogni giorno, perché fare la missione che Dio dà è la gioia del ‘nostro’
giorno, non è vero, piccolo Giovanni? Non lo dici anche tu che ti par vuoto il giorno, ti pare non
stato, se la bontà del Signore ti lascia un giorno senza la tua missione di dolore?
Maria prega insieme a Gesù. E’ Gesù che vi giustifica, figli. Sono Io che rendo accettevoli e
fruttuose le vostre preghiere presso il Padre. Io l’ho detto: ‘Tutto quello che chiederete al Padre in
mio nome, Egli ve lo concederà’, e la Chiesa avvalora le sue orazioni dicendo: ‘Per Gesù Cristo
Signor nostro’.
Quando pregate, unitevi sempre, sempre, sempre a Me. Io pregherò a voce alta per voi, coprendo la
vostra voce di uomini con la mia di Uomo-Dio. Io metterò sulle mie mani trafitte la vostra preghiera
e l’eleverò al Padre. Diverrà ostia di pregio infinito. La mia voce fusa con la vostra salirà come
bacio filiale al Padre, e la porpora delle mie ferite farà prezioso il vostro pregare. Siate in Me se
volete avere il Padre in voi, con voi, per voi.
Hai finito la narrazione dicendo: ‘E per noi...’, e volevi dire: ‘per noi che siamo così ingrati verso
questi Due che hanno montato il Calvario per noi’. Hai fatto bene a mettere quelle parole. Mettile
ogni volta che ti farò vedere un nostro dolore. Sia come la campana che suona e che chiama a
meditare e a pentirsi.
Basta, ora. Riposa. La pace sia con te.”
45. Predicazione di Giovanni Battista e Battesimo di Gesù.
La manifestazione divina.
[...].
Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera.
Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e
rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno
arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra,
avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a
sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e
che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto
appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il
fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso
S.Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un
azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e
rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende
avanti.
Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi
avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto
dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti,
ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato,
che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci
sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui
non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e
detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.
Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è
quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di
voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.
Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me)
del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei
ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo,
riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha
chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente
oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e
severo nel suo parlare e nel suo gestire.
Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli
ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano
leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.
Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma
amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e
ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra
disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un
punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro
lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.
Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza
rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno
dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta
del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e
nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.
Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua
subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va
sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dl gruppo, appoggiandosi al fusto
di un albero.
Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col
suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, son l’antitesi l’uno dell’altro. Alti
tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi
capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma
maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in
lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di
permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle
abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di
pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena
sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di
tessuti, la pelle conciata dall’aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama: “Ecco l’Agnello di Dio. Come è
che a me viene il mio Signore?”
Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza.”
“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?”
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde:
“Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un
più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo.”
Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si
leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua
dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di
tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca
essiccata e svuotata.
Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza
dello sguardo.
Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle
turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale
indicazione infallibile del Redentore.
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro
il verde della sponda.
Dice Gesù:
“Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di
sua madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli
uomini senza la colpa di Adamo.
Se l’uomo fosse rimasto in grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio
attraverso le apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con
l’uomo innocente e che l’uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così
era la sorte dell’uomo: vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la
colpa e l’uomo non ha più osato guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E
sempre meno lo sa.
Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla Colpa quando la Piena di Grazia
s’era curvata amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo
seno era balzato di giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che
cade da una piaga che guarisce. Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la madre del Salvatore,
iniziò la sua opera di salvazione, attraverso Maria, Vivo Ciborio della Salvezza Incarnata, su questo
nascituro destinato ad essere a Ma unito non tanto pel sangue, quanto per la missione che fece di noi
come le labbra che formano la parola. Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore
nell’Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che perfeziona della mia divina perfezione
l’Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della Legge di Dio.
Giovanni non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su
cosa avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi di
tardi e le orecchie dei pesanti avessero percepita?
Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello
l’attimo e il modo dell’incontro. E traendo Giovanni dal suo speco nel deserto a me dalla mia casa,
ci unì in quell’ora per aprire su Me il Cieli e farne scendere Se Stesso, Colomba Divin, su colui che
avrebbe battezzato gli uomini con tal Colomba, e farne scendere l’annuncio, ancor più potente di
quello angelico perché dal Padre mio: “Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto”.
Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel seguirmi e nel non seguirmi.
Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la
seconda nel tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò
conoscere, poiché i miei miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della
Risurrezione e Ascensione al Cielo.
La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse
avvennero in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori,
ai sacerdoti, ai dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili. Anche ora esse si ripetono.
Ma, come allora. il mondo non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate.
Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per salvarvi. per portarvi alla fede in Me.
Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte
di portare gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola.
Li stanca e li stacca. E’ una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego
per renderla più chiara e attraente.
A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E se ancora non
servirà, e come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e
ad essi il mio sdegno. Potrò ancora una volta fare l’antico rimprovero: “Abbiamo suonato e non
avete danzato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”.
Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e
volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son quello, e tu sei la verga che le
conduci a Me.”
Come vede, mi sono affrettata a mettere quei particolari che per la loro piccolezza mi erano sfuggiti
e che lei ha desiderato avere.
[...].
46. Gesù tentato da Satana nel deserto. Come si vincono le tentazioni.
24 febbraio 1944. Giovedì dopo le Ceneri.
Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al
Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e
azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria
d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che
ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e
caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche
piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di
superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido;
intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.
Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta
e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno
ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo
guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e
all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da
Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che
vi aveva messo Maria.
Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in
avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira
attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver
girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso
che gli fa da riparo, come preso da vertigine.
Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo
raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone
che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo
sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno,
dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due
pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero.
L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel
quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza
all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
Si avvicina a Gesù: “Sei solo?”
Gesù lo guarda e non risponde.
“Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?”
Gesù lo guarda da capo e tace.
“Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e
mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti
guiderò.”
Gesù non alza più neppure gli occhi.
“Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni”.
Gesù stringe le mani in muta preghiera.
“Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che
sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli
uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti
per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso.
Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può
nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per
loro. Li conosco più di Te.”
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca
di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.
“Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a
trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo,
allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro.
Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho
sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto
uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un
giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu
ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei
il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva.
E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì
il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare?
Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno
del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le
donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono
novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una
donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se
vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità.
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la
donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che
scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua
carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio,
quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.
Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo,
questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare
senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende.
Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane
fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste
acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o
Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e
sfamare la tua fame.
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da
non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro.
Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire
perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di
chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa...”
“Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’.”
Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il
digrigno in sorriso.
“Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma
vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a
transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo
spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le
coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel
cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi,
perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli
saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!”
“ ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto”.
“Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad
essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono
un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla
potenza umana.
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori
passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni
della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e
cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del
mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti
serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto.
Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo
ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu
che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio
e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un
solo attimo, e non ti tormenterò più!”.
E Satana si butta in ginocchio supplicando.
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il
suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è
un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata
quando dice: “Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!”.
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi
nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.
Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri
angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù
apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e
ne esce rinvigorito.
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno
una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso
nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo
digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di
questa terra.
Dice Gesù:
“Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare
le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria!
Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo
Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui
tollis peccata mundi, dona nobis pacem” e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute.
Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò.
Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono
attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe
e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma e le anime sono disattente al divino, separate da
una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la
sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello
nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.
Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia
sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il
morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore
-quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma
anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare
a godere ciò che vuole, godere sempre di più.
Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua
opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma
reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.
E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio
che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel
Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel
cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come
Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.
Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana.
Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio
fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito.
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della
preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto”.
47. L’incontro con Giovanni e Giacomo.
Giovanni di Zebedeo è il puro fra i discepoli.
25 febbraio 1944.
Vedo Gesù che cammina lungo la striscia verde che costeggia il Giordano. E’ tornato su per giù al
posto che ha visto il suo battesimo. Presso il guado che pare fosse molto conosciuto e frequentato,
per passare all’altra sponda, verso la Parea. Ma il luogo, dianzi tanto affollato di gente, ora appare
spopolato. Solo qualche viandante, a piedi o a cavallo di asini o cavalli, lo percorre. Gesù pare non
accorgersene neppure. Procede per la sua strada risalendo a nord, come assorto nei suoi pensieri.
Quando giunge all’altezza del guado, incrocia un gruppo di uomini di età diverse che discutono
animatamente fra loro e che poi si separano, parte andando verso sud e parte risalendo a nord. Fra
quelli che si dirigono a nord vedo esservi Giovanni e Giacomo.
Giovanni vede per primo Gesù e lo indica al fratello e ai compagni. Parlano fra loro un poco, e poi
Giovanni si dà a camminare velocemente per raggiungere Gesù. Giacomo lo segue più piano. Gli
altri non se ne occupano. Camminano lentamente, discutendo.
Quando Giovanni è presso a Gesù, alle sue spalle, lontano appena un due o tre metri, grida:
“Agnello di Dio che levi i peccati del mondo!”
Gesù si volge e lo guarda. I due sono a pochi passi l’uno dall’altro. Si osservano. Gesù col suo
aspetto serio e indagatore. Giovanni col suo occhio puro e ridente nel bel viso giovanile che pare
una fanciulla. Gli si danno sì e no vent’anni, e sulla gota rosata non vi è altro segno che quello di
una peluria bionda, che pare una velatura d’oro.
“Chi cerchi?” chiede Gesù.
“Te, Maestro.”
“Come sai che sono maestro?”
“Me lo ha detto il Battista.”
“E allora perché mi chiami Agnello?”
“Perché ti ho udito indicare così da lui un giorno che Tu passavi, poco più di un mese fa.”
“Che vuoi da Me?”
“Che Tu ci dica le parole di vita eterna e che ci consoli.”
“Ma chi sei?”
“Giovanni di Zebedeo sono, e questo è Giacomo mio fratello. Siamo di Galilea. Pescatori siamo.
Ma siamo pure discepoli di Giovanni. Egli ci diceva parole di vita e noi lo ascoltavamo perché
vogliamo seguire Dio e con la penitenza meritare il suo perdono, preparando le vie del cuore alla
venuta dl Messia. Tu lo sei. Giovanni l’ha detto, perché ha visto il segno della colomba posarsi su di
Te. A noi l’ha detto: “ Ecco l’Agnello di Dio”. Io ti dico: Agnello di Dio che togli i peccati del
mondo, dacci la pace, perché non abbiamo più chi ci guidi e l’anima è turbata.”
“Dove è Giovanni?”
“Erode l’ha preso. In prigione è, a Macheronte. I più fedeli fra i suoi hanno tentato di liberarlo. Ma
non si può. Torniamo di là. Lasciaci venire con Te, Maestro. Mostraci dove abiti.”
“Venite. Ma sapete cosa chiedete? Chi mi segue dovrà tutto lasciare: e casa, e parenti, e modo di
pensare, e vita, anche. Io vi farò miei discepoli e miei amici, se volete. Ma Io non ho ricchezze e
protezioni. Sono, e più lo sarò, povero sino a non avere dove posare il capo, e perseguitato più di
sperduta pecora dai lupi. La mia dottrina è ancora più severa di quella di Giovanni, perché interdice
anche il risentimento. Non tanto all’esterno si volge, quanto allo spirito. Rinascere dovete se volete
essere miei. Lo volete voi fare?”
“Sì, Maestro. Tu solo ai parole che ci dànno luce. Esse scendono e, dove era tenebra di desolazione
perché privi di guida, mettono chiarore di sole.”
“Venite, dunque, e andiamo. Vi ammaestrerò per via.”
Dice Gesù:
“Il gruppo che mi aveva incontrato era numeroso. Ma uno solo mi riconobbe. Colui che aveva
anima, pensiero e carne limpida da ogni lussuria.
Insisto sul valore della purezza. La castità è sempre fonte di lucidità di pensiero. La verginità affina,
poi, e conserva la sensibilità intellettiva ed affettiva a perfezione, che solo chi è vergine prova.
Vergine si è in molti modi. Forzatamente, e questo specie per le donne, quando non si è stati scelti
per nozze di sorta. Dovrebbe esserlo anche per gli uomini. Ma non lo è. E ciò è male, perché da una
gioventù anzitempo sporcata dalla libidine non potrà che venire un capo famiglia malato nel
sentimento e sovente anche nella carne.
Vi è la verginità voluta, ossia quella di coloro che si consacrano al Signore in uno slancio
dell’animo. Bella verginità! Sacrificio gradito a Dio! Ma non tutti sanno poi permanere in quel loro
candore di giglio che sta rigido sullo stelo, teso al cielo, ignaro del fango del suolo, aperto solo al
bacio del sole di Dio e delle sue rugiade.
Tanti restano fedeli materialmente al solo fatto. Ma infedeli col pensiero che rimpiange e desidera
ciò che ha sacrificato. Questi non sono vergini che a metà. Se la carne è intatta, il cuore non lo è.
Fermenta, questo cuore, ribolle, sprigiona fumi di sensualità, tanto più raffinata e riprovata quanto
più è creazione del pensiero che accarezza, pasce, e aumenta continuamente immagini di
appagamenti illeciti anche a chi è libero, più che illeciti a chi è votato.
Viene allora l’ipocrisia del voto. L’apparenza c’è, ma la sostanza manca. Ed in verità vi dico che fra
chi viene a Me col giglio spezzato dall’imposizione di un tiranno e chi vi viene col giglio non
materialmente spezzato, ma sbavato dal rigurgito di una sensualità accarezzata e coltivata per
empire di essa le ore di solitudine, Io chiamo ‘vergine’ il primo, e ‘non vergine’ il secondo. E al
primo dò corona di vergine e duplice corona di martirio per la carne ferita e per il cuore piagato
dalla non voluta mutilazione.
Il valore della purezza è tale che, tu lo hai visto, Satana si preoccupa per prima cosa di convincermi
dell’impurità. Esso lo sa bene che la colpa sensuale smantella l’anima e la fa facile preda alle altre
colpe. La cura di Satana si è vòlta a questo punto capitale per vincermi.
Il pane, la fame, sono le forme materiali per l’allegoria dell’appetito, degli appetiti, che Satana
sfrutta ai suoi fini. Ben altro è il cibo che esso mi offriva per farmi cadere come ebbro ai suoi piedi!
Dopo sarebbe venuta la gola, il denaro, il potere, l’idolatria, la bestemmia, l’abiura alla legge
divina. Ma il primo passo per avermi, era questo. Lo stesso che usò per ferire Adamo.
Il mondo schernisce i puri. I colpevoli di impudicizia li colpiscono. Giovanni Battista è una vittima
della lussuria di due osceni. Ma se il mondo ha ancora un poco di luce, ciò si deve i puri del mondo.
Sono essi i servi di Dio e sanno capire Dio e ripetere le parole di Dio. Io ho detto: “ Beati i puri di
cuore perché vedranno Dio”. Anche dalla terra. Essi, ai quali il fumo del senso non turba il
pensiero, ‘vedono’ Dio, e l’odono e lo seguono, e l’additano agli altri.
Giovanni di Zebedeo è un puro. E’ il Puro fra i miei discepoli. Che anima di fiore in un corpo di
angelo! Egli mi chiama con le parole del suo primo maestro e mi chiede di dargli la pace. Ma la
pace l’ha in sé per la sua vita pura, ed Io l’ho amato per questa sua purezza, alla quale ho affidato
gli insegnamenti, i segreti, la Creatura più cara che avessi.
E’ stato il mio primo discepolo, il mio amante dal primo momento che m’aveva visto passare lungo
il Giordano e m’aveva visto indicare dal Battista. Se anche non mi avesse incontrato poi, al mio
ritorno dal deserto, m’avrebbe cercato tanto da riuscire a trovarmi, perché chi è puro, è umile e
desideroso di istruirsi nella scienza di Dio e viene, come va l’acqua al mare, verso quelli che
riconosce maestri nella dottrina celeste.”
Dice ancora Gesù:
“Non ho voluto che tu parlassi sulla tentazione sensuale del tuo Gesù. Anche se la tua interna voce
ti aveva fatto comprendere il movente di Satana per attirarmi al senso, ho preferito parlare Io. E non
vi pensare oltre. Era necessario parlarne. Ora passa avanti. Il fiore di Satana lascialo sulle sue
sabbie. Vieni dietro a Gesù come Giovanni. Camminerai fra le spine, ma troverai per rose le stille di
sangue di Chi le sparse per te, per vincere anche in te la carne.
Prevengo anche un’osservazione. Dice Giovanni nel suo Vangelo parlando del suo incontro con
Me: “E il giorno seguente” Sembra perciò che il Battista mi indicasse il giorno seguente al
battesimo e subito Giovanni e Giacomo mi seguissero. Cosa che contrasta con quanto dissero gli
altri Evangelisti circa i quaranta giorni passati nel deserto. Ma leggete così: “(Avvenuto ormai
l’arresto di Giovanni) un giorno in seguito i due discepoli di Giovanni Battista, ai quali egli mi
aveva indicato dicendo: ‘Ecco l’Agnello di Dio’, rivedendomi mi chiamarono e mi seguirono.”
Dopo il mio ritorno dal deserto.
E insieme tornammo sulle rive del lago di Galilea, dove Io avevo preso rifugio per iniziare da lì la
mia evangelizzazione, e i due parlarono di Me -dopo esser stai con Me per tutto il cammino e per
un’intera giornata nella casa ospitale di un amico di casa mia, del parentado- agli altri pescatori. Ma
l’iniziativa fu di Giovanni, al quale la volontà di penitenza aveva reso l’anima, già tanto limpida per
la sua purezza, un capolavoro di limpidità su cui la Verità si rifletteva nitidamente, dandogli anche
la santa audacia dei puri e dei generosi, che non temono mai di farsi avanti dove vedono che vi è
Dio, e verità e dottrina e via di Dio.
Quanto l’ho amato per questa sua semplice ed eroica caratteristica!”
48. Giovanni e Giacomo riferiscono a Pietro il loro incontro con il Messia.
12 ottobre 1944.
Una serenissima aurora sul mar di Galilea. Cielo e acqua hanno bagliori rosati, di poco dissimili a
quelli che splendono miti fra i muri dei piccoli orti del paesello lacustre, orti da cui si elevano e si
affacciano, quasi rovesciandosi sulle viuzze, chiome spettinate e vaporose di alberi da frutto.
Il paesello si desta appena, con qualche donna che va alla fonte o a una vasca da lavare, e con dei
pescatori che scaricano le ceste di pesce e contrattano vociando con dei mercanti venuti da altrove ,
o che portano del pesce alle case loro. Ho detto paesello, ma non è tanto piccolo. E’ piuttosto
umile, almeno nel lato che vedo io, ma vasto, steso per la più parte lungo il lago.
Giovanni sbuca da una stradetta e va frettoloso verso il lago. Giacomo lo segue, ma molto più
calmo. Giovanni guarda le barche già giunte a riva, ma non vede quella che cerca. La vede ancora a
qualche centinaio di metri dalla riva, intenta alle manovre per rientrare, e grida forte, con le mani
alla bocca, un lungo: “Oh-è!” che deve essere il richiamo usato. E poi, quando vede che lo hanno
sentito, si sbraccia in grandi gesti che accennano: ‘Venite, venite.’
Gli uomini della barca, credendo chissà che, danno di piglio ai remi, e la barca va più veloce che
con la vela che essi ammainano, forse per fare più presto. Quando sono a un dieci metri dalla riva,
Giovanni non attende oltre. Si leva il mantello e la veste lunga e li butta sul greto, si scalza i sandali,
si alza la sottoveste tenendola raccolta con una mano quasi all’inguine, e scende nell’acqua incontro
a quelli che arrivano.
“Perché non siete venuti voi due?” chiede Andrea. Pietro, imbronciato, non dice nulla.
“E tu perché non sei venuto con me e Giacomo?” risponde Giovanni ad Andrea.
“Sono andato a pescare. Non ho tempo da perdere. Tu sei scomparso con quell’uomo...”
“Ti avevo fatto cenno di venire. E’ proprio Lui. Se sentissi che parole!... Siamo stati con Lui tutto il
giorno e a notte sino a tardi. Ora siamo venuti a dirvi: ‘Venite’ ”.
“E’ proprio Lui? Ne sei certo? Lo abbiamo appena visto allora, quando ce lo indicò il Battista.”
“E’ Lui. Non lo ha negato.”
“Chiunque può dire ciò che gli fa comodo per imporsi ai creduloni. Non è la prima volta...” borbotta
Pietro malcontento.
“Oh! Simone! Non dire così! E’ il Messia! Sa tutto! Ti sente!” Giovanni è addolorato e costernato
dalle parole di Simon Pietro.
“Già! Il Messia! E si mostra proprio a te, a Giacomo e ad Andrea! Tre poveri ignoranti! Vorrà ben
altro il Messia! E mi sente! Ma, povero ragazzo! I primi soli di primavera ti hanno fatto male. Via,
vieni a lavorare. Sarà meglio. E lascia le favole.”
“E’ il Messia, ti dico. Giovanni diceva cose sante, ma questo parla da Dio. Non può, chi non è il
Cristo, dire simili parole.”
“Simone, io non sono un ragazzo. Ho i miei anni e sono calmo e riflessivo. Lo sai. Poco ho parlato,
ma ho molto ascoltato in queste ore che siamo stati con l’Agnello di Dio, e ti dico che veramente
non può essere che il Messia. Perché non credere? Perché non volerlo credere? Tu lo puoi fare
perché non lo hai ascoltato. Ma io lo credo. Siamo poveri e ignoranti? Egli ben dice che è venuto
per annunciare la Buona Novella del Regno di Dio, del Regno di Pace, ai poveri, agli umili, ai
piccoli prima che ai grandi. Ha detto: ‘I grandi hanno già le loro delizie. Non invidiabili delizie
rispetto a quelle che Io vengo a portare. I grandi hanno già modo di giungere a comprendere per
sola forza di coltura. Ma Io vengo ai ‘piccoli’ di Israele e del mondo, a coloro che hanno fame della
vera Manna, né vien dai dotti data a loro luce e cibo, ma solo pesi, oscurità, catene e sprezzo. E
chiamo i ‘piccoli’. Io sono venuto a capovolgere il mondo. Perché abbasserò ciò che ora è in alto
tenuto ed alzerò ciò che ora è sprezzato. Chi vuole verità e pace, chi vuole vita eterna venga a Me.
Chi ama la Luce, venga. Io sono la luce del mondo.’ Non ha detto così, Giovanni?” Giacomo ha
parlato con pacata, ma commossa maniera.
“Sì. Ha detto: ‘Il mondo non mi amerà. Il gran mondo, perché si è corrotto con vizi e idolatrici
commerci. Il mondo anzi, non mi vorrà. Perché : figlio della Tenebra, non ama la Luce. Ma la terra
non è fatta solo del gran mondo. Vi sono in essa coloro che, pur essendo mischiati nel mondo
perché vi sono stati imprigionati come pesci nella rete’, ha detto proprio così, perché parlava sulla
riva del lago ed Egli accennava a delle reti che venivano trascinate a riva coi loro pesci. Ha detto,
anzi: ‘Vedete. Nessuno di quei pesci voleva cadere nella rete. Anche gli uomini, intenzionalmente,
non vorrebbero cadere preda di Mammona. Neppure i più malvagi, perché questi, per la superbia
che li accieca, non credono di non avere diritto di fare ciò che fanno. Il loro vero peccato è la
superbia. Su esso nascono tutti gli altri. Ma coloro, poi, che non sono completamente malvagi,
ancor più non vorrebbero essere di Mammona. Ma vi cascano per leggerezza e per un peso che li
trascina in fondo, e che è la colpa d’Adamo. Io sono venuto a levare quella colpa e a dare, in attesa
dell’ora della Redenzione, una tale forza a chi crederà in Me, capace di liberarli dal laccio che li
tiene e renderli liberi di seguire Me, Luce del mondo’ ”.
“Ma allora, se ha proprio detto così, bisogna andare da lui, subito”. Pietro, coi suoi impulsi così
schietti e che mi piacciono tanto, ha subito deciso, e già eseguisce affrettandosi a ultimare le
operazioni di scarico, perché intanto la barca è giunta a riva e i garzoni l’hanno quasi tratta in secco,
scaricando reti, corde e velame. ”E tu, stolto Andrea, perché non sei andato con questi?”
“Ma... Simone! Tu mi hai rimproverato perché non avevo persuaso questi a venire con me.... Tutta
la notte hai brontolato, e ora mi rimproveri di non essere andato?!...”
“Hai ragione... Ma io non lo avevo visto.... tu sì,,, e devi aver visto che non è come noi... Qualche
cosa di più bello avrà!....”
“Oh! sì.” dice Giovanni. “Ha un volto! Ha degli occhi! Vero, Giacomo, che occhi?! E una
voce!.... Ah! che voce! Quando parla ti par di sognare il Paradiso.”
“Presto, presto. Andiamo a trovarlo. Voi (parla ai garzoni) portate tutto a Zebedeo e dite che faccia
lui. Noi torneremo questa sera per la pesca.”
Si rivestono tutti e si avviano. Ma Pietro, dopo qualche metro, si arresta e afferra Giovanni per un
braccio e chiede: “Hai detto che sa tutto e che sente tutto...”
“Sì. Pensa che quando noi, vedendo la luna alta, abbiamo detto: ‘Chissà che farà Simone?’ Egli ha
detto: ‘Sta gettando la rete e non si sa da dar pace di dover fare da solo, perché voi non siete usciti
con la barca gemella in una sera di così buona pesca... Non sa che fra poco non pescherà più che
con altre reti e che non farà che altre prede.”
“Misericordia divina! E’ proprio vero! Allora avrà sentito anche... anche che io gli ho dato poco
meno che del mentitore... Non posso andare da Lui.”
“Oh! è tanto buono. Certo sa che tu così hai pensato. Lo sapeva già. Perché quando lo abbiamo
lasciato, dicendo che venivamo da te, ha detto: ‘Andate. Ma non lasciatevi vincere dalle prime
parole di scherno. Chi vuole venire con Me deve sapere tener testa agli scherni del mondo e alle
proibizioni dei parenti. Perché Io sono sopra il sangue e la società, e trionfo su essi. E chi è con Me,
pure trionferà in eterno’. E ha detto anche: ‘Sappiate parlare senza paura. Colui che vi udrà verrà,
perché è uomo di buona volontà”.
“Così ha detto? Allora vengo. Parla, parla ancora di Lui mentre andiamo. Dove è?”
“In una povera casa; devono essere persone a Lui amiche.”
“Ma è povero?”
“Un operaio di Nazareth. Così ha detto.”
“E come vive, ora, se non lavora più?”
“Non lo abbiamo chiesto. Forse lo sovvengono i parenti,”
“Era meglio portare del pesce, del pane, della frutta..., qualche cosa. Andiamo a interrogare un
rabbi, perché è come e più di un rabbi, a mani vuote!... I nostri rabbini non vogliono così...”
“Ma Lui vuole. Non avevamo che venti denari fra me e Giacomo e glieli abbiamo offerti, come è
consuetudine ai rabbini. Non li voleva. Ma poi che insistevamo, ha detto: ‘Dio ve li renda nelle
benedizioni dei poveri. Venite con Me” e subito li ha distribuiti a dei poverelli che Egli sapeva dove
abitavano, e a noi che chiedevamo: ‘E per Te, Maestro, non serbi nulla?’ ha risposto: ‘La gioia di
fare la volontà di Dio e di servire la sua gloria’. Noi abbiamo detto anche: Tu ci chiami, Maestro.
Ma noi siamo tutti poveri. Che ti dobbiamo portare?” Ha risposto con un sorriso che proprio fa
gustare il Paradiso: “ Un grande tesoro voglio da voi”; e noi: “Ma se nulla abbiamo?”; e Lui: “ Un
tesoro dai sette nomi, e che anche il più meschino può avere e il re più ricco non può possedere, lo
avete e lo voglio. Uditene i nomi: carità, fede, buona volontà, retta intenzione, continenza, sincerità,
spirito di sacrificio. Questo Io voglio da chi mi segue, questo solo, e in voi c’è. Dorme come seme
sotto la zolla invernale, ma il sole della mia primavera lo farà nascere in settemplice spiga”. Così ha
detto”.
“Ah! questo mi assicura che è il Rabbomi vero, il Messia promesso. Non è duro ai poveri, non
chiede denaro... Basta per dirlo il Santo di Dio. Andiamo sicuri.”
E tutto ha termine.
49. L’incontro con Pietro e Andrea dopo un discorso nella sinagoga.
Giovanni di Zebedeo grande anche nell’umiltà.
13 ottobre 1944.
[...].
Alle 14 vedo questo:
Gesù viene avanti per una piccola stradetta, un sentiero fra due campi. E’ solo.. Giovanni procede
verso di Lui da tutt’altro viottolo fra i campi, e lo raggiunse alfine, passando per un vano fra la
siepe.
Giovanni, tanto nella visione di ieri come oggi, è tutt’affatto giovanetto. Un volto roseo e imberbe
di uomo appena fatto, e biondo per giunta. Perciò non un segno di barba o di baffi, ma solo il rosato
delle guance lisce e delle labbra rosse e la luce ridente del suo bel sorriso e dello sguardo puro, non
tanto per il suo colore di turchese cupa, quanto per la limpidità dell’anima vergine che vi traspare. I
capelli biondo castani e soffici, ondeggiano nel passo veloce quasi quanto una corsa.
Chiama, quando sta per passare la siepe: “ Maestro!”
Gesù si arresta e si volge con un sorriso.
“Maestro, ti ho tanto desiderato! Mi hanno detto, nella casa dove stai che eri venuto verso la
campagna... Ma non dove. E temevo di non vederti.” Giovanni parla lievemente curvo per il
rispetto. Eppure è pieno di confidente affetto nella sua attitudine e nello sguardo che, stando col
capo lievemente piegato sulla spalla, eleva verso Gesù.
“Ho visto che mi cercavi e sono venuto verso di te.”
“Mi hai visto? Dove eri, Maestro?”
“Là ero.” e Gesù accenna ad un ciuffo d’alberi lontani che, per la tinta della chioma, direi ulivi. “Là
ero. Pregavo e pensavo a quanto dirò questa sera nella sinagoga. Ma ho lasciato subito non appena
ti ho visto.”
“Ma come hai fatto a vedermi se io appena vedo quel luogo, nascosto come è dietro quel ciglio?”
“Eppure lo vedi? Ti sono venuto incontro perché ti ho visto. Ciò che non fa l’occhio, fa l’amore.”
“Sì, fa l’amore. Mi ami dunque, Maestro?”
“E tu mi ami, Giovanni, figlio di Zebedeo?”
“Tanto, Maestro. Mi pare di averti sempre amato. Prima di averti conosciuto, prima ancora, l’anima
mia ti cercava, e quando ti ho visto essa mi ha detto: ”Ecco Quello che cerchi”. Io credo che ti ho
incontrato perché la mia anima ti ha sentito.”
“Tu lo dici, Giovanni, e dici giusto. Io pure ti sono venuto incontro perché l’anima mia ti ha sentito.
Per quanto mi amerai?”
“Per sempre, Maestro. Non voglio amare più altri che Tu non sia.”
“Hai padre, madre, fratelli e sorelle, hai la vita, e con la vita la donna e l’amore. Come farai a
lasciare tutto per Me?”
“Maestro... non so... ma mi pare, se non è superbia dirlo, che la tua predilezione mi terrà posto di
padre, madre e fratelli e sorelle e anche della dona. Di tutto, sì, di tutto mi terrò sazio se Tu mi
amerai.”
“E quel giorno che Io avessi a morire...”
“No!, sei giovane, Maestro... Perché morire?”
“Perché il Messia è venuto per predicare la Legge nella sua verità e per compier la Redenzione. E il
mondo aborre la Legge né vuole la Redenzione. Perciò perseguita i messi di Dio.”
“Oh! ciò non sia! Non lo dire a chi ti ama, questo pronostico di morte!... Ma se Tu avessi a morire,
amerò ancora Te. Lascia che io ti ami.” Giovanni ha lo sguardo supplice. Più chinato che mai,
cammina a fianco a Gesù e pare che mendichi amore.
Gesù si ferma. Lo guarda, lo trapana collo sguardo del suo occhio profondo, e poi gli pone la mano
sul capo chino. “Voglio che tu mi ami.”
“Oh! Maestro!” Giovanni è felice. Per quanto la sua pupilla sia lucida di pianto, ride con la bocca
ben disegnata, e prende la mano divina e la bacia sul dorso e se la stringe al cuore.
Riprendono il cammino.
“Hai detto che mi cercavi...”
“Sì, per dirti che i miei amici ti vogliono conoscere... e perché, oh! come avevo voglia di stare con
Te ancora! Ti ho lasciato da poche ore... ma non potevo già più stare senza di Te.”
“Sei stato dunque un buon annunziatore del Verbo?”
“Ma anche Giacomo, Maestro, ha parlato di Te in modo da... convincere.”
“In che modo che anche chi diffidava -né è colpevole, perché prudenza era causa del suo riserbo- si
è persuaso. Andiamo a farlo del tutto sicuro.”
“Aveva un poco paura...”
“No! Non paura di Me! Sono venuto per i buoni e più per chi è in errore. Io voglio salvare. Non
condannare. Con gli onesti sarò tutto misericordia.”
“E coi peccatori?”
“Anche. Per disonesti intendo quelli che hanno la disonestà spirituale e ipocritamente si fingono
buoni mentre fanno opere malvagie. E tali cose fanno e in tal modo per avere utile proprio e
ricavare utile dal prossimo. Con questi sarò severo.”
“Oh! Simone, allora, può star sicuro. E’ schietto come nessun altro.”
“Così mi piace e voglio siate tutti.”
“Vuol dirti tante cose, Simone.”
“Lo ascolterò dopo aver parlato nella sinagoga. Ho fatto avvisare poveri e malati oltre che ricchi e
sani. Tutti hanno bisogno della Buona Novella.”
Il paese si avvicina. Dei bambini giuocano sulla strada e uno, correndo, viene a sbattere fra le
gambe di Gesù e cadrebbe, se Egli non fosse sollecito ad afferrarlo. Il bambino piange lo stesso,
come se si fosse fato male, e Gesù gli dice tenendolo in braccio: “Un israelita che piange? Che
avrebbero dovuto fare i mille e mille bambini che sono divenuti uomini valicando il deserto dietro a
Mosè? Eppure più per loro che per gli altri -perché l’Altissimo ha amore degli innocenti e provvede
ai passeri del bosco e della gronda- proprio per questi ha fatto scendere la manna tanto dolce. Ti
piace il miele? Sì ? Ebbene, se sarai buono mangerai un miele più dolce di quello delle tue api.”
“Dove? Quando?”
“Quando, dopo una vita di fedeltà a Dio, andrai a Lui.”
“Io so che non vi andò se non viene il Messia. La mamma mi dice che per ora noi di Israele siamo
come tanti Mosè e moriamo in vista della Terra Promessa. Dice che stiamo lì ad aspettare di
entrarvi e che solo il Messia ci farà entrare.”
“Ma che bravo piccolo israelita! Ebbene Io ti dico che quando tu morrai entrerai subito in Paradiso,
perché il Messia avrà già aperto le porte del Cielo. Però devi essere buono.”
“Mamma! Mamma!” Il bambino scivola dalle braccia di Gesù e corre incontro ad una giovane
sposa, che rientra con un’anfora di rame. “Mamma! Il nuovo Rabbi mi ha detto che io andrò subito
in Paradiso quando morirò e mangerò tanto miele... ma se sono buono. Sarò buono!”
“Lo voglia Dio. Scusa. Maestro, se ti ha dato noia. E’ tanto vivace!”
“L’innocenza non dà noia, donna. Dio ti benedica, perché sei una madre che alleva i figli nella
conoscenza della Legge.”
La donna si fa rossa alla lode e risponde: “A Te pure la benedizione di Dio” e scompare col suo
piccolo.
“Ti piacciono i bambini, Maestro?”
“Sì, perché sono puri... e sinceri... e amorosi.”
“Hai dei nipoti, Maestro?”
“Non ho che una Madre... Ma in Lei c’è la purezza, la sincerità, l’amore dei pargoli più santi,
insieme alla sapienza, giustizia e fortezza degli adulti. Ho tutto in mia Madre, Giovanni.”
“E l’hai lasciata?”
“Dio è sopra anche alla più santa delle madri.”
“La conoscerò io?”
“La conoscerai.”
“E mi amerà?”
“Ti amerà perché Ella ama chi ama il suo Gesù.”
“Allora non hai fratelli?”
“Ho dei cugini da parte del marito di mia Madre. Ma ogni uomo mi è fratello e per tutti sono
venuto. Eccoci davanti alla sinagoga. Io entro, e tu mi raggiungerai coi tuoi amici.”
Giovanni se ne va e Gesù entra in una stanza quadrata col solito apparato di lumi a triangolo e di
leggii con rotoli di pergamena. Vi è già folla in attesa e in preghiera. Anche Gesù prega. La folla
bisbiglia e commenta dietro a Lui, che si curva a salutare il capo della sinagoga e poi si fa dare a
caso un rotolo.
Gesù inizia la lezione. Dice:
“Queste cose lo Spirito mi fa leggere per voi. Nel capo settimo del libro di Geremia si legge:
“Queste cose dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: ‘Emendate i vostri costumi e i vostri
affetti e allora abiterò con voi in questo luogo. Non vi cullate nelle parole vane da voi ripetute: c’è
qui il Tempio del Signore, il Tempio del Signore, il Tempio del Signore. Perché se voi migliorerete
i vostri costumi e i vostri affetti, se renderete giustizia fra l’uomo e il suo prossimo, se non
opprimerete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargerete in questo luogo il sangue
innocente, se non andrete dietro a dèi stranieri, per vostra sventura, allora Io abiterò con voi in
questo luogo, nella terra che Io diedi ai vostri padri per secoli e secoli’ ”.
Udite, o voi d’Israele. Ecco che Io vengo ad illuminarvi le parole di luce che la vostra anima
offuscata non sa più vedere e capire. Udite. Molto pianto scende sulla terra del Popolo di Dio e
piangono i vecchi che ricordano le antiche glorie, piangono gli adulti piegati al giogo, piangono i
fanciulli che non hanno avvenire di futura gloria. Ma la gloria sulla terra è nulla rispetto ad una
gloria che nessun oppressore, che non sia Mammona e la mala volontà, possono strappare.
Perché piangete? Come l’Altissimo, che fu sempre buono per il popolo suo, ora ha girato altrove il
suo sguardo e nega ai suoi figli di vederne il Volto? Non è più il Dio che aperse il mare e ne fece
passare Israele e per arene condusse e nutrì, e contro nemici o difese e, perché non smarrisse la via
del Cielo, come diede ai corpi la nuvola, diede alle anime la Legge? Non è più il Dio che addolcì le
acque e fece venire manna agli sfiniti? Non è il Dio che vi volle stabilire in questa terra e con voi
strinse alleanza di Padre a figli? E allora perché ora lo straniero vi ha percossi?
Molti fra voi mormorano: ‘Eppure qui è il Tempio!’. Non basta avere il Tempio e in quello andare a
pregare Iddio. Il primo tempio è nel cuore di ogni uomo, e in quello va fatta preghiera santa. Ma
santa non può essere se prima il cuore non si emenda e col cuore non si emendano i costumi, gli
affetti, le norme di giustizia verso i poveri, verso i servi, verso i parenti, verso Dio.
Ora guardate. Io vedo ricchi dal cuore duro che fanno ricche offerte al Tempio, ma non sanno dire
al povero :’Fratello, ecco un pane e un denaro. Accettalo. Da cuore a cuore, e non t’avvilisca l’aiuto
come a me non dia superbia il dartelo’. Ecco: Io vedo oranti che si lamentano con Dio che non li
ascolta prontamente, ma poi, al misero, e talora è loro sangue, che gli dice: ‘Ascoltami’, rispondono
con cuore di selce: ‘No’. Ecco, Io vedo che voi piangete perché la vostra borsa è spremuta dal
dominatore. Ma poi voi spremete sangue a chi odiate, e di far vuoto un corpo di sangue e vita non
avete orrore.
O voi di Israele! Il tempo della Redenzione è giunto. Ma preparatene le vie in voi con la buona
volontà. Siate onesti, buoni, amatevi gli uni con gli altri. Ricchi, non sprezzate; mercanti, non
frodate; poveri, non invidiate. Siete tutti di un sangue e di un Dio. Siete tutti chiamati ad un destino.
Non chiudetevi il Cielo, che il Messia vi aprirà, con i vostri peccati. Avete sin qui errato? Ora non
più. Ogni errore cada.
Semplice, buona, facile è la Legge che torna ai dieci comandi iniziali, ma tuffati in luce d’amore.
Venite. Io ve li mostrerò quali sono: amore, amore, amore. Amore di Dio a voi, di voi a Dio. Amore
fra prossimo. Sempre amore, perché Dio è Amore e i figli del Padre sono coloro che sanno vivere
l’amore. Io sono qui per tutti e per dare a tutti la luce di Dio. Ecco la Parola del Padre che si fa cibo
in voi. Venite, gustate, cambiate il sangue dello spirito con questo cibo. Ogni veleno cada, ogni
concupiscenza muoia. Una gloria nuova vi è porta: quella eterna, e a lei verranno coloro che faranno
la Legge di Dio vero studio del loro cuore. Iniziate dall’amore. Non vi è cosa più grande. Ma
quando saprete amare, saprete già tutto, e Dio vi amerà, e amore di Dio vuol dire aiuto contro ogni
tentazione.
La benedizione di Dio sia su chi volge a Lui cuore pieno di buona volontà.”
Gesù tace. La gente bisbiglia. L’adunanza si scioglie dopo inni cantati molto salmodiandoli.
Gesù esce sulla piazzetta. Sulla porta sono Giovanni e Giacomo con Pietro e Andrea.
“La pace sia con voi” dice Gesù e aggiunge: “Ecco l’uomo che per essere giusto ha bisogno di non
giudicare senza prima conoscere. Ma che però è onesto nel riconoscere il suo torto. Simone, hai
voluto vedermi? Eccomi. E tu, Andrea, perché non sei venuto prima?”
I due fratelli si guardano imbarazzati. Andrea mormora: “Non osavo...”
Pietro, rosso, non dice nulla. Ma quando sente che Gesù dice al fratello: “Facevi del male a venire?
Solo il male non si deve osare di farlo”, subito interviene schietto: “Sono stato io. Lui voleva
condurmi subito da Te. Ma io.... io ho detto... Sì. Ho detto: “Non ci credo”, e non ho voluto. Oh! ora
sto meglio!...”
Gesù sorride. E poi dice: “E per la tua sincerità Io ti dico che ti amo.”
“Ma io... io non sono buono... non sono capace di fare quello che Tu hai detto nella sinagoga. Io
sono iracondo, e se qualcuno mi offende... eh!... Io sono avido e mi piace aver denaro... e nel mio
mercato di pesce... eh!... non sempre... non sempre sono stato senza frode. E sono ignorante. E ho
poco tempo da seguirti per avere la luce. Come farò? Io vorrei diventare come Tu dici... ma... ”.
“Non è difficile, Simone. Sai un poco la Scrittura? Sì? Ebbene, pensa al profeta Michea. Dio da te
vuole quello che dice Michea. Non ti chiede di strapparti il cuore, né di sacrificare gli affetti più
santi. Per ora non te lo chiede. Un giorno tu, senza richiesta da Dio, darai a Dio anche te stesso. Ma
Egli attende che un sole e una rugiada, di te, filo d’erba, abbiano fatto palma robusta e gloriosa. Per
ora Egli ti chiede questo: praticare giustizia, amare la misericordia, mettere ogni cura nel seguire il
tuo Dio. Sforzati a fare questo e il passato di Simone sarà cancellato e tu diverrai l’uomo nuovo,
l’amico di Dio e del suo Cristo. Non più Simone. Ma Cefa. Pietra sicura a cui mi appoggio.”
“Questo mi piace! Questo lo capisco. La Legge è così... è così... ecco, io quella non la so più fare
come l’hanno fatta i rabbini!... Ma questo che Tu dici, sì. Mi pare che ci riuscirò. E Tu mi aiuterai.
Stai qui di casa? Conosco il padrone.”
"Qui sto. Ma ora andrò a Gerusalemme e poi predicherò per la Palestina. Sono venuto per questo.
Ma verrò qui sovente.”
“Io verrò ad udirti ancora. Voglio essere tuo discepolo. Un poco di luce entrerà nella mia testa.”
“Nel cuore soprattutto, Simone. Nel cuore. E tu, Andrea, non parli?”
“Ascolto, Maestro.”
“Mio fratello è timido.”
“Diverrà un leone. La sera scende. Dio vi benedica e vi dia buona pesca. Andate.”
“La pace a Te.” Se ne vanno.
Appena fuori, Pietro dice: “Ma che avrà voluto dire prima, quando diceva che pescherò con altre
reti e farò altre pesche?”
“Perché non glielo hai chiesto? Volevi dire tanto e poi quasi non parlavi.”
“Mi... vergognavo. E’ così diverso da tutti i rabbi!”
“Ora va a Gerusalemme... ”. Giovanni dice questo con tanto desiderio e nostalgia. “Io volevo dirgli
se mi lasciava andare con Lui... e non ho osato...”.
“Vaglielo a dire, ragazzo” dice Pietro. “Lo abbiamo lasciato così... senza una parola di amore...
Almeno sappia che lo ammiriamo. Va', va'. A tuo padre lo dico io”.
“Vado, Giacomo?”
“Va'!”
“Giovanni parte di corsa... e di corsa torna giubilante. “Gli ho detto: ‘Mi vuoi con Te a
Gerusalemme?’ Mi ha risposto: ‘Vieni, amico.” Amico, ha detto! Domani a quest’ora verrò qui.
Ah! A Gerusalemme con Lui!...”.
...la visione ha fine.
In merito a questa visione, mi dice questa mattina Gesù:
“Voglio che tu e tutti rileviate il contegno di Giovanni: in un suo lato che sfugge sempre. Voi lo
ammirate perché puro, amoroso, fedele. Ma non notate che fu grande anche in umiltà. Egli, artefice
primo della venuta a Me di Pietro, modestamente tace questo particolare.
L’apostolo di Pietro, e perciò il primo degli apostoli miei, fu Giovanni. Primo nel riconoscermi,
primo nel rivolgermi la parola, primo nel seguirmi, primo nel predicarmi. Eppure, vedete che dice?
Dice: “Andrea, fratello di Simone, era uno dei due che avevano udite le parole di Giovanni e
avevano seguito Gesù. Il primo in cui si imbattè fu suo fratello Simone, a cui disse: ‘Abbiamo
trovato il Messia’ e lo menò da Gesù”.
Giusto, oltre che buono, sa che Andrea si angustia di non aver che un carattere chiuso, timido, e che
tanto vorrebbe fare ma che non riesce a fare, e vuole che a lui vada, nella memoria dei posteri, il
riconoscimento del suo buon volere. Vuole appaia Andrea il primo apostolo di Cristo presso
Simone, nonostante che timidezza e soggezione di lui presso il fratello abbiano dato a lui sconfitta
di apostolato.
Chi, fra quelli che fanno qualcosa per Me, sa imitare Giovanni e non si autoproclamano insuperabili
apostoli, senza pensare che il loro riuscire vien da un complesso di cose, che non sono solo santità,
ma anche audacia umana, fortuna, e occasionale trovarsi presso altri meno audaci e fortunati, ma
forse più santi di loro?
Quando riuscite nel bene, non gloriatevene come di n merito tutto vostro. Date lode a Dio, padrone
degli apostolici operai, e abbiate occhio limpido e cuore sincero per vedere e dare ad ognuno il
plauso che gli spetta. Occhio limpido a discernere gli apostoli che compiono olocausto, e sono le
prime vere leve nel lavoro degli altri. Solo Dio li vede questi che, timidi, paiono nulla fare e sono
invece i rapitori al Cielo del fuoco che investe gli audaci. Cuor sincero nel dire: “Io opero: Ma
costui ama più di me, prega meglio di me, si immola come io non so fare e come Gesù ha detto : ‘...
entro la propria camera con uscio chiuso per orare in segreto. Io, che intuisco la sua umile e santa
virtù, voglio farla nota e dire: ’Io, strumento attivo; costui forza che mi dà moto, perchè, innestato
come è a Dio, m’è canale di celeste forza’ ”.
E la benedizione del Padre, che scende a ricompensare l’umile che in silenzio si immola per dare
forza agli apostoli, scenderà anche sull’apostolo che sinceramente riconosce il soprannaturale e
silenzioso aiuto che a lui viene dall’umile, e il suo merito che la superficialità degli uomini non
nota.
Imparate tutti.
E’ il mio prediletto? Sì. Ma non ha anche questa somiglianza con Me? Puro, amoroso, ubbidiente,
ma anche umile. Io mi specchiavo in lui e vedevo in lui le virtù mie. Lo amavo perciò come un
secondo Me. Vedevo in lui lo sguardo del Padre che lo riconosceva un piccolo Cristo. E mia Madre
mi diceva :” In lui io sento un secondo figlio. Mi pare di vedere Te, riprodotto in un uomo.”
Oh! la Piena Sapienza come ti ha conosciuto, o mio diletto! E i due azzurri dei vostri cuori di
purezza si sono fusi in un unici velario per farmi protezione d’amore, e un solo amore sono
divenuti, prima ancora che Io dessi la Madre a Giovanni e Giovanni alla Madre. S’erano amati
perché s’erano riconosciuti simili: figli e fratelli del Padre e del Figlio”.
50. A Betsaida nella casa di Pietro. L’incontro con Filippo e Natanaele.
15 ottobre 1944.
[...].
Più tardi (ore 9,30) devo descrivere questo.
Giovanni bussa alla porta della casa dove è ospitato Gesù. Si affaccia una donna e, vedendo chi è,
chiama Gesù.
Si salutano con saluto di pace. E poi: “Sei venuto sollecito, Giovanni” dice Gesù.
“Sono venuto a dirti che Simon Pietro ti prega di passare da Betsaida. Ha parlato di Te a molti...
Non abbiamo pescato questa notte. Abbiamo pregato, come sappiamo farlo, e abbiamo rinunciato al
lucro perché... il Sabato ancora non era finito. E questa mattina siamo andati per le vie dicendo di
Te. Vi è gente che vorrebbe udirti... Vieni, Maestro?”
“Vengo. Per quanto Io debba andare a Nazareth prima che a Gerusalemme.”
“Ti porterà da Betsaida a Tiberiade Pietro, con la sua barca. Farai anche più presto.”
“Andiamo, dunque.”
Gesù prende mantello e bisaccia. Ma Giovanni gli prende quest’ultima. E se ne vanno, dopo aver
salutato la padrona di casa.
La visione mi mostra l’uscita dal paese e il principio del viaggio verso Betsaida. Ma non odo
discorsi, anzi, la visione ha una interruzione e riprende all’entrata di Betsaida. Comprendo che è
questa città perché vedo Pietro, Andrea e Giacomo, e con loro delle donne, che attendono Gesù
all’inizio dell’abitato.
“La pace sia con voi. Eccomi.”
“Grazie, Maestro, per noi e per chi ti attende. Non è Sabato, ma non le dirai le tue parole a chi
aspetta di udirti?
“Sì, Pietro. Le dirò. Nella tua casa.”
Pietro è gongolante: “Vieni, allora. Questa è la moglie mia e questa la madre di Giovanni e queste
amiche loro. Ma anche altri ti attendono: parenti e amici nostri.”
“Avvertili che partirò a sera e prima parlerò loro.”
Ho lasciato di dire che, partiti da Cafarnao al tramonto, li ho visti giungere a Betsaida al mattino.
“Maestro... io ti prego. Sosta una notte nella mia casa. Lungo è il cammino per Gerusalemme, anche
se io te lo abbrevio sino a Tiberiade con la barca. Povera la casa mia, ma onesta e amica. Resta con
noi questa notte.”
Gesù guarda Pietro e gli altri che sono tutti in attesa. Li guarda scrutatore. Poi sorride e dice: “Sì”
Nuova gioia di Pietro.
Della gente guarda dalle porte e ammicca. Un uomo chiama a nome Giacomo e gli parla piano
additando Gesù, Giacomo annuisce e l’uomo va a confabulare con altri fermi su un crocevia.
Entrano nella casa di Pietro. Una cucina vasta e fumosa. In un angolo, reti e canapi e ceste da pesca.
In mezzo, il focolare largo e basso, ora spento. Dalle due porte opposte, si vede la via e l’orticello
col fico e la vite. Oltre la via, il cerulo muovere del lago. Oltre l’orticello, il muretto scuro di
un’altra casa.
“Ti offro quanto ho, Maestro, e come so...”
“Meglio e più non potresti, perché mi offri con amore.”
Dànno a Gesù acqua per rinfrescarsi e poi pane e ulive. Gesù gusta pochi bocconi, tanto per
mostrare che accetta, poi respinge ringraziando.
Dei bambini curiosano dall’orto e dalla via. Ma non so se siano figli di Pietro. So solo che lui fa gli
occhiacci per tenere indietro i piccoli invadenti. Gesù sorride e dice: “Lasciali fare.”
“Maestro, vuoi riposare? Lì vi è la mia stanza, là quella di Andrea. Scegli. Non faremo rumore
mentre riposi.”
“Avrai pure una terrazza?”
“Sì. E la vite per quanto sia ancora quasi nuda, vi fa un poco di ombra.”
“Conducimi in essa. Preferisco riposare lassù. Penserò e pregherò.”
“Come vuoi. Vieni.”
Dall’orticello una scaletta sale al tetto, che è una terrazza limitata da un basso muretto. Anche qui
reti e canapi. Ma quanta luce di cielo e quanto azzurro di lago!
Gesù siede su uno sgabello con le spalle appoggiate al muretto. Pietro armeggia con una vela, che
stende sopra e a fianco della vite per fare un riparo al sole. Vi è brezza e silenzio. Gesù visibilmente
ne gode.
“Io vado, Maestro.”
“Va'. Tu e Giovanni andate a dire che al tramonto, qui, parlerò.”
Gesù resta solo e prega a lungo. Fuor che due coppie di colombi che vanno e vengono dai nidi, e un
cinguettio di passeri, non c’è rumore o vivente intorno a Gesù che prega.
Le ore passano calme e serene. Poi Gesù si alza, gira per la terrazza, guarda il lago, guarda e sorride
a dei bambini che giuocano sulla via e che gli sorridono, guarda sulla via, verso la piazzetta che è a
un cento metri dalla casa. Poi scende. Si affaccia alla cucina: “Donna, Io vado a passeggiare sulla
riva.”
Esce e va infatti sulla riva, presso i bambini. Li interroga: “Che fate?”
“Volevamo giocare alla guerra: Ma lui non vuole e allora si giuoca alla pesca.”
Il ‘lui’ che non vuole è un ometto gracilino, ma dal viso luminosissimo. Forse sa che, gracilino
come è, le buscherebbe dagli altri nel fare ‘la guerra’ e perciò perora la pace.
Ma Gesù ne trae spunto per parlare a quei i bambini: “Lui ha ragione. La guerra è castigo di Dio per
punizione degli uomini e segno che l’uomo non è più vero figlio di Dio. Quando l’Altissimo creò il
mondo, fece tutte le cose: il sole, il mare, le stelle, i fiumi, le piante, gli animali, ma non fece le
armi. Creò l’uomo e gli dette occhi perché avesse sguardi d’amore, bocca per dire parole d’amore,
udito per udirle, mani per dare soccorsi e carezze, piedi per correre veloci dal fratello bisognoso, e
cuore capace d’amare. Dette all’uomo intelligenza, parola, affetti, gusti. Ma non dette l’odio.
Perché? Perché l’uomo, creatura di Dio, doveva essere amore come Amore è Dio. Se l’uomo fosse
rimasto creatura di Dio nell’amore sarebbe rimasto, e guerra e morte non avrebbe conosciuto la
famiglia umana.”
“Ma lui la guerra non la vuol fare perché perde sempre” (avevo indovinato).
Gesù sorride e dice: “Non bisogna non volere quello che a noi nuoce perché ci nuoce. Bisogna non
volere una cosa quando nuoce a tutti. Se un dice: ‘Io non voglio questo perché ci perdo’ è egoista.
Invece il buon figlio di Dio dice: ‘Fratelli, io so che vincerei, ma vi dico: non facciamo questo
perché voi ne avreste danno’. Oh! come costui ha compreso il precetto principale! Chi me lo sa
dire?”
In coro le undici bocche dicono: “Amerai il tuo Dio con tutto te stesso e il prossimo tuo come te
stesso.”
“Oh! siete dei bravi fanciulli. Andate a scuola tutti?”
“Sì.”
“Chi è il più bravo?”
“Lui”. E’ il gracilino che non vuol fare alla guerra.
“Come ti chiami?”
“Gioele”
“Grande nome! Egli dice: “...il debole dica: ‘Son forte!’ ” Ma in che: forte? Nella Legge del Dio
vero, per essere fra quelli che Egli, nella valle della Decisione giudicherà come santi di Lui. Ma già
il giudizio è vicino. Non nella valle della Decisione ma sul monte della Redenzione. Là, fra sole e
luna oscurati di orrore, e stelle tremanti pianto di pietà, saranno giudicati i figli della Luce dai figli
delle Tenebre. E tutto Israele saprà che il suo Dio è venuto. Felici quelli che l' avranno riconosciuto.
A loro miele e latte, e acque chiare scenderanno in cuore e le spine diverranno eterne rose. Chi di
voi vuol essere fra quelli che saranno giudicati santi da Dio?”
“Io! Io! Io!”
“Amerete allora il Messia?”
“Sì! Sì! Te! Te! Te amiamo! Lo sappiamo chi sei! Lo hanno detto Simone e Giacomo, e le mamme
nostre l’han detto. Pigliaci con Te!”
“In verità vi prenderò se sarete buoni. Mai più parole brutte, mai più prepotenze, mai più risse, mai
più male risposte ai genitori. Preghiera, lavoro, studio, ubbidienza. E Io vi amerò e verrò con voi.”
I bambini sono tutti a cerchio intorno a Gesù. Pare una corolla variopinta stretta attorno ad un
lungo pistillo azzurro cupo.
Un uomo azianotto si è avvicinato curioso. Gesù si volge per carezzare un bambino che gli tira la
veste, e lo vede. Lo fissa intensamente. Quello saluta arrossendo, ma non dice altro.
“Vieni! Seguimi!”
“Sì, Maestro.!
Gesù benedice i bambini e a fianco di Filippo (lo chiamo così a nome) torna a casa. si siedono
nell’orticello.
“Vuoi essere mio discepolo?”
“Lo voglio... e non oso sperare di esserlo.”
“Io ti ho chiamato.”
“Lo sono, allora. Eccomi.”
“Sapevi di Me?”
“Me ne ha parlato Andrea. Mi ha detto: “Quello che tu sospiravi è venuto”. Perché Andrea sapeva
che io sospiravo il Messia”.
“Non è delusa la tua attesa. Egli ti è davanti.”
“Mio Maestro e Dio!”.
“Sei un israelita di retta intenzione. Per questo mi manifesto a te. Un altro tuo amico aspetta, lui
pure sincero israelita. Va' a dirgli: ‘Abbiamo trovato Gesù di Nazaret, figlio di Giuseppe della stirpe
di Davide, Colui di cui hanno detto Mosè e i Profeti’. Va'!”
Gesù resta solo sinché torna Filippo con Natanaele-Bartolomeo.
“Ecco un vero israelita in cui non c’è frode. La pace a te, Natanaele.”
“Come mi conosci?”
“Prima che Filippo venisse a chiamarti, Io ti ho visto sotto al fico”
“Maestro, Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il Re d’Israele!”
“Perché ho detto di averti visto, mentre pensavi sotto al fico, tu credi? Vedrai cose ben più grandi di
questa. In verità vi dico che i Cieli sono aperti e voi, per la fede, vedrete gli angeli scendere e salire
sopra il Figlio dell’uomo: Io che ti parlo.”
“Maestro! Io non sono degno di tanto favore!”
“Credi in Me e sarai degno del Cielo. Vuoi credere?”
“Voglio, Maestro.”
La visione ha un arresto... e riprende sulla terrazza piena di gente: altra gente è nell’orticello di
Pietro. Gesù parla.
“Pace agli uomini di buona volontà. Pace e benedizione alle loro case, alle loro donne, ai loro
bambini. La grazia e la Luce di Dio regni in esse e nei cuori che l’abitano.
Voi avete desiderato di udirmi. La Parola parla. Parla agli onesti con gioia, parla ai disonesti con
dolore, parla ai santi e ai puri con diletto, parla ai peccatori con pietà. Non si nega. E’ venuta per
effondersi come fiume che irriga terre bisognose d’acqua, alle quali porta ristoro d’onde e
nutrimento di limo.
Voi volete sapere quali cose si richiedono per essere discepoli della Parola di Dio, del Messia,
Verbo del Padre, che viene a radunare Israele perché rioda le parole del Decalogo santo e
immutabile e si santifichi in esse per essere già mondo, quanto può l’uomo di per sé farlo, per l’ora
della Redenzione e del Regno.
Ecco. Io dico ai sordi, ai ciechi, ai muti, ai lebbrosi, ai paralitici, ai morti: ‘Sorgete, siate guariti,
risorgete, camminate, si aprano in voi i fiumi della luce, della parola, del suono, perché possiate
vedere, udire, dire di Me’. Ma più che ai corpi, Io dico questo agli spiriti vostri. Uomini di buona
volontà, venite a me senza timore. Se lo spirito è leso, Io lo risano. Se malato, Io lo guarisco. Se
morto, Io lo risuscito. Voglio solo la vostra buona volontà.
Difficile ciò che vi chiedo? No. Io non vi impongo i cento e cento e cento precetti dei rabbini. Io vi
dico: seguite il Decalogo. La Legge è una e immutabile. Molti secoli sono passati dall’ora in cui
essa fu data, bella pura, fresca, come creatura appena nata, come rosa appena aperta sullo stelo.
Semplice, netta, dolce a seguirsi. Nei secoli le colpe e le tendenze l’hanno complicata con leggi e
leggi minori, con pesi e restrizioni, con troppe penose clausole. Io vi riporto alla Legge così come
l’Altissimo l’ha data. Ma, ve ne prego per vostro bene, ricevetela col cuor sincero dei veri israeliti
di allora.
Voi mormorate, più in cuor vostro che col labbro, che la colpa, più che in voi, umili, è in alto. Lo
so. Nel Deuteronomio è detto tutto quanto va fatto, né è necessario di più. Ma non giudicate chi
fece, per gli altri, non per sé. Voi fate ciò che Dio dice. E sopra tutto sforzatevi ad essere perfetti nei
due precetti principali. Se amerete Dio con tutto voi stessi, non peccherete, perché il peccato è
dolore dato a Dio. Chi ama non vuol dare dolore. Se amerete il prossimo come voi stessi, non sarete
che figli rispettosi per i genitori, sposi fedeli ai consorti, uomini onesti nei commerci, senza
violenze per i nemici, senza menzogna nel deporre, senza invidia verso chi ha, senza fomite di
lussuria verso l’altrui donna. Non volendo fare agli altri ciò che non vorreste fatto a voi, non
ruberete, non ammazzerete, non calunnierete, non entrerete come cuculi nel nido altrui.
Ma anzi Io vi dico: ‘Spingete alla perfezione la vostra ubbidienza ai due precetti d’amore: amate
anche i vostri nemici’.
Oh! come vi amerà l’Altissimo che tanto ama l’uomo, divenuto a Lui nemico per la colpa d’origine
e per i peccati individuali, da mandare ad esso il redentore, l’Agnello che è il Figlio suo, Io che vi
parlo, il Messia promesso per redimervi da ogni colpa, se voi saprete amare come Lui.
Amate. L’amore vi sia scala per cui, angeli divenuti, salirete, come vide Giacobbe, sino al Cielo,
udendo il Padre dire, a tutti e a ognuno,: ‘Io sarò tuo protettore ovunque andrai, e ti ricondurrò a
questo paese: al Cielo, al Regno Eterno.’
La pace a voi.”
La gente ha parole di approvazione commossa e se ne va lentamente. Restano Pietro, Andrea,
Giacomo, Giovanni, Filippo e Bartolomeo.
“Parti domani, Maestro?”
“Domani all’alba, se non ti rincresce.”
“Rincrescere che Tu vada, sì. Ma rincrescermi l’ora, no. E’ anzi propizia.”
“Pescherai?”
“Questa notte a luna piena.”
“Hai fatto bene, Simon Pietro, a non pescare la notte scorsa. Ancora non era finito il sabato.
Nehemia, nelle sue riforme, volle che in Giuda fosse rispettato il sabato. Anche ora troppa gente di
sabato pigia agli strettoi, porta fasci, carica vino e frutta, e vende e compra pesci e agnelli. Avete sei
giorni per questo. Il sabato è del Signore. Solo una cosa potete fare di sabato: bontà al prossimo
vostro. Ma il lucro deve essere assolutamente escluso da questo aiuto. Chi viola per lucro il sabato
non può aver che castigo da Dio. Fa utile? Lo sconterà con perdite negli altri sei giorni. Non fa
utile? Ha faticato invano il corpo, non concedendogli quel riposo che l’Intelligenza ha stabilito per
esso, alterandosi con ira lo spirito per aver inutilmente faticato, giungendo a imprecare. Mentre il
giorno di Dio va passato col cuore unito a Dio in dolce preghiera d’amore. Bisogna esser fedeli in
tutto.”
“Ma... gli scribi e i dottori, che sono tanto severi con noi... non lavorano in sabato, non danno
neppure un pane al prossimo per non fare la fatica di porgerlo... ma l’usura la fanno anche in sabato.
Perché non è lavoro materiale, si può fare usura in sabato?
“No. Mai. Né di sabato né in altro giorno. Chi fa usura è disonesto e crudele.”
“Gli scribi e i farisei allora...”
“Simone: non giudicare. Tu non fare.”
“Ma ho occhi per vedere...”
“Vi è il male solo da vedere, Simone?”
“No, Maestro.”
“E allora perché guardare solo il male?”
“Hai ragione, Maestro.”
“Allora domani all’alba partirò con Giovanni.”
“Maestro...”
“Simone, che hai?”
“Maestro... vai a Gerusalemme?”
“Lo sai.”
“Anche io ci vado per la Pasqua... e anche Andrea e Giacomo...”
“Ebbene?... Vuoi dire che vorresti venire con Me. E la pesca? E il guadagno? Mi hai detto che ti
piace aver denaro, e Io starò via molti giorni. Prima vado dalla Madre. E ci andrò al ritorno. Mi
fermerò a predicare. Come farai?...”
Pietro è perplesso, combattuto... ma poi decide: “Per me ... ci vengo. Preferisco Te al denaro!”
“Anche io vengo.”
“E anche io.”
“E noi pure, vero Filippo?”
“Venite allora. Mi aiuterete.”
“Oh! “ Pietro è fulminato dall’idea di aiutare Gesù. “Come faremo?”
“Ve lo dirò. Non avrete che fare quanto dico per far bene. L’ubbidiente fa sempre bene. Adesso
pregheremo e poi ognuno andrà alle sue mansioni.”
“Che farai, Tu, Maestro?”
“Pregherò ancora. Sono la Luce del mondo, ma sono anche il Figlio dell’uomo. Devo perciò sempre
attingere alla Luce per essere l’Uomo che redime l’uomo. Preghiamo.”
Gesù dice un salmo. Quello che comincia: ‘Chi riposa nell’aiuto dell’Altissimo vivrà sotto la
protezione del Dio del Cielo. Dirà al Signore: ‘Tu sei il mio protettore, il mio rifugio. E’ il mio Dio,
in lui la mia speranza. Egli mi liberò dal laccio dei cacciatori e dalle aspre parole’, ecc. ecc. “ Lo
trovo nel libro 4. E’ il secondo del libro 4, mi pare il n. 90 (se leggo bene il numero romano)
La visione cessa così.
51. Maria manda Giuda Taddeo ad invitare Gesù alle nozze di Cana.
17 ottobre 1994.
Vedo la cucina di Pietro. In essa, oltre a Gesù, vi è Pietro e la moglie, e Giacomo e Giovanni.
Sembra che abbiano finito allora la cena e stiano conversando fra loro. Gesù si interessa della pesca.
Entra Andrea e dice: “Maestro, vi è qui l’uomo presso il quale stai, con uno che si dice tuo cugino.”
Gesù si alza e va verso l’uscio dicendo: “Vengano avanti”. E quando alla luce della lucerna ad olio
e della fiamma del focolare vede entrare Giuda Taddeo, esclama: “Tu, Giuda?!”
“Io, Gesù.”
Si baciano. Giuda Taddeo è un bell’uomo, nella pienezza della bellezza virile. Alto, sebbene non
quanto Gesù, ben proporzionato nella sua robustezza, bruno, come lo era san Giuseppe da giovane,
di un olivastro non terreo e con occhi che hanno qualcosa di comune con quelli di Gesù, perché
sono di una tinta azzurra, ma tendente al pervinca. Ha barba quadrata e bruna, capelli mossi, meno a
ricciolo di quelli di Gesù, bruni come la barba.
“Vengo da Cafarnao. Vi sono andato con una barca, e qui pure sono venuto con essa per fare più
presto. Mi manda tua Madre; dice: ‘Susanna è sposa domani. Io ti prego, Figlio, di essere a queste
nozze.’ Maria vi prende parte e con Lei la madre mia e i fratelli. Tutti i parenti vi sono invitati. Tu
solo saresti assente, ed essi, i parenti ti chiedono di far contenti gli sposi.”
Gesù si inchina profondamente aprendo un poco le braccia e dice: “Desiderio di mia madre è mia
legge. Ma anche per Susanna e i parenti verrò. Solo... mi spiace per voi...” e guarda Pietro e gli altri.
“Sono miei amici” spiega al cugino. E li nomina cominciando da Pietro. Per ultimo dice: “e questo
è Giovanni” e lo dice in un modo tutto speciale, che attira lo sguardo più attento di Giuda Taddeo e
fa arrossire il prediletto. Termina la presentazione dicendo: “Amici: questo è Giuda figlio di Alfeo,
mio fratello, secondo la consuetudine del mondo, perché figlio del fratello dello sposo di mia
Madre. Un mio buon amico di lavoro e di vita.”
“La mia casa è aperta a te come al Maestro. Siedi” e poi, rivolto a Gesù, Pietro dice: “E allora? Non
verremo più con Te a Gerusalemme?”
“Certo che verrete. Dopo la festa di nozze Io andrò, Soltanto non mi fermerò più a Nazaret.”
“Fai bene, Gesù. Perché tua Madre è ospite mia per qualche giorno. E’ inteso così, e vi verrà Lei
pure dopo le nozze”. Così dice l’uomo di Cafarnao.
“Così faremo, allora. Ora con la barca di Giuda Io andrò a Tiberiade e da lì a Cana e con la stessa
tornerò a Cafarnao con la Madre e con te. Il giorno dopo il prossimo Sabato tu verrai, Simone, se
ancora vuoi venire, e andremo a Gerusalemme per la Pasqua.”
“Sì che vorrò! Anzi verrò il Sabato per udirti alla sinagoga.”
“Già ammaestri, Gesù?” chiede il Taddeo.
“Sì, cugino.”
“E che parole! Ah! non si odono sul labbro d’altri!”.
Giuda sospira. Col capo appoggiato alla mano, col gomito puntato sul ginocchio, guarda Gesù e
sospira. Pare voglia parlare e non osi.
Gesù lo stuzzica: “Che hai, Giuda? Perché mi guardi e sospiri?”
“Niente.”
“No. Niente non è. Non sono più il Gesù che tu amavi? Quello per cui non avevi segreti?”
“Sì, sì che lo sei! E come mi manchi Tu, Maestro del tuo più anziano cugino!”
“E allora? Parla.”
“Volevo dirti... Gesù... sii prudente... hai una Madre... che non ha che Te... Tu vuoi essere un
‘rabbi’ diverso dagli altri e Tu sai, meglio di me, che... che le caste potenti non permettono cose
diverse dalle consuetudinarie da loro messe. Conosco il tuo modo di pensare... è santo... Ma i
mondo non è santo... e opprime i santi... Gesù... Tu sai la sorte del tuo cugino il Battista... E’ in
prigione, e se ancor non è morto è perché quel lurido Tetrarca ha paura della folla e del fulmine di
Dio. Lurido e superstizioso come crudele e libidinoso. Tu che farai? A che sorte vuoi andare
incontro?”.
“Giuda: questo mi chiedi tu che conosci tanto del mio pensiero? Parli di tuo impulso? No. Non
mentire! Ti hanno mandato, e non mia Madre certo, a dirmi queste cose...”
Giuda abbassa il capo e tace.
“Parla cugino.”
“Mio padre... e con lui Giuseppe e Simone... sai... per tuo bene... per affetto per Te e Maria... non
vedono di buon occhio quello che Tu ti proponi di fare... e... e vorrebbero Tu pensassi a Tua
Madre...”
“E tu che pensi?”
“Io... io.”
“Tu sei combattuto fra le voci dell’Alto e della terra. Non dico del basso. Dico della terra. Anche
Giacomo lo è, più di te ancora. Ma Io vi dico che sopra la terra è il Cielo, sopra gli interessi del
mondo vi è la causa di Dio. Avete bisogno di cambiare modo di pensare. Quando lo saprete fare,
sarete perfetti.”
“Ma... e tua Madre?”
“Giuda, non c’è che Lei che avrebbe diritto a richiamarmi ai miei doveri di figlio, secondo la luce
della terra: ossia al mio dovere di lavorare per Lei per sovvenire ai suoi bisogni materiali, al mio
dovere di assistenza e conforto con una vicinanza alla Madre. E Lei non mi chiede nulla di questo.
Da quando mi ebbe, Ella sa che mi avrebbe perduto, per ritrovarmi in una maniera più vasta di
quella del piccolo cerchio della famiglia. E da allora si è preparata a questo. Non è nuova nel suo
sangue questa assoluta volontà di donazione a Dio. Sua madre l’ha offerta al Tempio prima che Ella
sorridesse alla luce. Ed Ella -me lo ha detto le innumeri volte che, tenendomi contro il suo cuore
nelle lunghe sere d’inverno o nelle chiare notti d’estate piene di stelle, mi ha parlato della sua
infanzia santa- ed Ella si è data a Dio sin da quelle prime luci della sua alba nel mondo. E più
ancora si è data quando mi ebbe, per essere dove Io sono, sulla via della missione che mi viene da
Dio. Tutti mi lasceranno in un’ora; magari per pochi minuti, ma la viltà sarà padrona di tutti e
penserete che era meglio, per la vostra sicurezza, non avermi mai conosciuto. Ma Lei, che ha
compreso e che sa, Lei sarà sempre meco. E voi tornerete ad essere miei per Essa. Con la forza
della sua sicura, amorosa fede, Ella vi aspirerà in sé e perciò riaspirerà in Me, perché Io sono nella
Madre ed Ella è in Me, e Noi in Dio. Questo vorrei che comprendeste, voi tutti, parenti secondo il
mondo, amici e figli secondo il soprannaturale. Tu, e con te gli altri, non sapete chi è mia Madre.
Ma se lo sapeste non la critichereste in cuor vostro per non sapermi tenere a Lei soggetto, ma la
vedreste come l’Amica più intima di Dio, la Potente che tutto può nel cuore dell’Eterno Padre e sul
Figlio del suo cuore. Per certo che a Cana verrò. Voglio farla felice. comprenderete meglio dopo
quest’ora.”
Gesù è imponente e persuasivo.
Guida lo guarda attento. Pensa. Dice: “Ed io pure per certo verrò con Te, insieme a questi, se mi
vuoi... perché sento che Tu dici cose giuste. Perdona alla mia cecità e a quella dei fratelli. Sei tanto
più santo di noi!...”
“Non ho rancore per chi non mi conosce. Non ne ho neppure per chi mi odia. Ma ne ho dolore per il
male che fa a se stesso. Che hai in quella sacca?”
“La veste che tua Madre ti manda. Gran festa, domani. Ella pensa che il suo Gesù ne abbia bisogno
per non sfigurare fra gli invitati. Ha filato indefessa dalle prime luci alle estreme, ogni giorno, per
prepararti questa veste. Ma non ha ultimato il mantello. Ancor ne mancano le frange. Ne è tutta
desolata.”
“Non occorre. Andrò con questo, e quello lo serberò per Gerusalemme. Il Tempio è più ancora di
una festa di nozze.”
“Ella ne sarà felice.”
“Se volete essere all’alba sulla via di Cana, vi conviene partire subito. La luna sorge e sarà buona la
traversata” dice Pietro.
“Andiamo, allora. Vieni, Giovanni. Ti porto con Me. Simon Pietro, Giacomo Andrea, addio. Vi
attendo la sera di Sabato a Cafarnao. Addio, donna. Pace a te e alla tua casa.”
Escono Gesù con Giuda e Giovanni. Pietro li segue sino a riva e aiuta l’operazione di partenza della
barca.
E la visione ha fine.
Dice Gesù:
“Quando sarà l’ora di fare un ordinato lavoro, sarà inserita qui la visione delle nozze di Cana. Metti
la data (16-1-44)”
52. Le nozze di Cana.
Il Figlio, non più soggetto alla Madre, compie per Lei il primo miracolo.
Sera del 16 gennaio 1944. Le nozze di Cana.
Vedo una casa. Una caratteristica casa orientale -un cubo bianco più largo che alto con rade
aperture- sormontata da una terrazza che fa da tetto, recintata da un muretto alto circa un metro e
ombreggiata da una pergola di vite, che si arrampica fin là e stende i suoi rami su oltre metà di
quella assolata terrazza. Una scala esterna sale lungo la facciata sino ad una altezza di una porta,
che si apre a metà altezza della facciata. Sotto ci sono, al terreno, delle porte basse e rade, non più di
due per lato, che mettono in stanze basse e scure. La casa sorge in mezzo ad una specie di aia, che
ha al centro un pozzo. Vi sono delle piante di fico e di melo. La casa guarda verso la strada, ma non
è sulla strada. E’ un poco in dentro, e un viottolo fra l’erba l’unisce alla via che sembra una via
maestra.
Si direbbe che la casa è alla periferia di Cana: casa di proprietari contadini, i quali vivono in mezzo
al loro poderetto. La campagna si stende oltre la casa con le sue lontananze verdi e placide. Vi è un
bel sole e un azzurro tersissimo di cielo. In principio non vedo altro. La casa è sola.
Poi vedo due donne, con lunghe vesti e un manto che fa anche da velo, avanzarsi sulla via e da
questa sul sentiero. Una è più anziana, sui cinquant’anni e veste di scuro: un color bigio marrone
come di lana naturale l’avvolge tutta . L’altra è vestita più in chiaro: una veste di un giallo pallido e
manto azzurro, e sembra avere un trentacinque anni. E’ molto bella, snella, e ha un portamento
pieno di dignità per quanto sia tutta gentilezza ed umiltà.. Quando è più vicina noto il colore pallido
del volto, gli occhi azzurri ed i capelli biondi che appaiono sotto il velo della fronte. Riconosco
Maria Santissima. Chi sia l’altra, che è bruna e più anziana, non so. Parlano fra loro e la Madonna
sorride. Quando sono prossime alla casa, qualcuno, certamente messo a guardia degli arrivi, dà
l’avviso, ed incontro alle due vengono uomini e donne tutti vestiti a festa, i quali fanno molte feste
alle due e specie a Maria Santissima.
L’ora appare mattutina, direi verso le nove, forse prima, perché la campagna ha ancora quell’aspetto
fresco delle prime ore del giorno, nella rugiada che fa più verde l’erba e nell’aria non ancora
offuscata dalla polvere. La stagione mi pare primaverile, perché i prati sono ancora con erba non
arsa dall’estate e i campi hanno il grano ancor giovane e senza spiga, tutto verde. Le foglie del fico
e del melo sono verdi e ancora tenere, e così quelle della vite. Ma non vedo fiori sul melo e non
vedo frutta né sul melo, né sul fico, né sulla vite. Segno che il melo ha già fiorito, ma da poco, e i
frutticini non si vedono ancora.
Maria, molto festeggiata e fiancheggiata da un anziano che pare il padrone di casa, sale la scala
esterna ed entra in una ampia sala che pare tenere tutta o buona parte del piano sopraelevato.
Mi pare di capire che gli ambienti al terreno sono le vere e proprie stanze di abitazione, le dispense,
i ripostigli e le cantine, e questo sia l’ambiente riservato a usi speciali, come feste eccezionali o a
lavori che richiedono molto spazio, o anche a distensione di derrate agricole. Nelle feste lo svuotano
da ogni impiccio e lo ornano, come è oggi, di rami verdi, di stuoie, di tavole imbandite. Al centro
ve ne è una molto ricca, con sopra già delle anfore e piatti colmi di frutta. Lungo la parete di destra,
rispetto a me che guardo, un’altra tavola imbandita, ma meno riccamente. Lungo quella di sinistra,
una specie di lunga credenza con sopra piatti con formaggi ed altri cibi che mi paiono focacce
coperte di miele e dolciumi. In terra, sempre presso questa parete, altre anfore e sei grossi vasi in
forma di brocca di rame (su per giù). Le chiamerei giare.
Maria ascolta benignamente quanto tutti le dicono, poi con bontà si leva il manto ed aiuta a finire i
preparativi della mensa. La vedo andare e venire aggiustando i letti-sedili, raddrizzando le ghirlande
di fiori, dando migliore aspetto alle fruttiere, osservando che nelle lampade vi sia l’olio. Sorride e
parla pochissimo e a voce molto bassa. Ascolta invece molto e con tanta pazienza.
Un grande rumore di strumenti musicali (poco armonici in verità) si ode sulla via. Tutti, meno
Maria, corrono fuori. Vedo entrare la sposa, tutta agghindata e felice, circondata dai parenti e dagli
amici, a fianco dello sposo che le è corso incontro per primo.
E qui la visione ha un mutamento. Vedo, invece della casa, un paese. Non so se sia Cana o altra
borgata vicina. E vedo Gesù con Giovanni ed un altro che mi pare Giuda Taddeo, ma potrei, su
questo secondo, sbagliare. Per Giovanni non sbaglio. Gesù è vestito di bianco ed ha un manto
azzurro cupo. Sentendo il rumore degli strumenti, il compagno di Gesù chiede qualcosa ad un
popolano, e riferisce a Gesù.
“Andiamo a far felice mia Madre” dice allora Gesù sorridendo. E si incammina attraverso ai campi,
per fare più presto, coi due compagni alla volta di casa. Mi sono dimenticata di dire che ho
l’impressione che Maria sia o parente o molto amica dei parenti dello sposo, perché si vede che è in
confidenza.
Quando Gesù arriva, il solito, messo di sentinella, avvisa gli altri. Il padrone di casa, insieme al
figlio sposo ed a Maria, scende incontro a Gesù e lo saluta rispettosamente. Saluta anche gli altri
due, e lo sposo fa lo stesso.
Ma quello che mi piace è il saluto pieno di amore e di rispetto di Maria al Figlio, e viceversa. Non
espansioni, ma uno sguardo tale accompagna la parola di saluto: “La pace è con Te”, e un tale
sorriso che vale cento abbracci e cento baci. Il bacio tremola sulle labbra di Maria, ma non vien
dato. Soltanto Ella pone la sua mano bianca e piccina sulla spalla di Gesù e gli sfiora un ricciolo
della sua lunga capigliatura. Una carezza da innamorata pudica.
Gesù sale a fianco della Madre e seguito dai discepoli e dai padroni, ed entra nella sala del convito,
dove le donne si danno da fare ad aggiungere sedili e stoviglie per i tre ospiti, inaspettati, mi
sembra. Direi che era incerta la venuta di Gesù e assolutamente impreveduta quella dei suoi
compagni.
Odo distintamente la voce piena, virile, dolcissima del Maestro, dire, nel porre piede nella sala: “La
pace sia in questa casa e la benedizione di Dio su voi tutti”. Saluto cumulativo a tutti i presenti e
pieno di maestà.
Gesù domina col suo aspetto e con la sua statura, tutti quanti. E’ l’ospite, e fortuito, ma pare il re del
convito, più dello sposo, più del padrone di casa. Per quanto sia umile e condiscendente, è colui che
si impone.
Gesù prende posto alla tavola di centro con lo sposo, la sposa, i parenti degli sposi e gli amici più
influenti. I due discepoli, per rispetto al Maestro, vengono fatti sedere alla stessa tavola.
Gesù ha le spalle voltate ala parete dove sono le giare e le credenze. Non le vede, perciò, e non vede
neppure l’affaccendarsi del maggiordomo intorno ai piatti di arrosti che vengono portati da una
porticina che si apre presso le credenze.
Osservo una cosa. Meno le rispettive madri degli sposi e meno Maria, nessuna donna siede a quel
tavolo. Tutte le donne sono, e fanno baccano per cento, all’altra tavola contro la parete, e vengono
servite dopo che si sono serviti gli sposi e gli ospiti di riguardo. Gesù è presso il padrone di casa ed
ha di fronte Maria, la quale siede a fianco della sposa.
Il convito comincia. E le assicuro che l’appetito non manca e neanche la sete. Quelli che mangiano
poco e poco bevono sono Gesù e sua Madre, la quale, anche, parla pochissimo. Gesù parla un poco
di più. Ma per quanto sia parco, non è, nel suo scarso parlare, né accigliato, né sdegnoso. E’ un
uomo cortese ma non ciarliero. Interrogato risponde, se gli parlano si interessa, espone il suo parere,
ma poi si raccoglie in Sé come uno abituato a meditare. Sorride, non ride mai. E, se sente qualche
scherzo troppo avventato, mostra di non udire. Maria si ciba della contemplazione del suo Gesù, e
così Giovanni che è verso il fondo della tavola e pende dalle labbra del suo Maestro.
Maria si accorge che i servi parlottano col maggiordomo e che questo è impacciato, e capisce cosa
c’è di spiacevole. “Figlio” dice piano, richiamando l’attenzione di Gesù con quella parola, “Figlio,
non hanno più vino”.
“Donna. che vi è più tra Me e Te?” Gesù, nel dirle questa frase, sorride ancor più dolcemente, e
sorride Maria, come due che sanno una verità che è loro gioioso segreto, ignorata da tutti gli altri.
Gesù mi spiega il significato della frase.
“Quel ‘più’, che molti traduttori omettono, è la chiave della frase e la spiega nel suo vero
significato.
Ero il Figlio soggetto alla Madre sino al momento in cui la volontà del Padre mio mi indicò esser
venuta l’ora di essere il Maestro. Dal momento che la mia missione ebbe inizio, non ero più il
Figlio soggetto alla Madre, ma il servo di Dio. Rotti i legami morali verso la mia Genitrice. Essi si
erano mutati in altri più alti, si erano rifugiati tutti nello spirito. Quello chiamava sempre “Mamma”
Maria, la mia Santa. L’amore non conobbe soste, né intiepidimento, anzi non fu mai tanto perfetto
come quando, separato da Lei come per una seconda filiazione, Ella mi dette al mondo per il
mondo, come Messia, come Evangelizzatore. La sua terza sublime, mistica maternità, fu quando,
nello strazio del Golgota, mi partorì alla Croce, facendo di Me il Redentore del mondo.
“Che vi è più fra Me e te?” Prima ero tuo, unicamente tuo. Tu mi comandavi, Io ti ubbidivo. Ti ero
‘soggetto’. Ora sono della mia missione.
Non l’ho forse detto? “Chi, messa la mano all’aratro si volge indietro a salutare chi resta, non è
adatto al Regno di Dio”. Io avevo posto la mano all’aratro per aprire col vomere non le glebe ma i
cuori, e seminarvi la parola di Dio. Avrei levata quella mano solo quando me l’avrebbero strappata
di là per inchiodarmela alla Croce ed aprire con il mio torturante chiodo il cuore del Padre mio,
facendone uscire il perdono per l’umanità.
Quel ‘più’, dimenticato dai più, voleva dire questo: “Tutto mi sei stata, o Madre, finché fui
unicamente il Gesù di Maria di Nazareth, e tutto mi sei nel mio spirito; ma da quando sono il
Messia atteso, sono del Padre mio. Attendi un poco ancora e, finita la missione, sarò da capo tutto
tuo; mi riavrai ancora sulle braccia come quand’ero bambino e nessuno te lo contenderà più, questo
tuo Figlio, considerato un obbrobrio dell’umanità, che te ne getterà la spoglia per coprire te pure
dell’obbrobrio d’essere madre di un reo. E poi mi avrai di nuovo, trionfante, e poi mi avrai per
sempre, trionfante Tu pure in Cielo. Ma ancora sono di tutti questi uomini. E sono del Padre che mi
ha mandato ad essi”.
Ecco quello che vuole dire quel piccolo e così denso di significato ‘più’.
Maria ordina ai servi: “Fate quello che Egli vi dirà”. Maria ha letto negli occhi sorridenti del Figlio
l’assenso, velato dal grande insegnamento a tutti i ‘vocati’. E ai servi: “Empite d’acqua le idrie”
ordina Gesù.
Vedo i servi empire le giare di acqua portata dal pozzo (odo stridere la carrucola che porta su e giù
il secchio gocciolante). Vedo il maggiordomo mescersi un poco di quel liquido con occhi di
stupore, assaggiarlo con atti di più vivo stupore, gustarlo e parlare al padrone di casa e allo sposo
(erano vicini).
Maria guarda ancor al Figlio e sorride; poi, raccolto un sorriso di Lui, china il capo arrossendo
lievemente. E’ beata.
Nella sala passa un sussurro, le teste si volgono tutte verso Gesù; c’è chi si alza per vedere meglio,
chi va alle giare. Un silenzio, e poi un coro di lodi a Gesù.
Ma Egli si alza e dice una parola: “Ringraziate Maria” e poi si sottrae al convito. I discepoli lo
seguono. Sulla soglia ripete: “La pace sia a questa casa e la benedizione di Dio su voi” e aggiunge:
“Madre, ti saluto”
La visione cessa.
Gesù mi istruisce cosi:
“Quando dissi ai discepoli: ‘Andiamo a far felice mia Madre’, avevo dato alla frase un senso più
alto di quello che pareva. Non la felicità di vedermi, ma di essere Lei l’Iniziatrice della mia attività
di miracolo e la Prima Benefattrice dell’umanità. Ricordatevelo sempre. Il mio primo miracolo è
avvenuto per Maria. Il primo. Simbolo che è Maria la chiave del miracolo. Io non ricuso nulla alla
Madre mia e per sua preghiera anticipo anche il tempo della grazia. Io conosco mia Madre, la
seconda in bontà dopo Dio. So che farvi grazia è farla felice, poiché è la Tutta Amore. Ecco perché
dissi, Io che sapevo: ‘Andiamo a farla felice’.
Inoltre ho voluto rendere manifesta la sua potenza al mondo insieme alla mia. Destinata ad essere a
Me congiunta nella carne, -poiché fummo una carne: Io in Lei, Lei intorno a Me, come petali di un
giglio intorno al pistillo odoroso e colmo di vita- congiunta a Me nel dolore -poiché fummo sulla
Croce Io con la carne e Lei col suo spirito, così come il giglio odora e colla corolla e coll’essenza
tratta da essa- era giusto fosse congiunta a Me nella potenza che si mostra al mondo.
Dico a voi ciò che dissi a quei convitati: “Ringraziate Maria. E’ per Lei che avete avuto il Padrone
del miracolo e che avete le mie grazie, e specie quelle di perdono”
Riposa in pace. Noi siamo con te.”
53. La cacciata dei mercanti dal Tempio.
24 ottobre 1944.
[...].
Vedo Gesù che entra con Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, nel recinto
del Tempio.
Vi è grandissima folla entro e fuori di esso. Pellegrini che giungono a frotte da ogni parte della
città. Dall’alto del colle su cui il tempio è costruito, si vedono le vie cittadine, strette e contorte,
formicolare di gente. Pare che tra il bianco crudo delle case si sia steso un nastro semovente dai
mille colori. Sì, la città ha l’aspetto di un bizzarro giocattolo, fatto di nastri variopinti fra due fili
bianchi e tutti convergenti al punto dove splendono le cupole della Casa del Signore.
Nell’interno poi è... una vera fiera. Ogni raccoglimento di luoghi sacri è annullato. Chi corre e chi
chiama, chi contratta gli agnelli e urla e maledice per il prezzo esoso, chi spinge le povere bestie
belanti nei recinti (sono rudimentali divisioni di corde o di pioli, al cui ingresso sta il mercante, o
proprietario che sia, in attesa dei compratori). Legnate, belati, bestemmie, richiami, insulti ai
garzoni non solleciti nelle operazioni di adunata e di cernita delle bestie e ai compratori che
lesinano sul prezzo o che se ne vanno, maggiori insulti a quelli che, previdenti, hanno portato, di
loro, l’agnello.
Intorno ai banchi dei cambiavalute, altro vocio. Si capisce che, non so se in ogni momento o in
questo pasquale, si capisce che il Tempio funzionava da ... Borsa, e borsa nera. I valore delle
monete non era fisso. Vi era quello legale, di certo vi sarà stato, ma i cambiavalute ne imponevano
un altro, appropriandosi di un tanto, messo a capriccio, per il cambio delle monete. E le assicuro che
non scherzavano nelle operazioni di strozzinaggio!... Più uno era povero e veniva da lontano, e più
era pelato. I vecchi più dei giovani, quelli provenienti da oltre Palestina più dei vecchi.
Dei poveri vecchierelli guardavano e riguardavano il loro peculio messo da parte con chissà che
fatica in tutta l’annata, se lo levavano e se lo rimettevano in seno cento volte, girando dall’uno
all’altro cambiavalute e finivano magari per tornare dal primo, che si vendica della loro iniziale
diserzione, aumentando l’aggio del cambio... e le grosse monete lasciavano, tra dei sospiri, le mani
del proprietario e passavano fra le grinfie dell’usuraio e venivano mutate in monete più spicciole.
Poi altra tragedia di scelte, di conti e sospiri davanti ai venditori di agnelli, i quali, ai vecchietti
mezzi ciechi, appioppavano gli agnelli più grami.
Vedo tornare due vecchietti, lui e lei, spingendo un povero agnelletto che deve essere stato trovato
difettoso dai sacrificatori. Pianti, suppliche, mali garbi, parolacce si incrociano senza che il
venditore si commuova.
“Per quello che volete spendere, galilei, è fin troppo bello quanto vi ho dato. Andatevene! O
aggiungete altri cinque denari per averne uno più bello.”
“In nome di Dio! Siamo poveri e vecchi! Vuoi impedirci di fare la Pasqua, che è l’ultima forse?
Non ti basta quello che hai voluto per una piccola bestia?”
“Fate largo, lerciosi. Viene a me Giuseppe l’Anziano. Mi onora della sua preferenza. Dio sia con te!
Vieni, scegli!”
“Entra nel recinto, e prende un magnifico agnello, quello che è chiamato Giuseppe l’Anziano, ossia
il d’Arimatea. Passa pomposo nella veste, e superbo, senza guardare i poverelli gementi alla porta,
anzi all’apertura del recinto. Li urta, quasi, specie quando esce coll’agnello grasso e belante.
Ma anche Gesù è ormai vicino. Anche Lui ha fatto il suo acquisto, e Pietro, che probabilmente ha
contrattato per Lui, si tira dietro un agnello discreto.
Pietro vorrebbe andare subito verso il luogo dove si sacrifica. Ma Gesù piega a destra, verso i due
vecchietti sgomenti, piangenti, indecisi, che la folla urta e il venditore insulta.
Gesù, tanto alto da avere il capo dei due nonnetti all’altezza del cuore, pone una mano sulla spalla
della donna e chiede: “Perché piangi, donna?”
La vecchietta si volge e vede questo giovane alto, solenne nel suo bell’abito bianco e nel mantello
pure di neve, tutto nuovo e mondo. Lo deve scambiare per un dottore sia per la veste che per
l’aspetto e, stupita, perché dottori e sacerdoti non fanno caso alla gente, né tutelano i poveri contro
l’esosità dei mercanti, dice le ragioni del loro pianto.
Gesù si rivolge all’uomo degli agnelli. “Cambia questo agnello a questi fedeli. Non è degno
dell’altare, come non è degno che tu ti approfitti di due vecchierelli perché deboli e indifesi.”
“E Tu chi sei?”
“Un giusto.”
“La tua parlata e quella dei tuoi compagni ti dicono galileo. Può essere mai in Galilea un giusto?”
“Fa quello che ti dico e sii giusto tu.”
“Udite! Udite il galileo difensore dei suoi pari! Egli vuole insegnare a noi del Tempio! L’uomo ride
e beffeggia, contraffacendo la cadenza galilea, che è più cantante e ricca di dolcezza della giudaica,
almeno così mi pare.
Della gente si fa intorno, e altri mercanti e cambiavalute prendono le difese del consocio contro
Gesù.
Fra i presenti vi sono due o tre rabbini ironici. Uno di questi chiede: “Sei Tu dottore?” in un modo
tale da far perdere la pazienza a Giobbe.
“Lo hai detto.”
“Che insegni?”
“Questo insegno: a rendere la Casa di Dio casa di orazione e non un posto di usura e di mercato.
Questo insegno.”
Gesù è terribile. Pare l’arcangelo posto sulla soglia del Paradiso perduto. Non ha spada
fiammeggiante tra le mani, ma ha i raggi negli occhi, e fulmina derisori e sacrileghi. In mano non ha
nulla. Solo la sua santa ira. E con questa, camminando veloce e imponente fra banco e e banco,
sparpaglia le monete così meticolosamente allineate per qualità, ribalta tavoli e tavolini, e tutto cade
con fracasso al suolo, fra un gran rumore di metalli rimbalzanti e legni percossi e grida d’ira, di
sgomento, di approvazione. Poi, strappate di mano a dei garzoni del bestiame, delle funi con cui essi
tenevano a posto bovi, pecore, e agnelli, ne fa una sferza ben dura, in cui i nodi per formare i lacci
scorsoi divengono flagelli, e l’alza e la rotea e l’abbassa, senza pietà. Sì, le assicuro: senza pietà.
La impensata gradine percuote teste e schiene. I fedeli si scansano ammirando la scena; i colpevoli,
inseguiti fino alla cinta esterna, se la danno a gambe lasciando per terra denaro e indietro bestie e
bestiole in un grande arruffio di gambe, di corna, di ali; chi corre, chi vola via; e muggiti, belati,
scruccolii di colombi e tortore, insieme a risate e urla di fedeli dietro agli strozzini in fuga,
soverchiano persino il lamentoso coro degli agnelli, sgozzati in un altro cortile di certo.
Accorrono sacerdoti insieme a rabbini e farisei. Gesù è ancora in mezzo al cortile, di ritorno da suo
inseguimento. La sferza è ancora nella sua mano.
“Chi sei? Come ti permetti di fare questo, turbando le cerimonie prescritte? Da quale scuola
provieni? Noi non ti conosciamo, né sappiamo chi sei.”
“Io sono Colui che posso. Tutto Io posso. Disfate pure questo Tempio vero ed Io lo risorgerò per
dar lode a Dio. Non Io turbo la santità della Casa di Dio e delle cerimonie, ma voi la turbate
permettendo che la sua dimora divenga sede agli usurai ed ai mercanti. La mia scuola è la scuola di
Dio. La stessa che ebbe tutto Israele per bocca dell’Eterno parlante a Mosè. Non mi conoscete? Mi
conoscerete. Non sapete da dove Io vengo? Lo saprete.”
E volgendosi al popolo, senza più curarsi dei sacerdoti, alto nell’abito bianco, col mantello aperto e
fluente dietro le spalle, a braccia aperte come un oratore nel più vivo della sua orazione, dice:
“Udite, voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: ‘’Tu costituirai dei giudici e dei magistrati a tutte
le porte... ed essi giudicheranno il popolo con giustizia, senza propendere da nessuna parte. Tu non
avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché i donativi accecano gli occhi dei savi ed
alterano le parole dei giusti. Con giustizia seguirai ciò che è giusto per vivere e possedere la terra
che il Signore tuo ti avrà data.’’
Udite, o voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: ‘’I sacerdoti e i leviti e tutti quelli della tribù di
Levi non avranno parte né eredità col resto di Israele, perché devono vivere coi sacrifizi del Signore
e colle offerte che a Lui sono fatte; nulla avranno tra i possessi dei loro fratelli, perché il Signore è
la loro eredità.’’
Udite, o voi di Israele! Nel deuteronomio è detto: ‘’Non presterai ad interesse al tuo fratello né
denaro, né grano, né qualsiasi altra cosa. Potrai prestare ad interesse allo straniero; al tuo fratello
invece presterai senza interesse quello che gli bisogna’’.
Questo ha detto il Signore.
Ora voi vedete che senza giustizia verso il povero si siede in Israele. Non nel giusto, ma nel forte si
propende, ad esser povero, esser popolo, vuol dire essere oppresso. Come può il popolo dire: ‘’Chi
ci giudica è giusto’’ se vede che solo i potenti sono rispettati e ascoltati, mentre il povero non ha chi
lo ascolti? Come può il popolo rispettare il Signore, se vede che non lo rispettano coloro che più
dovrebbero farlo? E’ rispetto al Signore la violazione del suo comando? E perché allora i sacerdoti
in Israele hanno possessi e accettano donativi da pubblicani e peccatori, i quali così fanno per avere
benigni i sacerdoti, così come questi fanno per avere ricco scrigno?
Dio è l’eredità dei suoi sacerdoti. Per essi, Egli, il Padre di Israele, è più che mai Padre, e provvede
al cibo come è giusto. Ma non più di quanto sia giusto. Non ha promesso ai suoi servi del Santuario
borsa e possessi. Nell’eternità avranno il Cielo per la loro giustizia, come lo avranno Mosé ed Elia e
Giacobbe e Abramo, ma su questa terra non devono avere che veste di lino e diadema di
incorruttibile oro: purezza e carità, e che il corpo sia servo allo spirito che è servo del Dio vero, e
non sia il corpo colui che è signore sullo spirito e contro Dio.
M’è stato chiesto con quale autorità Io faccio questo Ed essi con quale autorità profanano il
comando di Dio e all’ombra delle sacre mura permettono usura contro i fratelli di Israele, venuti per
ubbidire al comando divino? M’è stato chiesto da quale scuola Io provengo ed ho risposto: ‘’Dalla
scuola di Dio’’. Sì, Israele, Io vengo e ti riporto a questa scuola santa e immutabile.
Chi vuol conoscere la Luce, la Verità, la Vita, chi vuole risentire la voce di Dio parlante al suo
popolo, a Me venga. Avete seguito Mosé attraverso i deserti, o voi di Israele. Seguitemi, ché Io vi
porto, attraverso a ben più tristo deserto, incontro alla vera Terra beata. Per mare aperto al comando
di Dio ad essa vi traggo. Alzando il mio Segno, da ogni male Io vi guarisco.
L’ora della Grazia è venuta. L’hanno attesa i Patriarchi e sono morti nell’attenderla. L’hanno
predetta i Profeti e sono morti con questa speranza. L’hanno sognata i giusti e sono morti confortati
da questo sogno. Ora è sorta.
Venite. ‘’Il Signore sta per giudicare il suo popolo e per fare misericordia ai suoi servi’’, come ha
promesso per bocca di Mosè.”
La gente, assiepata intorno a Gesù, è rimasta a bocca aperta ad ascoltarlo. Poi commenta le parole
del nuovo Rabbi e interroga i suoi compagni.
Gesù si avvia verso un altro cortile, separato da questo da un porticato. Gli amici lo seguono e la
visione ha fine.
54. L’incontro con Giuda di Keriot e con Tommaso.
Simone Zelote sanato dalla lebbra.
26 ottobre 1944.
Gesù è insieme ai suoi sei discepoli. Tanto l’altro giorno che oggi, non vedo Giuda Taddeo, che
pure aveva detto di voler venire a Gerusalemme con Gesù.
Devono essere ancora le feste pasquali, perché c’è sempre molta folla per la città. E’ verso sera, e
molti si affrettano alle case.
Anche Gesù va verso la casa dove è ospitato. Non è la casa del Cenacolo. Quella è più nella città,
per quanto prossima ai confini di essa. Questa è una vera casa già di campagna, fra folti ulivi. Dal
rustico piazzaletto che ha sul davanti, si vedono le piante scendere a balzi giù dal colle, fermandosi
là dove è un torrentello poco ricco d’acque che se ne va fra l’insenatura che è tra due colli, poco
alti: sulla cima di un colle è il Tempio, sull’altro colle solo ulivi e ulivi. Gesù è alle prime pendici di
questo morbido colle che sale senza asprezza, tutto mite di piante pacifiche.
“Giovanni, vi sono due uomini che aspettano il tuo amico” dice un uomo anziano, che deve essere il
contadino o il proprietario dell’uliveto. Direi che Giovanni lo conosce.
“Dove sono? Chi sono?”
“Non so. Uno certo è giudeo. L’altro... non saprei. Non glielo ho chiesto.”
“Dove sono?”
“Nella cucina in attesa e... e... sì... ecco... c’è anche uno tutto piaghe... L’ho fatto stare perché... non
vorrei fosse lebbroso... Dice che vuole vedere il Profeta che ha parlato al Tempio.”
Gesù, che sino a quel momento aveva taciuto, dice: “Andiamo prima da questo. Dì agli altri di
venire, se vogliono. Parlerò qui, nell’uliveto, con loro.” E si dirige verso il punto indicato
dall’uomo.
“E noi? Che facciamo?” chiede Pietro.
“Venite, se volete.”
Un uomo tutto imbacuccato è addossato al muretto rustico che sostiene un balzo, il più prossimo al
limite del podere. Deve esser salito lì da un viottoletto che conduce lì costeggiando il torrentello.
Quando vede venire verso di lui Gesù, grida: “Indietro, indietro! Ma anche pietà!”. E scopre il suo
tronco lasciando cadere la veste. Se il viso è già coperto di croste, il tronco è un ricamo di piaghe.
Quali già ridotte a buchi fondi, quali semplicemente come bruciature rosse, quali biancastre e lucide
come se sopra avessero un vetrino bianco.
“Sei lebbroso! Che vuoi da Me?”
“Non mi maledire! Non mi lapidare! Mi han detto che l’altra sera ti sei manifestato come Voce di
Dio e Portatore della Grazia. Mi han detto che Tu hai assicurato che alzando il tuo Segno sani ogni
male. Alzalo su me. Vengo dai sepolcri... là... Ho strisciato come un serpe tra i rovi del torrente per
giungere qui non visto. Ho aspettato la sera a farlo, perché nella penombra meno si vede chi sono.
Ho osato... ho trovato costui, della casa, abbastanza buono. Non mi ha ucciso. Mi ha detto solo:
“Attendi contro il muretto’’. Abbi Tu pure pietà.” e poiché Gesù si avvicina (Lui solo, perché i sei
discepoli e il padrone del luogo, con i due sconosciuti, sono lontani e mostrano chiaramente
ribrezzo) dice ancora; “Non più avanti! Non più! Sono infetto!”. Ma Gesù procede. Lo guarda con
tanta pietà, che l’uomo si pone a piangere e si inginocchia col volto quasi a terra e geme: “Il tuo
segno! Il tuo segno!”
“Sarà alzato nella sua ora. Ma a te dico: alzati. Sii sanato. Lo voglio. E siimi tu segno in questa città
che deve conoscermi. Sorgi, dico! E non peccare, per riconoscenza a Dio!”
L’uomo si alza piano piano. Pare che emerga di fra le erbe alte e fiorite come da un lenzuolo di
tomba... ed è guarito. Si guarda all’ultima luce. E’ guarito. Grida: “Mondo sono! Oh! che devo fare
ora per Te?”
“Ubbidire alla Legge. Vai dal sacerdote. Sii buono in futuro, Va'!”
L’uomo ha un moto per gettarsi ai piedi di Gesù, ma si ricorda d’esser ancora impuro, secondo la
Legge, e si trattiene. Ma si bacia le mani e getta il bacio a Gesù e piange. Di gioia.
Gli altri sono di pietra. Gesù volge le spalle al guarito e sorridendo li riscuote. “Amici, non era che
una lebbra della carne. Ma voi vedrete cadere la lebbra dai cuori. Siete voi che mi volete?” dice ai
due sconosciuti. “Eccomi. Chi siete?”
“Ti abbiamo udito l’altra sera... nel Tempio. Ti abbiamo cercato per la città. Un che si dice tuo
parente ci ha detto che qui stai.”
“Perché mi cercate?”
“Per seguirti, se ci vuoi, perché Tu hai parole di verità”
“Seguirmi? Ma sapete dove sono diretto?”
“No, Maestro, ma certo alla gloria.”
“Sì. Ma ad una gloria non della terra. Ad una gloria che ha la sua sede nel Cielo e che si conquista
con virtù e sacrificio. Perché volete seguirmi?” torna a chiedere.
“Per avere parte della tua gloria”
“Secondo il Cielo?”
“Sì, secondo il Cielo.”
“Non tutti possono arrivarvi. Perché Mammona insidia i desiderosi di Cielo più degli altri. E solo
che sa fortemente volere, resiste. Perché seguirmi, se seguire Me vuol dire lotta continua con il
nemico che è in noi, col mondo nemico, e col Nemico che è Satana?”
“Perché così vuole il nostro spirito, che è rimasto conquistato da Te. Tu sei santo e potente. Noi
vogliamo essere tuoi amici.”
“Amici!!!” Gesù tace e sospira. Poi guarda fisso quello che ha sempre parlato e che ora ha lasciato
cadere il mantello dal capo, apparendo a testa nuda. E’ Giuda di Keriot. “Chi sei, tu che parli meglio
di un popolano?”
“Giuda sono, di Simone. Di Keriot sono. Ma son del Tempio (o nel Tempio). Attendo e sogno il Re
dei giudei. Re ti ho sentito nella parola. Re ti ho visto nel gesto. Prendimi con Te.”
“Prenderti? Ora? Subito? No,”
“Perché, Maestro?”
“Perché è meglio pesare se stessi prima di prendere vie molto erte.”
“Non credi alla mia sincerità?”
“L’hai detto. Credo al tuo impulso. Ma non credo alla tua costanza. Pensaci, Giuda. Io ora andrò via
e tornerò per la Pentecoste. Se stai nel Tempio, mi vedrai. Pesa te stesso. E tu chi sei?”
“Un altro che ti vide. Vorrei esser teco. Ma ora ne ho sgomento.”
“No. La presunzione è rovina. Il timore può essere un ostacolo, ma se viene da umiltà è aiuto. Non
temere. Anche tu, pensa, e quando verrò...”
“Maestro, sei tanto santo! Ho paura di non esser degno. Non d’altro. Perché sul mio amore non
temo...”
“Come ti chiami?”
“Tommaso, detto Didimo.”
“Ricorderò il tuo nome. Va’ in pace.”
Gesù li congeda e si ritira nella casa ospitale per la cena.
I sei che sono con Lui, vogliono sapere molte cose. “Perché, Maestro, hai fatto differenza fra i
due?... Perché differenza ci fu. Tutti e due avevano lo stesso impulso...” chiede Giovanni.
“Amico, anche lo stesso impulso può avere diverso succo e fare diverso effetto. Certo che i due
hanno lo stesso impulso. Ma uno non è uguale all’altro nel fine. E quello che pare il meno perfetto è
il più perfetto, perché non ha fomite di gloria umana. Mi ama perché mi ama.”
“Anche io!”
“Ed io pure!”
“Ed io.”
“Ed io.”
“Ed io.”
“Ed io.”
“Lo so. Vi conosco per quel che siete.”
“Siamo dunque perfetti?”
“Oh! no! Ma, come Tommaso, lo diverrete se permarrete nella vostra volontà d’amore. Perfetti?
Oh! amici! E chi è perfetto se non Dio?”
“Tu lo sei!”
“In verità vi dico che non per Me perfetto sono, se voi credete essere Io un profeta. Niun uomo è
perfetto. Ma perfetto Io sono perché Quel che vi parla è il Verbo del Padre. Parete di Dio, il suo
Pensiero che si fa Parola. Io ho la Perfezione in Me. E tale credere mi dovete, se credete essere Io il
Verbo del Padre. Eppure lo vedete, amici. Io voglio esser chiamato il Figlio dell’uomo, perché
annichilo Me stesso, addossandomi dell’uomo tutte le miserie, per portarle, mio primo patibolo, e
annullarle dopo averle portate, ma non avute. Che peso, amici! Ma lo porto con gioia. E’ la mia
gioia il portarlo perché, essendo il Figlio dell’umanità renderò l’umanità figlia di Dio. Come il
primo giorno.”
Gesù parla dolcemente, seduto alla povera mensa con le mani che gesticolano pacatamente sulla
tavola, il volto un poco inclinato, illuminato da sotto in su dalla lampadetta ad olio posata sulla
tavola. Sorride lievemente, già Maestro nell’imponenza e tanto amico nel tratto. I discepoli lo
ascoltano attenti.
“Maestro... perché tuo cugino, pur sapendo dove Tu abiti, non è venuto?”
“Pietro mio!... Tu sarai una delle mie pietre, la prima. Ma non tutte le pietre sono facili da usarsi.
Hai visto i marmi del palazzo pretorio? Strappati a fatica al seno montano ora sono parte del
Pretorio. Guarda invece quei sassi che splendono là, al raggio di luna, fra le acque del Cedron. Da
loro sono venuti nell’alveo, e se uno li vuole, ecco, subito si lasciano prendere. Il cugino mio è
come le prime pietre di cui parlo... Il seno del monte, la famiglia, lo contende a Me.”
“Ma io voglio essere in tutto come i sassi del torrente. Per Te sono pronto a lasciare tutto: casa,
sposa, pesca, fratelli. Tutto, Rabbomi, per Te.”
“Lo so, Pietro. Per questo ti amo. Ma anche Giuda verrà”
“Chi? Giuda di Keriot? Non ci tengo. E’ un bel signorino, ma... preferisco... Me stesso
preferisco...”. Ridono tutti all’uscita di Pietro. “Non c’è niente da ridere. Voglio dire che preferisco
un galileo schietto, rozzo, pescatore, ma senza frode a... ai cittadini che... non so... Ecco, il Maestro
capisce ciò che mi intendo.”
“Sì, capisco. Ma non giudicare. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro sulla terra, e i buoni sono
mescolati ai malvagi come i fiori su un campo. La cicuta è a fianco della salutifera malva.”
“Io vorrei chiedere una cosa...”
“Quale, Andrea?”
“Giovanni mi ha raccontato del miracolo fatto a Cana... Era in noi tanta speranza che Tu ne facessi
uno a Cafarnao... e Tu hai detto che non facevi miracolo se prima non avevi adempiuto la Legge.
Perché allora a Cana? E perché qui e non nella patria tua?”
“Ogni ubbidienza alla Legge è unione con Dio e perciò aumento della capacità nostra. Il miracolo è
la prova dell’unione con Dio, della presenza benevola e consenziente di Dio. Per questo Io ho
voluto fare il mio dovere di israelita prima di iniziare la serie dei prodigi.”
“Ma Tu non eri tenuto alla Legge.”
“Perché? Come Figlio di Dio, no. Ma come figlio della Legge, sì. Israele, per ora, non mi conosce
che come tale... E anche dopo, quasi tutto Israele mi conoscerà come tale, anzi, come meno ancora.
Ma Io non voglio dare scandalo a Israele e ubbidisco alla Legge.”
“Sei santo.”
“La santità non esclude dall’ubbidienza. Anzi, la perfeziona. Vi è l’esempio da dare, oltre al resto.
Che diresti di un padre, di un maggior fratello, di un maestro, di un sacerdote che non dessero buon
esempio?”
“E Cana, allora?”
“Cana era la gioia di mia Madre da farsi. Cana è l’anticipo che si deve dare a mia Madre. Ella è
l’Anticipatrice della Grazia. Qui do onore alla Città Santa, facendo di essa, pubblicamente
l’iniziatrice del mio potere di Messia. Ma là, a Cana, Io davo onore alla Santa di Dio, alla Tutta
Santa. Il mondo mi ha per Essa. E’ giusto che ad Essa vada il mio primo prodigio nel mondo.”
Bussano alla porta. E’ Tommaso da capo. Entra e si butta ai piedi di Gesù. “Maestro... io non posso
attendere il Tuo ritorno. Lasciami con Te. Sono pieno di difetti, ma ho questo amore, solo, grande,
vero, il mio tesoro. E’ tuo, è per Te. Lasciami, Maestro...”
Gesù gli pone la mano sul capo. “Resta, Didimo. Seguimi. Beati quelli che sono sinceri e tenaci nel
volere. Voi benedetti. Più che parenti mi siete, perché mi siete figli e fratelli non secondo il sangue
che muore ma secondo il volere di Dio e il vostro volere spirituale. Ora Io dico che non ho più
stretto parente di colui che fa la volontà del Padre mio, e voi la fate, perché volete il bene”.
La visione cessa così. Sono le ore 16 e già cadono su di me le ombre del sopore che sento sarà
violento, logica conseguenza della penosa ora di ieri...
[...].
55. Un incarico affidato a Tommaso.
27 ottobre 1944.
Stamane, rinvenendo da un pesantissimo sopore di molte ore, mentre prego attendendo si faccia
giorno, ho la ripresa della visione.
Dico ripresa perché siamo ancora nello stesso ambiente: la larga e bassa cucina, scura nelle pareti
fumose, appena illuminata da una fiammella a olio posta sulla tavola rustica, lunga e stretta, alla
quale sono seduti in otto persone - Gesù e i sei discepoli, più il padrone di casa - quattro per lato.
Gesù, ancora rigirato sul suo sgabello - perché qui non sono altro che sgabelli senza spalliera, a tre
piedi, proprio cose di campagna - parla ancora con Tommaso. La mano di Gesù è scesa dal capo di
Tommaso alla spalla dello stesso. Gesù dice: “Alzati, amico. Hai già cenato?”.
“No, Maestro. Ho fatto pochi metri con l’altro che era meco, e poi l’ho lasciato e sono tornato
indietro dicendogli che volevo parlare al lebbroso guarito... Ma ho detto così perché pensavo che
egli avrebbe sdegnato di accostarsi ad un impuro. Ho indovinato. Ma io cercavo Te, non il
lebbroso... Volevo dirti: “Prendimi!”... Mi sono aggirato su e giù per l’uliveto, finché un giovane mi
ha chiesto che facevo. Deve avermi creduto un malintenzionato... Era presso un pilastro, là dove ha
inizio il podere”.
Il padrone di casa sorride: “E’ mio figlio” spiega poi, e aggiunge: “E’ di guardia al frantoio.
Abbiamo nelle caverne, sotto il frantoio, quasi ancora tutto il raccolto dell’anno. Fu molto buono.
Molto olio ci dette. E in tempi di folla che sempre si uniscono malandrini che svaligiano i posti
incustoditi. Otto anni fa, proprio per Parasceve, ci derubarono tutto. Da allora, una notte per uno,
facciamo buona guardia. La madre è andata a portargli la cena.”
“Ebbene, mi disse: “Che vuoi?’’, e lo disse con un tono che, per salvarmi la pelle dal suo bastone,
spiegai lesto: “Cerco il Maestro che abita qui’’. Mi rispose allora: “Se è vero ciò che dici, vieni alla
casa’’. E mi ha accompagnato fin qui. E’ lui che ha bussato, e non se ne è andato che quando ha
sentito le mie prime parole.”
“Abiti lontano?”
“Alloggio dall’altro lato della città, vicino alla Porta Orientale.”
“Sei solo?”
“Ero con i parenti. Ma essi sono andati da altri parenti sulla strada di Betlemme. Io sono rimasto per
cercarti notte e giorno finché ti avessi trovato.”
Gesù sorride e dice: “Allora nessuno ti attende?”
“No, Maestro.”
“La strada è lunga, la notte è buia, le pattuglie romane sono per la città. Io ti dico: se vuoi, resta con
noi.”
“Oh! Maestro!”. Tommaso è felice.
“Fate posto, voi. E date tutti qualcosa al fratello”. Di suo Gesù dà la porzione di formaggio che
aveva davanti. Spiega a Tommaso: “Siamo poveri e la cena è quasi terminata. Ma c’è tanto cuore in
chi dona”. E a Giovanni, seduto al suo fianco, dice: “Cedi il posto all’amico.”
Giovanni si alza subito e va a sedersi all’angolo della tavola vicino al padrone di casa.
“Siedi, Tommaso. Mangia.” E poi a tutti: “Così sempre farete, amici, per legge di carità. Il
pellegrino è già protetto dalla Legge di Dio. Ma ora, in mio nome, più ancora lo dovrete amare.
Quando uno vi chiede un pane, un sorso d’acqua, un ricovero in nome di Dio, dovete darlo, nello
stesso nome. E ne avrete da Dio la ricompensa. Questo dovete fare con tutti. Anche coi nemici. E
questa è la Legge nuova. Fino ad ora vi era detto: ‘Amate coloro che vi amano e odiate i nemici’. Io
vi dico:’ Amate anche coloro che vi odiano. Oh! se sapeste come sarete amati da Dio se amerete
come Io vi dico! Quando poi uno dice: ‘Io vi voglio essere compagno nel servire il Signore Iddio
Vero e seguire il suo Agnello’, allora più caro di un fratello di sangue vi deve essere, perché sarete
uniti da un vincolo eterno: quello del Cristo”
“Ma se poi ne capita uno non sincero? Dire: ‘Io voglio fare questo e quello’ è facile. Ma non sempre
la parola risponde a verità” dice Pietro piuttosto irritato. Non so, non è del suo solito umore
gioviale.
“Pietro, ascolta. Tu parli con buon senso e con giustizia. Ma, vedi: meglio è peccare di bontà e di
fiducia che di diffidenza e durezza. Se beneficherai un indegno, che male te ne verrà? Nessuno. Ma
anzi il premio di Dio sarà sempre attivo per te, mentre a lui andrà il demerito di aver tradito la tua
fiducia.”
“Nessun male? Eh! Delle volte chi è indegno non si ferma all’ingratitudine, ma passa oltre e giunge
anche a nuocere nella stima, nelle sostanze e nella vita stessa.”
“Vero. Ma questo diminuirebbe il tuo merito? No. Anche se tutto il mondo credesse alle calunnie,
anche se tu fossi ridotto più povero di Giobbe, anche se il crudele ti levasse la vita, che sarebbe
mutato agli occhi di Dio? Nulla. Anzi, sì, un mutamento ci sarebbe. Ma in bene per te. Dio, ai meriti
della bontà, unirebbe i meriti del martirio intellettuale, finanziario, fisico.”
“Bene, bene! Sarà così” Pietro non parla più. Imbronciato, sta col capo appoggiato alla mano.
Gesù si rivolge a Tommaso: “Amico, ti ho detto prima, nell’uliveto: ‘Quando tornerò da queste
parti, se vorrai ancora, sarai mio’. Ora ti dico: “Sei disposto a fare un piacere a Gesù?”
“Senza dubbio.”
“Ma se questo piacere può causare sacrificio?”
“Nessun sacrificio per servirti, Che vuoi?”
“Volevo dirti... ma tu avrai commerci, avrai affetti... ”
“Niente, niente! Ho Te! Parla.”
“Ascolta. Domani alle prime luci il lebbroso si partirà dai sepolcri per trovare chi avverta il
sacerdote. Tu andrai ai sepolcri per primo. E’ carità. E dirai forte: ‘O tu che ieri sei stato mondato,
vieni fuori. Mi manda a te Gesù di Nazaret, il Messia d’Israele, Colui che ti ha sanato’. Fa che il
mondo dei ‘morti viventi’ conosca il mio Nome e frema di speranza, e chi alla speranza unisce la
fede, venga a Me, che Io lo guarisca. E’ la prima forma della mondezza che Io porto, della
resurrezione di cui sono padrone. Un giorno ben più fonda mondezza Io darò... Un giorno i sepolcri
sigillati erutteranno i morti veri che appariranno per ridere, dalle loro occhiaie vuote, dalle
mandibole scoperte, per il giubilo lontano, e pur sentito dagli scheletri, degli spiriti liberati dal
Limbo d’attesa. Appariranno per ridere a questa liberazione e per fremere sapendo a che la
devono... Tu va'. Egli verrà a te. Tu farai ciò che egli ti prega di fare. Lo aiuterai in tutto come ti
fosse fratello. E gli dirai anche: ‘Quando sarai del tutto purificato, andremo insieme sulla strada di
del fiume, oltre Doco ed Efraim. Là il Maestro Gesù ti attende e mi attende per dirci in che lo
dobbiamo servire.”
“Farò così, E l’altro?”
“Chi? L’Iscariota?”
“Sì, Maestro.”
“Per lui dura il mio consiglio. Lascialo decidere da sé, e per lungo tempo. Evita anzi di incontrarlo”
“Starò presso il lebbroso. Nella valle dei sepolcri, solo li immondi si aggirano o chi ha contatti di
pietà con loro.”
Pietro borbotta qualcosa. Gesù ode.
“Pietro, che hai? Taci o mormori. Sembri malcontento. Perché?”
“Lo sono. Noi siamo i primi e Tu a noi non regali un miracolo. Noi siamo i primi E Tu ti fai sedere
vicino un estraneo. Noi siamo i primi e Tu a lui, e non a noi, dai degli incarichi. Noi siamo i primi
e... sì proprio, ecco, e sembra che si sia gli ultimi. Perché li attendi sulla via del fiume? Certo per
dare a loro qualche missione. Perché a loro e non a noi?”
Gesù lo guarda. Non è irato. Anzi sorride come si sorride ad un ragazzo. Si alza, va lentamente da
Pietro, gli pone la mano sulla spalla e dice sorridendo: “Pietro! Pietro! Sei un grande, un vecchio
bambino! e ad Andrea, seduto presso il fratello, dice: “Vai al mio posto” e si siede a fianco di
Pietro, cingendolo con un braccio alle spalle, e gli parla tenendolo, così, contro la sua spalla:
“Pietro, ti pare che Io faccia ingiustizia, ma non è ingiustizia la mia. E’ anzi prova che so quel che
valete. Guarda. Chi ha bisogno di prove? Colui che ancora non è sicuro. Orbene Io vi sapevo tanto
sicuri su Me, che non ho sentito bisogno di darvi prove del mio potere. Qui a Gerusalemme
occorrevano prove, qui dove vizio, irreligione, politiche, tante cose del mondo, offuscano gli spiriti
al punto che essi non possono vedere la Luce che passa. Ma là, sul nostro bel lago, così puro sotto
un cielo puro, là fra gente onesta e vogliosa di bene, non sono necessarie prove. Li avrete i miracoli.
A fiumi verserò su di voi le grazie. Ma, guarda come vi ho stimato, Io vi ho presi senza esigere
prove e senza trovare bisogno di darvene, perché so chi siete. Cari, tanto cari, e tanto a Me fedeli.”
Pietro si rasserena: “Perdonami, Gesù.”
“Sì, ti perdono perché il tuo broncio è amore. Ma non avere più invidia, Simone di Giona. Sai cosa
è il cuore del tuo Gesù? Hai mai visto il mare, il vero mare? Sì? Ebbene, il mio cuore è ben più
vasto del largo mare! E c’è posto per tutti. Per tutta l’umanità. E il più piccolo ha posto come il più
grande. E il peccatore vi trova l’amore come l’innocente. A questi do una missione? Sicuro. Mi
vuoi vietare di darla? Io vi ho scelto. Non voi. Sono perciò libero di giudicare come impiegarvi. E
se questi li lascio qui con una missione -che può esser anche una prova, come può essere
misericordia il lasso di tempo lasciato all’Iscariota- puoi tu rimproverarmene? Sai se a te non ne
serbo una più vasta? E non è la più bella quella di sentirai dire: “Tu verrai con Me”?
“E’ vero, è vero! Sono una bella bestia! Perdono...”
“Sì. Tutto, ogni perdono. Oh! Pietro!... Ma vi prego tutti: non discutete mai sui meriti e sui posti.
Avrei potuto nascere re. Sono nato povero, in una stalla. Avrei potuto essere ricco. Ho vissuto di
lavoro e ora di carità. Eppure, credetelo, amici, non c’è alcuno grande agli occhi di Dio più di Me.
Di Me che sono qui: servo dell’uomo.”
“Servo Tu? Non mai!”
“Perché, Pietro?”
“Perché io ti servirò.”
“Anche tu mi servissi come una madre serve l’infante, Io sono venuto per servire l’uomo. Per lui
sarò Salvatore. Che servizio pari a questo?”
“Oh! Maestro! Tu tutto spieghi. E quel che pareva oscuro si fa subito chiaro!”
“Lieto, ora, Pietro? Allora lasciami finire di parare a Tommaso. Sei certo di riconoscere il lebbroso?
Non vi è che lui di guarito; ma potrebbe essere già partito alla luce delle stelle, per trovare un
viandante sollecito. E un altro, per ansia di entrare in città, vedere i parenti, forse, potrebbe
sostituirsi a lui. Ascolta il suo ritratto. Io gli ero vicino e nel crepuscolo l’ho visto bene. E’ alto e
magro. Di colorito oscuro come un sangue misto, occhi profondi e nerissimi sotto sopracciglia di
neve, capelli bianchi come il lino e piuttosto ricci, naso lungo, camuso verso la punta come quello
dei Libî, labbra grosse, specie l’inferiore, e sporgenti. E’ tanto olivastro che il labbro è tendente al
violaceo. Sulla fronte una cicatrice di antica data è rimasta, e sarà l’unica macchia, ora che sarà
mondato da croste e sudiciume.”
“E’ un vecchio, se è tutto bianco.”
“No Filippo. Lo sembra ma non lo è. La lebbra lo ha fatto canuto”
“Cosa è? Un sangue misto?”
“Forse, Pietro. Ha somiglianza coi popoli d’Africa.”
“Sarà israelita, allora?”
“Lo sapremo. Ma se non lo fosse?”
“Eh! se non lo fosse se ne andrebbe. Già molto aver meritato d’esser guarito.”
“No, Pietro. Anche fosse idolatra, Io non lo caccerò. Gesù è venuto per tutti. E in verità ti dico che i
popoli delle tenebre sorpasseranno i figli della Luce...”
Gesù sospira. Poi si alza. Rende grazie al Padre con un inno e benedice.
La visione cessa così.
Faccio notare incidentalmente che il mio interno ammonitore mi ha detto fin da ieri sera quando
vedevo il lebbroso: “E’ Simone, l’apostolo. Vedrai la venuta di lui e di Taddeo al Maestro.”
Stamane, dopo la comunione (è Venerdì) apro il messale e vedo che proprio oggi è la vigilia della
festa di Simone e Giuda, e il Vangelo di domani parla proprio sulla carità, quasi ripetendo le parole
da me udite prima della visione. Giuda Taddeo, però, per ora non l’ho visto.
56. Simone Zelote e Giuda Taddeo uniti nella sorte.
28ottobre 1944.
Siete pur belle, rive del Giordano, così come eravate ai tempi di Gesù! Vi vedo e mi beo nella
vostra maestosa pace verde-azzurra. sonante d’acque e di fronde con tono dolce come melodia.
Sono per una strada abbastanza ampia e anche abbastanza ben tenuta. Deve essere una strada
maestra, meglio: militare, tracciata dai romani per congiungere le diverse regioni con la capitale.
Scorre presso al fiume, ma non proprio lungo il fiume. E’ separata da esso da una zona boschiva che
credo abbia il compito di rassodare le rive e far resistenza alle acque nei tempi di piena. Dall’altro
lato della strada la boschiva continua, di modo che la via pare una galleria naturale sopra la quale si
intrecciano i rami fronzuti. Benefico ristoro per i viandanti in questi paesi di gran sole.
Il fiume, è perciò naturalmente la via, ha, nel punto in cui mi trovo, un arco lento, di modo che io
vedo il proseguire dell’argine fronzuto come una muraglia verde, messa a chiudere un bacino di
acque quiete. Pare quasi un lago di un parco signorile. Ma l’acqua non è la ferma acqua di un lago.
Scorre, sebbene lentamente. E ne è prova il fruscio che fa contro i primi canneti, i più audaci che
sono nati proprio giù, nel greto, e l’ondulazione che hanno i lunghi nastri delle foglie di essi,
pendenti sul pelo dell’acqua e mosse da questa. Anche un gruppo di salici, dai flessibili rami
spioventi, hanno affidato il sommo della loro verde capigliatura al fiume, e quello pare pettinarla
con grazia di carezza, stendendola dolcemente a filo di corrente.
Silenzio e pace è nell’ora mattutina. Solo canti e richiami di uccelli, fruscio d’acque e fronde, e un
gran brillare di rugiada sull’erba verde e alta che è fra gli alberi, non ancora indurita e ingiallita dal
sole estivo, ma tenera e nuova per essere nata dopo la primaverile effusione d’acque, che ha nutrito
la terra, fin nel profondo, di umidore e di succhi buoni.
Tre viandanti sono fermi in questa svolta della strada, proprio a un vertice dell’arco. Guardano in su
e in giù, a sud dove è Gerusalemme, a nord dove è la Samaria. Scrutano fra i colonnati delle piante
per vedere se giunge qualcuno atteso. Sono Tommaso, Giuda Taddeo, e il lebbroso guarito. Parlano.
“Vedi nulla?”
“Io no.”
“Neppure io.”
“Eppure questo è il posto.”
“Ne sei sicuro?”
“Sicuro, Simone. Uno dei sei mi ha detto, mentre il Maestro si allontanava fra le acclamazioni della
folla dopo il miracolo di uno storpio mendicante, guarito alla Porta dei Pesci: ‘Noi ora andiamo
fuori Gerusalemme. Attendici a cinque miglia fra Gerico e Doco, alla curva del fiume, lungo la via
alberata’. Questa. Ha detto anche: ‘Vi saremo fra tre giorni all’aurora’. E’ il terzo giorno, e la quarta
vigilia qui ci ha trovato.”
“Verrà? Forse era meglio seguirlo da Gerusalemme.”
“Non potevi ancora venire tra la folla, Simone.”
Se mio cugino vi ha detto di venire qui, qui verrà. Mantiene sempre ciò che promette. Non c’è che
da attendere.”
“Sei sempre stato con Lui?”
“Sempre. Da quando tornò a Nazaret fu con me un buon compagno. Sempre insieme. Siamo della
stessa età, io di poco più anziano. E poi ero il preferito dal Padre di Lui, fratello a mio padre. Anche
la Madre mi voleva molto bene. Sono cresciuto più con Lei che con mia madre.”
“Ti voleva... Ora non ti vuole più lo stesso bene?”
“Oh! sì! Ma ci siamo un poco divisi da quando Egli si è fatto profeta. I miei parenti non ne hanno
piacere.”
“Quali parenti?”
“Mio padre e i due maggiori. L’altro e titubante... Mio padre è molto vecchio e non ho avuto cuore
di urtarlo. Ma ora... Ora non più. Ora io vado dove cuore e mente mi attirano. Vado da Gesù. Non
credo di offendere la Legge, facendo così. Ma già... se non fosse giusto ciò che voglio fare, Gesù
me lo direbbe. Farò ciò che Lui dice. E’ lecito ad un padre ostacolare un figlio nel bene? Se io sento
che lì è salute, perché impedirmi di averla? Perché i padri ci sono nemici talora?”
Simone sospira come per tristi ricordi e china il capo, ma non parla.
Risponde invece Tommaso: “Io ho già superato l’ostacolo. Mio padre mi ha udito e mi ha
compreso. Mi ha benedetto dicendo: ‘Va'! Questa Pasqua sia per te liberazione dalla schiavitù di
un’attesa. Felice te che puoi credere. Io attendo. Ma se è proprio Lui e te ne accorgerai seguendolo,
vieni al tuo vecchio padre per dirgli: ‘Vieni. Israele ha l’Atteso’”.
“Sei più fortunato di me. E dire che noi siamo vissuti al suo fianco!... E non crediamo, noi di
famiglia!... E diciamo, ossia, loro dicono: ‘E’ uscito di senno’”
“Ecco un gruppo di persone” grida Simone. “E’ Lui, è Lui! Riconosco la sua testa bionda! Oh!
venite! Corriamo!”
Si danno a camminare velocemente verso sud. Gli alberi, ora che il sommo dell’arco è raggiunto,
nascondono il resto della via, di modo che i due gruppi si trovano quasi di fronte quando meno se
l’aspettano. Gesù pare risalga dal fiume, perché è fra gli alberi della sponda.
“Maestro!”
“Gesù!”
“Signore!”
I tre gridi del discepolo, del cugino, del guarito squillano, adoranti e festosi.
“Pace a voi!” Ecco la bella, non confondibile voce piena, sonora e pacata, espressiva, netta, virile,
dolce e incisiva. “Tu pure, Giuda, cugino mio?”
Si abbracciano. Giuda piange.
“Perché questo pianto?”
“Oh! Gesù! Io voglio stare con Te!”
“Ti ho atteso sempre. Perché non sei venuto?”
Giuda china il capo e tace.
“Non hanno voluto! E ora?”
“Gesù, io... io non posso ubbidire a loro. Voglio ubbidire a Te solo.”
“Ma Io non ti ho dato comando,”
“No, Tu no. Ma è la tua missione che comanda! E’ Colui che ti ha mandato che parla qui, in mezzo
al mio cuore, e mi dice: ‘Va' da Lui’. E’ Colei che ti ha generato e che mi è stata maestra soave, che
col suo sguardo di colomba, mi dice, senza usar parole: ‘Sii di Gesù!’ . Posso io non tener conto di
quella voce eccelsa che mi trivella il cuore? Di questa preghiera di santa che certo mi supplica per il
mio bene? Solo perché sono cugino per parte di Giuseppe, non devo conoscerti per quello che sei,
mentre il Battezzatore ti ha conosciuto, lui che non ti aveva mai visto, qui, sulle sponde di questo
fiume e ti ha salutato ‘Agnello di Dio’? Ed io, io che sono cresciuto con Te, io che mi sono fatto
buono seguendo Te, io che sono diventato figlio della legge per merito di tua Madre e da Lei ho
aspirato non i seicentotredici precetti dei rabbini, oltre la Scrittura e le preghiere, ma l’anima di esse
tutte, io non dovrei essere capace di nulla?”
“E tuo padre?”
“Mio padre? Non gli manca pane e assistenza, e poi... Tu mi dài l’esempio. Tu hai avuto pensiero al
bene del popolo più che al piccolo bene di Maria. E Lei è sola. Dimmi Tu, Maestri mio, non è lecito
forse, senza mancare di rispetto, dire ad un padre: ‘Padre, io ti amo. Ma sopra te è Dio, e Lui
seguo’”
“Giuda, parente e amico, Io te lo dico: tu sei moto avanti nella via della Luce. Vieni. E’ lecito dire
al padre così quando è Dio che chiama. Nulla è sopra Dio. Anche le leggi del sangue cessano, ossia
si sublimano, perché con le nostre lacrime noi diamo ai padri, alle madri più vasto aiuto, e per più
eterna cosa che non è la giornata del mondo. Seconoi li traiamo al Cielo e, per la stessa via di
sacrificio degli affetti, a Dio. Resta, dunque, Giuda. Ti ho atteso e sono felice di riaverti, amico
della mia vita nazarena.”
Giuda è commosso.
Gesù si volge a Tommaso: “Hai ubbidito fedelmente. Prima virtù del discepolo.”
“Sono venuto per esserti fedele”.
“E lo sarai. Io te lo dico. Vieni, tu che stai vergognoso nell’ombra. Non temere.”
“Signore mio!”. L’ex-lebbroso è ai piedi di Gesù.
“Alzati. Il tuo nome?”
“Simone.”
“La tua famiglia?”
“Signore... era potente... io pure ero potente... Ma astio di sette e... e errori di gioventù hanno leso la
sua potenza. Mio padre... Oh! io devo parlare contro di lui, che mi è costato lacrime non celesti! Tu
lo vedi, l’hai visto che dono mi ha fatto!”
“Era lebbroso?”
“Non lebbroso, come non io. Ma malato di una malattia d’altro nome, che noi d'Israele mettiamo
comune con le lebbre diverse. Egli... - allora trionfava ancora la sua casta - visse e morì potente
nella sua casa. Io... se Tu non mi salvavi, sarei morto nei sepolcri.”
“Sei solo?”
“Solo. Ho un servo fedele che si cura di quanto mi resta. L’ho fatto avvertito.”
“Tua madre?”
“E’... morta”. L’uomo pare impacciato.
Gesù l’osserva attentamente. “Simone, mi hai detto: ‘Che devo fare per Te?’ Ora Io te lo dico:
“Seguimi.”
“Subito, Signore!... Ma... ma io... lascia che ti dica una cosa. Sono, ero chiamato ‘zelote’ per la
casta, e ‘cananeo’ per madre. Tu vedi. Sono scuro. In me ho sangue di schiava. Mio padre non
aveva figli dalla moglie e mi ebbe da una schiava. La moglie, una buona, mi allevò come figlio e mi
curò nelle infinite malattie, finché morì...”
“Non ci sono schiavi o affrancati, agli occhi di Dio. Una sola ai suoi occhi è la schiavitù: il peccato.
Ed Io sono venuto a levarla. Tutti vi chiamo, perché il Regno è di tutti. Sei colto?”
“Son colto. Avevo anche il mio posto fra i grandi. Finché il male fu nascosto sotto le vesti. Ma
salito al viso... Non parve vero ai nemici di usarlo per confinarmi tra i ‘morti’ per quanto, come
disse un medico di Cesarea, romano, che io consultai, la mia non fosse lebbra vera, ma una
serpigine ereditaria, per cui bastava non procreassi per non propagarla. Posso io non maledire mio
padre?”
“Devi non maledirlo. Ti ha fatto ogni male...”
“Oh! sì! Dilapidatore di sostanze, vizioso, crudele, senza cuore né affetto. Mi ha negato salute,
carezze, pace, mi ha bollato con un nome che è spregio e con una malattia che è un marchio di un
obbrobrio... Di tutto si è fatto padrone. Anche del futuro del figlio. Tutto mi ha levato: anche la
gioia di esser padre.”
“Per questo ti dico: ‘Seguimi’. Al mio fianco, al mio seguito troverai Padre e figli. Alza lo sguardo,
Simone. Là il Padre vero ti sorride. Guarda negli spazi della terra, nei continenti, per le contrade.
Figli e figli vi sono; figli d’anima per i senza figli. Attendono te, e molti come te attendono. Sotto il
mio Segno non ci sono più derelizioni. Nel mio Segno non ci sono più solitudini né differenze. E’
segno d’amore. E amore dà. Vieni, Simone, che non hai avuto figli. Vieni, Giuda, che perdi il padre
per amor mio. Vi unisco nella sorte.”
Egli li ha presso tutti e due. Tiene le mani sulle loro spalle come per una presa di possesso, come
per imporre un giogo comune. Poi dice: “Vi unisco. Ma ora vi separo. Tu, Simone, resterai qui con
Tommaso. Preparerai con esso le vie del mio ritorno. Fra non molto Io tornerò, e voglio che popolo
e popolo mi attendano. Dite ai malati, tu lo puoi dire, che Colui che guarisce viene. Dite agli
attendenti che il Messia è fra il suo popolo. Dite ai peccatori che vi è chi perdona per dare forza di
salire...”
“Ma saremo capaci?”
“Sì. Non avete che dire: ‘Egli è giunto. Vi chiama. Vi aspetta. Viene per farvi grazia. Siate qui
pronti per vederlo’. e alle parole unite il racconto di ciò che sapete. E tu, Giuda, cugino, vieni con
Me e con questi. Ma tu resterai a Nazaret.”
“Perché, Gesù?”
“Perché mi devi preparare la via in patria. Credi piccola missione? In verità non ve ne è una più
grave...” Gesù sospira.
“E riuscirò?”
“Sì e no. Ma tutto sarà sufficiente per essere giustificati”
“Di che? E presso chi?”
“Presso Dio. Presso la patria. Presso la famiglia. Non potranno rimproverarci perché abbiamo
offerto il bene. E se la patria e la famiglia do sdegneranno, noi non avremo colpa della loro perdita.”
“E noi?”
“Voi, Pietro? Voi tornerete alle reti.”
“Perché?”
“Perché Io vi istruirò lentamente e vi prenderò quando vi troverò pronti.”
“Ma ti vedremo, allora?”
“Certo. Verrò a voi sovente, o vi farò chiamare quando sarò a Cafarnao. Ora salutatevi, amici, e
andiamo. Vi benedico, o voi che rimanete. La mia pace con voi.”
E ha termine la visione.
57. A Nazareth con Giuda Taddeo e con altri sei discepoli.
31 ottobre 1944.
Gesù giunge con il cugino e sei discepoli nelle prossimità di Nazaret. Dall’alto del poggio dove si
trovano si vede la cittadina, bianca fra il verde, salire e scendere per le chine su cui è costruita, un
dolce ondulare di chine, dove appena sentito, dove più marcato.
“Siamo giunti, amici. Ecco là la mia casa. Mia Madre è in essa perché fumo si eleva dalla casa.
Forse fa il pane. Io non vi dico: ‘Restate’, perché penso che avrete ansia di giungere a casa. Ma se
volete spezzare con Me il pane e conoscere Quella che già Giovanni conosce, vi dico: ‘Venite’”.
I sei, che erano già tristi per l’imminente separazione, tornano tutti lieti e accettano di cuore.
“Andiamo, dunque”
Scendono sveltamente la collinetta e prendono la via maestra. E’ verso sera. Fa ancora caldo, ma
già le ombre scendono sulla campagna in cui le biade tendono a maturare. Entrano in paese. Donne
che vanno e vengono dalla fonte, uomini sulle soglie delle minuscole officine o negli orti, salutano
Gesù e Giuda.
I bambini, poi, si affollano intorno a Gesù.
“Sei tornato?”
“Adesso resti qui?”
“Mi si è rotta di nuovo a ruota del carrettino.”
“Sai, Gesù? Mi è nata una sorella e l’hanno chiamata Maria.”
“Il maestro mi ha detto che so tutto e che sono un vero figlio della Legge.”
“Sara non c’è perché ha la mamma malata forte. Piange perché ha paura.”
“Mio fratello Isacco ha preso moglie. C’è stata una gran festa.”
Gesù ascolta, carezza, encomia, promette aiuto.
Giungono a casa così. E sulla soglia è Maria, avvisata da un ragazzetto premuroso.
“Figlio mio!”
“Mamma!”
I due sono uno fra le braccia dell’altra. Maria, molto più bassa di Gesù, ha il capo appoggiato sul
sommo del petto del Figlio, chiusa fra il cerchio delle sue braccia. Egli la bacia su capelli biondi.
Entrano in casa.
I discepoli, Giuda compreso, restano fuori, per lasciare liberi i due nelle loro prime espansioni.
“Gesù! Figlio mio!” La voce di Maria è trepida come quella di chi ha le lacrime in gola.
“Perché, mamma, così?”
“O Figlio! Mi hanno detto... Nel Tempio c’erano dei galilei, dei nazareni, quel giorno... Sono
tornati... e hanno raccontato... O Figlio!”
“Ma tu lo vedi, Mamma! Io sto bene. Nessun male m’è venuto. Solo è venuta gloria a Dio nella sua
Casa.”
“Sì. Lo so, Figlio del mio cuore. So che è stato come lo squillo che evoca i dormienti. E per la
gloria di Dio io ne sono felice... felice che questo popolo si svegli a Dio... Io non ti rimprovero... io
non ti ostacolo... ti comprendo... e... son felice... ma ti ho generato, io, Figlio mio!...”
Maria sta ancora fra il cerchio delle braccia di Gesù ed ha parlato tenendo le manine aperte e
appoggiate sul petto del Figlio, colla testa alzata verso di Lui, l’occhio più lucido per il pianto che è
pronto a scendere, e ora tace, riappoggiando la testa sul petto di Lui. Pare una tortorina grigia, così
vestita di bigiognolo come è, fra il riparo di due forti ali di candore, perché Gesù è ancora col suo
abito e manto bianco.
“Mamma! Povera Mamma! Cara Mamma!...” Gesù la bacia ancora. Poi dice: “Ebbene, vedi? Io
sono qui, e non solo. Ho con Me i discepoli primi, e altri sono in Giudea. E anche il cugino Giuda è
con Me e mi segue...”
“Giuda?”
“Sì, Giuda. So perché sei stupita. Certo, fra coloro che hanno parlato del fatto erano Alfeo coi figli...
e non erro dicendo che mi hanno criticato. Ma non avevo paura. Oggi così, domani non così.
L’uomo va coltivato come la terra, e dove sono triboli escono rose. Giuda, che Tu ami, è già con
Me.”
“Dove è ora?”
“Fuori, con gli altri. Hai pane per tutti?”
“Sì, Figlio. Maria d’Alfeo è nel forno che lo sforna. Molto buona è Maria con me, e specie ora.”
“Dio le darà gloria.” Si fa sulla porta e chiama: “Giuda! Qui è tua madre! Amici, venite!”
Entrano e salutano. Ma Giuda bacia Maria. E poi corre in cerca di sua madre.
Gesù nomina i cinque: Pietro, Andrea, Giacomo, Natanaele, Filippo; perché Giovanni, già noto a
Maria, l’ha salutata subito dopo Giuda, inchinandosi e ricevendone la benedizione.
Maria li saluta e li invita a sedersi. E’ la padrona di casa e, pur adorando con lo sguardo il suo Gesù,
- pare che l’anima continui a parlare, per gli occhi, col Figlio - si occupa degli ospiti. Vorrebbe
portare l’acqua per ristorarli. Ma Pietro scatta: “No, Donna. Non posso permetterlo. Tu siedi presso
tuo Figlio, Madre santa. Io andrò, andremo nell’orto per rinfrescarci.”
Accorre Maria d’Alfeo, rossa e infarinata, e saluta Gesù che la benedice, e poi conduce i sei
nell’orto, alla vasca, e torna felice. “Oh! Maria!” dice alla Vergine. “Giuda mi ha detto. Come sono
contenta! Per Giuda e per te, cognata mia. So che gli altri mi grideranno. Ma non m’importa. Sarò
felice il giorno che li saprò tutti con Gesù. Noi mamme sappiamo... sentiamo quello che è bene per i
figli. E io sento che il bene delle mie creature sei Tu, Gesù.”
Gesù la carezza sul capo, sorridendole.
Tornano i discepoli e Maria d’Alfeo serve pane fragrante, ulive e formaggio. E porta un’anforetta di
vinetto rosso, che Gesù mesce ai suoi amici. E’ sempre Gesù che offre e poi distribuisce.
Un poco impacciati sulle prime, i discepoli dopo si fanno più sicuri, e raccontano delle loro case,
del viaggio a Gerusalemme, dei miracoli avvenuti. Sono pieni di zelo e di affetto, e Pietro cerca di
farsi di Maria un’alleata per ottenere di essere subito presi da Gesù senza attese a Betsaida.
“Fate quanto Egli dice” esorta Lei, con un sorriso soave. “Questa attesa vi gioverà più di un’unione
immediata. Il mio Gesù fa tutto bene quanto fa.”
La speranza di Pietro muore. Ma egli si rassegna con buon garbo. Chiede solo: “Durerà molto
l’attesa?”
Gesù lo guarda con un sorriso, ma non dice altro.
Maria interpreta quel sorriso come un segno benevolo, e dice: “Simone di Giona, Egli sorride...
perciò io ti dico: rapido come un volo di rondine sul lago sarà il tempo del tuo attendere
ubbidiente.”
“Grazie, Dona.”
“Non parli, Giuda? E tu Giovanni?”
“Ti guardo, Maria.”
“Ed io pure.”
“Anche io vi guardo e... sapete? Mi torna in mente un’ora lontana. Anche allora avevo sempre tre
paia d’occhi fissi al mio viso, con amore. Ricordi, Maria, i tre miei scolari?”
“Oh! se ricordo! E’ vero! Anche ora tre, di un’età quasi uguale, ti guardano con tutto l’amore che è
loro. E costui, Giovanni, credo, mi pare il Gesù d’allora, così biondo e roseo, e più giovane di tutti.”
Gli altri vogliono sapere, e ricordi e aneddoti scorrono nelle parole col tempo. Viene la sera.
“Amici, Io non ho ambienti. Ma lì vi è il laboratorio dove lavoravo. Se volete trovare rifugio lì...
Ma non vi sono che i banconi.”
“Letto comodo per pescatori usi a dormire su assi strette. Grazie, Maestro. Dormire sotto il tuo tetto
è onore e santificazione.”
Si ritirano con molti saluti. Anche Giuda si ritira con sua madre; vanno nella loro casa.
In questa stanza restano Gesù e Maria, seduti sulla cassapanca, al lume della lucernetta, un braccio
intorno alle spalle dell’altro, e Gesù racconta, e Maria ascolta, beata, trepida, felice...
La visione cessa così.
58. Guarigione di un cieco a Cafarnao.
7 ottobre 1944.
Dice Gesù. e subito la quiete si fa in me e la letizia di questa quiete luminosa mi fa ilare il cuore:
“Vedi. Tanto gli piacciono gli episodi dei ciechi. Diamogliene un altro”. E io vedo.
Vedo un bellissimo tramonto estivo. Il sole ha infuocato tutto l’occidente, e il lago di Genezaret è
una enorme lastra accesa sotto il cielo acceso.
Le strade di Cafarnao cominciano appena a popolarsi di gente: donne che vanno alla fonte, uomini,
pescatori che preparano reti e navigli per la pesca notturna, bambini che corrono giuocando per le
vie, asinelli con le corbe che vanno verso la campagna, forse per prendere verdure.
Gesù si affaccia su un uscio che dà su un cortiletto tutto ombreggiato da una vite e da un fico, oltre
il quale vi è una vietta sassosa che bordeggia il lago. Deve essere la casa di Pietro (invece è la casa
della suocera di Pietro) perché questo è sulla riva con Andrea e prepara nella barca le ceste per il
pesce e le reti, dispone sedili e rotoli di corde. Tutto per la pesca, insomma, e Andrea lo aiuta,
andando e venendo dalla casa alla barca.
Gesù interpella il suo apostolo: “Sarà buona pesca?”
“E’ il tempo propizio. Calma l’acqua, e chiara sarà la luna. I pesci affioreranno dal profondo e la
mia rete li trascinerà seco.”
“Andiamo soli?”
“Oh! Maestro! Ma come vuoi fare, con questo sistema di reti, ad esser soli?”
“Non ho mai pescato e aspetto che tu m’insegni.” Gesù scende piano piano verso il lago e si ferma
sulla riva di rena grossa e ciottolosa, presso la barca.
“Vedi, Maestro: si fa così. Io esco a fianco della barca di Giacomo di Zebedeo e si va sino al punto
buono, così a pariglia. Poi si cala la rete. Un capo lo teniamo noi. Tu lo vuoi tenere, mi hai detto.”
“Sì, se mi dici che devo fare,”
“Oh! non c’è che da sorvegliare la discesa. Che la rete scenda adagio e senza far nodi. Adagio,
perché saremo su acque di pescagione e un movimento troppo brusco può allontanare i pesci. E
senza nodi per non rendere chiusa la rete, che si deve aprire come una borsa, o un velo, se più ti
piace, gonfiato dal vento. Poi, quando la rete è tutta discesa, noi remeremo piano o andremo con la
vela a seconda del bisogno, facendo un semicerchio sul lago, e quando il vibrare del cavicchio di
sicurezza ci dirà che la pesca è buona, dirigeremo a terra e là, quasi a riva - non prima per non
risicare di veder sfuggire la preda, non dopo per non rovinare pesci e reti sui sassi - isseremo la rete.
E qui ci vuole occhio, perché le barche devono venire tanto vicine che da una si possa ritirare
l’estremo della rete dell’altra, ma non da urtarsi per non schiacciare la sacca piena di pesce. Mi
raccomando, Maestro, è il nostro pane. Occhio alla rete, che non si scavicchi con le scosse. I pesci
difendono la loro libertà con forti colpi di coda, e se sono molti... Tu capisci... Sono piccole bestie,
ma messe in dieci, in cento, in mille, diventano forti come Leviatan.”
“Come avviene delle colpe, Pietro. In fondo una non è irreparabile. Ma se uno non cura di limitarsi
a quell’una e accumula, accumula, accumula, finisce che la piccola colpa, forse una semplice
omissione, una semplice debolezza, diviene sempre più grossa, diviene abitudine, diviene vizio
capitale. Delle volte si comincia da uno sguardo concupiscente, e si finisce ad un adulterio
consumato. Delle volte da una mancanza di carità di parola verso un parente, e si finisce a una
violenza contro un prossimo. Guai a incominciare e a lasciare che le colpe aumentino di peso col
loro numero! Diventano pericolose e prepotenti come il Serpente infernale stesso, e trascinano
nell’abisso della Geenna.”
“Dici bene, Maestro... ma siamo tanto deboli!”
“Avvertenza e preghiere per esser forti e avere aiuto, e ferma volontà di non peccare. Poi una
grande fiducia nell’amorosa giustizia del Padre.”
“Tu dici che non sarà troppo severo per il povero Simone?”
“Per il vecchio Simone poteva essere anche severo. Ma per il mio Pietro, l’uomo nuovo, l’uomo del
suo Cristo... no, Pietro. Egli ti ama e ti amerà.”
“E io?”
“Anche tu, Andrea; e con te Giovanni e Giacomo, Filippo e Natanaele. Siete i miei primi eletti.”
“Ne verranno altri? C'è tuo cugino, e in Giudea.....”
“Oh! molti! Il mio Regno è aperto a tutto il genere umano e in verità ti dico che più abbondante
della più abbondante tua pesca sarà la mia nella notte dei secoli... Ché ogni secondo è una notte in
cui è guida e luce non la pura luce di Orione o quella della navigante luna, ma la parola di Cristo e
la Grazia che da Lui verrà; notte che conoscerà l’aurora di un giorno senza tramonto, di una luce in
cui tutti i fedeli vivranno, di un sole che investirà gli eletti e li farà belli, eterni, felici come dèi.
Minori dèi, figli del Padre Iddio e simili a Me.... Non potete ora capire. Ma in verità vi dico che la
vostra vita cristiana vi concederà somiglianza col vostro Maestro, e splenderete in Cielo per i suoi
stessi segni. Ebbene, Io avrò, nonostante il livore di Satana e la fiacca volontà dell’uomo, pesca più
abbondante della tua.”
“Ma saremo noi soli i tuoi apostoli?”
“Geloso, Pietro? No. Non lo essere. Altri verranno, e nel mio cuore ci sarà amore per tutti. Non
essere avaro, Pietro. Tu non sai ancora Chi ti ama. Hai mai contato le stelle? E le pietre di questo
fondale? No. Non potresti. Ma ancor meno potresti contare i palpiti d’amore di cui è capace il mio
cuore. Hai mai potuto tener conto di quante volte questo mare baci la sponda col suo bacio d’onda
nel corso di dodici lune? No. Non potresti. Ma ancora non potresti contare le onde d’amore che da
questo cuore si riversano a baciare gli uomini. Sta' sicuro, Pietro, del mio amore”
Pietro prende la mano di Gesù e la bacia. E’ commosso.
Andrea guarda e non osa. Ma Gesù gli pone la mano fra i capelli e dice: “Anche te amo molto.
Nell’ora della tua aurora vedrai riflesso sulla volta del cielo, lo vedrai senza dover alzare gli occhi,
il tuo Gesù che ti sorriderà per dirti: ‘T’amo. Vieni’. e il passaggio nell’aurora ti sarà più dolce che
entrata in camera nuziale...”
“Simone! Simone! Andrea! Vengo...” Giovanni accorre affannato. “Oh! Maestro! Ti ho fatto
attendere?” Giovanni guarda col suo occhio innamorato Gesù.
Risponde Pietro: “Veramente cominciavo a pensare che non venissi più. Prepara presto a tua barca.
E Giacomo?”
“Ecco... abbiamo fatto tardi, per un cieco. Credeva che Gesù fosse nella nostra casa ed è venuto. Gli
abbiamo detto: ‘E’ altrove. Forse domani ti guarirà. Aspetta.’. Ma non voleva aspettare. Giacomo
diceva: ‘Hai aspettato tanto la luce, che ti è attendere un’altra notte?’ Ma non intende ragione...”
“Giovanni, se tu fossi cieco, avresti fretta di rivedere tua madre?”
“Eh! certo!”
“E allora? Dove è il cieco?”
“Viene avanti con Giacomo. Si è attaccato al mantello e non lo lascia. Ma viene avanti adagio
perché la riva è sassosa ed egli inciampa... Maestro, mi perdoni di essere stato duro?”
“Sì. Ma per riparare va' a dare aiuto al cieco e portalo a Me.”
Giovanni va via di corsa.
Pietro scuote un poco il capo, ma tace. Guarda il cielo che tende a farsi azzurro dopo tanto color
rame, guarda il lago e guarda altre barche già uscite per la pesca, e sospira.
“Simone?”
“Maestro?”
“Non aver paura. Avrai una pesca abbondante anche se esci ultimo.”
“Anche questa volta?”
“Tutte le volte che avrai carità, Dio ti userà grazia di abbondanza.”
“Ecco il cieco.”
Il poveretto avanza fra Giacomo e Giovanni. Ha fra le mani un bastone, ma non se ne serve, ora. Va
meglio affidandosi ai due.
“Ecco, uomo, il Maestro ti sta avanti.”
Il cieco s’inginocchia: “Signor mio! Pietà!”
“Vuoi vedere? Alzati. Da quando sei cieco?”
I quattro apostoli fanno gruppo attorno ai due.
“Da sette anni, Signore. Prima vedevo bene e lavoravo. Ero fabbro in Cesarea Marittima.
Guadagnavo bene. Il porto, i molti commerci, avevano sempre bisogno di me per i lavori. Ma nel
battere un ferro ad ancora, e puoi pensare se era rosso per essere morbido al colpo, se ne partì una
scheggia rovente e mi bruciò l’occhio. Li avevo già malati per il calore della fucina. Persi l’occhio
colpito, e l’altro pure si spense dopo tre mesi. Ho finito i risparmi ed ora vivo di carità”
“Sei solo?”
“Ho una sposa e tre figli piccolini...; di uno non so neppure il volto... e ho una madre vecchia.
Eppure ora è lei e la moglie che guadagnano un po' di pane, e con questo e l’obolo che io porto, non
si muore di fame. Se mi guarissi!... Tornerei al lavoro. Non chiedo che di lavorare da buon israelita
e dare un pane a quelli che amo.”
“E sei venuto da Me? Chi ti ha detto?”
“Un lebbroso che Tu hai guarito ai piedi del Tabor, quando tornavi al lago dopo quel discorso così
bello.”
“Che ti ha detto?”
“Che Tu puoi tutto. Che sei salute dei corpi e delle anime. Che sei la Luce di Dio. Lui, il lebbroso,
aveva osato mescolarsi alla fola, a rischio di essere lapidato, tutto avvolto in un mantello, perché ti
aveva visto passare, diretto al monte, e il tuo viso gli aveva messo in cuore una speranza. Mi ha
detto. ‘Ho visto in quel viso qualche cosa che mi ha detto: ‘Lì è salute. Va'!’ E sono andato’. E così
mi ha ripetuto il tuo discorso e mi ha detto che Tu lo hai guarito toccandolo senza ribrezzo con la
tua mano. Tornava dai sacerdoti dopo la purificazione. Io lo conoscevo, perché l’avevo servito
quando aveva fondaco in Cesarea. Sono venuto, domandando per città e paesi di Te. Ti ho trovato...
Pietà di me!”
“Vieni. Troppo viva è la luce ancora per uno che esce dal buio!”
“Mi guarisci, allora?”
Gesù lo guida verso la casa della suocera di Pietro, nella luce attenuata dell’orticello, se lo pone di
fronte, ma in modo che gli occhi guariti non abbiano a prima visione il lago ancor tutto marezzato
di luce. L’uomo pare un bambino docilissimo, tanto s ascia fare senza neppure chiedere.
“Padre! La tua luce a questo figlio!” Gesù ha stese le mani sul capo dell’uomo in ginocchio. Sta
così un attimo. Poi si bagna la punta del dito di saliva e sfiora con la sua destra gli occhi aperti, ma
senza vita.
Un attimo. Poi l’uomo sbatte le palpebre, se le soffrega come chi esce dal sonno e ne ha nebbia
negli occhi.
“Che vedi?”
“Oh!... oh!... oh, Dio Eterno! Mi pare... mi pare... Oh! che vedo... ti vedo la veste... è rossa, non è
vero? E una mano bianca... e una cintura di lana... Oh! Gesù buono... vedo sempre meglio, più mi
abituo a vedere.... Ecco l’erba del suolo... e quello è un pozzo certo, e lì c’è una pianta di vite...”
“Alzati, amico”
L’uomo, che piange e ride, si alza e, dopo un attimo di lotta fra rispetto e desiderio, leva il volto e
incontra lo sguardo di Gesù. Un Gesù sorridente di pietà tutta amore. Deve esser gran bello
riacquistare la vista e vedere per primo sole quel volto! L’uomo ha un grido e tende le braccia. E’
un atto istintivo. Ma si frena.
Ma è Gesù che gli apre le sue e attira a Sé l’uomo, molto più basso di Lui. “Va' a casa tua, ora, e sii
felice e giusto. Va' con la mia pace.”
“Maestro, Maestro! Signore! Gesù! Santo! Benedetto! La luce... ci vedo... tutto vedo... Ecco il lago
azzurro, e il cielo sereno, e l’ultimo sole, e là la prima larva di luna... Ma l’azzurro più bello e
sereno lo vedo nel tuo occhio, e in Te vedo il bello del sole più vero, e splendere il puro della più
santa luna. Astro dei dolenti, Luce dei ciechi, Pietà che vivi ed operi!”
“Luce degli spiriti Io sono. Sii figlio della Luce.”
“Sempre, Gesù. Ad ogni battito della mia palpebra sulla pupilla rinata io rinnoverò questo
giuramento. Sii benedetto Te e l’Altissimo!”
“Benedetto sia l’Altissimo Padre! Va'!”
E l’uomo va felice, sicuro, mentre Gesù e gli stupefatti apostoli scendono in due barche e iniziano la
manovra della navigazione.
E la visione ha termine.
59. L’indemoniato guarito nella sinagoga di Cafarnao.
2 novembre 1944.
Vedo la sinagoga di Cafarnao. E’ già piena di folla in attesa. Gente sulla porta occhieggia sulla
piazza ancora assolata, benché sia verso sera.
Finalmente un grido: “Ecco il Rabbi che viene”. La gente si volta tutta verso l’uscio, i più bassi si
alzano sulle punte dei piedi o cercano di spingersi avanti. Qualche disputa, qualche spintone,
nonostante i rimproveri degli addetti alla sinagoga e dei maggiorenti della città.
“La pace sia su tutti coloro che cercano la Verità.” Gesù è sulla soglia e saluta benedicendo a
braccia tese in avanti. La luce vivissima che è nella piazza assolata ne staglia l’alta figura,
innimbandola di luce. Egli ha deposto il candido abito ed è nel suo solito azzurro cupo. Si avanza
fra la folla che si apre e si rinserra intorno a Lui, come onda intorno ad una nave.
“Sono malato, guariscimi!” geme un giovane che mi pare tisico nell’aspetto, e prende Gesù per la
veste.
Gesù gli pone la mano sul capo e dice: “Confida. Dio ti ascolterà. Lascia ora che Io parli al popolo,
poi verrò a te”.
Il giovane lo lascia andare e si mette quieto.
“Che ti ha detto?” gli chiede una donna con un bambino in braccio.
“Mi ha detto che dopo aver parlato al popolo verrà a me.”
“Ti guarisce, allora?”
“Non so. Mi ha detto: ‘Confida’. Io spero.”
“Che ha detto? Che ha detto?” La folla vuole sapere. La risposta di Gesù è ripetuta fra il popolo.
“Allora io vado a prendere il mio bambino.”
“Ed io porto qui il mio vecchio padre.”
“Oh! se Aggeo volesse venire! Io provo... ma non verrà”
Gesù ha raggiunto il suo posto. Saluta il capo della sinagoga ed è salutato da questi. E’ un ometto
basso, grasso e vecchiotto. Per parlare a lui, Gesù si china. Pare una palme che si curvi su un
arbusto più largo che alto.
“Che vuoi che ti dia?” chiede l’archisinagogo.
“Quello che credi, oppure a caso. Lo Spirito guiderà.”
“Ma... e sarai preparato?”
“Lo sono. Dài a caso. Ripeto: lo Spirito del Signore guiderà la scelta per il bene di questo popolo.”
L’archisinagogo stende una mano sul mucchio dei rotoli, ne prende uno, apre e si ferma a un dato
punto. “Questo” dice.
Gesù prende il rotolo e legge il punto segnato: “Giosuè: ‘Alzati e santifica il popolo e di' loro:
“Santificatevi per domani, perché, dice il Signore Dio di Israele, l’anatema è in mezzo a voi, o
Israele; tu non potrai stare a fronte dei tuoi nemici fino a tanto che sia tolto di mezzo a te chi s’è
contaminato con tal delitto’’. Si ferma, arrotola il rotolo e lo riconsegna.
La folla è attentissima. Solo bisbiglia alcuno: “Ne udremo delle belle contro i nemici!”. “E’ il Re
d’Israele, il Promesso, che raccoglie il suo popolo!”
Gesù tende le braccia nella solita posa oratoria. Il silenzio si fa completo.
“Chi è venuto per santificarvi, si è alzato. E’ uscito dal segreto della casa dove si è preparato a
questa missione. Si è purificato per darvi esempio di purificazione. Ha preso la sua posizione di
fronte ai potenti del Tempio e al popolo di Dio, e ora è fra voi. Io sono. Non come, con mente
annebbiata e fermento nel cuore, alcuni fra voi pensano e sperano. Più alto e più grande è il Regno
di cui sono il Re futuro e a cui vi chiamo.
Vi chiamo, o voi di Israele, prima d’ogni altro popolo, perché voi siete quelli che nei padri dei padri
ebbero promessa di quest’ora e alleanza col Signore Altissimo. Ma non con turbe di armati, non con
ferocie di sangue sarà formato questo Regno, e ad esso non i violenti, non i prepotenti, non i
superbi, gli iracondi, gli invidiosi, i lussuriosi, gli avari, ma i buoni, i miti, i continenti, i
misericordiosi, gli umili, gli amorosi del prossimo e di Dio, i pazienti, avranno entrata.
Israele! Non contro i nemici di fuori sei chiamato a combattere. Ma contro i nemici di dentro.
Contro quelli che sono in ogni tuo cuore. Nel cuore dei dieci e dieci e dieci mila tuoi figli. Levate
l’anatema del peccato da tutti i vostri singoli cuori, se volete che domani Dio vi raduni e vi dica:
‘Mio popolo, a te il Regno che non sarà più sconfitto, né invaso, né insediato da nemici’.
Domani. Quale, questo domani? Fra un anno o fra un mese? Oh! non cercate! Non cercate con sete
malsana di sapere ciò che è futuro con mezzo che ha sapore di colpevole stregoneria. Lasciate ai
pagani lo spirito pitone. Lasciate a Dio Eterno il segreto del suo tempo. Voi da domani, il domani
che sorgerà dopo quest’ora di sera, e quella che verrà di notte, che sorgerà col canto del gallo,
venite a purificarvi nella vera penitenza.
Pentitevi dei vostri peccati per essere perdonati e pronti al Regno. Levate da voi l’anatema del
peccato. Ognuno ha il suo. Ognuno ha quello che è contrario ai dieci comandamenti di salute eterna.
Esaminatevi ognuno con sincerità, e troverete il punto in cui avevate sbagliato. Umilmente
abbiatene pentimento sincero. Vogliate pentirvi. Non a parole. Dio non si irride e non si inganna.
Ma pentitevi con la volontà ferma, che vi porti a mutare vita, a rientrare nella Legge del Signore. Il
Regno dei Cieli vi aspetta. Domani.
Domani? vi chiedete? Oh! è sempre un domani sollecito l’ora di Dio, anche se viene al termine di
una vita longeva come quella dei Patriarchi. L’eternità non ha per misura di tempo lo scorrere lento
della clessidra. E quelle misure di tempo che voi chiamate giorni, mesi anni, secoli, sono palpiti
dello Spirito Eterno che vi mantiene in vita. Ma voi eterni siete nello spirito vostro, e dovete, per lo
spirito, tenere lo stesso metodo di misurazione del tempo che ha il Creatore vostro. Dire, dunque:
“Domani sarà il giorno della mia morte”. Anzi non ‘morte’ per il fedele. Ma riposo di attesa, in
attesa del Messia che apra le porte dei Cieli.
E in verità vi dico che fra i presenti solo ventisette morranno dovendo attendere. Gli altri saranno
già giudicati prima della morte, e la more sarà il passaggio a Dio o a Mammona senza indugio,
perché il Messia è venuto, è fra voi e vi chiama per darvi la Buona Novella, per istruirvi alla Verità,
per salvarvi al Cielo.
Fate penitenza! Il ‘domani’ del Regno dei Cieli è imminente. Vi trovi mondi per divenire possessori
dell’eterno giorno.
La pace sia con voi.”
Si alza a contraddirlo un barbuto e impaludato israelita. Dice: “Maestro, quanto Tu dici mi pare in
contrasto con quanto è detto nel libro secondo dei Maccabei, gloria d’Israele, Là è detto: “E’ infatti
segno di grande benevolenza il non permettere ai peccatori di andare dietro per lungo tempo ai loro
capricci, ma di dare subito mano al castigo. Il Signore non fa come le altre nazioni, che le aspetta
con pazienza per punirle, venuto il giorno del giudizio, quando è colma la misura dei peccati. Tu
invece parli come se l'Altissimo potesse essere molto lento nel punirci, attendendoci come gli altri
popoli, fino al tempo del giudizio, quando sarà colma la misura dei peccati. Veramente i fatti ti
smentiscono. Israele è punito come dice lo storico dei Maccabei. Ma se fosse come Tu dici, non vi è
dissapore fra la tua dottrina e quella chiusa nella frase che ti ho detto?”
“Chi sei, Io non so. Ma chiunque tu sia, Io ti rispondo. Non c’è dissapore nella dottrina, ma nel
modo di interpretare le parole. Tu le interpreti secondo il modo umano. Io secondo quello dello
spirito. Tu, rappresentante della
maggioranza, vedi tutto con riferimenti al presente e al caduco.
Io, rappresentante di Dio, tutto spiego e applico all’eterno e al soprannaturale. Vi ha colpito, sì,
Geavè nel presente, nella superbia e nella giustizia d’esser un ‘popolo’, secondo la terra. Ma come
vi ha amati e come vi usa pazienza, più che con ogni altro, concedendo a voi il Salvatore, il suo
Messia, perché lo ascoltiate e vi salviate prima dell’ora dell’ira divina! Non vuole più che voi siate
peccatori. Ma se nel caduco vi ha colpiti, vedendo che la vostra ferita non sana, ma anzi ottunde
sempre più il vostro spirito ecco che vi manda non punizione ma salvezza. Vi manda Colui che vi
sana e vi salva. Io che vi parlo.”
“Non trovi essere audace nel professarti rappresentante di Dio? Nessuno dei Profeti osò tanto e Tu...
Chi sei, Tu che parli? E per ordine di chi parli?”
“Non potevano i Profeti dire di loro stessi ciò che Io di me stesso dico. Chi sono? L’Atteso, il
Promesso, il Redentore. Già avete udito colui che lo precorre dire: ‘’ Preparate la via del Signore...
Ecco il Signore Iddio che viene... Come un pastore pascerà il suo gregge, pure essendo l’Agnello
della Pasqua vera.’’ Fra voi sono quelli che hanno udito dal Precursore queste parole, e hanno visto
balenare il cielo per una luce che scendeva in forma di colomba, e udito una voce che parlava
dicendo chi ero. Per ordine di chi parlo? Di Colui che è e che mi manda.”
“Tu lo puoi dire, ma puoi essere anche un mentitore o un illuso. Le tue parole sono sante, ma talora
Satana ha parole di inganno tinte di santità per trarre in errore. Noi non ti conosciamo.”
“Io sono Gesù di Giuseppe della stirpe di Davide, nato a Bethem Efrata, secondo le promesse, detto
nazareno perché a Nazaret ho casa. Questo secondo il mondo. Secondo Dio sono il suo Messo. I
miei discepoli lo sanno.”
“Oh! loro! Possono dire ciò che vogliono e ciò che Tu fai loro dire.”
“Un altro parlerà, che non mi ama, e dirà chi sono. Attendi che Io chiami un di questi presenti.”
Gesù guarda la folla che è stupita dalla disputa, urtata e divisa tra opposte correnti. La guarda,
cercando qualcuno coi suoi occhi di zaffiro, poi chiama forte: “Aggeo! Vieni avanti. Te lo
comando.”
Grande brusio tra la folla, che si apre per lasciar passare un uomo tutto scosso da un tremito e
sorretto da una donna.
“Conosci tu quest’uomo?”
“Sì. E’ Aggeo di Malachia, qui di Cafarnao. Posseduto è da uno spirito malvagio che lo dissenna in
furie repentine.”
“Tutti lo conoscono?”
La folla grida: “Sì, sì”
“Può dire alcuno che fu meco in parole, anche per pochi minuti?”
La folla grida: “No, no, quasi ebete è, e non esce mai dalla sua casa e nessuno ti ha visto in essa.”
“Donna: portalo a Me davanti.”
La donna lo spinge e trascina, mentre il poveretto trema più forte. L’archisinagogo avverte Gesù: “
Stà attento! Il demonio sta per tormentarlo... e allora si avventa, graffia, morde.”
La folla fa largo, pigiandosi contro le pareti.
I due sono ormai di fronte. Un attimo di lotta. Pare che l’uomo, uso al mutismo, stenti a palare e
mugola, poi la voce si forma in parola: “Che c’è fra noi e Te, Gesù di Nazaret? Perché sei venuto a
tormentarci? Perché a sterminarci, Tu, padrone del Cielo e della Terra? So chi sei: il Santo di Dio.
Nessuno, nella carne, fu più grande di Te, perché nella tua carne d’uomo è chiuso lo Spirito del
Vincitore Eterno. Già mi hai vinto in... ”
“Taci! Esci da costui!. Lo comando.”
L’uomo è preso come da un parossismo strano. Si dimena a strattoni, come se ci fosse chi lo
maltratta con urti e strapponate, urla con voce disumana, spuma e poi viene gettato al suolo da cui
poi si rialza, stupito e guarito.
“Hai udito? Che rispondi ora?” chiede Gesù al suo oppositore.
L’uomo barbuto e impaludato fa una alzata di spalle e, vinto, se ne va senza rispondere. La folla lo
sbeffeggia e applaude Gesù.
“Silenzio. Il luogo è sacro!” dice Gesù, e poi ordina: “A Me il giovine al quale ho promesso aiuto
da Dio.”
Viene il malato. Gesù lo carezza: “Hai avuto fede! Sii sanato. Va' in pace e sii giusto.”
Il giovane ha un grido. Chissà che sente? Si prostra ai piedi di Gesù e li bacia ringraziando: “Grazie
per me e per la madre mia!”
Vengono altri malati: un bimbo dalle gambine paralizzate. Gesù lo prende tra le braccia, lo carezza
e lo pone i terra... e lo lascia. E il bambino non cade, ma corre dalla mamma che lo riceve sul
cuore piangendo, e che benedice a gran voce “il Santo d’Israele”. Viene un vecchietto cieco,
guidato dalla figlia. Anche lui viene sanato con una carezza sulle orbite malate.
La folla è un tumulto di benedizioni.
Gesù si fa largo sorridendo e per quanto sia alto, non arriverebbe a fendere la folla se Pietro,
Giacomo, Andrea e Giovanni non lavorassero di gomito generosamente, e si aprissero un varco dal
loro angolo sino a Gesù, e poi lo proteggessero sino all’uscita nella piazza dove ora non c’è più
sole,
La visione termina così.
60. Guarigione della suocera di Simon Pietro.
3 novembre 1944.
Pietro parla a Gesù. Dice: “Maestro, io ti vorrei pregare di venire nella mia casa. Non ho osato dirlo
lo scorso sabato. Ma... vorrei che Tu venissi.”
“A Betsaida?”
“No, qui... in casa di mia moglie, la casa natia, voglio dire.”
“Perché questo desiderio, Pietro?”
“Eh!... per molte ragioni... e poi, oggi mi è stato detto che mia suocera è malata. Se Tu venissi a
guarirla, forse ti...”
“Finisci, Simone.”
“Volevo dire... se Tu la avvicinassi, lei finirebbe... sì, insomma, sai, altro è sentir parlare di uno e
altro è vederlo e udirlo, e se quest’uno, poi, guarisce, allora...”
“Allora anche l’astio cade, vuoi dire.”
“No, astio no. Ma sai... il paese è diviso in molti pareri, e lei... non sa a chi dare retta. Vieni, Gesù.”
“Vengo. Andiamo. Avvertirete quelli che attendono che parlerò loro dalla tua casa.”
Vanno sino ad una casa bassa, più bassa ancora di quella di Pietro a Betsaida, e ancor più prossima
al lago. E’ separata da questo da una striscia del greto e credo che nelle burrasche le onde vengano a
morire contro le mura della casa, che, se è bassa, è in compenso molto larga, come fosse abitata da
più persone.
Nell’orto, che si apre sul davanti della casa, verso il lago, non vi è che una vite vecchia e nodosa,
stesa su una rustica pergola, e un vecchio fico che i venti del lago hanno tutto piegato verso la casa.
La chioma spettinata della pianta sfiora i muri di essa e bussa contro le impannate delle finestrelle,
chiuse a riparo del vivo sole che batte sulla casetta. Non c’è che questo fico e questa vite, e un
pozzo basso e dal muretto verdastro.
“Entra, Maestro.”
Delle donne sono nella cucina, intente chi a rattoppare le reti, chi a preparare il cibo. Salutano Pietro
e poi si inchinano confuse davanti a Gesù, e lo sbirciano, intanto, con curiosità.
“La pace sia a questa casa. Come sta la malata?”
“Parla tu che sei la nuora più vecchia” dicono le tre donne ad una che si sta asciugando le mani col
lembo della veste.
“La febbre è forte, molto forte. L’abbiamo mostrata al medico, ma dice che è vecchia per guarire e
che quando quel male dalle ossa va al cuore e dà febbre, specie a quell’età, si muore. Non mangia
più... Io cerco di farle cibi buoni, anche ora, vedi, Simone? Le preparavo quella zuppa che le
piaceva tanto. Ho scelto il pesce migliore, preso dai cognati. Ma non credo possa mangiarla. E poi...
è così inquieta! Si lamenta, urla, piange, impreca...”
“Abbiate pazienza come vi fosse madre e ne avrete merito da Dio. Conducetemi da lei.”
“Rabbi... Rabbi... io non so se lei ti vorrà vedere. Non vuole vedere nessuno. Io non oso dirle : “Ora
ti conduco il Rabbi”.
Gesù sorride senza perdere la calma. Si volge a Pietro: “Tocca a te, Simone. Sei uomo e il più
vecchio dei generi, mi hai detto. Va'.”
Pietro fa una smorfia significativa e ubbidisce. Traversa la cucina, entra in una stanza, e attraverso
la porta, chiusa dietro lui, lo sento confabulare con una donna. Mette fuori il capo e una mano e
dice: “Vieni, Maestro. Fa' presto.” E aggiunge più piano, appena intelligibilmente: “Prima che
cambi idea.”
Gesù traversa lesto la cucina e spalanca la porta. Ritto sulla soglia, dice il suo dolce e solenne
saluto: “ La pace sia con te.” Entra nonostante non gli sia risposto. Va presso ad un giaciglio basso
su cui è stesa una donnetta tutta grigia, scarna, affannante per la forte febbre che le fa rosso il viso
consumato.
Gesù si china sul lettuccio, sorride alla vecchietta: “Hai male?”
“Muoio!”
“No. Non muori. Puoi credere che Io ti posso guarire?”
“E perché lo faresti? Non mi conosci.”
“Per Simone che me ne ha pregato,... e anche per te, per dare tempo alla tua anima di vedere e
amare la Luce.”
“Simone? Farebbe meglio a... Come mai Simone ha pensato a me?”
“Perché è migliore di quanto tu credi. Io lo conosco e so. Lo conosco e sono lieto di esaudirlo.”
“Mi guariresti, allora? Non morirò più?”
“No, donna. Per ora non morrai. Puoi credere in Me?”
“Credo, credo. Mi basta non morire!”
Gesù sorride ancora. La prende per mano. La mano rugosa e dalle vene gonfie sparisce nella mano
giovanile di Gesù, che si raddrizza e prende il suo aspetto di quando fa miracolo e grida: “Sii
guarita! Lo voglio! Alzati!” e le lascia andare la mano. Che ricade senza che la vecchia si lamenti,
mentre prima, nonostante Gesù gliela avesse presa con molta delicatezza, l’averla mossa era costato
un lamento all’inferma.
Un breve tempo di silenzio. Poi la vecchia esclama forte: “Oh! Dio dei nostri Padri! Ma io non ho
più nulla! Ma sono guarita! Venite! Venite!” Accorrono le nuore. “Ma guardate!” dice la vecchia.
“Mi muovo e non sento più dolore! E non ho più febbre! Sentite come sono fresca. E il cuore non
sembra più il martello del fabbro. Ah! non muoio più!” Non una parola per il Signore!
Ma Gesù non se la prende. Dice alla più anziana delle nuore: “Vestitela, che si alzi. Lo può fare.” E
si avvia per uscire.
Simone, mortificato, si volge alla suocera: “Il Maestro ti ha guarita. Non gli dici nulla?”
“Certo! Non ci pensavo. Grazie. Che posso fare per dirti grazie?”
“Esser buona molto buona. Perché l’Eterno fu buono con te. E se troppo non ti rincresce, lasciami
riposare oggi nella tua casa. Ho percorso nella settimana tutti paesi vicini e sono giunto all’alba di
questa mattina. Sono stanco.”
“Certo! Certo! Resta pure, se ti piace così.” Ma non c’è molto entusiasmo nel dirlo.
Gesù, con Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, va a sedersi nell’orto.
“Maestro!...”
“Pietro mio?”
“Io sono mortificato.”
Gesù fa un gesto come se dicesse: “Lascia perdere.” Poi dice: “ Non è la prima e non sarà l’ultima
che non sente riconoscenza immediata. Ma non chiedo riconoscenza. Mi basta dar modo alle anime
di salvarsi. Io faccio il mio dovere. A loro fare il loro.”
“Ah! ve ne sono stati altri così? Dove?”
“Simone curioso! Ma ti voglio accontentare, nonostante non ami le inutili curiosità. A Nazaret.
Ricordi la mamma di Sara? Era molto malata quando giungemmo a Nazaret e ci dissero che la
bambina piangeva. Per non fare di essa, che è buona e mite, un’orfana e domani una figliastra, sono
andato a trovare la donna.... volevo guarirla... Ma non avevo ancora posto piede nella casa, che il
marito di lei e un fratello mi cacciarono dicendo: “Via, via! Non vogliamo noie con la sinagoga’’.
Per loro, per troppi sono già un ribelle... L’ho guarita lo stesso.... per i suoi bambini. E a Sara che
era nell’orto, ho detto accarezzandola: ‘’Guarisco tua madre. Va' a casa. Non piangere più.’’ E la
donna è guarita nello stesso momento e la bambina glielo ha detto, e anche al padre e allo zio... E fu
castigata per avere parlato con Me. Lo so, perché la bambina m’è corsa dietro mentre lasciavo il
paese... Ma non importa.”
“Io la facevo tornare malata.”
“Pietro!” Gesù è severo. “E’ questo che Io insegno a te e agli altri? Cosa hai sentito sulle mie labbra
dalla prima volta che mi hai udito? Di che ho sempre parlato come condizione prima per essere veri
miei discepoli?”
“E’ vero, Maestro. Sono una vera bestia. Perdonami. Ma... non posso sopportare che non ti amino!”
“Oh! Pietro! Vedrai ben altro disamore! Tante sorprese avrai, Pietro! Persone che il mondo
cosiddetto ‘santo’ sprezza come pubblicani, e che invece saranno al mondo di esempio, e esempio
non seguito da coloro che li disprezzano. Pagani che saranno fra i miei più grandi fedeli. Meretrici
che tornano pure, per volontà e penitenza. Peccatori che si emendano...”
“Senti: che si emendi un peccatore... può ancora essere. Ma una meretrice e un pubblicano!...”
“Tu non lo credi?”
“Io no.”
“Sei in errore, Simone. Ma ecco tua suocera che viene a noi.”
“Maestro... io ti prego di sedere alla mia tavola.”
“Grazie, donna. Dio te ne compensi.”
Entrano nella cucina e si siedono a tavola, e la vecchia serve gli uomini con larga distribuzione di
pesce in zuppa e arrostito. “Non ho altro che questo” si scusa. E, per non perderci l’abitudine, dice a
Pietro: “Fin troppo fanno i tuoi cognati, soli come sono rimasti da quando tu sei andato a Betsaida!
E almeno fosse servito a far più ricca mia figlia... Ma sento che ben sovente tu sei assente e non
peschi.”
“Seguo il Maestro. Sono stato con Lui a Gerusalemme e il sabato sto con Lui. Non perdo tempo in
gozzoviglie.”
“Ma non guadagni, però. Faresti meglio, già che vuoi fare il servo del Profeta, di trasferirti qui di
nuovo. Almeno quella povera creatura di mia figlia, mentre tu fai il santo, avrà i parenti che la
sfamano.”
“Ma non ti vergogni di parlare così davanti a Lui che ti ha guarita?”
“Io non critico Lui. Lui fa il suo mestiere. Critico te che fai il fannullone. Tanto, tu non sarai mai un
profeta né un sacerdote. Sei un ignorante e un peccatore, un buono a nulla.”
“Hai ragione che c’è Lui, se no...”
“Simone, tua suocera ti ha dato un ottimo consiglio. Puoi pescare anche da qua. Pescavi anche
prima a Cafarnao, a quel che sento. Puoi tornarci anche ora.”
“E abitare qui di nuovo? Ma Maestro, Tu non ...”
“Buono, Pietro mio. Se tu sarai qui, sarai sul lago o con Me. Perciò che ti è, essere o non essere in
questa casa?” Gesù ha messo la mano sulla spalla di Pietro e pare che la calma di Gesù passi nel
bollente apostolo.
“Hai ragione. Hai sempre ragione. Lo farò. Ma... e questi?” e accenna Giovanni e Giacomo, suoi
soci.
“Non possono venire loro pure?”
“Oh! il padre nostro, e la madre soprattutto, saranno sempre più felici di saperci con Te, che con
loro. Non faranno ostacolo.
“Forse anche Zebedeo verrà” dice Pietro.
“E’ più che probabile. E altri con lui. Verremo, Maestro, senza fallo verremo.”
“E’ qui Gesù di Nazaret?” chiede un bambinello che si affaccia all’uscio.
“E’ qui. Entra.”
Viene avanti un bambino, che riconosco per uno di quelli delle prime visioni di Cafarnao, e
precisamente per quello che, ruzzolato fra i piedi di Gesù, ha promesso di esser buono... per
mangiare il miele in Paradiso.
“Piccolo amico, vieni avanti” dice Gesù.
Il bambino, u poco intimorito da tanta gente che lo guarda, si rinfranca e corre da Gesù, che lo
abbraccia e se lo pone sulle ginocchia e gli da un pezzetto del suo pesce su una fettina di pane.
“Ecco, Gesù. Questo è per Te. Anche oggi quella persona mi ha detto: “E’ sabato. Porta questo al
Rabbi di Nazaret e di' al tuo amico che preghi per me.’’ Lo sa che sei il mio amico!...” Il bambino
ride felice e mangia il suo pane e pesce.
“Bravo piccolo Giacomo! Dirai a quella persona che le mie preghiere salgono al Padre per lui.”
“E’ per i poveri?” chiede Pietro.
“Sì.”
“E’ sempre la solita offerta? Guardiamo.”
Gesù consegna la borsa. Pietro rovescia le monete e conta. “Sempre la stessa forte somma! Ma chi è
questa persona? Dì, bambino? Chi è?”
“Io non lo devo dire e non lo dirò”
“Che prepotente! Su, sii buono e ti darò della frutta.”
“Io non lo dirò né se mi insulti, né se mi carezzi.”
“Ma sentite che lingua!”
“Giacomo ha ragione, Pietro. Mantiene la parola data; lascialo in pace.”
“Tu, Maestro, sai chi è questa persona?”
Gesù non risponde. Si occupa del bambino, a cui dà un altro pezzetto di pesce arrostito, ben
mondato dalle spine. Ma Pietro insiste e Gesù deve rispondere. “Io so tutto, Simone.”
“E noi non lo possiamo sapere?”
“E tu non guarirai mai dal tuo difetto?”. Gesù rimprovera ma sorride. E aggiunge: “Presto lo saprai.
Perché se il male occulto vorrebbe essere, e non sempre può rimanere tale, il bene, anche se occulto
vuol essere per essere meritorio, viene un giorno scoperto per gloria di Dio, la cui natura risplende
in un suo figlio. La natura di Dio: l’amore. E costui l’ha compreso perché ama suo prossimo. Va',
Giacomo. Porta a quella persona la mia benedizione.”
La visione cessa così.
Indice del Volume Secondo
* = in linea
79. Andando dai pastori. I gioielli di Aglae e una parabola
sulla sua conversione.
80. Sul monte del digiuno e al masso della tentazione.
81. Al guado del Giordano con i pastori Simeone, Giovanni e Mattia.
Un piano per liberare il Battista.
82. A Gerico. L'Iscariota racconta come ha venduto i gioielli di Aglae.
83. Gesù soffre a causa di Giuda, che è una lezione vivente per gli apostoli di
ogni tempo.
84. L'incontro con Lazzaro di Betania.
85. Prima di andare al Getsemani, Gesù e lo Zelote salgono al Tempio, dove sta
parlando l'Iscariota.
86. L'incontro con il milite Alessandro alla porta dei Pesci.
87. Con pastori e discepoli presso Doco. Isacco resta in Giudea.
88. Dal pastore Giona nella pianura di Esdrelon.
89. Commiato da Giona e arrivo di Gesù a Nazareth.
90. L'arrivo a Nazareth dei discepoli con i pastori..
91. Prima lezione ai discepoli nell'uliveto presso Nazareth.
92. Seconda lezione ai discepoli presso la casa di Nazareth.
93. Terza lezione ai discepoli nell'orto di Nazareth e un conforto a Giuda
d'Alfeo.
94. Guarigione della Bella di Corazim. Gesù parla nella sinagoga di Cafarnao.
95. Giacomo d'Alfeo accolto tra i discepoli. Gesù parla presso il banco di
Matteo.
96. Gesù risponde all'accusa di aver guarito in sabato la Bella di Corazim.
97. La chiamata di Matteo.
98. Incontro con la Maddalena sul lago e lezione ai discepoli presso Tiberiade.
99. A Tiberiade nella casa di Cusa.
100. A Nazareth dal vecchio e malato Alfeo. Non è facile la vita dell'apostolo.
101. Gesù interroga la Madre sui discepoli.
102. Incontro con l'ex-pastore Gionata e guarigione di Giovanna di Cusa.
103. Sul Libano dai pastori Beniamíno e Daniele.
104. Aava riconciliata con il marito.
Notizie sulla morte di Alfeo e sul riscatto di Giona.
105. A Nazareth per la morte di Alfeo. Lenta conversione del cugino Simone.
106. Cacciata da Nazareth e conforto alla Madre.
Riflessioni su quattro contemplazioni.
107. Gesù e la Madre da Giovanna di Cusa.
108. Discorso ai vendemmiatori e guarigione di un bambino paralitico.
109. Nei campi di Giocana e in quelli di Doras. Morte di Giona.
110. In casa di Giacobbe presso il lago Meron.
111. Incontro con Salomon al guado del Giordano.
Parabola sulla conversione dei cuori.
112. Da Gerico a Betania. L'incontro con Marta, che parla di Maria.
113. Ritorno a Betania dopo la festa dei Tabernacoli.
114. Al convito di Giuseppe d'Arimatea. Incontro con Gamaliele e Nicodemo.
115. Guarigione del bambino colpito dal cavallo di Alessandro.
Gesù scacciato dal Tempio.
116. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della "velata".
Il colloquio con Nicodemo.
117. Lazzaro mette a disposizione di Gesù una casetta nella piana dell'Acqua
Speciosa.
118. Inizio di vita in comune all'Acqua Speciosa e discorso di apertura.
119. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Io sono il Signore Dio tuo.
Gesù battezza come Giovanni.
120. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non ti farai degli dèi nel mio cospetto.
*
121. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non proferire invano il mio Nome.
La visita di Mannanen.
122. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Onora il padre e la madre.
Guarigione di un ebete.
123. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non fornicare.
L'affronto di cinque notabili.
124. La "velata" viene ospitata nella casetta dell'Acqua Speciosa.
125. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Santìfica la festa.
Il bambino dalle gambe fratturate.
126. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non ammazzare.
Morte di Doras.
127. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non tentare il Signore Iddio tuo.
Testimonianza del Battista.
128. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non desiderare la donna d'altri.
Il giovane lussurioso.
129. La guarigione, all'Acqua Speciosa, di un romano indemoniato.
130. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non dirai falsa testimonianza.
Il piccolo Asrael.
131. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non rubare e non desiderare ciò
che è d'altri. Il peccato dì Erode.
132. Discorso conclusivo, all'Acqua Speciosa, prima della festa della
Purificazione.
133. Il lavoro nascosto di Andrea. Una lettera della Madre a Gesù,
che deve lasciare l'Acqua Speciosa.
134. La guarigione di Jerusa a Doco.
135. L'arrivo a Betania e il discorso di Gesù ascoltato dalla Maddalena.
136. Alla festa delle Encenie, in casa di Lazzaro, viene ricordata la
nascita di Gesù.
137. Gesù torna all'Acqua Speciosa, che però deve abbandonare.
138. Commiato dal fattore dell'Acqua Speciosa
e dal sinagogo Timoneo, che diviene discepolo.
139. Sui monti presso Emmaus.
Il carattere di Giuda Iscariota e le qualità dei buoni.
140. A Emmaus, dal sinagogo Cleofa.
Un caso di incesto. Fine del primo anno.
SECONDO ANNO DELLA VITA PUBBLICA DI GESU'
141. Andando verso Arimatea con i discepoli e con Giuseppe di Emmaus.
142. Con i dodici verso la Samaria.
143. La samaritana Fotinai.
144. I samaritani invitano Gesù a Sicar.
145. Il primo giorno a Sicar.
146. Il secondo giorno a Sicar e commiato dai samaritani.
147. Guarigione di una donna di Sicar e conversione di Fotinai.
148. Gesù visita il Battista presso Enon.
149. La visita al Battista è motivo di ammaestramenti ai discepoli.
150. A Nazareth dalla Madre, che dovrà seguire il Figlio.
151. A Cana in casa di Susanna, che diventerà discepola. L'ufficiale regio.
152. Maria Salome viene accolta come discepola.
153. Le donne dei discepoli al servizio di Gesù.
154. Gesù a Cesarea Marittima parla ai galeotti.
Le stanchezze dell'apostolato.
*
155. Guarigione della piccola romana a Cesarea.
156. Annalia, la prima delle vergini consacrate.
157. Istruzioni alle discepole a Nazareth.
158. Sul lago di Genezaret con Giovanna di Cusa.
159. Discorso a Gherghesa. La risposta sul digiuno ai discepoli del Battista.
121. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non proferire invano il mio Nome.
La visita di Mannanen.
1 marzo 1945.
[...].
I discepoli sono tutti sossopra. Paiono un alveare stuzzicato, tanto sono agitati. Parlano, sbirciano
fuori, guardano in tutti i sensi... Gesù non c’è. Infine decidono su quanto li agita e Pietro ordina a
Giovanni: “Vai a cercare il Maestro. E’ nel bosco sul fiume. Digli che venga subito o dica quel che
si deve fare.” Giovanni va via al galoppo.
L’Iscariota dice: “Io non capisco perché tanto orgasmo e tanta scortesia. Io sarei andato e l’avrei
accolto con tutti gli onori... E’ un onore il suo, per noi. Dunque...”
“Non so niente io. Lui sarà diverso dal suo parente di latte... Ma... chi sta con le iene ne prende
odore e istinto. Del resto, tu vorresti via quella donna... Però bada a te! Il Maestro non vuole, e io
sono a sua tutela. Se la tocchi... io non sono il Maestro... Tanto per tua norma.”
“Ih! chi è mai?! La bella Erodiade, forse?”
“Ma non fare lo spiritoso!”
“Sei tu che me lo fai fare. Le hai fatto intorno la guardia reale come ad una regina...”
“Il Maestro mi ha detto: ‘Bada che non sia disturbata e rispettala.’ Io lo faccio.
“Ma chi è? Lo sai?” chiede Tommaso.
“Io no.”
“Su, dillo... Tu lo sai...” insistono vari.
“Vi giuro che non so nulla. Il Maestro certo lo sa. Ma io no.”
“Bisogna farglielo chiedere a Giovanni. A lui dice tutto.”
“Perché? Cosa ha di speciale tuo Giovanni? E’ un dio, tuo fratello?”
“No, Giuda. E’ il più buono di noi.”
“Potete risparmiavi la fatica” dice Giacomo d’Alfeo. “Ieri mio fratello l’ha vista, mentre rientrava
dal fiume col pesce che gli aveva dato Andrea, e l’ha chiesto a Gesù. Lui ha risposto: ‘Non ha volto.
E’ uno spirito che cerca Dio. Per Me non è altro e così voglio che sia per tutti’. E ha detto quel
‘voglio’ in una tal maniera... che vi consiglio di non insistere.”
“Andrò io da lei” dice Giuda di Keriot.
“Provati se sei capace” dice Pietro, rosso come un galletto.
“Mi fai la spia con Gesù?”
“Lascio quel mestiere a quelli del Tempio. Noi del lago il pane lo guadagnamo col lavoro e non con
la delazione. Non avere mai paura di una spiata da Simone di Giona. Ma non mi stuzzicare e non
permetterti di disubbidire al Maestro, perché ci sono io...”
“E tu chi sei? Un povero uomo come me.”
“Sissignore. Anzi più povero, più ignorante, più rozzo di te. Lo so e non me ne accoro. Mi accorerei
se fossi pari a te nel cuore. Ma il Maestro mi ha dato questo incarico e lo faccio.”
“Pari a me nel cuore? E che c’è nel mio cuore da farti schifo? Parla, accusa, offendi...”
“Ma insomma!” scatta lo Zelote e con lui Bartolomeo. “Ma insomma, smettila, Giuda. Rispetta i
capelli di Pietro.”
“Rispetto tutti, ma voglio sapere che c’è in me...”
“Subito servito... Lasciatemi parlare... C’è superbia, tanta da empire questa cucina, c’è falsità e c'è
lussuria.”
“A me falso?”
Si interpongono tutti, e Giuda deve tacere.
Simone, pacato, dice a Pietro: “Scusa, amico, se ti dico una cosa. Li ha dei difetti. Ma anche tu ne
hai alcuni. E uno è non compatire i giovani. Perché non tieni conto dell’età, della nascita... di tante
cose? Vedi, tu agisci per amore verso Gesù. Ma non ti accorgi che queste dispute lo stancano? A lui
nn lo dico (e accenna a Giuda) ma a te, maturo e onesto tanto, faccio questa preghiera. Egli ha tante
pene per i nemici. Ma dargliene noi pure! Ha tanta guerra intorno. Ma perché crearne anche nel suo
nido?”
“E’ vero. Gesù è molto triste e anche smagrito” dice Giuda Taffeo. “La notte lo sento che si volta e
si gira nel suo lettuccio, e sospira. Sere fa mi sono alzato e ho visto che piangeva pregando. Gli ho
detto: ‘Che hai?’ E Lui mi ha abbracciato e mi ha detto: ‘Voglimi bene. Come è faticoso essere il
‘Redentore’!’ ”.
“Anche io l’ho trovato col segno del pianto nel bosco del fiume” dice Filippo. “E alla mia occhiata
interrogativa Egli ha risposto: ‘Sai cosa è che fa diverso il Cielo dalla terra, dopo la diversità della
non presenza visibile di Dio? E’ la mancanza di amore fra gli uomini. Mi strangola come un
capestro. Sono venuto qui a spargere seme agli uccellini per essere amato da esseri che si amano’.”
Giuda Iscariota (deve essere un poco squilibrato) si getta a terra e piange come un ragazzo.
Entra proprio in quel momento Gesù con Gioavanni: “Ma che avviene? Questo pianto?...”
“Colpa mia, Maestro. Ho sbagliato. Ho rimproverato Giuda troppo duramente” dice franco Pietro.
“No... io... io... il colpevole sono io. Io sono... Io ti do dolore... io non sono buono... io disturbo,
metto malumore, disubbidisco, sono... Ha ragione Pietro. Ma aiutatemi dunque ad essere buono!
Perché qui ho una cosa, qui nel cuore, che mi fa fare cose che non vorrei fare. E’ più forte di me... e
do dolore a Te, a Te, Maestro, al quale vorrei dare solo gioia... Credilo! Non è falsità...”
“Ma sì, Giuda. Non ne dubito. Tu sei venuto a Me con piena sincerità di cuore, con vero slancio.
Ma sei giovane... Nessuno, neppure tu stesso, ti conosce come Io ti conosco. Su, alzati e vieni qui.
Poi parleremo noi due da soli. Intanto parliamo di quello per cui mi avete chiamato. Che male c’è se
anche Mannanen è venuto? Non può uno, collaterale d’Erode, aver sete del Dio vero? Temete per
Me? Ma no. Abbiate fede nella mia parola. Quell’uomo non viene che per onesto fine.”
“Perché non si è fatto conoscere allora?” chiedono i discepoli.
“Appunto perché viene come ‘anima’, non come fratello di latte di Erode. Si è avvolto nel silenzio
perché pensa che davanti alla parola di Dio nulla è la parentela con un re... Noi rispetteremo il suo
silenzio.”
“Ma se lo mandasse lui, invece?...”
“Chi? Erode? No. Non abbiate paura.”
“Chi lo manda, allora? Come sa di Te?”
“Ma per lo stesso Giovanni mio cugino. Credete che in carcere non mi avrà predicato? Ma per
Cusa... ma per la voce della folla... ma per lo stesso odio dei farisei... Anche le fronde e l’aria
parlano di Me, ormai. Il sasso è gettato nell’acqua immobile e il bastone ha percosso il bronzo. Le
onde vanno sempre più vaste, portando all’acqua lontana la rivelazione, e il suono lo confida agli
spazi... La terra a imparato a dire: ‘Gesù’ e mai più tacerà. Andate, e siate seco lui cortesi come con
chiunque. Andate, Io resto con Giuda.”
I discepoli vanno.
Gesù guarda Giuda ancor lacrimoso e chiede: “Ebbene? Non hai nulla da dirmi? Tutto Io so di te.
ma voglio saperlo da te. Perché questo pianto? E soprattutto perché questo squilibrio che ti tiene
sempre così malcontento?”
“Oh! sì, Maestro. Lo hai detto. Io sono di natura geloso. Tu lo sai certo. E soffro a vedere che... a
vedere tante cose. Questo mi rende inquieto e... ingiusto. E divento cattivo mentre non lo vorrei,
no...”
“E non piangere di nuovo! Di che sei geloso? Abituati a parlare con la tua vera anima. Tu parli
molto, anche troppo. Ma con che? Con l’istinto e con la mente. Segui tutto un faticoso e continuo
lavoro per dire ciò che vuoi dire: parlo di te, del tuo io, perché per quello che devi dire degli altri e
agli altri non ti poni redine e confine. Ugualmente non poni redine e confine alla tua carne. Essa è il
tuo cavallo pazzo. Sembri un auriga al quale l’intendente delle corse abbia dato due cavalli pazzi.
L’uno è il senso, l’altro... vuoi udire quale è l’altro? Sì? E’ l’errore che non vuoi domare. Tu, auriga
capace ma imprudente, ti fidi della tua capacità e credi sia sufficiente. Vuoi giungere primo... non
perdi tempo a mutare almeno un cavallo. E anzi li aizzi e li sferzi. Vuoi essere ‘il vincitore’. Vuoi
l’applauso... non sai che ogni vittoria è certa quando è conquistata con costante, paziente, prudente,
lavoro? Parla con la tua anima. E’ da lì che voglio venga la tua confessione. O devo dirti Io quello
che hai dentro?”
“Trovo che anche Tu non sei giusto e non sei fermo, e ne soffro.”
“Perché mi accusi? In che ho mancato agli occhi tuoi?”
“Quando io volevo portarti dai miei amici Tu non hai voluto, dicendo: ‘Preferisco stare fra gli
umili’ Poi Simone e Lazzaro ti hanno detto che era bene mettersi sotto la protezione di un potente e
Tu hai accettato. Tu dài preferenza a Pietro, a Simone, a Giovanni... Tu...”
“Che altro?”
“Null’altro, Gesù.”
“Nuvole!... Vesciche nella spuma dell’onda. Mi fai pena, perché sei un miserabile che ti torturi
potendo gioire. Puoi dire che è lussuoso questo luogo? Puoi dire che ci fu una grande ragione che
mi spinse ad accettarlo? Se Sionne fosse meno matrigna ai suoi profeti sarei qui, nascosto come un
che teme la giustizia umana, e che si rifugia in un luogo d’asilo?”
“No.”
“E allora? Puoi dire che a te non ho dato missioni come agli altri? Puoi dire che fui acerbo con te
quando anche hai mancato? Tu non fosti sincero... Le vigne... Oh! le vigne! Che nome avevano
quelle vigne? Tu non fosti compiacente con chi soffriva e si redimeva. Tu non fosti neppur
rispettoso verso di Me. E gli altri hanno visto... Eppure una sola voce si è alzata a difesa, e sempre.
La mia. Gli altri avrebbero diritto di esser gelosi, perché, se c’è stato un protetto, sei tu.”
Giuda piange avvilito e commosso.
“Io vado. E’ l’ora in cui sono di tutti. Tu resta. E medita.”
“Perdonami, Maestro. Non potrò aver pace se non ho il tuo perdono. Non essere triste per causa
mia. Sono un ragazzo cattivo... Amo e tormento... Così con la madre... così con Te.... Così con la
sposa se domani avessi una sposa... Sarebbe meglio morissi!...”
“Sarebbe meglio ti ravvedessi. Ma sei perdonato. Addio”.
Gesù esce ed accosta l’uscio.
Fuori è Pietro: “Vieni, Maestro. E’ già tardi. E c’è tanta gente. Fra poco scende la sera. E Tu
neppure hai mangiato... Quel ragazzo è causa di tutto.”
“Quel ‘ragazzo’ ha bisogno di voi tutti per non essere più causa di queste cose. Vedi di ricordartelo,
Pietro. Se fosse tuo figlio lo compatiresti?... ”
“Uhn! Sì e no. Lo compatirei... ma... gli insegnerei anche qualcosa, anche se già uomo, come a un
monello cattivo. Già, fosse mio figlio, non sarebbe così...”
“Basta.”
“Sì. Basta, Signore mio. Ecco là Mannanen. E’ quello con quel mantello quasi nero tanto è rossso
scuro. Mi ha dato questo per i poveri e mi ha detto se può restare a dormire.”
“Che hai risposto?”
“La verità: ‘Abbiamo letti solo per noi. Vai al paese’.”
Gesù non dice nulla. Però lascia in asso Pietro e va da Giovanni, al quale dice qualcosa.
Poi raggiunge il suo posto e inizia a parlare.
“La pace sia con voi tutti e con la pace vi venga luce e santità.
E’ detto: ‘Non proferire invano il mio Nome’.
Quando è che lo si nomina invano? Solo quando lo si bestemmia? No. Anche quando lo si nomina
senza rendersi degni di Dio. Può dire un figlio: ‘Amo il padre e l’onoro’ se poi, a tutto quello che il
padre da lui desidera, oppone opera contraria? Non è dicendo: ‘padre, padre’ che si ama il genitore.
Non è dicendo: ‘Dio, Dio’ che si ama il Signore.
In Israele in cui, come ieri l’altro ho spiegato, vi sono tanti idoli nel segreto dei cuori, vi è anche
una ipocrita lode a Dio, lode alla quale non corrispondono le opere dei lodatori. In Israele vi è anche
una tendenza: quella di trovare tanti peccati nelle cose esteriori, e a non volerli trovare, là dove
realmente sono, nelle cose interiori. In Israele vi è anche un stolta superbia, una antiumana e
antispirituale abitudine: quella di giudicare besetemmia il Nome del nostro Dio su labbra pagane, e
si giunge a proibire ai gentili di accostarsi al Dio vero perché si giudica ciò sacrilegio.
Questo fino ad ora. Ora non più.
Il Dio d’Israele è lo stesso Dio che ha creato tutti gli uomini. Perché impedire che i creati sentano
l’attrazione del loro Creatore? Credete voi che i pagani non sentano qualcosa nel fondo del cuore,
qualcosa di insoddisfatto che grida, che si agita, che cerca? Chi? Che? Il Dio ignoto. E credete voi
che se un pagano tende se stesso all’altare del Dio ignoto, a quell’altare incorporeo che è l’anima in
cui sempre è un ricordo del suo Creatore, è l’anima che attende di essere posseduta dalla gloria di
Dio, così come lo fu il Tabernacolo eretto da Mosè secondo l’ordine avuto, e che piange finché
questo possesso non la tiene, Dio respinga il suo offrirsi come si respinge una profanazione? E
credete voi che sia peccato quell’atto, suscitato da un onesto desiderio dell’anima che svegliata da
appelli celesti dice: ‘Vengo’ al Dio che le dice: ‘Vieni’, mentre sia santità il corrotto culto di un
Israele che offe al Tempio quanto avanza dal suo godimento, ed entra al cospetto di Dio e lo
nomina, questo Purissimo, con anima e corpo che è tutta una verminaia di colpe?
No. In verità vi dico che la perfezione del sacrilegio è in quell’israelita che con anima impura
pronuncia invano il Nome di Dio. E’ pronunciarlo invano quando, e stolti non siete, quando per lo
stato dell’anima vostra sapete che inutilmente lo pronunciate. Oh! che Io vedo il volto sdegnato di
Dio che si volge con disgusto altrove quando un ipocrita lo chiama, quando lo nomina un
impenitente! E ne ho terrore, Io che pure non merito quel corruccio divino.
Leggo in più di un cuore questo pensiero ‘Ma allora, fuorché i pargoli, nessuno potrà chiamare
Iddio, perché dovunque nell’uomo è impurità e peccato’. No. Non dite così. E’ dai peccatori che
quel Nome va invocato. E’ da coloro che si sentono strozzati da Satana e che vogliono liberarsi dal
peccato e dal Seduttore. Vogliono. Ecco ciò che muta il sacrilegio in rito. Volere guarire. Chiamare
il Potente per essere perdonati e per essere guariti. Invocarlo per mettere in fuga il Seduttore.
E’ detto nella Genesi che il Serpente tentò Eva nell’ora in cui il Signore non passeggiava nell’Eden.
Se Dio fosse stato nell’Eden, Satana non avrebbe potuto esservi. Se Eva avesse invocato Iddio,
Satana sarebbe fuggito. Abbiate sempre nel cuore questo pensiero. E con sincerità chiamate il
Signore. Quel Nome è salvezza.
Molti di voi vogliono scendere a purificarsi. Ma purificatevi il cuore, incessantemente, scrivendovi
sopra con l’amore la parola: Dio. Non bugiarde preghiere. Non consuetudinarie pratiche. Ma col
cuore, col pensiero, con gli atti, con tutto voi stessi dite quel Nome: Dio. Ditelo per non essere soli.
Ditelo per essere sostenuti. Ditelo per essere perdonati.
Comprendete il significato della parola del Dio del Sinai. ‘Invano’ è quando dire: ‘Dio’, non è
mutazione in bene. Ed è peccato allora. ‘Invano’ non è quando, come il battito di sangue nel cuore,
ogni minuto del vostro giorno e ogni vostra onesta azione, bisogno, tentazione, dolore, vi riporta
sulle labbra la figliale parola d’amore: ‘Vieni, Dio mio!’. Allora, in verità, non peccate nominando
il Nome santo di Dio.
Andate. La pace sia con voi.”
Non c’è nessun malato. Gesù resta con le braccia conserte addossato alla parete, sotto la tettoia in
cui già calano le ombre. Gesù guarda chi parte sui ciuchini, chi si affreta al fiume per un impulso di
purificazione, chi attraverso ai campi si dirige al paese.
L’uomo vestito di rosso cupissimo pare incerto sul da farsi. Gesù lo tiene d’occhio. Infine costui si
muove e va al suo cavallo, poiché costui ha un bellissimo cavallo bianco ornato di una gualdrappa
rossa che spenzola da sotto la sella piena di borchie.
“Uomo, attendimi” dice Gesù e lo raggiunge. “La sera scende. Hai dove dormire? Vieni da lontano?
Sei solo?”
L’uomo risponde: “Da molto lontano... e andrò... non so... In paese, se troverò... se no... a Gerico...
Vi ho lasciato la scorta di cui non mi fidavo.”
“No. Ti offro il mio letto. E’ già pronto. Hai cibo?”
“Nulla ho. Credevo trovare più ospitale paese...”
“Nulla vi manca.”
“Nulla. Neppure l’odio per Erode. Sai chi sono?”
“Il nome di quelli che mi cercano è uno solo: fratelli nel nome di Dio. Vieni. Spezzeremo il pane
insieme. Puoi ricoverare il cavallo in quello stanzone. Io dormirò lì, e te lo guarderò...”
“No, questo mai. Io dormirò lì. Accetto il pane ma non di più. Non metterò il mio corpo sozzo dove
Tu adagi il tuo santo.”
“Santo mi credi?”
“Santo ti so. Giovanni, Cusa... le tue opere... le tue parole... La reggia ne è suonante come
conchiglia che conserva il rumore del maroso. Io scendevo da Giovanni... poi l’ho perso. Ma mi
aveva detto: ‘Uno che è più di me ti raccoglierà e ti eleverà’. Non potevi essere che Te. Sono venuto
quando ho saputo dove eri.”
Sono rimasti soli sotto la tettoia. I discepoli parlottano presso la cucina e sbirciano.
Torna dal fiume lo Zelote, che era oggi il battezzatore, con gli ultimi battezzati. Gesù li benedice e
poi dice a Simone: “L’uomo è il pellegrno che cerca ricovero nel nome di Dio. E nel nome di Dio lo
salutiamo amico.”
Simone s’inchina e l’uomo pure. Entrano nello stanzone e Mannanen lega il cavallo alla greppia.
Accorre Giovanni, avvertito da un cenno di Gesù, e porta erba e un secchio d’acqua. Accorre anche
Pietro con un lumicino ad olio perché è già scuro.
“Qui starò benissimo. Dio vi compensi.” dice il cavaliere, e poi entra fra Gesù e Simone nella
cucina in cui fa da luce un fascio di stipa acceso allora.
Tutto ha fine.
122. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Onora il padre e la madre.
Guarigione di un ebete.
3 marzo 1945.
Gesù passeggia lentamente su e giù lungo la sponda del fiume. Il giorno si deve essere fatto da
poco, perché la nebbia di una triste giornata invernale stagna ancora sui canneti delle rive. Non c’è
nessuno, a perdita d’occhio, sulle due sponde del Giordano. Solo nebbietta bassa, fruscio d’acqua
contro i canneti, borbottio di acque che per le piogge cadute i giorni avanti sono piuttosto motose, e
qualche richiamo d’uccelli, corto, triste, come lo è quando è cessata la stagione degli amori e i
pennuti sono intristiti per la stagione e il poco cibo.
Gesù li ascolta e pare interessarsi molto al richiamo di un uccellino, che con una regolarità di
orologio piega il capino verso nord e dice un ‘ciruit?’ lamentoso, e poi piega il capino a sud e ripete
il suo interrogativo ‘ciruit?’ senza risposta. Finalmente l’uccelletto pare avere avuto una risposta nel
‘cip’ che viene dall’altra sponda e frulla via, attraverso il fiume, con un piccolo strido di gioia. Gesù
fa un gesto come per dire: “Meno male!”, e poi riprende la passeggiata.
“Ti disturbo, Maestro?” chiede Giovanni che viene dai prati.
“No. Che vuoi?”
“Volevo dirti... mi pare che sia una notizia che ti possa dare sollievo e sono venuto subito, anche per
consigliarmi con Te. Ero a scopare i nostri stanzoni, ed è venuto Giuda di Keriot. Mi ha detto: ‘Ti
aiuto’. Sono rimasto stupito perché fa sempre poco volentieri anche il comandato di queste umili
cose... ma non ho detto nulla più che questo: ‘Oh! grazie! Farò più presto e meglio.’ Lui si è messo
a scopare e abbiamo fatto presto. Allora ha detto: ‘Andiamo nel bosco. Sono sempre i vecchi che
portano le legna. Non sta bene. Andiamo noi,. Io non so molto fare. Ma se mi insegni...’. E siamo
andati. E mentre ero lì che legavo con lui le fascine, mi ha detto: ‘Giovanni, ti voglio dire una cosa’.
‘Parla’ ho detto. E pensavo che fosse qualche critica. Invece ha detto: ‘Io e te siamo i più giovani.
Bisognerebbe stare più uniti. Tu hai quasi paura di me, ed hai ragione perché io non sono buono.
Ma credi... non lo faccio apposta. Delle volte ho il bisogno di essere cattivo. Forse perché, unico
come ero, mi hanno viziato. E vorrei diventare buono. I vecchi, lo so, mi guardano poco bene. I
cugini di Gesù sono urtati perché... sì, io ho mancato molto con loro, e anche con il loro cugino. Ma
tu sei buono e paziente. Voglimi bene. Fa' conto che io sia un fratello cattivo, sì, ma che bisogna
amare anche se cattivo. Lo dice anche il Maestro che bisogna fare così. Quando mi vedi fare poco
bene, dimmelo. E poi non mi lasciare sempre solo. Quando vado in paese, vieni anche tu. Mi
aiuterai a non fare del male. Ieri ho sofferto molto. Gesù mi ha parlato ed io l’ho guardato. Nel mio
sciocco rancore non guardavo né me stesso né gi altri. Ieri ho guardato e ho visto... Hanno ragione
di dire che Gesù è sofferente... ed io sento che ne ho colpa anche io. Non voglio più averla. Vieni
con me. Ci verrai? Mi aiuterai ad essere meno cattivo?’. Così ha detto, e io, te lo confesso, avevo il
cuore che mi batteva come quello di un passero preso da un ragazzo. Batteva di gioia perché ho
piacere che lui diventi buono, per Te ne ho piacere, e batteva un poco di paura perché... non vorrei
diventare come è Giuda. Ma poi mi è venuto in mente quanto mi avevi detto il giorno che prendesti
Giuda, e ho risposto: ‘Sì, che ti aiuterò. Ma io devo ubbidire, e se ho altri ordini...’ Pensavo: ora lo
dico al Maestro e se Lui vuole lo faccio, se non vuole mi farò dare ordine di non andare lontano
dalla casa.”
“Senti, Giovanni. Io ti lascio andare. Però mi devi promettere che se senti che qualche cosa ti turba,
tu me lo vieni a dire. Mi hai dato tanta gioia, Giovanni. Ecco qua Pietro col suo pesce. Vai,
Giovanni.”
Gesù si volge a Pietro: “Buona pesca?”
“Uhm! Non molto. Pesciolini... Ma tutto fa. C’è Giacomo che brontola perché qualche animale ha
roso la fune e si è persa una rete. Ho detto: ‘E lui non doveva mangiare? Abbi compatimento per la
povera bestia’. Ma Giacomo non la intende così...” ride Pietro.
“Quello che dico Io di uno che è un fratello. E quello che voi non sapete fare.”
“Parli di Giuda?”
“Parlo di Giuda. Egli ne soffre. Ha desideri buoni e tendenze perverse. Ma dimmi un poco tu,
esperto pescatore. Quando Io volessi andare in barca sul Giordano e raggiungere il lago di
Genezaret come potrei fare? Ci riuscirei?”
“Eh! sarebbe un lavorone! Ma ci riusciresti con barchette piatte... Faticoso, sai? Lungo.
Bisognerebbe sempre misurare il fondo, avere occhio alle rive e alle secche, ai boschetti
galleggianti, alla corrente. La vela non serve in questi casi, anzi... Ma vuoi tornare al lago seguendo
il fiume? Guarda che contro corrente si va male. Bisogna essere in molti, se no...”
“Tu l’hai detto. Quando uno è un vizioso, per andare al Bene deve andare contro corrente, e non
può, da solo, uno riuscire. Giuda è proprio uno di questi. E voi non lo aiutate. Il meschino va su,
solo, e urta nel fondale, sfrega sulle secche, si impiglia nei boschetti galleggianti, viene preso dai
gorghi. D’altronde se misura il fondo, non può contemporaneamente tenere il timone o il remo.
Perché allora lo si rimprovera se non procede? Avete pietà degli estranei e di lui, vostro compagno,
no? Non è giusto. Vedi là Giovanni e lui che vanno al paese a prendere pane e verdure? Egli ha
chiesto in grazia di non andare solo. E l’ha chiesto a Giovanni, perché non è sciocco, e sa come voi
vecchi la pensate su di lui.”
“E Tu lo hai mandato? E se si guasta anche Giovanni?”
“Chi? Mio fratello? Perché si guasta?” chiede Giacomo che giunge con la rete ripescata contro un
canneto.
“Perché Giuda va con lui.”
“Da quando?”
“Da oggi, ed Io l’ho permesso.”
“Allora, se lo permetti Tu...”
“Sì, lo consiglio anzi a tutti. Lo lasciate troppo solo. Non siate dei giudici per lui solo. Non è
peggiore di tanti. Ma è più viziato, fin dall’infanzia.”
“Sì, deve essere così. Se avesse avuto per padre e madre Zebedeo e Salome, così non sarebbe. I miei
parenti sono buoni. Ma si ricordano di avere un diritto e un dovere sui figli.”
Hai detto giusto. Oggi parlerò proprio di questo. Ora andiamo. Vedo già della gente che si muove
sui prati.
“Io non so come faremo più a vivere. Non c’è più ora di mangiare, di pregare, di riposare... e la
gente aumenta sempre” dice Pietro fra ammirato e seccato.
“Te ne duoli? Segno che vi è ancora ricerca di Dio.”
“Sì, Maestro. Ma Tu ne soffri. Sei rimasto anche senza mangiare ieri, e questa notte senza altre
coperture che il tuo mantello. Se lo sapesse tua Madre!”
“Benedirebbe Dio che mi porta tanti fedeli.”
“E rampognerebbe me al quale si è raccomandata” finisce Pietro.
Vengono in giù verso di loro, gesticolando, Filippo e Bartolomeo. Vedono Gesù ed affrettano il
passo dicendo: “ Oh! Maestro! Ma come facciamo? C’è un vero pellegrinaggio; e malati, e
piangenti, e poveri senza mezzi che vengono da lontano.”
“Compreremo pane. I ricchi dànno oboli. Non c’è che usarli.”
“Le giornate sono brevi. La tettoia è già ingombra di gente in bivacco. Le notti sono umide e
fredde.”
“Hai ragione, Filippo. Ci stringeremo tutti in uno stanzone. Possiamo farlo, e attrezzeremo gli altri
due per coloro che non possono raggiungere le case entro sera.”
“Ho capito! Fra poco dovremo chiedere agli ospiti il permesso di mutarci la veste. Saranno così
invadenti che ci faranno fuggire noi” brontola Pietro.
“Vedrai altre fughe, Pietro mio! Che ha quella donna?” Ormai sono già sull’aia e Gesù nota una
donna piangente.
“Mah! C’era anche ieri, e anche ieri piangeva. Quando Tu parlavi con Mannanen si è mossa per
venirti incontro, poi se ne è andata. Deve stare al paese, o qui vicino, perché è tornata: Malata non
pare...”
“La pace sia con te, donna” dice Gesù passandole accanto.
E lei risponde piano: “E con Te.” Null’altro.
Ci saranno almeno trecento persone. Sotto la tettoia vi sono degli zoppi, ciechi, muti; uno tutto
agitato da un tremito; un giovinetto palesemente idrocefalo, tenuto per mano da un uomo. Non fa
che mugolare, sbavare, dimenare il suo testone dall’espressione ebete.
“E’ forse figlio di quella donna?” chiede Gesù.
“Non so. Simone si occupa dei pellegrini, e sa.”
Chiamano lo Zelote e lo interrogano. Ma l’uomo non è con la donna. Essa è sola. “Non fa che
piangere e pregare. E mi ha chiesto poco fa: ‘Guarisce anche i cuori, il Maestro?’ ” spiega lo Zelote.
“Sarà qualche moglie tradita” commenta Pietro.
Mentre Gesù va verso i malati, Bartolomeo con Matteo vanno alla purificazione con molti
pellegrini.
La donna nel suo angolo piange e non si muove.
Gesù non nega a nessuno il miracolo. Bello quello dell’ebete al quale infonde intelletto con l’alito,
tenendo poi il testone fra le sue lunghe mani. Tutti si affollano. Anche la velata, forse perché c’è
molta gente, osa avvicinarsi alquanto, e si pone presso la donna piangente.
Gesù dice al cretino: “Io voglio in te la luce dell’intelletto per fare via alla luce di Dio. Odi, di' con
Me: ‘Gesù’. Dillo, lo voglio.”
L’ebete che prima mugolava come una bestia, null’altro che un mugolio, farfuglia a fatica: ‘Gesù’,
anzi: ‘Gegiù’.
“Ancora” ordina Gesù tenendo sempre fra le mani la testa deforme e dominandolo col suo sguardo.
“Ges-sù”
“Ancora”.
“Gesù!” dice finalmente il cretino. E l’occhio non è più così vuoto d’espressione, la bocca ha un
sorriso diverso.
“Uomo” dice Gesù al padre. “Hai avuto fede! Tuo figlio è guarito. Interrogalo. Il nome di Gesù è
miracolo contro i morbi e le passioni.”
“L’uomo dice al figlio: “Chi sono io?”
E il ragazzo: “Il padre mio.”
L’uomo si stringe al cuore il figlio, e spiega: “Mi è nato così. La sposa m’è morta nel parto e lui era
impedito nella mente e nella favella. Ora vedete. Ho avuto fede, sì. Vengo da Joppe. Che devo fare
per Te, Maestro?”
“Essere buono. E con te il figli tuo. Nulla più.”
“E amarti! Oh! andiamo subito a dirlo alla madre di tua madre. E’ lei che mi ha persuaso a questo.
Che sia benedetta!”
I due vanno felici. Della passata sventura non resta che la grossa testa del ragazzo. L'espressione e
la parola sono normali.
“Ma è guarito per volontà tua o per potere del Nome tuo?” chiedono molti.
“Per volontà del Padre, sempre benigno al Figlio. Ma anche il mio Nome è salvezza. Voi lo sapete:
Gesù vuol dire Salvatore. La salvezza dell’anima e dei corpi. Chi dice il Nome di Gesù con vera
fede risorge dai morbi e dal peccato, perché in ogni malattia spirituale o fisica è l’unghia di Satana,
il quale crea le malattie fisiche per portare alla ribellione e alla disperazione attraverso la sofferenza
della carne, e quelle morali o spirituali per portare alla dannazione.”
Allora, secondo Te in ogni afflizione del genere umano non è estraneo Belzebù.”
“Non è estraneo. Per lui malattia e morte sono entrate nel mondo. E delitto e corruzione
ugualmente per lui sono entrate nel mondo. Quando vedete uno tormentato da qualche sventura,
pensate pure che egli soffre per Satana. Quando vedete che uno è causa di sventura, pensate anche
che egli è strumento di Satana..”
“Ma le malattie vengono da Dio.”
“Le malattie sono un disordine nell’ordine. Perché Dio ha creato l’uomo sano e perfetto. Il
disordine portato da Satana nell’ordine dato da Dio, ha portato seco le infermità della carne e le
conseguenze delle stesse, ossia la morte, oppure le ereditarietà funeste. L’uomo ha ereditato da
Adamo ed Eva la macchia di origine. Ma non quella sola. E la macchia sempre più si estende
abbracciando i tre rami dell’uomo: la carne sempre più viziosa e perciò debole e malata, il morale
sempre più superbo e perciò corrotto, lo spirito sempre più incredulo ossia sempre più idolatra.
Perciò occorre, come ho fatto Io con quel deficiente, insegnare il Nome che fuga Satana, scolpirlo
nella mente e nel cuore, metterlo sull’ io come un sigillo di proprietà.”
“Ma Tu ci possiedi? Chi sei, che tanto ti credi?”
“Fosse così! Ma non è. Vi possedessi, sareste già salvi. E sarebbe il mio diritto. Perché Io sono il
Salvatore e dovrei avere i miei salvati. Ma coloro che avranno fede in Me, li salverò.”
“Giovanni..., io vengo da Giovanni, mi ha detto: ‘Vai da Colui che parla e battezza presso Efraim e
Gerico. Egli ha il potere di sciogliere e legare, mentre io non posso che dirti: ‘fa’ penitenza, per
rendere agile l’anima tua a seguire la salute’,” dice uno dei miracolati, che prima si reggeva sulle
stampelle ed ora si muove spedito.
“Non me soffre il Battista di perdere la folla?” chiede uno.
E quello che ha parlato prima, risponde: “Soffrire? Dice a tutti: ‘Andate! Andate! Io sono l’astro
che scende. Egli l’astro che sale e si fissa eterno nel suo splendore. Per non rimanere nelle tenebre,
andate da Lui prima che il mio lucignolo si spenga.”
“Non dicono così i farisei! Loro sono pieni di astio perché Tu attiri le folle. Lo sai?”
“Lo so” risponde brevemente Gesù.
Si attacca una disputa sulla ragione o meno del modo di agire dei farisei. Ma Gesù la tronca con un:
“Non criticate” che non ammette replica.
Tornano Bartolomeo e Matteo coi battezzati.
Gesù inizia a parlare.
“La pace sia con voi tutti.
Ho pensato, posto che ora venite qui sin dal mattino, e più comodo vi è partire a metà giorno, di
parlarvi di Dio al mattino. Ho anche pensato di alloggiare i pellegrini che non possono tornare alle
case entro sera. Io sono pellegrino a mia volta e non possiedo che il minimo indispensabile datomi
dalla pietà di un amico. Giovanni ha ancora meno di Me. Ma da Giovanni vanno persone sane o
semplicemente poco malate, rattratti, ciechi, muti. Ma non morenti o febbrili come da Me. Vanno
da lui per battesimo di penitenza. Da Me venite anche per la guarigione dei corpi. La Legge dice:
‘Ama il tuo prossimo come te stesso’ . Io penso e dico: come mostrerei amare i fratelli se chiudessi
il mio cuore ai loro bisogni anche fisici? E concludo: darò loro ciò che mi fu dato. Stendendo la
mano ai ricchi chiederò il pane dei poveri, levandomi il letto accoglierò in esso lo stanco e il
sofferente.
Siamo tutti fratelli. E l’amore non si prova a parole, ma a fatti. Colui che chiude il cuore al suo
simile, ha cuor di Caino. Colui che non ha amore è un ribelle al comando di Dio. Siamo tutti fratelli.
Eppure Io vedo, e voi vedete, che anche nell’interno delle famiglie - là dove il sangue uguale
ribadisce, anche col sangue e la carne, la fratellanza che ci viene da Adamo - vi sono odi e attriti. I
fratelli sono contro i fratelli, i figli contro ai genitori, i consorti l’uno all’altro nemici.
Ma per non essere malvagi fratelli sempre, e adulteri sposi un giorno, bisogna imparare sino dalla
prima età il rispetto verso la famiglia, organismo che è il più piccolo ed il più grande del mondo. Il
più piccolo rispetto all’organismo di una città, di una regione, di una nazione, di un continente. Ma
il più grande perché il più antico; perché messo da Dio quando ancora il concetto di patria, di paese
non esisteva, ma già era vivo e operante il nucleo famigliare, sorgente alla razza e alle razze,
piccolo regno in cui l’uomo è re, la donna regina, sudditi i figli. Può mai un regno durare se diviso e
nemico fra i suoi singoli abitanti? Non può durare. E in verità non dura una famiglia se non c’è
ubbidienza, rispetto, economia, buona volontà, operosità, amore.
‘Onora il padre e la madre’ dice il Decalogo. Come si onorano? Perché si devono onorare?
Si onorano con vera ubbidienza, con esatto amore, con confidente rispetto, con un timore
riverenziale che non preclude la confidenza ma nello stesso tempo non ci fa trattare i maggiori come
fossimo servi ed inferiori. Si devono onorare perché, dopo Dio, i datori della vita e di tutte le
necessità materiali della vita, i primi maestri, i primi amici del giovane essere nato alla terra, sono il
padre e la madre.
Si Dice: ‘Dio ti benedica’, si dice: ‘grazie’ a quello che ci raccoglie un oggetto caduto o ci dà un
tozzo di pane. Ed a questi che si spezzano nel lavoro per sfamarci, per tesserci le vesti e tenerle
monde, per questi che si alzano per scrutare il nostro sonno, si negano riposo per curarci, ci fanno
letto del loro seno nelle nostre stanchezze più dolorose, non diremo, con l’amore: ‘Dio ti benedica’,
‘grazie’?
Sono i nostri maestri. Il maestro è temuto e rispettato. Ma esso ci prende quando già sappiamo
l’indispensabile per reggerci e nutrirci e dire le cose essenziali, e ci lascia quando il più arduo
insegnamento della vita, ossia ‘il vivere’, ci deve essere ancora insegnato. E sono il padre e la
madre che ci preparano alla scuola prima, alla vita poi.
Sono i nostri amici. Ma quale amico può essere più amico di un padre? E quale più amica di una
madre? Potete tremare di essi? Potete dire: ‘Sono tradito da lui, da lei’? Eppure ecco il giovane
stolto e la ancora più stolta fanciulla che si fanno amici degli estranei, e chiedono il cuore al padre e
alla madre, e si guastano mente e cuore con contatti che sono imprudenti se pure non colpevoli,
cagione di lacrime paterne e materne che rigano come gocce di piombo fuso il cuore dei genitori.
Quelle lacrime però, Io ve lo dico, non cadono nella polvere e nell’oblio. Dio le raccoglie le
numera. Il martirio di un genitore calpestato avrà premio dal Signore. Ma l’atto del figlio
suppliziatore di un genitore neppure sarà dimenticato, anche se il padre e la madre supplicano nel
loro dolente amore, pietà di Dio per il figlio colpevole.
‘Onora o il padre e la madre se vuoi vivere lungamente sulla terra’ è detto. ‘Ed eternamente in
Cielo’, Io aggiungo. Troppo poco sarebbe il castigo di vivere poco qui per avere mancato ai
genitori! L’al di là non è fola, e nell’al di là si avrà premio o castigo a seconda di come vivemmo.
Chi manca ad un genitore manca a Dio, perché Dio ha dato per il genitore comando d’amore, e chi
non ama pecca. Perde perciò così, più della vita materiale, la vera vita di cui vi ho parlato, e va
incontro ad una morte, ha anzi già la morte avendo l’anima in disgrazia del suo Signore, ha già in
sé il delitto perché ferisce l’amore più santo dopo Dio, ha già in sé i germi dei futuri adultèri perché
da cattivo figlio viene perfido sposo, ha già in sé gli stimoli del pervertimento sociale perché da un
cattivo figlio sboccia il futuro ladro, il truce e violento assassino, il freddo strozzino, il libertino
seduttore, il gaudente cinico, il ripugnante traditore della patria, degli amici, dei figli, della sposa, di
tutti. E potete aver stima e fiducia di colui che ha saputo tradire l’amore di una madre e deridere i
capelli bianchi di un padre?
Però, udite ancora, però al dovere dei figli corrisponde un pari dovere dei genitori. Maledizione al
figlio colpevole! Ma maledizione anche al colpevole genitore. Fate che i figli non vi possano
criticare e copiare nel male. Fatevi amare per un amore dato con giustizia e misericordia. Dio è
Misericordia. I genitori, secondi solo a Dio, siano misericordia. Siate esempio e conforto dei figli.
Siate pace e guida. Siate il primo amore dei vostri figli. Una madre è sempre la prima immagine
della sposa che noi vorremmo. Un padre per le figlie giovinette ha il volto che esse sognano per lo
sposo. Fate che soprattutto i figli e le figlie scelgano con saggia mano i reciproci consorti pensando
alla madre, al padre, e volendo nel consorte ciò che è nel padre, nella madre: una virtù verace.
Se avessi a parlare finché è esaurito l’argomento, non basterebbe il giorno e la notte. Onde abbrevio
per amore di voi. Il resto ve lo dica lo Spirito eterno. Io getto il seme e poi passo. Ma il seme nei
buoni getterà radica e farà spiga. Andate. La pace sia con voi.”
Chi parte, se ne va svelto. Chi resta, entra nel terzo stanzone e mangia il suo pane o quello che i
discepoli offrono in nome di Dio. Su rustici cavalletti sono state messe assi e paglia e là possono
dormire i pellegrini.
La donna velata va via con passo svelto, l’altra che piangeva fin da prima e che ha sempre pianto
mentre Gesù parlava, si aggira incerta e poi si decide ad andarsene.
Gesù entra nella cucina per prendere il suo cibo. Ma ha appena cominciato a mangiare che viene
bussato alla porta.
Si alza Andrea, più vicino ad essa, ed esce nella corte. Parla poi rientra: “Maestro, una donna, quella
che piangeva, ti vuole. Dice che deve andare via e che deve parlarti.”
“Ma a questo modo come e quando mangia il Maestro?” esclama Pietro.
“Dovevi dirle di venire più tardi” dice Filippo.
“Silenzio. Mangerò dopo. Andate avanti voi.”
Gesù esce. La donna è lì fuori.
“Maestro... una parola... Tu hai detto... Oh! vieni dietro la casa! E’ penoso dire il mio dolore!”
Gesù l’accontenta senza parlare. Solo quando è dietro alla casa, chiede: “ Che vuoi da Me?”
“Maestro... io ti ho sentito prima, quando parlavi fra noi... e poi ti ho sentito quando predicavi.
Sembra Tu abbia parlato per me. Tu hai detto che ogni malattia fisica o morale è Satana... Io ho un
figlio malato nel cuore. Ti avesse udito quando dicevi dei genitori! E’ il mio tormento. Si è sviato
con cattivi compagni ed è... è proprio come Tu dici... ladro... in casa per ora, ma... E’ rissoso...
prepotente... Giovane come è, si rovina con lussurie e crapule. Mio marito lo vuole cacciare. Io... io
sono la madre... e soffro a morirne. Vedi come ansa il mio petto? E’ il cuore che mi si spezza per
tanto dolore. E’ da ieri che voglio parlarti perché... spero in Te, mio Dio. Ma non osavo dire niente.
E’ così doloroso per una mamma dire: ‘Ho un figlio crudele’!”. La donna piange, curva e dolente,
davanti a Gesù.
“Non piangere più. Egli guarirà dal suo male.”
“Se potesse udirti, sì. Ma lui non vuole udirti. Oh! non guarirà mai!” .
“Ma hai fede tu per lui? Hai volontà tu per lui?” .
“E me lo chiedi? Vengo dalla Alta Perea per pregarti per lui... ” .
“E allora va’. Quando giungerai alla casa tuo figlio ti verrà incontro pentito” .
“Ma come?” .
“Come? E credi che Dio non possa ciò che Io chiedo? Tuo figlio è là. Io sono qua. Ma Dio è
dovunque. Io dico a Dio: ‘Padre, per questa madre pietà’. E Dio tuonerà il suo richiamo nel cuore di
tuo figlio. Vai, donna. Un giorno passerò per le contrade del tuo paese e tu, orgogliosa del tuo
maschio, mi verrai incontro insieme a lui. E quando egli ti piangerà sui ginocchi, chiedendoti
perdono e narrandoti la sua misteriosa lotta da cui è uscito con un’anima nuova, e ti chiederà come
avvenne, tu digli: ‘E’ per Gesù che sei rinato al Bene’. Parlagli di Me. Se a Me sei venuta, è segno
che sai. Fa' che egli sappia e mi pensi per avere seco la forza che salva. Addio. La pace alla madre
che ebbe fede, al figlio che torna, al padre contento, alla famiglia ricomposta. Va’.”
La donna se ne va verso il paese e tutto ha fine.
123. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non fornicare.
L’affronto di cinque notabili.
4 marzo 1945.
Dice Gesù:
“Abbi pazienza, anima mia, per la doppia fatica. E’ tempo di sofferenza. Sai come ero stanco gli
ultimi giorni?! Tu lo vedi. Mi appoggio nell’andare a Giovanni, a Pietro, a Simone, anche a Giuda...
Sì. Ed Io che emanavo miracolo solo sfiorando con le mie vesti, non potei mutare quel cuore!
Lascia che Io mi appoggi a te, piccolo Giovanni, per ridire le parole già dette negli ultimi giorni a
quei pervicaci ottusi sui quali l’annuncio del mio tormento scorreva senza penetrare. E lascia anche
che il Maestro dica le sue ore di predicazione nella triste pianura dell’Acqua Speciosa. Ed Io ti
benedirò due volte. Per la tua fatica e per la tua pietà. Numero i tuoi sforzi, raccolgo le tue lacrime.
Agli sforzi per amore dei fratelli sarà data la ricompensa di quelli che si consumano per fare noto
Dio agli uomini. Alle tue lacrime per il mio soffrire dell’ultima settimana sarà dato in premio il
bacio di Gesù. Scrivi e sii benedetta.”
Gesù è ritto su un mucchio di tavole alzate come una tribuna in uno degli stanzoni, l’ultimo, e parla
con voce tonante, presso la porta, per essere udito tanto da quelli che sono nella stanza come da
quelli che sono sotto la tettoia e sino all’aia allagata dalla pioggia. Sotto i loro mantelloni scuri e di
lana non conciata, sulla quale l’acqua non ha presa, paiono tanti frati. Nella stanza sono i più deboli,
sotto la tettoia le donne, nella corte, all’acqua, i robusti, uomini per lo più.
Pietro va e viene, scalzo e con la sola veste corta sotto un telo che si è messo sul capo, e non perde
il buon umore anche se deve sguazzare nell’acqua e fare una doccia non richiesta. Con lui sono
Giovanni, Andrea, e Giacomo. Trasportano dall'altro stanzone con precauzione dei malati e guidano
dei ciechi o sorreggono degli storpi.
Gesù attende con pazienza che tutti siano a posto. E solo si duole che i quattro discepoli siano
bagnati come delle spugne messe in un secchio.
“Niente, niente! Siamo di legno impeciato. Non te la prendere. Facciamo un altro battesimo, e il
battezzatore è Dio stesso” risponde Pietro ai rammarichi di Gesù.
Finalmente tutti sono a posto e Pietro pensa di potersi andare a mettere una veste asciutta. E lo fa
cogli altri tre. Ma quando ha raggiunto da capo il Maestro, vede sporgere dall’angolo della tettoia il
mantellone bigio della velata e, senza più pensare che per andare da lei deve riattraversare la corte
in diagonale sotto lo scroscio della pioggia che infittisce e nelle pozze che schizzano fino al
ginocchio così percosse dai goccioloni, va da lei. La prende per un gomito, senza spostare il
mantello, e la trascina bene in su, presso la parete dello stanzone, al riparo dall’acqua. E poi le si
pianta vicino, duro e immobile come una sentinella.
Gesù ha visto. Ha sorriso chinando il capo per celare la luminosità del suo sorriso. Ora parla.
“Non dite, voi che siete venuti costanti a Me, che Io non parlo con ordine e salto via qualcuno dei
dieci comandi. Voi udite. Io vedo. Voi ascoltate. Io applico ai dolori e alle piaghe che vedo in voi.
Io sono il Medico. Un medico va prima ai più malati, a quelli che sono più prossimi a morte. Poi si
rivolge ai meno gravi. Io pure.
Oggi dico: ‘Non fornicate’.
Non volgete intorno lo sguardo cercando di leggere sul volto di uno la parola ‘lussurioso’. Abbiate
carità reciproca. Amereste che uno la leggesse su di voi? No. E allora non cercate leggerla
nell’occhio turbato del vicino, sulla fronte che arrossa e si curva al suolo. E poi... Oh! dite, voi
uomini in specie. Quale fra voi non ha mai messo i denti in questo pane di cenere e sterco che è la
soddisfazione sessuale? Ed è lussuria solo quella che vi spinge per un’ora fra braccia meretrici?
Non è lussuria anche il profanato connubio con la sposa, profanato perché è vizio legalizzato
essendo reciproca soddisfazione del senso, evadendo alle conseguenze dello stesso?
Matrimonio vuol dire procreazione, e l’atto vuol dire e deve essere fecondazione. Senza ciò è
immoralità. Non si deve del talamo fare un lupanare. E tale diventa se si sporca di libidine e non si
consacra con delle maternità La terra non respinge il seme. Lo accoglie e ne fa pianta. Il seme non
fugge dalla zolla dopo esservi deposto. Ma subito genera radice e si abbranca per crescere e fare
spiga, ossia la creatura vegetale nata dal connubio fra la zolla e il seme. L’uomo è il seme, la donna
è la terra, la spiga è il figlio. Rifiutarsi a far la spiga e sperdere la forza in vizio è colpa. E’
meretricio commesso sul letto nuziale, ma per nulla dissimile dall’altro, anzi aggravato dalla
disubbidienza al comando che dice: ‘Siate una sola carne e moltiplicatevi nei figli’.
Perciò, vedete, o donne volutamente sterili, mogli legali e oneste non agli occhi di Dio ma del
mondo, che ciononostante voi potete essere come prezzolate femmine e fornicare ugualmente pur
essendo del solo marito, perché non alla maternità ma al piacere andate troppo e troppo spesso. E
non riflettete che il piacere è un tossico che aspirato da qual che sia bocca contagia, fa arsi di un
fuoco che credendo saziarsi si spinge fuor dal focolare e divora, sempre più insaziabile, lasciando
acre sapor di cenere sotto la lingua e disgusto e nausea e sprezzo di sé e del compagno di piacere,
perché quando la coscienza risorge - e fra l’una febbre e l’altra essa sorge - non può non nascere
questo sprezzo di sé, avviliti fino a sotto la bestia?
‘Non fornicate’ è detto.
E’ fornicazione molta parte delle azioni carnali dell’uomo. E non contemplo neppure quelle
inconcepibili unioni da incubo che il Levitico condanna con queste parole: ‘Uomo, non ti
accosterai all’uomo come fosse una donna’, e: ‘Non ti accosterai ad alcuna bestia per non
contaminarti con essa. E così farà la donna e non si unirà a bestia perché è scellerataggine’. Ma
dopo aver accennato al dovere degli sposi verso il matrimonio, che cessa d’essere santo quando, per
malizia, diviene infecondo, vengo a parlare della vera e propria fornicazione fra uomo e donna per
vizio reciproco e per compenso in denaro o in doni.
Il corpo umano è un magnifico tempio che racchiude un altare. Sull’altare dovrebbe essere Dio. Ma
Dio non è dove è corruzione. Perciò il corpo dell’impuro ha l’altare sconsacrato e senza Dio. Pari a
colui che si avvoltola ebbro nel fango e nei rigurgiti della propria ebbrezza, l’uomo avvilisce se
stesso nella bestialità della fornicazione e diviene peggio del verme e della bestia più immonda.
E ditemi, se fra voi è alcuno che ha depravato se stesso sino a commerciare il suo corpo come si fa
mercato di biade o di animali, quale bene ne è venuto? Prendetevi proprio il vostro cuore in mano,
osservatelo, interrogatelo, ascoltatelo, vedete le sue ferite, i suoi brividi di dolore, e poi dite e
rispondetemi: era così dolce quel frutto da meritare questo dolore di un cuore che era nato puro e
che voi avete costretto a vivere in un corpo impuro, a battere per dare vita e calore alla lussuria, a
logorarsi nel vizio?
Ditemi: ma siete tanto depravate da non singhiozzare nel segreto, sentendo una voce di bimbo che
chiama: ‘mamma’ e pensando alla vostra madre, o donne di piacere, fuggite da casa, o cacciate da
essa perché il frutto marcito non rovinasse col suo trasudante marciume gli altri fratelli? Pensando
alla vostra madre che forse è morta dal dolore di doversi dire: ‘Ho partorito un obbrobrio’?
Ma non vi sentite cadere il cuore per terra, incontrando un vecchio solenne nella sua canizie e
pensando che su quella del padre voi avete gettato il disonore come un fango preso a piene mani, e
col disonore lo scherno del paese natio?
Ma non vi sentite torcere le viscere di rimpianto vedendo la felicità di una sposa o la innocenza di
una vergine, e dovendo dire: ‘Io tutto questo l’ho rinunciato e non lo avrò mai più’ ?
Ma non sentite come scotennarvi dalla vergogna il volto, incontrando lo sguardo degli uomini o
bramoso o pieno di spregio?
Ma non sentite la vostra miseria quando avete sete di un bacio di un bimbo e non osate dire:
‘Dammelo’, perché avete ucciso delle vite all’inizio, respinte da voi come peso noioso e un inutile
impiccio, staccate dall’albero che pur le aveva concepite, e gettate a far da letame, e ora quelle
piccole vite vi gridano: ‘assassine!’?
Ma non tremate, soprattutto, di quel Giudice che vi ha create e vi attende per chiedervi: ‘Che hai
fatto di te stessa? Per questo, forse, ti ho dato la vita? Pullulante nido di vermi e putrefazione, come
osi stare al mio cospetto? Tutto avesti di ciò che per te era il dio: il piacere. Va' nella maledizione
senza termine’?.
Chi piange? Nessuno? Voi dite: nessuno? Eppure l’anima mia va incontro ad un’altra anima che
piange. Perché le va incontro? Per lanciarle l’anatema perché meretrice? No. Perché mi fa pietà
l’anima sua. Tutto in Me repelle per il suo corpo sozzo, sudato nella fatica lasciva. Ma la sua anima!
Oh! Padre! Padre! Anche per quest’anima Io ho preso carne ed ho lasciato il Cielo per essere il
Redentore suo e di tante sue anime sorelle! Perché devo non raccogliere questa pecora errante e
portarla all’ovile, mondarla, unirla al gregge, darle pascoli e un amore che sia perfetto come solo il
mio può essere, così diverso da quelli che ebbero fin qui per lei nome di amore e non erano che odii,
così pietoso, completo, soave che ella più non rimpianga il tempo passato, o lo rimpianga solo per
dire: ‘Troppi giorni ho perduto lungi da Te, eterna Bellezza. Chi mi rende il tempo perduto? Come
gustare nel poco che mi resta quanto avrei gustato se fossi stata sempre pura?’
Eppure non piangere, anima calpestata da tutta la libidine del mondo. Ascolta: sei un cencio lurido.
Ma puoi tornare fiore. Sei un letamaio. Ma puoi divenire aiuola. Sei un animale immondo. Ma puoi
tornare angelo. Un giorno lo fosti. Danzavi sui prati fioriti, rosa fra le rose, fresca come esse,
olezzante di verginità. Cantavi serena le tue canzoni di bambina e poi correvi dalla madre, dal
padre, e dicevi loro: ‘Voi siete i miei amori’. E l’invisibile custode che ogni creatura ha al fianco,
sorrideva della tua anima bianco-azzurra... E poi? Perché? Perché hai strappato le tue ali di piccolo
innocente? Perché hai calpestato un cuore di padre e di madre per correre ad altri cuori insicuri?
Perché hai piegato la voce pura a menzognere frasi di passione? Perché hai infranto lo stelo della
rosa e violata te stessa?
Pentiti, figlia di Dio. Il pentimento rinnova. Il pentimento purifica. Il pentimento sublima. L’uomo
non ti può perdonare? Neppure tuo padre potrebbe più? Ma Dio può. Perché la bontà di Dio non ha
paragone con la bontà umana e la sua misericordia è infinitamente più grande della umana miseria.
Onora te stessa rendendo, con una vita onesta, onorevole la tua anima. Giustificati presso Iddio non
peccando più contro la tua anima. Fatti un nome nuovo presso Dio. E’ quello che vale. Sei il vizio.
Diventa l’onestà. Diventa il sacrificio. Diventa la martire del tuo pentimento. Sapesti bene
martirizzare il tuo cuore per far godere la carne. Ora sappi martirizzare la carne per dare un’eterna
pace al cuore.
Vai. Andate tutti. Ognuno col suo peso e col suo pensiero, e meditate. Dio tutti attende e non rigetta
nessuno di quelli che si pentono. Il Signore vi dia la sua luce per conoscere la vostra anima.
Andate.”
Molti vanno via verso il paese. Altri entrano nello stanzone. Gesù va verso i malati e li risana.
Un gruppo di uomini parlotta in un angolo; divisi fra diverse tendenze, gesticolano, e si accalorano.
Alcuni sono accusatori di Gesù, altri difensori, altri ancora esortano questi e quelli a più maturo
giudizio.
Infine i più accaniti, forse perché pochi rispetto agli altri due gruppi, prendono una via di mezzo.
Vanno da Pietro, che insieme a Simone trasporta le barelle ormai inutili di tre miracolati, e lo
assalgono prepotenti dentro allo stanzone mutato in foresteria dei pellegrini. Dicono: “Uomo di
Galilea, ascolta.”
Pietro si volta e li guarda come bestie rare. Non parla, ma il suo viso è un poema. Simone getta solo
un’occhiata ai cinque energumeni e poi esce, lasciando tutti in asso.
Uno dei cinque riprende: “Io sono Samuele, lo scriba; costui è l’altro scriba Sadoch; e questo è il
giudeo Eleazaro, molto noto e potente; e questo l’illustre anziano Callascebona; e questo, infine,
Nahum. Capisci? Nahum” e il tono è addirittura enfatico.
Pietro fa un lieve inchino ad ogni nome, ma all’ultimo resta a mezza via, e dice, con la massima
indifferenza: “Non so. Mai sentito. E... non capisco niente.”
“Rozzo pescatore! Sappi che è il fiduciario di Anna!”
“Non conosco Anna; ossia conosco molte donne di nome Anna. Ce ne è una è fungaia anche a
Cafarnao. Ma non so di che Anna costui è fiduciario.”
“Costui? A me si dice: ‘costui’?”
“Ma cosa vuoi che ti dica? Asino o uccello? Quando andavo a scuola mi ha insegnato il maestro a
dire ‘costui’ parlando di un uomo e, se non ho le traveggole, tu sei un uomo.”
L’uomo si dimena come fosse torturato da quelle parole. L’altro, il primo che ha parlato, spiega:
“Ma Anna è il suocero di Caifa...”
“Aaaah!... Capito!!! Ebbene?”
“Ebbene, sappi che noi siamo sdegnati!”
“Di che? Del tempo? Anche io. E’ la terza volta che mi cambio veste e ora non ho più nulla di
asciutto.”
“Ma non fare lo stolto!”
“Stolto? E’ la verità. Se non siete sdegnati del tempo, di che allora? Dei romani?”
“Del tuo Maestro! Del falso profeta.”
“Ehi! caro Samuele! Bada che mi sveglio, e sono come il lago. Dalla bonaccia alla tempesta non ci
tengo che un attimo. Guarda come parli...”
Sono entrati anche i figli di Zebedeo e di Alfeo, e con loro l’Iscariota e Simone, e si stringono a
Pietro che alza sempre più la voce.
“Tu non toccherai con le tue mani plebee i grandi di Sionne!”
“Oh! che bei signorini! E voi non toccatemi il Maestro, perché altrimenti volate nel pozzo, subito, a
purificarvi per davvero, di dentro e di fuori.”
“Faccio osservare ai dotto del Tempio che la casa è domino privato” dice pacato Simone. E
l’Iscariota rincara: “e che il Maestro, io ne sono mallevadore, ha sempre avuto per la casa altrui,
prima fra tutte la casa del Signore, il massimo rispetto. Sia usato uguale verso la sua.”
“Tu taci, verme subdolo!”
“Subdolo in quanto! Mi avete fatto schifo e sono venuto dove schifo non è. E voglia Dio che essere
stato con voi non mi abbia corrotto fino nel fondo!”
“Breve: che volete?” chiede asciutto Giacomo di Alfeo.
“E tu chi sei?”
“Sono Giacomo di Alfeo, e Alfeo di Giacobbe, e Giacobbe di Matan, e Matan di Eleazar, e se vuoi
ti dico tutta l’ascendenza sino a re Davide da cui vengo. E cugino sono del Messia. Per cui ti prego
di parlare con me, di stirpe reale e di razza giudea, se alla tua alterigia è schifo parlare con un onesto
israelita che conosce Dio meglio di Gamaliele e Caifa. Andiamo. Parla.”
“Il tuo Maestro e parente si fa seguire dalle prostitute. Quella velata è una di esse. L’ho vista mentre
vendeva dell’oro. E l’ho riconosciuta. E’ l’amante fuggita a Sciammai. Questo lo disonora.”
“Chi? A Sciammai il rabbino? Allora deve essere una vecchia carcassa. Fuori pericolo perciò...”
motteggia l’Iscariota.
“Taci, folle! A Sciammai di Elchi, il prediletto di Erode.”
“Toh! Toh! Segno che non lo predilige più, lei, il prediletto. E’ lei che deve andare in letto con lui.
Non te. Perché te la prendi allora?” Giuda di Keriot è ironico al sommo.
“Uomo, non pensi disonorarti facendo la spia?” chiede Giuda di Alfeo. “E non pensi che si disonora
colui che si abbassa a peccare, non colui che cerca alzare il peccatore? Che disonore ne viene al mio
Maestro e fratello se Egli, parlando, spinge la voce sino alle orecchie profanate dalla bava dei
lussuriosi di Sionne?”
“La voce? Ah! Ah! Ha trent’anni il tuo Maestro e cugino, e non è che più ipocrita degli altri! E tu, e
voi tutti dormite sodo la notte...”
“Impudente rettile! Fuori di qua o ti strozzo!” urla Pietro, e a lui fanno eco Giacomo e Giovanni,
mentre Simone si limita a dire: “Vergogna! La tua ipocrisia è tanto grande che rigurgita e trabocca,
e sbavi come un lumacone sul fiore puro. Esci e divieni uomo, perché per ora non sei che una bava.
Ti riconosco, Samuele. Sei sempre lo stesso cuore. Dio ti perdoni. Ma va' via dal mio cospetto.”
Ma mentre il Keriot con Giacomo di Alfeo tengono il bollente Pietro, Giuda Taddeo, che nell’atto
assomiglia più che mai al Cugino di cui ora ha lo stesso balenare azzurro nello sguardo e
l’imponenza nell’espressione, tuona: “Disonora se stesso chi l’innocente disonora. L'occhio e la
lingua li ha fatti Dio per compiere opere sante. Il malèdico li profana e avvilisce, facendo loro
compiere opere malvagie. Io non sporcherò me stesso con atto villano contro la tua canizie. Ma ti
ricordo che i malvagi odiano l’uomo integro e che lo stolto sfoga il suo malanimo senza neppur più
riflettere che si tradisce. Chi vive nelle tenebre scambia per rettile il ramo fiorito. Ma chi vive nella
luce vede le cose come esse sono e le difende, se denigrate, per amore alla giustizia. Noi viviamo
nella luce. Siamo la generazione casta e bella dei figli della luce, e il Duce nostro è il Santo che non
conosce donna né peccato. Noi Lui seguiamo e lo difendiamo dai suoi nemici, per i quali, come Lui
ci ha insegnato, abbiamo non odio ma preghiera. Impara, o vecchio, da un giovane, divenuto maturo
perché la Sapienza gli è Maestro a non essere lesto nel parlare e buono a nulla nell’operare il bene.
Vai. E riporta a chi ti ha mandato che non nella profanata casa che è sul monte Moria, ma in questa
povera dimora riposa Dio sulla sua gloria. Addio.”
I cinque non osano ribattere e se ne vanno.
I discepoli si consultano. Dirlo o non dirlo a Gesù, che è ancora coi malati guariti? Dirlo. E’ meglio
così. Lo raggiungono, lo chiamano e lo dicono.
Gesù sorride calmo e risponde: “Vi ringrazio della difesa... ma che ci volete fare? Ognuno dà ciò
che ha.”
“Però un poco ragione l’hanno. Gli occhi sono nella testa per vedere e molti vedono. Lei è sempre lì
fuori, come un cane. Ti nuoce” dicono in diversi.
“Lasciatela stare. Non sarà lei la pietra che mi colpirà sul capo. E se lei si salva... oh! Vale bene la
pena di una critica per questa gioia!”
Tutto ha fine su questa dolce risposta.
124. La “velata” viene ospitata nella casetta dell’Acqua Speciosa.
5 marzo 1945.
La giornata è talmente orrida che non c’è nessun pellegrino. Piove a rovesci e l’aia si è mutata in un
basso stagno su cui galleggiano foglie secche, venute da chissà dove e portate dal vento che fischia
e scuote porte e impannate. Nella cucina, più che mai tetra, perché per impedire alla pioggia di
entrare si deve tenere appena socchiusa la porta, ci si affumica e si lacrima e tossisce perché il vento
respinge in giù il fumo.
“Aveva ragione Salomone” sentenzia Pietro. “Tre cose cacciano l’uomo: la donna litigiosa... e
quella l’ho lasciata a litigare a Cafarnao con gli altri generi, il camino che fa fumo e il tetto che fa
acqua. E questi due ce li abbiamo... Ma domani ci penso io a questo camino. Vado sul tetto, e tu e tu
e tu, (Giacomo, Giovanni e Andrea) venite con me. E con delle lavagne faremo un rialzo e un tetto
al comignolo.”
“E dove le trovi le lavagne?” chiede Tommaso.
“Sulla tettoia. Se piove là non è il finimondo. Ma qui... Ti duole che le tue vivande non si decorino
più di lacrime fuligginose?”
“Figurati! Magari ci riuscissi! Guarda come sono tinto. Mi piove in testa quando sto qui al fuoco.”
“Sembri un mostro egiziano” dice ridendo Giovanni.
E infatti Tommaso ha bizzarre virgole nere sul volto pienotto e bonario. Il primo a riderne è lui,
sempre allegro, e ride anche Gesù, perché, proprio mentre parla, una nuova goccia carica di
fuliggine gli piomba sul naso e ne fa la punta nera.
“Tu che sei esperto di tempo, che ne dici? Durerà molto così?” chiede a Pietro l’Iscariota, che è
tutto cambiato da qualche giorno.
“Ora te lo so dire. Vado a fare l’astrologo” dice Pietro, e va alla porta e la socchiude un poco di più,
mettendo fuori il capo e una mano. Poi sentenzia: “Vento basso e dal meridione. Caldo e caligine...
Uhm! C’è poco da...” Pietro tace, poi rientra piano e mette la porta a spiraglio e sbircia.
“Che c’è?” chiedono in tre o quattro.
Ma Pietro fa cenno con la mano di tacere. Guarda. Poi dice con un sussurro: “C’è quella donna. Ha
bevuto dell’acqua del pozzo e ha preso una fascina rimasta nella corte. E’ tutta bagnata. Non brucia
certo... Se ne va... Le vado dietro. Voglio vedere...”. E’ uscito cauto.
“Ma dove può stare per essere qui vicino sempre?” chiede Tommaso.
“Ed essere qui con questo tempo!” dice Matteo.
“In paese ci va di certo, perché anche ieri l’altro ci comprava del pane.” dice Bartolomeo.
“Ha una bella costanza a stare così velata!” osserva Giacomo di Alfeo.
“O un grande motivo” finisce Tommaso.
“Ma sarà proprio quella che diceva ieri quel giudeo?” chiede Giovanni. “Sono sempre così falsi!”
E Gesù sta sempre zitto come fosse sordo. Tutti lo guardano, certi che Lui sa. Ma Lui sta lavorando
con un coltello tagliente intorno a un pezzo di legno dolce, che piano piano si muta in un comodo
forchettone per estrarre le verdure dall’acqua bollente. E quando ha finito offre il suo lavoro a
Tommaso, che si è dedicato proprio tutto alla cucina.
“Sei proprio bravo, Maestro. Ma... ce lo dici chi è?”
“Un’anima. Per Me siete tutti ‘anime’. Null’altro. Uomini, donne, vecchi, bambini: anime, anime,
anime. Anime candide i pargoli, anime azzurre i fanciulli, anime rosee i giovani, anime d’oro i
giusti, anime di pece i peccatori. Ma anime solo; solo anime. E sorrido alle anime candide perché
mi sembra di sorridere agli angeli; e mi riposo fra i fiori rosei ed azzurri degli adolescenti buoni; e
mi rallegro delle anime preziose dei giusti; e mi affatico, soffrendo, per fare preziose e splendide le
anime dei peccatori. I volti?... I corpi?... Nulla. Io vi conosco e riconosco per le vostre anime.”
“E lei che anima è?” chiede Tommaso.
“Un’anima meno curiosa di quella dei miei amici, perché non indaga, non chiede, va e viene senza
parola e senza sguardo.”
“Io la credevo una di malaffare o una lebbrosa. Ma mi sono ricreduto perché... Maestro, se ti dico
una cosa non mi rimproveri?” chiede l’Iscariota andando a mettersi seduto per terra contro le
ginocchia di Gesù, tutto diverso, umile, buono, fin più bello in questa sua aria dimessa di quanto
non sia quando è il pomposo e borioso Giuda.
“Non ti rimprovererò. Parla.”
“Io so dove abita. L’ho seguita una sera... fingendo di uscire a prendere acqua, perché mi sono
accorto che a buio viene sempre al pozzo... Una mattina ho trovato per terra una forcina d’argento...
proprio sull’orlo del pozzo... e ho capito che l’aveva perduta lei. Ebbene, lei sta in una capannella di
legno che è nel bosco. Forse serve ai contadini. E’ però mezza marcita. E lei le ha messo sopra delle
frasche a fare da tetto. Forse quella fascina la vuole per quello. E’ una tana. Non so come ci possa
stare. Basterebbe appena ad un grosso cane, o a un minuscolo asinello. Era una sera di luna e ho
visto bene. E’ mezza sepolta fra i rovi, ma dentro... è vuota e non c’è porta. E’ per quello che mi
sono ricreduto e ho capito che non è una di malaffare.”
“Non lo dovevi fare. Ma, sii sincero, non hai fatto di più?”
“No, Maestro. Avrei voluto vederla, perché è da Gerico che la noto e mi pare di conoscerne il passo
così lieve con cui va veloce dove vuole. Anche la sua persona deve essere flessuosa e... bella. Sì. Lo
si capisce, nonostante tutte quelle vesti... Ma non ho osato spiarla mentre si coricava sulla terra.
Forse si è levata il velo. Ma l’ho rispetta...”
Gesù lo guarda fisso fisso e poi dice: “E ne hai sofferto. Ma hai detto il vero. Ed Io ti dico che sono
contento di te. Un’altra volta ti costerà meno ancora essere buono! Tutto sta a fare il primo passo.
Bravo Giuda!” e lo carezza.
Rientra Pietro: “Ma, Maestro”! Quella donna è pazza! Ma sai dove sta? Quasi in riva al fiume, in un
casottino di legno sotto un macchione. Forse un tempo serviva a qualche pescatore o boscaiolo...
Chissà! Mai avrei pensato che in quel luogo umido, sprofondato in un fosso, sotto un groviglio di
rovi ci fosse una povera donna. E glielo ho detto: ‘Parla e sii sincera. Sei lebbrosa?’ Mi ha risposto
in un soffio: ‘No’. ‘Giuralo’ ho detto. E lei: ‘Lo giuro.’ ‘Guarda che se lo sei e non lo dici e vieni
vicino alla casa e io vengo a sapere che sei immonda, ti faccio lapidare. Ma se sei perseguitata, se
sei una ladra o assassina, e stai qui per paura di noi, non temere alcun male. Ma ora esci di li. Non
vedi che sei nell’acqua? Hai fame? Hai freddo? Tremi. Sono vecchio, lo vedi? Non ti faccio la
corte. Vecchio e onesto. Perciò ascoltami’. Ho detto così. Ma non ha voluto venire. La troveremo
morta, perché è proprio nell’acqua.”
Gesù è pensoso. Guarda i dodici volti che lo guardano. Poi dice: “Che dite che si faccia?”
“Ma, Maestro, decidi Tu!”
“No. Voglio che giudichiate voi. E’ una cosa in cui è in causa anche la stima di voi. Ed Io non devo
fare violenza sul vostro diritto di tutelarla.”
“In nome della misericordia io dico che non si può lasciarla là” dice Simone.
E Bartolomeo: “Direi per oggi di metterla nello stanzone. Ci vanno pure i pellegrini? Ci può andare
lei pure.”
“E’ una creatura come tutte le altre, infine” commenta Andrea,
“E poi oggi non viene nessuno, e perciò...” osserva Matteo
“Proporrei di ospitarla per oggi, e domani di dirlo al fattore. E’ un buon uomo” dice Giuda Taddeo.
“Hai ragione! Bravo! Ed ha tante stalle anche vuote. Una stalla è sempre una reggia rispetto a quel
barchetto affondato!” esclama Pietro.
“Vaglielo a dire allora” incita Tommaso.
“I giovani non hanno ancora parlato” osserva Gesù.
“Per me va bene quel che Tu fai” dice il cugino Giacomo. E l’altro Giacomo col fratello, ad una
voce: “E noi pure.”
“Io penso solo al malaugurato caso che capiti qualche fariseo” dice Filippo.
“Oh! anche se andassimo nelle nuvole credi che non ci manderebbero delle accuse? Non accusano
Dio perché è lontano. Ma se potessero averlo vicino, come lo ebbero Abramo, Giacobbe e Mosè gli
farebbero rimproveri... Chi senza colpe per loro?” dice Giuda di Keriot.
Allora andate a dirle di ricoverarsi nello stanzone... Va’ tu, Pietro, con Simone e Bartolomeo. Siete
anziani e farete meno soggezione alla donna. E ditele che le daremo cibo caldo e una veste asciutta.
E’ quella che ha lasciato Isacco. Vedete che tutto serve? Anche una veste da donna data a un
uomo...”
I giovani ridono perché sulla veste in parola ci deve essere stato qualche buffo retroscena.
I tre anziani vanno... e tornano dopo un poco.
“Ce n’è voluto... ma ha finito a venire. Le abbiamo giurato che non la disturberemo mai. Ora le
porto la paglia e la veste. Dammi le verdure e un pane. Non ha neppure da mangiare, oggi. Infatti...
chi va in giro con questo diluvio?”. Il buon Pietro parte coi suoi tesori.
“E ora a tutti un ordine: per nessuna ragione si va allo stanzone. Domani provvederemo. Abituatevi
a fare il bene per il bene, senza curiosità e desideri di avere da esso una distrazione o altro. Vedete?
Vi rammaricavate che oggi non si sarebbe fatto nulla di utile. Abbiamo amato il prossimo. E che di
più grande potevamo fare? Se, e lo è certo, costei è un’infelice, non può il nostro aiuto darle un
ristoro, un calore, una protezione ben più profonda del poco cibo, della misera veste, del tetto
solido che le abbiamo dato? Se è una colpevole, una peccatrice, una creatura che cerca Dio, il nostro
amore non sarà la più bela lezione, la più potente parola, la più netta indicazione per metterla sulla
strada di Dio?”
Pietro rientra piano piano e ascolta il suo Maestro.
“Vedete, amici, molti maestri ha Israele, e parlano, parlano... Ma le anime restano quali sono.
Perché? Perché le anime odono le parole dei maestri ma vedono anche le loro azioni. E queste
distruggono quelle. E le anime restano dove erano, se pure non retrocedono. Ma quando un maestro
fa ciò che dice e agisce da santo in ogni sua azione, anche se fa solo delle azioni materiali come
quella di dare un pane, una veste, un alloggio alla carne sofferente del prossimo, ottiene che le
anime procedano e giungano a Dio, perché sono le sue stesse azioni che dicono ai fratelli: ‘Dio è; e
qui è Dio’. Oh! l’amore! In verità vi dico che chi ama salva se steso e gli altri.”
“Dici bene, Maestro. Quella donna mi ha detto: ‘Sia benedetto il Salvatore e Colui che l’ha
mandato, e tutti voi con Lui’, e a me, povero uomo, mi ha voluto baciare i piedi, e piangeva dietro il
suo fitto velo... Mah!... Ora speriamo che non arrivi qualche nottolone da Gerusalemme... Se no! E
chi ci salva!”
“La nostra coscienza ci salva dal giudizio del Padre nostro. Basta così” dice Gesù. E si siede a
tavola dopo aver benedetto e offerto il cibo.
Tutto ha fine.
125. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Santifica la festa.
Il bambino dalle gambe fratturste.
6 marzo 1945.
La giornata meno tremenda, per quanto ancora piovosa, permette alla gente di venire dal Maestro.
Gesù ascolta in disparte due o tre che hanno grandi cose da dirgli e che poi raggiungono più quieti il
loro posto.
Benedice anche un bambinello che ha le gambine fratturate malamente e che nessun medico volle
curare, dicendo: ‘E’ inutile. Sono rotte in alto, presso la spina’. Lo dice la madre tutta in lacrime, e
spiega: “Correva con la sorellina sulla via del paese. E’ venuto avanti di galoppo col suo carro un
erodiano e lo ha travolto sotto il carro. Ho creduto che fosse morto. Ma è peggio. Lo vedi. Lo tengo
su quest’asse perché... non c’è altro da fare. E soffre, soffre perché l’osso buca. Ma poi, quando
l’osso non bucherà più, allora soffrirà perché non potrà che giacere sul dorso.”
“Hai molto male?” chiede pietoso Gesù al fanciullino piangente.
“Sì.”
“Dove?”
“Qui... e qui” e si tocca con la manina incerta le due ossa iliache. “E poi qui e qui” e tocca le reni e
le spalle. “E’ dura l’asse e io voglio muovermi, io...” e piange disperato.
“Vuoi venire in braccio a Me? Ci vieni? Ti porto là in alto, vedi tutti mentre Io parlo.”
“Siii” (il sì è pieno di desiderio). Il poverino tende le braccine supplici.
“Vieni. allora.”
“Ma non può, Maestro, è impossibile! Ha troppo dolore... Neppur lo posso muovere io per lavarlo.”
“Non gli farò male.”
“Il medico...”
“Il medico è il medico, Io sono Io. Perché sei venuta?”
“Perché sei il Messia” risponde la donna, che sbianca e arrossa in volto, presa fra una speranza e
una disperazione.
“E allora? Vieni, piccolino”. E Gesù, passando un braccio sotto le inerti gambine, uno sotto le
piccole spalle, prende il bambino e gli chiede: “Ti faccio male? No? E allora dì addio alla mamma e
andiamo.”
E va, fra la folla che si fende, col suo carico. Va fino in fondo, sale sulla specie di predella che gli
hanno costruita perché sia visto da tutti, anche nella corte, si fa dare una panchetta e si siede, si
aggiusta sulle ginocchia il bambino e gli chiede: “Ti piace? Ora sta' buono e ascolta anche tu” e
inizia a parlare, gestendo con una mano sola, la destra, perché con la sinistra sorregge il bambino
che guarda la gente, felice di vedere qualcosa e sorride alla mamma palpitante di speranza là in
fondo, e giocherella col cordone della veste di Gesù e anche con la morbida barba bionda del
Maestro e con una ciocca dei suoi lunghi capelli.
“E’ detto: ‘Lavora di un onesto lavoro e il settimo dì dedicalo al Signore e allo spirito tuo’. Questo è
detto col comando del riposo sabatico.
L’uomo non è da più di Dio. Eppure Dio fece in sei giorni la sua creazione e il settimo riposò.
Come allora l’uomo si permette di non imitare il Padre e di non ubbidire al suo ordine? E’ ordine
stolto? No. In verità è un ordine salutare sia nell’ordine della carne, sia in quello morale, sia in
quello dello spirito.
Il corpo affaticato ha bisogno di riposo così come lo ha quello di ogni creato essere. Riposa pure, e
noi lo lasciamo riposare per non perderlo, il bove usato nel campo, l’asino che ci porta, la pecora
che ci figlia l’agnello e ci dà il latte. Riposa pure, e noi la lasciamo riposare, la terra del campo,
perché nei mesi che è priva di seme si nutra e saturi dei sali che ad essa piovono dal cielo o
affiorano dal suolo. Riposano bene, anche senza chiedere al nostro beneplacito, gli animali e le
piante che ubbidiscono a leggi eterne di un riprodurre saggio. Perché allora l’uomo vuole non
imitare il Creatore, che il settimo dì riposò, e non l’inferiore che, vegetale o animale che sia, senza
aver avuto che un comando all’istinto, si sa regolare secondo esso e ad esso ubbidire?
E’ un ordine morale oltre che fisico. Per sei giorni l’uomo fu di tutti e di tutto. Preso come un filo
dal congegno del telaio, andò su e giù senza poter mai dire: ‘Ora mi occupo di me stesso, dei miei
più cari. Sono il padre e oggi sono dei figli, sono lo sposo ed oggi mi dedico alla sposa, sono il
fratello e gioisco dei fratelli, sono il figlio e curo la vecchiezza dei genitori.’
E’ un ordine spirituale. Santo il lavoro. Più santo l’amore. Santissimo Iddio. E allora ricordarsi di
dare almeno un giorno su sette al nostro buono e santo Padre, che ci ha dato la vita e ce la mantiene.
Perché trattarlo da meno del padre, dei figli, dei fratelli, della sposa, dello stesso nostro corpo? Il
dies Domini sia di Lui. Oh! dolce ricoverarsi dopo il lavoro del giorno, a sera, nella casa piena di
affetti! Dolce ritrovarla dopo un lungo viaggio! E perché non ricoverarsi dopo sei giorni di lavoro
nella casa del Padre? Perché non essere come il figlio che torna da un viaggio durato sei giorni e
dice: ‘Eccomi a passare il mio giorno di riposo con te’?
Ma, ora udite, Io ho detto: ‘Lavora di un onesto lavoro’.
Voi sapete che la nostra Legge ordina l’amore del prossimo. L’onestà del lavoro rientra nell’amore
del prossimo. L’onesto nel lavoro non ruba nel commercio, non defrauda la mercede all’operaio,
non lo sfrutta in maniera colpevole, si ricorda che il servo e l’operaio sono una carne e un’anima
pari a lui e non li tratta come pezzi di pietra senza vita, che è lecito spezzare e percuotere col piede e
col ferro. Chi non fa così non ama il prossimo e pecca perciò agli occhi di Dio. Maledetto è il suo
guadagno, anche se da esso ne trae obolo per il Tempio.
Oh! che bugiarda offerta! E come può osare di metterla ai piedi dell’altare quando gronda di lacrime
e sangue dell’inferiore sfruttato, o ha nome ‘furto’, ossia tradimento verso il prossimo, perché il
ladro è un traditore del suo prossimo? Non è, credetelo, santificata la festa se non è usata a scrutare
se stesso ed impiegata a migliorare se stesso, a riparare i peccati commessi durante i sei giorni. Ecco
la santificazione della festa! Questa, e non un’altra tutta esteriore e che non muta di un iota il vostro
modo di pensare.
Dio vuole opere vive, non simulacri d’opere. E’ simulacro il falso ossequio alla sua Legge. E’
simulacro la santificazione mendace del sabato, ossia il riposo compiuto per mostrare ubbidienza al
comando agli occhi degli uomini, ma usando poi quelle ore di ozio nel vizio, nella lussuria, nella
crapula, nella cogitazione sul come sfruttare e nuocere al prossimo nella veniente settimana. E’
simulacro la santificazione del sabato, ossia il riposo materiale che non si accoppia al lavoro intimo,
spirituale, santificante di un retto esame di sé, di un umile riconoscimento della propria miseria, di
un serio proposito di fare meglio nella prossima settimana.
Voi direte: ‘E se poi si torna a cadere in peccato?’ Ma che direste voi di un bambino, che per essere
caduto non volesse più fare un passo per non tornare a cadere? Che è uno stolto. Che non si deve
vergognare di essere incerto nel passo, perché tutti lo fummo quando eravamo piccini e non per
questo il padre nostro non ci amò. Chi non ricorda come le nostre cadute hanno fatto piovere su noi
una pioggia di baci materni e di carezze paterne? Lo stesso fa il Padre Dolcissimo che è nei Cieli.
Egli si china sul suo piccolo che piange al suolo e gli dice: ‘Non piangere, Io ti rialzo. Starai più
attento un’altra volta. Ora vieni nelle mie braccia. Qui passerà ogni tuo male e poi tornerai via
irrobustito, risanato, felice.’ Questo dice il Padre nostro che è nei Cieli. Questo Io vi dico.
Se riusciste ad avere fede nel Padre, tutto vi riuscirebbe. Una fede, fate attenzione, come quella di
un pargolo. Il pargolo crede tutto possibile. Non si chiede se e come può avvenire un fatto. Non
misura la profondità di esso. Crede in chi gli ispira fiducia e fa ciò che costui gli dice. Siate come i
pargoli presso l’Altissimo. Come li ama questi sperduti angeli che sono la bellezza della terra!
Ugualmente ama le anime che si fanno semplici, buone, pure come è il bambino.
Volete vedere la fede di un bambino per imparare ad avere fede? Osservate. Tutti voi avete
compassionato il piccolino che Io tengo sul petto e che, contrariamente a ciò che i medici e la madre
dicevano, non ha pianto nello stare seduto nel mio grembo. Vedete? Lui, che da molto tempo non
faceva che piangere notte e giorno senza trovare riposo, qui non ha pianto e si è addormentato
placido sul mio cuore. Gli ho chiesto: ‘Vuoi venire in braccio a Me?’ e lui ha risposto: ‘sì’ senza
ragionare sul suo misero stato, sul probabile dolore che avrebbe potuto sentire, sulle conseguenze di
essere mosso. Ha visto nel mio volto amore e ha detto: ‘sì’ ed è venuto. E non ha sentito dolore. Ha
goduto di esser qui in alto e vedere, lui inchiodato su quella piatta tavola, ha goduto di esser messo
sul morbido di una carne e non sul duro di un legno, ha sorriso, ha giocato e si è addormentato con
ancora una ciocca dei miei capelli fra le piccole mani. Ora lo sveglio, con un bacio...” e Gesù bacia
sui capellucci castani il bambino, finché si sveglia con un sorriso.
“Come ti chiami?”
“Giovanni”.
“Ascolta, Giovanni. Vuoi camminare? Andare dalla mamma e dirle: ‘Il Messia ti benedice per la tua
fede’?”.
“Sì! sì!” e il piccolo batte le manine, poi chiede: “ Tu mi fai andare? Sui prati? Più la brutta tavola
dura? Più i medici che fanno male?”
“Più, mai più.”
“Ah! come ti voglio bene!” e getta le braccine intorno al collo di Gesù e lo bacia, e per baciarlo
meglio salta in ginocchio sui ginocchi di Gesù, e una grandine di baci innocenti scende sulla fronte,
sugli occhi, sulle guance di Gesù.
Il bambino nella sua gioia, neppure si accorge di essersi potuto muovere, lui fino allora spezzato.
Ma l’urlo della madre e della folla lo riscuote e lo fa volgere stupito. I suoi occhioni innocenti nel
volto smagrito guardano interrogativamente. Sempre in ginocchio, col braccino destro intorno al
collo di Gesù, gli chiede confidenzialmente - accennando alla gente in tumulto, alla madre che nel
fondo lo chiama unendo il suo nome a quello di Gesù: “Giovanni! Gesù! Giovanni! Gesù!” -:
“Perché urla la folla e la mamma? Che hanno? Sei Tu Gesù?”
“Sono Io. La gente grida perché è contenta che tu possa camminare. Addio, piccolo Giovanni (Gesù
lo bacia e benedice). Vai dalla mamma e sii buono.”
Il bambino scende sicuro dai ginocchi di Gesù, da questi in terra, e corre dalla sua mamma, le salta
al collo e dice: “Gesù ti benedice. Perché piangi, allora?”
Quando la gente è un poco più zitta, Gesù tuona: “Fate come il piccolo Giovanni, voi che cadete in
peccato e vi ferite. Abbiate fede nell’amore di Dio. La pace sia con voi.”
E mentre il gridio della folla osannante si mescola al felice pianto della madre, Gesù, protetto dai
suoi, esce dallo stanzone, e tutto ha fine.
[...].
126. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non ammazzare. Morte di Doras.
10 marzo 1945.
“ ‘Non ammazzare’ è detto. A quale dei due gruppi di comandi appartiene questo? ‘Al secondo’ dite
voi? Sicuri? Vi chiedo ancora: è peccato che offende Dio o il colpito? Voi dite: ‘Il colpito’? Anche
di questo ne siete sicuri? E ancora vi domando: non è che peccato di omicidio? Uccidendo non fate
che questo unico peccato? ‘Questo solo’ dite? Nessuno ne ha dubbio? Dite a voce alta le vostre
risposte. Uno parli per voi tutti. Io attendo.”
E Gesù si china ad accarezzare una bambinella che è venuta vicino a Lui e che lo guarda estatica,
dimenticando persino di rosicchiare la mela che la madre le ha dato per tenerla quieta.
Si alza un vecchio imponente e dice: “Ascolta, Maestro. Io sono un vecchio sinagogo e mi hanno
detto di parlare per tutti. Parlo. Mi sembra, e ci sembra, di avere risposto secondo giustizia e
secondo quanto ci hanno insegnato. Appoggio la mia sicurezza al capo della Legge sull’omicidio e
le percosse. Ma Tu lo sai perché siamo venuti: per essere ammaestrati, riconoscendo in Te
sapienza e verità. Se dunque io sbaglio, illumina la mia tenebra acciò il vecchio servo vada al suo
Re vestito di luce. E, come con me, fallo a questi che sono del mio gregge e che sono venuti col loro
pastore a bere le fonti della Vita” e si inchina, avanti di sedersi, col massimo rispetto.
“Chi sei, padre?”
“Cleofa di Emmaus, tuo servo.”
“Non mio, di Colui che mi ha mandato, perché al Padre va data ogni precedenza ed ogni amore in
Cielo, in terra e nei cuori. Ed il primo a dargli questo onore è il suo Verbo che prende ed offre, sulla
tavola senza difetto, i cuori dei buoni come fa il sacerdote coi pani della proposizione. Ma ascolta,
Cleofa, acciò tu vada a Dio tutto illuminato come è tuo santo desiderio.
Nel misurare una colpa occorre pensare alle circostanze che precedono, preparano, giustificano,
spiegano la stessa. ‘Chi ho colpito? Che cosa ho colpito? Dove ho colpito? Con quali mezzi ho
colpito? Perché ho colpito? Come ho colpito? Quando ho colpito?’: questo si deve chiedere prima
di presentarsi a Dio, per chiedergli perdono, quello che uccise.
‘Chi ho colpito?’. Un uomo.
Io dico: un uomo. Non penso e non considero se è ricco o se è povero, se è libero o se è schiavo. per
Me non esistono schiavi o potenti. Esistono solo degli uomini creati da un Unico, perciò tutti uguali.
Infatti davanti alla maestà di Dio è polvere anche il più potente monarca della terra. Ed ai suoi ed ai
miei occhi non esiste che una schiavitù: quella del peccato e perciò sotto Satana. La Legge
antica distingue i liberi dagli schivi e sottilizza fra l’uccidere di un colpo e l’uccidere lasciando
sopravvivere un giorno o due, e così se la donna è incinta è condotta a morte per la percossa, o se
ucciso è solo il suo frutto. Ma questo fu detto quando la luce della perfezione era ancora lontana.
Ora è fra voi e dice: ‘Chiunque colpisce a morte un suo simile pecca’. E non solo verso l’uomo
pecca, ma anche contro Dio.
Cosa è l’uomo? L’uomo è la creatura sovrana che Dio ha creato per essere re nel creato, creato a sua
immagine e somiglianza, dandogli la somiglianza secondo lo spirito, e l’immagine traendo questa
perfetta immagine dal suo pensiero perfetto. Guardate nell’aria, sulla terra e nelle acque. Vedete
forse un animale od una pianta che, per belli che siano, uguaglino l’uomo? L’animale corre,
mangia, beve, dorme, genera, lavora, canta, vola, striscia, si arrampica. Ma non ha favella. L’uomo
anche se sa correre e saltare e nel salto è così agile che emula l’uccello; sa nuotare, e nel nuoto è
tanto veloce che pare il pesce; sa strisciare e pare un rettile; sa arrampicarsi e pare la scimmia; sa
cantare e pare l’uccello. Sa generare e riprodursi. Ma inoltre sa parlare.
E non dite: ‘Ogni animale ha il suo linguaggio’. Sì. L’uno mugge, l’altro bela, l’altro raglia, l’altro
cinguetta, l’altro gorgheggia, ma dal primo bovino all’ultimo sempre avranno lo stesso ed unico
muggito, e così l’ovino belerà sino alla fine del mondo e l’asino raglierà come ragliò il primo, e il
passero sempre dirà il suo corto cinguettio, mentre l’allodola e l’usignolo daranno lo stesso inno al
sole la prima alla notte stellata il secondo, anche se sarà l’ultimo giorno della terra, così come
salutarono il primo sole e la prima notte di essa. L’uomo invece, perché non ha solo un’ugola e una
lingua, ma un complesso di nervi che si accentrano nel cervello, sede dell’intelletto, sa afferrare le
sensazioni nuove e pensare su esse e dare ad esse un nuovo nome,
Adamo chiamò cane il suo amico e leone quello che gli parve più somigliante nella chioma folta,
ritta sulla faccia appena barbuta. Chiamò pecora l’agnella che lo salutava mite, e disse uccello quel
fiore di penne che volava come la farfalla ma diceva dolce un canto che la farfalla non ha. E poi, nei
secoli, ecco che i figli di Adamo crearono sempre nuovi nomi, man mano che ‘conobbero’ le opere
di Dio nelle creature o che, per la scintilla divina che è nell’uomo, non generarono solo figli ma
crearono anche cose utili o nocive ai figli stessi, a seconda che erano con Dio o contro Dio. Sono
con Dio quelli che creano ed operano cose buone. Sono contro Dio quelli che creano cose malvagie
di danno al prossimo. Dio fa le vendette dei figli suoi torturati dal mal genio umano.
L’uomo è dunque la creatura prediletta da Dio. Anche se ora è colpevole, è sempre quello a Lui più
caro. E testimonia di ciò l’avere mandato il suo Verbo stesso, non un angelo, non un arcangelo, non
un cherubino, non un serafino, il suo Verbo, rivestendolo della umana carne, per salvare l’uomo.
Non ha riputato essere indegna questa veste per rendere possibile di soffrire ed espiare Colui che,
per essere come Lui purissimo Spirito, non avrebbe potuto soffrire ed espiare la colpa dell’uomo.
Il Padre mi ha detto: ‘Sarai uomo: l’Uomo. Io ne avevo fatto uno. Perfetto come tutto ciò che Io
faccio. A lui erano destinati una dolce vita, una dolcissima dormizione, un beato risveglio, un
beatissimo soggiorno eterno nel mio celeste Paradiso. Ma, Tu lo sai, in esso Paradiso non può
entrare ciò che è contaminato, perché in esso Io-Noi, uno e trino Dio, abbiamo trono. E davanti ad
esso non può stare che santità. Io sono Colui che sono. La mia divina Natura, la misteriosa nostra
Essenza non può essere nota che da coloro che sono senza macchia. Ora l’uomo, in Adamo e per
Adamo, è sozzo. Vai. Mondalo. Lo voglio. Sarai Tu, d’ora in poi, l’Uomo. Il Primogenito. Perché
per primo entrerai qui con carne mortale priva di peccato, con anima priva di colpa d’origine. Quelli
che ti hanno preceduto sulla terra e quelli che ti seguiranno avranno vita per la tua morte di
Redentore’. Non poteva morire che uno che era nato. Io sono nato ed Io morrò.
L’uomo è la creatura prediletta di Dio. Ora ditemi: se un padre ha molti figli, ma uno è il suo
prediletto, la pupilla del suo occhio, e questo viene ucciso, quel padre non soffre più che se l’ucciso
fosse un altro figlio? Ciò non dovrebbe essere, perché il padre dovrebbe essere giusto con tutti i suoi
figli. Ma avviene perché l’uomo è imperfetto. Dio lo può fare con giustizia perché l’uomo è la sua
unica creatura, fra i creati, che abbia comune col Padre Creatore l’anima spirituale, segno
innegabile della paternità divina.
Uccidendo un figlio al padre, si offende solo il figlio? No. Anche il padre. Nella carne il figlio, nel
cuore il padre. Ma ad ambi è data ferita. Uccidendo un uomo, si offende solo l’uomo? No. Anche
Dio. Nella carne l’uomo, nel suo diritto Dio. Perché la vita e la morte da Lui solo devono essere
date e tolte. Uccidere è fare violenza a Dio e all’uomo. Uccidere è penetrare nel dominio di Dio.
Uccidere è mancare al precetto d’amore. Non ama Dio chi uccide, perché disperde un suo lavoro:
un uomo. Non ama il prossimo chi uccide, perché leva al prossimo ciò che l’uccisore per sé vuole:
la vita.
Ed ecco che ho risposto alle due prime domande.
“Dove ho colpito’?
Si può colpire per via, nella casa dell’aggredito o attirando la vittima nella propria. Si può colpire
l’uno o l’altro organo dando sofferenza più grave, e facendo anche due omicidi in uno se si è colpita
la donna che ha il seno gravido del suo frutto.
Si può colpire per via senza averne intenzione. Un animale che ci prenda la mano può uccidere il
passante. Ma allora in noi non c’è premeditazione, mentre se uno si reca, armato di pugnale sotto le
ipocrite vesti di lino, nella casa del nemico - e sovente è nemico chi ha il torto di essere migliore oppure lo invita nella sua casa con segni d’onore e poi lo sgozza e lo getta in una cisterna, allora c’è
premeditazione e la colpa è completa di malizia e ferocia e violenza.
Se uccido il frutto con la madre, ecco che di due Dio me ne chiederà ragione. Perché il ventre che
genera un nuovo uomo secondo il comando di Dio è sacro, e sacra è la piccola vita che in esso
matura, alla quale Dio ha dato un’anima.
‘Con quali mezzi ho colpito?’
Invano uno dice: ‘Non volevo colpire’ quando è andato armato di arma sicura. Nell’ira anche le
mani divengono arma, e arma la pietra raccolta per terra, o il ramo strappato alla pinta. Ma chi
freddamente osserva il pugnale o la scure e, se gli paiono poco taglienti, li affila e poi se li assicura
al corpo in modo che non siano visti ma possono essere branditi con facilità e va dal rivale così
pronto, non piò certo dire: ‘Non c’era in me voglia di colpire’. Chi prepara un veleno cogliendo
erbe e frutti tossici e ne fa polvere o bevanda e poi la offre alla vittima come spezie o come sicera,
non può certo dire: ‘Io non volevo uccidere’.
Ed ora ascoltate, voi, donne, tacite ed impunite assassine di tante vite. E’ uccidere anche staccare un
frutto che cresce nel seno perché è di colpevole seme o perché è un germe non voluto, peso inutile
ai vostri fianchi e alla vostra ricchezza. Vi è un solo modo di non avere quel peso: rimanendo caste.
Non unite omicidio a lussuria, violenza a disubbidienza, e non crediate che Dio non veda perché
l’uomo non vede. Dio vede tutto e tutto ricorda. Ricordatevelo voi pure.
‘Perché ho colpito?’
Oh! per quanti perché! Dall’improvviso squilibrio che crea in voi una emozione violenta, quale è
quella di trovare il talamo profanato, o il ladro in casa, o un lurido intento a far violenza alla propria
figlia fanciulla, al freddo e meditato calcolo di liberarsi di un testimonio pericoloso, da un che
intralcia la via, da uno di cui si aspira al posto o alla borsa: questi sono tanti e altrettanti perché. E
se ancora Dio può perdonare a chi nella febbre del dolore diviene assassino, non perdona a chi lo
diviene per avidità di potere o di stima fra gli uomini.
Agite sempre bene e non temerete l’occhio di alcuno, né la parola di alcuno. Siate contenti del
vostro e non aspirerete all’altrui fino a divenire assassini per avere ciò che è del prossimo.
‘Come ho colpito?’
Inferendo anche oltre e dopo il primo scatto impulsivo? Talora l’uomo non si può frenare. Perché
Satana lo getta nel male come il frombolatore getta la pietra. Ma che direste di una pietra che, dopo
avere raggiunto il segno, tornasse da sé alla frombola per essere di nuovo lanciata e tornare a
colpire? Direste: ‘E’ posseduta da una forza magica ed infernale’. Così è l’uomo che dopo il primo
desse un secondo, un terzo, un decimo colpo, senza che la sua ferocia cada. Perché l’ira cade e
subentra ragione subito dopo il primo impeto, se è impeto che viene da ancora giustificabile motivo.
Mentre la ferocia aumenta, più la vittima è colpita, nel vero assassino ossia nel satana che non ha,
non può avere pietà del fratello perché, essendo satana, è odio.
‘Quando ho colpito?’
Nel primo impeto? Dopo che questo è caduto? Fingendo perdono mentre è sempre più lievitato il
rancore? Ho atteso forse degli anni a colpire per dare doppio dolore uccidendo il padre attraverso i
figli?
Voi vedete che ammazzando si offende il primo e il secondo gruppo di comandi. Perché vi arrogate
il diritto di Dio e perché conculcate il prossimo. Peccato dunque contro Dio e contro il prossimo.
Fate non solo peccato di omicidio. Ma fate peccato di ira, di violenza, di superbia, di disubbidienza,
di sacrilegio, e talora, se uccidete per rubare un posto o una borsa, di cupidigia. Né, ve lo dico
appena, ma ve lo spiegherò un altro giorno meglio, né si pecca di omicidio solo con l’arma e il
veleno. Ma anche con la calunnia. Meditate.
E ancora vi dico: il padrone che, percuotendo uno schiavo, lo fa con l’astuzia che non gli muoia fra
le mani, è doppiamente colpevole. L’uomo schiavo non è denaro del padrone: è un’anima del suo
Dio. E maledetto in eterno sia colui che lo tratta peggio del bue.”
Gesù sfavilla e tuona. Tutti lo guardano stupiti, perché prima parlava pacato.
“Maledetto sia. La Legge nuova abolisce questa durezza, che era ancora giustizia quando nel popolo
d’Israele non erano ipocriti che si fingono santi e aguzzano l’ingegno solo per sfruttare e eludere la
Legge di Dio. Ma ora in cui Israele trabocca di questi viperini esseri, che il libito lo fanno lecito
solo perché essi sono essi, i miserabili potenti che Dio guarda con odio e schifo, Io dico: ciò non è
più.
Cadono gli schiavi sui solchi o alle macine. Cadono con le ossa frante e i nervi denudati dai flagelli.
Li accusano, per poterli colpire, di menzogneri delitti per giustificare il proprio sadismo satanico.
Persino il miracolo di Dio si usa come accusa per avere diritto di colpirli. Né la potenza di Dio, né
la santità dello schiavo converte la loro anima bieca. Non piò essere convertita. Il bene non entra
dove è saturazione di male. Ma Dio vede e dice: ‘Basta!’.
Troppi sono i Caini che uccidono gli Abeli. E che credete, immondi sepolcri dall’esterno
imbiancato e coperto dalle parole della Legge, e dall’interno in cui passeggia re Satana e pullula il
satanismo più astuto, che credete? Che sia stato Abele solo il figlio d’Adamo e che il Signore
guardi benigno solo coloro che schiavi d’uomo non sono, mentre rigetti da Sé l’unica offerta che
può fare lo schiavo: quella della sua onestà condita di pianto? No, che in verità vi dico che ogni
giusto è un Abele, anche se carico di ceppi, anche se morente sulla gleba o sanguinante per le vostre
flagellazioni, e che sono Caino tutti gli ingiusti che dànno a Dio per orgoglio, non per culto vero,
che dànno ciò che è inquinato del loro peccare e macchiato di sangue.
Profanatori del miracolo. Profanatori dell’uomo, uccisori, sacrileghi! Fuori! Via dal mio cospetto!
Basta! Io dico: basta! E dire lo posso, perché sono la divina Parola che traduce il Pensiero divino.
Via!”
Gesù ritto sulla rozza predella, è spaurente tanto è imponente. Col braccio destro teso ad accennare
la porta d’uscita, gli occhi che sono due fuochi d’azzurro, sembra fulminare i peccatori presenti. La
piccolina ai suoi piedi si mette a piangere e corre dalla mamma. I discepoli si guardano stupiti e
guardano a chi va l’invettiva. La folla pure si gira, con occhio interrogativo.
Finalmente ecco spiegato l’arcano. In fondo, fuori della porta, seminascosto dietro un gruppo di alti
popolani, si mostra Doras. Ancor più secco, giallo, grinzoso, tutto naso e bazza. Ha con lui un servo
che lo aiuta a muoversi perché pare mezzo accidentato. E chi lo aveva visto là in mezzo alla corte?
Osa parlare con la sua voce chioccia: “A me dici? Per me?”.
“Per te, sì. Esci dalla mia casa.”
“Esco. Ma presto faremo i conti, non dubitare.”
“Preso? Subito. Il Dio del Sinai, te l’ho detto, ti attende.”
“Anche Tu, malefico, che hai fatto venire addosso a me i malanni e gli animali nocivi nelle terre. Ci
rivedremo. E sarà la mia gioia.”
“Sì. E non vorrai rivedermi. Perché Io ti giudicherò”
“Ah! Ah! maled...” Annaspa, gorgoglia e cade.
“E’ morto!” urla il servo. “E’ morto il padrone! Che Tu sia benedetto, Messia, nostro vendicatore!”
“Non Io. Dio, Signore eterno. Nessuno si contamini. Solo il servo pensi al suo padrone. E sii buono
col suo corpo. Siate buoni, voi tutti suoi servi. Non tripudiate con astio per il colpito, onde non
meritare condanna. Iddio e il giusto Giona vi siano sempre amici, ed Io con loro. Addio.”
“Ma è morto per tuo volere” chiede Pietro.
“No. Ma il Padre entrò in Me... E’ un mistero che non puoi capire. Sappi solo che non è lecito
colpire Iddio. Egli da Sé si fa le vendette.”
“Ma non potresti allora dire al Padre tuo di fare morire tutti quelli che ti odiano?”
“Taci! Tu non sai di che spirito sei! Io sono Misericordia e non Vendetta.”
Si accosta il vecchio sinagogo: “Maestro, Tu hai risolto tutte le mie domande, e la luce è in me. Sii
benedetto. Vieni nella mia sinagoga. Non ricusare ad un povero vecchio la tua parola.”
“Verrò. Va’ in pace. Il Signore è con te,”
Mentre la folla se ne va piano piano, tutto finisce.
127. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non tentare il Signore Iddio tuo.
Testimonianza del Battista.
11 marzo 1945.
Una serenissima giornata d’inverno. Sole e vento e un cielo sereno, unito, senza neppure il più
piccolo ricordo di una nuvola. Le prime ore del giorno. Ancora un leggero velo di brina, meglio di
rugiada quasi gelata, fa da spolvero diamantifero sul suolo e sulle erbe.
Vengono verso la casa tre uomini, che camminano sicuri come chi sa dove si reca. Infine vedono
Giovanni che traversa la corte carico di secchi d’acqua attinta al pozzo. E lo chiamano.
Giovanni si volge, posa le brocche e dice: “Voi qui? Benvenuti! Il Maestro vi vedrà con gioia.
Venite, venite, prima che sia qui la gente. Ora ne viene tanta!...”.
Sono i tre pastori discepoli di Giovanni Battista. Simeone, Giovanni e Mattia seguono contenti
l’apostolo.
“Maestro, ci sono tre amici. Guarda” dice Giovanni entrando nella cucina dove arde allegro un
grande fuoco di stipe, spandendo un odore grato di bosco e di alloro bruciato.
“Oh! La pace a voi, amici miei! Come mai venite a Me? Sventura al Battista?”
“No, Maestro. Con sua licenza siamo venuti. Egli ti saluta e dice di raccomandare a Dio il leone
inseguito dagli arcieri. Non si illude sulla sua sorte. Ma per ora è libero. Ed è felice perché sa che
Tu hai molti fedeli. Anche quelli che prima erano suoi. Maestro... noi pure ardiamo di esserlo, ma...
non vogliamo abbandonarlo ora che è perseguitato. Comprendici...” dice Simeone.
“Vi benedico perché lo fate, anzi. Il Battista merita ogni rispetto e amore.”
“Sì. Dici bene. E’ grande il Battista, e sempre più giganteggia. Sembra l’agave che, quando è presso
a morire, fa il grande candelabro del settiforme fiore e fiammeggia con esso e profuma. Così lui. E
sempre dice: ‘Solo vorrei vederlo una volta ancora...’ Vedere Te. Noi abbiamo raccolto questo suo
grido d’anima e, senza dirglielo, te lo portiamo. Egli è ‘il Penitente’, ‘l’Astinente’ è. E si macera
anche dal desiderio santo di vederti e udirti. Io sono Tobia, or Mattia. Ma penso che non diverso da
lui doveva essere l’arcangelo dato a Tobiolo. Tutto in lui è saggezza.
“Non è detto che Io non lo veda... Ma per questo solo siete venuti? E’ penoso l’andare in questa
stagione. Oggi è sereno. Ma fino a tre giorni sono, quanta pioggia sulle vie!”
“Non per questo solo. Giorni fa è venuto Doras, il fariseo, a purificarsi. Ma il Battista gli ha negato
il rito, dicendo: ‘Non giunge l’acqua dove è sì grande crosta di peccato. Uno solo ti può perdonare.
Il Messia”. E lui allora ha detto: ‘Andrò da Lui. Voglio guarire e penso che questo male sia il suo
maleficio’. Allora il Battista lo ha cacciato come avrebbe cacciato Satana. E lui nell’andarsene ha
incontrato Giovanni, che egli conosceva da quando andava da Giona di cui era un poco parente, e
gli ha detto: ‘Io vado. Tutti vanno. Vi è stato anche Mannanen e fin le... (io dico meretrici, ma lui ha
detto un più sozzo nome) vi vanno. L’Acqua Speciosa è piena di illusi. Ora se mi guarisce e mi
ritira l’anatema dalle terre, scavate come macchine di guerra da eserciti di talpe e vermi e
grillovampiri che scavano i grani e rodono le radici degli alberi da frutto e delle vigne, e non c’è
nulla che li vinca, gli diverrò amico. Ma altrimenti... guai a Lui!’. Noi gli abbiamo risposto: ‘E con
questo cuore vai là?’. E lui ha risposto: ‘E chi ci crede al satanasso? Del resto, come fa casa con le
meretrici può fare alleanza anche con me’. Noi abbiamo voluto venire a dirtelo, perché Tu ti possa
regolare con Doras’.”
“E’ già tutto fatto.”
“Già fatto? Ah! è vero! Lui ha carri e cavalli, noi le gambe soltanto. Quando è venuto?”
“Ieri.”
“E che è avvenuto?”
“Questo: che, se preferite occuparvi di Doras, potete andare nella sua casa di Gerusalemme e fare
cordoglio per lui. Stanno preparandolo per il sepolcro.”
“Morto?!!”
“Morto. Qui. Ma non parliamo di lui.”
“Sì, Maestro... Solo... dicci una cosa. E’ vero quanto ha detto di Mannanen?”
“Sì. Ve ne dispiace?”
“Oh! ma è la nostra gioia! Tanto abbiamo parlato di Te a lui in Macheronte! E che vuole l’apostolo
se non che sia amato il Maestro? Ciò vuole Giovanni, e noi con lui.”
“Bene parli, Mattia. La sapienza è con te.”
“E... Io non lo credo. Ma ora l’abbiamo incontrata... Fu anche da noi a cercare Te avanti i
Tabernacoli. E le dicemmo: ‘Ciò che tu cerchi non è qui. Ma presto sarà a Gerusalemme per i
Tabernacoli’. Così dicemmo perché il Battista ci disse: ‘Vedete quella peccatrice: è una crosta di
lordura, ma dentro ha una fiamma che va alimentata. Diverrà così forte che eromperà dalla crosta e
tutto arderà. Cadrà la lordura e resterà solo la fiamma’. Così ha detto. Ma... è vero che dorme qui,
come sono venuti a dirci due scribi potenti?”
“No. E’ in una delle stalle del fattore, ad oltre uno stadio da qui.”
“Lingue d’inferno! Hai udito? E loro!...”
“Lasciateli dire. I buoni non credono alle loro parole, ma alle mie opere.”
“Lo dice anche Giovanni, Giorni sono alcuni discepoli suoi gli hanno detto, noi presenti: ‘Rabbi,
Colui che era con te di là dal Giordano e al quale tu rendesti testimonianza, ora battezza. E tutti
vanno da Lui. Resterai senza fedeli’. E Giovanni ha risposto:
‘Beato il mio orecchio che ode questo annuncio! Voi non sapete che gioia mi date. Sappiate che
l’uomo non può prendere nulla se non gli è dato dal Cielo. Voi potete testimoniare che io ho detto:
‘Io non sono il Cristo, ma colui che sono stato mandato innanzi a Lui a preparargli la via’. L’uomo
giusto non si appropria di un nome non suo e, anche se l’uomo vuol dargli lode col dirgli: ‘Sei
quello’, ossia: il Santo, egli dice. ‘No. Per la verità, no. Io sono il suo servo’. E ne ha ugualmente
grande gioia perché dice: ‘Ecco, un poco io gli somiglio se l’uomo può scambiarmi per Lui’. E che
vuole colui che ama se non assomigliare all’amato suo? Solo la sposa gode dello sposo. Il paraninfo
non potrebbe goderne, perché sarebbe immoralità e furto. Ma l’amico dello sposo, che gli sta vicino
e ne ascolta la parola piena di gioia nuziale, prova una gioia tanto viva da essere quasi simile a
quella che fa beata la vergine a lui sposata, che in essa pregusta il miele delle parole nuziali. Questa
è la mia gioia, ed è completa. Che fa ancora l’amico dello sposo, dopo avere per mesi servito
l’amico ed avergli scortato alla casa la sposa? Si ritira e scompare. Così io! Così io! Uno solo resta,
lo sposo con la sposa: l’Uomo con l’Umanità. Oh! profonda parola! Bisogna che Egli cresca e che
io diminuisca. Chi viene dal Cielo è al di spora di tutti. Patriarchi e Profeti scompaiono al suo
venire, perché Egli è pari al sole che tutto illumina e di così viva luce che gli astri e pianeti, spenti
di luce, se ne vestono, e quelli che spenti non sono si annullano nel suo supremo splendore. Così
avviene perché Egli viene dal Cielo, mentre i Patriarchi e i Profeti andranno al Cielo, ma dal Cielo
non vengono. Chi viene dal Cielo è superiore a tutti. E annunzia ciò che ha visto e udito. Ma
nessuno può accettare la sua testimonianza fra quelli che al Cielo non tendono e perciò rinnegano
Iddio. Chi accetta la testimonianza di Colui che dal Cielo è disceso suggella, con questo suo
credere, la sua fede che Dio è vero e non fola senza verità, e sente la Verità perché ha l’animo
volenteroso di lei. Perché Colui che Dio ha inviato, pronunzia parole di Dio, perché dio gli dà lo
Spirito con plenitudine, e lo Spirito dice: ‘Eccomi. Prendimi, ché voglio essere teco, Tu delizia del
nostro amore’. Perché il Padre ama il Figlio senza misura e tutte le cose ha messo in sua mano.
Perciò chi crede nel Figlio ha la vita eterna. Ma chi rifiuta di credere nel Figlio, non vedrà la Vita. E
la collera di Dio resterà in lui e su lui.”
Così ha detto. Me le sono stampate nella mente per dirtele, queste parole” dice Mattia.
“Ed Io te ne do lode e grazie. Il Profeta ultimo di Israele non è Colui che dal Cielo discende, ma, per
essere stato beneficato dei divini doni nel ventre della madre - voi non lo sapete ma Io ve lo dico - è
colui che più al Cielo si accosta.”
“Che? Che? Oh! racconta! Egli dice di sé: ‘Io sono il peccatore’. I tre pastori sono ansiosi di sapere
e anche i discepoli sono lo stesso vogliosi di sapere.
“Quando la Madre mi portava, di Me-Dio essendo incinta, andò a servire, perché è l’Umile e
Amorosa, la madre di Giovanni, cugina a Lei per madre, e gravida in vecchiezza. Già il Battista
aveva la sua anima, perché era al settimo mese della sua formazione. E il germe dell’uomo, chiuso
nel seno materno, trabalzò di gioia nel sentire la voce della Sposa di Dio. Precursore anche in
questo, egli precorse i redenti, perché da seno a seno si effuse la Grazia, e penetrò, e cadde la Colpa
d’origine dall’anima del fanciullo. Onde Io dico che sulla terra tre sono i possessori della Sapienza
così come in Cielo tre sono coloro che Sapienza sono: il Verbo, La Madre, il Precursore sulla terra;
il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo in Cielo.”
“Il nostro animo è ricolmo di stupore... Quasi come quando ci fu detto: ‘E’ nato il Messia...’ Perché
Tu eri l’abisso della misericordia e questo nostro Giovanni è l’abisso della umiltà.”
“E mia Madre è l’abisso della purezza, della grazia, della carità, dell’ubbidienza, dell’umiltà, di
ogni altra virtù che è di Dio e che Dio infonde ai suoi santi.”
“Maestro” dice Giacomo di Zebedeo “Vi è molta gente.”
“Andiamo. Venite voi pure.”
La gente è moltissima.
“La pace sia con voi” dice Gesù. E’ sorridente come poche volte. La gente bisbiglia e lo accenna.
Vi è molta curiosità.
“ ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto.
Troppe volte, si dimentica questo comando. Si tenta Dio quando si vuole imporre a Lui la nostra
volontà. Si tenta Dio quando imprudentemente si agisce contro le regole della Legge, che è santa e
perfetta e nel suo lato spirituale, il principale, si occupa e preoccupa anche di quella carne che Dio
ha creata. Si tenta Dio quando, perdonati da Lui, si torna a peccare. Si tenta Dio quando, beneficati
da Lui, si volge a danno il beneficio ricevuto perché fosse un bene per noi e ci richiamasse a Dio.
Dio non si irride e non si deride. Troppe volte questo avviene. Ieri avete visto quale castigo attende i
derisori di Dio. L’eterno Iddio, tutto pietoso a chi si pente, è all’opposto tutto severità
coll’impenitente che per nessuna cosa modifica se stesso.
Voi venite a Me per udire la parola di Dio. Vi venite per avere il miracolo. Vi venite per avere
perdono. E il Padre vi dà parola, miracolo e perdono. Ed Io non rimpiango il Cielo, perché vi posso
dare miracolo e perdono e posso farvi conoscere Iddio.
L’uomo è caduto ieri fulminato, come Nadab ed Abiu, dal fuoco divino del corruccio. Ma astenetevi
dal giudicarlo. Solo quanto è avvenuto, miracolo nuovo, vi faccia meditare sul come occorre agire
per avere amico Iddio. Egli voleva l’acqua penitenziale ma senza spirito soprannaturale. Lo voleva
per spirito umano. Come una pratica magica che lo sanasse dal morbo e lo liberasse dalla iattura. Il
corpo e il raccolto. Ecco i suoi fini. Non la povera anima sua. Quella non aveva valore per lui. Il
valore per lui era la vita e il denaro.
Io dico: ‘Il cuore è là dove è il tesoro, e il tesoro è là dove è il cuore’. Perciò il tesoro è nel cuore.
Egli nel cuore aveva la sete di vivere e di avere molto denaro. Come averlo? Con qualunque modo.
Anche col delitto. E allora chiedere il battesimo non era irridere e tentare Iddio? Sarebbe bastato il
pentimento sincero per la sua lunga vita di peccato a dargli santa morte e anche quanto era giusto
avere sulla terra. Ma egli era l’impenitente. Non avendo mai amato nessuno fuorché se stesso,
giunse a non amare neppure se stesso. Perchè l’odio uccide anche l’animale amore egoista
dell’uomo a se stesso. Il pianto del pentimento sincero doveva essere la sua acqua lustrale. E così
sia per tutti voi che udite. Perché senza peccato non vi è alcuno, e tutti perciò avete bisogno di
quest’acqua. Essa scende, spremuta dal cuore, e lava, riverginizza chi è profanato, rialza chi è
prostrato, rinvigorisce chi è dissanguato dalla colpa.
Quell’uomo si preoccupava solo della miseria della terra. Ma un’unica miseria deve rendere
pensoso l’uomo. Ed è l’eterna miseria del perdere Iddio. Quell’uomo non mancava di fare lo offerte
rituali. Ma non sapeva offrire a Dio sacrificio di spirito, ossia allontanarsi dal peccato, fare
penitenza, chiedere con gli atti il perdono. Le ipocrite offerte fatte con ricchezze di male acquisto
sono simili a inviti a Dio perché si faccia complice nel male operare dell’uomo. Può mai questo
avvenire? Non è irridere Dio osare questo? Dio rigetta da Sé colui che dice: ‘Ecco sacrifico’ ma
arde di continuare il suo peccato. Giova forse il digiuno corporale quando l’anima non digiuna dal
peccato?
La morte dell’uomo qui avvenuta vi faccia meditare sulle condizioni necessarie per essere bene
amati da Dio. Ora nel suo ricco palazzo i parenti e le piangenti fanno cordoglio sulla salma che fra
poco verrà portata al sepolcro. Oh! vero cordoglio e vera salma! Non più che una salma! Non altro
che uno sconfortato cordoglio. Perché l’anima già morta, sarà per sempre separata da coloro che
amò per parentela e affinità d’idee. Anche se un’uguale dimora li unirà in sempiterno, l’odio che là
regna li farà divisi. E allora la morte è ‘vera’ separazione. Meglio sarebbe che, in luogo degli altri,
fosse l’uomo che fa pianto su se stesso, quando ha l’anima uccisa. E per quel pianto di contrito e
umile cuore, rendere all’anima la vita col perdono di Dio.
Andate. Senza odio o commenti. Senza altro che umiltà. Come Io che, senza odio, ma per giustizia
ho parlato di lui. La vita e la morte sono maestre per ben vivere e ben morire, e per conquistare la
Vita senza morte. La pace sia con voi.”
Non vi sono malati né miracoli, e Pietro dice ai tre discepoli del Battista: “ Me ne spiace per voi.”
“Oh! non occorre. Noi crediamo senza vedere. Abbiamo avuto il miracolo del suo natale a farci
credenti E ora abbiamo la sua parola a confermare la nostra fede. Non chiediamo che di servirla
sino al Cielo come Giona, fratello nostro.”
Tutto ha fine.
128. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non desiderare la donna d’altri.
Il giovane lussurioso.
12 marzo 1945.
Gesù passa in mezzo ad un vero piccolo popolo che lo chiama da tutte le parti. Chi mostra le sue
ferite, chi enumera le sue sventure, chi si limita a dire: “Abbi pietà di me” e chi gli presenta il
proprio figliolino perché sia benedetto. La giornata serena e senza vento ha condotto molta molta
gente.
Quando Gesù è già quasi al suo posto, viene dalla stradetta che conduce verso il fiume un lamento
pietoso: “Figlio di Davide, pietà del tuo infelice!”
Gesù si volta in quella direzione, e popolo e discepoli con Lui. Ma un ciuffo folto di bossi nasconde
colui che supplica.
“Chi sei? Vieni avanti.”
“Non posso. Infetto sono. Devo recarmi dal sacerdote per essere radiato dal mondo. Ho peccato e la
lebbra m’è fiorita sul corpo. Spero in Te!”
“Un lebbroso! Un lebbroso! Anatema! Lapidiamolo!” La folla tumultua.
Gesù fa un gesto che impone silenzio e immobilità. “E’ uno non più infetto di colui che è in
peccato. Agli occhi Dio è ancor più immondo il peccatore impenitente che il lebbroso pentito. Chi è
capace di credere venga con Me.”
Dei curiosi, oltre che i discepoli, vanno dietro a Gesù. Gli altri allungano il collo ma rimangono
dove sono.
Gesù si inoltra oltre la casa e la stradella verso il ciuffo di bossi. Ma poi si arresta e ordina:
“Mostrati!”
Viene fuori un poco più che giovanetto, ancor bello nel volto appena velato dai baffi e dalla barba
leggera, un viso ancor fresco e pieno, dagli occhi arrossati di pianto.
Un grande grido lo saluta partendo da un gruppo di donne tutte coperte, che già piangevano nella
corte della casa al passaggio di Gesù e più forte si erano date a piangere per le minacce della folla:
“Figlio mio!” e la donna si accascia nella braccia di un’altra, non so se parente o amica.
Gesù solo avanza ancora verso l’infelice: “Sei molto giovane. Come lebbroso?”
Il giovane abbassa gli occhi e diventa di fiamma, balbetta, ma non osa di più. Gesù ripete la
domanda. Quello dice qualche cosa più nettamente. Ma non si afferrano che le parole: “...il padre...
andai... e peccammo... non solo io...”
“Là è tua madre che spera e che piange. In Cielo è Dio che sa. Qui sono Io che so. Ma che, per
avere pietà, ho bisogno della tua umiliazione. Parla.”
“Parla, figlio. Abbi pietà delle viscere che ti hanno portato” geme la madre che si è trascinata fin
presso Gesù e ora, in ginocchio, tenendo inconsciamente un lembo della veste di Gesù in una mano,
tende l’altra verso il figlio e mostra un povero volto arso dalle lacrime.
Gesù le pone la mano sul capo. “Parla” torna a dire.
“Sono il primogenito e aiuto il padre nei commerci. Egli mi ha mandato a Gerico molte volte per
parlare coi suoi clienti e... e uno... uno aveva una bella e giovane moglie... Mi... mi piacque. Andai
anche più che non dovessi.... Le piacqui... Ci desiderammo e... peccammo nelle assenze del
marito... Non so come fu, perché ella era sana. Sì. Non solo io ero sano e la volli... Ma lei era sana e
mi volle. Non so se... se con me volle altri e si contagiasse... So che lei sfiorì presto, ed ora è già nei
sepolcri a morire da viva... E io... e io... Mamma! Tu l’hai visto. E’ poca cosa, ma dicono che è
lebbra... e ne morirò. Quando?... Più vita... più casa... più mamma!... Oh! mamma! Ti vedo e non ti
posso baciare!... Oggi vengono a scucirmi le vesti ed a scacciarmi di casa... dal paese... Io sono
peggio che morto. E non avrò neppure il pianto della mamma sul mio cadavere...”
Il giovane piange. La madre pare una pianta squassata dal vento, tanto la scuotono i singhiozzi. La
gente commenta fra opposti sentimenti.
Gesù è mesto. Parla: “E quando peccavi non pensavi a tua madre? Tanto folle eri da non ricordare
più di avere una madre sulla terra e un Dio in Cielo? E se la lebbra non fosse apparsa ti saresti mai
sovvenuto che avevi offeso Dio e prossimo? Che ne hai fatto della tua anima? Che della tua
giovinezza?”
“Fui tentato...”
“Sei un infante per non sapere che quel frutto era maledetto? Meriteresti di morire senza pietà.”
“Oh! Pietà! Solo Tu puoi...”
“No Io. Dio. E se qui giuri di non peccare più.”
“Lo giuro. Lo giuro. Salvami, Signore. Ho solo poche ore prima della condanna. Mamma!...
Mamma! Aiutami col tuo pianto!... Oh! mamma mia!”
La donna non ha neanche più voce. Solo si abbranca alle gambe di Gesù e alza il suo viso dagli
occhi dilatati dal dolore, un tragico viso di un che affoga e sa che quello è l’ultimo sostegno che lo
regge e che lo può salvare.
Gesù la guarda. Le sorride pietoso: “Alzati, madre. Tuo figlio è guarito. Ma per te. Non per lui.”
La donna non crede ancora. Le pare che così a distanza egli non possa essere stato sanato, e fa cenni
di diniego fra i singhiozzi contini.
“Uomo, levati la tunica dal petto. Là avevi la macchia. Che tua madre sia consolata.”
Il giovane si cala la veste, apparendo nudo agli occhi di tutti. Non ha che una pelle unita e liscia di
giovane ben robusto.
“Guarda, madre” dice Gesù e si chiana ad alzare la donna. Mossa che serve anche a trattenerla
quando il suo amore di madre e la vista del miracolo la lancerebbe contro il figlio senza attendere
che sia purificato. Sentendosi impossibilitata di andare là dove la spinge l’amore materno, si
abbandona sul petto di Gesù e lo bacia in un vero delirio di gioia. Piange, ride, bacia, benedice... e
Gesù la carezza con pietà. Poi dice al giovane: “Vai dal sacerdote. E ricordati che Dio ti ha sanato
per tua madre e perché tu sia giusto in futuro. Va’.”
Il giovane se ne va dopo aver benedetto il Salvatore e, a distanza, lo seguono la madre e la le altre
che erano con lei. La folla ha dei gridi di osanna.
Gesù torna al suo posto.
“Anche costui aveva dimenticato che vi è un Dio il quale ordina onestà nei costumi. Aveva
dimenticato che è proibito farsi degli dèi che Dio non siano. Aveva dimenticato di santificare il suo
sabato come ho insegnato. Aveva dimenticato il rispetto amoroso verso la madre. Aveva
dimenticato che non si deve fornicare, non rubare, non essere falsi, non desiderare la donna altrui,
non ammazzare se stesso e la propria anima, non fare adulterio. Tutto aveva dimenticato. Vedete
come era stato colpito.
‘Non desiderare la donna d’altri’ si unisce al ‘non fare adulterio’. Perché il desiderio precede
sempre l’azione. L’uomo è troppo debole per potere desiderare senza poi giungere a consumare il
desiderio. E, quello che è sommamente triste, l’uomo non sa fare lo stesso nei giusti desideri. Nel
male si desidera e poi si compie. Nel bene si desidera e poi ci si ferma, se pure non si retrocede.
Come ho detto a lui, dico a voi tutti, perché il peccato di desiderio è diffuso come la gramigna che
da sé si propaga: siete infanti per non sapere che quella tentazione è venefica e va fuggita? ‘Fui
tentato’. L’antica parola! Ma siccome è anche un antico esempio, dovrebbe l’uomo sovvenirsi delle
conseguenze di esso e saper dire: ‘No’. La nostra storia non manca di esempi di casti che rimasero
tali nonostante tutte le seduzioni del sesso e le minacce dei violenti.
E’ la tentazione un male? Non lo è. E’ l’opera del Maligno. Ma si muta in gloria per il vittorioso su
essa.
Il marito che va ad altri amori è un assassino della sposa, dei figli, di se stesso. Colui che entra
nell’altrui dimora per fare adulterio è un ladro, e dei più vili. Pari al cuculo, gode senza spesa del
nodo altrui. Colui che carpisce la buona fede dell’amico è un falsario, perché testimonia una
amicizia che in realtà non ha. Colui che così agisce disonora se stesso e i genitori. Può allora avere
Dio con sé?
Ho fatto il miracolo per quella povera madre. Ma tanto mi fa schifo la lussuria che ne sono rivoltato.
Voi avete urlato per paura e ribrezzo della lebbra. Io, con l’anima mia, ho avuto urlo per il ribrezzo
della lussuria. Tutte le miserie sono intorno a Me e per tutte Io sono il Salvatore. Ma preferisco
toccare un morto, un giusto già infradiciato con la sua carne che fu proba, e che è già in pace con il
suo spirito, ad avvicinare colui che sa di lussuria. Sono il Salvatore, ma sono l’Innocente. Lo
ricordino tutti coloro che qui vengono o di Me parlano prestando alla mia personalità i fermenti
della loro.
Comprendo che voi vorreste altro da Me. Ma non posso. La rovina di una giovinezza appena
formata e demolita dalla libidine mi ha turbato più che se avessi toccato la Morte. Andiamo dai
malati. Non potendo, per la nausea che mi strozza, essere la Parola, sarò la Salute di chi spera in
Me.
La pace sia con voi.”
Infatti Gesù è molto pallido, come sofferente. Non ripiglia il sorriso altro che quando si curva su dei
bambini malati e su degli infermi nelle loro barelline. Allora torna ad essere Lui. Specie quando,
mettendo il suo dito nella bocca di un mutolino di circa dieci anni, gli fa dire ‘Gesù’ e poi:
‘Mamma’.
La gente se ne va piano piano.
Gesù resta a passeggiare al sole che inonda l’aia, finché lo raggiunge l’Iscariota: “Maestro. Io non
sono tranquillo...”
“Perché, Giuda?”
“Per quelli di Gerusalemme... Io li conosco. Lasciami andare là per qualche giorno. Non ti dico
neppure di mandarmi solo. Anzi ti prego che ciò non sia. Mandami insieme Simone e Giovanni.
Quelli che mi furono tanto buoni nel primo viaggio in Giudea. Uno mi frena, l’altro mi purifica
anche nel pensiero. Non puoi credere che sia Giovanni per me! E’ una rugiada che calma i miei
ardori ed un olio sulle mie acque agitate... Credilo.”
“Lo so. Non te ne divi stupire perciò se Io l’amo tanto. E’ la mia pace. Ma anche tu, se sarai sempre
buono, sarai il mio conforto. Se tu userai i doni di Dio, e ne hai molti, nel bene, come fai da qualche
giorno, diverrai un vero apostolo.”
“E Tu mi amerai come Giovanni?”
“Io ti amo lo stesso, Giuda. Ma solo ti amerò senza affanno e dolore.”
“Oh! Maestro mio, come sei buono!”
“Va’ pure a Gerusalemme. Non gioverà a nulla. Ma non voglio deludere il tuo desiderio di
giovarmi. Ora lo dirò subito a Simone e Giovanni. Andiamo. Lo vedi come soffre il tuo Gesù, per
certe colpe? Sono come uno che ha sollevato un peso troppo forte. Non mi dare mai questo dolore.
Mai più...”
“No, Maestro. No. Ti voglio bene. Lo sai.... Ma sono un debole...”
“L’amore fortifica.”
Entrano in casa e tutto ha fine.
Ed è bene perché io sto molto male: di morale. E lei ne sa la causa. Di fisico perché - sia perché è
tempo di Passione, sia perché ho scritto troppo, non so di preciso perché - ho un periodo tremendo
di febbri e dolori ai polmoni, alla spina dorsale e all’addome. Credo che Compito (luogo dove la
scrittrice fu portata in sfollamento) continui a lavorare in me. Sconto tutto l’umido e la mancanza di
sole di quel caro paese.
129. La guarigione, all’Acqua Speciosa, di un romano indemoniato.
13 marzo 1945.
Gesù è oggi con i nove rimasti, perché gli altri tre sono partiti per Gerusalemme. Tommaso, sempre
allegro, si divide perciò fra le sue verdure e le altre più spirituali incombenze, mentre Pietro con
Filippo, Bartolomeo e Matteo si occupano dei pellegrini, e gli altri vanno al fiume per il battesimo.
Veramente di penitenza con la sizza che tira!
Gesù è ancora nel suo angolo nella cucina, mentre Tommaso traffica e tace per lasciare in pace il
Maestro, quando entra Andrea e dice: “Maestro, c’è un malato che io dico bene guarirlo subito
perché... Dicono che è folle perché non sono israeliti. Ma noi diremmo che è posseduto. Urla,
sbraita, si divincola. Vieni a vedere Tu.”
“Subito. Dov’è?”
“Ancora nel campo. Senti questo ululato? E’ lui. Pare una bestia ma è lui. Deve essere un ricco
perché chi lo accompagna è ben vestito, ed il malato è stato tirato giù da un carro, molto di lusso, da
molti servi. Deve essere pagano perché bestemmia gli dèi dell’Olimpo.”
“Andiamo.”
“Vengo anch’io a vedere” dice Tommaso, più curioso di vedere che preoccupato per le sue verdure.
Escono e, in luogo di piegare verso il fiume, girano verso i campi che separano questo cascinale
(noi lo diremmo così) dalla casa del fattore.
In mezzo ad un prato dove prima brucavano delle pecore, che ora spaurite si sono sparpagliate in
ogni senso, invano radunate dai pastori e da un cane - è il secondo cane che vedo da quando vedo vi è un uomo tenuto legato solidamente e che, ciò nonostante, fa dei balzi da forsennato, con urli
atroci che sempre più crescono più Gesù si avvicina.
Pietro, Filippo, Matteo e Natanaele sono lì vicino, perplessi. E c’è anche della gente: uomini, perché
le donne hanno paura.
“Sei venuto, Maestro? Vedi che furia?” dice Pietro.
“Ora passerà”
“Ma... è pagano, sai?”
“E che valore ha questo?”
“Eh!... per via dell’anima!...”
Gesù ha un breve sorriso e procede. Raggiunge il gruppo del matto, che sempre più si agita.
Si stacca dal gruppo uno che l’abito e il volto rasato denunciano per romano, e saluta: “Salve,
Mastro. Fama di Te mi è giunta. Sei più grande d’Ippocrate nel guarire e del simulacro di Esculapio
per operare miracolo sui morbi. Lo so. Vengo per questo. Mio fratello, lo vedi? Folle per misterioso
male. Nessun medico ne capisce. Sono andato con lui nel tempio di Esculapio. Ma ne uscì ancora
più folle. A Tolemaide ho un parente. Mi mandò un messaggio con una galera. Diceva che qui è
Uno che tutti guarisce. E sono venuto. Tremendo viaggio!”
“Merita premio.”
“Ma, bada. Neppure proseliti siamo. Romani, fedeli agli dèi. Pagani, voi dite. Di Sibari, ora a
Cipro.”
“E’ verità. Pagani siete.”
“Allora... nulla per noi? Il tuo Olimpo caccia il nostro od è cacciato.”
“Il mio Dio, Unico e Trino regna unico e solo.”
“Sono venuto invano” dice il romano deluso.
“Perché?”
“Perché io sono d’un altro dio.”
“L’anima è creata da Un solo.”
“L’anima?...”
“L’anima. Quella cosa divina che da Dio viene creata per ogni uomo. Compagna dell’esistenza,
superstite oltre l’esistenza.”
“E dove è?”
“Nel profondo dell’ io. Ma pure essendo, come cosa divina, nell’interno del delubro più sacro, si
può dire di lei - e lei dico, non essa, perché non cosa è, ma ente vero e degno d’ogni rispetto - che
non è contenuta ma contiene.”
“Per Giove! Ma sei un filosofo?”
“Sono la Ragione unita a Dio.”
“Credevo lo fossi per quanto dicevi...”
“E che è filosofia, quando è vera e onesta, se non elevazione della umana ragione verso la Sapienza
e la Potenza infinite, ossia verso Dio?”
“Dio! Dio!... Ho quello sciagurato che mi disturba. Ma quasi dimentico il suo stato per ascoltare Te,
divino.”
“Non come tu dici lo sono. Tu divino chiami ciò che è superiore all’umano. Io dico che tal nome va
dato solo a chi è da Dio.”
“Che è Dio? Chi l’ha mai visto?”
“E’ stato scritto: ‘Tu che ci formasti, salve! Quando io descrivo la perfezione umana, le armonie del
corpo nostro, io celebro la tua gloria’. Fu detto: ‘La tua bontà rifulge nell’avere distribuito i tuoi
doni a tutti coloro che vivono, perché ogni uomo avesse ciò che gli è necessario. E la tua sapienza si
testimonia per i tuoi doni, come la tua potenza nel compiersi dei tuoi voleri’. Riconosci queste
parole?
“Se Minerva mi soccorre... sono di Galeno. Ma come le sai? Io strabilio!”
Gesù sorride e risponde: “Vieni al Dio Vero ed il suo divino spirito ti farà dotto della ‘vera sapienza
e pietà che è conoscere te steso ed adorare la Verità.”
“Ma questo è sempre Galeno! Ora ne sono sicuro. Oltre che medico e mago sei anche filosofo.
Perché non vieni a Roma?”
“Non medico, non mago, non filosofo, come tu dici. Ma testimonianza di Dio sulla terra. Portatemi
vicino il malato.”
Fra urla e divincolii lo trascinano lì.
“Vedi? Tu lo dici folle. Dici che nessun medico poté guarirlo. E’ vero. Nessun medico, perché folle
non è. Ma un degli inferi, così dico per te, pagano, è entrato in lui.”
“Ma non ha lo spirito pitone. Anzi dice solo errori.”
“Noi lo chiamiamo ‘demonio’, non pitone. Vi è il parlante e il muto. Colui che inganna con ragioni
intinte di vero, e quello che è solo disordine mentale. Il primo di questi due è il più completo e
pericoloso. Tuo fratello ha il secondo. Ma ora ne uscirà”
“Come?”
“Esso stesso te lo dirà.” Gesù ordina: “Lascia l’uomo! Torna al tuo abisso.”
“Vado. Contro di Te troppo debole è il mio potere. Mi cacci e mi imbavagli. Perché sempre ci
vinci?...” Lo spirito ha parlato per bocca dell’uomo, che poi si accascia come spossato.
“E’ guarito. Scioglietelo senza paura.”
“Guarito? Ne sei certo? Ma... Ma io ti adoro! ”. Il romano fa per prostrarsi.
Ma Gesù non vuole. “Alza lo spirito. In Cielo è Dio. Lui adora, e va’ verso di Lui. Addio.”
“No. Così no. Almeno prendi. Permettimi ti tratti come i sacerdoti di Esculapio. Permettimi di udirti
parlare... Permettimi di parlare di Te nella mia patria...”
“Fallo. E vieni col fratello.”
Il quale fratello si guarda intorno stupito e chiede: “Ma dove sono? Questa non è Cintium! Il mare
dov’è?”
“Eri...” Gesù fa un cenno per imporre silenzio e dice: “Eri sofferente per grande febbre e ti hanno
condotto in altro clima. Ora stai meglio. Vieni.”
Vanno tutti - e non tutti ugualmente commossi, perché vi è chi ammira e chi critica la guarigione
del pagano - nello stanzone. E Gesù va al suo posto, avendo sul davanti dell’assemblea proprio i
romani.
“Non vi spiaccia se Io cito un brano dei Re. E’ detto in esso che, essendo il re di Siria in procinto di
guerra contro Israele, aveva nella sua corte un uomo grande ed onorato di nome Naaman, che era
lebbroso. E che una fanciulla d’Israele, predata dai siri, divenuta sua schiava, gli disse: ‘Se il mio
signore fosse stato dal profeta che è in Samaria, certamente egli lo avrebbe guarito dalla lebbra’. Al
che Naaman, chiestane licenza al re, seguì il consiglio della fanciullina. Ma il re d’Israele
fortemente si agitò dicendo: ‘Son forse io Dio che il re di Siria mi manda i malati? Questo è un
tranello per giungere alla guerra’. Ma il profeta Eliseo, saputo del fatto, disse: ‘Venga da me il
lebbroso ed io lo guarirò ed egli saprà che vi è un profeta in Israele’. Naaman andò allora da Eliseo.
Ma Eliseo non lo ricevette. Solo gli mandò a dire: ‘Lavati sette volte nel Giordano e sarai mondato’.
Naaman se ne sdegnò, parendogli di avere fatto per nulla tanta strada, e fece per ripartire sdegnato.
Ma i servi gli dissero: ‘Non ti ha chiesto che di lavarti sette volte, e anche ti avesse ordinato molto
di più avresti dovuto farlo, perché egli è il profeta’. Allora Naaman si arrese. Andò, si lavò e tornò
sano. Giubilante, fece ritorno dal servo di Dio e gli disse: ‘Ora so la verità: non v’è altro Dio su
tutta la terra. Ma vi è solo il Dio d’Israele.’ E, poi che Eliseo non voleva doni, gli chiese di poter
prendere almeno tanta terra da poter sacrificare, su terra d’Israele, al Dio vero.
So che voi non tutti approvate quanto Io ho fatto. So anche che non sono tenuto a giustificarmi a
voi. Ma, posto che vi amo di amor vero, voglio che voi comprendiate il mio gesto e da esso
impariate, e cada dal vostro animo ogni senso di critica e di scandalo.
Qui abbiamo due sudditi di uno stato pagano. Uno era malato, e loro fu detto per tramite di un
parente, ma certo per bocca d’Israele: ‘Se andaste dal Messia d’Israele, Egli sanerebbe il malato’.
Ed essi da molto lontano sono venuti a Me. Più grande ancora la loro fiducia di quella di Naaman,
perché nulla sapevano di Israele e di Messia, mentre il siro, per vicinanza di nazione e continuo
contatto con schiavi d’Israele, già sapeva che in Israele è Dio. Il Vero Dio. Non è bene che ora un
uomo pagano possa tornare in patria dicendo: ‘Veramente in Israele è un uomo di Dio, e in Israele
adorano il vero Dio’?
Io non ho detto: ‘Lavati sette volte’. Ma ho parlato di Dio e dell’anima, due cose da essi ignorate e
che, come le bocche di un’inesausta sorgente, portano con sé i sette doni. Perché dove è concetto di
Dio e di spirito, e desiderio di pervenire ad essi, nascono le piante della fede, speranza, carità,
giustizia, temperanza, fortezza, prudenza. Virtù ignote a coloro che dai loro dèi non possono che
copiare le comuni passioni umane, aumentate in licenza perché compiute da supposti eccelsi. Ora
essi tornano in patria. Mia più della gioia di essere esauditi, c’è quella di dire: ‘Sappiamo che bruti
non siamo, che oltre la vita è ancora un futuro. Sappiamo che il vero Dio è Bontà e perciò ama pure
noi e ci benefica per persuaderci ad andare a Lui’.
E che credete? Che essi soli ignorino il vero? Poco fa un mio discepolo credeva Io non potessi
guarire il malato perché aveva un’anima pagana. Ma l’anima che è? E da chi viene? L’anima è
l’essenza spirituale dell’uomo. E’ quella che, creata di età perfetta, investe, accompagna, avviva
tutta la vita della carne e continua a vivere dopo che la carne non è più, essendo immortale come
Colui che la crea: Iddio. Essendo un solo Dio, non vi sono anima di pagani o anime di non pagani
create da diversi dèi. Vi è una sola Forza che crea le anime, ed è quella del Creatore, del Dio nostro,
unico, potente, santo, buono, senza altra passione che non sia l’amore, la carità perfetta, tutta
spirituale, e, per essere inteso da questi romani, come ho detto: carità, dico anche: carità tutta
morale. Perché il concetto: spirito, non è compreso da questi pargoli che non sanno nulla delle
parole sante.
E che credete? Che solo per Israele Io sia venuto? Sono Colui che radunerà le stirpi sotto un solo
pastore: quello del Cielo. E in verità vi dico che presto verrà il tempo che molti pagani diranno:
‘Lasciateci avere quel tanto da potere nel nostro suolo pagano consumare sacrifici al Dio vero al
Dio uno e trino’ di cui Io sono la Parola.
Ora essi vanno. Convinti più che se Io li avessi schiacciati con lo sdegno. Essi e nel miracolo e nelle
mie parole sentono Dio, e questo diranno dove essi tornano.
Inoltre vi dico: non era giusto premiare tanta fede? Disorientati dai responsi dei medici, delusi dagli
inutili viaggi nei templi, essi hanno saputo avere ancora fede per venire allo sconosciuto, al grande
Sconosciuto del mondo, al deriso, al grande Deriso e Calunniato d’Israele, e dirgli: ‘Credo che Tu
possa’- Il primo crisma alla loro nova mentalità viene loro da questo avere saputo credere. Non
tanto della malattia quanto della errata fede Io li ho sanati, perché ho messo le loro labbra su un
calice la cui sete cresce più se ne beve: la sete di conoscere il Dio vero.
Ho finito. Dico a voi d’Israele: sappiate avere fede come questi seppero.”
Il romano si accosta col guarito: “Ma... Non oso più dire: per Giove. Dico: ma sul mio onore di
cittadino romano io ti giuro che avrò questa sete! Ma ora io devo andare. Chi mi darà più da bere?”
“Il tuo spirito, l’anima che ora sai di avere, fino al giorno in cui un mio messo verrà a te.”
“E Tu, no?”
“Io... Io no. Ma non sarò assente pur non essendo presente. E non passeranno che poco più di due
anni, che Io ti farò un dono più grande della guarigione di costui che ti era caro. Addio ad ambedue.
Sappiate perseverare in questo sentimento di fede.”
“Salve, Maestro. Il Dio vero ti salvi”.
I due romani se ne vanno e si ode che chiamano i servi col carro.
“E neppure sapevano di avere un’anima!” mormora un vecchio.
“Sì, padre. Ed hanno saputo accettare la parola mia meglio di tanti in Israele. Ora, posto che hanno
dato un obolo, benefichiamo i poveri di Dio con doppia e tripla misura. E i poveri preghino per
questi benefattori, più poveri di loro stessi, perché giungano alla vera, unica ricchezza che è
conoscere Iddio.”
La velata piange sotto il suo velo che impedisce di vederne le lacrime, ma non di udirne i
singhiozzi.
“Quella donna piange” dice Pietro. “Forse non ha più denaro. Gliene diamo?”
“Non piange per questo. Ma va’ a dirle così: ‘Le patrie passano. Ma il Cielo resta. Esso è di chi sa
avere fede. Dio è Bontà e perciò ama anche i peccatori. E ti benefica per persuaderti di andare da
Lui’. Va’. Dille così e poi lasciala piangere. E’ veleno che esce.”
Pietro se ne va dalla donna già incamminata verso i campii. Le para e torna. “Si è messa a piangere
più forte” dice. “Credevo di consolarla...” e guarda Gesù.
“E’ consolata, infatti. Anche la gioia fa piangere.”
“Uhm!... Mah!... Ecco, io sarò contento quando la vedrò in volto. La vedrò?”
“Al giorno del Giudizio.”
“Divina Misericordia! Ma allora sarò morto! E che me ne farò di sapere questo? Avrò da guardare
l’Eterno allora!”
“Fallo si da questo momento. E’ l’unica cosa utile.”
“Sì... ma... Maestro, chi è?”
Ridono tutti.
“Se lo chiedi un’altra volta partiamo subito; così la dimentichi.”
“No, Maestro. Però... basta che resti Tu...”
Gesù sorride. “Quella donna” dice, “è un avanzo e una primizia.”
“Che vuoi dire? Io non capisco.”
Ma Gesù lo lascia in asso per andare verso il paese.
“Va da Zaccaria. Ha la donna morente” spiega Andrea. “Ha mandato me a dirlo al Maestro.”
“Tu mi fai stizza! Sai tutto, fai tutto e non mi dici mai nulla. Peggio di un pesce, sei.” Pietro si sfoga
sul fratello della sua delusione.
“Fratello, non te la prendere. Parli tu anche per me. Andiamo a ripescare le nostre reti. Vieni.”
Chi va a destra e chi a sinistra e tutto ha fine.
130. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non dirai falsa testimonianza.
Il piccolo Asrael.
14 marzo 1945.
“Quanta gente!” esclama Matteo.
E Pietro risponde: “Di’, guarda! Ci sono anche dei galilei... Ahi! Ahi! Andiamo a dirlo al Maestro.
Sono tre onorati briganti!”
“Vengono per me, forse. Anche qui mi perseguitano...”
“No, Matteo. Il pescecane non mangia il pesciolino. Vuole l’uomo. Preda nobile. E solo se proprio
non lo trova, si pappa un grosso pesce. Ma io, te, gli altri, siamo pesciolini... robetta.”
“Per il Maestro dici?” interroga matteo.
“E per chi, allora? Non vedi come guardano da tutte le parti? Sembrano fiere che annusano le peste
della gazzella.”
“Vado a dirlo...”
“Aspetta! Lo diciamo ai figli d’Alfeo. Lui è troppo buono. Bontà sciupata quando cade in quelle
bocche.”
“Hai ragione.”
I due vanno al fiume e chiamano Giacomo e Giuda. “Venite. Ci sono dei tipi... Buoni per il
supplizio. Certo vengono per importunare il Maestro.”
“Andiamo. Lui dov’é?”
“Ancora nella cucina. Facciamo presto, perché se se ne accorge non vuole.”
“Sì. E fa male.”
“Lo dico anch’io”
Ritornano all’aia. Il gruppo, designato ‘galileo’, parla con sussiego ad altra gente. Giuda di Alfeo si
accosta come per caso. E ode: “... parole devono essere appoggiate sui fatti.”
“E Lui li fa! Anche ieri ha guarito un romano indemoniato!” ribatte un robusto popolano.
“Orrore! Guarire un pagano! Scandalo! Odi, Eli?”
“Tutte le colpe in Lui: amicizie con pubblicani e meretrici, commerci coi pagani e...”
“E sopportazione dei maldicenti. Anche questa è una colpa. Ai miei occhi la più grave. Ma, posto
che Lui non sa, non vuole difendere Se stesso, parlate con me. Sono il suo fratello e a Lui maggiore,
e questo è l’altro fratello, ancor più adulto. Parlate.”
“Ma per chi te la pigli? Credi che noi si parli male del Messia? Ohibò! Noi siamo venuti da tanto
lontano per fama di Lui. Lo dicevamo anche a questi...”
“Mentitore! Mi fai tanto schifo che ti volgo le spalle.” E Giuda d’Alfeo, sentendo forse in pericolo
la carità verso i nemici, se ne va.
“Non è forse vero? Ditelo voi tutti...”
Ma i ‘tutti’, ossia gli altri coi quali questi galilei parlavano, tacciono. Non vogliono mentire e non
osano smentire. Perciò stanno zitti.
“Non sappiamo neanche come è Lui...” dice il galileo Eli.
“Non lo hai insultato in casa mia, non è vero?” chiede Matteo ironico. “O sei smemorato per
malattia?”
Il ‘galileo’ si ammanta e se ne va cogli altri senza rispondere.
“Vigliacco” gli grida dietro Pietro.
“Volevano dirci cose d’inferno di Lui...” spiega un uomo. “Ma noi abbiamo visto i fatti. E noi
sappiamo invece come sono loro, i farisei. A che credere allora? Al Buono che è proprio buono, o ai
malvagi che da loro si dicono buoni, ma che poi sono un castigo? Io so che da quando vengo non mi
conosco più, tanto sono mutato. Ero un violento, duro alla moglie e ai figli, ero senza rispetto del
vicino e ora... Lo dicono tutti, al paese: ‘Azaria non è più lui’. E allora? Si è mai sentito che un
demonio faccia buoni? Per chi lavora allora? Per la santità nostra? Oh! che davvero è un bizzarro
satanasso se lavora per il Signore!”
“Dici bene, uomo. E Dio ti protegga perché sai bene comprendere, bene vedere, e bene operare.
Prosegui così e sarai un vero discepolo del benedetto Messia. Una gioia per Lui che vuole il vostro
bene e che tutto sopporta pur di portarvi ad esso. Non scandalizzatevi del vero male. Ma quando
vedete che in nome di Dio Egli opera, non abbiate scandalo, e non credete a quelli che vi vorrebbero
persuadere di scandalo, anche se lo vedete fare cose nuove. Questo è il tempo nuovo. Come un fiore
nato dopo secoli che la radice lavora, esso è venuto. Se non fosse stato preceduto da quello, non
avremmo potuto comprendere la sua Parola. Ma secoli di ubbidienza alla Legge del Sinai ci hanno
dato quel minimo di preparazione per potere, dal nuovo tempo, fiore divino che la Bontà ci ha
concesso di vedere, aspirare tutti gli incensi e tutti i succhi per purificarci, fortificarci, renderci
profumati di santità come un altare. Essendo il tempo nuovo, ha nuovi sistemi, non contrari alla
Legge, ma tutti infusi di misericordia e carità, poiché Egli è la Misericordia e l’Amore sceso dal
Cielo.” Giacomo d’Alfeo fa un gesto di saluto e va verso casa.
“Come parli bene, tu!” dice ammirato Pietro. “Io non so mai che dire. Dico solo: ‘Siate buoni.
Amatelo, ascoltatelo, credetelo’. Proprio non so come possa essere contento di me!”
“Eppure lo è tanto” risponde Giacomo d’Alfeo.
“Davvero lo dici o lo dici per bontà tua?”
“In verità è così. Me lo diceva anche ieri.”
“Sì?! Allora oggi sono più contento del giorno che mi fu portata la sposa. Ma tu... dove hai
imparato a parlare così bene?”
“Sulle ginocchia di sua Madre e al suo fianco. Che lezioni! Ce parole! Solo Lui può parlare ancora
meglio di Lei. Ma quello che a Lei manca in potenza, Ella te lo aggiunge in dolcezza... ed entra...
Le sue lezioni! Hai mai visto un panno che tocchi con un angolino un olio odoroso? Piano piano
beve non l’olio, ma il profumo e, se anche l’olio viene levato, il profumo resta sempre a dire: ‘Io ci
fui’. Così di Lei. Anche in noi, stoffe ruvide e lavate poi dalla vita, Ella è penetrata con la sua
sapienza e grazia, e il suo profumo è in noi.”
“Perché non la fa venire? Diceva che lo faceva! Si diventerebbe più buoni, meno zucconi... io
almeno. E anche questa gente...Davanti a Lei sarebbero più buoni anche quegli aspidi che vengono
ogni tanto...”
“Lo credi? Io no. Noi si diventerebbe più buoni, e anche gli umili lo diventerebbero. Ma i potenti e i
cattivi!... Oh! Simone di Giona! Non prestare mai agli atri i tuoi sentimenti onesti! Ne avresti
delusioni... Ecco Lui. Non diciamogli niente...”
Gesù esce dalla cucina avendo per mano un bambinello, che gli trotterella di fianco morsicando una
crosta di pane unta d’olio. Gesù regola il suo lungo passo alle piccole gambette del suo amico. “Una
conquista!” dice allegro. “Mi ha detto questo uomo di quattr’anni, che si chiama Asrael, che lui
vuole essere un discepolo e imparare tutto: a predicare, a fare guarire i bambini malati, a far venire
uva sui tralci anche in dicembre, e poi vuole andare su un monte e gridare a tutto il mondo: ‘Venite,
c’è il Messia!’. Non è così, Asrael?”
E il bambino ridente dice di sì, di sì, e intanto mangia.
“Sai appena mangiare, tu” lo stuzzica Tommaso. “Non sai neppure dire chi è il Messia.”
“E’ Gesù di Nazaret.”
“E che vuol dire ‘Messia’?”
“Vuole dire... vuole dire: l’Uomo che è stato mandato per essere buono e farci buoni tutti.”
“E come fa per farci buoni? Tu che sei un monello come farai?”
“Gli vorrò bene. E farò tutto. E Lui farà tutto perché io gli vorrò bene. Fa’ anche te così e diventerai
buono.”
“E la lezione è data, Tommaso. Hai il precetto: ‘Voglimi bene e farai tutto, perché Io ti amerò se mi
vorrai bene, e l’amore farà tutto in te.’ Lo Spirito Santo ha parlato. Vieni, Asrael. Andiamo a
predicare.”
E’ così lieto Gesù quando ha un bambino, che vorrei portargli tutti i bambini e farlo conoscere a
tutti i bambini. Ce ne sono tanti che non lo conoscono neppure di nome!
Passa davanti alla velata e prima di giungere dice al bambino. “Di’ a quella donna: ‘La pace sia con
te’.”
“Perché?”
“Perché ha la ‘bua’ come te quando cadi. E piange. Ma se tu le dici così, le passa.”
“La pace sia con te, donna. Non piangere. Me lo ha detto il Messia. Se gli vuoi bene, Lui ti vuol
bene e guarisci” grida il bambino mentre Gesù lo trascina seco senza fermarsi. C’è proprio in Asrael
la stoffa del missionario. Anche se per ora è un poco... intempestivo nelle sue predicazioni e dice
più che non gli sia stato detto di dire.
“La pace a tutti voi.
‘Non dirai falsa testimonianza’ è detto.
Cosa c’è più nauseante di un bugiardo? Non si può dire che egli accentra crudeltà con impurità? Sì,
che si può. Il bugiardo, parlo del bugiardo in cose gravi, è crudele. Egli uccide una stima con la sua
lingua. Dunque non è diverso dall’assassino. Anzi dico: è più di un assassino. Costui uccide solo un
corpo. Il bugiardo uccide anche il buon nome, il ricordo di un uomo. Perciò è due volte assassino.
E’ l’assassino impunito perché non sparge sangue, ma lede un onore, e del calunniato e della sua
intera famiglia. E non contemplo neppure il caso di uno che giurando il falso mandi un altro alla
morte. Su questo si sono già accumulati i carboni della Geenna. Ma parlo solo di chi con bugiarda
parola insinua e persuade altri in sfavore di un innocente. Perché lo fa? O per odio senza ragione. O
per avidità di avere ciò che l’altro ha. Oppure per paura.
Odio. Ha l’odio solo chi è amico di Satana. Il buono non odia. Mai. Per nessuna ragione. Anche
vilipeso, anche danneggiato, perdona. Non odia mai. L’odio è la testimonianza che un’anima
perduta dà di se stessa, e la testimonianza più bella che viene data all’innocente. Perché l’odio è la
rivolta del male contro il bene. Non si perdona a chi è buono.
Avidità. ‘Colui ha ciò che io non ho. Io voglio ciò che lui ha. Ma solo con lo spargere disistima su
lui io posso giungere ad avere il suo posto. Ed io lo faccio. Mento? Che importa? Derubo? Che
importa? Posso giungere a rovinare tutta una famiglia? Che importa?’ Fra tante domande che
l’astuto mentitore si fa, dimentica, vuole dimenticare, una domanda. Questa: ‘E se venissi
smascherato?’. Questa non se la fa perché, preso dall’orgoglio e dall’avidità, è come uno dagli occhi
tappati. Non vede il pericolo. E’ ancora come uno ebbro. E’ ebbro del vino satanico, e non pesa che
Dio è più forte di Satana e si incarica di fare le vendette del calunniato. Il mentitore si è dato alla
Menzogna e fida stoltamente nella sua protezione.
Paura. Molte volte uno calunnia per scusare se stesso E’ la forma più comune di menzogna. Si è
fatto il male. Si teme che venga scoperto e riconosciuto opera nostra. Allora, usando ed abusando
della stima che ancora si ha presso gli altri, ecco che si capovolge il fatto, e quello che noi si è fatto,
lo si addossa all’altro di cui si teme solo l’onestà. Ancora lo si fa perché l’altro, delle volte, è stato,
senza volere, testimonio di una nostra mala azione, e allora ci si vuole mettere al sicuro da una sua
testimonianza. Lo si accusa per renderlo inviso onde, se lui parla, nessuno lo creda.
Ma agite bene! Agite bene! E di questa menzogna non avrete mai bisogno. Non pensate, quando
mentite, come vi mettete un giogo pesante? Esso è fatto della soggezione al demonio, della paura
perpetua di una smentita e della necessità di ricordare la menzogna detta, coi fatti ed i particolari
con cui fu detta, anche dopo degli anni, senza cadere in contraddizione. Una fatica da galeotto. E
servisse al Cielo! Ma serve solo a prepararvi il posto nell’inferno!
Siate schietti. Così bella la bocca dell’uomo che non conosce menzogna! Sarà povero, sarà rozzo,
sarà sconosciuto? Lo è, anzi? Sì. Ma è sempre un re. Perché è un sincero. E la sincerità è regale più
dell’oro e del diadema, ed eleva sulle folle più di un trono, e dà corte di buoni più di quanta ne ha
un monarca. Sicurezza e sollievo dà la vicinanza dell’uomo sincero. Mentre disagio dà l’amicizia
dell’insincero e anche solo l’averlo vicino dà un senso di disagio. Non pensa chi mente che, poiché
presto la menzogna affiora per mille cause, dopo egli è sempre tenuto in sospetto? Come poter
accettare più quanto egli dice? Anche se dice il vero, e chi l’ode lo vuol credere, in fondo c’è
sempre un dubbio: ‘Mentirà anche ora?’
Voi direte: ‘Ma dove è la testimonianza falsa?’ Ogni menzogna è testimonianza falsa. Non solo
quella legale.
Siate semplici come semplice è Dio e il fanciullo. Siate veritieri in tutti i vostri momenti della vita.
Volete essere reputati buoni? Siatelo in verità. Se anche un maldicente volesse dire di voi male,
cento buoni direbbero: ‘No. Non è vero. Egli è buono. Le sue opere parlano per lui’.
In un libro sapienziale è detto: ‘L’uomo apostata procede con la perversità sulle labbra... nel suo
cuore perverso prepara il male e in ogni tempo semina discordie... Sei cose odia il Signore e la
settima l’ha in esecrazione: gli occhi superbi, la lingua bugiarda, le mani che spargono sangue
innocente, il cuore che medita iniqui disegni, i piedi che corrono frettolosi al male, il falso
testimonio che proferisce menzogne, e colui che semina discordie fra i fratelli... Per i peccati della
lingua, la rovina si avvicina al malvagio... Chi mentisce è un testimone fraudolento. Il labbro
veritiero non muta in eterno, ma è testimonio di un momento chi imbastisce linguaggio di frode. Le
parole del sussurrone sembrano semplici, ma penetrano le viscere. Il nemico si riconosce al suo
parlare quando cova tradimento. Quando parla con voce sommessa non te ne fidare, perché porta
nel cuore sette malizie. Egli con finzione nasconde il suo odio, ma la sua malizia sarà rivelata... Chi
scava la fossa vi cadrà e la pietra cadrà addosso a chi la rotola’.
Vecchio come il mondo è il peccato di menzogna e senza mutazione è il pensiero del sapientein
proposito, come senza mutazione è il giudizio di Dio su chi è bugiardo.
Io dico: ‘Abbiate sempre un solo linguaggio. Il sì sia sempre sì ed il no sia sempre no anche di
fronte a potenti e tiranni. E grande merito ne avrete in Cielo’.
Vi dico: ‘Abbiate la spontaneità del fanciullo che va per istinto da chi sente buono senza cercare
altro che bontà. E che dice ciò che la sua stessa bontà gli fa pensare, senza calcolare se dice troppo e
se ne può avere un biasimo’.
Andate in pace. E la Verità vi diventi amica.”
Il piccolo Asrael, che è sempre stato seduto ai piedi di Gesù col capino alzato come un uccellino
che ascolta il canto del genitore, ha una mossa tutta dolcezza: si strofina col visetto contro i
ginocchi di Gesù e dice: “Io e Te siamo amici perché Tu sei buono e ti voglio bene. Ora lo dico
anche io” e, sforzando la vocina per farsi udire in tutto il vasto stanzone, dice, gestendo come ha
visto fare a Gesù: “Tutti, ascoltate. Io so dove vanno le persone che non dicono bugie e vogliono
bene a Gesù di Nazaret. Vanno su per la scala di Giacobbe. Su, su, su... insieme agli angeli e poi si
fermano quando trovano il Signore” e ride felice, mostrando tutti i dentini.
Gesù lo carezza e scende fra la gente. Riporta il piccolo alla madre. “Grazie, donna, di avermi dato
il tuo bambino.”
“Ti ha dato noia...”
“No. Mi ha dato amore. E’ un piccolo del Signore, e il Signore sia sempre con lui e con te. Addio.”
Tutto ha fine.
131. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non rubare e non desiderare ciò che è
d’altri. Il peccato di Erode.
15 marzo 1945.
“Dio dà ad ognuno il necessario. Questo è in verità. Cosa è necessario all’uomo? Il fasto? Il grande
numero di servi? Le terre i cui campi non si possono contare? I banchetti che vedono da un
tramonto sorgere un’aurora? No. Necessario all’uomo è un tetto, un pane, una veste.
L’indispensabile per vivere.
Guardatevi intorno. Chi sono i più allegri ed i più sani? Chi gode di una vecchiezza serena? I
gaudenti? No. Quelli che onestamente vivono, lavorano e desiderano. Essi non hanno veleno di
lussuria e rimangono forti. Non veleno di crapule e rimangono agili. Non veleno di invidie e
rimangono allegri. Mentre chi desidera avere sempre più uccide la sua pace e non gode, ma
precocemente invecchia, arso da livore o da abuso.
Potrei unire il comando del ‘non rubare’ a quello del ‘non desiderare ciò che è d’altri’. Perché infatti
il desiderio eccessivo spinge al furto. Non è che un passo breve, da questo a quello. E’ illecito ogni
desiderio? Io non dico questo. Il padre di famiglia che, lavorando nel campo o nell’officina,
desidera trarne di che assicurare pane alla prole, non pecca in verità. Anzi ubbidisce al suo dovere
di padre. Ma quello che invece non desidera altro che godere di più, e si appropria di ciò che è
d’altri per giungere a godere di più, costui pecca.
L’invidia! Perché’ che è il desiderio della cosa altrui se non avarizia e invidia? L’invidia separa da
Dio, figli miei, e unisce a Satana.
Non pensate che il primo che desiderò la roba d’altri fu Lucifero? Era il più bello degli arcangeli,
godeva di Dio. Avrebbe dovuto esser contento di questo. Invidiò Dio e volle essere lui Dio e
divenne il demonio. Il primo demonio.
Secondo esempio: Adamo ed Eva tutto avevano avuto, godevano del terrestre paradiso, godevano
dell’amicizia di Dio, beati nei doni di grazia che Dio aveva loro dati. Avrebbero dovuto
accontentarsi di questo. Invidiarono a Dio la conoscenza del bene e del male e furono cacciati
dall’Eden divenendo i proscritti invisi a Dio. I primi peccatori.
Terzo esempio: Caino invidiò Abele per la sua amicizia col Signore. E divenne il primo assassino.
Maria, sorella d’Aronne e Mosè, invidiò il fratello e divenne la prima lebbrosa della storia d’Israele.
Potrei passo passo condurvi per tutta la vita del popolo di Dio, e vedreste che il desiderio smodato
fece, di chi lo ebbe, un peccatore, e della nazione un castigo. Perché i peccati dei singoli si
accumulano e provocano i castighi delle nazioni, così come granelli e granelli e granelli di rena,
accumulati in secoli e secoli, provocano una frana che sommerge i paesi e chi è in essi.
Vi ho sovente citato ad esempio i pargoli, perché semplici e fidenti. Oggi vi dico: imitate gli uccelli
nella libertà dai desideri.
Guardate. Ora è inverno. Poco cibo è nei frutteti. Ma si preoccupano essi nell’estate di accumularlo?
No. Fidano nel Signore. Sanno che un vermolino, un granello, una mica, un ragnetto, una moschina
sull’acqua, la potranno sempre catturare per il loro gozzetto. Sanno che un comignolo caldo, o un
bioccolo di lana, ci sarà sempre per il loro rifugio d’inverno, come sanno che, quando verrà il tempo
in cui necessita loro avere fieni per i nidi e maggior pasto per la prole, ci sarà fieno fragrante sui
prati, e succoso cibo nei frutteti e nei solchi, e di insetti sarà ricca l’aria e la terra. E cantano piano:
‘Grazie, Creatore, per quanto ci dai e ci darai’, pronti ad osannare a piena gola quando nell’epoca
degli amori godranno della sposa e si vedranno moltiplicati nella prole.
C’è creatura più lieta dell’uccello? Eppure che è la sua intelligenza rispetto a quella umana? Una
scaglietta di silice rispetto a un monte.. Ma vi insegna. In verità vi dico che possiede la letizia
dell’uccello colui che vive senza desiderio impuro. Egli si fida di Dio e lo sente Padre. Egli sorride
al giorno che sorge e alla notte che cala, perché sa che il sole è suo amico e la notte è sua nutrice.
Egli guarda senza rancore gli uomini e non teme le loro vendette, perché non li danneggia in alcun
modo. Egli non trema per la sua salute né per il suo sonno, perché sa che una vita onesta tiene
lontane le malattie e dà dolce riposo. Non teme infine la morte perché sa che, avendo bene agito,
non può che avere il sorriso di Dio.
Anche il re muore. Anche il ricco muore. Non è lo scettro che allontana la morte né il denaro che
compera l’immortalità. Come davanti al Re dei re e al Signore dei signori sono cosa risibile le
corone e le monete, ma ha solo valore una vita vissuta nella Legge!
Cosa dicono quegli uomini là in fondo? Non abbiate paura di parlare”.
“Dicevamo: l’Antipa di che peccato è colpevole? Di furto o di adulterio?”
“Non vorrei guardaste gli altri ma i vostri cuori. Però vi rispondo che egli è colpevole di idolatria
adorando la carne più di Dio, di adulterio, di furto, di illecito desiderio, e presto di omicidio.”
“Sarà salvato da Te, Salvatore?”
“Io salverò coloro che si pentono e tornano a Dio. Gli impenitenti non avranno redenzione.”
“Hai detto che è ladro. Ma che ha rubato?”
“La moglie al fratello. Il furto non è di solo di denaro. E’ furto anche levare l’onore ad un uomo,
levare la verginità ad una fanciulla, levare ad un marito la moglie, come lo è levare un bue al vicino
o prendere delle sue piante. Il furto, poi, aggravato da libidine o da falsa testimonianza, si aggrava
di adulterio, o di fornicazione, o di mendacio.”
“E una donna che si prostituisce che peccato fa?”
“Se è sposata, di adulterio e di furto verso il marito. Se è nubile, di impurità e di furto a se stessa.”
“A se stessa? Ma dà via del suo!!”
“No. Il nostro corpo è creato da Dio per essere tempio dell’anima che è tempio di Dio. Perciò deve
essere conservato onesto, perché altrimenti l’anima viene derubata dell’amicizia di Dio e della vita
eterna.”
“Allora una meretrice non può essere che di Satana?”
“Ogni peccato è meretricio con Satana. Il peccatore, come una femmina prezzolata, si dà a Satana
per illeciti amori, sperandone sozzi guadagni. Grande, grandissimo il peccato di prostituzione che
rende simili ad animali immondi. Ma credete che non lo è da meno ogni altro peccato capitale. Che
dirò dell’idolatria? Che dell’omicidio? Eppure Dio perdonò agli israeliti dopo il vitello d’oro.
Perdonò a Davide dopo il suo peccato, e che era duplice. Dio perdona a chi si pente. Sia il
pentimento in proporzione del numero e della grandezza delle colpe, ed Io vi dico che a chi più si
pente più sarà perdonato. Perché il pentimento è forma d’amore. Di operante amore. Chi si pente
dice a Dio col suo pentimento: ‘Non posso stare col tuo corruccio perché ti amo e voglio essere
amato’. E Dio ama chi lo ama. Perciò Io dico: più uno ama e più è amato. Chi ama totalmente ha
tutto perdonato. E questa è verità.
Andate. E prima però sappiate che vi è alle porte del paese una vedova, carica di prole, nella fame
più assoluta. Cacciata dalla casa per debiti. E ancora può dire ‘grazie’ al padrone per non averla che
cacciata. Ho usato l’obolo vostro per il loro pane. Ma hanno bisogno di un asilo. La misericordia è
il più gradito dei sacrifici al Signore. Siate buoni ed in suo nome vi assicuro il premio.”
La gente bisbiglia, si consiglia, discute.
Gesù intanto guarisce uno quasi cieco e ascolta una vecchierella venuta da Doco a pregarlo di
andare dalla sua nuora malata. Una lunga storia di lacrime che io, mezza morta come sono oggi, non
trascrivo.
E per fortuna, tutto finisce, perché io non sono proprio in grado di durare ancora con una crisi
cardiaca che dura da tre ore e che mi abbarbaglia anche la vista.
132. Discorso conclusivo, All’Acqua Speciosa, prima della festa della
Purificazione.
17 marzo 1945.
“Figli miei nel Signore, la Festa della Purificazione è ormai imminente e ad essa Io, Luce del
mondo, vi mando preparati con quel minimo necessario a ben compierla. Il primo lume della festa
da cui trarrete fiamma per tutti gli altri. Perché ben stolto sarebbe colui che pretendesse accendere
molti lumi non avendo come accendere il primo. E ancora più stolto sarebbe colui che pretendesse
iniziare la sua santificazione dalle cose più ardue, trascurando ciò che è la base dell’edificio
immutabile della perfezione: il Decalogo.
Si legge nei Maccabei che Giuda ed i suoi, avendo con la protezione del Signore ripreso il Tempio e
la Città, distrussero gli altari agli dèi stranieri e i tempietti e purificarono il Tempio. Poi alzarono un
altro altare e con le pietre focaie suscitarono il fuoco, offersero i sacrifizi, fecero ardere l’incenso,
posero i lumi e i pani della proposizione e poi, prostrati tutti a terra, supplicarono il Signore a non
farli più peccare o, se per loro debolezza venissero di nuovo al peccato, che venissero trattati con
divina misericordia. E questo avveniva il venticinque del mese di Casleu.
Consideriamo ed applichiamo il racconto a noi stessi, perché ogni parola della storia d’Israele,
essendo il popolo eletto, ha un significato spirituale. La vita è sempre insegnamento. La vita
d’Israele è insegnamento non solo per i giorni terreni, ma per la conquista dei giorni eterni.
‘Distrussero gli altari e i tempietti pagani’.
Ecco la prima operazione. Quella che Io vi ho indicato di fare col nominarvi gli dèi individuali che
sostituiscono il Dio Vero: le idolatrie del senso, dell’oro, dell’orgoglio, i vizi capitali che portano
alla profanazione e morte dell’anima e del corpo e al castigo do Dio.
Io non vi ho schiacciati sotto le innumerabili formole che ora opprimono i fedeli, e sono baluardo
alla vera Legge, oppressa, nascosta da cumuli e cumuli di proibizioni tutte esteriori, che con la loro
oppressione conducono il fedele a perdere di vista la lineare, chiara, santa voce del Signore che
dice: ‘Non bestemmiare. Non idolatrare. Non profanare le feste. Non disonorare i genitori. Non
uccidere. Non fornicare. Non rubare. Non mentire. Non invidiare le cose altrui. Non appetire la
moglie altrui’. Dieci ‘non’. E non uno di più. E sono le dieci colonne del tempio dell’anima. Sopra
splende l’oro del precetto santo fra i santi: ‘Ama il tuo Dio. Ama il tuo prossimo’. E’ il
coronamento del tempio. E’ la protezione delle fondamenta. E’ la gloria del costruttore. Senza
l’amore uno non potrebbe ubbidire alle dieci regole e cadrebbero le colonne, tutte od alcuna, e il
tempio rovinerebbe o totalmente o parzialmente. Ma sempre sarebbe rovinato e non più atto ad
accogliere il Santissimo.
Fate ciò che vi ho detto, abbattendo le tre concupiscenze. Dando un nome schietto al vostro vizio,
così come è schietto Dio nel dirvi: ‘Non fare questo e quello’. Inutile sottilizzare sulle forme. Chi ha
un amore più forte di quello che dà a Dio, quale che sia questo amore, è un idolatra. Chi nomina
Dio professandosi suo servo e poi lo disubbidisce, è un ribelle. Chi per avidità lavora in Sabato è un
profanatore ed è un diffidente e presuntuoso. Chi nega un soccorso ai genitori adducendo pretesti,
anche se dice che sono opere date a Dio, è uno in odio a Dio, che ha messo o padri e le madri a sua
figura sulla terra. Chi uccide è sempre assassino. Chi fornica è sempre lussurioso. Chi ruba è
sempre ladro. Chi mente è sempre un abbietto. Chi vuole ciò che non è suo, è sempre un ingordo
della più esecrata fame. Chi profana un talamo è sempre un immondo.
Così è. E vi ricordo che dopo l’erezione del vitello d’oro venne l’ira del Signore, dopo l’idolatria di
Salomone lo scisma che divise e indebolì Israele, dopo l’ellenismo accettato, e anzi ben accolto e
introdotto da giudei indegni sotto Antioco Epifane, vennero le nostre attuali sventure di spirito, di
fortuna e di nazionalità. Vi ricordo che Nadab e Abiù, falsi servi di Dio, furono percossi da Geovè.
Vi ricordo che non era santa la manna del sabato. Vi ricordo Cam ed Assalonne. Vi ricordo il
peccato di Davide su Uria e quello di Assalonne su Amnon. Vi ricordo la fine di Assalonne e quella
di Amnon. Vi ricordo la sorte di Eliodoro ladro, e Simone e Menelao. Vi ricordo la ignobile fine dei
due rettori falsi che avevano testimoniato con menzogna su Susanna. E potrei continuare senza
trovare fine agli esempi. Ma torniamo ai Maccabei.
‘E purificarono il Tempio’.
Non basta dire: ‘Distruggo’. Occorre dire: ‘Purifico’. Vi ho detto come si purifica l’uomo: col
pentimento umile e sincero. Non vi è peccato che Dio non perdoni se il peccatore è realmente
pentito. Abbiate fede nella Bontà divina. Se voi poteste giungere a capire cosa è questa Bontà,
anche fossero su voi tutti i peccati del mondo, non fuggireste da Dio, ma anzi correreste ai suoi
piedi, perché solo il Buonissimo può perdonare ciò che l’uomo non perdona.
‘E alzarono un altro altare’.
Oh! non tentate inganno col Signore. Non siate falsi nel vostro agire. Non mescolate Dio a
Mammona. Avreste un altare vuoto: quello di Dio. Perché inutile alzare un altare nuovo se
permangono anche resti dell’altro. O Dio o l’idolo. Scegliete.
‘E suscitarono il fuoco con la pietra e l’esca’.
Pietra è la ferma volontà di essere di Dio. Esca è il desiderio di annullare con tutto il restante della
vita anche il ricordo del vostro peccato dal cuore di Dio. Ecco allora che si suscita il fuoco: l’amore.
Perché il figlio che cerca di riconfortare l’offeso genitore con tutta una vita onorata, che fa se non
amare il padre, volendolo lieto del figlio suo, già lacrima ed ora gioia? Ora giunti a questo, potete
offrire i sacrifici, ardere gli incensi, porre i lumi e i pani. Non saranno invisi a Dio i sacrifici, e grate
saranno le preghiere, veramente illuminato l’altare, ricco del cibo della vostra offerta giornaliera.
Potrete pregare dicendo: ‘Siici protettore’, perché Egli amico vi sarà.
Ma la sua misericordia non ha atteso che voi chiamaste pietà. Ha precorso il vostro desiderio. E vi
ha mandato la Misericordia a dirvi: ‘Sperate. Io ve lo dico: Dio vi perdona. Venite al Signore’. Un
altare è già fra voi: il nuovo altare. Da esso sgorgano fiumi di luce e di perdono. Come un olio si
spandono, medicano, rinforzano. Credete nella Parola che da esso viene. Piangete con Me sui vostri
peccati. Come il levita che guida il coro, Io dirigo le vostre voci a Dio, e non sarà respinto il vostro
gemito se è unito alla mia voce. Con voi mi annichilo, Fratello agli uomini nella carne, Figlio al
Padre nello spirito, e dico per voi e con voi: ‘Da questo profondo abisso, dove Io-Umanità sono
caduto, grido a Te, Signore. Ascolta la voce di chi si guarda e sospira, e non chiudere il tuo udito
alle mie parole. Orrore è il vedermi, o Dio. Orrore io sono anche agli occhi miei! E che sarò agli
occhi tuoi? Non guardare alle mie colpe, o Signore, perché altrimenti io non potrò resistere dinanzi
a Te, ma usa su di me la tua misericordia. Tu l’hai detto: ‘Io Misericordia sono’. Ed io credo alla tua
parola. L’anima mia, ferita ed abbattuta, confida in Te, nella tua promessa, e dall’alba a notte, dalla
giovinezza alla vecchiaia io spererò in Te’.
Colpevole di omicidio e di adulterio, riprovato da Dio, ben ottiene Davide perdono, dopo aver
gridato al Signore: ‘Abbi pietà non per mio rispetto ma per onore alla tua misericordia, che è
infinita. E per essa cancella il mio peccato. Non vi è acqua che possa lavare il mio cuore se non è
presa nelle acque profonde della tua santa bontà. Con essa lavami dalla iniquità mia e purificami
dalla mia sozzura. Non nego d’aver peccato. Ma anzi confesso il mio delitto e come un testimonio
accusatore la colpa mi è sempre davanti. Ho offeso l’uomo nel prossimo e in me stesso, ma di avere
peccato contro Te particolarmente mi dolgo. E questo ti dica che riconosco che Tu sei giusto nelle
tue parole e temo il tuo giudizio che trionfa su ogni potenza umana. Ma considera, o Eterno, che in
colpa io sono nato e che peccatrice fu chi mi ha concepito, e che pure Tu tanto mi hai amato da
giungere a svelarmi la tua sapienza ed a darmela per maestra nel comprendere i misteri delle tue
sublimi verità. E se tanto hai fatto, devo temere di Te? No. Non temo. Aspergimi coll’amaro del
dolore e sarò purificato. Lavami col pianto e diverrò come neve alpina. Fammi sentire la tua voce
ed esulterà il tuo servo umiliato, perché la tua voce è gioia e letizia anche se rampogna. Volgi il tuo
volto ai miei peccati. Il tuo sguardo cancellerà le mie iniquità. Il cuore che Tu mi hai dato fu
profanato da Satana e dalla mia debole umanità. Creami un nuovo cuore che sia puro, e distruggi
ciò che è corruzione nelle viscere del tuo servo, perché regni solo, in lui, uno spirito retto. Ma non
mi scacciare dalla tua presenza e non mi levare l’amicizia tua, perché solo la salute che da Te viene
è gioia per l’anima mia, e il tuo spirito sovrano è conforto dell’umiliato. Fa’ che io divenga colui
che va fra gli uomini dicendo: ‘Osservate quanto è buono il Signore. Andate sulle sue vie e sarete
benedetti come io lo sono, io, aborto dell’uomo e che ora torno figlio di Dio per la grazia che
rinasce in me’. E a Te si convertiranno gli empi. Il sangue e la carne ribollono e urlano in me.
Liberami da essi, o Signore, salvezza dell’anima mia, ed io canterò le tue lodi. Non sapevo. Ma ora
ho compreso. Non un sacrifizio d’arieti Tu vuoi, ma l’olocausto d’un cuore contrito. Un cuore
contrito e umiliato ti è più gradito di arieti e montoni perché Tu per Te ci hai creati, e vuoi che noi
di ciò ci ricordiamo e ti rendiamo ciò che è tuo. Sii a me benigno per la tua grande bontà e riedifica
la mia e la tua Gerusalemme: quella di uno spirito purificato e perdonato sul quale possa venire
offerto il sacrificio, l’oblazione e l’olocausto per il peccato, per il grazie e per la lode. Ed ogni mio
nuovo giorno sia un’ostia di santità consumata sul tuo altare per salire coll’odore del mio amore
sino a Te’.
Venite! Andiamo al Signore! Io avanti, voi dietro. Andiamo alle acque di salute, andiamo nei
pascoli santi, andiamo nelle terre di Dio. Dimenticate il passato. Sorridete al futuro. Non pensate al
fango, ma guardate le stelle. Non dite: ‘Son tenebra’; dite: ‘Dio è Luce’. Io sono venuto ad
annunziarvi la pace, a dire ai mansueti la Buona Novella, a curare quelli che hanno il cuore infranto
da troppe cose. a predicare la libertà a tutti gli schivi, primi fra tutti quelli di Mammona, a liberare i
prigionieri dalle concupiscenze.
Io vi dico: l’anno di grazia è venuto. Non piangete voi tristi della tristezza di chi si sente peccatore,
non lacrimate, esuli dal Regno di Dio. Io sostituisco la cenere con l’oro, l’olio alle lacrime. A festa
vi vesto per presentarvi al Signore e dire: ‘Ecco le pecorelle che Tu mi mandasti a cercare. Io le ho
visitate e radunate, le ho contate, ho cercato le disperse e te le ho portate sottraendole ai nuvoli e
alle caligini. Le ho prese frammezzo a tutti i popoli, le ho riunite da tutte le regioni per condurle alla
Terra non più terra che per esse Tu hai preparato, o Padre Santo, per portarle sulle cime
paradisiache dei tuoi monti opimi dove tutto è luce e bellezza, lungo i rivi delle celesti beatitudini
dove si satollano di Te gli spiriti da Te amati. Sono andato in cerca anche delle ferite, ho guarito le
fratturate, ho ristorato le deboli, non ne ho trascurato una sola. E la più sbranata dagli avidi lupi dei
sensi me la sono messa come un giogo d’amore sulle spalle e te la poso ai piedi, Padre benigno e
santo, perché ella non può più camminare, non sa le tue parole, è una povera anima inseguita dai
rimorsi e dagli uomini, è uno spirito che rimpiange e trema, è come un’onda spinta e respinta dal
flutto sul lido. Viene col desiderio, la respinge la cognizione di sé... Aprile il tuo seno, Padre tutto
amore, perché in esso trovi pace questa creatura smarrita. Dille: ‘Vieni!’ Dille: ‘Sei mia!’. Fu di
tutto un mondo. Ma ne ha nausea e paura. Dice: ‘Ogni padrone è uno sgherro lurido’. Fa’ che possa
dire: ‘Questo mio Re mi ha dato la gioia di essere presa!’ Non sa cosa sia l’amore. Ma se Tu
l’accogli saprà cosa è questo amore celeste che è l’amore nuziale fra Dio e lo spirito umano, e come
un uccello liberato dalle gabbie dei crudeli salirà, salirà, sempre più in alto, sino a Te, al Cielo, alla
gioia, alla gloria, cantando: ‘Ho trovato Colui che cercavo. Non ha altro desiderio il mio cuore. In
Te mi poso e giubilo, Signore eterno, nei secoli dei secoli beata!’ ”.
Andate. Con spirito nuovo celebrate la Festa della Purificazione. E la luce di Dio si accenda in voi.”
Gesù è stato travolgente nella chiusa del suo discorso. Un volto luminoso dagli occhi raggianti, un
sorriso e delle note che sono di una dolcezza non conosciuta.
La gente ne è quasi affascinata e non si muove sinché Egli ripete: “Andate. La pace sia con voi.”
Allora si inizia la partenza dei pellegrini che parlano fitto fitto tra di loro.
La velata se ne va svelta come sempre col suo passo agile e lievemente ondulante. Pare abbia le ali
per il vento che le gonfia il mantello alle spalle.
“Adesso capirò se è d’Israele” dice Pietro.
“Perché?”
“Perché se sta qui è segno che...”
“...è una povera donna senza casa propria. Nulla di più, ricordatelo, Pietro”.
Gesù cammina verso il paese.
“Sì, Maestro. Ne lo ricorderò... E noi che faremo ora che tutti staranno alle loro case per la festa?”
“Le nostre donne accendono per noi le lampade.”
“Mi spiace... E’ il primo anno che non le vedo accendere nella mia, o che non le accendo...”
“Sei un vecchio bambino! Accenderemo anche noi le lampade. Così non farai più quel viso
imbronciato. E le accenderai proprio tu.”
“Io? Io no, Signore. Tu sei il Capo della mostra famiglia. Spetta a Te.”
“Io sono sempre una lampada accesa... e vorrei che tali foste voi pure. Sono l’Encenie Sempiterna,
Pietro. Lo sai che sono nato proprio il venticinque di casleu?”
“Chissà quanti lumi, eh?” chiede ammirato Pietro.
“Non si potevano contare... Erano tutte le stelle del cielo...”
“No! Non ti hanno fatto festa a Nazaret?”
“Non sono nato a Nazaret. ma in una maceria in Betlemme. Vedo che Giovanni ha saputo tacere. E’
molto ubbidiente Giovanni.”
“E non è curioso. Ma io... lo sono tanto! Mi racconti? Al tuo povero Simone. Se no, come faccio a
parlare di Te? Delle volte la gente chiede e io non so mai cosa dire... Gli altri sanno fare, voglio dire
i tuoi fratelli e Simone, Bartolomeo e Giuda di Simone. E... sì, anche Tommaso sa parlare... sembra
un banditore del mercato... e che venda una merce. Ma riesce a parlare... Matteo... eh! lui va bene!
Usa l’antica sapienza per pelare al suo banco di gabella, per forzare gli altri a dire: ‘Hai ragione’.
Ma io!... Povero Simone di Giona! I pesci che ti hanno insegnato? E che il lago? Due cose... ma non
servono: i pesci a tacere e avere costanza. Loro costanti nel fuggire la rete, io costante per metterli
in essa. E il lago ad avere coraggio e occhio a tutto. E che la barca? A sgobbare senza risparmio di
nessun muscolo e stare ritti anche se se le onde sono agitate e si risica di cadere. Occhio alla polare,
mano ferma al timone, forza, coraggio, costanza, attenzione, ecco ciò che mi ha insegnato la mia
povera vita...”
Gesù gli posa una mano sulla spalla e lo scuote guardandolo con affetto e ammirazione, vera
ammirazione di tanta semplicità, e dice: “E ti pare poco, Simon Pietro? Hai tutto quanto serve ad
essere la mia ‘pietra’. Nulla va messo, nulla va tolto. Sarai il nauta eterno, Simone. E a chi verrà
dopo di te, dirai: ‘Occhio alla polare: Gesù. Mano ferma al timone, forza, coraggio, costanza,
attenzione, sgobbare senza risparmio, avere occhio a tutto, e sapere stare ritti anche su onde
agitate...’ Riguardo al silenzio... via... i pesci non te lo hanno insegnato!”
“Ma per quello che dovrei saper dire sono più muto dei pesci. Le altre parole?... Anche galline
sanno sblaterare come io faccio... Ma, dimmi, Maestro mio. Dài un figli anche a me? Siamo
vecchi... Ma Tu hai detto che il Battista nacque da una vecchia... Ora hai detto: ‘E a chi verrà dopo
di te dirai...’ Chi viene dopo un uomo se non il suo generato?” Pietro ha un viso di preghiera e di
speranza.
“No, Pietro. E non te ne dolere. Sembri proprio il tuo lago quando il sole è nascosto da una nube.
Da ridente si fa cupo. No, mio Pietro. Ma non uno, ma mille e diecimila figli avrai, e in ogni
nazione... Non ti ricordi quando ti ho detto: ‘Sarai pescatore d’uomini’?”
“Oh!... sì... ma... Sarebbe stato così dolce un bambino che mi dicesse ‘padre’!”
“Ne avrai tanti che non li potrai più contare. E ai quali darai la vita eterna. E li ritroverai in Cielo e
me li porterai dicendo: ‘Sono i figli del tuo Pietro e voglio che siano dove io sono’, ed Io ti dirò:
‘Sì, Pietro. Come tu vuoi sia. Perché tu tutto hai fatto per Me ed Io tutto faccio per te’.” Gesù è
dolcissimo nel dire queste promesse.
Pietro inghiotte saliva fra il pianto per la speranza che muore di una paternità terrena, e il pianto di
un’estasi che già si annuncia. “Oh! Signore!” dice. “Ma per dare la vita eterna bisogna persuadere le
anime al bene. E ... siamo sempre lì: io non so parlare.”
“Saprai parlare, quando sarà l’ora, meglio di Gamaliele.”
“Voglio credere... Ma, fàllo Tu il miracolo, perché se ci devo arrivare da me...”
Gesù ride del suo riso pacato e dice: “Oggi sono tutto tuo. Andiamo per il paese. Da quella vedova.
Ho un obolo segreto. Un anello da vendere. Sai come l’ho avuto? M’è arrivato un sasso ai piedi,
mentre pregavo ai piedi di questo salice. Al sasso era unito un fagottino con una strisciolina di
pergamena. Dentro il fagottino, l’anello. Sul cartiglio la parola: ‘carità’.
“Fai vedere? Oh! bello! Da donna. Che dito piccino! Ma quanto metallo...!”
“Ora tu lo vendi. Io non so fare. L’albergatore compera oro. Lo so. Io ti aspetto presso il forno. Va’,
Pietro”
“Ma... se non so fare? Io l’oro... Non so di oro, io!”
“Pensa che è pane per chi ha fame, e fai del meglio che puoi. Addio.”
E Pietro va verso destra mentre Gesù, più lentamente va verso sinistra, verso il paese che appare in
lontananza relativa da dietro un boschetto che è oltre la casa del fattore.
133. Il lavoro nascosto di Andrea.
Una lettera della Madre a Gesù, che deve lasciare l’Acqua Speciosa.
18 marzo 1945.
L’Acqua Speciosa è senza pellegrini. E pare strano vederla così, senza bivacchi di chi sosta una
notte o almeno consuma il suo pasto sull’aia o sotto la tettoia. Non vi è che nitore e ordine oggi,
senza nessuna di quelle tracce che un affollamento lascia di sé.
I discepoli occupano il loro tempo in lavori manuali, chi intrecciando vimini per farne nuove
trappole ai pesci, e chi lavorando intorno a piccoli lavori di sterro e di incalanamento delle acque
dei tetti perché non stagnino sull’aia. Gesù è ritto in mezzo ad un prato e sbriciola del pane ai
passerotti. A perdita d’occhio non un vivente, nonostante la giornata sia serena.
Viene verso Gesù Andrea, di ritorno da qualche incombenza: “Pace a te, Maestro.”
“E a te, Andrea. Vieni qui un poco con Me. Tu puoi stare vicino agli uccellini. Sei come loro. Ma
vedi? Quando essi sanno che chi li avvicina li ama, non temono più. Guarda come sono fiduciosi,
sicuri, lieti. Prima erano quasi ai miei piedi. Ora ci sei tu e stanno all’erta... Ma guarda, guarda...
Ecco quel passero più audace che viene avanti. Ha capito che non c’è nessun pericolo. E dietro lui
gli altri. Vedi come saltellano? Non è uguale di noi, figli del Padre? Egli ci satolla del suo amore. E
quando siamo sicuri di essere amati e di essere invitati alla sua amicizia, perché temere di Lui e di
noi? La sua amicizia deve farci audaci anche presso gli uomini. Credi: solo il malvivente deve avere
paura del suo simile. Non il giusto come tu sei.”
Andrea è rosso e non parla.
Gesù lo attira a Sé e dice ridendo: “Bisognerebbe unire te e Simone in un solo filtro, sciogliervi e
poi riformarvi. Sareste perfetti. Eppure... Se ti dico che, tanto dissimile in principio, sarai
perfettamente uguale a Pietro alla fine della tua missione, lo crederesti?”
“Tu lo dici e certo è. Non mi chiedo neppure come ciò possa essere. Perché tutto quello che Tu dici
è vero. E sarò contento di essere come Simone, fratello mio, perché lui è un giusto e ti fa felice. E’
bravo Simone! Io sono tanto contento che egli sia bravo. Coraggioso, forte. Ma anche gli altri!...”
“E tu no?”
“Oh! Io!... Solo Tu puoi essere contento di me...”
“E accorgermi che lavori senza rumore e più profondamente degli altri. Perché nei dodici c’è chi fa
tanto rumore per quanto lavora. C’è chi fa molto più rumore di quanto non faccia lavoro, e c’è chi
non fa altro che lavoro. Un lavoro umile, attivo, ignorato... Gli altri possono credere che egli non
faccia nulla. Ma Colui che vede sa. Queste differenze sono perché ancora non siete perfetti. E ci
saranno sempre fra i futuri discepoli, fra quelli che verranno dopo di voi, sino al momento che
l’angelo tuonerà: ‘Il tempo non è più’. Sempre ci saranno i ministri del Cristo che saranno pari
nell’opera e nell’attirare su di loro lo sguardo del mondo: i maestri, E vi saranno, purtroppo, quelli
che saranno solo rumore e gesto esteriori, solo esteriori, i falsi pastori dalle pose istrioniche...
Sacerdoti? No: mimi. Nulla di più. Non è il gesto che fa il sacerdote e non lo è l’abito. Non lo è la
sua mondana cultura né le relazioni mondane e potenti che fanno il sacerdote. E’ la sua anima.
Un’anima tanto grande da annullare la carne. Tutto spirito il mio sacerdote... Così lo sogno. Così
saranno i miei santi sacerdoti. Lo spirito non ha voce né ha pose da tragedo. E’ inconsistente perché
spirituale, e perciò non può mettere pepli e maschere. E’ ciò che è: spirito, fiamma, luce, amore.
Parla agli spiriti. Parla con la castità degli sguardi, degli atti, delle parole, delle opere. L’uomo
guarda. E vede un suo simile. Ma oltre e sopra la carne che vede? Qualcosa che lo fa arrestare dal
suo andare frettoloso, meditare e concludere: ‘Quest’uomo, a me simile, ha di uomo solo l’aspetto.
L’anima è di angelo’. E, se miscredente, conclude: ‘Per lui credo che ci sia un Dio e un Cielo’. E se
lussurioso dice: ‘Questo mio uguale ha gli occhi di Cielo. Freno il mio senso per non profanarli’. E
se è un avaro, decide: ‘Per l’esempio di costui che non ha attacco di ricchezze, io cesso di essere
avaro’. E se è un iracondo, un feroce, davanti al mite si muta in più pacato essere. Tanto può fare un
sacerdote santo. E, credilo, sempre ci saranno fra i sacerdoti santi quelli che sapranno anche morire
per amore di Dio e di prossimo, e sapranno farlo così pianamente, dopo aver esercitato la perfezione
per tutta la vita ugualmente pianamente, che il mondo neppure si accorgerà di loro. Ma se il mondo
non diverrà tutto un lupanare e una idolatria, sarà per questi: gli eroi del silenzio e della operosità
fedele. E avranno il tuo sorriso: puro e timido. Perché ci saranno sempre degli Andrea. Per grazia di
Dio e per fortuna del mondo ci saranno!”
“Io non credevo di meritare queste parole... Non avevo fatto nulla per suscitarle...”
“Mi hai aiutato ad attirare a Dio un cuore. Ed è il secondo che tu conduci verso la Luce.”
“Oh! perché ha parlato? Mi aveva promesso...”
“Nessuno ha parlato. Ma Io so. Quando i compagni riposano stanchi, tre sono gli insonni all’Acqua
Speciosa. L’apostolo dal silenzioso e attivo amore verso i fratelli peccatori. La creatura che l’anima
pungola verso la salvezza. E il Salvatore che prega e veglia, che attende e spera... La mia speranza:
che un’anima trovi la sua salute... Grazie, Andrea. Continua e siine benedetto.”
“Oh! Maestro!... Ma non dire nulla agli altri... Da solo a sola, parlando ad una lebbrosa in una
spiaggia deserta, parlando qui ad una di cui non vedo il volto, io ancora so fare un pochino. Ma se
gli altri lo sanno, Simone più di tutti, e vuole venire... io non so fare più nulla... Non venire neppure
Te... Perché di parlare davanti a Te, mi vergogno.”
“Non verrò. Gesù non verrà. Ma lo Spirito di Dio è sempre venuto con te. Andiamo a casa. Ci
chiamano per il pasto.”
E tutto ha fine fra Gesù e il mite discepolo.
Stanno ancora mangiando e già hanno acceso le lampade, perché la sera scende rapidissima e anche
la sizza consiglia a tenere chiusa la porta, quando viene bussato all’uscio e la voce allegra di
Giovanni si fa sentire.
“Ben tornati!”
“Avete fatto presto!”
“Che c’è, dunque?”
“Come siete carichi!”
Tutti parlano insieme, aiutando i tre a liberarsi dalle pesantissime sacche che hanno sulle spalle.
“Adagio!”
“Lasciateci salutare il Maestro!”
“Ma un momento!”
Vi è un tumulto allegro, famigliare, per la gioia di essere insieme.
“Vi saluto, amici. Dio vi ha dato giornate serene.”
“Sì, Maestro. Ma non serene notizie. Lo prevedevo” dice l’Iscariota.
“Che c’è? Che c’è...” la curiosità è desta.
“Fate prima che siano rifocillati” dice Gesù.
“No, Maestro. Prima ti diamo quanto abbiamo per Te e per gli altri. E per primo... Giovanni, dài la
lettera.”
“L’ha Simone. Io temevo di sciuparla nel carico.”
Lo Zelote, che è stato in lotta fino allora con Tommaso che lo voleva servire di acqua per i suoi
piedi stanchi, accorre dicendo: “L’ho qui, nella borsa della cintura.” e apre questa tasca interna della
sua alta cintura di cuoio rosso estraendone un rotolo ormai divenuto piatto.
“E’ tua Madre. Quando siamo stati presso Betania, abbiamo incontrato Gionata che andava da
Lazzaro con la lettera e molte altre cose. Gionata va a Gerusalemme perché Cusa mette in ordine il
suo palazzo.... Forse Erode va a Tiberiade... e Cusa non vuole la moglie presso Erodiade” spiega
l’Iscariota mentre Gesù scioglie i nodi del rotolo e svolge lo stesso.
Gli apostoli bisbigliano mentre Gesù legge con un sorriso beato le parole della Mamma.
“Udite” dice poi. “Vi è anche per i galilei qualche cosa. Mia Madre scrive:
‘A Gesù, mio dolce Figlio e Signore, pace e benedizione.
Gionata, servo del suo Signore, mi ha portato doni gentili da parte di Giovanna che chiede
benedizioni al suo Salvatore su lei, lo sposo e tutta la sua casa. Gionata mi dice che egli per ordine
di Cusa va a Gerusalemme, avendo l’ordine di riaprire il palazzo in Sionne. Io benedico Iddio di
questa cosa, perché posso così farti avere le mie parole e le mie benedizioni. Anche Maria d’Alfeo e
Salome mandano ai figli baci e benedizioni. E, poiché Gionata fu buono oltre misura, vi sono anche
i saluti della moglie di Pietro al marito lontano, e così i famigliari di Filippo e Natanaele mandano i
loro. Tutte le vostre donne, o cari uomini lontani, coll’ago e col telaio, e col lavoro dell’orto, vi
mandano vesti per questi mesi d’inverno, e dolce miele, raccomandandovi di prenderlo con acqua
ben calda nelle umide sere. Abbiatevi cura. Questo mi dicono le madri e le spose di dirvi ed io lo
dico. Anche al Figlio mio. Non ci siamo sacrificate per nulla, credetelo. Godete degli umili doni che
noi, discepole dei discepoli di Cristo, diamo ai servi del Signore, e solo dateci la gioia di sapervi
sani.
Ora, amato Figlio mio, io penso che da quasi un anno Tu non sei più tutto mio. E mi sembra di
essere ritornata al tempo in cui sapevo che Tu c’eri già, perché sentivo il tuo piccolo cuore battere
nel mio seno, ma potevo anche dire che non c’eri ancora, perché mi eri separato da una barriera che
mi impediva di carezzare il tuo corpo diletto e solo potevo adorarti lo spirito, o mio caro Figlio e
adorabile Iddio. Anche ora so che ci sei e che il tuo cuore batte col mio, mai diviso da me anche se
diviso, ma non ti posso accarezzare, udire, servire, venerare, Messia del Signore e della sua povera
serva.
Giovanna voleva andassi da lei perché non rimanessi sola nella Festa dei Lumi. Io però ho preferito
rimanere qui, con Maria, ad accendere i lumi. Per me e per Te. Ma fossi anche la più grande regina
della terra e potessi accendere mille e diecimila lumi, sarei al buio perché Tu non sei qui. Mentre
ero nella perfetta luce in quella scura grotta, quando ti ebbi sul cuore, mia Luce e Luce del mondo.
Sarà la prima volta che mi dico: ‘Il mio Bambino oggi ha un anno di più’ e non ho il mio Bambino.
E sarà più triste del tuo primo genetliaco in Matarea. Ma Tu fai la tua missione ed io la mia. Ed
ambedue facciamo la volontà del Padre e operiamo per la gloria di Dio. Questo asciuga ogni
lacrima.
Caro Figlio, comprendo quanto fai da quanto mi viene detto. Come le onde da un aperto mare
portano la voce del largo sino dentro ad un solitario e chiuso golfo, così l’eco del tuo santo lavoro
per la gloria del Signore, giunge nella quieta casetta nostra, alla tua Mamma che ne giubila e ne
trema, perché se tutti parlano di Te, non tutti ne parlano con uguale cuore. Vengono amici e
beneficati a dirmi: ‘Sia benedetto il Figlio del tuo seno’, e vengono nemici tuoi a ferire il mio cuore
dicendo: ‘Anatema a Lui!’. Ma per questi io prego perché sono degli infelici, ancora più dei pagani
che vengono a chiedermi: ‘Dove è il mago, il divino?’ e non sanno dire una grande verità, nel loro
errore, perché veramente Tu sei sacerdote e grande come per l’antica lingua ha senso quella parola,
e divino sei, o mio Gesù. Ed io te li mando dicendo: ‘Egli è a Betania’. Perché così so dover dire
fino a che Tu non ordini in altro modo. E prego per questi che vengono a cercare salute per ciò che
muore, acciò trovino salute per lo spirito eterno. E, te ne prego. Non ti affliggere del mio dolore. E’
compensato da tanta gioia per la salute dei sanati di anima e di carne.
Ma Maria ne ebbe e ne ha un dolore ancora più forte del mio; non a me soltanto si parla. Giuseppe
d’Alfeo vuole che Tu sappia che egli, in un recente suo viaggio per affari a Gerusalemme, fu
fermato e minacciato per causa di Te. Erano uomini del Gran Consiglio. Io penso che egli fu loro
segnalato da qualche grande di qui. Perché altrimenti chi poteva conoscere Giuseppe come capo di
famiglia e fratello tuo? Io ti dico questo per ubbidienza di donna. Ma per me ti dico: vorrei esserti
vicino. Per darti conforto. Ma poi fa’ Tu, Sapienza del Padre, senza tenere conto del mio pianto.
Simone, tuo fratello, voleva quasi venire, dopo questo fatto. E con me. Ma la stagione lo ha
trattenuto e più la tema di non trovarti, perché ci fu detto, e come una minaccia, che Tu dove sei non
puoi rimanere.
Figlio! Figlio mio! Adorato e santo Figlio mio! Sto con le braccia alzate come Mosè sul monte, per
pregare per Te in battaglia contro i nemici di Dio e i nemici tuoi, mio Gesù che il mondo non ama.
Qui è morta la Lia di Isacco. E ne ho avuto pena perché mi fu sempre buona amica. Ma la pena
maggiore sei Tu, lontano e non amato.
Io ti benedico, Figlio mio, e come io ti do pace e benedizione, ti prego di darla Tu alla tua
Mamma’.”
“Arrivano fino in quella casa quegli spudorati!” urla Pietro.
E Giuda Taddeo esclama: “Giuseppe... se la poteva tenere per sé la notizia. Ma... non gli è sembrato
vero di poterla dare!”
“Voce di iena non spaventa i vivi” sentenzia Filippo.
“Il male è che non sono iene, sono tigri. Cercano preda viva” dice l’Iscariota. E volgendosi allo
Zelote: “Di’ tu quanto abbiamo saputo.”
“Sì, Maestro. Giuda aveva ragione di temere. Siamo andati da Giuseppe d’Arimatea e da Lazzaro.
E lì, come aperti amici tuoi. E poi io e Giuda, come se io fossi un suo amico d’infanzia, da alcuni
suoi amici di Sionne... E... Giuseppe e Lazzaro ti dicono di venire via subito durante queste feste.
Non insistere, Maestro. E’ per tuo bene. Gli amici di Giuda, poi, hanno detto: ‘Guarda che è già
deciso di venire a sorprenderlo per accusarlo. Proprio in questi giorni di feste in cui non c’è popolo.
Si ritiri per qualche tempo. Per deludere queste vipere. La morte di Doras ha aizzato il loro veleno e
la loro paura. Perché hanno paura oltre che odio. E la paura fa loro vedere ciò che non c’è, e l’odio
fa dire anche la menzogna.”
“Tutto, ma tutto sanno di noi! E’ una cosa odiosa! E tutto alterano! E tutto esagerano. E quando
pare loro che non ci sia ancora abbastanza per maledire, inventano. Io sono nauseato e accasciato.
Mi viene volontà di esulare, di andare... non so... lontano. Ma via da questo Israele che è tutto un
peccato...”. L’Iscariota è depresso.
“Giuda! Giuda! Una donna per dare al mondo un uomo lavora nove lune. Tu per dare al mondo la
conoscenza di Dio vorresti fare più presto? Non nove lune. Ma millenni di lune ci vorranno. E come
sempre la luna nasce e muore ad ogni lunazione, apparendoci neonata, poi piena e poi scema, così
sempre nel mondo, finché sarà, ci saranno fasi crescenti, piene e decrescenti di religione. Ma anche
quando sembrerà morta, essa sarà viva, così come la luna che c’è anche quando pare sia finita. E chi
avrà lavorato a questa religione, ne avrà merito pieno anche se solo una minoranza esigua rimarrà,
sulla terra, di anime fedeli. Su, su! Non facili entusiasmi nei trionfi e non facili depressioni nelle
sconfitte.”
“Ma però... vieni via. Non siamo, noi, forti ancora. E sentiamo che davanti al Sinedrio avremmo
paura. Io almeno... Gli altri non so... Ma credo imprudenza tentarlo. Non abbiamo il cuore dei tre
fanciulli della corte di Nabucodonosor.”
“Sì, Maestro. E’ meglio.”
“E’ prudente.”
“Giuda ha ragione.”
“Vedi che anche tua Madre e i parenti...”
“E Lazzaro e Giuseppe.”
“Facciamoli venire per niente.”
Gesù apre le braccia e dice: “Sia fatto come volete. Ma poi si ritorna qui. Voi vedete quanti
vengono. Io non forzo e non tento l’anima vostra. Non la sento pronta infatti... Ma vediamo i lavori
delle donne.”
Però, mentre tutti con occhi lieti e voci di gioia estraggono dalle bisacce i pacchi con le vesti, i
sandali e le cibarie delle madri e delle mogli, e tentano interessare Gesù ad ammirare tanta grazia di
Dio, Egli resta mesto e distratto. Legge e rilegge la lettera materna. Si è rincantucciato con una
lucernetta nell’angolo più lontano dal tavolo su cui sono vesti, e mele, e vasetti di metallo, e
formaggelle, e con una mano a far visiera agli occhi, pare meditare. Ma soffre.
“Ma guarda, Maestro, la mia sposa, poverina, che bella veste e che mantello col cappuccio mi ha
fatto. Chissà quanto ha faticato, perché non è esperta come tua Madre” dice Pietro, che gongola con
le braccia cariche dei suoi tesori.
“Belli, sì, belli. E’ una brava moglie” dice cortese Gesù. Ma con l’occhio lontano dalle cose
mostrate.
“A noi la mamma ha fatto due vesti tessute doppio. Povera mamma! Ti piacciono, Gesù? E’ un bel
colore, non è vero?” dice Giacomo di Zebedeo.
“Molto bello, Giacomo. Ti starà bene.”
“Guarda. Scommetto che queste cinture le ha fatte tua Madre. E’ Lei che ricama così. E anche
questo doppio velo per riparare dal sole io dico lo ha fatto Maria. E’ uguale al tuo. La veste no. E’
certo la mamma nostra che l’ha tessuta. Povera mamma! Dopo il tanto piangere fatto nell’estate, ci
vede più poco e spesso le si spezza il filo. Cara!” e Giuda d’Alfeo bacia la pesante veste di un rosso
marrone.
“Non sei allegro, Maestro” osserva finalmente Bartolomeo. “Non guardi neppure le cose mandate a
Te.”
“Non può esserlo” ribatte Simone Zelote.
“Penso... Ma... Rifate i pacchi. Mettete tutto a posto. Non è l’ora di essere presi e non lo saremo. A
notte alta, al chiaro di luna, andremo verso Doco. Poi a Betania.”
“Perché Doco?”
“Perché vi è una donna che muore e attende da Me la guarigione.”
“Non passiamo dal fattore?”
“No, Andrea. Da nessuno. Così nessuno ha bisogno di mentire dicendo che non sa dove siamo. Se a
voi preme non essere perseguitati, a Me preme non dare noie a Lazzaro.”
“Ma Lazzaro ti aspetta.”
“E da lui andiamo. O meglio... Simone, mi ospiti nella casa del tuo vecchio servo?”
“Con gioia, Maestro. Tu sai tutto, ormai. Perciò ti posso dire per Lazzaro, per me, e per chi in essa
é: essa è tua.”
“Andiamo. Fate presto. Per essere a Betania prima del sabato.”
E mentre tutti si spargono con lucerne a fare quanto è necessario per l’improvvisa partenza, Gesù
resta solo.
Rientra Andrea, va vicino al suo Gesù e dice: “E quella donna? Mi spiace abbandonarla ora che
pareva prossima a venire... E’ prudente... l’hai visto...”
“Vai a dirle che torneremo fra qualche tempo e che intanto ricordi le tue parole...”
“Le tue, Signore. Io ho detto solo le tue.”
“Va’. Fa’ presto. E bada che nessuno ti veda. Invero in questo mondo di cattivi devono prendere
aspetto di perfidi coloro che sono innocenti...”
Tutto mi cessa qui, su questa grande verità.
134. La guarigione di Jerusa a Doco.
19 marzo 1945.
[...].
Vedo: Gesù, nella prima luce di una stentata mattina d’inverno, entra nella cittadina di Doco e ad un
mattiniero passante chiede: “Dove abita Marianna, la vecchia madre dalla nuora morente?”
“Marianna? La vedova di evi? La suocera di Jerusa, moglie di Giosia?”
“Lei.”
“Guarda, uomo. In fondo a questa via vi è una piazza, sull’angolo è una fonte, da lì sono tre strade.
Piglia quella che ha al centro una palma e cammina ancora cento passi. Trovi un fosso. Lo segui
fino al ponte d’assi. Lo passi e vedi una vieta coperta. La fai. Quando non è più via, né coperta,
perché sbocca in una piazza, sei arrivato. La casa di Marianna è color d’oro per vecchiezza. E con le
spese che hanno, non la possono pulire. Non sbagli. Addio. Vieni da lontano?”
“Non molto.”
“Ma sei galileo?”
“Sì”
“E questi? Vieni per la festa?”
“Sono amici. Addio, uomo. La pace sia con te.” Gesù lascia in asso il ciarliero che non ha più fretta.
E va per la sua strada. E gli apostoli dietro.
Giungono alla... piazzetta: uno scampolo di terra molto fangosa con al centro un alto querciolo, che
è cresciuto da padrone e che forse d’estate farà comodo. Per ora fa solo malinconia, così folto e
cupo sulle povere case alle quali leva luce e sole.
La casa di Marianna è la più miserella. Larga e bassa, ma così trascurata! Il portone è pieno di toppe
messe sulle scheggiature del legno stravecchio. Una finestrella non ha impannata e mostra il suo
buco nero come un’orbita senza più occhio.
Gesù bussa al portone. Viene una fanciullina sui dieci anni, pallida, spettinata, con gli occhi rossi.
“Sei la nipote di Marianna? Di’ alla vecchia madre che Gesù è qui.”
La bambina ha un grido e fugge via chiamando a gran voce. Corre la vecchia, seguita da sei
bambini oltre la ragazzina di prima. Il più grande pare gemello a questa; gli ultimi, due trappolini
scalzi e sparuti, sono attaccati alla veste della vecchia, e appena sanno camminare sufficientemente
bene.
“Oh! sei venuto! Figli, venerate il Messia! Ben giungi alla mia povera casa. La figlia mi è morente...
Non piangete, fanciulli, che non senta! Povere creature! Le bambine sono sfinite dalle veglie,
perché io faccio tutto, ma vegliare non posso più, casco dal sonno in terra. Sono mesi che non tocco
letto. Ora dormo su un sedile, per essere presso lei e alle bambine. Ma esse sono piccole e ne
soffrono. I maschi, questi, vanno a fare legna per tenere il fuoco e la vendono anche, per il pane. Si
sfiniscono, miseri nipoti! Ma ciò che ci uccide non è la fatica, è il vederla morire... Non piangete.
Abbiamo Gesù.”
“Sì, non piangete. La mamma guarirà, il padre tornerà, non avrete più tante spese e non più tanta
fame. Questi sono i due ultimi?”
“Sì, Signore. Quella debole creatura ha sgravato tre volte gemelli... e il petto si è ammalato.”
“A chi troppo e a chi niente” borbotta Pietro fra la barba e poi si prende un piccolino e gli da una
mela per farlo tacere.
E mentre anche l’altro piccolino gliene chiede una e Pietro lo accontenta, Gesù va con la vecchia
oltre l’atrio, nella corte, e sale la scala per entrare in una stanza dove geme una donna giovane ma
scheletrita.
“Il Messia, Jerusa. Ora non soffrirai più. Lo vedi che è proprio venuto? Isacco non mente mai. Lo
ha detto. Credi dunque che come è venuto ti possa sanare.”
“Sì, madre buona. Sì, mio Signore. Ma se non mi puoi guarire, fammi almeno morire. Ho i cani nel
petto mio. Le bocche de miei figli, alle quali ho dato dolce latte, mi hanno reso fuoco e amaro.
Soffro tanto, Signore! Costo tanto! Il marito lontano per il pane. La vecchia madre che si consuma.
Io che muoio!... A chi i figli quando io sarò morta di male e lei di fatica e di stenti?”
“Per gli uccelli c’è Dio e così per i piccoli dell’uomo. Ma non morrai. Hai tanto male qui?” Gesù fa
l’atto di posare la mano sul seno avvolto in bende.
“Non mi toccare! Non mi aumentare il dolore!” urla la malata.
Ma Gesù posa delicatamente la sua lunga mano sulla mammella malata: “Hai realmente il fuoco
dentro, povera Jerusa. L’amore materno ti è divenuto fuoco nel seno. Ma tu non hai odio allo sposo
e ai bambini, non è vero?”
“Oh! perché dovrei? Egli è buono e mi ha sempre amata. Con saggio amore ci amammo e l’amore
fiorì in creature... E loro!... Mi angoscio di lasciarli, ma... Signore! Ma il mio fuoco cessa! Madre!
Madre! E’ come un angelo soffiasse l’aria del Cielo sul mio tormento! Oh! che pace! Non levare,
non levare la tua mano, mio Signore! Premila anzi. Oh! che forza, che gioia! I miei figli! Qui i miei
figli! Li voglio! Dina! Osia! Anna! Seba! Melchi! David! Giuda! Qui! Qui! La mamma non muore
più! Oh!...”
La giovane donna si rovescia sui guanciali piangendo di gioia mentre accorrono i figli, e la vecchia
in ginocchio, non trovando altro nella sua gioia, intona il cantico di Azaria nella fornace ardente, e
lo dice tutto con la sua voce tremula di vecchia e di commossa.
“Oh! Signore! Ma che ti posso fare? Non ho nulla per farti onore!” dice infine.
Gesù la rialza e dice: “Lasciami solo sostare per la mia stanchezza. E taci. Il mondo non mi ama.
Devo andare via per qualche tempo. Ti chiedo fedeltà a dio e silenzio. A te, alla sposa, ai piccoli.”
“Oh! non temere! Nessuno viene da chi è misero! Puoi stare qui senza tema di esser visto. I farisei,
eh?! Ma... e per mangiare? Io non ho che poco pane...”
Gesù chiama l’Iscariota: “Prendi del denaro e va’ a comprare quanto occorre. Mangeremo e
riposeremo presso queste buone. Fino a sera. Va’ e taci.”
Poi si volge alla guarita: “Levati le bende, alzati, aiuta la madre e giubila. Dio ti ha fatto grazia per
pietà della tua virtù di sposa. Spezzeremo il pane insieme, perché oggi il Signore altissimo è nella
tua casa e occorre celebrarlo con festa piena.”
E Gesù esce, raggiungendo Giuda che sta per uscire. “Prenderai con abbondanza. Che abbiano
anche per i giorni futuri. A noi non mancherà nulla da Lazzaro.”
“Sì, Maestro. E, se permetti... Ho del denaro mio. Ho fatto voto di offrirlo per la tua salvezza dai
nemici. Lo muto in pane. Meglio a questi fratelli in Dio, che nelle gole del Tempio. Permetti? L’oro
mi è sempre stato serpente. Non voglio avere il suo fascino più. Perché sto tanto bene ora che sono
buono. Libero mi sento. E sono felice.”
“Fa’ come vuoi, Giuda. E il Signore ti dia pace.”
Gesù raggiunge i discepoli mentre Giuda esce e tutto ha termine.
[...].
135. L’arrivo a Betania e il discorso di Gesù ascoltato dalla Maddalena.
21 marzo 1945.
Quando Gesù, valicata l’ultima salita, giunge sul pianoro, vede Betania tutta ridente di un sole
decembrino, che rende meno triste la campagna dispogliata e meno cupe le macchie di verde date
dai cipressi, dai quercioli, e dai carrubi che sorgono or qua or là, e sembrano cortigiani intenti ad
inchinare qualche palma altissima, veramente regale e che si drizza solitaria nei giardini più belli.
Perché Betania non ha solo la bella casa di Lazzaro. Ma anche altre dimore di ricchi, forse cittadini
di Gerusalemme che preferiscono vivere qui, presso i loro beni, e che sulle casette dei villici fanno
risaltare le loro ville di ampia e bella mole dai giardini ben curati. E fa strano vedere in un luogo
collinoso ancora qualche palma rievocare l’Oriente, col suo fusto snello e il ciuffo duro e frusciante
dalle foglie dietro al cui verde giada si cerca istintivamente il giallore sconfinato del deserto. Qui
invece sono sfondi di ulivi verd’argento e campi arati, per ora nudi del più piccolo segno di grano, e
scheletrici frutteti dai tronchi scuri e dalle ramaglie intricate come fossero d’anime che si
contorcono in una tortura infernale.
E vede anche subito un servo di Lazzaro messo di sentinella. Costui saluta profondamente e chiede
permesso di portare notizia del suo arrivo al padrone, e avutane licenza va via sollecito.
Intanto contadini e cittadini accorrono a salutare il Rabbi, e da una siepe d’alloro, che cinge del suo
verde profumato una bella casa, si affaccia una giovane donna che non è certo israelita. Il suo peplo
o, se ben mi ricordo i nomi, la sua stola (lunga fino a fare un lieve strascico, ampia, di morbida lana
candidissima, ravvivata da una balza ricamata a greca con colori vivi nei quali brillano fili d’oro,
stretta alla vita da una cintura uguale alla balza) e anche la sua acconciatura del capo (che è una
reticella in oro che tiene a posto una complicata pettinatura tutta a ricciolini sul davanti e poi liscia,
per finire in un grosso mazzocchio sulla nuca) mi fanno pensare che sia greca o romana. Guarda
curiosamente perché la tentano a guardare i gridi trillanti delle donne e gli osanna degli uomini. Poi
ha un sorriso sprezzante, vedendo che vanno diretti ad un povero uomo che non ha neppure un
somarello per andare e che cammina fra un gruppo di suoi simili, tutti ancor meno attraenti di lui.
Fa una alzata di spalle e con mossa annoiata si allontana, seguita a mo’ di cani da un drappello di
trampolieri multicolori, nei quali sono candide ibis e multicolori fenicotteri, né mancano due gralle
tutte fuoco con una coroncina tremolante sulla testa che pare d’argento, unico candore della loro
splendida piuma di fiamma dorata.
Gesù la guarda un attimo, poi torna ad ascoltare un vecchione che... vorrebbe non avere la
debolezza nelle gambe che ha. Gesù lo carezza ed esorta ad... avere pazienza, ché fra poco viene la
primavera e col bel sole d’aprile si sentirà più forte.
Sopraggiunge Massimino, che precede Lazzaro di qualche metro. “Maestro... mi ha detto Simone
che... che Tu vai nella sua casa... Dolore per Lazzaro... ma si comprende...”
“Ne parleremo poi. Oh! amico mio!” Gesù si affretta verso Lazzaro che è come imbarazzato, lo
bacia sulla gota. Sono giunti intanto ad un viottolo che conduce ad una casetta sita fra altri frutteti e
quello di Lazzaro.
“Vuoi proprio andare da Simone, allora?”
“Sì, amico mio. Ho con Me tutti i discepoli e preferisco così...”
Lazzaro manda giù male la decisione, ma non ribatte. Solo si volge alla piccola folla che li segue e
dice: “Andate. Il Maestro ha bisogno di riposo.”
Vedo qui quanto è potente Lazzaro. Tutti si inchinano alle sue parole e si ritirano, mentre Gesù li
saluta col suo dolce: “Pace a voi. Vi farò dire quando predicherò.”
“Maestro” dice Lazzaro ora che son soli, avanti ai discepoli, che parlano con Massimino qualche
metro indietro. “Maestro... Marta è tutta in lacrime. Per questo non è venuta. Ma poi verrà. Io non
piango che nel cuore. Ma diciamo: è giusto. Se avessimo pensato che ella veniva... Ma non viene
mai per le feste... Già... quando mai viene?... Io dico: l’ha spinta qua il demonio proprio oggi.”
“Il demonio? E perché non il suo angelo per comando di Dio? Ma, mi devi credere, anche se ella
non ci fosse stata, Io sarei andato in casa di Simone.”
“Perché, mio Signore? Non ricevesti pace nella mia casa?”
“Tanta pace che dopo Nazaret è il luogo a Me più caro. Ma, rispondimi: perché mi hai detto: ‘Vieni
via dall’Acqua Speciosa’? Per l’insidia che si accosta. Non è così? E allora Io mi metto nelle terre
di Lazzaro, ma non metto Lazzaro nella condizione di ricevere insulto nella sua casa. Credi che ti
rispetterebbero? Per calpestare Me passerebbero anche sopra l’Arca santa... Lasciami fare. Per ora
almeno. Poi verrò. Del resto nulla mi vieta di prendere pasti da te, e nulla vieta che tu venga da Me.
Ma fai che si dica: ‘E’ in casa di un suo discepolo’. ”
“E io non lo sono?”
“Tu sei l’amico. E’ più che discepolo per il cuore. E’ una cosa diversa per la malizia. Lasciami fare.
Lazzaro, questa casa è tua... ma non è la tua casa. La bella e ricca casa del figlio di Teofilo. E per i
pedanti ciò ha molto valore.”
“Tu dici così... ma è perché... è per lei, ecco. Io stavo per persuadermi a perdonare... ma se lei
allontana Te, vivaddio, io l’odierò...”
“E mi perderai del tutto. Deponi questo pensiero, subito, o subito mi perdi... Ecco Marta. Pace a te,
mia dolce albergatrice.”
“Oh! Signore!”. Marta in ginocchio piange. Si è calata il velo, che è posato sulla acconciatura del
capo fatta a diadema, per non mostrare il suo pianto agli estranei. Ma a Gesù non pensa di celarlo.
“Perché questo pianto? In verità che tu sciupi queste lacrime! Vi sono tanti motivi per piangere e
per fare delle lacrime un oggetto prezioso. Ma non piangere per questo motivo! Oh! Marta! Sembra
che tu non sappia più chi Io sono! Dell’uomo, lo sai, non ho che la veste. Il cuore è divino e da
divino palpita. Su. Alzati e vieni in casa.... e lei... lasciatela fare. Anche mi venisse a deridere,
lasciatela fare vi dico. Non è lei. E’ colui che la tiene e che la fa strumento di turbamento. Ma qui vi
è Uno che è più forte del suo padrone. Ora la lotta passa da Me a lui, direttamente. Voi pregate,
perdonate, pazientate e credete. E nulla più.”
Entrano nella casetta, che è una piccola casa quadrata circondata da un portico che la allarga.
Dentro vi sono quattro stanze divise da un corridoio in forma di croce. Una scala, esterna come
sempre, conduce all’alto del portichetto, che si muta perciò in terrazzo e dà accesso ad una
vastissima stanza larga quanto la casa, un tempo certo adibita alle provviste, ora tutta sgombra e
pulita, ma assolutamente vuota.
Simone, che è a fianco del vecchio servo che sento chiamare Giuseppe, fa gli onori di casa; dice:
“Qui si potrebbe parlare alla gente, oppure prendere i pasti... Come Tu vuoi.”
“Ora penseremo. Intanto và a dire agli altri che dopo il pasto la gente venga pure. Non deluderò i
buoni di qui.”
“Dove dico di andare?”
“Qui. Tiepido è il giorno. Riparato dai venti è il luogo. Il frutteto spoglio non avrà danno se in esso
viene gente. Qui, dal terrazzo, Io parlerò. Va’ pure.”
Restano soli Lazzaro con Gesù. Marta, nel bisogno di dovere provvedere a tante persone, è tornata
la ‘buona albergatrice’ e coi servi e gli stessi apostoli lavora abbasso a preparare per le mense e per
il riposo.
Gesù passa un braccio intorno alle spalle di Lazzaro e lo conduce fuori dal camerone, a passeggiare
sul terrazzo che circonda la casa, al bel sole che fa tiepido il giorno, e dall’alto osserva il lavoro dei
servi e dei discepoli, e sorride a Marta che va e viene e alza il viso serio ma già meno sconvolto.
Guarda anche il bel panorama che circonda il luogo e nomina con Lazzaro diverse località e diverse
persone, e infine chiede a bruciapelo: “Dunque la morte di Doras fu un bastone agitato nel nido dei
serpi?”
“Oh! Maestro! Mi ha detto Nicodemo che fu di una violenza mai vista, la seduta del Sinedrio!”
“Che ho fatto al Sinedrio per inquietarsi? Doras è morto da sè, alla vista di tutto un popolo, ucciso
dall’ira. Non ho permesso fosse mancato di rispetto al morto. Dunque...”
“Tu hai ragione. Ma essi... Pazzi di paura sono. E... lo sai che hanno detto che occorre trovarti in
peccato per poterti uccidere?”
“Oh! allora sta’ quieto! Avranno da attendere sino all’ora di Dio!”
“Ma Gesù! Sai di chi si parla? Sai di che sono capaci farisei e scribi? Sai che anima abbia Anna?
Sai quale è il suo secondo? Sai... ma che dico? Tu sai! E perciò è inutile che ti dica che il peccato lo
inventeranno per poterti accusare.”
“Lo hanno già trovato. Ho già fatto più che non occorra. Ho parlato a romani, ho parlato a
peccatrici... Sì. A peccatrici, Lazzaro. Una, non mi guardare così spaventato, ...una viene sempre ad
udirmi ed è ospitata in una stalla del tuo fattore, per mia preghiera, perché, per starmi vicina, aveva
preso dimora in uno stabbio da porci...”
Lazzaro è la statua dello stupore. Non si muove più. Guarda Gesù come vedesse uno che per la sua
stranezza è strabiliante.
Gesù lo scuote sorridendo. “Hai visto Mammona?” chiede.
“No... La Misericordia, ho visto. Ma... ma io lo capisco. Essi, quelli del Consiglio, no. E dicono che
è peccato. E’ vero dunque! Io credevo!... Oh! che hai fatto?”
“Il mio dovere, il mio diritto e il mio desiderio: cercare di redimere uno spirito caduto. Tu vedi
perciò che tua sorella non sarà il primo fango che avvicino e sul quale mi chino. E non sarà
l’ultimo. Sul fango Io voglio seminare i fiori e farli sorgere: i fiori del bene.”
“Oh! Dio! Dio mio!... Ma... Oh! mio Maestro, Tu hai ragione. E’ il tuo diritto, è il tuo dovere ed è il
tuo desiderio. Ma le iene non lo comprendono. Loro sono carogne talmente fetide che non sentono,
non possono sentire l’odore dei gigli. E anche dove essi fioriscono, loro, le potenti carogne sentono
odore di peccato; non comprendono che dalla loro sentina esso esce... Io te ne prego. Non sostare
più a lungo in un luogo. Va’, gira, senza dare loro modo di raggiungerti. Sii come un fuoco notturno
danzante sugli steli dei fiori, veloce, imprendibile, sconcertante nel suo andare. Fallo. Non per viltà,
ma per amore del mondo che ha bisogno che Tu viva per essere santificato. La corruzione aumenta.
Contrapponile la santificazione... La corruzione!... Hai visto la nuova cittadina di Betania? E’ una
romana sposata ad un giudeo. Lui è anche osservante. Ma ella è idolatra e, non potendo vivere bene
in Gerusalemme, perché sono sorte dispute coi vicini per le sue bestie, è venuta qui. Piena di
animali per noi immondi è la sua casa e... la più immonda è lei perché vive deridendo noi e con
licenze che... Io non posso criticare perché... Ma dico che mentre in casa mia non si mette piede
perché c’è Maria che pesa col suo peccato su tutta la famiglia, in casa di quella donna ci vanno
pure. Ma lei è in grazia di Ponzio Pilato e vive senza il marito. Lui a Gerusalemme. Lei qui. E così
si finge, lui e loro, di non profanarsi col venire e di non constatare che si profanano. Ipocrisia! Fino
al collo nell’ipocrisia si vive! E fra poco ci si affogherà. Il Sabato è il giorno del festino... E sono
anche del Consiglio! Un figlio di Anna è il più assiduo.”
“L’ho vista. Sì. E lasciala fare. E lasciali fare. Quando un medico prepara un farmaco e mesce le
sostanze, e l’acqua pare si corrompa perché egli le sbatte e l’acqua si fa torbida. Ma poi le parti
morte si depositano, l’acqua torna limpida pur essendo satura dei succhi di quelle sostanze salutari.
Così ora. Tutto si mescola ed Io lavoro con tutti. Poi le parti morte si depositeranno e saranno
gettate, e le altre vive rimarranno attive nel gran mare del popolo di Gesù Cristo. Scendiamo. Ci
chiamano.”
... e la visione riprende mentre Gesù torna a salire sul terrazzo per parlare alla gente di Betania e dei
posti vicini, accorsa a sentire.
“Pace a voi.
Quand’anche Io tacessi, i venti di Dio porterebbero a voi le parole del mio amore e dell’altrui
livore. So che siete agitati perché non vi è ignoto il perché Io sono fra voi. Ma non fatene altro che
una agitazione di gioia e con Me benedite il Signore che usa il male per dare una gioia ai suoi figli,
riconducendo sotto il pungolo del male il suo Agnello fra gli agnelli per metterlo in salvo dai lupi.
Vedete come è buono il Signore. Nel luogo dove ero, sono arrivati, come acque ad un mare, un
fiume ed un rivo. Un fiume di amorosa dolcezza, un rivo di bruciante amarezza. Il primo era
l’amore di voi, da Lazzaro e Marta all’ultimo del paese, il rivo era l’ingiusto astio di chi, non
potendo venire al Bene che lo invita, accusa il Bene di essere un Delitto. E il fiume diceva: ‘Torna,
torna fra noi. Le nostre onde ti circondino, ti isolino, ti difendano. Ti diano tutto quanto ti nega il
mondo’. Il rivo malvagio fischiava minacce e voleva uccidere col suo tossico. Ma che è un rivo
rispetto a un fiume, e che rispetto ad un mare? Nulla. E nulla è divenuto il tossico del rio perché il
fiume del vostro amore lo ha soverchiato, e nel mare del mio amore non si è immessa che la
dolcezza del vostro amore. Anzi, bene ha fatto. Mi ha riportato a voi. Benediciamone il Signore
altissimo.”
La voce di Gesù si espande potente per l’aria calma e silenziosa. Gesù, tutto bello nel sole, gestisce
e sorride calmo dall’alto della terrazza. In basso la gente lo ascolta beata: una fiorita di volti levati
che sorridono all’armonia della sua voce. Lazzaro è vicino a Gesù, e vi è Simone e Giovanni. Gli
altri sono sparsi fra la folla. Sale anche Marta e si siede per terra ai piedi di Gesù, guardando verso
la sua casa che appare oltre il frutteto.
“Il mondo è dei cattivi. Il Paradiso è dei buoni. Questa è la verità e la promessa. E su questa si
appoggi la vostra sicura forza. Il mondo passa. Il Paradiso non passa. Se essendo buono uno se lo
conquista, egli in eterno lo gode. E allora? Perché turbarsi di ciò che fanno i cattivi? Ricordate i
lamenti di Giobbe? Sono gli eterni lamenti di chi è buono e oppresso; perché la carne geme, ma
gemere non dovrebbe, e più è conculcata più si dovrebbero alzare le ali dell’anima nel giubilo del
Signore.
Credete voi che siano felici quelli che paiono felici perché col modo lecito e più con l’illecito hanno
pingui granai e colmi i tini, e traboccano d’olio i loro otri? No. Sentono il sapore del sangue e delle
lacrime altrui in ogni loro cibo e il giaciglio pare loro irto di pruni, tanto su esso sentono urlanti i
rimorsi. Depredano i poveri e spogliano gli orfani, derubano il prossimo per fare ammasso,
opprimono chi è da meno di loro in potenza e in perversità. Non importa. Lasciateli fare. Il loro
regno è di questo mondo. E alla loro morte che resta? Nulla. Se non si vuole chiamare tesoro il
cumulo di colpe che seco portano e col quale a Dio si presentano. Lasciateli fare. Sono i figli delle
tenebre, i ribelli alla Luce e non possono seguire i luminosi sentieri di essa. Quando Dio fa brillare
la stella del mattino, essi la chiamano ombra di morte e come tale la credono contaminata e
preferiscono camminare al bagliore sudicio del loro oro e del loro odio, che fiammeggia soltanto
perché le cose d’inferno brillano del fosforo degli eterni laghi di perdizione...”
“Mia sorella, Gesù... oh!” Lazzaro scorge Maria che scivola dietro una siepe del frutteto di Lazzaro
per giungere il più vicino possibile. Va curva. Ma la sua testa bionda brilla come oro contro il bosso
oscuro.
Marta fa per alzarsi. Ma Gesù le preme una mano sulla testa e deve rimanere dove è. Gesù eleva
ancora di più la sua voce.
“Che dire di questi infelici? Dio ha dato loro tempo di fare penitenza ed essi se ne abusano per
peccare. Ma non li perde di vista Iddio, anche se pare che lo faccia. E il momento viene in cui, o
perché, come fulmine che penetra anche nel masso, l’amore di Dio squarcia il loro duro cuore, o
perché la somma dei delitti porta l’onda del loro fango fin nelle loro fauci e nelle loro nari - ed essi
sentono, oh! che finalmente sentono!, lo schifo di quel sapore e di quel fetore che è ripugnanza agli
altri e che fa colmo il loro cuore - viene il momento che ne hanno nausea e sorge un movimento di
desiderio al bene.
L’anima allora grida: ‘E chi mi darà di ritornare come nei tempi di prima, quando ero in amicizia a
Dio? Quando la sua luce splendeva nel mio cuore e al suo raggio io camminavo? Quando, davanti
alla mia giustizia taceva ammirato il mondo, e chi mi vedeva mi diceva beato? Il mondo beveva il
mio sorriso e le mie parole erano accolte come parole d’angelo e balzava d’orgoglio il cuore nel
petto dei miei famigliari. Ed ora che sono? Derisione ai giovani, orrore agli anziani, io faccio il
soggetto delle loro canzoni, e lo sputo del loro disprezzo mi riga il volto’. Sì, così parla in certe ore
l’anima dei peccatori, dei veri Giobbe, perché non vi è miseria più grande di questa, di uno che ha
perduto in eterno l’amicizia di Dio e il suo Regno. E devono fare pietà. Solo pietà.
Sono povere anime che hanno, per ozio o per sventatezza, perduto l’Eterno Sposo. ‘Di notte, nel
mio letto, cercai l’amor dell’anima mia e non lo trovai’. Infatti nelle tenebre non si può distinguere
lo sposo, e l’anima pungolata dall’amore, irriflessiva perché fasciata dalla notte spirituale, cerca e
vuol trovare un refrigerio al suo tormento. Crede trovarlo con qualunque amore. No. Uno solo è
l’amore dell’anima: è Dio. Vanno, queste anime che l’amore di Dio pungola, cercando amore.
Basterebbe volessero in loro la luce, e amore avrebbero a loro consorte. Vanno come malate,
cercando a tentoni amore, e trovano tutti gli amori, tutte le sozze cose che l’uomo ha così battezzate,
ma non trovano l’amore; perché l’amore è Dio e non l’oro, il senso, il potere.
Povere, povere anime! Se, meno oziose, fossero sorte al primo invito dello Sposo eterno, a Dio che
dice: ‘Seguimi’, a Dio che dice: ‘Aprimi’, non sarebbero giunte ad aprire l’uscio, coll’impeto del
loro amore destato, quando lo Sposo deluso è già lontano. Scomparso... E non avrebbero profanato
quell’impeto santo di un bisogno di amore, in una fanghiglia che fa schifo all’animale immondo
tanto è inutile e cosparsa di triti triboli, che non erano fiori ma solo aculei che straziano e non
coronano. E non avrebbero conosciuto gli scherni delle guardie di ronda, di tutto il mondo che,
come Dio, ma per opposti motivi, non perde di vista il peccatore e lo posteggia per deriderlo e per
criticarlo. Povere anime picchiate, spogliate, ferite da tutto il mondo! Solo Dio non si unisce a
questa lapidazione di uno scherno impietoso. Ma fa cadere le sue lacrime per medicare le ferite e
rivestire di diamantina veste la sua creatura. Sempre sua creatura... Solo Dio... e i figli di Dio col
Padre.
Benediciamo il Signore. Egli ha voluto che per i peccatori Io qui avessi a tornare per dirvi:
‘Perdonate. Sempre perdonate. Fate di ogni male un bene. Fate di ogni offesa una grazia’. Non vi
dico ‘fate’ solo. Vi dico: ripetete il mio gesto. Io amo e benedico i nemici perché per essi ho potuto
tornare a voi, amici miei.
La pace sia con tutti voi.”
La gente agita veli e ramaglie verso Gesù, e poi si allontana piano piano.
“L’avranno vista quella impudente?”
“No, Lazzaro. Ella era dietro la siepe e ben nascosta. Noi potevamo vederla perché qui in alto. Gli
altri no.”
“Ci aveva promesso di...”
“Perché non doveva venire? Non è una figlia di Abramo ella pure? Voglio da voi, fratelli, e da voi,
discepoli, giuramento di non farle capire nulla. Lasciatela fare. Mi deriderà? Lasciatela fare.
Piangerà? Lasciatela fare. Vorrà rimanere? Lasciatela fare. Vorrà fuggire? Lasciatela fare. E’ il
segreto del Redentore e dei redentori: aver pazienza, bontà, costanza e preghiera. Nulla più. Ogni
gesto è di troppo presso certe malattie... Addio, amici. Io resto a pregare. Voi andate ognuno al suo
compito. E Dio vi accompagni.”
E tutto ha fine.
136. Alla festa delle Encenie, in casa di Lazzaro, viene ricordata la nascita
di Gesù.
22 marzo 1945.
La già splendida casa di Lazzaro questa sera è splendidissima. Sembra che prenda fuoco per il
numero dei lumi che vi ardono, e la luce si rovescia al di fuori, in questo primo principio di notte,
traboccando dalle sale dell’atrio e da questo nel portico, allungandosi a vestire d’oro le ghiaie dei
sentieri, le erbe ed i cespugli delle aiuole, lottando, e vincendo nei primi metri, col chiaro della luna
col suo giallo e carnale splendore, mentre più oltre tutto diviene angelico per la veste di puro
argento che la luna getta su tutte le cose.
Anche il silenzio che fascia il magnifico giardino, in cui ha voce solo l’arpeggio dello zampillo
della peschiera, pare aumentare la raccolta e paradisiaca pace della notte lunare, mentre presso la
casa voci allegre e numerose, insieme a un gaio rumore di mobili smossi e stoviglie portate sulle
mense, ricordano che l’uomo è uomo e non ancora spirito.
Marta va svelta nella sua ampia veste splendida e pudica di un color viola rosso, e sembra un fiore,
una bella campanula o una farfalla che si agiti contro le pareti purpuree dell’atrio o quelle a minuti
disegni che paiono un tappeto, della sala del convito.
Gesù, invece, passeggia solo e assorto presso la peschiera, e pare venga assorbito alternativamente
dall’ombra scura che proietta un alto alloro, un vero albero gigante, o dalla fosforica luce lunare che
si fa sempre più netta. Così viva che lo zampillo della vasca pare un piumetto d’argento che si
frantumi poi in scaglie di brillanti, che ricadono a perdersi sulla lastra quieta, tutta argento, della
vasca. Gesù guarda e ascolta le parole dell’acqua nella notte. Esse acquistano un suono così
musicale che se ne desta un usignolo nell’alloro folto e risponde all’arpeggio lento delle gocce con
un acuto di flauto, e poi sosta, come per prendere nota e mettersi sull’accordo dell’acqua, e infine
attacca, da re del canto, il suo perfetto, variato, morbido inno di gioia.
Gesù non cammina neppure più per non turbare col fruscio dei passi la serena gioia dell’usignuolo,
e credo anche sua, perché sorride stando a capo chino, di un sorriso di veramente serena gioia.
Quando l’usignolo, dopo una nota purissima tenuta e modulata per tono ascendente, che non so
come possa una così piccola gola sostenerla, cessa di cantare, Gesù esclama: “Te benedetto, Padre
santo, per questa perfezione e per la gioia che mi hai dato!” e riprende la sua lenta passeggiata piena
di chissà quali profondità di meditazione.
Lo raggiunge Simone: “Maestro, Lazzaro ti prega di venire. Tutto è pronto.”
“Andiamo. E così cada anche l’ultimo dubbio che Io li ho meno cari per causa di Maria.”
“Quanto pianto, Maestro! Solo un tuo segreto miracolo ha potuto medicare quel dolore. Ma non sai
che Lazzaro fu per fuggire dopo che ella, al loro ritorno, uscì di casa dicendo che lasciava i sepolcri
per la gioia e... altre insolenze? Io e Marta lo abbiamo scongiurato a non farlo, anche perché... non
si sa mai la reazione di un cuore. L’avesse trovata, io credo che l’avrebbe punita una volta per tutte.
Avrebbero voluto almeno il silenzio, da lei, su Te...”
“E l’immediato miracolo di Me su lei. E l’avrei potuto fare. Ma non voglio una risurrezione forzata
nei cuori. Forzerò la morte e mi renderà le sue prede. Perché Io sono il Padrone della morte e della
vita. Ma sugli spiriti, che non sono materia che senza soffio è priva di vita, ma sono immortali
essenze capaci di risorgere per volontà propria, Io non forzo la risurrezione. Do il primo appello e il
primo aiuto, come uno che aprisse un sepolcro dove uno fu chiuso ma vivo e dove morrebbe se a
lungo rimanesse in quelle tenebre asfissianti, e lascio entrare aria e luce... poi attendo. Se lo spirito è
voglioso di uscirne, esce. Se non vuole così, si infosca ancor più e sprofonda. Ma se esce!... Oh! se
esce, in verità ti dico che nessuno sarà più grande del risorto di spirito. Solo l’Innocenza assoluta è
più grande di questo morto che torna vivo per forza di proprio amore e per gioia di Dio.. I miei più
grandi trionfi!
Guarda il cielo, Simone. Tu vedi in esso stelle e stelline, e pianeti di diverse grandezze. Tutti hanno
vita e splendore per Dio che li ha fatti e per il sole che li illumina, ma non tutti sono ugualmente
splendidi e grandi. Anche nel mio cielo sarà così. Tutti i redenti avranno vita per Me e splendore per
la mia luce. Ma non tutti saranno ugualmente splendidi e grandi. Taluni saranno una semplice
polvere d’astri, come quella che fa lattea Galatea, e saranno quelli, innumerabili, che dal Cristo
avranno avuto, meglio, avranno aspirato solo quel minimo indispensabile per non essere dei
dannati, e soltanto per l’infinita misericordia di Dio, dopo lungo purgatorio, verranno al Cielo. Altri
saranno più fulgidi e formati: i giusti che avranno unito la loro volontà - nota: volontà, non buona
volontà - al volere del Cristo e avranno ubbidito, per non dannarsi, alle mie parole. Poi vi saranno i
pianeti, le buone volontà, oh! splendidissimi! Dalla luce di puro diamante o di gemmeo splendore
dai diversi colori - rossi di rubino, violacei d’ametista, biondi di topazio, candidi di perle - gli
innamorati fino alla morte per amore, i penitenti per amore, gli operanti per amore, gli immacolati
per amore.
E ve ne saranno alcuni, di questi pianeti, e saranno le mie glorie di Redentore, che avranno in loro
bagliori di rubino, di ametista, di topazio e di perla, perché tutto saranno per amore. Eroici per
giungere a perdonarsi di non aver saputo amare prima, penitenti per saturasi di espiazione come
Ester prima di presentarsi ad Assuero si saturò di aromi, instancabili per fare in poco, nel poco che
loro resta, quanto non fecero negli anni che spersero nel peccato, puri fino all’eroicità per
dimenticare, anche nelle viscere oltre che nell’anima e nel pensiero, che vi è un senso. Saranno
quelli che attireranno per il loro multiforme splendore gli occhi dei credenti, dei puri, dei penitenti,
dei martiri, degli eroi, degli asceti, dei peccatori, e per ognuna di queste categorie il loro splendore
sarà parola, risposta, invito, assicurazione...
Ma andiamo. Noi parliamo e là ci attendono. ”
“E’ che quando Tu parli si dimentica d’essere vivi. Posso dire tutto questo a Lazzaro? Mi pare che
in esso ci sia una promessa...”
“Lo devi dire. La parola dell’amico può posarsi sulla loro ferita e non arrossiranno di essere
arrossiti davanti a Me... Ti abbiamo fatto attendere, Marta, ma parlavo a Simone di stelle e ci siamo
dimenticati di queste luci. Veramente la tua casa è un firmamento questa sera...”
“Non solo per noi e per i servi, ma anche per Te e per gli ospiti tuoi amici abbiamo acceso. Grazie
di essere venuto per l’ultima sera. Ora la festa è proprio la Purificazione...” Marta vorrebbe dire di
più, ma sente salire il pianto e tace.
“Pace a tutti voi” dice Gesù entrando nell’atrio sfolgorante di decine di lumi di argento, tutti accesi
e posti per ogni dove.
Lazzaro si fa avanti sorridente: “Pace e benedizione a Te, Maestro, e molti anni di santa felicità.” Si
baciano. “Mi hanno detto certi nostri amici che Tu sei nato mentre Betlemme ardeva per una
lontana Encenie. Di averti questa sera noi ed essi giubiliamo. Non chiedi chi sono?”
“Altri amici non ho che non siano i discepoli e i cari di Betania, fuor dei pastori. Sono dunque essi.
Venuti? A che?”
“Ad adorarti, Messia nostro. Lo sapemmo da Gionata, e qui siamo. Coi nostri armenti, ora nelle
stalle di Lazzaro, e coi nostri cuori ora e sempre sotto i tuoi piedi santi.”
Isacco ha parlato per Elia, Levi, Giuseppe e Gionata, che tutti sono prostrati ai suoi piedi: Gionata
nella soffice veste dell’intendente beneamato dal padrone; Isacco nella sua di instancabile
pellegrino, di grossa lana marrone scuro, impermeabile all’acqua; Levi, Giuseppe, Elia in vesti date
da Lazzaro, fresche, monde, per poter assidersi alle mense senza portarvi la povera veste stracciata e
sitente di mandra dei pastori.
“Per questo mi avete mandato nel giardino? Dio vi benedica tutti! Non manca che la Madre alla mia
felicità. Alzatevi, alzatevi. E’ il mio primo Natale che Io faccio senza la Madre. Ma la vostra
presenza mi solleva dalla tristezza, dalla nostalgia del suo bacio.”
Entrano tutti nella stanza delle mense. Qui i lumi sono per la maggior parte in oro e il metallo si
avviva della luce delle fiamme, e le fiamme sembrano più splendide per il riflesso che dà loro tanto
oro. La tavola è stata messa ad U per dare posto a tanta gente e poterla servire senza ostacolare le
operazioni degli scalchi e dei servi. Oltre a Lazzaro vi sono gli apostoli, i pastori, Massimino, il
vecchio servo di Simone.
Marta sorveglia la disposizione dei posti e vorrebbe stare in piedi. Ma Gesù si impone: “Oggi non
sei l’albergatrice: sei la sorella e ti siedi come mi fossi di sangue. Siamo una famiglia. Cadano le
regole per dare posto all’amore. Qui, al mio lato, e presso te Giovanni. Io con Lazzaro. Ma datemi
un lume. Fra Me e Marta vegli una luce... una fiamma, per le assenti e pure presenti: per le amate, le
attese, per le donne care e lontane. Tutte. La fiamma ha parole di luce. L’amore ha parole di
fiamma, e vanno lontano queste parole, sull’onda incorporea degli spiriti che si trovano sempre,
oltre monti e mari, e portano baci e benedizioni... Tutto portano. Non è forse vero?”
Marta posa la lampada dove Gesù vuole, ad un posto che resta vuoto... e, poiché Marta capisce, si
curva a baciare la mano di Gesù, che poi le si posa sulla testa bruna, benedicente e riconfortante.
Il pasto ha inizio. Un poco confusi sul principio i tre pastori - mentre Isacco è già più sicuro e
Gionata non mostra disagio - ma si rinfrancano sempre di più, piùil pasto procede, e dopo aver
taciuto parlano. E di che devono parlare se non del loro ricordo?
“Ci eravamo ritirati da poco” dice Levi. “Ed io avevo tanto freddo che mi rifugiai fra le pecore,
piangendo per il desiderio della mamma...”
“Io invece pensavo alla giovane Madre che avevo incontrata poco prima e mi dicevo: ‘Avrà trovato
posto?’. Ad averlo saputo che era in una stalla! Nello stabbio l’avrei condotta!... Ma era così gentile
- un giglio delle nostre valli - che mi parve offesa dirle: ‘Vieni fra noi’. Ma pensavo a Lei... e
sentivo ancora più il freddo pensando a quanto la doveva far soffrire. Ti ricordi che luce quella
sera? E la tua paura?”
“Sì,... ma poi... l’angelo... Oh!...” Levi, un poco trasognato, sorride al suo ricordo.
“Oh! sentite un poco, amici. Noi non sappiamo che poco e male. Abbiamo sentito parlare di angeli,
di greppie, di greggi, di Betlemme... E noi sappiamo che Lui è galileo e falegname.... Non è giusto
che non si sappia noi! Al Maestro l’ho chiesto all’Acqua Speciosa... ma poi si parlò d’altro. Costui,
che sa, non mi ha detto nulla... Sì, parlo a te, Giovanni di Zebedeo. Bel rispetto che hai per
l’anziano! Tieni tutto per te e mi lasci crescere da discepolo zuccone. Non lo sono già di mio
abbastanza?”
Ridono per lo sdegno del buon Pietro. Ma lui si volge al suo Maestro: “Ridono. Ma ho ragione” e
poi a Bartolomeo, Filippo, Matteo, Tommaso, Giacomo e Andrea: “Avanti, ditelo anche voi,
protestate con me! Perché non sappiamo nulla noi?”
“Veramente...Dove eravate quando moriva Gioia? e dove sul Libano?”
“Hai ragione. Ma per Giona, io almeno, l’ho creduto delirio di morente, e sul Libano... ero stanco e
assonnato. Perdonami, Maestro, ma è la verità.”
“E sarà la verità di tanti! Il mondo degli evangelizzati sovente risponderà al Giudice eterno, per
scusare la sua ignoranza nonostante l’insegnamento dei miei apostoli, risponderà ciò che tu dici:
‘Lo credetti delirio... Ero stanco ed assonnato’. E sovente non ammetterà la verità perché la
scambierà per delirio, e non ricorderà la verità perché sarà stanco ed assonnato per troppe cose
inutili, caduche, peccaminose anche. Una solo cosa è necessaria: conoscere Iddio.”
“Ebbene, ora che ci hai detto quello che ci sta bene, raccontaci le cose come sono state... Al tuo
Pietro. Poi le dico alla gente. Se no.. te l’ho detto: che posso dire? Il passato non lo so, le profezie e
il Libro non lo so spiegare, il futuro... oh! povero me! E che evangelizzo, allora?”
“Sì, Maestro. Che si sappia anche noi... Sappiamo che sei il Messia e lo crediamo. Ma, almeno per
mio conto, ho dovuto faticare ad ammettere che da Nazaret potesse venire del buono... Perché non
mi hai subito reso noto il tuo passato?” dice Bartolomeo.
“Per provare la tua fede e la luminosità del tuo spirito. Ma ora vi parlerò, anzi, vi parleremo del mio
passato. Io dirò ciò che anche i pastori non sanno, ed essi di ciò che videro. E conoscerete l’alba di
Cristo. Udite.
Essendo venuto il tempo della Grazia, Dio si preparò la sua Vergine. Voi bene potete comprendere
come non potesse risiedere Dio là dove Satana aveva messo un incancellabile segno. Perciò la
Potenza operò per fare il suo futuro tabernacolo senza macchia. E da due giusti, in vecchiezza e
contro le regole comuni del procreare fu concepita Quella su cui non è macchia veruna.
Chi depose quell’anima nella carne embrionale che rinverdiva il vecchio seno di Anna di Aronne, la
nonna mia? Tu, Levi, hai visto l’Arcangelo di tutti gli annunzi. Puoi dire: è quello. Perché la ‘Forza
di Dio’ fu sempre il vittorioso che portò lo squillo di gioia ai santi e ai Profeti, l’indomabile sul
quale la pur grande forza di Satana si spezzò come stelo di musco disseccato, l’intelligente che
stornò con la buona e lucida intelligenza le insidie dell’altro intelligente ma malvagio, rendendo con
prontezza eseguito il comando di Dio.
In un grido di giubilo egli, l’Annunziatore che già conosceva le vie della terra per essere sceso a
parlare ai Profeti, raccolse dal Fuoco divino la immacolata scintilla che era l’anima della eterna
Fanciulla e, serrandola in un cerchio di fiamme angeliche, quelle del suo spirituale amore, la portò
sulla terra, in una casa, in un seno. E il mondo, da quel momento, poté guardare un punto della terra
senza averne disgusto. E nacque una creaturina: l’Amata di Dio e degli angeli, la Consacrata a Dio,
la santamente Amata dai parenti.
‘E Abele dette a Dio le primizie del suo gregge’. Oh! che in verità i nonni dell’eterno Abele seppero
dare a Dio la primizia del loro bene, tutto il loro bene, morendo per avere dato questo bene a chi lo
aveva loro dato!
Mia Madre fu la Fanciulla del Tempio dai tre ai quindici anni e affrettò la venuta del Cristo con la
forza del suo amare. Vergine avanti il suo concepimento, vergine nelle oscurità d’un seno, vergine
nei suoi vagiti, vergine nei suoi primi passi, la Vergine fu di Dio, di Dio solo, e proclamò i suo
diritto, superiore al decreto della Legge di Israele, ottenendo dallo sposo a Lei datole da Dio di
rimanere inviolata dopo le nozze.
Giuseppe di Nazaret era un giusto. Solo a lui poteva essere dato il Giglio di Dio e solo lui lo ebbe.
E, angelo nell’anima e nella carne, egli amò come amarono gli angeli di Dio. L’abisso di questo
forte amore, che ebbe tutte le tenerezze coniugali senza sorpassare la barriera di celeste fuoco oltre
la quale era l’Arca del Signore, sarà compreso solo da pochi sulla terra. E’ la testimonianza di ciò
che può un giusto, sol che voglia. Ciò che può, perché anche l’anima, ancor lesa dalla macchia
d’origine, ha forze potenti di elevazione, e ricordi e ritorni alla sua dignità di figlia di Dio, e
divinamente opera per amore del Padre.
Ancora era Maria nella sua casa, in attesa della unione con lo sposo, quando Gabriele, l’angelo dei
divini annunzi, tornò sulla terra e chiese alla Vergine d’essere Madre. Già aveva promesso al
sacerdote Zaccaria il Precursore e non era stato creduto. Ma la Vergine credette che ciò potesse
essere per volere di Dio e, sublime nella sua ignoranza, chiese solo: ‘Come può ciò avvenire?’
E l’Angelo le rispose: ‘Tu sei la Piena di Grazia, o Maria. Non temere dunque, ché grazia hai
trovato presso il Signore anche per quanto è la tua verginità. Tu concepirai e partorirai un Figlio al
quale metterai nome Gesù, perché Egli è il Salvatore promesso a Giacobbe e a tutti i Patriarchi e
Profeti d’Israele. Egli sarà grande e Figlio vero dell’Altissimo, perché per opera di Spirito Santo
sarà concepito. A Lui il Padre darà il trono di Davide, come è predetto, e regnerà sulla casa di
Giacobbe sino alla fine dei secoli, ma il suo vero Regno non avrà mai fine. Ora il Padre, il Figlio e
lo Spirito Santo attendono la tua ubbidienza per compiere la promessa. Già è il Precursore del
Cristo nel seno di Elisabetta, tua cugina, e se tu consenti lo Spirito Santo scenderà su te, e santo sarà
Colui che da te nascerà e porterà il suo vero nome di Figlio di Dio’.
E allora Maria rispose: ‘Ecco l’Ancella del Signore. Si faccia di me secondo la sua parola.’ E lo
Spirito di Dio scese sulla sua Sposa e nel primo abbraccio le impartì le sue luci, che sopraperfezionarono le virtù di silenzio, umiltà, prudenza e carità di cui Ella era pena, ed Ella fu tutt’una
con la Sapienza, e non più fu scindibile dalla Carità, e l’Ubbidiente e Casta si perse nell’oceano
della Ubbidienza che Io sono, e conobbe la gioia d’essere Madre senza conoscere il turbamento
d’essere sfiorata. Fu la neve che si concentra in fiore e si offre a Dio così...”
“Ma il marito?” chiede sbalordito Pietro?
“Il sigillo di Dio chiuse le labbra di Maria. E Giuseppe non seppe del prodigio che quando, di
ritorno dalla casa di Zaccaria parente, Maria apparve madre agli occhi dello sposo.
“E che fece lui?”
“Soffrì... e soffrì Maria...”
“Se ero io...”
“Giuseppe era un santo, Simone di Giona. Dio sa dove mettere i suoi doni... Acerbamente soffrì e
decise di abbandonarla, addossandosi taccia di ingiusto. Ma l’Angelo scese a dirgli: ‘Non temere di
prendere con te Maria tua sposa. Perché quello che in Lei si forma è il Figlio di Dio e per opera di
Dio Ella è Madre. E quando il Figlio sarà nato, gli metterai nome Gesù, perché Egli è il Salvatore’.
“Era dotto Giuseppe?” chiede Bartolomeo.
“Come un discendente di Davide.”
“Allora avrà avuto subita luce nel ricordare il Profeta: ‘Ecco una vergine concepirà...’
“Sì. La ebbe. Alla prova successe il gaudio...”
“Se ero io...” torna a dire Simon Pietro “non succedeva, perché prima avrei... Oh! Signore, come è
stato bene che non fossi io! L’avrei spezzata come uno stelo senza darle tempo di parlare. E dopo,
se assassino non fossi stato, avrei avuto paura di Lei... La paura di tutto Israele, da secoli, per il
Tabernacolo...”
“Anche Mosè ebbe paura di Dio, e pure fu soccorso e stette con Lui sul monte... Giuseppe andò
dunque nella casa santa della Sposa e provvide ai bisogni della Vergine e del Nascituro. E venendo
per tutti il tempo dell’editto, con Maria andò nella terra dei padri, e Betlemme li respinse perché il
cuore degli uomini è chiuso alla carità. Ora parlate voi.”
“Io incontrai verso sera una donna giovane e sorridente a cavallo d’un somarello. Un uomo era con
lei. Mi chiese del latte e informazioni. Ed io dissi ciò che sapevo... Poi venne la notte... e una grande
luce... e uscimmo... e Levi vide un angelo presso lo stabbio. E l’Angelo disse: ‘E’ nato il Salvatore’.
Era la notte piena. E pieno di stelle era il cielo. Ma la luce si perdeva in quella dell’Angelo e di
mille e mille angeli... (Elia piange ancora nel ricordare). E ci disse l’Angelo: ‘Andate ad adorarlo.
E’ in una stalla, in una greppia, fra due animali... Troverete un piccolo Bambino avvolto in poveri
panni...’ Oh! come sfavillava l’angelo dicendo queste parole!... Ma ti ricordi, Levi, le sue ali come
mandavano fiamme quando, dopo essersi inchinato per nominare l Salvatore, disse: ‘...che è il
Cristo Signore’? ”
“Oh! se ricordo! E le voci dei mille? Oh!... ‘Gloria a Dio nei Cieli altissimi e pace in terra agli
uomini di buona volontà!’ Quella musica è qui, è qui, e mi porta in Cielo ogni volta che la sento” e
Levi alza un viso estatico su cui luce il pianto.
“E andammo” dice Isacco. “Carichi come bestie da soma, lieti come per nozze, e poi... non seppimo
più far nulla quando udimmo la tua piccola voce e quella della Madre, e spingemmo Levi, fanciullo,
perché guardasse. Noi ci sentivamo lebbrosi presso tanto candore... E Levi ascoltava, e rideva
piangendo, e ripeteva, cosi con voce d’agnello che la pecora di Elia ebbe un belato. E Giuseppe
venne all’apertura e ci fece entrare... Oh! come eri piccino e bello! Un boccio di rosa carnicina sul
ruvido fieno... e piangevi... Poi ridesti per il tepore della pelle di pecora che ti offrimmo e per il latte
che ti mungemmo... Il tuo primo pasto... Oh!.. e poi... e poi ti baciammo... Sapevi di mandorla e
gelsomino...e noi non potevamo più lasciarti...”
“Non mi avete lasciato, infatti.”
“E’ vero” dice Gionata. “Il tuo viso restò in noi e la tua voce e il tuo sorriso... Crescevi... eri bello
sempre più... Il mondo dei buoni veniva a bearsi di Te... e quello dei malvagi non ti vedeva...
Anna... i tuoi primi passi... i tre Sapienti... la stella...”
“Oh! quella notte che luce! Il mondo pareva ardere con mille luci. Invece, la sera della tua venuta,
la luce era fissa e di perla... Ora era la danza degli astri, allora l’adorazione degli astri. E noi da
un’altura vedemmo passare la carovana e le andammo dietro per vedere se si fermava... E il giorno
dopo tutta Betlemme vide l’adorazione dei Sapienti. E poi... Oh! non diciamo l’orrore!... Non lo
diciamo!... ”. Elia sbiadisce nel ricordare.
“Sì, non lo dire. Silenzio sull’odio... ”
“Il più grande dolore era non avere più Te e non sapere di Te. Neppure Zaccaria ne sapeva. Ultima
nostra speranza... Più niente.”
“Perché, Signore, non hai confortato i tuoi servi?”
“Chiedi il perché, Filippo? Perché era prudenza farlo. Vedi che anche Zaccaria, la cui formazione
spirituale si completò dopo quell’ora, non volle sollevare il velo. Zaccaria...”
“Ma ci hai detto che fu lui ad occuparsi dei pastori. E allora perché lui non disse, a loro prima, a Te
poi, che gli uni cercavano l’Altro?”
“Zaccaria era un giusto tutto uomo. Divenne meno uomo e più giusto nei nove mesi di mutismo, si
perfezionò nei mesi successivi alla nascita di Giovanni, ma divenne uno spirito giusto quando sulla
sua superbia di uomo cadde la smentita di Dio. Aveva detto: ‘Io, sacerdote di Dio, dico che a
Betlemme deve vivere il Salvatore’ e Dio gli aveva mostrato come il giudizio, anche sacerdotale, se
non è illuminato da Dio è un povero giudizio. Sotto l’orrore del pensiero: ‘Potevo fare uccidere
Gesù per la mia parola’ Zaccaria divenne il giusto, che ora riposa attendendo il Paradiso. E giustizia
gli insegnò prudenza e carità. Carità verso i pastori, prudenza verso il mondo al quale doveva essere
sconosciuto il Cristo. Quando, di ritorno in patria, ci dirigemmo a Nazaret, per la stessa prudenza
che ormai guidava Zaccaria, evitammo Ebron e Betlemme e costeggiando il mare tornammo in
Galilea. Neppure il giorno della mia maggiore età fu possibile vedere Zaccaria, partito il giorno
avanti col suo fanciullo per la stessa cerimonia.
Dio vegliava, Dio provava, Dio provvedeva, Dio perfezionava. Avere Dio è anche avere sforzo, non
solo avere gioia. E sforzo ebbero il padre mio d’amore, e la Madre mia d’anima e di carne. Anche il
lecito fu vietato, perché il mistero fasciasse d’ombra il Messia fanciullo.
E questo spieghi, a molti che non comprendono, la ragione duplice dell’affanno quando fui smarrito
per tre giorni. Amore di madre, amore di padre per il fanciullo smarrito, tremore ci custodi per il
Messia che poteva essere disvelato anzi tempo, terrore di avere mal tutelato la Salute del mondo e il
grande dono di Dio. Questo il motivo dell’insolito grido: ‘Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo
padre ed io, angustiati, ti cercavamo!’. Tuo padre, tua madre.... Il velo gettato sul fulgore del divino
Incarnato. E la rassicurante risposta: ‘Perché mi cercavate? Non sapevate che Io devo essere attivo
nelle cose del Padre mio?’. Risposta raccolta e compresa dalla Piena di Grazia per quanto essa vale,
ossia: ‘Non abbiate tema. Piccolo sono, un fanciullo. Ma se cresco, secondo umanità, in satura,
sapienza e grazia agli occhi degli uomini, Io sono il Perfetto in quanto sono il Figlio del Padre e
perciò so regolarmi con perfezione, servendo il Padre col farne splendere la luce, servendo Dio col
conservagli il Salvatore’ . E così feci fino a or è un anno.
Ora il tempo è giunto. Si alzano i veli. E il Figlio di Giuseppe si mostra nella sua natura: il Messia
della Buona Novella, il Salvatore, il Redentore e il Re del secolo futuro.”
“E non vedesti mai più Giovanni?”
“Solo al Giordano, Giovanni mio, quando volli il Battesimo.”
“Sicché Tu non sapevi che Zaccaria aveva fatto del bene a questi?”
“Ti ho detto: dopo il bagno di sangue innocente i giusti divennero santi, gli uomini divennero giusti.
Solo i demoni rimasero quel che erano. Zaccaria imparò a santificarsi con l’umiltà, la carità, la
prudenza, il silenzio.”
“Io voglio ricordare tutto questo. Ma lo potrò?” dice Pietro.
“Sta’ buono, Simone. Domani mi faccio ripetere tutto dai pastori. Con pace. Nel frutteto. Uno, due,
tre volte se occorre. Io ho buona memoria, esercitata al mio banco, e ricorderò per tutti. Quando
vorrai ti potrò ripetere tutto. Non tenevo neppure le note a Cafarnao, eppure...” dice Matteo.
“Oh! non ti sbagliavi di un didramma!... Me lo ricordo... Bene!... Te lo perdono il passato, ma
proprio di cuore, se ti ricordi questo racconto... e se me lo dici sovente. Voglio mi entri in cuore
come è in questi... come lo ebbe Giona.... Oh! morire dicendo il suo Nome!”
Gesù guarda Pietro e sorride. Poi si alza e lo bacia sul capo brizzolato.
“Perché, Maestro, questo tuo bacio?”
“Perché fosti profeta. Tu morrai dicendo il mio Nome. Ho baciato lo Spirito che parlava in te.”
Poi Gesù intona forte un salmo e tutti, in piedi, fanno eco: ‘Alzatevi e benedite il Signore vostro
Dio, di eternità in eternità. Sia benedetto il suo Nome sublime e glorioso con ogni lode e
benedizione. Tu solo sei il Signore. Tu hai fatto il cielo e il cielo dei cieli e tutto il loro esercito, la
terra e tutto quello che contiene ecc (è l’inno cantato dai leviti alla festa della consacrazione del
popolo, cap.IX del II libro di Esdra)” e tutto ha termine con questo lungo canto, che non so se sia
nel rito antico o se Gesù lo dica di suo.
137. Gesù torna all’Acqua Speciosa, che però deve abbandonare.
15 aprile 1945.
Gesù traversa insieme ai suoi apostoli i campi piatti dell’Acqua Speciosa. La giornata è piovosa e il
luogo deserto. Deve essere verso mezzogiorno, perché quella larva di sole che esce ogni tanto da
dietro il sipario bigio delle nuvole, scende a perpendicolo.
Gesù parla con l’Iscariota, al quale dà l’incarico di andare al paese per gli acquisti più urgenti.
Quando resta solo lo raggiunge Andrea e, sempre timido, dice piano: “Mi ascolti, Maestro?”
“Sì. Vieni con Me, avanti” e allunga il passo, seguito dall’apostolo, dilungandosi di qualche metro
dagli altri.
“La donna non c’è più, Maestro!” dice accorato Andrea. E spiega: “L’hanno percossa ed è fuggita.
Era ferita e sanguinava. Il fattore l’ha vista. Sono andato avanti dicendo che andavo a vedere se non
c’erano insidie, ma era perché volevo andare subito da lei. Speravo tanto di portarla alla Luce! Ho
tanto pregato in questi giorni per questo!... Ora è fuggita! Si perderà. Sapessi dove è la
raggiungerei... Non direi questo agli altri, ma a Te sì, perché mi capisci. Sai che non c’è senso in
questa ricerca, ma solo desiderio - oh! tanto grande da essere un tormento - di portare in salvo una
mia sorella...”
“Lo so, Andrea, e ti dico: anche così come sono andate le cose, il tuo desiderio si compirà. Non è
mai perduta la preghiera fatta in tal senso. Dio la usa ed ella si salverà.”
“Tu lo dici? Oh! il mio dolore si fa più dolce!”
“Non vorresti sapere che ne è di lei? Non ti importa neppure di non essere tu quello che me la
condurrai? Non chiedi come farà?”. Gesù sorride dolcemente, con tutto un brillare di luce nelle
pupille azzurre chinate sull’apostolo che gli cammina al fianco. Uno di quei sorrisi e di quegli
sguardi che costituiscono uno dei segreti di Gesù per conquistare i cuori.
Andrea coi suoi dolci occhi castani lo guarda e dice: “Mi basta sapere che venga a Te. Poi, io o un
altro, che fa? Come farà? Questo Tu lo sai e a me non necessita di saperlo. Ho tutto nella tua
assicurazione e sono felice.”
Gesù gli passa il braccio dietro le spalle e lo attira a Sé in un abbraccio affettuoso che porta
all’estasi il buon Andrea. E parla tenendolo così: “Questo è il dono del vero apostolo. Vedi, amico
mio, la tua vita e quella degli apostoli futuri sarà sempre fatta così. Qualche volta saprete di essere i
‘salvatori’. Ma il più delle volte salverete senza sapere di avere salvato le persone che più vorreste
salvare. Solo in Cielo verrete venirvi incontro, o salire al Regno eterno, i vostri salvati. E il vostro
giubilo di beati aumenterà per ogni salvato. Qualche volta lo saprete dalla terra. Sono le gioie che vi
do per infondervi un vigore ancor maggiore per nuove conquiste. Ma beato che quel sacerdote che
non necessiterà di questi sproni per fare il proprio dovere! Beato quello che non si accascia per non
vedere trionfi e dice: ‘Non faccio più nulla perché non ho soddisfazione!’ La soddisfazione
apostolica, tenuta come unico incentivo al lavoro, mostra non formazione apostolica, avvilisce
l’apostolato, cosa spirituale, a livello di un comune lavoro umano. Non bisogna mai cadere
nell’idolatria del ministero. Non siete voi quelli che devono essere adorati. Ma il Signore Iddio
vostro. A Lui solo la gloria dei salvati. A voi l’opera di salvazione, rimettendo al tempo del Cielo la
gloria di essere stati dei ‘salvatori’. Ma mi dicevi che il fattore l’ha vista. Racconta.”
“Tre giorni dopo che eravamo partiti, sono venuti dei farisei a cercarti. Non ci hanno trovato, è
naturale. Hanno girato il paese e le case della campagna mostrandosi ansiosi di Te. Ma nessuno lo
ha creduto. Si sono messi all’albergo, sbrattandolo superbamente da tutti quelli che c’erano perché,
dicevano, non volevano contatti con estranei ignoti che potevano anche profanarli. E tutti i giorni
andavano alla casa. Dopo qualche giorno hanno trovato la poverina che andava sempre là perché
forse sperava trovarti e avere la sua pace. E l’hanno fatta fuggire, inseguendola fino al suo ricovero
nella stalla del fattore. Subito non l’hanno aggredita, perché egli era venuto fuori coi figli, e armati
di randelli. Ma poi, a sera, quando lei è uscita, sono tornati, ed erano insieme ad altri e, quando ella
fu alla fonte, a sassate l’hanno presa chiamandola ‘meretrice’ e additandola all’obbrobrio del paese.
E poiché lei fuggiva, l’hanno raggiunta, malmenata, le hanno strappato il velo e il mantello perché
tutti la vedessero e ancora l’hanno picchiata, imponendosi con la loro autorità al sinagogo perché la
maledicesse per farla lapidare e maledicesse Te che l’avevi portata in paese. Ma lui non lo ha voluto
fare e ora attende l’anatema del Sinedrio. Il fattore l’ha strappata dalle mani di quei manigoldi e l’ha
soccorsa. Ma nella notte lei se ne è andata lasciando un bracciale con una parola scritta su un
brandello di pergamene. Ha scritto: ‘Grazie. Prega per me.’ Il fattore dice che è giovane e
bellissima, benché molto pallida e magra. L’ha cercata per le campagne, perché era molto ferita.
Ma non l’ha trovata. E non sa come possa essere andata lontano. Forse è morta così, in qualche
posto... e non si è salvata...
“No.”
“No? Non è morta? O non si è perduta?”
“La volontà di redenzione è già assoluzione. Anche fosse morta, sarebbe perdonata, perché ha
cercato la Verità mettendosi sotto i piedi l’Errore. Ma non è morta. Sale le prime pendici del monte
della redenzione. Io la vedo... Curva sotto il suo pianto di pentimento; ma il pianto la fa sempre più
forte, mentre il peso decresce. Io la vedo. Procede incontro al Sole. Quando avrà salito tutta la
china, ella sarà nella gloria del Sole-Dio. Sale... Aiutala col tuo pregare!”
“Oh! mio Signore!” Andrea è quasi esterrefatto di potere aiutare un’anima alla sua santificazione.
Gesù sorride più dolce ancora. Dice: “Bisognerà aprire le braccia e il cuore al perseguitato sinagogo
e andare a benedire il buon fattore. Andiamo dai compagni. A dirlo loro.”
Ma mentre, rifacendo il cammino già fatto, raggiungono i dieci che si sono fermati in disparte
comprendendo che Andrea è in colloquio segreto col Maestro, viene di corsa l’Iscariota. Pare un
farfallone che corra sul prato, tanto corre veloce col mantello che gli svolazza dietro e facendo con
le braccia una vera giostra di segni.
“Ma che ha?” chiede Pietro. “E’ diventato matto?”
Prima che nessuno possa rispondergli, l’Iscariota, giunto vicino, può gridare col fiato mozzo:
“Ferma, Maestro. Ascoltami prima di andare alla casa.... Insidia c’è. Oh! che vigliacchi!...” e corre.
Eccolo giunto: “O Maestro! Non si può andate là! I farisei sono in paese e tutti i giorni vanno alla
casa. Ti aspettano per nuocerti. Mandano via chi viene a cercarti. Con anatemi orrendi li
spauriscono. Che vuoi fare? Qui saresti perseguitato e la tua opra resa nulla...Uno di loro mi ha
visto e mi ha aggredito. Un brutto vecchio nasuto che mi conosce, perché è uno degli scribi del
Tempio. Perché ci sono anche degli scribi. Mi ha aggredito afferrandomi con le sue zampe unghiute
e insultandomi con la sua voce di falco. Finché ha insultato me e mi ha graffiato, guarda... (e mostra
un polso e una guancia decorati di chiari segni di unghie) l’ho lasciato fare. Ma quando ha sbavato
su di Te, l’ho preso per il collo...”
“Ma Giuda” urla Gesù.
“No, Maestro. Non l’ho strozzato. Gli ho solo impedito di bestemmiarti e poi l’ho lasciato andare.
Ora è là che muore di paura per il pericolo corso.... Ma noi andiamo via, te ne prego. Tanto nessuno
potrebbe più venire a Te...”
“Maestro!”
“Ma è un orrore!”
“Giuda ha ragione!”
“Come iene all’agguato sono!”
“Fuoco del Cielo che scendesti su Sodoma, a che non torni?”
“Ma sai che sei stato bravo, ragazzo? Peccato che non c’ero anche io; ti avrei aiutato.”
“Oh! Pietro! se c’eri anche tu, quel falchetto aveva per sempre perduto le penne e la voce.”
“Ma come hai fatto a ... a non andare fino in fondo?”
“Mah! Un lampo nella mente. il pensiero venuto da chissà qual fondo di cuore: ‘Il Maestro
condanna la violenza’, e mi sono fermato, avendone un urto ancor più profondo di quello che
avevo ricevuto dal muro contro cui mi aveva gettato lo scriba quando mi aveva aggredito. Ne ho
avuto i nervi come spezzati... tanto che dopo non avrei avuto più forza di infierire. Che fatica
vincersi!...”
“Sei proprio stato bravo! Vero, Maestro? Non esprimi il tuo pensiero?”
Pietro è tanto felice dell’atto di Giuda che non vede come Gesù sia passato dal luminoso viso di
prima ad un volto severo, che gli scurisce lo sguardo e gli serra la bocca che pare farsi più sottile.
Le apre per dire: “Io dico che sono più disgustato del vostro modo di pensare che della condotta dei
giudei. Loro sono dei disgraziati nelle tenebre. Voi, che siete con la Luce, siete duri, vendicativi,
mormoratori, violenti, approvatori dell’atto brutale come loro. Vi dico che mi date la prova di essere
sempre quelli che eravate quando mi vedeste per la prima volta. E ne ho dolore. Riguardo ai farisei
sappiate che Gesù Cristo non fugge. Voi ritiratevi. Io li affronto. Non sono un vile. Quando avrò
parlato con loro e non li avrò persuasi, mi ritirerò. Non si deve dire che Io non ho cercato con ogni
mezzo di attirarli a Me. Sono essi pure figli di Abramo. Io faccio il mio dovere fino in fondo. La
loro condanna deve essere causata unicamente dalla loro mala volontà e non da una mia trascuranza
verso loro.”
E Gesù va verso la casa, che mostra il suo tetto basso oltre la riga degli alberi spogli. Gli apostoli lo
seguono a capo basso, parlando piano fra loro.
Eccoli alla casa. Entrano nella cucina in silenzio. E si dànno da fare intorno al focolare. Gesù si
assorbe nel suo pensiero.
Stanno per prendere il cibo quando un gruppo di persone si mostra alla porta. “Eccoli” bisbiglia
l’Iscariota.
Gesù si alza subito e va verso di loro. E’ imponente tanto che il gruppetto arretra per un attimo. Ma
il saluto di Gesù li rassicura: ‘La pace sia con voi. Che volete?”
Allora i vili credono di poter tutto osare e arrogantemente intimano: “In nome della Legge santa ti
ordiniamo di lasciare questo luogo, Tu, turbatore delle coscienze, violatore della Legge, corruttore
delle tranquille città di Giuda. Non temi la punizione del Cielo, Tu scimmiottatore del Giusto che
battezza al Giordano, Tu che proteggi le meretrici? Via dalla terra santa di Giuda! Che il tuo alito
non giunga da qui entro la cinta della città sacra.”
“Io nulla faccio di male. Insegno come rabbi, guarisco come taumaturgo, caccio i demoni come
esorcista. Queste categorie sono pure il Giuda. E Dio, che le vuole, le fa rispettare e venerare da voi.
Io non chiedo venerazione. Chiedo solo di lasciarmi fare del bene a coloro che hanno infermità
nella carne, nella mente, o nello spirito. Perché me lo vietate?”
“Tu sei posseduto. Vattene”.
“L’insulto non è una risposta. Io vi chiedo perché me lo vietate, mentre agli altri lo permettete”.
“Perché sei un posseduto e scacci demoni e fai miracoli con l’aiuto dei demoni.”
“E i vostri esorcisti allora? Con l’aiuto di chi lo fanno?”
“Con la loro vita santa. Tu sei un peccatore. E per aumentare la tua potenza, ti servi delle peccatrici,
perché nel connubio si aumenta il possesso della forza demoniaca. La nostra santità ha purificato la
zona dalla tua complice. Ma non permettiamo che Tu resti qui, per non attirare altre femmine.”
“Ma è casa vostra questa?” chiede Pietro che è venuto vicino al Maestro con aspetto poco
raccomandabile.
“Non è casa nostra. Ma tutto Giuda e tutto Israele è nelle mani sante dei puri di Israele.”
“Che sareste voi!” termina l’Iscariota, venuto anche lui sull’uscio e che termina con una risata
beffarda. E poi chiede: “E l’altro amico vostro dove é? Trema ancora? O vergognosi, andatevene! E
subito. Altrimenti vi farò pentire di...”
“Silenzio, Giuda. E tu, Pietro, torna al tuo posto. Udite voi, farisei e scribi. Per il vostro bene, per
pietà dell’anima vostra, Io vi prego di non combattere il Verbo di Dio. Venite a Me. Io non vi odio.
Capisco la vostra mentalità e la compatisco. Ma vi voglio portare ad una mentalità nuova, santa,
capace di santificarvi e darvi il Cielo. Ma credete che Io sia venuto per combattervi? Oh! no! Io
sono venuto per salvarvi. Sono venuto per questo. Vi prendo sul cuore. Vi chiedo amore e intelletto.
Appunto perché siete i più sapienti in Israele, dovete comprendere più di tutti la verità. Siate anima
e non corpo. Volete che Io ve ne supplichi in ginocchio? La posta è tale - l’anima vostra - che sotto i
piedi mi metterei per conquistarla al Cielo, sicuro che il Padre non reputerebbe errore il mio
umiliarmi. Dite! Dite una parola a Me che attendo!”
“Maledizione diciamo.”
“Va bene. E’ detto. Andate pure. Io pure andrò.” E Gesù volge le spalle tornando al suo posto.
Curva il capo sul tavolo e piange.
Bartolomeo chiude la porta perché nessuno dei crudeli che lo hanno insultato, e che se ne stanno
andando con minacce e bestemmie al Cristo, veda questo pianto.
Un lungo silenzio, poi Giacomo d’Alfeo carezza sul capo il suo Gesù e dice: “Non piangere. Noi ti
amiamo. Anche per loro.”
Gesù alza il suo volto e dice: “Non piango per Me. Piango per loro che si uccidono, sordi ad ogni
invito.”
“Che faremo ora, Signore?” chiede l’altro Giacomo.
“Andremo in Galilea. Domani mattina partiremo.”
“Non oggi, Signore?”
“No. Devo salutare i buoni del luogo. E voi verrete con Me.”
138. Commiato dal fattore dell’Acqua Speciosa e dal sinagogo Timoneo, che
diviene discepolo.
16 aprile 1945.
“Signore, io non ho fatto che il mio dovere verso Dio, verso il mio padrone e verso l’onestà di
coscienza. Quella donna io l’ho sorvegliata in questo tempo che era mia ospite e l’ho vista sempre
onesta. Sarà anche stata una peccatrice. Ora non lo è. Perché devo indagare su un passato sul quale
ella ha messo una cancellatura per annullarlo? Io ho figli giovanotti e non brutti. Lei non ha mai
mostrato mai il suo volto, veramente bello, né fatto udire la sua parola. Posso dire che ho sentito il
tono della sua voce d’argento quando urlò per la ferita. Altrimenti ella, quel poco che chiedeva, e
sempre a me o alla moglie mia, lo sussurrava dietro il velo, e così piano che quasi non si capiva.
Vedi anche come fu prudente. Quando temette che la sua presenza potesse nuocere, se ne andò... Io
le avevo promesso difesa e aiuto. Ma lei non se ne valse. No. Così non fanno le donne perdute! Io
pregherò per lei, come lei ha chiesto, e anche senza questo ricordo. Tienilo, Signore. Fanne
elemosina, e a suo bene. Fatta da te, le varrà certo pace.”
Il fattore parla rispettosamente a Gesù. E’ un bell’uomo dal volto onesto e dal corpo tarchiato.
Dietro a lui sono sei giovinottoni simili al padre, sei volti schietti ed intelligenti, e vi è la moglie,
una donnina sottile e tutta dolcezza, che ascolta il suo uomo come ascolterebbe un dio, annuendo di
continuo col capo.
Gesù prende il bracciale d’oro e lo passa a Pietro dicendo: “Per i poveri.” Poi si rivolge al fattore:
“Non tutti hanno la tua rettezza in Israele. Tu sei sapiente, perché distingui il bene dal male e segui
il bene senza valutare l’utilità umana di farlo. In nome dell’eterno Padre Io benedico te, i tuoi figli,
la tua sposa, la tua casa. Conservatevi sempre in queste disposizioni di spirito e il Signore sarà
sempre con voi, e avrete la vita eterna. Io ora vado. Ma non è detto che mai più ci si riveda. Io
tornerò e voi potrete sempre venire a Me. Per quanto avete fatto per Me e per quella povera
creatura, Dio vi dia la sua pace.”
Il fattore, i figli, ultima la donna, si inginocchiano e baciano i piedi di Gesù, che dopo un ultimo
gesto di benedizione si allontana insieme ai discepoli, dirigendosi verso il paese.
“E se ci sono ancora quei brutti esseri?” chiede Filippo.
“Non si può impedire a nessuno di parlare per le vie della terra” risponde Giuda d’Alfeo.
“No. Ma noi per loro siamo ‘anatema’.”
“Oh! lasciali fare! Te ne preoccupi?”
“Io non me ne preoccupo altro che perché il Maestro non vuole le violenze. E loro, che lo sanno, se
ne avvalgono” brontola Pietro fra la barba. E certo crede che Gesù, che parla con Simone e
l’Iscariota, non senta.
Ma Gesù sente e si volta per metà severo, per metà sorridente e dice: “Tu credi che Io vincerei
facendo violenza? Ma questo è un povero sistema umano e che serve, temporaneamente, per vittorie
umane. Quanto tempo dura la sopraffazione? Finché da se stessa genera nei sopraffatti delle
reazioni che, riunendosi, formano una violenza maggiore, che abbatte la sopraffazione preesistente.
Io non voglio un regno temporaneo. Io voglio un regno eterno: il Regno dei Cieli. Quante volte ve
l’ho detto? Quante volte ve lo dovrò dire? Lo capirete mai? Sì. Verrà il momento che lo capirete.”
“Quando, Signor mio? Io ho fretta di capire per essere meno ignorante” dice Pietro.
“Quando? Quando sarete macinati come il grano fra le pietre del dolore e del pentimento. Potreste,
anzi dovreste capire prima. Ma per fare tutto questo dovreste spezzare la vostra umanità e lasciare
libero lo spirito. E questa forza su voi stessi non la sapete fare. Ma capirete... capirete. E allora,
anche, capirete che non potevo usare violenza, mezzo umano, a stabilire il Regno dei Cieli: il Regno
dello spirito. Ma intanto non abbiate paura. Quegli uomini che vi dànno pensiero non ci faranno
nulla. A loro basta di avermi cacciato.”
“Ma non era più facile fare avvisare il sinagogo di venire dal fattore, o di attenderci sulla via
maestra?”
“Oh! che uomo prudente è oggi il mio Tommaso! Ma no che non era facile. O meglio: era più
facile, ma non era giusto. Egli ha mostrato eroismo per Me e nella sua casa fu insolentito per causa
mia. E’ giusto che Io, nella sua casa, lo vada a consolare.”
Tommaso si stringe nelle spalle e non parla più.
Ecco il paese, vasto ma molto rurale con case fra i frutteti, ora spogli, e con molti ovili. Deve essere
un posto atto alla pastorizia, perché vi è un grande belare da tutte le parti per greggi che vanno o
vengono dai pascoli della pianura. La solita crocevia di vie che ha, nel luogo dove si incrocia, la
piazza con la fontana al centro. E lì è la casa del sinagogo.
Apre una donna anziana che ha chiari segni di pianto sul volto. Pure, vedendo il Signore, ha un
moto di gioia e si prostra con una benedizione.
“Alzati, madre. Sono venuto per dirvi addio. Dove è tuo figlio?”
“E’ là...” e accenna una stanza in fondo alla casa. “Sei venuto a consolarlo? Io non sono capace...”
“E’ dunque sconsolato? Si duole di avermi difeso?”
“No, Signore. Ma è preso da uno scrupolo. Ma Tu l’udrai. Lo chiamo.”
“No. Vado Io. Voi attendete qui. Andiamo, donna.”
Gesù fa i pochi metri del vestibolo, spinge l’uscio, entra nella stanza, si avvicina piano ad un uomo
seduto, curvo verso terra, assorto in dolorose meditazioni.
“La pace a te, Timoneo.”
“Signore! Tu!”
“Io. Perché tanto triste?”
“Signore... io... Mi hanno detto che ho peccato. Mi hanno detto che sono anatema. Io mi esamino. E
non mi pare d’esserlo. Ma loro sono i santi d’Israele, ed io il povero sinagogo. Certo hanno ragione.
Ora io non oso più alzare lo sguardo al volto corrucciato di Dio. E ne avrei tanto bisogno in
quest’ora! Io lo servivo con vero amore e cercavo di farlo conoscere. Ora sarò privato di questo
bene, perché il Sinedrio certo mi maledice.”
“Ma il dolore quale é? Di non essere più sinagogo, o di essere impossibilitato a parlare di Dio?”
“Ma è questo, Maestro, che mi dà dolore! Penso che Tu dica se mi spiace di non essere sinagogo
per l’utile e l’onore che se ne trae. Di questo non mi curo. Non ho che mia madre e che è nativa di
Aera, dove ha una piccola casa. Il tetto per lei, e di che vivere per lei c’è. Per me... sono giovane.
Lavorerò. Ma non oserò mai più parlare di Dio, io che ho peccato.”
“Perché hai peccato?”
“Dicono che sono complice del... O Signore! Non mi fare dire!...”
“No. Io non lo dico. Non lo dico neppure. Io a te sappiamo le loro accuse ed Io e te sappiamo che
non sono vere. Perciò tu non hai peccato. Io te lo dico.”
“Allora io posso ancora alzare lo sguardo all’Onnipotente? Ti posso...”
“Che, figlio?” Gesù è tutto dolcezza mentre si curva sull’uomo, che si è arrestato bruscamente come
intimorito. “Che? Il Padre mio lo cerca il tuo sguardo, lo vuole. Ed Io voglio il tuo cuore e il tuo
pensiero. Sì, il Sinedrio ti colpirà. Io ti apro le braccia e dico: ‘Vieni’. Vuoi essere un mio
discepolo? Io vedo in te quanto è necessario per essere un operaio del Padrone eterno. Vieni alla
mia vigna...”
“Ma dici davvero, Maestro? Madre... ma senti? Io sono felice, madre mia! Io... benedico questo
dolore perché mi ha dato questa gioia. Oh! facciamo gran festa, madre. E poi andrò col Maestro, e
tu tornerai alla tua casa. Vengo subito, Signor mio, che hai annullato ogni mio timore, e dolore e
paura di Dio.”
“No. Tu attenderai la parola del Sinedrio. Con cuore sereno e senza livore. Tu al tuo posto, finché a
quel posto sei lasciato. Poi mi raggiungerai a Nazaret o a Cafarnao. Addio. La pace sia con te e con
la madre tua.”
“Non ti fermi nella mia casa?”
“No. Verrò nella casa di tua madre.”
“E’ paese poco fedele.”
“Gli insegnerò fedeltà. Addio, madre. Sei felice, ora?” Gesù la carezza, come sempre fa con le
donne anziane alle quali, noto, dà quasi sempre il nome di ‘madre’.
“Felice, Signore. Avevo allevato un maschio al Signore. Il Signore me lo prende per servo del suo
Messia. Ne sia benedetto il Signore. Benedetto Te che sei il suo Messia. Benedetta l’ora che qui sei
venuto. Benedetta la mia creatura chiamata al tuo servizio.”
Benedetta sia la madre santa come Anna d’Elcana. La pace sia con voi.”
Gesù esce, seguito dai due. Raggiunge i discepoli, saluta ancora e poi incomincia il ritorno verso la
Galilea.
139. Sui monti presso Emmaus.
Il carattere di Giuda Iscariota e le qualità dei buoni.
17 aprile 1945.
Gesù coi suoi è in un luogo molto montagnoso. La via è scomoda e aspra e i più anziani fanno una
bella fatica. I giovani, invece, sono tutti lieti intorno a Gesù e salgono agili, chiaccherando tra loro.
I due cugini, i due figli di Zebedeo e Andrea sono esilarati dal pensiero di tornare in Galilea, e la
loro gioia è tale che avvince anche l’Iscariota, che da qualche tempo è nelle migliori disposizioni di
spirito. Si limita a dire: “Però, Maestro, per Pasqua, quando si viene al Tempio... ci torni a Keriot?
Mia madre spera sempre di averti. Me lo ha fatto sapere. E così i miei compaesani...”
“Di certo. Ora, anche volendo, è troppo aspra stagione per mettersi per quelle vie impervie. Vedete
come è faticoso anche qui. E, senza quella imposizione, non avrei intrapreso ora il cammino... Ma
non si poteva più stare...”. Gesù tace, pensieroso.
“E dopo, voglio dire: per Pasqua, si potrà venire? Io vorrei mostrare la tua grotta a Giacomo e ad
Andrea” dice Giovanni.
“Ti dimentichi l’amore di Betlem per noi?” chiede l’Iscariota. “Per il Maestro, anzi.”
“No. Ma andrei io con Giacomo e Andrea. Gesù potrebbe stare a Jutta o a casa tua...”
“Oh! questo mi piace. Lo farai, Maestro? Loro vanno a Betlemme, Tu stai con me a Keriot. Proprio
con me solo non ci sei mai stato... e ne ho tanta voglia di averti tutto per me...”
“Geloso sei? Non sai che Io vi amo tutti ad un modo? Non credi che Io sono con tutti voi, anche
quando pare vi sia lontano?”
“Lo so che ci ami. Se non ci amassi dovresti essere ben più severo, con me almeno. Credo che il tuo
spirito vegli sempre su noi. Ma non siamo tutto spirito. C’è anche l’uomo, coi suoi amori d’uomo, i
suoi desideri, i suoi rimpianti. Gesù mio, io so che non sono quello che più ti fa felice. Ma credo
che Tu sappia come è vivo in me il desiderio di piacerti e il rimpianto per tutte le ore che ti perdo
per la mia miseria...”.
“No, Giuda. Non ti perdo. Ti sono più vicino che agli altri appunto perché conosco chi tu sei.”
“Che sono, mio Signore? Dillo. Aiutami a capire cosa sono. Io non mi capisco. Mi pare di essere
una donna turbata da voglie di concepimento. Ho appetiti santi e appetiti depravati. Perché? Che
sono io?”
Gesù lo guarda con uno sguardo indefinibile. E’ mesto, ma di una mestizia infusa di pietà. Tanta
pietà. Sembra un medico che constati lo stato di un malato e sappia che è un malato che non può
guarire... Ma non parla.
“Dillo, Maestro mio. Il tuo giudizio sarà sempre il meno severo di tutti sul povero Giuda. E poi...
siamo fra fratelli. Non mi importa che sappiano di che sono fatto. Anzi, sapendolo da Te,
correggeranno il loro giudizio e mi aiuteranno. Non è vero?”
Gli altri sono impacciati e non sanno che dire. Guardano il compagno, guardano Gesù.
Gesù si attira vicino l’Iscariota, al posto dove prima era il cugino Giacomo, e dice: “Tu sei
semplicemente un disordinato. Hai in te tutti gli elementi migliori. Ma non li hai ben fissi. E il
minimo soffio di vento li scompagina. Poco fa siamo passati per quella gola e ci hanno mostrato il
danno fatto, alle povere case di quel paesello, dall’acqua, dalla terra e delle piante. L’acqua, la terra,
le piante sono cose utili e benedette, non è forse vero? Eppure lì sono divenute maledette. Perché?
Perché l’acqua del torrente non aveva un corso ordinato, ma, anche per inerzia dell’uomo, si era
scavata più letti, a seconda del suo capriccio. Ciò era bello finché non c’erano bufere. Allora era
come un lavoro di gioielliere quell’acqua chiara che rigava il monte in piccoli rivi, vezzi di diamanti
o collane di smeraldi a seconda che riflettevano la luce o l’ombra dei boschi. E l’uomo ne godeva
perché erano utili, quelle chiaccherine vene d’acqua, per i suoi campicelli. Così come erano belle le
piante nate, per scherzo dei venti, a capricciosi ciuffi or qua e or là, lasciando radure piene di sole. E
bella era la terra soffice, deposta da chissà quali lontane alluvioni fra ondulazione e ondulazione del
monte, così fertile per le colture. Ma è bastato che venissero le bufere di un mese fa perché le
capricciose righe del torrente si unissero e disordinatamente traboccassero per altra via, travolgendo
le disordinate piante e trascinando a valle i disordinati pezzi di terra. Se le acque fossero state tenute
ordinate, se le piante fossero state regolate in ordinati boschi, se la terra fosse stata ordinatamente
sostenuta con opportuni ripari, ecco che i tre buoni elementi del legno, dell’acqua, del suolo non
sarebbero divenuti rovina e morte per quel paesello. Tu hai intelligenza, ardimento istruzione,
prontezza, prestanza, tante, tante cose hai. Ma sono selvaggiamente disposte in te e tu tali le lasci.
Vedi: tu abbisogni di un lavoro paziente e costante su te stesso per mettere ordine, che è poi anche
robustezza, nelle tue qualità, di modo che quando venga bufera di tentazione il buono che in te hai
non divenga un male per te e per gli altri.”
“Hai ragione, Maestro. Ogni tanto io vengo sconvolto da un vento e tutto si arruffa. E tu dico che io
potrei...”
“La volontà è tutto, Giuda.”
“Ma ci sono tentazioni tanto mordenti... Ci si rintana per paura che il mondo ce lo legga sul volto.”
“Ecco l’errore! Sarebbe proprio quello il momento di non rintanarsi. Ma di cercare il mondo, quello
dei buoni per averne aiuto. Anche il contatto con la pace dei buoni calma la febbre. E cercare anche
il mondo dei criticatori perché, per quell’orgoglio che spinge a nascondersi per non essere ‘letti’ nei
nostri animi tentati, ciò farebbe un reagente alla debolezza morale. E non si cadrebbe.”
“Tu ti sei messo nel deserto...”
“Perché lo potevo fare. Ma guai ai soli se non sono, nella loro solitudine, moltitudine contro
moltitudine.”
“Come? Non capisco.”
“Moltitudine di virtù contro moltitudine di tentazioni. Quando poca è la virtù, occorre fare come
quest’edera molle: afferrarsi ai rami di alberi robusti, per salire.”
“Grazie, Maestro. Io mi attacco a Te e ai compagni. Ma aiutatemi tutti. Voi siete tutti migliori di
me.”
“E’ stato migliore l’ambiente parco e onesto in cui siamo cresciuti, amico. Ma ora tu sei con noi, e
noi ti vogliamo bene. Vedrai... Non è per criticare la Giudea, ma credi che in Galilea c’è, almeno
nei nostri paesi, meno ricchezza e meno corruzione. Tiberiade, Magdala, altri luoghi di tripudio, ci
sono vicini. Ma noi viviamo con la ‘nostra’ anima semplice, rozza, se vuoi, ma operosa, santamente
contenta di ciò che da Dio ci è concesso” dice Giacomo di Alfeo.
“Ma la mamma di Giuda è una santa donna, sai, Giacomo? Le si vede la bontà scritta sul viso”
obietta Giovanni.
Giuda di Keriot gli sorride felice della lode, e il suo sorriso aumenta quando Gesù conferma: “Hai
detto bene, Giovanni. E’ una santa creatura.”
“Eh! sì! Ma era sogno di mio padre di fare di me un grande del mondo, e mi ha staccato molto
presto e troppo profondamente dalla madre mia...”
“Ma che avete da dire che sempre parlate?” chiede da lontano Pietro. “Fermatevi! Aspettateci. Non
è bello andare così senza pensare che io sono di gambe corte.”
Si fermano finché l’altro gruppo li ha raggiunti.
“Auf! Come ti voglio bene, barchetta mia! Qui si fatica come schiavi... Che dicevate?”
“Dicevamo le qualità per essere buoni” risponde Gesù.
“E a me non le dici, Maestro?”
“Ma sì: ordine, pazienza, costanza, umiltà, carità... Le ho ben dette molte volte!”
“Ma l’ordine no. Che c’entra?”
“Il disordine non è mai buona qualità. L’ho spiegato a questi tuoi compagni. Te lo diranno. E l’ho
messo per primo, mentre ho messo per ultima la carità, perché sono i due estremi della retta della
perfezione. Ora tu sai che una retta messa in piano non ha principio e non ha fine. Ambedue gli
estremi possono essere principio e possono essere fine, mentre di una spirale, o di un qualsiasi altro
disegno che non sia chiuso in se stesso, vi è sempre un principio e una fine. La santità è lineare,
semplice, perfetta, e non ha che due estremi, come la retta...”
“E’ facile fare una retta...”
“Lo credi? Ti sbagli. In un disegno, anche complicato, può passare inavvertito qualche difetto. Ma
nella retta subito si vede ogni errore, o di pendenza o di incertezza. Giuseppe, quando mi insegnava
il mestiere, insisteva molto nella dirittura delle tavole e giustamente mi diceva: ‘Vedi, figlio mio?
Può ancora passare una lieve imperfezione in un ornato o in un lavoro di tornio, perché l’occhio,
non espertissimo, se osserva un punto non vede l’altro. Ma se un’asse non è dritta a dovere, neppure
il più semplice lavoro, quale è una povera tavola da contadini, riesce. O pende o imbarca. Non serve
più che al fuoco’. Possiamo dire questo anche per le anime. Per non servire più altro che al fuoco
infernale, ossia per conquistare il Cielo, bisogna essere perfetti come un’asse piallata e squadrata a
dovere. Chi inizia la sua lavorazione spirituale con disordine, cominciando dalle cose inutili,
saltando, come un uccello irrequieto, da questo a quello, finisce che quando vuole riunire le parti
del lavoro non riesce più. Non combinano. Perciò ordine. Perciò carità. Poi, tenendo fisse nelle due
morse questi estremi, che non scappino mai, lavorare a tutto il resto, ornati o intagli che siano. Hai
capito?”
“Ho capito” Pietro si mastica in silenzio la sua lezione e conclude all’improvviso: “Allora mio
fratello è più bravo di me. Lui è proprio ordinato. Un passo dopo l’altro, zitto, calmo. Sembra che
non si muova e invece... Io vorrei fare presto e tanto. E non faccio nulla. Chi mi aiuta?”
“Il tuo buon desiderio. Non temere, Pietro. Fai anche tu. Ti fai.”
“E io?”
“Anche tu, Filippo.”
“E io? Mi pare di non essere proprio buono a nulla, io”
“No, Tommaso. Anche tu lavori. Tutti, tutti vi lavorate. Siete alberi selvaggi, ma gli innesti vi
cambiano lentamente e sicuramente, ed Io ho in voi la mia gioia.”
“Ecco. Siamo tristi e Tu ci consoli. Deboli e ci fortifichi. Paurosi e ci dài coraggio. Per tutti, e per
tutti i casi, hai pronto il consiglio e il conforto. Come fai, Maestro, ad essere sempre pronto e buono
così?”
“Amici miei, sono venuto per questo, sapendo già ciò che avrei trovato e ciò che dovevo fare. Senza
illusioni non si hanno delusioni, non si perde perciò lena. Si va avanti. Ricordatevelo, per quando
voi pure dovrete lavorare l’uomo animale per farne l’uomo spirituale.”
140. A Emmaus, dal sinagogo Cleofa. Un caso di incesto.
Fine del primo anno.
18 aprile 1945.
Giovanni col fratello bussano ad una casa in un paese. Riconosco la casa dove entrarono i due di
Emmaus con Gesù risorto. Quando viene loro aperto, entrano e parlano certo con qualcuno che non
vedo, poi escono e vanno per una via, raggiungendo Gesù che è con gli altri fermo in un luogo
appartato.
“C’è, Maestro. Ed è tutto felice che Tu sia proprio venuto. Ci ha detto: “Andate a dirgli che la mia
casa è sua. Ora vengo io pure.”
“Andiamo, allora.”
Camminano per qualche tempo e poi incontrano il vecchio sinagogo Cleofa visto all’Acqua
Speciosa. Si inchinano a vicenda, ma poi il vecchione - sembra un patriarca - si inginocchia con
venerabondo saluto. Dei cittadini, che vedono, si accostano curiosi.
Il vecchio si alza e dice: “Ecco il promesso Messia. Ricordate questo giorno, o cittadini di
Emmaus.”
Chi osserva con curiosità tutta umana e chi ha sguardi di religioso ossequio. Due si fanno largo e
dicono: “La pace sia a Te, Rabbi. C’eravamo noi pure quel giorno.”
“La pace a voi e a tutti. Sono venuto, come me ne aveva pregato il vostro sinagogo.”
“Farai miracoli qui pure?”
“Se vi sono figli di Dio che credono e abbisognano del miracolo, certo Io lo farò.”
Il sinagogo dice: “Coloro che vogliono udire il Maestro vengano alla sinagoga. E così chi ha dei
malati. Posso dire questo, Maestro?”
“Puoi. Dopo l’ora sesta Io sarò tutti per voi. Ora sono del buon Cleofa.”
E, seguito da un codazzo di gente prosegue a fianco del vecchio sino alla sua casa.
“Ecco mio figlio, Maestro. E la moglie mia. E la moglie di mio figlio e i piccoli bambini. Molto mi
spiace che l’altro figlio sia, insieme al suocero di mio figlio Cleofa, a Gerusalemme insieme ad un
infelice di qui... Ma ti dirò. Entra, Signore, coi tuoi discepoli.”
Entrano e vengono ristorati con i soliti usi ebraici. Poi si avvicinano al fuoco che arde in un ampio
camino, perché la giornata è umida e fredda.
“Fra poco ci sederemo a mensa, Ho invitato i notabili del luogo. Gran festa, oggi. Non sono tutti
credenti in Te. Ma neppure nemici. Sono solamente indagatori... Vorrebbero credere. Ma siamo
stati delusi troppe volte, in questi ultimi tempi, sul Messia. C’è diffidenza. Basterebbe una parola
del Tempio a sciogliere ogni dubbio. Ma il Tempio... Io ho pensato che vedendo Te e udendoti,
così, semplicemente, molto si possa in questo senso. Io vorrei darti dei veri amici.”
“Tu ne sei uno.”
“Sono un povero vecchio, io. Fossi più giovane, ti seguirei. Ma gli anni pesano.”
“Mi servi col tuo credere. Mi predichi con la tua fede. Stai quieto, Cleofa. Io non ti dimenticherò
nell’ora della Redenzione.”
“Ecco Simone con Erma. Stanno giungendo” avvisa il figlio del sinagogo.
Si alzano tutti mentre entrano due di media età dall’aspetto signorile.
“Questo è Simone, e questo è Erma, Maestro. Sono veri israeliti. Ma sinceri nell’animo loro.”
“Dio si svela ai loro animi. La pace intanto scenda su essi. Senza pace non si ode Dio.”
“E’ detto anche nel libro dei Re parlando di Elia”
“Sono i tuoi discepoli questi?” chiede quello di nome Simone.
“Sì.”
“Ve ne sono di ogni età e luogo. E Tu sei galileo?”
“Di Nazaret. Ma nato a Betlemme nel tempo del censo.”
“Betlemmita, allora. Ciò conferma la tua figura.”
“E’ una benigna conferma, per la debolezza umana. Ma la conferma è nel sovrumano.”
“Nelle tue opere, vuoi dire” dice Erma.
“In esse e nelle parole che lo Spirito accende sul mio labbro.”
“Mi sono state ripetute da chi ti udì. Veramente grande è la tua sapienza. E con questa intendi
fondare il tuo Regno?”
“Un re deve avere sudditi a conoscenza delle leggi del suo regno.”
“Ma le tue leggi sono tutte spirituali.”
“Lo hai detto, Erma. Tutte spirituali. Io avrò un regno spirituale. Ho dunque il codice spirituale.”
“Ma la ricostruzione di Israele, allora?”
“Non cadete nell’errore comune di prendere il nome Israele come quello che ha nel significato
umano. Israele è detto per dire ‘Popolo di Dio’. Io ricostituirò la libertà e potenza vera di questo
popolo di Dio e ricostituirò il medesimo col rendere al Cielo le anime, redente e sapienti degli eterni
veri.”
“Sediamo alle mense. Ve ne prego.” dice Cleofa che prende posto, con Gesù, al centro. Alla destra
di Gesù è Erma e di fianco a Cleofa è Simone, poi il figlio del sinagogo, e agli altri posti i discepoli.
Gesù, pregato dall’ospite, offre e benedice, e ha inizio il pasto.
“Vieni da queste parti, Maestro?” dice Erma.
“No. Vado in Galilea. Qui verrò di passaggio.”
“Come? Lasci l’Acqua Speciosa?”
“Sì, Cleofa.”
“Vi venivano le turbe nonostante fosse inverno. Perché le deludi?”
“Non Io. Così vogliono i puri d’Israele.”
“Che? Perché? Che male facevi? La Palestina ha molti rabbi che parlano là dove vogliono. Perché
ciò non è concesso a Te?”
“Non indagare, Cleofa. Sei vecchio e saggio. Non mettere tossico di amara conoscenza nel tuo
cuore.”
“Ma forse Tu dicevi dottrine nuove, ritenute pericolose, oh! certo per errore di valutazione, dagli
scribi e farisei? Quanto di Te sappiamo non ci sembra... vero Simone? Ma forse noi non sappiamo
tutto. In che consiste per Te la Dottrina?” chiede Erma.
“Nella conoscenza esatta del Decalogo. Nell’amore e nella misericordia. L’amore e la misericordia,
questo respiro e questo sangue di Dio, sono la norma della mia condotta e della mia dottrina. E Io
ne faccio l’applicazione in tutti i frangenti della mia giornata.”
“Ma questo non è una colpa! E’ bontà questa”
“E’ giudicata colpa dagli scribi e farisei. Ma Io non posso mentire alla mia missione, né disubbidire
a Dio che mi ha mandato come ‘Misericordia’ sulla terra. E’ venuto il tempo della Misericordia
piena, dopo secoli di Giustizia. Essa è sorella alla prima. Come due nate da un solo seno; ma mentre
prima era più forte la Giustizia, e l’altra temperava solo il rigore - perché non può Dio vietarsi di
amare - ora è regina la Misericordia, e come ne giubila la Giustizia che tanto si doleva di dover
punire! Se voi guardate bene, vedete agevolmente che sempre esse furono da quando l’Uomo
obbligò Dio ad essere severo. Il sussistere dell’Umanità non è che la riprova di quanto dico. Nella
stessa punizione ad Adamo è mescolata la misericordia. Poteva incenerirli nel loro peccato. Dette
loro l’espiazione, e alla donna causa di ogni male, avvilita per questo esser causa del male, fece
balenare una figura di Donna causa del bene. E ad ambi concesse i figli e le cognizioni della
esistenza. All’uccisore Caino insieme alla giustizia concesse il segno, e che era misericordia, perché
non fosse ucciso. E all’umanità corrotta concesse Noè per conservarla nell’arca, e indi promise il
patto sempiterno di pace. Non più il feroce diluvio. Non più. La Giustizia fu piegata dalla
Misericordia. Volete risalire con Me la sacra Storia fino al momento mio? Vedrete sempre, e
sempre più vaste, ripetersi le onde dell’Amore. Ora è colmo il mare di Dio, e ti solleva, o Umanità,
sulle sue acque dolci e serene, ti solleva al Cielo, mondata, bella, e ti dice: ‘Ti rendo al Padre mio’.”
I tre sono assorti nella stupefazione di tanta luce d’amore. Poi Cleofa sospira: “Così è. Ma Tu solo
sei tale! Che ne sarà di Giuseppe? Dovrebbe essere già stato ascoltato? Lo sarà stato?”
Nessuno risponde.
Cleofa si rivolge a Gesù: “Maestro, uno di Emmaus, il cui padre, un tempo, ha ripudiato la moglie,
la quale andò a stabilirsi ad Antiochia con un fratello, proprietario di un emporio, è incorso in colpa
grave. Egli non aveva mai conosciuto quella donna, cacciata, e non indago le cause, dopo pochi
mesi di matrimonio. Nulla aveva saputo di lei perché, naturalmente, il suo nome era proscritto da
quella casa. Divenuto uomo ed ereditati dal padre i commerci e i beni, pensò di accasarsi, e avendo
conosciuto a Joppe una donna, padrona di un ricco emporio, se l’è sposata. Ora, non so come fu
saputo, si è reso noto che quella donna era figlia della moglie del padre di lui. Perciò peccato grave
benché, a mio vedere, sia molto incerta la paternità della donna. Giuseppe, colpito da condanna, ha
avuto distrutto in uno la sua pace di fedele e quella di marito. E, nonostante con grande dolore abbia
ripudiato la moglie, forse sorella, la quale per il dolore fu presa da febbre ed è morta, egli non viene
perdonato. In coscienza io dico che, se non c’erano dei nemici intorno al suo bene, egli non sarebbe
stato così colpito. Tu che faresti?”
“Il caso è molto grave, Cleofa. Quando sei venuto da Me, perché non me ne hai parlato?”
“Non volevo allontanarti di qui...”
“Oh! ma Io non sono cacciato da queste cose! Ora ascolta. Materialmente c’è incesto. E perciò c’è
punizione. Ma la colpa, per essere moralmente colpa, deve avere a base la volontà di peccare.
Quest’uomo ha scientemente commesso incesto? Tu dici di no. Allora dov’è la colpa? Voglio dire:
la colpa dell’aver potuto peccare? Resta quella della convivenza con una figlia del proprio padre.
Ma tu dici che è incerto se tale ella era. E se anche tale era, la colpa cessa col cessare della
convivenza. Qui la cessazione è sicura non solo per il ripudio, ma per la sopraggiunta morte. Onde
Io dico che l’uomo dovrebbe essere perdonato anche dall’apparente peccato. E dico che, posto che
non c’è condanna per l’incesto regale, che dura alla luce del mondo, così si dovrebbe avere pietà di
questo doloroso caso, la cui origine risale alla licenza di ripudio concessa da Mosè per evitare mali,
se non più gravi, più numerosi. Quella licenza che Io condanno, perché l’uomo, bene o male che
abbia contratto nozze, eve vivere col coniuge e non ripudiarlo favorendo adulteri e situazioni simili
a questa. Inoltre, ripeto, nell’essere severi, bisogna esserlo con uguale misura con tutti. Prima anzi
con se stessi e con i grandi. Ora, che Io mi sappia, nessuno, tolto il Battista, ha alzato la voce contro
il peccato regale. Coloro che condannano sono immuni da colpe simili o peggiori, oppure ad esse
fan da velo il nome e la potenza, così come il pomposo mantello fa da riparo al loro corpo, spesso
malato per vizio?”
“Bene hai detto, Maestro. Così è. Ma Tu, insomma, chi sei...?” chiedono insieme i due amici del
sinagogo.
Gesù non può rispondere perché si apre la porta ed entra Simone suocero di Cleofa figlio”
“Ben tornato. Ebbene?”
La curiosità è così viva, che nessuno pensa più al Maestro.
“Ebbene... condanna assoluta. Neppure accettarono l’offerta del sacrificio. Giuseppe è reciso da
Israele.”
“Dove è?”
“Lì fuori. E piange. Ho cercato di parlare coi più potenti. Mi hanno cacciato come un lebbroso.
Ora... Ma... E’ la rovina di quell’uomo. I beni e l’anima. Che volete che faccia?”
Gesù si alza e si avvia alla porta, senza una parola.
Il vecchio Cleofa crede che Egli si sia offeso della trascuranza e dice: “Oh! perdona, Maestro! Ma è
il dolore del fatto che mi turba la mente. Resta, te ne prego!”
“Resto, Cleofa. Solo vado dall’infelice. Venite, se volete, con Me.”
Gesù esce nel vestibolo. La casa ha una striscia di terreno davanti, delle piccole aiuole oltre le quali
è la via. Buttato a terra sulla soglia è un uomo. Gesù gli va vicino a mani tese. Dietro sono tutti gli
altri che cercano vedere.
“Giuseppe, nessuno ti ha perdonato?” Gesù parla con tutta dolcezza.
L’uomo sobbalza, udendo la voce tutta nuova e tutta buona dopo tante voci di condanna. Alza il
volto e lo guarda stupito.
“Giuseppe, nessuno ti ha perdonato?” torna a ripetere Gesù e si china a prendere le mani dell’uomo,
cercando di alzarlo.
“Chi sei?” chiede il disgraziato.
“Sono la Misericordia e la Pace.”
“Per me non c’è più misericordia e pace.”
“Nel seno di Dio ve ne è sempre. Quel seno è colmo di queste cose e specie per i figli infelici.”
“Ma la mia colpa è tale che sono un reciso da Dio. Lasciami. Tu che certo sei buono, per non
contaminarti.”
“Non ti lascio. Ti voglio portare alla pace.”
“Ma io sono... Tu chi sei?”
“Te l’ho detto: Misericordia e Pace. Sono il Salvatore, Gesù sono. Alzati. Io posso ciò che voglio.
In nome di Dio ti assolvo dalla involontaria contaminazione. L’altro male non esiste. Io sono
l’Agnello di Dio che leva i peccati del mondo. A Me è deferito ogni giudizio dall’Eterno. Chi crede
alla mia parola avrà la vita eterna. Vieni, povero figlio d’Israele. Ristorati il corpo stanco e fortifica
lo spirito abbattuto. Ben altre colpe Io perdonerò. No. Non verrà da Me la disperazione nei cuori! Io
sono l’Agnello senza macchia, ma non fuggo le pecore ferite per paura di contaminarmi. Anzi le
cerco e con Me le conduco. Troppi, troppi sono quelli che vanno a completa rovina per troppa
serenità, ingiusta anche, di giudizio. Guai a coloro che per intransigente rigore conducono uno
spirito a disperare! Non gli interessi di Dio, ma quelli di Satana fanno. Ora Io vedo una peccatrice
ansiosa di redenzione allontanata dal Redentore, vedo perseguitato un sinagogo perché giusto, vedo
colpito uno inavvertitamente caduto in colpa. Troppe cose vedo fare da là, dove è vizio e menzogna.
E come muro che mattone a mattone si alza e fa parete, così le cose vedute, ed in un anno già troppe
ne ho viste, stanno alzando fra Me ed essi un muro di durezza. Guai a loro quando sarà tutto alzato
con i materiali dati da loro stessi! Tieni: bevi, mangia. Sei esausto. Poi, domani, verrai con Me. Non
temere. Quando sarai tornato in pace di spirito, sarai libero di giudicare sul tuo futuro. Ora non
potresti, e sarebbe pericoloso lasciatelo fare.”
Gesù, che si è portato nella sala l’uomo e lo ha forzato a sedersi al suo posto, lo serve anche e poi si
volge ad Erma e a Simone e dice: “Questa è la mia Dottrina. Questa, e non altra. E non mi limito a
predicarla. Ma la rendo reale. Chi ha sete di verità e di Amore venga a Me.”
Dice Gesù:
“E con questo ha fine il primo anno di evangelizzazione. Tenetene nota. Che dirvi? L’ho dato
perché era mio desiderio fosse conosciuto. Ma, come per i farisei, avviene per questo lavoro. Il mio
desiderio di essere amato - conoscere è amare - viene respinto da troppe cose. E questo è un grande
dolore per Me, l’Eterno Maestro imprigionato da voi...”
Indice del Volume Terzo
* = in linea
160. Incontro con Gamaliele sulla strada da Neftali a Giscala.
161.
162.
163.
164.
165.
166.
Guarigione del nipote del fariseo Eli di Cafarnao.
Le conversioni umane del fariseo Eli e di Simone d'Alfeo.
A mensa in casa del fariseo Eli di Cafarnao.
Il ritiro sul monte per l'elezione apostolica.
L'elezione dei dodici ad apostoli.
I miracoli dopo l'elezione apostolica.
Prima predica di Simone Zelote e di Giovanni.
167. L'incontro con le romane nel giardino di Giovanna di Cusa
168. Aglae in casa di Maria a Nazareth.
169. Primo discorso della Montagna:
la missione degli apostoli e dei discepoli.
170. Secondo discorso della Montagna: il dono della Grazia e le beatitudini.
171. Terzo discorso della Montagna:
i consigli evangelici che perfezionano la Legge.
172. Quarto discorso della Montagna:
il giuramento, 16 preghiera, il digiuno. Il vecchio Ismaele e Sara.
173. Quinto discorso della Montagna:
l'uso delle ricchezze, l'elemosina, la fiducia in Dio.
174. Sesto discorso della Montagna:
la scelta tra Bene e Male, l'adulterio, il divorzio.
L'arrivo importuno di Maria di Magdala.
175. Il lebbroso guarito ai piedi del Monte. Generosità dello scriba Giovanni.
176. Nella sosta del sabato l'ultimo discorso della Montagna:
amare la volontà di Dio.
177. Guarigione del servo del centurione.
178. Tre uomini che vogliono seguire Gesù.
179. La parabola del seminatore. A Corozim con il nuovo discepolo Elia.
180. Disputa nella cucina di Pietro a Betsaida. Spiegazione della
parabola del seminatore. La notizia della seconda cattura del Battista.
*
181.
182.
183.
184.
185.
186.
La parabola del grano e del loglio.
Discorso ad alcuni pastori con il piccolo orfano Zaccaria.
La guarigione di un uomo ferito in casa di Maria di Magdala.
Il piccolo Beniamino di Magdala e due parabole sul regno dei Cieli.
La tempesta sedata. Un insegnamento nell'antefatto.
I due indemoniati della regione dei Geraseni.
187. Verso Gerusalemme per la Pasqua. Da Tarichea al monte Tabor.
188. A Endor. La spelonca della maga e l'incontro con Felice
chiamato poi Giovanni.
189. A Naim. Resurrezione del figlio di una ve dova.
190. L'arrivo nella piana di Esdrelon al tramonto del venerdì.
191. Il sabato a Esdrelon. Il piccolo Jabé e la parabola del ricco Epulone.
192. Una predizione a Giacomo d'Alfeo.
L'arrivo ad Engannim dopo una sosta a Mageddo.
193. L'arrivo a Sichem dopo due giorni di cammino.
194. La rivelazione al piccolo Jabé durante il cammino da Sichem a Berot.
195. Una lezione di Giovanni di Endor all'Iscariota e l'arrivo a Gerusalemme.
196. Il sabato al Getsemani.
Gesù parla della Madre e degli amori di diverse potenze.
197. Nel Tempio con Giuseppe d'Arimatea. L'ora dell'incenso.
198. L'incontro con la Madre a Betania. Jabé cambia il suo nome in Margziam.
199. Dai lebbrosi di Siloan e di Ben Hinnom.
Pietro ottiene Margziam per mezzo di Maria.
200. Aglae a colloquio con il Salvatore.
201.
202.
203.
204.
205.
206.
207.
208.
209.
L'esame della maggiore età di Margziam.
Un rimprovero a Giuda Iscariota e l'arrivo dei contadini di Giocana.
La preghiera del "Padre nostro".
La fede e l'anima spiegate ai pagani con la parabola dei templi.
La parabola del figlio prodigo.
Con due parabole sul regno dei Cieli termina la sosta a Betania.
Alla grotta di Betlemme la Madre rievoca la nascita di Gesù.
Maria Ss. rivede il pastore Elia e con Gesù va da Elisa a Betsur.
La fecondità del dolore nel discorso di Gesù
presso la casa di Elisa a Betsur.
210. Le inquietudini di Giuda Iscariota durante il cammino verso Ebron.
211.
212.
213.
214.
215.
216.
217.
218.
219.
220.
Ritorno ad Ebron, patria del Battista.
Un'onda di amore per Gesù, che a Jutta parla dalla casetta di Isacco.
A Keriot una profezia di Gesù e l'inizio della predicazione apostolica.
La madre di Giuda si confida con la Madre di Gesù,
giunta a Keriot con Simone Zelote.
L'albergatore di Betginna e la sua figlia lunatica.
Le infedeltà dei discepoli nella parabola del soffione.
Le spighe colte nel giorno di sabato.
L'arrivo ad Ascalona, città filistea.
I diversi frutti della predicazione degli apostoli nella città di
Ascalona.
Gli idolatri di Magdalgad e il miracolo sulla partoriente.
221. Le prevenzioni degli apostoli verso i pagani e la parabola del figlio
deforme.
222. Un segreto dell'apostolo Giovanni.
223. Una carovana nuziale evita l'assalto dei predoni dopo un discorso di
Gesù.
224. Nell'apostolo Giovanni opera l'Amore. L'arrivo a Bètér.
225. Il paralitico della piscina di Betseida e la disputa sulle opere del
*
Figlio di Dio.
181. La parabola del grano e del loglio.
8 giugno 1945.
Un'alba chiara imperla il lago e fascia i colli di una nebbia leggera come velo di mussola da cui
appaiono, ingentiliti, ulivi e noci, e case e dossi dei paesi del lago. Le barche scivolano quiete e
silenziose, dirette verso Cafarnao. Ad un certo punto Pietro piega la barra del timone così
rudemente che la barca si inchina da un lato.
"Che fai?" chiede Andrea?
"C'è la barca di un gufo. Esce ora da Cafarnao. Ho buoni occhi e, da ieri sera, fiuto di segugio. Non
voglio che ci vedano. Torno al fiume. Andremo a piedi."
Anche l'altra barca ha seguito la manovra, ma Giacomo, che regge il timone, chiede a Pietro:
"Perché fai questo?"
"Te lo dirò, vienimi dietro."
Gesù, che è seduto a poppa, si riscuote quando è quasi all'altezza del Giordano. "Ma che fai,
Simone?" chiede.
"Si scende qui. C'è uno sciacallo in giro. Non si può andare a Cafarnao oggi. Prima vado io a sentire
un poco. Io con Simone e Natanaele. Tre degne persone contro tre indegne persone... se pure le
indegne non saranno di più."
"Non vedere insidie da tutte le parti, ora! Quella non è la barca di Simone il fariseo?"
"E' proprio quella."
"Non c'era alla cattura di Giovanni."
"Non ne so niente io."
"E' sempre rispettoso verso di Me"
"Non so niente io."
"Mi fai parere vile."
"Non so niente io."
Per quanto Gesù non abbia voglia di ridere, deve sorridere per la santa cocciutaggine di Pietro.
"Ma a Cafarnao dovremo pure andare. Se non oggi più tardi..."
"Ti ho detto che vado prima io e sento e... all'occorrenza... farò anche questa... sarà una grossa spina
da inghiottire... ma lo farò per amore di Te... Andrò... andrò dal centurione a chiedere protezione..."
"Ma no! Non occorre!"
La barca si arresta sulla spiaggetta deserta, opposta a Betsaida. Scendono tutti.
"Venite voi due. Vieni anche te, Filippo. Voi giovani state qui. Faremo presto.
Il neo discepolo Elia prega: "Vieni in casa mia, Maestro. Ne sarei tanto felice di ospitarti..."
"Vengo. Simone: mi raggiungerai alla casa di Elia. Addio, Simone. Va'. Ma sii buono, prudente e
misericordioso. Vieni che ti baci e benedica."
Pietro non assicura di essere né buono, né paziente, né misericordioso. Tace e scambia il bacio col
suo Maestro. Anche lo Zelote, Bartolomeo, e Filippo scambiano il bacio di addio e le due comitive
si separano andando in opposta direzione.
Entrano in Corozim che l'aurora è già finita in giorno pieno. Non vi è stelo che non brilli per gemme
di rugiada. Gli uccelli cantano per ogni dove. Vi è un'aria pura, fresca, che pare sappia persino di
latte, di un latte più vegetale che animale. L'odore dei grani che si formano nelle spighe, dei
mandorleti carichi di frutti... un odore che ho sentito nelle fresche mattine nei campi opimi della
pianura padana.
La casa di Elia è presto raggiunta. Ma già molti in Corozim sanno che è giunto il Maestro e, mentre
Gesù sta per porre piede sulla soglia una madre accorre gridando:" Gesù, Figlio di Davide, pietà
della mia creatura!". Ha sulle braccia una fanciulla di un dieci anni circa, cerea e magrissima. Più
che cerea, giallastra.
"Che ha tua figlia?"
"Le febbri. Le ha prese alla pastura lungo il Giordano. Perché siamo pastori di un ricco. Io sono
stata chiamata dal padre presso la bambina ammalata. Egli ora è tornato ai monti. Ma Tu sai che con
questo male non si può passare in luoghi alti. Come posso stare qui? Il padrone mi ha lasciata fino
ad ora. Ma io sono alle lane e alle figliate. Viene il tempo del lavoro per noi pastori. Saremo
licenziati o divisi se io resto. Vedrò morire la figlia se vado all'Hermon."
"Hai fede che io possa?"
"Ho parlato con Daniele pastore di Eliseo. Mi ha detto: 'Il nostro Bambino guarisce ogni male. Vai
dal Messia'. Da oltre Meron sono venuta con questa fra le braccia cercando Te. Avrei sempre
camminato fino a trovarti..."
"Non camminare più altro che per tornare a casa, al lavoro sereno. Tua figlia è guarita perché Io lo
voglio. Va' in pace."
La donna guarda la figlia e guarda Gesù. Forse spera di vedere tornare grassa e colorita la fanciulla
all'istante. Anche la fanciulla sgrana i suoi occhi stanchi, che prima teneva chiusi, in volto a Gesù
e sorride.
"Non temere, donna. Non ti inganno. La febbre è sparita per sempre. Di giorno in giorno ella
tornerà fiorente. Lasciala andare. Non barcollerà più e non sentirà stanchezza.
La madre posa al suolo la fanciulla, che sta ben ritta e sorride sempre più giuliva. Infine trilla con la
sua voce argentina: "Benedici il Signore, mamma! Sono ben guarita! Lo sento" e, nella sua
semplicità di pastorella e fanciulla, si lancia al collo di Gesù e lo bacia. La madre, riservata come
l'età insegna, si prostra e bacia la veste benedicendo il Signore.
"Andate. Ricordatevi del beneficio avuto da Dio e siate buone. La pace sia con voi."
Ma la gente si affolla già nell'orticello della casa di Elia e reclama la parola del Maestro. E per
quanto Gesù non abbia molta voglia di farlo, addolorato com'è per la cattura, e per il modo come è
avvenuta, del Battista, pure si arrende e all'ombra degli alberi inizia a parlare.
"Ancora in questo bel tempo di granai che spigano, Io vi voglio proporre una parabola presa dai
grani. Udite.
Il Regno dei Cieli è simile ad un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma mentre l'uomo e i
suoi servi dormivano, venne un suo nemico e sparse seme di loglio sui solchi e poi se ne andò.
Nessuno sul principio si accorse di nulla. Venne l'inverno con le piogge e le brine, venne la fine di
tebet e germogliò il grano. Un verde tenero di foglioline appena spuntate. Parevano tutte uguali
nella loro infanzia innocente. Venne scebat e poi adar e si formarono le piante e poi granirono le
spighe. Si vide allora che il verde non era tutto grano ma anche loglio, ben avviticchiato coi suoi
vilucchi sottili e tenaci agli steli del grano.
I servi del padrone andarono alla sua casa e dissero: "Signore, che seme hai seminato? Non era
seme eletto, mondo da ogni altro seme che grano non fosse?"
"Certo che lo era. Io ho scelto i chicchi tutti uguali di formazione. E avrei visto se vi fossero stati
altri semi."
"E come allora è nato tanto loglio fra il tuo grano?"
Il padrone pensò, poi disse: 'Qualche nemico mio mi ha fatto questo per farmi danno.'
I servi chiesero allora: 'Vuoi che andiamo fra i solchi e con pazienza liberiamo le spighe dal loglio,
strappando quest'ultimo? Ordina e lo faremo.'
Ma il padrone rispose: 'No. Potreste nel farlo estirpare anche il grano e quasi sicuramente offendere
le spighe ancora tenerelle. Lasciate che l'uno e l'altro stiano insieme fino alla mietitura. Allora io
dirò ai mietitori: 'Falciate tutto insieme; poi, avanti di legare i covoni, ora che il seccume ha fatto
friabili i vilucchi del loglio mentre più robuste e dure sono le serrate spighe, scegliete il loglio dal
grano e fatene fasci a parte. Li brucerete poi e faranno concime al suolo. Mentre il buon grano lo
porterete nei granai e servirà ad ottimo pane con scorno del nemico, che avrà guadagnato solo di
essere abbietto a Dio col suo livore.'
Ora riflettete fra voi quanto sovente avvenga e numerosa sia la semina del Nemico nei vostri cuori.
E comprendete come occorra vigilare con pazienza e costanza per fare sì che poco loglio si mescoli
al grano eletto. La sorte del loglio è di ardere. Volete voi ardere o divenire cittadini del Regno? Voi
dite che volete essere cittadini del Regno. Ebbene, sappiatelo essere. Il buon Dio vi dà la Parola. Il
Nemico vigila per renderla nociva, poiché farina di grano mescolata a farina di loglio dà pane
amaro e nocivo al ventre. Sappiate col buon volere, se loglio è nell'anima vostra, sceglierlo per
gettarlo onde non essere indegni di Dio.
Andate, figli. La pace sia con Voi."
La gente sfolla lentamente. Nell'orto restano gli otto apostoli più Elia, suo fratello, la madre e il
vecchio Isacco, che si pasce l'anima nel guardarsi il suo Salvatore.
"Venitemi intorno e udite. Vi spiego il senso completo della parabola, che ha due aspetti ancora,
oltre quello detto alla folla.
Nel senso universale la parabola ha questa applicazione: il campo è il mondo. Il buon seme sono i
figli del Regno di Dio, seminati da Dio sul mondo in attesa di giungere al loro limite ed essere recisi
dalla Falciatrice e portati al Padrone del mondo, perché li riponga nei suoi granai. Il loglio sono i
figli del Maligno, sparsi a loro volta sul campo di Dio nell'intento di dare pena al Padrone del
mondo e di nuocere anche alle spighe di Dio. Il Nemico di Dio li ha, per un sortilegio, seminati
apposta, perché veramente il diavolo snatura l'uomo fino a farne una sua creatura, e questa semina,
per traviare altri che non ha potuto asservire altrimenti. La mietitura, anzi la formazione dei covoni
e il trasporto degli stessi ai granai, è la fine del mondo, e coloro che la compiono sono gli angeli. A
loro è ordinato di radunare le falciate creature e separare il grano dal loglio e, come nella parabola
questo si brucia, così verranno bruciati nel fuoco eterno i dannati, all'Ultimo Giudizio.
Il Figlio dell'uomo manderà a togliere dal suo Regno tutti gli operatori di scandali e di iniquità.
Perché allora il Regno sarà e in terra e in Cielo, e fra i cittadini del Regno sulla terra saranno
mescolati molti figli del Nemico. Questi raggiungeranno, come è detto anche dai Profeti, la
perfezione dello scandalo e dell'abominio in ogni ministero della terra, e daranno fiera noia ai figli
dello spirito. Nel Regno di Dio, nei Cieli, già saranno stati espulsi i corrotti, perché corruzione non
entra in Cielo. Ora dunque gli angeli del Signore, menando la falce fra le schiere dell'ultimo
raccolto, falceranno e separeranno il grano dal loglio e getteranno questo nella fornace ardente dove
è pianto e stridor di denti, portando invece i giusti, l'eletto grano, nella Gerusalemme eterna dove
essi splenderanno come soli nel Regno del Padre mio e vostro.
Questo nel senso universale. Ma per voi ve ne è un altro ancora, che risponde alle domande che più
volte, e specie da ieri sera, vi fate. Voi vi chiedete: 'Ma dunque tra la massa dei discepoli possono
essere dei traditori?' e fremete in cuor vostro di orrore e di paura. Ve ne possono essere. Ve ne sono
certo.
Il seminatore sparge il buon seme. In questo caso, più che spargere si potrebbe dire 'coglie'. Perché
il maestro, sia che sia Io o sia che fosse il Battista, aveva scelto i suoi discepoli. Come allora si sono
traviati? No, anzi. Male ho detto dicendo 'seme' i discepoli. Voi potreste capire male. Dirò allora
'campo'. Tanti discepoli tanti campi, scelti dal maestro per costituire l'area del Regno di Dio, i beni
di Dio. Su essi il maestro si affatica per coltivarli, acciò diano il cento per cento. Tutte le cure.
Tutte. Con pazienza. Con amore. Con sapienza. Con fatica. Con costanza. Vede anche le loro
tendenze malvagie. Le loro aridità e le loro avidità. Vede le loro testardaggini e le loro debolezze.
Ma spera, spera sempre, e corrobora la sua speranza con la preghiera e la penitenza, perché li vuole
portare alla perfezione.
Ma i campi sono aperti. Non sono un chiuso giardino cinto da mura di fortezza, di cui sia padrone
solo il maestro e in cui solo lui possa penetrare. Sono aperti. Messi al centro del mondo, fra il
mondo, tutti li possono avvicinare, tutti vi possono penetrare. Tutti e tutto. Oh! non è il loglio solo il
mal seme seminato! Il loglio potrebbe essere simbolo della leggerezza amara dello spirito del
mondo. Ma vi nascono, gettati dal Nemico, tutti gli altri semi. Ecco le ortiche. Ecco le gramigne.
Ecco le cuscute. Ecco i vilucchi. Ecco infine le cicute e i tossici. Perché? Perché? Che sono?
Le ortiche: gli spiriti pungenti, indomabili, che feriscono per sovrabbondanza di veleni e danno
tanto disagio. Le gramigne: i parassiti che sfiniscono il maestro senza saper fare altro che strisciare
e succhiare, godendo del lavoro di lui e nuocendo ai volenterosi, che veramente trarrebbero maggior
frutto se il maestro fosse non turbato e distratto dalle cure che esigono le gramigne. I vilucchi inerti
che non si alzano da terra che fruendo degli altri. Le cuscute: tormento sulla via già penosa del
maestro e tormento ai discepoli fedeli che lo seguono. Si uncinano, si conficcano, lacerano,
graffiano, mettono diffidenza e sofferenza. I tossici: i delinquenti fra i discepoli, coloro che
giungono a tradire e a spegnere la vita come le cicute e le altre piante tossiche. Avete mai visto
come sono belle con i loro fiorellini che poi divengono palline bianche, rosse, celeste-viola? Chi
direbbe che quella corolla stellare, candida o appena rosata, col suo cuoricino d'oro, chi che quei
coralli multicolori, tanto simili ad altri frutticini che sono la delizia degli uccelli e dei pargoli,
possano, giunti a maturazione, dare morte? Nessuno. E gli innocenti ci cascano. Credono tutti buoni
come loro... e ne colgono e muoiono.
Credono tutti buoni come loro! Oh! che verità che sublima il maestro e che condanna il suo
traditore! Come? La bontà non disarma? Non rende il malvolere innocuo? No, Non lo rende tale
perché l'uomo caduto preda al Nemico è insensibile a tutto ciò che è superiore. E ogni superiore
cosa cambia per lui aspetto. La bontà diviene debolezza che è lecito calpestare e acuisce il suo
malvolere come acuisce la voglia di sgozzare, in una fiera, il sentire l'odore del sangue. Anche il
maestro è sempre un innocente... e lascia che il suo traditore lo avveleni, perché non vuole e non
può lasciar pensare agli altri che un uomo giunga ad essere micidiale a chi è innocente.
Nei discepoli, i campi del maestro, vengono i nemici. Sono tanti. Il primo è Satana. Gli altri, i suoi
servi, ossia gli uomini, le passioni, il mondo e la carne. Ecco, ecco il discepolo più facile ad essere
percosso da essi perché non sta tutto presso al maestro, ma sta a cavaliere fra il maestro e il mondo.
Non sa, non vuole separarsi tutto da ciò che è mondo, carne, passioni e demonio, per essere tutto di
chi lo porta a Dio. Su questo spargono i loro semi e mondo e carne, e passioni e demonio. L'oro, il
potere, la donna, l'orgoglio, la paura di un mal giudizio del mondo e lo spirito di utilitarismo. 'I
grandi sono i più forti. Ecco che io li servo per averli amici'. E si diventa delinquenti e dannati per
queste misere cose!...
Perché il maestro, che vede l'imperfezione del discepolo, anche se non vuole arrendersi al pensiero:
'Costui sarà il mio uccisore', non lo estirpa subito dalle sue file? Questo voi chiedete.
Perché è inutile farlo. Se lo facesse non impedirebbe di averlo nemico, doppiamente e più
svelatamente nemico per la rabbia o il dolore di essere scoperto o di essere cacciato. Dolore. Sì.
Perché delle volte il cattivo discepolo non si avvede di essere tale. E' tanto sottile l'opera demoniaca
che egli non l'avverte. Si indemonia senza sospettare di essere soggetto a questa operazione. Rabbia.
Sì. Rabbia per essere conosciuto per quello che è, quando egli è incosciente del lavoro di Satana e
dei suoi adepti: gli uomini che tentano il debole nelle sue debolezze per levare dal mondo il santo
che li offende, nelle loro malvagità, con il paragone della sua bontà.
E allora il santo prega e si abbandona a Dio. 'Ciò che Tu permetti si faccia, sia fatto' dice. Solo
aggiunge questa clausola: 'purché serva al tuo fine'. Il santo sa che verrà l'ora in cui verranno espulsi
dalle sue messi i logli malvagi. Da chi? Da Dio stesso, che non permette oltre di quanto è utile al
trionfo della sua volontà d'amore."
"Ma se Tu ammetti che sempre è Satana, e gli adepti di lui... mi sembra che la responsabilità del
discepolo scemi" dice Matteo.
"Non te lo pensare. Se il Male esiste, esiste anche il Bene, ed esiste nell'uomo il discernimento e
con esso la libertà."
"Tu dici che Dio non permette oltre di quanto è utile al trionfo della sua volontà d'amore. Dunque
anche questo errore è utile, se Egli lo permette, e serve ad un trionfo di volontà divina" dice
l'Iscariota.
"E tu arguisci, come Matteo, che ciò giustifica il delitto del discepolo. Dio aveva creato il leone
senza ferocia e il serpente senza veleno. Ora l'uno è feroce e l'altro è velenoso. Ma Dio li ha
separati dall'uomo per ciò. Medita su questo e applica. Andiamo nella casa. Il sole è già forte,
troppo. Come per inizio di temporale. E voi siete stanchi della notte insonne."
"La casa ha la stanza alta, ampia e fresca. Potrete riposare." dice Elia.
Salgono per la scala esterna. Ma solo gli apostoli si stendono sulle stuoie per riposare. Gesù esce
sulla terrazza, ombreggiata in un angolo da un altissimo rovere, e si assorbe nei suoi pensieri.
182. Discorso ad alcuni pastori con il piccolo orfano Zaccaria.
9 giugno 1945.
Il ritorno di Pietro avviene solo al mattino di poi. Ed è più calmo della partenza, perché Pietro non
ha trovato che buona accoglienza in Cafarnao e la città ripulita da Eli e Gioacchino.
"Devono essere loro quelli del complotto. Perché io ho chiesto ad amici quando se ne sono andati, e
ho capito che non erano più tornati dopo essere stati dal Battista come penitenti. E credo che non
torneranno tanto presto, ora che ho detto che erano presenti all'arresto... C'è subbuglio per questo
arresto del Battista... E mi studierò di farlo sapere anche alle zanzare... E' l'arma più buona per noi.
Ho incontrato anche il fariseo Simone e... Ma se è come mi è apparso mi sembra ben disposto. Mi
ha detto: 'Consiglia il Maestro a non seguire il Giordano nella valle occidentale. E' più sicura l'altra
parte' ha detto marcando le parole. E ha finito: 'Io non ti ho visto. Io non ti ho parlato. Ricordalo. E
regolati per il bene mio, tuo e di tutti. Di’ al Maestro che gli sono amico' e guardava in su, come
parlasse al vento. Sempre, anche nel fare le cose buone, sono falsi e... e, dirò, strani, per non avere
rimprovero da Te. Però... eh! però sono andato a dare una toccatina al centurione. Così... dicendo:
'Sta bene il tuo servo?'; e avutane conferma ho detto: 'Meno male! Guarda di tenerlo sano perché
l'insidia è sul Maestro. Il Battista è già preso...' e il romano ha capito a volo. Furbo l'uomo! Ha
risposto: 'Dove è un'insegna sarà una guardia su Lui, e vi sarà chi ricorda agli israeliti che sotto il
segno di Roma non è permesso il complotto, pena la morte o la galera'. Sono pagani... ma lo avrei
baciato. Mi piace la gente che capisce e che fa! Possiamo andare allora."
"Andiamo. Ma non occorreva tutto questo" dice Gesù.
"Occorreva, occorreva!"
Gesù si accomiata dalla famiglia ospitale e anche dal neo-discepolo, al quale deve avere dato
istruzioni. Sono di nuovo soli, il Maestro con gli apostoli, e vanno per la campagna fresca, per una
via che ha preso Gesù con stupore di Pietro che voleva prenderne un'altra.
"Ci si allontana dal lago..."
"Arriveremo sempre in tempo per ciò che devo fare."
Gli apostoli non parlano più e vanno verso un piccolo villaggio, un pugno di case, sperso per la
campagna.
Vi è un grande dindolare di greggi dirette alle pasture dei monti. Quando Gesù si ferma per lasciar
passare un gregge numeroso, i pastori se lo accennano radunandosi in gruppo. Si consultano ma non
osano di più.
E' Gesù che rompe gli indugi e le incertezze traversando il gregge che si è fermato a brucare l'erba
ben folta. Va diritto ad accarezzare un pastorello che è verso il centro dell'ammasso lanuto e belante
delle pecore. Gli chiede: "Sono tue?" Lo sa bene Gesù che non sono del bambino, ma lo vuole far
parlare.
"No, Signore. Io sono con quelli. E le mandre sono di molti padroni. Ci siamo riuniti per i banditi."
"Come ti chiami?"
"Zaccaria, figlio di Isacco. Ma il padre mi è morto ed io servo perché siamo poveri e la mamma ha
tre altri più piccoli di me."
"E' tanto che ti è morto?"
"Tre anni, Signore... e non ho più riso perché sempre la mamma piange ed io non ho più chi mi
carezzi... Io sono il primogenito e la morte del padre mi ha fatto uomo che ero ancora fanciullo...
Non devo piangere ma guadagnare... Ma è tanto difficile!". Infatti le lacrime cadono anche ora sul
visetto troppo serio per la sua età.
I pastori si sono avvicinati e così gli apostoli. Un gruppo d'uomini in un muoversi di pecore.
"Non sei senza padre, Zaccaria. Un Padre santo ti è nel Cielo e ti ama sempre, se sei buono, e il
padre tuo non ha cessato di amarti perché è in grembo ad Abramo. Lo devi credere. E per questa
fede essere sempre più buono." Gesù parla dolcemente e carezza il bambino.
Un pastore osa chiedere: "Tu sei il Messia, non è vero?"
"Sì, lo sono. Come mi conosci?"
"So che Tu sei per la Palestina e so che dici parole sante. Ti riconosco per questo."
"Andate lontano?"
"Sugli alti monti. Vengono i calori... Non ci dirai la tua parola? Lassù dove noi siamo parlano solo i
venti, e delle volte parla il lupo e fa strage, come per il padre di Zaccaria. Abbiamo desiderato
vederti per tutto l'inverno, ma non ti abbiamo mai trovato."
"Venite all'ombra di quel boschetto. Vi parlerò". E Gesù va per primo, tenendo il pastorello per
mano, e accarezzando con l'altra le agnelle che alzano il muso belando.
I pastori radunano il gregge sotto il bosco di piante da taglio e, mentre le pecore si accosciano
ruminando oppure brucano e si strofinano ai tronchi, Gesù parla.
"Avete detto: 'Lassù dove noi siamo parlano solo i venti e delle volte parla il lupo e fa strage'.
Quello che avviene lassù avviene nei cuori per opera di Dio, dell'uomo e di Satana. Perciò potete
avere lassù quanto avreste in ogni luogo.
Conoscete abbastanza la Legge per sapere i suoi dieci comandi? Anche tu, bambino? E allora avete
sufficienza di sapere. Se voi praticherete con fedeltà quanto Dio ha dato per comando sarete santi.
Non lamentatevi di essere lungi dal mondo. Siete preservati da molta corruzione perciò. E Dio non
vi è lontano ma più vicino in quella solitudine, dove parla la sua voce nei venti da Lui creati, nelle
erbe e nelle acque, che non fra gli uomini. Vi insegna una grande, anzi molte grandi virtù questo
gregge. Esso è mansueto e ubbidiente. Di poco si accontenta ed è grato per ciò che ha. Sa amare e
riconoscere chi lo cura e lo ama. Fate altrettanto dicendo: 'Dio è il nostro Pastore e noi siamo le sue
pecore. Il suo occhio è su di noi. Egli ci tutela e ci concede non ciò che è fonte di vizio ma necessità
di vita.'
E tenete lontano il lupo dal cuore. Il lupo sono gli uomini malvagi che forse vi sobillano e seducono
a male azioni per ordine di Satana, ed è Satana stesso che vi tenta al peccato per sbranarvi. Vigilate.
Voi pastori sapete le abitudini del lupo. Egli è astuto per quanto le pecore sono semplici e innocenti.
Si accosta piano, dopo aver osservato dall'alto le abitudini del gregge, scivolando fra i cespugli si
avvicina, e per non attirare l'attenzione si immobilizza poi in posizioni di pietra. Non pare un grosso
masso rotolato fra le erbe? Ma poi, quando è sicuro che nessuno vigila, balza e azzanna. Così fa
Satana. Vi sorveglia per sapere i vostri punti deboli, si aggira a voi d'intorno, pare innocuo e
assente, rivolto altrove, mentre tiene d'occhio voi, e poi all'improvviso balza per trarvi in peccato e
vi riesce qualche volta.
Ma presso di voi vi è un medico ed un pietoso. Dio e il vostro angelo. Se vi siete feriti, se siete
caduti malati, non scostatevi da loro come fa il cane divenuto rabbioso. Ma anzi piangendo gridate a
loro: 'Aiuto!' Dio perdona chi si pente, e l'angelo vostro è pronto a supplicare Dio per voi e con voi.
Amatevi fra voi ed amate questo bambino. Ognuno deve sentirsi un poco padre dell'orfano. La
presenza di un bambino fra voi moderi ogni vostra azione col freno santo del rispetto verso il
fanciullo. E la vostra presenza presso di lui supplisca a ciò che la morte gli ha levato. Bisogna
amare il prossimo. Questo piccolo è il prossimo che Dio vi confida in modo speciale. Educatelo
buono e credente, onesto e senza vizi. Egli è ben da più di una di queste pecorelle. Ora se voi avete
cura di queste perché sono del padrone, che vi punirebbe se voi le lasciaste perire, quanto più
dovete avere cura di quest'anima che Dio vi affida per Lui e per il padre morto. La sua condizione
di orfano è ben triste. Non rendetela più grave coll'approfittarvi del suo essere piccolo e solo per
angariarlo. Pensate che Dio vede gli atti e le lacrime di ogni uomo e di tutto tiene conto per
premiare e per punire.
E tu, fanciullo, ricorda che non sei mai solo. Dio ti vede e lo spirito di tuo padre pure. Quando
qualcosa ti turba e ti consiglia a fare il male, di’: 'No. Non voglio essere orfano in eterno'. Lo saresti
se dannassi il tuo cuore col peccato.
Siate buoni. Io vi benedico perché tutto il bene sia con voi. Se avessimo fatto la stessa via, vi avrei
parlato ancora a lungo. Ma il sole si alza e voi dovete andare, ed Io pure. Voi a mettere al sicuro
dall'ardore le pecore, Io a levare un altro ardore, più tremendo, dei cuori. Pregate perché essi
sentano in Me il Pastore. Addio, Zaccaria. Sii buono. La pace a voi."
Gesù bacia il pastorello e benedice, e mentre il gregge si avvia lento Egli lo segue con lo sguardo e
poi riprende la sua via.
"Hai detto che andiamo a levare da un altro ardore i cuori... Dove andiamo?" chiede l'Iscariota.
"Per ora fino a quel punto più ombroso e dove è quel rio. Ivi mangeremo e poi saprete dove
andiamo.
Gesù dice: "Qui inserirete il secondo momento della conversione di Maria di Magdala avuto lo
scorso anno, il 12 agosto 1944 (B 964) (Titolo: Pietro, non la insultare. Prega per i peccatori)"
183. La guarigione di un uomo ferito in casa di Maria di Magdala.
[12 agosto 1944.]
Il collegio apostolico al completo è intorno a Gesù. Seduti sull'erba, al fresco di un ciuffo d'alberi,
presso un rio, tutti mangiano pane e formaggio e bevono dell'acqua del rio che è fresca e limpida. I
sandali polverosi dicono che già molta strada è stata fatta e forse i discepoli non chiederebbero che
di riposare nell'erba alta e fresca.
Ma l'instancabile Camminatore non è di questo parere. Non appena giudica passata l'ora più calda,
si alza in piedi e si fa sulla via e guarda... Poi si volge e dice: "Andiamo." Semplicemente.
Giunti ad un bivio, anzi ad un quadrivio perché quattro vie polverose si uniscono in quel punto,
Gesù prende risolutamente quella via che va in direzione nord-est.
"Torniamo a Cafarnao?" chiede Pietro.
Gesù risponde: "No." Unicamente: no.
"Allora a Tiberiade" insiste Pietro che vuole sapere.
"Neppure."
"Ma questa via va al mar di Galilea... e lì vi è Tiberiade e Cafarnao..."
"E vi è anche Magdala" dice Gesù con un volto semiserio per far calmare la curiosità di Pietro.
"Magdala? Oh!..." Pietro è un poco scandalizzato, il che mi fa pensare che questa città abbia cattiva
fama.
"A Magdala. Sì. A Magdala. Reputi di esser troppo onesto per entrarvi? Pietro, Pietro!... Per amor
mio dovrai entrare non in città di diletto, ma in veri lupanari... Non è venuto il Cristo per salvare i
salvati ma per salvare i perduti... e tu... tu sarai Pietro o Cefa, e non Simone, per questo. Hai paura
di contaminarti? No! Neppur questo, vedi? (e accenna al giovanissimo Giovanni) neppur questo ne
avrà danno. Lui no perché non vuole. Come non vuoi tu, come non vuole tuo fratello e il fratello di
Giovanni... come nessuno di voi, per ora, vuole. Finché non si vuole non avviene male. Ma occorre
non volere fortemente e costantemente. Forza e costanza si acquistano dal Padre, pregando con
sincerità di intenti. Non tutti saprete, in seguito, sempre pregare così... Che dici Giuda? Non ti fidare
troppo di te stesso. Io, che sono il Cristo, prego costantemente per avere forza contro Satana. Sei tu
da più di Me? L'orgoglio è fessura per cui Satana penetra. Sii vigilante e umile, Giuda. Matteo, tu
che sei molto pratico del luogo, dimmi: è meglio entrare da questa via o ve ne è un'altra?"
"Secondo, Maestro. Se vuoi andare nella Magdala dei pescatori e dei poveri questa è la via. Da qui
si entra nel sobborgo popolare. Ma - non lo credo ma lo dico per darti ampia risposta - ma sei vuoi
andare dove sono i ricchi, allora bisogna lasciare fra qualche cento metri questa strada e prenderne
un'altra, perché le case ricche sono quasi a quest'altezza e bisogna tornare indietro..."
"Torneremo indietro perché è nella Magdala dei ricchi che voglio andare. Che hai detto, Giuda?"
"Nulla, Maestro. E' la seconda volta che me lo chiedi in poco tempo. Ma io non ho mai parlato."
"Con le labbra no. Ma hai parlato, mormorando, col tuo cuore. Hai fatto della mormorazione col tuo
ospite: il cuore. Non è necessario avere un'altra creatura per interlocutrice, per parlare. Molte parole
le diciamo noi a noi... Ma non bisogna commettere mormorazione o calunnia neppure col proprio
io."
Il gruppo cammina, in silenzio adesso. La strada, da maestra, si fa cittadina, con una
pavimentazione a pietre larghe un palmo quadrato. Le case sono sempre più ricche e belle fra orti e
giardini rigogliosi e fioriti. Ho l'impressione che la Magdala elegante fosse per i palestinesi una
specie di luogo di piacere come certe cittadine dei nostri laghi lombardi: Stresa, Gardone, Pallanza,
Bellagio, ecc. ecc. Ai ricchi palestinesi sono mescolati romani, cero venuti la luoghi come Tiberiade
o Cesarea, dove intorno al Governatore saranno certo stati dei funzionari e dei negozianti per
esportare a Roma le cose più belle prodotte dalla colonia palestinese.
Gesù si inoltra, sicuro come sapesse dove andare. Costeggia il lago al cui limite si affacciano le case
coi loro giardini.
Un grande coro di pianti esce da una ricca dimora. Son voci di donne e bambini e, acutissima, una
voce femminile che grida: "Figlio! Figlio!"
Gesù si volge e guarda i suoi apostoli. Giuda si fa avanti. "Non tu" ordina Gesù. "Tu, Matteo. Va’ e
domanda."
Matteo va e torna: "Una rissa, Maestro. Un uomo è morente. Un giudeo. Il feritore è scappato, era
romano. Sono corse la moglie e la madre e i piccoli bimbi... Ma muore."
"Andiamo."
"Maestro... Maestro... Il fatto è avvenuto in casa di una donna... che non è la moglie."
"Andiamo."
Entrano dalla porta aperta in un largo e lungo vestibolo che dà poi su un bel giardino. Pare che la
casa sia divisa da questa specie di peristilio coperto e molto ricco di piante verdi in vasi e di statue e
oggetti d'intarsio. Un misto fra la sala e la serra. In una stanza, la cui porta è spalancata sul
vestibolo, sono le donne piangenti. Gesù entra sicuro. Non dà però il suo solito saluto.
Fra gli uomini che sono presenti vi è un mercante che deve conoscere Gesù, perché appena lo vede
dice: "Il Rabbi di Nazareth!" e lo saluta con rispetto.
"Giuseppe, che è stato?"
"Maestro, un colpo di pugnale, al cuore... Muore."
"Perché?"
Una donna grigia e spettinata si alza - era a ginocchi presso il morente al quale sorreggeva una
mano già inerte - e con gli occhi da pazza stride: "Per lei, per lei... Me lo ha insatanassato... Più
madre, più moglie, più figli c'erano per lui! L'inferno ti deve avere, satana!"
Gesù alza gli occhi, seguendo la mano che tremando accusa, e vede nell'angolo, contro la parete
color rosso cupo, Maria di Magdala più procace che mai, direi vestita... di niente per metà corpo,
perché è seminuda dalla vita in su, in una specie di reticella a maglie esagonali di cosine tonde che
mi paiono perline. Ma è in penombra e non vedo bene.
Gesù ribassa gli occhi. Maria, sferzata dall'indifferenza, si erge, mentre prima era come accasciata,
e si dà un contegno.
"Donna" dice Gesù alla madre. "Non imprecare. Rispondi. Perché tuo figlio era in questa casa?"
"Te l'ho detto. Perché lei lo aveva reso pazzo. Lei."
"Silenzio. Lui pure era dunque in peccato perché adultero e padre indegno di questi innocenti.
Merita dunque il suo castigo. In questa e nell'altra vita non c'è misericordia per colui che non si
pente. Ma ho pietà del tuo dolore, donna, e di questi innocenti. E' lontana la tua casa?"
"Un cento metri."
"Sollevate l'uomo e portatelo là."
"Non è possibile, Maestro" dice il mercante Giuseppe. "Sta per morire."
"Fai quanto dico. "
Passano una tavola sotto il corpo del moribondo e il corteo esce lentamente. Traversa la via e
penetra in un giardino ombroso. Le donne continuano a piangere rumorosamente.
Appena dentro al giardino Gesù si volge alla madre. "Puoi perdonare? Se tu perdoni, Dio perdona.
Bisogna farsi il cuore buono per ottenere grazia. Costui ha peccato è peccherà ancora. Meglio per
lui sarebbe morire, perché vivendo ricadrà nel peccato e dovrà rispondere anche della
irriconoscenza verso Dio che lo salva. Ma tu e questi innocenti (e segna la moglie e i bambini)
cadreste in disperazione. Io sono venuto per salvare e non perdere. Uomo, Io te lo dico: sorgi e
guarisci."
L'uomo riprende vita e apre gli occhi, vede la madre, i figli, la moglie, china il capo vergognoso.
"Figlio, figlio" dice la madre. "Eri morto se Egli non ti salvava. Torna in te. Non delirare per una..."
Gesù interrompe la vecchia: "Donna, taci. Usa la misericordia che t'è stata usata. La tua casa è
santificata dal miracolo, che è sempre prova della presenza di Dio. Per questo Io non l'ho potuto
compiere dove era il peccato. Sappi, tu almeno, serbarla tale se anche costui non lo saprà. Curatelo
ora. E' giusto che soffra qualche poco. Sii buona, donna. E tu. E voi piccoli. Addio". Gesù ha posato
la mano sul capo delle due donne e dei piccini.
Poi esce passando davanti alla Maddalena, che ha seguito sino al limite della via il corteo ed è
rimasta addossata contro un albero. Gesù rallenta come per attendere i discepoli, ma credo lo faccia
per dar modo a Maria di fare un gesto. Ma ella non lo fa.
I discepoli raggiungono Gesù, e Pietro non può trattenersi da dire fra i denti un epiteto appropriato a
Maria. Questa, che vuol darsi un contegno, scoppia in una risata di ben povero trionfo.
Ma Gesù ha udito la parola di Pietro e si volta severo: "Pietro, Io non insulto. Non insultare. Prega
per i peccatori. Null'altro".
Maria spezza il trillo della sua risata, china il capo e fugge come una gazzella in direzione della sua
casa.
184. Il piccolo Beniamino di Magdala e due parabole sul regno dei Cieli.
10 giugno 1945.
Il miracolo deve essere avvenuto da poco, perché gli apostoli ne parlano, e anche dei cittadini
commentano, additandosi il Maestro che se ne va, diritto e severo, verso la periferia della città,
verso la parte dei poveri.
Si ferma ad una casuccia da cui esce saltellando un bambino seguito dalla madre. "Donna, mi lasci
entrare nel tuo orto e sostare un poco finché il sole perda il suo calore?"
"Entra, Signore. Anche in cucina se vuoi. Ti porterò acqua e ristoro."
"Non ti affaticare. Mi basta rimanere in questo orto quieto."
Ma la donna vuole offrire acqua temperata da non so che, e poi gironzola per l'orto come vogliosa
di parlare e non osa. Si occupa delle verdure, ma è una finta. In realtà si occupa del Maestro e le dà
noia il bambino che coi suoi strilli, quando acciuffa una farfalla o un altro insetto, le impedisce di
sentire ciò che Gesù dice. Se ne inquieta e lascia andare uno schiaffetto al bambino, il quale... strilla
più forte.
Gesù - che stava rispondendo allo Zelote che gli aveva chiesto: "Credi che Maria ne sia scossa?",
con queste parole: "Più che non vi appaia..." - si volge e chiama a Sé il bambino, che accorre a
finire il suo pianto sui ginocchi di Gesù.
La donna chiama: "Beniamino! Vieni qui. Non disturbare."
Ma Gesù dice: "Lascialo, lascialo. Starà buono e ti lascerà quieta"; poi al bambino: "Non piangere.
Non ti ha fatto male la mamma. Solo ti ha fatto ubbidire, anzi, ti voleva far ubbidire. Perché strillavi
mentre lei voleva silenzio? Forse si sente male e i tuoi gridi le danno noia."
Il bambino, svelto svelto, con quella insuperabile schiettezza che è la disperazione dei grandi, dice:
"No. Non si sente male. Ma voleva sentire quello che Tu dicevi... Me lo ha detto. Ma io, che volevo
venire da Te, facevo chiasso apposta perché Tu mi guardassi."
Ridono tutti e la donna si fa di fiamma.
"Non arrossire, donna. Vieni qui. Mi volevi sentir parlare? Perché?"
"Perché sei il Messia. Non puoi essere che Tu il Messia, col miracolo che hai fatto... E mi piaceva
sentirti. Io non vado mai fuori di Magdala perché ho... un marito difficile e cinque bambini. Il più
piccolo ha quattro mesi... e Tu qui non vieni mai."
"Sono venuto, e nella tua casa. Lo vedi."
"Per questo volevo sentirti."
"Dove è tuo marito?"
"Sul mare, Signore. Se non si pesca non si mangia. Io non ho che questo orticello. Può bastare a
sette persone? Eppure Zaccheo vorrebbe che sì..."
"Sii paziente, donna. Tutti hanno la loro croce."
"Eh! no! Le spudorate non hanno che il godere. Hai visto l'opera delle spudorate! Godono e fanno
soffrire. Loro non si spezzano le reni nel figliare e nel lavorare. Non si fanno venire le vesciche con
la zappa o si spellano le mani con i bucati. Loro sono belle, fresche. Per loro non c'è la condanna di
Eva. Sono la condanna nostra, anzi, perché... gli uomini... Tu mi capisci."
"Ti capisco. Ma sappi che hanno anche loro la loro tremenda croce. La più tremenda. Quella che
non si vede. Quella della coscienza che le rimprovera, del mondo che le schernisce, del loro sangue
che le ripudia, di Dio che le maledice. Non sono felici, credi. Non si spezzano le reni nel generare e
nel lavorare, non si fanno venire piaghe alle mani nel faticare. Ma si sentono spezzate lo stesso, e
con vergogna. Ma il loro cuore è tutto una piaga. Non invidiare il loro aspetto, la loro freschezza, la
loro apparente serenità. E' un velo steso su una rovina che morde e non dà pace. Non invidiare il
loro sonno, tu, madre onesta che sogni i tuoi innocenti... Esse hanno l'incubo sul loro guanciale. E
domani, nel giorno che saranno all'agonia o alla vecchiaia, il rimorso e il terrore."
"E' vero... Perdona... Mi lasci stare qui?"
"Rimani. Racconteremo una bella parabola a Beniamino, e quelli che non sono bambini
l'applicheranno a loro stessi ed a Maria di Magdala. Udite.
In voi è il dubbio sulla conversione di Maria al bene. Nessun segno in lei dà indice verso questo
passo. Sfrontata e impudente ella, conscia del suo grado e del suo potere, ha osato sfidare la gente e
venire persino sulla soglia della casa dove si piange per causa sua. Al rimprovero di Pietro risponde
con una risata. Al mio sguardo che l'invita con l'irrigidirsi superba. Voi forse avreste voluto, chi per
amore verso Lazzaro, chi per amore verso di Me, che Io le parlassi direttamente, a lungo,
soggiogandola col mio potere, mostrando la mia forza di Messia Salvatore. No. Non occorre tanto.
L'ho detto per un'altra peccatrice molti mesi sono. Le anime devono farsi da sé. Io passo, getto il
seme. Nel segreto il seme lavora. L'anima va rispettata in questo suo lavoro Se il primo seme non
attecchisce se ne semina un altro, un altro... ritirandosi solo quando si hanno prove sicure della
inutilità del seminare. E si prega. La preghiera è come la rugiada sulle zolle: le tiene morbide e
nutrite, e il seme può germogliare. Non fai così tu, donna, con le tue verdure?
Ora ascoltate la parabola del lavoro di Dio nei cuori per fondarvi il suo regno. Perché ogni cuore è
un piccolo regno di Dio sulla terra. Dopo, oltre la morte, tutti questi piccoli regni si agglomerano in
uno solo, nello smisurato, santo, eterno Regno dei Cieli.
Il regno di Dio nei cuori è creato dal Seminatore Divino. Egli viene al suo podere, - l'uomo è di Dio,
perciò ogni uomo è inizialmente suo - e vi sparge il suo seme. Poi se ne va ad altri poderi, ad altri
cuori. Si succedono i giorni alle notti e le notti ai giorni. I giorni portano sole o piogge, in questo
caso raggi d'amore divino e effusione della divina sapienza che parla allo spirito. Le notti portano
stelle e silenzio riposante: nel nostro caso richiami luminosi di Dio e silenzio per lo spirito perché
l'anima si raccolga e mediti.
Il seme, in questo succedersi di provvidenze inavvertibili e potenti, si gonfia, si fende, mette radici,
si abbarbica, getta fuori le prime fogliette, cresce. Tutto questo senza che l'uomo lo aiuti. La terra
produce spontaneamente l'erba dal seme, poi l'erba si fortifica e sorregge la spiga che sorge, poi la
spiga si alza, si gonfia, si indurisce, si fa bionda, dura, perfetta nel suo granire. Quando è matura
torna il seminatore e vi mette la falce, perché il tempo della perfezione è venuto per quel seme. Di
più non potrebbe evolversi e per questo viene colto.
Nei cuori la mia parola fa lo stesso lavoro. Parlo dei cuori che accolgono il seme. Ma il lavoro è
lento. Bisogna non sciupare tutto con l'intempestivtà. Come è faticoso al piccolo seme fendersi e
conficcare le radici nella terra! Anche al duro e selvaggio cuore è penoso questo lavoro. Deve
aprirsi, lasciarsi frugare, accogliere cose nuove, faticare a nutrirle, apparire diverso perché coperto
di umili ed utili cose e non più dell'attraente, pomposo e inutile esuberante fiorire che lo copriva
prima. Deve accontentarsi di lavorare con umiltà, senza attirare ammirazione, per l'utile dell'Idea
divina. Deve spremere tutte le sue capacità per crescere e fare spiga. Si deve arroventare d'amore
per divenire grano. E quando, dopo aver superato rispetti umani tanto, tanto, tanto penosi; dopo aver
faticato, sofferto ed essersi affezionato alla sua nuova veste, ecco che se ne deve spogliare con un
taglio crudele. Dare tutto per avere tutto. Rimanere spoglia per essere rivestito in Cielo della stola
dei santi. La vita del peccatore che diventa santo è il più lungo, eroico, glorioso combattimento. Io
ve lo dico.
Comprendete da quanto vi ho detto che è giusto che Io agisca verso Maria come agisco. Ho forse
agito diverso con te, Matteo?"
"No, mio Signore."
"E, dimmi il vero, ti ha più persuaso la mia pazienza o le rampogne acerbe dei farisei?"
"La tua pazienza, tanto che sono qui. I farisei, coi loro sprezzi e i loro anatemi, mi facevano
sprezzante, e per sprezzo facevo ancor più male di quanto avevo fino allora fatto. Succede così. Ci
si irrigidisce di più quando, essendo in peccato, ci si sente trattare da peccatori. Ma quando in
luogo di un insulto ci viene una carezza, si resta sbalorditi; poi si piange... e quando si piange
l'armatura del peccato si schiavarda e crolla. Si resta nudi davanti alla Bontà e la si supplica, col
cuore, di investirci di Sé."
"Hai detto bene. Beniamino, ti piace la storia? Sì? Bravo. E la mamma dove è?"
Risponde Giacomo d'Alfeo: "E' uscita al termine della parabola, andando di corsa per quella via."
"Andrà al mare per vedere se viene lo sposo" dice Tommaso.
"No. E' andata dalla vecchia madre, a prendere i fratellini. La mamma li porta là per poter lavorare"
dice il bambino appoggiato confidenzialmente ai ginocchi di Gesù.
"E tu stai qui, uomo? Devi essere un bell'aspide se ti tiene solo!" osserva Bartolomeo.
"Io sono il più grande, e l'aiuto..."
"A guadagnarsi il Paradiso, povera donna! Quanti anni hai?" chiede Pietro.
"Fra tre anni sono figlio della Legge." dice con superbia il monello.
"Sai leggere?" domanda il Taddeo.
"Sì... ma vado adagio perché... perché il maestro mi mette fuori quasi tutti i giorni..."
"L'ho detto io!" dice Bartolomeo
"Ma io faccio così perché il maestro è vecchio e brutto e dice sempre le stesse cose che fanno
dormire! Fosse come Lui (e accenna a Gesù) starei attento. Picchi, Tu, chi dorme o chi giuoca?"
"Io non picchio nessuno. Ma dico ai miei scolari: 'Siate attenti per vostro bene e per amore mio"
risponde Gesù.
"Ecco, così sì! Per amore sì. Non per paura."
"Ma se tu diventi buono, il maestro ti vuole bene."
"Tu vuoi bene solo a chi è buono? Poco fa hai detto che sei stato paziente con questo qui, che non
era buono...". La logica infantile è stringente.
"Io sono buono con tutti. Ma chi diventa buono è amato molto, molto da Me, e con quello sono
tanto, tanto buono."
Il bambino pensa... poi alza la testa e chiede a Matteo: "Tu come hai fatto a diventare buono?"
"Gli ho voluto bene."
Il bambino pensa ancora, e poi guarda i dodici e dice a Gesù: "Sono tutti buoni questi?"
"Certamente che lo sono."
"Ne sei sicuro? Delle volte io faccio il buono, ma è quando voglio fare un... malestro più grosso."
La risata di tutti è fragorosa. Ride anche l'ometto in via di confessarsi. Ride anche Gesù, che se lo
stringe al cuore e lo bacia.
Il bambino, ormai molto amico di tutti, vuole giocare e dice: "Ora ti dico io chi è buono" e inizia la
sua scelta. Guarda tutti e va dritto da Giovanni e Andrea che sono vicini e dice: "Tu e tu. Venite
qui." Poi sceglie i due Giacomi e li unisce ai due. Poi prende il Taddeo. Resta molto in pensiero
davanti allo Zelote e a Bartolomeo dice: "Siete vecchi, ma siete buoni" e li unisce agli altri.
Considera Pietro, che subisce l'esame facendo degli occhiacci per burla, e lo trova buono. Matteo
anche lui passa e così Filippo. A Tommaso dice: "Tu ridi troppo. Io faccio sul serio. Non sai che il
mio maestro dice che chi ride sempre sbaglia poi alla prova?". Ma insomma anche Tommaso passa,
con pochi voti, ma passa l'esame. Poi il bambino torna da Gesù.
"Ehi, monello! Ci sono anche io! Non sono una pianta. Sono giovane e bello. Perché non mi
esamini?" dice l'Iscariota.
"Perché non mi piaci. La mamma dice che quando una cosa non piace non la si tocca. Si lascia sulla
tavola, che la prendano gli altri ai quali può piacere. E dice che, se uno offre una cosa che non
piace, non si dice: 'Non mi piace'. Ma si dice: 'Grazie, non ho fame'. Io non ho fame di te."
"Ma come? Guarda, se mi dici che sono buono ti do questa moneta."
"Che me ne faccio? Cosa compero con una bugia? La mamma dice che i denari frutti di inganno
diventano paglia. Una volta dalla madre vecchia mi sono fatto dare con una bugia una didramma
per comperarmi le focacce col miele, e nella notte mi è diventato paglia. Lo avevo messo in quel
buco lì, sotto la porta, per prenderlo al mattino, e ci ho trovato un mannello di paglia."
"Ma perché non mi vedi buono? Che ho? Il piede fesso? Sono brutto?"
"No. Ma mi fai paura."
"Ma perché?" chiede l'Iscariota avvicinandosi.
"Non so. Lasciami stare. Non mi toccare o ti graffio."
"Che istrice! E' folle". Giuda ride male.
"Non folle. Tu sei cattivo" e il bambino si rifugia in grembo a Gesù, che lo carezza senza parlare.
Gli apostoli scherzano sull'accaduto, poco lusinghiero per l'Iscariota.
Intanto ecco che torna la donna con una dozzina di persone e poi, ancora, ecco altre e altre. Saranno
cinquanta circa. Tutta povera gente.
"Parleresti loro? Almeno un pochino. Questa è la madre di mio marito, questi i miei figli. E
quell'uomo là è mio marito. Una parola, Signore" supplica la donna.
"Per dirti grazie dell'ospitalità. Sì. La dico."
La donna entra in casa dove la reclama il poppante e si siede sulla soglia dando il seno da succhiare.
"Udite. Qui sulle mie ginocchia ho un bambino che ha parlato molto saggiamente. Ha detto: 'Tutte
le cose ottenute con inganno divengono paglia'. La sua mamma gli ha insegnato questa verità. Non
è favola. E' verità eterna. Non riesce mai bene quanto si fa senza onestà. Perché la menzogna nelle
parole, negli atti, nella religione, è sempre segno della alleanza con Satana, maestro di menzogna.
Non vogliate credere che le opere atte a conseguire il Regno dei Cieli siano opere fragorosamente
vistose. Sono atti continui, comuni, ma fatti con un fine soprannaturale d'amore. L'amore è il seme
della pianta che nascendo in voi cresce fino al Cielo, e alla cui ombra nascono tutte le altre virtù. Lo
paragonerò ad un minuscolo granello di senape. Come è piccino! Uno dei più piccoli fra i semi che
l'uomo sparge. Eppure guardate, quando è compiuta la pianta, quanto si fa forte e fronzuta e quanto
frutto dà. Non il cento per cento, ma il cento per uno. Il più piccolo. Ma il più solerte nel lavorare.
Quanto utile vi dona.
Così l'amore. Se voi chiuderete nel vostro seno un semino d'amore per il vostro santissimo Iddio e
per il vostro prossimo e sulla guida dell'amore farete le vostre azioni, non mancherete a nessun
precetto del Decalogo. Non mentirete a Dio con una falsa religione, di pratiche e non di spirito. Non
mentirete al prossimo con una condotta di figli ingrati, di sposi adulteri o anche solo troppo
esigenti, di ladri nei commerci, di mentitori nella vita, di violenti verso chi vi è nemico. Guardate in
quest'ora calda quanti uccellini si rifugiano fra le ramaglie di quest'orto. Fra poco quel solco di
senape, per ora piccina, sarà un vero passeraio. Tutti gli uccelli verranno al sicuro e all'ombra di
quelle piante così folte e comode, ed i piccoli degli uccelli impareranno a fare sicura l'ala proprio
fra quel rameggiare che fa scala e rete per salire e per non cadere. Così l'amore, base del Regno di
Dio.
Amate e sarete amati. Amate e vi compatirete. Amate e non sarete crudeli volendo più di quanto
non sia lecito da chi vi è sottoposto. Amore e sincerità per ottenere la pace e la gloria dei Cieli.
Altrimenti, come ha detto Beniamino, ogni vostra azione, fatta mentendo all'amore e alla verità, vi
si muterà in paglia per il vostro letto infernale.
Io non vi dico altre cose. Vi dico solo: abbiate presente il grande precetto dell'amore e siate fedeli a
Dio Verità ed alla verità in ogni parola, atto e sentimento, perché la verità è figlia di Dio. Una
continua opera di perfezionamento di voi, così come il seme continuamente cresce fino alla sua
perfezione. Un'opera silenziosa, umile, paziente. Siate certi che Dio vede le vostre lotte e vi premia
più di un egoismo vinto, di una parola villana trattenuta, di una esigenza non imposta, che non se,
armati in battaglia, uccideste il nemico. Il Regno dei Cieli, di cui sarete possessori se vivrete da
giusti, è costruito con le piccole cose di ogni giorno. Con la bontà, la morigeratezza, la pazienza, col
contentarsi di ciò che si ha, con il compatimento reciproco, con l'amore, l'amore, l'amore.
Siate buoni. Vivete in pace gli uni con gli altri. Non mormorate. Non giudicate. Dio sarà allora con
voi. Vi do la mia pace come benedizione e ringraziamento della fede che avete in Me."
Poi Gesù si volge alla donna dicendo: "Dio benedica te in particolare, perché sei una santa moglie e
una santa madre. Persevera nella virtù. Addio Beniamino. Sii sempre più amante della verità, e
ubbidisci a tua madre. La benedizione a te e ai tuoi fratellini, e a te, madre."
Un uomo si fa avanti. E' confuso e balbetta: "Ma, ma... io sono commosso di quanto dici di mia
moglie... Non sapevo..."
"Non hai occhi e intelletto, forse?"
"Li ho."
"Perché non li usi? Vuoi che te li snebbi?"
"Lo hai già fatto, Signore. Ma le voglio bene, sai? E' che... ci si abitua... e... e..."
"E ci si crede lecito pretendere troppo perché l'altro è più buono di noi... Non lo fare più. Sei sempre
in pericolo col tuo mestiere. Non temere delle burrasche se Dio è con te. Ma se con te è l'Ingiustizia,
temi fortemente. Hai capito?"
"Più che Tu non dica. Ma cercherò di ubbidirti... Non sapevo... Non sapevo..." e guarda la moglie
come la vedesse per la prima volta.
Gesù benedice ed esce sulla stradetta. Riprende il cammino verso la campagna.
185. La tempesta sedata. Un insegnamento nell’antefatto.
30 gennaio 1944.
[...].
Ora che tutti dormono, narro la mia gioia. Ho 'visto' il Vangelo di oggi.
Noti che stamane, leggendolo, ho detto a me stessa."Ecco un episodio evangelico che non vedrò
mai perché poco si presta ad una visione". Invece, quando meno vi pensavo, è proprio venuto ad
empirmi di gioia.
Ecco quanto vidi.
Una barca a vela, non eccessivamente grande ma neppure piccina, una barca da pesca, sulla quale
potevano comodamente muoversi un cinque o sei persone, solca le acque di un bel lago, color
azzurro intenso.
Gesù dorme a poppa. E' vestito di bianco come al solito. Ha il capo reclinato sul braccio sinistro, e
sotto al braccio e al capo ha messo il suo manto azzurro-grigio ripiegato a più doppi. E' seduto, non
sdraiato, sul fondo della barca, e appoggiata la testa su quel pezzo di tavolato che sta nella parte
estrema della poppa. Non so come la chiamano i marinai. Dorme placidamente. E' stanco. E'
placido.
Pietro è al timone, Andrea si occupa delle vele, Giovanni e due altri che non so chi siano riordinano
gomene e reti nel fondo della barca come avessero intenzione di prepararsi a una pesca, forse nella
notte. Direi che il giorno si avvia alla sera perché il sole già cala ad occidente. I discepoli hanno
tutti rialzate le tuniche facendole rimborsare alla vita, per mezzo della cintura, per essere più liberi
nei movimenti e nel passare qua e là nella barca scavalcando remi e sedili e ceste e reti senza che le
vesti diano noia. Si sono tutti levati il manto.
Vedo che il cielo si incupisce e il sole si nasconde dietro dei nuvoloni temporaleschi sbucati
d'improvviso da dietro una punta di collina. Il vento li spinge velocemente verso il lago. Il vento per
ora è alto e il lago è ancora quieto, solo si fa più cupo nella tinta e ha un corrugamento nella sua
superficie. Non sono ancora onde ma già si muovono le acque.
Pietro e Andrea osservano cielo e lago e predispongono le manovre per accostare a riva. Ma il vento
si abbatte sul lago e in pochi minuti tutto ribolle e schiuma. Onde che cozzano le une contro le altre,
che urtano la navicella, la alzano, l'abbassano, la piegano in tutti i sensi, impediscono le manovre
del timone come il vento quella della vela che viene abbassata.
Gesù dorme. Né i passi e le voci concitate dei discepoli, né i fischi del vento e neppure gli schiaffi
delle onde contro i fianchi e la prora lo svegliano. I suoi capelli ondeggiano al vento e qualche
spruzzo d'acqua lo arriva. Ma Egli dorme. Giovanni, da prua, corre a poppa e lo copre col suo
mantello che ha tratto da sotto un tavolato. Lo copre con delicato amore.
La tempesta si fa sempre più brutta. Il lago è nero come vi fosse versato dell'inchiostro, striato dalle
spume delle onde. La barca inghiotte acqua e sempre più viene spinta al largo dal vento. I discepoli
sudano nella manovra e nel buttare oltre bordo l'acqua che le onde rovesciano. Ma non serve a
nulla. Essi sguazzano ormai sino a metà gamba nell'acqua e la barca diviene sempre più pesante.
Pietro perde la calma e la pazienza. Dà al fratello il timone e traballando va verso Gesù e lo scuote
vigorosamente.
Gesù si sveglia e alza il capo.
"Salvaci, Maestro, noi periamo!" gli grida Pietro (deve gridare per farsi udire).
Gesù guarda il suo discepolo fissamente, guarda gli altri e poi guarda il lago. "Hai fede che Io vi
possa salvare?"
"Presto, Maestro" grida Pietro mentre una vera montagna d'acqua, partendo dal centro del lago, si
dirige veloce sulla povera barca. Sembra una tromba d'acqua tanto è alta e spaventosa. I discepoli
che la vedono venire si inginocchiano e si aggrappano dove possono, sicuri che è la fine.
Gesù si alza. In piedi su quel tavolato di prora. Figura bianca sul livido della bufera. Stende le
braccia verso il maroso e dice al vento: "Fermati e taci", e all'acqua: "Quietati. Lo voglio."
E il cavallone si dissolve in schiuma che cade senza nuocere con un ultimo ruggito che si spegne in
un mormorio, come il vento in un ultimo fischio che si muta in sospiro. E sul lago pacificato torna il
sereno del cielo e la speranza e la fede nel cuore dei discepoli.
La maestà di Gesù non la posso descrivere. Bisogna vederla per comprenderla. Ed io me la gusto
nel mio interno perché m'è tuttora presente, e penso a quanto era placido il sonno di Gesù e quanto
era potente il suo imperio sui venti e sulle onde.
Gesù dice poi:
"Non ti commento il Vangelo nel senso con cui tutti lo commentano. Ti illustro l'antefatto del brano
evangelico.
Perché Io dormivo? Non sapevo forse che la burrasca stava per venire? Sì, Io lo sapevo. Io solo lo
sapevo. E allora perché dormivo?
Gli apostoli erano uomini, Maria. Animati da buona volontà, ma ancora tanto 'uomini'. L'uomo si
crede sempre capace di tutto. Quando poi è realmente capace in una cosa, è pieno di sussiego e di
attaccamento per la sua 'capacità'.
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni erano dei buoni pescatori e perciò si credevano insuperabili
nelle manovre marinare. Io per loro ero un grande 'rabbi', ma un nulla come marinaio. Perciò mi
giudicavano incapace di aiutarli e, quando salivano in barca per traversare il mare di Galilea, mi
pregavano di stare seduto perché non ero capace di altro. Anche il loro affetto era causa di questo,
perché non volevano impormi fatiche materiali. Ma l'attaccamento alla loro capacità superava anche
l'affetto.
Io non mi impongo che in casi eccezionali, Maria. Generalmente vi lascio liberi e attendo. Quel
giorno, stanco e pregato di riposare, ossia di lasciarli fare, loro che erano tanto pratici, mi misi a
dormire.
Nel mio sonno era anche mescolata la constatazione del come l'uomo è 'uomo' e vuol fare da sé
senza sentire che Dio non chiede che di aiutarlo. Vedevo in quei 'sordi spirituali', in quei 'ciechi
spirituali', tutti i sordi e i ciechi dello spirito, che per secoli e secoli si sarebbero rovinati per 'voler
fare da sé' avendo Me curvo sui loro bisogni in attesa di essere chiamato in aiuto.
Quando Pietro gridò: 'Salvaci!', la mia amarezza cadde come un sasso lasciato andare.
Io non sono 'uomo', sono il Dio-Uomo. Non agisco come voi agite. Voi, quando uno ha respinto il
vostro consiglio o aiuto e lo vedete negli impicci, se anche non siete tanto cattivi da goderne, lo
siete sempre tanto da rimanere sdegnosamente, indifferentemente a guardarlo senza commuovervi
al suo grido di aiuto. Col vostro contegno gli significate: 'Quando ti volevo aiutare non mi hai
voluto? Ora fa' da te'. Ma Io sono Gesù. Sono il Salvatore. E salvo, Maria. Salvo sempre non
appena mi si invoca.
I poveri uomini potrebbero obbiettare: 'E allora perché permetti alle tempeste singole o collettive di
formarsi?'.
Se Io con la mia potenza distruggessi il Male, quale che sia, voi giungereste a credervi autori del
Bene, che in realtà sarebbe mio dono, e non vi ricordereste mai più di Me. Mai più.
Avete bisogno, poveri figli, del dolore per ricordarvi che avete un Padre. Come il figliol prodigo
che si ricordò di averlo quando ebbe fame. Le sventure servono a farvi persuasi del vostro nulla,
della vostra insipienza, causa di tanti errori, e della vostra cattiveria, causa di tanti lutti e dolori,
delle vostre colpe, causa di punizione che da voi vi date, e della mia esistenza, della mia potenza,
della mia bontà.
Ecco quel che vi dice il Vangelo di oggi. Il 'vostro' vangelo dell'ora presente, poveri figli.
Chiamatemi. Gesù non dorme che perché è angosciato di vedersi disamato da voi. Chiamatemi e
verrò".
[...].
186. I due indemoniati della regione dei Geraseni
11 giugno 1945.
Qui va messa la 'Tempesta sedata', avuta il 30 gennaio 1944. Poi la seguente visione.
Gesù, tagliato il lago, in direzione nord-ovest sud-est, si raccomanda a Pietro di sbarcare presso
Ippo. E Pietro ubbidisce senza discutere, scendendo con la barca fino all'imboccatura di un
fiumiciattolo che la primavera e il recente temporale fanno pieno e fragoroso e sbocca nel lago da
una gola aspra e scogliosa, come è tutta la costa in questo punto. I garzoni assicurano le barche - ve
ne è uno per ogni barca - e ricevono l'ordine di attendere fino a sera per tornare a Cafarnao.
"E fate i pesci con chi vi interroga" consiglia Pietro. "A chi vi domanda dove è il Maestro,
rispondete sicuri: 'Non so'. A chi vuole sapere dove è diretto, lo stesso. Tanto è la verità. Non lo
sapete."
Si separano, e Gesù intraprende la salita di un ripido sentiero che si inerpica sulla scogliera quasi a
picco. Gli apostoli lo seguono per il sentiero malagevole fino al sommo della scogliera, che si placa
in un pianoro sparso di querce sotto le quali pasturano molti porci.
"Fetidi animali!" esclama Bartolomeo. "Ci impediscono di passare..."
"No. Non ci impediscono. Vi è posto per tutti" risponde calmo Gesù.
Del resto i guardiani, vedendo degli israeliti, cercano di radunare i porci sotto le querce lasciando
libero il sentiero. E gli apostoli passano, facendo mille boccacce, fra le lordure lasciate dagli
animali, che grufolano ben pingui e sempre cercanti maggiore pinguedine.
Gesù è passato senza tante storie, dicendo ai guardiani del branco: "Dio vi rimuneri per la vostra
gentilezza."
I guardiani, povera gente di poco meno sporca dei loro porci e in compenso infinitamente più
magra, lo guardano stupiti e poi bisbigliano tra di loro. Uno dice: "Ma che non sia israelita?" Al che
gli altri rispondono: "Non vedi che ha le frange alla veste?"
Il gruppo apostolico si riunisce, ora che può procedere in gruppo su una viottola abbastanza ampia.
Il panorama è bellissimo. Sopraelevato di poche decine di metri sul lago, permette però di dominare
tutto lo specchio d'acqua con le città sparse sulle rive. Tiberiade splende con le sue belle costruzioni
in faccia al luogo dove sono gli apostoli. Qui sotto, ai piedi della scogliera basaltica, la breve
spiaggia pare un piccolo cuscino di verdura, mentre nella sponda opposta, da Tiberiade all'imbocco
del Giordano, vi è una pianura piuttosto ampia e acquitrinosa per le acque del fiume - che pare
stentino a riprendere il corso dopo la sosta nel placido lago - ma talmente folta di tutte le erbe e i
cespugli dei posti ricchi d'acque, e talmente popolata di uccelli acquatici dai colori variegati come
fossero sparsi di gioielli, che si guarda quel luogo come un giardino. Gli uccelli si alzano dalle folte
erbe e dai canneti volano sul lago, si tuffano per rapire alle acque un pesce, si alzano ancora più
splendenti per l'acqua che ha ravvivato i colori delle piume, e tornano verso la fiorita pianura su cui
il vento scherza smuovendone i colori.
Qui invece sono boschi di altissime querce sotto cui l'erba è soffice e smeraldina, e oltre questa
striscia di boschi il monte torna a salire dopo un vallone, facendo un rapido cocuzzolo roccioso su
cui sono incrostate le case, costruite su scaglioni di roccia. Credo che il monte faccia tutt'uno con le
murature, prestando le sue caverne per abitazioni, in un misto di città troglodita e di città comune.
E' caratteristica con questa ascesa a terrazzoni, per cui il tetto delle case del terrazzone sottostante è
all'altezza dell'ingresso terreno delle case dello scaglione soprastante. Dai lati dove il monte è più
ripido, ripido tanto da non permettere nessuna costruzione, sono caverne e spacchi profondi e
discese dirupate a valle. In tempo di acquazzoni quelle discese devono divenire altrettanti bizzarri
torrentelli. Massi di ogni sorta, rotolati a valle dalle alluvioni, fanno un caotico piedistallo al
monticello così aspro e selvaggio, gobbuto e petulante come un signorotto che vuole essere
rispettato ad ogni costo.
"Non è Gamala, quella?" chiede la Zelote.
"Sì, è Gamala. La conosci?" dice Gesù.
"Vi fui fuggiasco in una notte molto lontana. Poi venne la lebbra e non uscii più dai sepolcri."
"Fino qui fosti inseguito?" chiede Pietro.
"Venivo dalla Siria, dove ero andato cercando protezione. Ma mi scoprirono e solo la fuga in queste
terre mi risparmiò la cattura. Dopo sono sceso lentamente, e sempre minacciato, sino al deserto di
Tecua e da lì, lebbroso ormai, alla valle dei Morti. La lebbra mi salvava dai nemici..."
"Pagani questi, vero?" domanda l'Iscariota.
"Quasi tutti. Pochi ebrei per i traffici, e poi una mescolanza di credenze, o di non credenze affatto.
Però non furono malvagi col fuggiasco."
"Luoghi da banditi! Che gole!" esclamano in molti.
"Sì. Ma, credetelo, banditi ve ne sono di più dall'altro lato" dice Giovanni, ancora impressionato
dalla cattura del Battista.
"Dall'altro lato vi sono banditi anche fra quelli che hanno nome di giusti" termina suo fratello.
Gesù riprende la parola: "Eppure li avviciniamo senza ribrezzo. Mentre qui avete torto il viso
dovendo passare presso degli animali."
"Sono immondi..."
"Lo è molto di più il peccatore. Queste sono bestie fatte così, e non è loro da addebitarsi se così
sono. L'uomo è invece responsabile di essere immondo per il peccato."
"Ma allora perché per noi sono stati classificati immondi?" chiede Filippo.
"Una volta ne ho accennato. In quest'ordine vi è una ragione soprannaturale e una naturale. La
prima è di insegnare al popolo eletto a saper vivere avendo presente la sua elezione e la dignità
dell'uomo, anche in una azione comune come il mangiare. L'uomo selvaggio si ciba di tutto. Basta
empirsi il ventre. L'uomo pagano, anche se selvaggio non è, mangia ugualmente di tutto, senza
pensare che il supernutrirsi fomenta vizi e tendenze che avviliscono l'uomo. I pagani anzi cercano di
portarsi a questa frenesia di piacere che per loro è quasi una religione. I più colti fra voi sanno di
feste oscene in onore dei loro dèi che degenerano in una orgia di libidine. Il figlio del popolo di Dio
deve sapersi contenere, e nell'ubbidienza e nella prudenza perfezionare se stesso, avendo presente la
sua origine e il suo fine: Dio e il Cielo. La ragione naturale è di non eccitare il sangue con cibi che
portano a calori indegni dell'uomo, al quale non è negato l'amore anche carnale, ma che deve
temperarlo sempre con la freschezza dell'anima tendente al Cielo, fare perciò un amore, non una
sensualità, di quel sentimento che unisce l'uomo alla sua compagna, nella quale deve vedere la sua
simile e non la femmina. Ma le povere bestie non sono colpevoli di essere porci, né degli effetti che
la carne dei porci può, a lungo andare produrre nel sangue. Meno ancora ne hanno colpa gli uomini
preposti alla guardia dei porci. Se sono onesti, che differenza sarà, nell'altra vita, fra costoro e lo
scriba che sta curvo sui libri e che, purtroppo, non impara da essi la bontà? In verità vi dico che
vedremo guardiani di porci fra i giusti, e scribi fra gli ingiusti. Ma cosa è questo rovinìo?"
Si scansano tutti dal fianco del monte perché pietre e terriccio rotolano e rimbalzano per la china, e
si guardano attorno stupiti.
"Ecco, ecco! Ecco là! Due... nudi affatto... vengono verso noi e gesticolano. Folli..."
"O indemoniati" risponde Gesù all'Iscariota, che ha visto per primo due ossessi venire verso Gesù.
Devono essere usciti da qualche caverna nel monte. Urlano. E uno, il più veloce nella corsa, si
precipita verso Gesù. Pare uno strano uccellaccio spogliato delle penne, tanto va svelto e tanto
remiga con le braccia come fossero ali. Si abbatte ai piedi di Gesù gridando: "Qui sei, Padrone del
mondo? Che ho a fare con Te, Gesù, Figlio di Dio altissimo? Già è venuta l'ora del nostro castigo?
Perché sei venuto prima del tempo a tormentarci?".
L'altro indemoniato, sia perché fosse legato nella favella, sia perché posseduto da un demonio che
lo fa tardo, non fa che buttarsi bocconi e piangere piano e poi, messosi a sedere, resta come inerte,
giocherellando coi sassi e coi suoi piedi nudi.
Il demonio continua a parlare per bocca del primo, che si divincola al suolo in un parossismo di
terrore. Si direbbe che voglia reagire e non possa che adorare, attratto e respinto nello stesso tempo
dal potere di Gesù. Urla: "Ti scongiuro in nome di Dio, cessa di tormentarmi. Lasciami andare!"
"Sì, ma fuori da costui. Spirito immondo, esci da costoro, e di' il tuo nome."
"Legione è il mio nome perché siamo molti. Teniamo questi da anni e per essi spezziamo lacci e
catene, né c'è forza d'uomo che li possa tenere. Terrore essi sono, per causa di noi, e ce ne serviamo
per farti bestemmiare. Ci vendichiamo su questi del tuo anatema. Abbassiamo l'uomo sotto la belva
per irriderti, e non c'è lupo o sciacallo e iena, non avvoltoio e vampiro simili a questi che noi
teniamo. Ma non ci cacciare. Troppo orrido è l'inferno!..."
"Uscite! In nome di Gesù, uscite!" Gesù ha una voce di tuono e i suoi occhi dardeggiano splendori.
"Lasciami almeno entrare in quel branco di porci che Tu hai incontrato."
"Andate."
Con un urlo bestiale i demoni si separano dai due disgraziati e, fra un improvviso turbine di vento
che fa ondeggiare le querce come steli, si abbattono sui numerosissimi porci, che con stridi
veramente demoniaci si danno a correre come invasati attraverso le querce, si urtano, si feriscono, si
mordono e infine si precipitano nel lago quando, giunti sul ciglio dell'alta scogliera, non hanno più
che l'acqua sottostante per rifugio. Mentre i guardiani, travolti e desolati, urlano di spavento, le
bestie, centinaia, con un succedersi di tonfi precipitano nelle acque quiete, spezzandole in un
ribollire di spume, affondano, rigalleggiano, mostrando a turno i tondi ventri o i musi puntuti nei cui
occhi è il terrore, e infine affogano.
I pastori, urlando, corrono verso la città.
Gli apostoli, andati verso il luogo del disastro, tornano dicendo: "Non se ne è salvato uno! Hai reso
loro un brutto servizio!"
Gesù, calmo, risponde: "Meglio che periscano duemila porci che non un solo uomo. Date una veste
a costoro. Non possono stare così."
Lo Zelote apre un sacco e dà una delle sue vesti. Tommaso dà l'altra. I due sono ancora un poco
imbambolati come uscissero da un pesante sonno pieno di incubi.
"Date loro del cibo. Che tornino a vivere da uomini."
E mentre i due mangiano il pane e ulive che viene loro dato e bevono alla fiasca di Pietro, Gesù li
osserva.
Infine parlano: "Chi sei Tu?" dice uno.
"Gesù di Nazaret."
"Non ti conosciamo" dice l'altro.
"L'anima vostra mi ha conosciuto. Alzatevi ora e andate alle vostre case."
"Abbiamo molto sofferto, io credo, ma non ricordo bene. Chi è costui?" dice quello che parlava per
il demonio, e accenna al compagno.
"Non lo so. Era con te."
"Chi sei? E perché sei qui?" chiede al compagno.
Colui che era come muto, e che è il più inerte ancora, dice: "Sono Demetrio. Qui è Sidone?"
"Sidone è sul mare, uomo, Qui sei oltre il lago di Galilea."
"E perché sono qui?"
Nessuno può dare una risposta.
Sta giungendo della gente seguita dai pastori. Pare impaurita e curiosa. Quando poi vede i due
rivestiti e composti, il suo stupore aumenta.
"Quello è Marco di Giosia!... E quello è il figlio del mercante pagano!..."
"E quello è Colui che li ha guariti e che ha fatto perire i nostri porci perché folli dei demoni entrati
in loro" dicono i guardiani delle bestie.
"Signore, Tu sei potente, lo riconosciamo. Ma già troppo male ci hai fatto! Un danno di molti
talenti. Vattene, te ne preghiamo, che il tuo potere non abbia a far scoscendere il monte e a farlo
sprofondare nel lago. Va' via..."
"Vado. Non mi impongo a nessuno" e Gesù si rivolge per la via già fatta, senza discutere.
Lo segue, in coda agli apostoli, l'indemoniato che parlava. Dietro, a distanza, molti cittadini, per
vedere se parte proprio.
Rifanno il ripido sentiero e tornano alla foce del torrentello, presso le barche. I cittadini restano sul
ciglione a guardare. Il liberato scende dietro Gesù.
Nelle barche i garzoni sono esterrefatti. Hanno visto la pioggia dei porci nel lago e ancora
contemplano i corpi che affiorano sempre più numerosi, sempre più gonfi, con le tonde pance
all'aria e le corte zampette stecchite come quattro pioli infissi su un largo vescicone. "Ma che è
avvenuto?" chiedono.
"Ve lo diremo. Ora sciogliete e andiamo... Dove, Signore?" dice Pietro.
"Nel golfo di Tarichea."
L'uomo che li ha seguiti, ora che li vede salire sulle barche, supplica: "Prendimi con Te, Signore."
"No. Va' a casa tua; i tuoi hanno diritto di averti. E parla ad essi delle grandi cose che ti ha fatto il
Signore e come ha avuto pietà di te. Questa parte di terra ha bisogno di credere. Accendi le fiamme
della fede per riconoscenza al Signore. Va'. Addio."
"Confortami almeno con la tua benedizione, che il demonio non mi riprenda."
"Non temere. Se non vuoi non verrà. Ma ti benedico. Va' in pace."
Le barche si staccano dalla riva in direzione da est a ovest. Solo allora, mentre fendono i flutti sparsi
delle vittime suine, gli abitanti della città, che non ha voluto il Signore, si ritirano dal ciglione e se
ne vanno.
Qui dietro è la figura del luogo. (grafico)
187. Verso Gerusalemme per la Pasqua. Da Tarichea al monte Tabor.
12 giugno 1945.
Gesù congeda le barche dicendo: "Non tornerò indietro" e, seguito dai suoi attraverso la zona che
appariva ubertosa fin dall'opposta sponda, si dirige verso un monte che appare in direzione sudsudòvest.
Gli apostoli, poco entusiasti del cammino fra questa zona bella ma selvaggia -piena di falaschi che
si impigliano ai piedi, di canne che fanno piovere sul capo una pioggerellina di rugiada rimasta
trattenuta dalle coltelle delle foglie, di nocchi che percuotono il viso con la mazza dura del loro
frutto disseccato, di salci fragili che spiovono da ogni parte facendo il solletico, di traditrici zone
d'erba che pare nata su un suolo solido ed invece cela pozze d'acqua in cui il piede sprofonda perché
non sono che agglomerati di code di volpe e di vescicolarie nate in minuscoli stagni e così fitte da
nascondere l'elemento su cui sono nate - vanno in silenzio, parlandosi solo con gli occhi.
Gesù, dal suo canto, pare bearsi in tutto quel verde di mille colori, di tutti quei fiori che strisciano,
che stanno eretti, che si aggrappano per salire, che mettono sottili festoni sparsi di lievi convolvoli
di un rosa malva tenuissimo, che fanno un tappeto gentile d'azzurro per le migliaia di corolle di
miosotidi palustri, che aprono la perfetta coppa della corolla bianca, rosea o azzurra fra le larghe
foglie piatte dei nenufari. Gesù ammira i pennacchi delle canne palustri, setosi e tutti imperlati, e si
china beato ad osservare la gentilezza delle code di volpe che fanno un velo di smeraldo alle acque.
Gesù si ferma estatico davanti ai nidi che gli uccellini costruiscono con un andare e venire giocondo
fatto di trilli, di guizzi, di fatica lieta, col beccuccio pieno di fili di fieno, di bambagia delle canne,
di bioccoli di lana strappata alle siepi che l'avevano strappata ai greggi trasmigranti... Pare la
persona più felice che ci sia. Il mondo dove è con le sue cattiverie, falsità, dolori, insidie? Il mondo
è al di là di questa oasi verde e fiorita dove tutto profuma, splende, ride, canta. Qui è la terra creata
dal Padre e non profanata dall'uomo, e qui si può dimenticare l'uomo.
Vuol fare condividere la sua beatitudine agli altri. Ma non trova terreno propizio. I cuori sono
stanchi ed esacerbati di tanto malanimo e lo riversano sulle cose e anche sul Maestro con un
mutismo chiuso, che pare l'aria morta che precede un temporale. Solo il cugino Giacomo, lo Zelote
e Giovanni si interessano di quanto si interessa Gesù. Ma gli altri non sono che... assenti, per non
dire ostili. Forse, per non mormorare, tacciono fra di loro. Ma dentro devono parlare, e parlare
anche troppo.
E' proprio una più viva esclamazione di ammirazione davanti al gioiello vivo di un piombino che
viene a volo, portando alla compagna un pesciolino d'argento, che fa aprire loro la bocca.
Gesù dice: "Ma vi può essere qualcosa di più gentile?"
Pietro risponde: "Forse di più gentile no... ma ti assicuro che è più comoda la barca. Qui si è
nell'umido lo stesso, e in compenso non si è comodi..."
"Io preferirei la carovaniera a questo... giardino, se ti piace chiamarlo così, e sono proprio d'accordo
con Simone" dice l'Iscariota.
"La carovaniera non l'avete voluta voi" risponde Gesù.
"Eh! certo... Ma io non l'avrei data vinta ai geraseni. Me ne sarei andato di là, ma avrei proseguito
oltre il fiume, continuando per Gadara, Pella e giù, giù" brontola Bartolomeo.
E il suo grande amico Filippo termina: "Le strade sono di tutti, infine, e ci potevamo transitare noi
pure."
"Amici, amici! Sono tanto afflitto, sono tanto nauseato... Non aumentate la mia pena con le vostre
piccinerie! Lasciatemi cercare un poco di ristoro nelle cose che non sanno odiare..."
Il rimprovero, dolce nella sua tristezza, tocca gli apostoli.
"Hai ragione, Maestro. Siamo indegni di Te. Perdona la nostra stoltezza. Tu sei capace di vedere il
bello perché sei santo e guardi con gli occhi del cuore. Noi, carnaccia, sentiamo solo questa
carnaccia... Ma non ci badare. Credi che, anche fossimo in un paradiso, senza Te saremmo tristi.
Ma con Te... oh! è sempre bello per il cuore. Sono le membra sole che si rifiutano" mormorano in
molti.
"Fra poco usciremo di qui e troveremo suolo più comodo anche se meno fresco" promette Gesù.
"Dove andiamo di preciso?" chiede Pietro.
"A dare la Pasqua a chi soffre. Volevo farlo da tempo. Non ho potuto. L'avrei fatto al ritorno in
Galilea. Ora che ci obbligano a fare vie non scelte da noi, vado a benedire i poveri amici di Giona."
"Ma perderemo tempo! La Pasqua è prossima! Sempre ci sono ritardi per cause diverse." Un altro
coro di lamenti si alza al cielo.
Non so come Gesù possa portare tanta pazienza... Dice, senza rimproverare nessuno: "Ve ne prego,
non mi ostacolate! Comprendete il mio bisogno di amare e di essere amato. Non ho che questo
conforto sulla terra: l'amore e fare la volontà di Dio."
"E andiamo da qui? Non era più bello andarvi da Nazaret?"
"Se ve lo avessi proposto vi sareste ribellati. Nessuno mi crederà da queste parti... e lo faccio per
voi che... avete paura."
"Paura? Ah! no! Siamo pronti a combattere per Te."
"Pregate il Signore di non mettervi alla prova. Io vi so rissosi, astiosi, con una smania di offendere
chi mi offende, di mortificare il prossimo. Tutto questo lo so. Ma che siate coraggiosi non lo so. Per
Me sarei andato anche solo e per la via comune, e nulla mi sarebbe accaduto perché non è l'ora. Ma
ho pietà di voi. Ma ho ubbidienza a mia Madre e, si, anche questo, ma non voglio disgustare il
fariseo Simone. Io non li disgusterò. Ma loro saranno disgusto a Me."
"E di qui dove si passa? Non sono pratico di queste zone" dice Tommaso.
"Raggiungiamo il Thabor, lo costeggiamo in parte e passando presso Endor andiamo a Naim; da qui
nella piana di Esdrelon. Non temete!... Doras, figlio di Doras, e Giocana sono già a Gerusalemme."
"Oh! sarà bello! Dicono che dalla cima, da un punto, si veda il mare grande, quello di Roma. Mi
piace tanto! Ci porti a vederlo?". Giovanni prega col suo volto di fanciullo buono alzato verso Gesù.
"Perché ti piace tanto vederlo?" chiede Gesù accarezzandolo.
"Non so... perché è grande e non si vede fine... Mi fa pensare a Dio... Quando siamo stati sul Libano
io ho visto il mare per la prima volta, perché non ero stato altro che lungo il Giordano oppure sul
nostro piccolo mare... e ho pianto di emozione. Tanto azzurro! Tanta acqua! E che non trabocca
mai!... Che cosa meravigliosa! E gli astri che fanno vie di luce sul mare... Oh! non ridere di me!
Guardavo la via d'oro del sole fino ad essere abbacinato, quella d'argento della luna fino a non avere
che un candore fisso nell'occhio, e le vedevo perdersi lontano lontano. Mi parlavano quelle vie. Mi
dicevano: 'Dio è in quella lontananza infinita, e queste sono le vie di fuoco e di purezza che
un'anima deve seguire per andare da Dio. Vieni. Tuffati nell'infinito, remigando su queste due vie, e
l'Infinito troverai'."
"Sei poeta, Giovanni" dice il Taddeo ammirato.
"Non so se sia poesia questa. So che mi accende il cuore."
"Ma il mare lo hai visto anche a Cesarea e a Tolemaide, e ben da vicino. Eravamo sulla riva! Non
vedo la necessità di fare tanta strada per vedere altra acqua marina. In fondo... ci siamo nati
sull'acqua..." osserva Giacomo di Zebedeo.
"E ci siamo anche ora purtroppo!" esclama Pietro che, distrattosi un momento per ascoltare
Giovanni, non ha visto una pozzanghera infida, e si è innaffiato generosamente... Ridono, lui per il
primo.
Ma Giovanni risponde: "E' vero. Ma dall'alto è più bello. Si vede di più e più lontano. Si pensa più
alto e più vasto... Si desidera... si sogna..." e veramente Giovanni sogna già... Guarda davanti a sé,
sorride al suo sogno... Pare una rosa carnicina cosparsa di minutissima rugiada, tanto la sua pelle
liscia e chiara di giovane biondo si fa di un vellutato carnicino e si cosparge di un lieve sudore, che
la fa ancor più simile ad un petalo di rosa.
"Cosa desideri? Cosa sogni?" chiede piano Gesù al suo prediletto, e pare un padre che interroghi
dolcemente un caro figliolino parlante in un dolce sonno. Parla proprio all'anima di Giovanni, Gesù,
tanto è dolce nell'interrogare per non lacerare il sogno dell'amoroso.
"Desidero andare per quel mare infinito... verso altre terre che sono al di là di esso... Desidero
andare per parlare di Te... Sogno... sogno un andare verso Roma, verso la Grecia, verso i posti
oscuri per portare la Luce... onde i viventi nelle tenebre vengano a contatti con Te e vivano in una
comunione con Te, Luce del mondo... Sogno un mondo migliore... da far migliorare attraverso la
tua conoscenza, ossia attraverso la conoscenza dell'Amore che faccia buoni, che faccia puri, che
faccia eroici, un mondo che si ami nel tuo Nome, e sopra l'odio, sopra il peccato, la carne, il vizio
della mente, sopra l'oro, sopra ogni cosa alzi il tuo Nome, la tua Fede, la tua Dottrina... e sogno di
essere io con questi miei fratelli ad andare per il mare di Dio, su strade di luce a portare Te... come
un tempo tua Madre ti ha portato fra noi dai Cieli... Sogno... sogno di essere il fanciullo che, non
conoscendo altro che l'amore, è sereno anche incontro ai tormenti... e canta per riconfortare gli
adulti che riflettono troppo, e va avanti... incontro alla morte con un sorriso... incontro alla gloria
con l'umiltà di chi non sa quanto fa, ma sa solo di venire a Te, Amore..."
Gli apostoli non hanno tirato respiro durante la estatica confessione di Giovanni... Fermi dove
erano, guardando il più giovane che parla con gli occhi velati dalle palpebre come di un velo gettato
sull'ardore saliente dal cuore, guardando Gesù che si trasfigura nella gioia di ritrovarsi così
completo nel suo discepolo...
Quando Giovanni tace, rimanendo un poco curvo - e ricorda la grazia dell'umile Annunziata di
Nazaret - Gesù lo bacia sulla fronte dicendo: "Andremo a vedere il mare, per farti sognare ancora
l'avvenire del mio Regno nel mondo."
"Signore... dopo hai detto che andiamo a Endor. Accontenta allora anche me... per farmi passare
l'amaro del giudizio di quel fanciullo..." dice l'Iscariota.
"Oh! ci pensi ancora?" chiede Gesù.
"Sempre. Mi sento diminuito ai tuoi occhi e a quelli dei compagni. Penso ai vostri pensieri..."
"Come ti affatichi per nulla il cervello! Io neppure più pensavo a quell'inezia, e certo così era negli
altri. Tu ce lo fai ricordare... Sei un fanciullo abituato solo alle carezze, e la parola di un bimbo ti è
parsa la condanna di un giudice. Ma non è questa parola che devi temere, sibbene le tue azioni e il
giudizio di Dio. Ma per persuaderti che mi sei caro come prima, come sempre, ti dico che ti
accontenterò. Che vuoi vedere ad Endor? E' un povero posto fra le rocce..."
"Portamici... e te lo dirò."
"Va bene. Ma guarda di non soffrirne poi..."
"Se a questo non può essere sofferenza vedere il mare, a me non può far danno vedere Endor."
"Vedere?... No. Ma è il desiderio di quel che si cerca vedere nel vedere, che può far male. Ma vi
andremo..."
E riprendono la strada diretti verso il Thabor la cui mole appare sempre più vicina, mentre il suolo
si spoglia del suo aspetto palustre, si fa solido e più raro di vegetazione, lasciando posto a piante
più alte o a cespugli di vitalbe e rovi che ridono con le loro fronde novelle ed i fiori precoci.
188. A Endor. La spelonca della maga e l’incontro con Felice chiamato poi
Giovanni.
13 giugno 1945.
Il Thabor è ora alle spalle dei camminatori. Già superato. Per una pianura chiusa fra questo monte
ed un altro che è in faccia, il gruppo cammina, parlando dell'ascensione fatta da tutti, per quanto
sembra che in principio i più anziani se ne volessero risparmiare. Ma ora sono contenti di essere
andati là in cima.
Il cammino è facile perché si è su una via maestra abbastanza comoda. L'ora è fresca perché ho
l'impressione che abbiano pernottato sulle pendici del Tabor.
"Quello è Endor" dice Gesù accennando un povero paese aggrappato alle prime elevazioni di
quest'altro gruppo montano. "Ci vuoi proprio andare?"
"Se mi vuoi fare contento... "risponde l'Iscariota.
"E andiamo allora."
"Ma ci sarà molto da camminare?" chiede Bartolomeo, che per l'età non deve essere molto voglioso
di escursioni panoramiche.
"Oh! no! Ma se volete rimanere..." dice Gesù.
"Sì, sì! Rimanete pure. Mi basta andare col Maestro" si affretta a dire Giuda di Keriot.
"Ecco, io vorrei sapere cosa c'è di bello da vedere, prima di decidere... In cima al Tabor abbiamo
visto il mare, e dopo il discorso del ragazzo debbo confessare che l'ho visto per bene per la prima
volta e l'ho visto come lo vedi Tu: col cuore. Qui... vorrei sapere se c'è da imparare qualche cosa, e
allora vengo anche se devo fare fatica..." dice Pietro.
"Li senti? Tu non hai ancora detto le tue intenzioni. Per gentilezza verso i compagni, dille ora"
invita Gesù.
"Non è a Endor che Saul volle andare per consultare la pitonessa?"
"Sì. Ebbene?"
"Ebbene, Maestro, mi piacerebbe andare in quel luogo e sentire da Te parlare di Saul."
"Oh! allora ci vengo anche io!" esclama Pietro entusiasta.
"E allora andiamo."
Fanno a passo svelto l'ultimo tratto di via maestra e poi la lasciano per una via secondaria che porta
diritta a Endor.
E' un povero luogo, come ha detto Gesù. Le case sono abbarbicate alle pendici che dopo, oltre il
paese, si fanno più aspre. Povera gente le abita. Per lo più i cittadini devono esercitare la pastorizia
su per i pascoli del monte e fra i boschi di querce secolari. Pochi campicelli d'orzo, o simile biada,
nei ritagli propizi, e delle piante di melo e di fico. Poche viti intorno alle case, a fare un poco di
decorazione alle muraglie, oscure come questo fosse un posto piuttosto umido.
"Ora domanderemo dove era il luogo della maga" dice Gesù. E ferma una donna che torna con le
anfore dalla fontana.
Questa lo guarda curiosamente, poi risponde sgarbata: "Non so. Ho ben altre cose, più importanti,
io, di queste fole!" e lo pianta in asso.
Gesù si rivolge a un vecchietto che intaglia un pezzo di legno.
"La maga?... Saul?... E chi se ne occupa più? Però, aspetta... C'è uno che ha studiato e forse
saprà...Vieni."
E il vecchietto arranca su per una vietta sassosa fino ad una casa molto misera e molto sciatta. "Sta
qui. Ora entro e lo chiamo."
Pietro, accennando a del pollame che razzola in un cortiletto sudicio, dice: "Questo uomo non è
israelita". Ma non dice altro, perché torna il vecchietto seguito da un uomo guercio, sporco e
disordinato, come tutto quanto è della sua casa.
Il vecchietto dice: "Vedi? Quest'uomo dice che è là, oltre quella casa diroccata. Un sentiero, poi un
ruscello, poi un bosco e delle caverne; la più alta, quella che mostra ancora delle mura diroccate sul
suo fianco, è quella che cerchi. Non hai detto così?"
"No. Hai tutto confuso. Andrò io con questi stranieri". L'uomo ha una voce aspra e gutturale, il che
aumenta il senso di disagio.
Si incammina. Pietro, Filippo e Tommaso fanno segni su segni a Gesù perché non vada. Ma Gesù
non dà retta. Cammina con Giuda, dietro all'uomo, e gli altri lo seguono... di malavoglia.
"Sei israelita?" chiede l'uomo.
"Sì."
"Io pure, o quasi, benché non sembri. Ma sono stato molto tempo in altri paesi e ho preso abitudini
che questi stolti deplorano. Sono meglio degli altri. Ma mi dicono demonio perché leggo molto,
allevo pollame che vendo ai romani e so curare con le erbe. Da giovane, per una donna, mi presi
con un romano - allora stavo a Cintio - e lo pugnalai. Lui morì, io vi persi l'occhio e le sostanze e
fui condannato all'ergastolo per molti anni... per sempre. Ma sapevo curare, e guarii la figlia di un
guardiano. Ciò mi valse la sua amicizia, e un poco di libertà... L'ho usata per fuggire. Ho fatto male,
perché l'uomo certo scontò la mia fuga con la vita. Ma la libertà sembra bella quando si è
prigionieri..."
"E non è bella, poi?"
"No. E' meglio la carcere, dove si è soli, al contatto cogli uomini che non concedono di esser soli e
che ci stanno intorno per odiarci..."
"Hai studiato i filosofi?"
"Ero maestro a Cintium... Ero proselite..."
"E ora?"
"E ora sono nulla. Vivo nella realtà. E odio, come fui e come sono odiato.
"Chi ti odia?"
"Tutti. E Dio per il primo. Era mia moglie... e Dio ha permesso mi tradisse e mi rovinasse. Ero
libero e rispettato, e Dio ha permesso divenissi un ergastolano. L'abbandono di Dio, l'ingiustizia
degli uomini. Ha annullato Quello e questi. Qui non c'è più niente..." e si batte sulla fronte e sul
petto. "Cioè, qui, nella testa, c'è il pensiero, il sapere. Qui è che non c'è nulla" e sputa con sprezzo.
"Ti sbagli. Lì hai ancora due cose."
"Quali?"
"Il ricordo e l'odio. Levale. Sii veramente vuoto... ed Io ti darò una cosa nuova da mettere lì."
"Che cosa?"
"L'amore"
"Ah! Ah! Ah! Mi fai ridere! Sono trentacinque anni che non ridevo più, uomo. Da quando ebbi la
prova che la femmina mi tradiva col mercante di vini romano. L'amore! L'amore a me! Come se io
gettassi gioielli ai miei polli! Morirebbero di indigestione se non riuscissero a passarli nello sterco.
Lo stesso a me. Mi farebbe peso il tuo amore se non lo potessi digerire..."
"No, uomo! Non dire così!". Gesù gli posa la mano sulla spalla, veramente e palesemente afflitto.
L'uomo lo guarda col suo unico occhio, e quel che vede in quel viso dolce e bellissimo lo fa
ammutolire e cambiare espressione. Dal sarcasmo passa ad una serietà profonda, da questa ad una
vera mestizia. China il capo e poi chiede con voce mutata: "Chi sei?"
"Gesù di Nazaret. Il Messia."
"Tu!!!"
"Io. Non sapevi di Me, tu che leggi?"
"Sapevo... Ma non che eri vivo e non... oh! soprattutto questo non sapevo! Non sapevo che eri
buono con tutti... così... anche con gli assassini... Perdona quanto ti ho detto... di Dio e dell'amore...
Ora capisco perché Tu vuoi darmi l'amore... Perché senza l'amore il mondo è un inferno, e Tu,
Messia, ne vuoi fare un paradiso"
"Un paradiso in ogni cuore. Dàmmi il ricordo e l'odio che ti tengono malato e lascia che Io ti metta
in cuore l'amore!"
"Oh! se ti avessi conosciuto prima!... allora... Ma quando io uccidevo Tu non eri certo nato... Ma
dopo... dopo... quando, libero come è libero il serpente nelle foreste, io vissi per avvelenare col mio
odio."
"Ma hai fatto anche del bene. Non hai detto che curavi con le erbe?"
"Sì. Per essere tollerato. Ma quante volte ho lottato con la voglia di avvelenare coi filtri!... Vedi? Mi
sono rifugiato qui perché... è un paese dove si ignora il mondo e che il mondo ignora. Un paese
maledetto. Altrove ero odiato e odiavo e avevo paura di essere riconosciuto... Ma cattivo sono."
"Hai un rimpianto per avere causato del male al guardiano della prigione. Vedi che ancora sei
munito di bontà? Non sei malvagio... Sei solo con una grande ferita aperta, e nessuno te la medica...
La tua bontà fugge da essa come il sangue dalle ferite. Ma se ci fosse chi ti cura e chiude la tua
ferita, povero fratello, la tua bontà, non più sfuggente man mano che si forma, crescerebbe in te..."
L'uomo piange a capo chino, senza che nulla tradisca quel pianto. Solo Gesù, che gli cammina a
fianco, lo vede. Sì, lo vede. Ma non dice più altro.
Arrivano ad una spelonca che è fatta di macerie crollate e di caverne nel monte. L'uomo cerca di
fare ferma la voce, e dice: "Ecco, è qui. Entra pure."
"Grazie, amico. Sii buono."
L'uomo non dice nulla e resta dove è, mentre Gesù coi suoi, superando pietroni che certo erano
pezzi di muraglie ben robuste, disturbando ramarri e altre brutte bestie, entrano in una vasta grotta
affumicata sulle cui pareti, graffiti nel masso, sono ancora i segni dello zodiaco e simili storie. In un
angolo affumicato vi è una nicchia e, sotto, un buco come fosse un tombino per lo scolo di liquidi. I
pipistrelli decorano il soffitto dei loro grappoli che fanno ribrezzo, e un gufo, disturbato dalla luce
di un ramo che Giacomo ha acceso per vedere se calpestano scorpioni o aspidi, si lamenta sbattendo
le ali ovattate e stringendo gli occhiacci feriti dalla luce. E' proprio appollaiato nella nicchia, e un
fetore di topi morti, di donnole, di uccelli in putrefazione fra i suoi piedi, si mescola all'odore dello
sterco e del suolo umido.
"Un bel posto in verità!" dice Pietro. "Era meglio il tuo Tabor e il mare, ragazzo!". E poi volgendosi
a Gesù: "Maestro, accontenta presto Giuda perché qui... non è certo la sala regale di Antipa!"
"Subito. Che vuoi sapere di preciso?" chiede a Giuda di Keriot.
"Ecco... Vorrei sapere se e perché Saul ha peccato venendo qui... Vorrei sapere se è possibile che
una donna possa evocare i morti. Vorrei sapere se... Oh! insomma, parla Tu. Io ti farò domande."
"Affare lungo! Andiamo almeno lì fuori, al sole, sui massi... Ci salveremo dall'umido e dal fetore"
prega Pietro.
E Gesù acconsente. Si siedono come possono sulle muraglie crollate.
"Il peccato di Saul non è stato che uno dei peccati dello stesso. Fu preceduto e seguito da molti altri.
Tutti gravi. Ingratitudine duplice verso Samuele che lo unge re e che si eclissa poi per non dividere
col re l'ammirazione del popolo. Ingrato più volte verso Davide che lo libera da Golia, che lo
risparmia nella caverna di Engaddi e ad Achila. Colpevole di multiple disubbidienze e di scandalo
nel popolo. Colpevole di aver addolorato Samuele suo benefattore mancando alla carità. Colpevole
di gelosia e di attentati verso Davide, altro suo benefattore, e infine del delitto commesso qui."
"Contro chi? Non vi ha ucciso nessuno."
"La sua anima ha ucciso, ha finito di uccidere, qui dentro. Perché abbassi il capo?"
"Penso, Maestro"
"Pensi. Lo vedo. Che pensi? Perché sei voluto venire? Non per pura curiosità di studioso,
confessalo."
"Sempre si sente parlare di maghi, di negomanzie, di spiriti evocati... Volevo vedere se scoprivo
qualcosa... Mi piacerebbe sapere come avviene... Penso che noi, destinati a stupire per attirare,
dovremmo essere un poco negromanti. Tu sei Tu e fai col tuo potere. Ma noi dobbiamo chiederlo
un potere, un aiuto, per fare opere strane, che si impongano..."
"Oh! ma sei folle? Ma che dici?" urlano in molti.
"Tacete. Lasciatelo parlare. Non è follia la sua."
"Sì, insomma mi pareva che, venendo qui, qualche poco della magia di un tempo potesse entrare in
me e farmi più grande. Per l'interesse tuo, credilo."
"So che sei sincero in questo tuo desiderio attuale. Ma ti rispondo con parole eterne, perché sono del
Libro, e il Libro sarà finché sarà l'uomo. Creduto o schernito, impugnato in nome della Verità o
deriso, sarà, sempre sarà.
E' detto: 'Ed Eva, visto che il frutto dell'albero era buono a mangiarsi e bello a vedersi, lo colse e ne
mangiò e ne diede al marito... E allora i loro occhi si apersero e si accorsero di essere nudi e si
fecero delle cinture... E Dio disse: 'Come vi siete accorti di essere nudi? Solo per avere mangiato il
frutto proibito'. E li cacciò dal paradiso di delizie'. E nel libro di Saul è detto: 'Disse Samuele
apparendo: 'Perché mi hai disturbato col farmi evocare? Perché interrogarmi dopo che il Signore si
è ritirato da te? Il Signore ti tratterà come ti ho detto... perché tu non hai ubbidito alla voce del
Signore.'
Figlio, non tendere la mano al frutto proibito. Anche solo accostarlo è imprudenza. Non avere
curiosità di conoscere l'ultraterreno per tema che non ti se ne apprenda il satanico veleno. Fuggi
l'occulto e ciò che non si spiega. Una sola cosa va accolta con santa fede: Dio. Ma ciò che Dio non
è, e che non è spiegabile con le forze della ragione e creabile con le forze dell'uomo, fuggilo,
fuggilo, ché non ti si aprano le fonti della malizia e tu non comprenda di essere 'nudo'. Nudo:
repellente nella umanità mista al satanismo. Perché vuoi stupire con prodigi oscuri? Stupisci con la
tua santità, e sia luminosa come una cosa che viene da Dio. Non avere desiderio di lacerare i veli
che separano i viventi dai trapassati. Non disturbare i defunti. Ascoltali, se saggi, finché sono sulla
terra, venerali con l'ubbidirli anche dopo la morte. Ma non turbare la loro seconda vita. Chi non
ubbidisce alla voce del Signore perde il Signore. E il Signore ha proibito l'occultismo, la
negromanzia, il satanismo in tutte le sue forme. Che vuoi sapere di più di quanto la Parola non ti
dica già? Che vuoi operare più di quanto la tua bontà e il mio potere ti concedano di operare? Non
appetire al peccato, ma alla santità, figlio.
Non ti mortificare. Mi piace che tu ti sveli nella tua umanità. Quello che piace a te, piace a molti, a
troppi. Solo, il fine che tu metti a questo tuo desiderio: 'essere potente per attirare a Me', leva a
quest'umanità molto peso e vi mette ali. Ma sono di uccello notturno. No, mio Giuda. Mettivi ali
solari, ali d'angelo al tuo spirito. Col solo vento di esse attirerai i cuori e li trasporterai, nella tua
scia, a Dio. Possiamo andare?"
"Sì, Maestro! Ho sbagliato..."
"No. Sei stato un indagatore... Il mondo ne sarà sempre pieno. Vieni, vieni. Usciamo da questo
luogo di puzzo. Incontro al sole andiamo! Fra pochi giorni è Pasqua, e dopo andremo da tua madre.
Io evoco quella: la tua casa onesta, la tua madre santa. Oh! che pace!"
Come sempre, il ricordo della madre, la lode del Maestro alla madre, rasserena Giuda.
Escono dalle rovine e cominciano a scendere per il sentiero fatto prima. L'uomo guercio è ancora lì.
"Qui ancora?" chiede Gesù mostrando di non vedere il viso rosso per il molto pianto versato.
"Qui. Se mi permetti, ti seguo. Ho da dirti una cosa..."
"Vieni dunque con Me. Che vuoi dirmi?"
"Gesù... Io trovo che per avere forza di parlare, e di fare la magia santa di cambiare me stesso, di
evocare la mia anima morta come la maga evocò, per Saulle, Samuele, devo dire il tuo Nome, dolce
come il tuo sguardo, santo come la tua voce. Tu mi hai dato una nuova vita ed essa è informe,
incapace come quella di un neonato mal generato. Si dibatte ancora fra le strette di una scorza
malvagia. Aiutami a uscire dalla mia morte."
"Sì, amico."
"Io... io ho conosciuto di avere ancora un poco di umanità nel mio cuore. Non tutto belva sono, e
posso ancora amare ed essere amato, perdonare ed essere perdonato. Il tuo amore, il tuo amore che è
perdono, me lo insegna. Non è vero che è così?"
"Sì, amico."
"Allora... portami con Te. Io ero Felice! Ironia! Ma Tu dàmmi un nuovo nome. Che il passato sia
realmente morto. Ti seguirò come un cane randagio che finalmente trova un padrone. Sarò il tuo
schiavo se vuoi. Ma non lasciarmi solo..."
"Sì, amico."
"Che nome mi dai?"
"Un nome a Me caro: Giovanni. Perché tu sei la grazia che fa il Signore."
"Mi prendi con Te?"
"Per ora sì. Poi mi seguirai fra i discepoli. Ma la tua casa?"
"Non ho più casa. Lascerò ai poveri quanto ho. Dàmmi solo amore e un pane."
"Vieni." E Gesù si volge chiamando gli apostoli. "Amici, e specie tu, Giuda, abbiate il mio grazie.
Per te, per voi un'anima viene a Dio. Ecco il nuovo discepolo. Viene con noi finché non potremo
affidarlo ai fratelli discepoli. Siate felici di aver trovato un cuore e benedite con Me Iddio."
Molto felici veramente non sembrano i dodici. Ma fanno buon viso per ubbidienza e cortesia.
"Se permetti vado avanti. Mi troverai sulla soglia di casa."
"Va' pure."
L'uomo parte di corsa. Pare un altro.
"Ed ora che siamo soli vi ordino, questo lo ordino, di essere buoni con lui e di tacere il suo passato a
chicchessia. Chi parlasse, o chi mancasse di carità al fratello redento, verrebbe all'istante respinto
da Me. Avete inteso? E vedete quanto è buono il Signore! Venuti qui per fine umano, ci concede di
ripartirne avendo ottenuto un fatto soprannaturale. Oh! Io giubilo per la gioia che ora è nel Cielo per
il nuovo convertito."
Giungono davanti alla casa. Sulla soglia, con una veste scura e pulita, un mantello uguale, un paio
di sandali nuovi e una capace sacca sulle spalle, è l'uomo. Chiude l'uscio e poi, strano in un uomo
che si potrebbe pensare insensibile, prende una gallinella bianca, forse la prediletta, che si accoccola
domestica sulle sue mani, e la bacia e piange, e poi la posa.
"Andiamo... e perdona. Ma essi, i miei polli, mi hanno amato... Parlavo con loro e... mi capivano..."
"Ti capisco anche Io... e ti amo. Tanto. Ti darò tutto l'amore che in trentacinque anni il mondo ti ha
negato..."
"Oh! lo so! Lo sento! Per questo vengo. Ma compatisci l'uomo che... che ama un animale che...
che... che gli è stato più fedele dell'uomo..."
"Sì... sì. Non pensare più al passato. Avrai tanto da fare! E con la tua esperienza farai tanto bene.
Simone, vieni qui, e tu, Matteo. Vedi? Questo fu più che prigioniero, e lebbroso fu. Questo fu
peccatore. Ed Io li ho cari perché sanno capire i poveri cuori... Non è vero?"
"Per bontà tua, Signore. Ma certo, credi, amico, che tutto si annulla nel servirlo. Resta solo la pace."
dice lo Zelote.
"Sì. La pace e una giovinezza nuova succede dove era vecchiezza di vizio e di odio. Io ero
pubblicano. Ma ora sono l'apostolo. Abbiamo davanti il mondo. E noi siamo istruiti circa esso. Non
siamo fanciulli svagati che passano presso il frutto nocivo e la pianta che piega e non vedono la
realtà. Noi sappiamo. Possiamo evitare il male e insegnare agli altri ad evitarlo. E sappiamo
raddrizzare chi piega. Perché sappiamo come è di sollievo essere sorretti. E sappiamo chi sorregge:
Lui" dice Matteo.
"E' vero! E' vero! Mi aiuterete. Grazie. E' come io passassi da un luogo oscuro e fetido all'aperto di
un prato fiorito... Ho provato qualcosa di simile quando sono uscito, libero, finalmente libero, dopo
venti anni di ergastolo e di lavoro brutale nelle miniere dell'Anatolia, e mi sono trovato - ero fuggito
in una sera burrascosa - in cima ad un monte aspro, ma aperto, ma pieno di sole per l'aurora e
coperto di boschi odorosi... La libertà! Ma ora è di più! Tutto in me si dilata! Non avevo più catene
da quindici anni. Ma l'odio, ma la paura, ma la solitudine mi erano sempre catene... Ora sono
cadute!... Eccoci alla casa del vecchio che vi ha portati a me. Uomo! Uomo!"
Il vecchietto accorre e resta di stucco vedendo che il guercio è pulito, in veste da viaggio, e con un
viso sorridente.
"Tieni. Questa è la chiave della mia casa. Io vado via, per sempre. Ti sono grato perché tu sei il mio
benefattore. Mi hai reso la famiglia. Fa' del mio tutto quello che vuoi... e curai miei polli. Non li
maltrattare. Ogni sabato viene un romano e compra le uova... Ti daranno dell'utile... Trattale bene le
mie gallinelle... e Dio te ne remuneri."
Il vecchietto è trasecolato... Prende la chiave e resta a bocca aperta.
Gesù dice: "Sì, fa' come egli dice, e Io pure te ne sarò grato. In nome di Gesù ti benedico."
"Il Nazareno! Sei Tu! Misericordia! Ho parlato col Signore! Donne! Donne! Uomini! Il Messia è fra
noi!". Strilla come un'aquila, e corrono persone da ogni parte.
"Benedici! Benedici!" gridano. E altri: "Resta!"; e altri: Dove vai? Almeno di' dove vai."
"A Naim. Restare non posso."
"Ti seguiamo! Lo vuoi?"
"Venite. E a chi resta pace e benedizione."
Si avviano verso la via maestra. La prendono.
L'uomo, che cammina vicino a Gesù e che fatica sotto la sua sacca, attira la curiosità di Pietro. "Ma
che hai lì dentro di tanto pesante?" chiede.
"Le vesti... e dei libri... I miei amici dopo e con i polli. Non ho potuto separarmi. E pesano."
"Eh! la scienza pesa! Già! E a chi piace, eh?"
"Mi hanno impedito di impazzire."
"Eh! ci devi voler bene! Ma, che libri sono?"
"Filosofia, storia, poesia greca, romana..."
"Belli, belli. Certo belli. Ma... pensi di poterli portare dietro?"
"Forse riuscirò anche a separarmene. Ma tutto insieme non si può fare, non è vero, Messia?"
"Chiamami Maestro. Sì, non si può. Ma ti farò avere un luogo dove potrai dare un ricovero ai tuoi
amici, i libri. Ti potranno servire per discutere con i pagani di Dio."
"Oh! come hai netto il pensiero da ogni restrizione!"
Gesù sorride e Pietro esclama: "Sfido io. E' la Sapienza, Lui!"
"E' la Bontà, credilo. E tu sei colto?"
"Io? coltissimo! Distinguo un agone da una carpa, e la mia cultura resta lì. Sono pescatore, amico!"
e Pietro ride, umile e schietto.
"Sei un onesto. E' una scienza che si impara da sé. Ed è molto difficile ad aversi. Mi piaci."
"Anche tu mi piaci. Perché sei schietto. Anche nell'accusarti. Io perdono tutto, aiuto tutti. Ma sono
nemico spietato dei falsi. Mi fanno ribrezzo."
"Hai ragione. Il falso è un delinquente."
"Un delinquente. Lo hai detto. Di', non ti fidi a darmi un poco la tua sacca? Tanto sta' certo, coi libri
non scappo... Mi pare che fai fatica..."
"Venti anni di miniera spezzano... Ma perché vuoi faticare tu?"
"Perché il Maestro ci ha insegnato ad amarci come fratelli. Da' qui. E prendi i miei stracci. E'
leggera la mia... Non ci sono storie, né poesie. La mia storia, la mia poesia e quell'altra cosa che hai
detto, è Lui, il mio Gesù, il nostro Gesù."
189. A Naim. Resurrezione del figlio di una vedova.
14 giugno 1945.
Naim doveva avere una certa importanza ai tempi di Gesù. Non è molto vasta, ma ben costruita,
chiusa dentro la sua cinta di mura, stesa su una bassa e ridente collina, una propaggine del piccolo
Hermon, dominante dall'alto sulla pianura fertilissima che si spiega in direzione nord ovest.
Vi si giunge, venendo da Endor, dopo aver valicato un fiumicello che certo è affluente del
Giordano. Però da qui il Giordano non si vede più, e neppure la sua valle, perché delle colline lo
celano facendo un arco a punto interrogativo verso est.
Gesù vi si dirige per una via maestra che congiunge le regioni del lago all'Ermon e ai suoi paesi.
Dietro di Lui camminano molti abitanti di Endor parlando fitto fitto fra di loro.
La distanza che separa il gruppo apostolico dalle mura è ormai molto breve: un duecento metri al
massimo. E, posto che la strada maestra va diretta ad immettersi per una porta in città, e la porta è
spalancata essendo giorno pieno, si può vedere quanto avviene immediatamente al di là delle mura.
E' così che Gesù, che parlava con gli apostoli e col nuovo convertito, vede venire, fra un grande
fracasso di piangenti e simili apparati orientali, un corteo funebre.
"Andiamo a vedere, Maestro?" dicono in molti. E già fra i cittadini di Endor molti si sono
precipitati a vedere.
"Andiamo pure" dice Gesù condiscendente.
"Oh! deve essere un fanciullo, perché vedi quanti fiori e nastri sulla barella?" dice Giuda di Keriot a
Giovanni.
"Oppure sarà una vergine" risponde Giovanni.
"No, è certo un giovinetto per i colori che vi hanno messo. E poi mancano i mirti..." dice
Bartolomeo.
Il funerale esce oltre le mura. Cosa sia sulla barella, tenuta alta sulle spalle dei portatori, non è
possibile vedere. Si intuisce il corpo steso nelle sue bende e coperto del lenzuolo solo per il rilievo
che fa, e si comprende che è il corpo di uno che ha già raggiunto lo sviluppo completo perché è
lungo quanto la barella.
Al suo fianco una donna velata, sorretta da parenti o amiche, cammina piangendo. L'unico pianto
vero in tutta quella commedia di piagnone. E quando un sasso incontrato da un portatore, una buca,
un rialzo, fa imprimere una scossa alla barella, la madre geme: "Oh! no! Fate piano! Ha tanto
sofferto il mio bambino!" e alza una mano tremante ad accarezzare l'orlo della barella - di più non
può - e non potendo di più, bacia i veli ondeggianti e i nastri che il vento talora sommuove e che
sfiorano perciò la forma immobile.
"E' la madre" dice Pietro compunto e con un luccicore di pianto nell'occhio arguto e buono.
Ma non è il solo che abbia il pianto agli occhi per quello strazio. Lo Zelote, Andrea, Giovanni, e
persino il sempre allegro Tommaso, hanno negli occhi del luccicore. Tutti, tutti sono commossi.
Giuda Iscariota mormora: "Fossi io! Oh! povera madre mia..."
Gesù, il cui occhio è di una dolcezza intollerabile tanto è profonda, si dirige verso la barella.
La madre, che singhiozza più forte perché il corteo sta per torcere verso il sepolcro già aperto, lo
scansa con violenza vedendo che Gesù fa per toccare la bara. Nel suo delirio chissà cosa teme. Urla:
"E' mio!" e con gli occhi folli guarda Gesù.
"Lo so, madre. E' tuo"
"E' il mio unico figlio! Perché a lui la morte, a lui che era buono e caro, la gioia di me, vedova?
Perché?". La folla delle piangenti aumenta il suo pagato pianto per fare coro alla madre che
continua: "Perché lui e non io? Non è giusto che chi ha generato veda perire il suo seme. Il seme
deve vivere perché altrimenti, perché altrimenti a che serve che queste viscere si squarcino per dare
alla luce un uomo?" e si percuote sul ventre, feroce e disperata.
"Non fare così! Non piangere, madre." Gesù le prende le mani in una stretta potente e le tiene con la
sua sinistra mentre con la destra tocca la bara dicendo ai portatori: "Fermatevi e posate a terra la
barella."
I portatori ubbidiscono abbassando il lettuccio, che resta appoggiato sui suoi quattro piedi al suolo.
Gesù afferra il lenzuolo che copre il morto e lo getta indietro scoprendo la salma.
La madre grida il suo dolore con il nome del figlio, credo: "Daniele!"
Gesù, sempre tenendo le mani materne nella sua, si raddrizza, imponente nel suo fulgore di sguardi,
col suo viso dei miracoli più potenti, e abbassando la destra ordina con tutta la forza della voce:
"Giovinetto! Io te lo dico: sorgi!"
Il morto, così come è, fra le fasce, si leva a sedere sulla barella e chiama: "Mamma!" La chiama con
la voce balbettante e spaurita di un piccolo terrorizzato.
"E' tuo, donna. Io te lo rendo in nome di Dio. Aiutalo a liberarsi dal sudario. E siate felici."
E Gesù fa per ritirarsi. Ma sì! La folla lo inchioda alla bara su cui si è rovesciata la madre, che
annaspa fra le bende per fare presto, presto, presto, mentre il lamento infantile, implorante, si ripete:
"Mamma! Mamma!"
Il sudario è slegato, slegate le bende, e madre e figlio si possono abbracciare, e lo fanno senza
tenere conto dei balsami che appiccicano e che poi la madre leva dal caro viso, dalle care mani, con
le stesse bende, e poi, non avendo con che rivestirlo, la madre si leva il mantello e ve lo avvolge, e
tutto serve ad accarezzarlo...
Gesù la guarda... guarda questo gruppo di amore, stretto sulle sponde del lettuccio non più funebre,
e piange.
Lo vede Giuda Iscariota questo pianto, e chiede: "Perché piangi, Signore?"
Gesù volge il volto verso di lui e dice: "Penso a mia Madre..."
Il breve colloquio richiama la donna al suo Benefattore. Prende per mano il figlio e lo sorregge,
perché è come uno che abbia un resto di torpore nelle membra, e si inginocchia dicendo: "Anche tu,
figlio mio. Benedici questo Santo che ti ha reso alla vita e a tua madre" e si china a baciare la veste
di Gesù, mentre la folla osanna a Dio e al suo Messia, ormai conosciuto per quello che è perché gli
apostoli e i cittadini di Endor si sono presi l'incarico di dire chi è Colui che ha operato il miracolo.
E tutta la folla ormai esclama: "Sia benedetto il Dio di Israele. Benedetto il Messia, il suo Inviato!
Benedetto Gesù, Figlio di Davide! Un grande Profeta è sorto tra noi! Dio ha veramente visitato il
suo popolo! Alleluia! Alleluia!"
Finalmente Gesù può sgusciare dalla stretta e penetrare in città. La folla lo segue e lo insegue,
esigente nel suo amore.
Accorre un uomo e saluta profondamente. “Ti prego sostare nel mio tetto.”
“Non posso. La Pasqua mi vieta ogni sosta oltre quelle stabilite.
“Fra poche ore è il tramonto ed è venerdì...”
“Appunto che devo prima del tramonto avere raggiunto la mia tappa. Ti ringrazio lo stesso. Ma non
mi trattenere.”
“Ma io sono il sinagogo.”
“E con ciò vuoi dire che ne hai il diritto. Uomo, bastava che Io tardassi un’ora che quella madre non
avrebbe riavuto il figlio. Io vado dove altri infelici mi attendono. Non ritardare per egoismo la loro
gioia. Verrò, di certo, un’altra volta e starò con te, in Naim, più giorni. Ora lasciami andare.”
L’uomo non insiste più. Dice solo: “E’ detto. Ti attendo.”
“Sì. La pace sia con te e coi cittadini di Naim. Anche a voi, di Endor pace e benedizione. Tornate
alle case. Dio vi ha parlato attraverso il miracolo. Fate che in voi avvengano, per forza d’amore,
tante resurrezioni al Bene per quanti sono i cuori.”
Un ultimo coro di osanna. Poi la folla lascia andare Gesù, che traversa diagonalmente la città ed
esce verso la campagna, verso Esdrelon.
190. L’arrivo nella piana di Esdrelon al tramonto del venerdì.
15 giugno 1945.
Il tramonto si inizia con un arrossar di cielo quando Gesù giunge in vista dei campi di Giocana.
"Affrettiamo il passo, amici, prima che cali il sole. E tu, Pietro, va' con tuo fratello ad avvisare i
nostri amici, quelli di Doras."
"Ci vado, sì, anche per vedere se il figlio è proprio via. "Pietro dice quella parola: 'figlio', in un
modo tale che vale per un lungo discorso. E se ne va.
Intanto Gesù procede più adagio, guardandosi intorno per vedere se vede qualche contadino di
Giocana. Ma non ci sono che i campi fertili, con le spighe già ben formate.
Finalmente, tra il rameggiare del vigneto, sporge un viso sudato e viene un grido: "Oh! Signore
benedetto!" e il contadino corre fuori dal vigneto per venire a prostrarsi davanti a Gesù.
"La pace sia con te, Isaia !"
"Oh! anche il mio nome ti ricordi?"
"L'ho scritto in cuore. Alzati. I compagni dove sono?"
"Là, nei pometi. Ma ora li avverto. Sei nostro ospite, vero? Non c'è il padrone e possiamo farti festa.
E poi... un poco la paura, un poco la gioia, è più buono. Pensa, ci ha concesso l'agnello quest'anno e
di andare al Tempio! Ci ha dato sei giorni soli... ma correremo per la strada... Anche noi a
Gerusalemme... Pensa!... E in grazia di Te". L'uomo è ai sette cieli dalla gioia di essere stato trattato
da uomo e da israelita.
"Io non ho fatto nulla, che mi sappia..." dice Gesù sorridendo.
"Eh! no! Hai fatto. Doras, e poi i campi di Doras, e questi invece, così belli quest'anno... Giocana ha
saputo della tua venuta, e non è sciocco. Ha paura e... e ha paura."
"Di che ?"
"Paura che gli succeda come a Doras. Nella vita e nelle sostanze. Hai visto i campi di Doras?"
"Vengo da Naim..."
"Allora non li hai visti. Sono tutti rovinati. (L'uomo dice questo a voce bassa e pur marcata, come
che confida una cosa tremenda, in segreto). Tutti rovinati! Non fieni, non biade, non frutta. Viti
seccate, pometi seccati... Morto... tutto morto... come a Sodoma e Gomorra... Vieni, vieni che te li
mostro."
"Non occorre. Vado da quei contadini..."
"Ma non ci sono più, non lo sai? Li ha sparsi o licenziati tutti Doras, figlio di Doras, e quelli che ha
sparsi per i loro altri luoghi di campagna, hanno l'obbligo di non parlare di Te, pena la frusta... Non
parlare di Te! Sarà difficile! Lo ha detto anche Giocana a noi."
"Che ha detto ?"
Ha detto: 'Io non sono così stolto come Doras, e non vi dico: 'Non voglio che parliate del Nazareno'.
Sarebbe inutile, perché lo fareste lo stesso e non vi voglio perdere uccidendovi come bestie riottose
sotto la frusta. Anzi vi dico: 'Siate buoni come certo il Nazareno vi insegna e diteglielo che io vi
tratto bene'. Non voglio essere maledetto io pure'. Li vede bene che cosa sono questi campi dopo
che Tu li hai benedetti, e cosa sono quelli dopo che li hai maledetti. Oh! ecco quelli che mi hanno
arato il campo..." e l'uomo corre incontro a Pietro e Andrea.
Ma Pietro lo saluta brevemente e prosegue il suo andare, e già grida: "Oh! Maestro! Ma non c'è più
nessuno! Tutti visi nuovi. E c'è tutto devastato! In verità potrebbe fare a meno di tenere contadini
qui. E' peggio che sul Mar Salato!..."
"Lo so. Me lo ha detto Isaia."
"Ma vieni a vedere! Che vista!..."
Gesù lo accontenta dicendo prima a Isaia: "Allora sarò con voi. Avverti i compagni. E non vi
scomodate. Il cibo l'ho Io. Ci basta un fienile per dormire e il vostro amore. Verrò subito."
La vista dei campi di Doras è realmente desolante. Campi e prati aridi e nudi, secchi i vigneti,
distrutto il fogliame e il frutto sugli alberi da milioni d'insetti di ogni genere. Anche presso la casa il
giardino-frutteto mostra l'aspetto desolato di un bosco morente.
I contadini vagano qua e là strappando erbacce, schiacciando bruchi, lumache, lombrichi e simili,
scuotendo i rami tenendovi sotto dei catini pieni d'acqua per affogarvi le farfalline, gli afidi e altri
parassiti che coprono le superstiti foglie ed emungono la pianta fino a farla morire. Cercano un
segno di vita nei tralci dei vigneti. Ma questi si spezzano aridi, non appena sono toccati e talora
piegano alla base come se una sega avesse reciso le radici.
Il contrasto coi campi di Giocana, coi vigneti e frutteti di questo, è vivissimo, e la desolazione dei
campi maledetti sembra ancor più violenta se la si paragona alla fertilità degli altri.
"Ha la mano pesante il Dio del Sinai" mormora Simone Zelote.
Gesù fa un atto come per dire: "Eccome!" ma non dice nulla. Solo chiede: "Come è avvenuto?"
Un contadino risponde tra i denti: "Talpe, cavallette, vermi... ma va' via! Il sorvegliante è fedele a
Doras... Non ci fare del male..."
Gesù ha un sospiro e se ne va.
Un altro contadino dice, rimanendo curvo per rincalzare un melo, nella speranza di salvarlo: "Ti
raggiungeremo domani... quando il sorvegliante va a Jesrael per la preghiera... in casa di Michea
verremo."
Gesù fa un gesto di benedizione e se ne va.
Quando torna al crocicchio vi sono tutti i contadini di Giocana, festosi, felici, e si circondano il loro
Messia portandolo alle povere case.
"Hai visto di là?"
"Ho visto. Domani verranno i contadini di Doras."
"Già, mentre le iene sono alla preghiera... Facciamo così ogni sabato... e parliamo di Te, con quello
che sappiamo da Giona, da Isacco che viene a trovarci spesso, e col tuo discorso di tisri. Come
sappiamo parliamo. Perché non si può non parlare di Te. E tanto più se ne parla quanto più si soffre
ed è proibito farlo. Quei poveri... bevono la vita ogni sabato... Ma in questa pianura quanti ce ne
sono che hanno bisogno di sapere, almeno sapere di Te, e che non possono venire fin qui..."
"Penserò anche a loro. E voi siate benedetti per ciò che fate."
Il sole cade mentre Gesù entra in una affumicata cucina. Il riposo del sabato ha inizio.
Indice del Volume Quarto
* = in linea
226.
227.
228.
229.
230.
Un buon segno da Maria di Magdala. Morte del vecchio Ismaele.
Un episodio incompiuto
Marziam affidato a Porfirea
Discorso ai cittadini di Betsaida sul gesto di carità di Simon Pietro.
Guarigione dell’emorroissa e resurrezione della figlia di Giairo.
231.
A Cafarnao, Gesù e Marta parlano della crisi che tormenta Maria di
Magdala.
Guarigione di due ciechi e di un muto indemoniato.
La parabola della pecorella smarrita, ascoltata anche da Maria di
Magdala.
A commento di tre episodi sulla conversione di Maria di Magdala.
Marta ha avuto dalla sorella Maria la certezza della conversione.
La cena in casa di Simone il fariseo e l’assoluzione a Maria di
Magdala.
La richiesta di operai per la messe e la parabola del tesoro nascosto
nel campo. Marta teme ancora per la sorella Maria.
L’arrivo a Cafarnao, sotto un temporale, di Maria Ss. con Maria di
Magdala.
La parabola dei pesci, la parabola della perla e il tesoro
degli insegnamenti antichi e nuovi.
232.
233.
234.
235.
236.
237.
238.
239.
240.
A Betsaida da Porfirea e Marziam, che insegna alla Maddalena la
preghiera di Gesú.
241.
Vocazione della figlia di Filippo. L’arrivo a Magdala e la
parabola della dramma perduta.
Discorso sulla Verità al romano Crispo, unico ascoltatore di Gesù a
Tiberiade.
A Cana nella casa di Susanna. Le espressioni, i gesti e la voce di
Gesú. Disputa tra gli apostoli sulle possessioni.
Giovanni ripete un discorso di Gesù sul creato e sui popoli che
attendono la Luce.
Un’accusa dei nazareni a Gesù, respinta con la parabola del lebbroso
guarito.
Un apologo per i cittadini di Nazareth, che restano increduli.
Maria Ss. ammaestra la Maddalena sull’orazione mentale.
A Betlem di Galilea. Giudizio per un omicidio e parabola delle foreste
pietrificate.
Maria Ss. ammaestra Giuda Iscariota sul dovere preminente della fedeltà
a Dio.
Ai discepoli venuti con Isacco, la parabola del fango che
diviene fiamma. Giovanni di Endor è anima vittima.
242.
243.
244.
245.
246.
247.
248.
249.
250.
251.
252.
253.
254.
255.
256.
257.
258.
259.
260.
261.
262.
263.
264.
265.
266.
267.
268.
269.
Ai pescatori siro-fenici, la parabola del minatore
perseverante.
Ermasteo di Ascalona.
I1 ritorno da Tiro. Miracoli e parabola della vite e dell’olmo.
Maria Ss. svela a Maria d’Alfeo il senso della maternità
spiritualizzata.
La Maddalena deve temprarsi soffrendo.
L’incontro con Sintica, schiava greca, e l’arrivo a Cesarea Marittima.
Partenza delle sorelle Marta e Maria con Sintica. Una lezione a Giuda
Iscariota.
Parabola sulla virtù della speranza che sorregge la fede e la carità.
Gesù e Giacomo d’Alfeo in ritiro sul monte Carmelo.
Gesù rivela a Giacomo d’Alfeo quale sarà la sua missione di apostolo.
Lezione sulla Chiesa e sui Sacramenti a Giacomo d’Alfeo, che
opera un miracolo.
Due parabole di Pietro per i contadini della pianura di Esdrelon.
Esortazione ai contadini di Doras, passati alle dipendenze di Giocana.
Una figlia indesiderata e il ruolo della donna redenta.
L’Iscariota chiede l’aiuto di Maria.
Guarigione dell’uomo dal braccio atrofizzato.
Una giornata di Giuda Iscariota a Nazareth.
Istruzioni ai dodici apostoli che iniziano il loro ministero.
I discepoli del Battista vogliono accertarsi che Gesù è il
Messia. Testimonianza sul Precursore e invettiva contro le città
impenitenti.
Gesù falegname a Corozim.
Lezione sulla carità con la parabola dei nòccioli. Il giogo di Gesù è
leggero.
La disputa con scribi e farisei a Cafarnao. L’arrivo della Madre e dei
*
270.
fratelli.
La notizia dell’uccisione di Giovanni Battísta.
271.
272.
273.
274.
Partenza alla volta di Tarichea con gli apostoli rientrati a Cafarnao.
Rincarnazione e vita eterna nel dialogo con uno scriba.
La prima moltiplicazione dei pani.
Gesù cammina sulle acque. La sua prontezza nel soccorrere chi lo
invoca.
275. Quattro nuovi discepoli. Discorso sulle opere di misericordia
corporale e spirituale.
276. L’uomo avido e la parabola del ricco stolto.
Le inquietudini e la vigilanza nei servi di Dio.
277. A Magdala, nei giardini di Maria. L’amore e la correzione tra fratelli.
278. I1 perdono e la parabola del servo iniquo. Il mandato a settantadue
discepoli.
279. Incontro con Lazzaro al campo dei Galilei.
280. Il ritorno dei settantadue. Profezia sui mistici futuri.
281.
282.
283.
284.
285.
286.
287.
288.
289.
290.
291.
292.
293.
294.
295.
Al Tempio nella festa dei Tabernacoli. Le condizioni per
seguire Gesù.
La parabola dei talenti e la parabola del buon samaritano.
La delazione al Sinedrio riguardo ad Ermasteo, a Giovanni di Endor e a
Sintica.
Sintica parla del suo incontro con la Verità.
La casetta donata, da Salomon. Quattro apostoli resteranno in Giudea.
Lazzaro offre un rifugio per Giovanni di Endor e Sintica.
Viaggio lieto verso Gerico senza l’Iscariota.
A Ramot con il mercante Alessandro Misace.
Lezione a Sintica sul ricordo delle anime.
Da Ramot a Gerasa con la carovana del mercante.
Discorso ai cittadini di Gerasa e lode di una donna alla Madre di Gesù.
Il sabato a Gerasa. Lo svago di Marziam e il quesito di Sintica
sulla salvezza dei pagani.
L’uomo dagli occhi ulcerati. La sosta alla “fonte del
Cammelliere”. Ancora sul ricordo delle anime.
Marziam scopre perché Gesù prega ogni giorno all’ora nona.
A Bozra l’insidia di scribi e farisei.
I1 discorso e i miracoli a Bozra dopo l’irruzione di due
farisei. Il dono della fede ad Alessandro Misace.
I1 ricco obolo lasciato dal mercante. Commiato dalla Madre e dalle
discepole.
I1 discorso e i miracoli ad Arbela, già evangelizzata da Filippo di
Giacobbe.
256. Parabola sulla virtù della speranza che sorregge la fede e la carità.
*
18 agosto 1945.
1Visti da alcuni vignaiuoli che passano per il frutteto, carichi di ceste di un’uva bionda come fosse
fatta con l’ambra, gli apostoli vengono interrogati.
«Siete pellegrini o forestieri?».
«Galilei siamo e pellegrini verso il Carmelo» risponde per tutti Giacomo di Zebedeo, che con i
compagni pescatori si sgranchisce le gambe per finire di vincere un resto di sonnolenza.
L’Iscariota e Matteo si stanno svegliando sull’erba su cui si erano sdraiati, e i vecchi, invece,
stanchi, dormono ancora. Gesù parla con Giovanni di Endor ed Ermasteo, mentre Maria e Maria
Cleofe si tengono lì vicine, ma stanno zitte.
I vignaiuoli dicono: «E venite da lontano?».
«Da Cesarea per ultima tappa. Ma prima eravamo a Sicaminon e più là ancora. Veniamo da
Cafarnao».
«Oh! che lunga strada in questa stagione! Ma perché non siete venuti alla nostra casa? È là, vedete?
Vi avremmo dato acqua fresca per ristoro alle membra e cibo, paesano ma buono. Venite ora».
«Stiamo per partire. Dio vi compensi lo stesso».
«Il Carmelo non fugge sul carro di fuoco come il suo profeta» dice un contadino semiserio.
«Non viene più nessun carro dal Cielo a rapire i profeti. Non ci sono più profeti in Israele. Si dice
che Giovanni sia già morto» dice l’altro contadino.
«Morto? E da quando?».
«Così hanno detto alcuni venuti da oltre Giordano. Lo veneravate?».
«Eravamo suoi discepoli».
«Perché lo avete lasciato?».
«Per seguire l’Agnello di Dio, il Messia che egli annunciò. Vi è ancora questo in Israele, uomini. E
ben più che un carro di fuoco occorrerebbe per fare degno trasporto di Lui in Cielo! 2Non credete al
Messia?».
«Se ci crediamo! Abbiamo deciso che, finito il raccolto, lo andremo a cercare. Si dice che è zelante
all’ubbidienza della Legge e va al Tempio nelle solennità prescritte. Andremo presto ai Tabernacoli
e staremo al Tempio tutti i giorni per vederlo. E se non lo troveremo andremo in cerca di Lui finché
lo abbiamo trovato. Voi che lo conoscete, diteci: è vero che sta a Cafarnao quasi sempre? È vero
che è alto, giovane, pallido, biondo e che ha una voce diversa da tutti gli uomini, la quale tocca i
cuori e fino le bestie e le piante la sentono?».
«Tutti i cuori meno quelli dei farisei, Gamala. Quelli si sono fatti più aspri».
«Quelli non sono neppure bestie. Sono dei demoni, compreso quello di cui io porto il nome. Ma
dite: è vero che è così e che è tanto buono che parla con tutti, consola tutti, guarisce i morbi e
converte i peccatori?».
«Questo credete?».
«Sì. Ma vorremmo saperlo da voi che lo seguite. Oh! Se ci conduceste da Lui!».
«Ma non avete le vigne da curare?».
«Abbiamo anche l’anima da curare, ed è da più delle vigne. È a Cafarnao? Forzando il cammino, in
dieci giorni potremmo andare e tornare…».
3«È là Quello che cercate. Ha riposato nel vostro frutteto ed ora parla con quel vecchio e quel
giovane, avendo al fianco la Madre e la sorella della Madre».
«Quello!… Oh!… Che si fa?».
Restano irrigiditi dallo stupore. Sono tutti occhi per guardare. La loro vitalità è tutta raccolta nelle
pupille.
«Ebbene? Tanto desiderio avevate di vederlo e ora non vi muovete? Siete divenuti di sale?»
stuzzica Pietro.
«No… è che… Ma è così semplice il Messia?».
«Ma che volevate che fosse? Assiso su un trono folgoreggiante e coperto del regio ammanto? Lo
credevate un nuovo Assuero?».
«No. Ma… Così semplice, Lui così santo!».
«È ben semplice perché è santo, uomo. Bene, facciamo così… Maestro! Abbi pazienza, vieni qui a
fare un miracolo. Ci sono qui uomini che ti cercano e che il vederti ha pietrificati. Vieni a rendere
loro moto e parola».
Gesù, che si è voltato sentendosi chiamare, si alza sorridendo e viene verso i vignaiuoli che lo
guardano tanto stupefatti da parere impauriti.
«La pace sia con voi. Mi volevate? Eccomi» e ha l’atto abituale delle braccia che si aprono
tendendosi un poco come per offrirsi.
I vignaiuoli scivolano in ginocchio e stanno zitti.
«Non temete. Ditemi ciò che volete».
Tendono i cesti colmi d’uva senza parlare.
Gesù ammira la splendida frutta e dicendo: «Grazie» stende una mano a prendere un grappolo, e
inizia a mangiare i chicchi.
«O Dio altissimo! Mangia come noi!» sospira quello chiamato Gamala.
È impossibile non ridere di questa uscita. Anche Gesù ha un sorriso più marcato, e quasi a scusarsi
dice: «Sono il Figlio dell’uomo!».
4Ma il gesto ha vinto il torpore estatico, e Gamala dice: «Non entreresti nella nostra casa, fino al
vespero almeno? Siamo in molti, perché siamo sette fratelli con le spose e i bambini, più i vecchi
che attendono la morte con pace».
«Andiamo. Voi chiamate i compagni e raggiungeteci. Madre, vieni con Maria».
E Gesù si avvia dietro ai contadini, che si sono rialzati e camminano un poco di sbieco per vederlo
camminare. Il sentiero è piccolo, fra i tronchi degli alberi legati l’un coll’altro dalle viti.
Giungono presto alla casa, anzi alle case, perché è un piccolo quadrato di case con al centro un
comune ampio cortile nel quale è un pozzo, e vi si accede da un profondo corridoio che fa da
vestibolo e che certo nella notte viene chiuso col portone pesante.
«La pace sia a questa casa e a chi vi abita» dice Gesù entrando e alzando la mano a benedire, per
poi abbassarla ad accarezzare un puttino seminudo che lo guarda estatico, bellissimo nella sua
camicina senza maniche che è scivolata dalla spalla grassoccia, ritto sui piedini nudi, con un ditino
in bocca e una crosta di pane unto d’olio nell’altra manina.
«È Davide, il bambino di mio fratello minore» spiega Gamala, mentre un altro dei vignaiuoli entra
nella casa più prossima a dare l’avviso e poi ne esce per entrare in un’altra e così fa per tutte, di
modo che visi di tutte le età si affacciano e poi si ritirano per ritornare dopo una sommaria toeletta.
5Seduto all’ombra di una tettoia sporgente, alla quale fa da riparo un fico gigantesco, è un vecchio
col bastoncello fra le mani. Non alza neppure il capo, come niente lo interessasse.
«È nostro padre» spiega Gamala. «Uno dei vecchi della casa, perché anche la moglie di Giacobbe
ha portato qui il padre rimasto solo, e poi vi è la vecchia madre di Lia, la più giovane sposa. Nostro
padre è cieco. Gli si è fatto il velo sulle pupille. Tanto sole nei campi! Tanto calore della terra!
Povero padre! È molto rattristato. Ma è molto buono. Ora attende i nipoti perché sono la sua unica
gioia».
Gesù si dirige dal vecchio. «Dio ti benedica, padre».
«Chiunque tu sia, ti renda Dio la sua benedizione» risponde il vecchio alzando il capo in direzione
della voce.
«È brutta la tua sorte, non è vero?» chiede Gesù dolcemente, e fa segno di non dire chi è che parla.
«Viene da Dio, dopo tanto bene che mi ha dato nella lunga mia vita. Come ho preso il bene da Dio,
devo prendere anche la sventura della vista. Non è eterna, infine. Finirà sul seno d’Abramo».
«Dici bene. Peggio sarebbe se fosse cieca l’anima».
«Ho cercato di tenerla con la vista sempre».
«Come hai fatto?».
«Sei giovane tu che parli, la tua voce lo dice. Non sarai come quei giovani di ora che sono tutti
ciechi perché sono senza religione, eh? Bada che è grande sventura non credere e non eseguire ciò
che Dio ci ha detto. Un vecchio te lo dice, ragazzo. Se abbandonerai la Legge, sarai cieco in terra e
nell’altra vita. Mai più vedrai Iddio. Perché verrà pure un giorno che il Messia redentore ci aprirà le
porte di Dio. Io sono troppo vecchio per vedere questo giorno sulla terra. Ma lo vedrò dal seno di
Abramo. Per questo non mi lamento di nulla. Perché spero che con queste ombre sconterò quello
che posso aver commesso di ingrato a Dio, e di meritarlo per la vita eterna. Ma tu sei giovane. Sii
fedele, figlio, di modo che il Messia tu lo possa vedere. Perché il tempo è vicino. Il Battista lo ha
detto. Tu lo vedrai. Ma se avrai l’anima cieca sarai come quelli di cui parla Isaia. Avrai occhi e non
vedrai».
«Tu lo vorresti vedere, padre?» chiede Gesù posandogli una mano sulla testa bianca.
«Lo vorrei vedere. Sì. Ma però preferisco andarmene senza vederlo, anziché vederlo io e che i miei
figli non lo riconoscano. Io ho ancora la fede antica e mi basta. Essi… Oh! Il mondo d’ora!…».
«Padre, vedi dunque il Messia, e sia coronata di giubilo la tua sera» e Gesù fa scivolare la sua mano
dai capelli bianchi giù per la fronte sino al mento barbuto del vecchio come per una carezza, e
intanto si curva per mettersi all’altezza del suo viso senile.
«Oh! Altissimo Signore! Ma io vedo! Vedo… Chi sei, con questo volto ignoto eppure famigliare
come già ti avessi visto?… Ma… Oh! stolto che sono! Tu che mi hai reso la vista sei il Messia
benedetto! Oh! Oh!».
Il vecchio piange sulle mani di Gesù che ha afferrate, coprendole di baci e di lacrime. Tutto il
parentado è in subbuglio.
Gesù si libera una mano e carezza ancora il vecchio dicendo: «Sì, sono Io. Vieni, che oltre il viso tu
conosca la mia parola».
E si dirige ad una scaletta, che porta ad una terrazza ombrosa per una pergola folta che l’ombreggia
tutta. E tutti lo seguono.
6«Avevo promesso di parlare della speranza ai miei discepoli. La parabola eccola: questo vecchio
israelita. Me lo dà il Padre dei Cieli il soggetto per insegnare a voi tutti la grande virtù che, come le
braccia di un giogo, sorregge la fede e la carità.
Dolce giogo. Patibolo dell’umanità come il braccio traverso della croce, trono della salvezza come
appoggio del serpente salutare alzato nel deserto. Patibolo dell’umanità. Ponte dell’anima per
spiccare il volo nella Luce. Ed è messa in mezzo fra l’indispensabile fede e la perfettissima carità,
perché senza la speranza non può esservi fede, e senza speranza muore la carità.
Fede presuppone speranza sicura. Come credere di giungere a Dio se non si spera nella sua bontà?
Come sorreggersi nella vita se non si spera in un’eternità? Come poter persistere nella giustizia se
non ci anima la speranza che ogni nostra buona azione è da Dio vista e per darci di essa premio?
Ugualmente, come fare vivere la carità se non c’è speranza in noi? La speranza precede la carità e la
prepara. Perché un uomo ha bisogno di sperare per poter amare. I disperati non amano più. La scala
è questa, fatta di scalini e di ringhiera: La fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la
carità alla quale si sale mediante le altre due. L’uomo spera per credere, crede per amare.
7Quest’uomo ha saputo sperare. È nato. Un bambino di Israele come tutti gli altri. È cresciuto con
gli stessi ammaestramenti degli altri. È divenuto figlio della Legge come tutti gli altri. Si è fatto
uomo, sposo, padre, vecchio, sempre sperando nelle promesse fatte ai patriarchi e ripetute dai
profeti. Nella vecchiaia sono scese le ombre sulle sue pupille ma non nel suo cuore. In esso è
rimasta accesa la speranza. Speranza di vedere Iddio. Vedere Iddio nell’altra vita. E, nella speranza
di questa vista eterna, una, più intima e cara: “vedere il Messia”. E mi ha detto, non sapendo chi era
il giovane che gli parlava: “Se abbandonerai la Legge sarai cieco in terra e in Cielo. Non vedrai Dio
e non riconoscerai il Messia”. Ha detto da saggio.
Troppi sono ora in Israele che sono ciechi. Non hanno più speranza perché l’ha uccisa in loro la
ribellione alla Legge, che è sempre ribellione, anche se velata da paramenti sacri, se non è
accettazione integrale della parola di Dio, dico di Dio, non delle soprastrutture che vi sono state
messe dall’uomo e che per essere troppe, e tutte umane, vengono trascurate da quelli stessi che le
hanno messe, e fatte macchinalmente, sforzatamente, stancamente, sterilmente, dagli altri. Non
hanno più speranza. Ma irrisione delle verità eterne. Non hanno perciò più fede e più carità. Il
divino giogo da Dio dato all’uomo perché se ne facesse ubbidienza e merito, la celeste croce che
Dio ha dato all’uomo a scongiuro contro i serpenti del Male perché se ne facesse salute, ha perduto
il suo braccio traverso, quello che sorreggeva la fiamma candida e la fiamma rossa: la fede e la
carità; e le tenebre sono scese nei cuori.
Il vecchio mi ha detto: “È grande sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto”. È
vero. Io ve lo confermo. È peggio della cecità materiale, che ancora può essere guarita per dare ad
un giusto la gioia di rivedere il sole, i prati, i frutti della terra, i volti dei figli e nipoti, e soprattutto
ciò che era la speranza della sua speranza: “Vedere il Messia del Signore”. Io vorrei che fosse viva
nell’animo di tutto Israele, e specie in quelli che sono i più istruiti nella Legge. Non basta essere
stato nel Tempio o del Tempio, non basta sapere a memoria le parole del Libro. Occorre saperle
fare vita della nostra vita mediante le tre virtù divine. Voi ne avete un esempio: dove esse sono vive
tutto è facile, anche la sventura. Perché il giogo di Dio è sempre giogo leggero, che preme solo sulla
carne ma non abbatte lo spirito.
8Andate in pace, voi che restate in questa casa da buoni israeliti. Vai in pace, vecchio padre. Che
Dio ti ami ne hai la certezza. Chiudi la tua giusta giornata deponendo la tua saggezza nel cuore dei
pargoli del tuo sangue. Non posso rimanere, ma la mia benedizione resta fra queste mura pingue di
grazie come i grappoli di questa vigna».
E Gesù vorrebbe andarsene. Ma deve almeno fermarsi tanto da conoscere questa tribù di tutte le età,
e di ricevere quanto gli vogliono dare fino a rendere le sacche da viaggio panciute come otri… Poi
può riprendere il cammino per una scorciatoia fra le viti che gli indicano i vignaiuoli, che non lo
lasciano altro che alla via maestra, già in vista di un paesello dove Gesù e i suoi potranno sostare
per la notte.
257 .Gesù e Giacomo d’Alfeo in ritiro sul monte Carmelo.
19 agosto 1945.
1«Evangelizzate nel piano di Esdrelon fintanto che Io tornerò fra di voi» ordina Gesù ai suoi
apostoli in una serena mattina, mentre ai margini del Kison consumano un poco di cibo: pane e
frutta.
Gli apostoli non sembrano molto entusiasti, ma Gesù li conforta dando una linea da seguirsi nel loro
modo di regolarsi, e termina: «Del resto avete con voi mia Madre. Sarà una buona consigliera.
Andate dai contadini di Giocana e cercate, nel sabato, di parlare con gli altri di Doras. Date loro dei
soccorsi e confortate il vecchio parente di Marziam con le notizie del bambino, dicendogli che per i
Tabernacoli glielo porteremo. Date molto, tutto quanto avete, a questi infelici. Tutto quanto sapete,
tutto l’affetto di cui siete capaci, tutto il denaro che abbiamo. Non abbiate paura. Come esce, entra.
Di fame non moriremo mai, anche se vivremo di pane e frutta soltanto. E se vedete nudità date le
vesti, anche le mie. Anzi, le mie per prime. Non rimarremo mai nudi. E soprattutto se trovate
miserie che mi cercano, non le sdegnate. Non ne avete il diritto. Addio, Madre. Dio vi benedica tutti
per bocca mia. Andate sicuri. Vieni, Giacomo».
«Non prendi neppure la tua borsa?» chiede Tommaso vedendo che il Signore si avvia e non la
raccoglie.
«Non ce n’è bisogno. Sarò più libero nel cammino».
Anche Giacomo lascia la sua, nonostante che sua madre si fosse affrettata ad impinzarla di pane,
formaggelle e frutta.
Vanno via seguendo per un poco l’argine del Kison, poi, attaccando le prime pendici che portano al
Carmelo, scompaiono alla vista dei rimasti.
«Madre, siamo nelle tue mani. Guidaci, perché… non siamo capaci di nulla» confessa umilmente
Pietro.
Maria ha un sorriso rassicurante e dice: «È molto semplice. Non c’è che ubbidire ai suoi ordini e
farete tutto bene. Andiamo».
Ma io non vado con loro. […] seguo Gesù […].
2Egli sale con il cugino Giacomo e non parla, e l’altro pure non parla. Gesù è concentrato nei suoi
pensieri; Giacomo, che si sente alle soglie di una rivelazione, è tutto compreso di un amore
reverenziale, di uno spirituale tremore, e guarda di tanto in tanto Gesù che nella sua concentrazione
ha di tanto in tanto una luminosità di sorriso sul volto solenne. Lo guarda come guarderebbe Dio
non ancora incarnato e splendente di tutta la sua immensa maestà, e il suo viso tanto simile a quello
di S. Giuseppe, di un brunetto che non disdegna il rosso sul sommo dei pomelli, si fa pallido di
emozione. Ma rispetta sempre il silenzio di Gesù.
Per ripide scorciatoie, quasi non vedendo i pastori che fanno pascolare i loro greggi sui verdi
pascoli che sono sotto i boschi di lecci, di roveri, di frassini e altre piante d’alto fusto, salgono e
salgono sfiorando coi mantelli i cespugli glauchi dei ginepri e quelli d’oro delle ginestre, oppure i
ciuffi di smeraldo sparso di perle dei mirti, o le cortine semoventi dei caprifogli e delle vitalbe in
fiore.
Salgono lasciando indietro boscaioli e pastori fino a raggiungere, dopo un instancabile cammino, la
cresta del monte, o meglio un piccolo pianoro addossato ad una cresta incoronata di roveri
giganteschi, limitato da una balaustra di altri fusti ai quali fanno da base le vette degli altri alberi
della costa, di modo che sembra che il praticello sia come appoggiato su questo frusciante sostegno,
isolato dal resto del monte che le fronde sottostanti impediscono di vedere, con alle spalle il picco
che lancia i suoi alberi verso il cielo e, sopra, il cielo aperto e, di fronte, l’aperto orizzonte che
arrossa nel tramonto e che sconfina sul mare tutto acceso.
Una fessura aperta fra la terra, che non frana solo perché le radici dei roveri giganti la tengono in
una rete di tenaglie, si apre nel balzo, larga appena per quanto possa accogliere un uomo e non
corpulento. Uno scapigliato cespuglio pare prolungarlo protendendosi orizzontalmente dal fianco
del balzo.
Gesù apre la bocca per dire: «Giacomo, fratello mio, qui sosteremo questa notte e, nonostante che la
stanchezza della carne sia tanta, Io ti prego di passare la notte in preghiera. La notte e tutto il
domani fino a quest’ora. Un’intera giornata non è di troppo, per ricevere ciò che Io ti voglio dare».
«Gesù, Signore e Maestro mio, io farò sempre ciò che Tu vuoi» risponde Giacomo, che si era fatto
ancora più pallido quando Gesù aveva iniziato a parlare.
«Lo so. 3Andiamo ora a cogliere more e mirtilli per il nostro stomaco e a ristorarci ad una fonte che
ho sentita qui sotto. Lascia pure il mantello nello speco. Nessuno lo prenderà».
«E insieme col cugino gira il balzo, cogliendo frutti selvatici dai cespugli del sotto bosco, e poi,
qualche metro più sotto, nella parte opposta a quella usata per salire, empiono le borracce, unica
cosa che avevano portato seco, ad una chiaccherina sorgente che sbuca da un groviglio di radiconi,
e si lavano per rinfrescarsi dal calore ancora forte nonostante l’altezza. Poi risalgono al loro pianoro
e, mentre l’aria è tutta rossa sul cocuzzolo investito dal sole che sta per scomparire ad occidente,
mangiano ciò che hanno raccolto e bevono ancora, sorridendosi come due bambini felici o come
due angeli. Poche parole: un ricordo di quelli lasciati in pianura, un’esclamazione ammirata per
l’estrema bellezza del giorno, il nome delle due mamme… Nulla di più.
Poi Gesù attira a Sé il cugino e questo prende la posa abituale in Giovanni, del capo appoggiato sul
sommo del petto di Gesù, una mano abbandonata in grembo, l’altra nella mano del Cugino, e stanno
così, mentre la sera scende in un grande cinguettìo di uccelli che si ritirano nel folto, in un tinnulare
di campani che si allontana e si fa sempre più indistinto, e in un frusciare lieve di vento che carezza
le cime rinfrescandole e animandole dopo il calore immobile del giorno, preludendo le rugiade.
Stanno così a lungo, e io credo che non sia che un silenzio di labbra, mentre gli spiriti, più che mai
attivi, intrecciano soprannaturali conversazioni.
258. Gesù rivela a Giacomo d’Alfeo quale sarà la sua missione di apostolo.
20 agosto 1945.
È la stessa ora, ma il giorno di poi.
Giacomo, che è ancora ritirato nello spacco del monte e seduto tutto in un gomitolo col capo curvo
fin quasi sulle ginocchia alzate e tenute abbracciate dalle braccia, o è in profonda meditazione o
dorme. Non capisco bene. Certo è insensibile a ciò che succede intorno a lui, ossia alla rissa di due
grossi uccelli che per qualche motivo privato si battono ferocemente sul praticello. Direi che sono
galli di montagna o galli cedroni o fagiani, perché hanno la grossezza di un galletto, penne
variegate, ma non hanno cresta, solo un elmetto di carne rossa come un corallo sul sommo del capo
e sulle guance, e le assicuro che se la testa è piccola il becco deve essere come uno spunzone
d’acciaio. Penne e sangue volano e cadono per l’aria e per terra, fra uno schiamazzio molto
sensibile che ha fatto tacere fischi, trilli e gorgheggi fra i rami. Forse gli uccellini osservano la
giostra feroce... Giacomo non sente niente.
Gesù invece sente e scende dalla vetta dove era salito e, battendo le mani, separa i contendenti che
fuggono sanguinanti, l’uno verso la costa, l’altro in cima a un rovere e di lì si ravvia le penne ancora
tutte irte e arruffate.
Giacomo non alza il capo neppure per il rumore fatto da Gesù, che sorridendo fa pochi passi ancora,
fermandosi in mezzo al praticello. La sua veste bianca sembra tingersi di rosso sul lato destro, tanto
è forte il rosso del tramonto. Sembra proprio che il cielo si incendi. Eppure Giacomo non deve
dormire, perché appena Gesù sussurra, proprio sussurra: «Giacomo, vieni qui», egli alza il capo dai
ginocchi e scioglie il laccio delle braccia, sorgendo in piedi e venendo verso Gesù. Si ferma di
fronte a Lui, a un due passi di distanza, e lo guarda.
Anche Gesù lo guarda, serio eppure incoraggiante per un sorriso che non è di labbra né di sguardi, e
che pure è visibile. Lo guarda fissamente, quasi volesse leggere tutte le minime reazioni ed
emozioni del cugino e apostolo suo che, come ieri, sentendosi alle soglie di una rivelazione, diviene
pallido e ancor più lo diventa fino ad essere tutt’uno con la sua veste di lino quando Gesù alza le
braccia e gli appoggia le mani sulle spalle, stando così a braccia tese. Allora proprio Giacomo
sembra un’ostia. Solo i miti occhi castano scuri e la barba castana mettono un colore su quel volto
attento.
2«Giacomo, fratello mio, sai perché ti ho voluto qui, da solo a solo, per parlarti dopo ore di
preghiera e di meditazione?».
Giacomo pare faccia fatica a rispondere, tanto è commosso. Ma infine apre le braccia per rispondere
a bassa voce: «Per darmi una lezione speciale, o per il futuro o perché io sono il più incapace di
tutti. Ti ringrazio fin d’ora, anche se è un rimprovero. Ma credi, Maestro e Signore, che se io sono
tardo ed incapace è per deficienza, non per mala volontà».
«Non è un rimprovero ma una lezione, questa sì, per il tempo in cui Io non sarò più con voi. Nel tuo
cuore, in questi mesi, tu hai molto pensato a quanto ti ho detto un giorno, ai piedi di questo monte,
promettendoti di venire qui con te, non solo per parlare di Elia profeta e per guardare il mare che
splende là, infinito, ma per parlarti di un altro mare, ancor più grande, mutevole, infido, di questo
che oggi pare il più placido dei bacini e forse fra poche ore ingoierà navigli e uomini con la sua
fame vorace. E non hai mai disgiunto il pensiero da quanto ti ho detto allora, da quello che la tua
venuta qui avesse un riferimento al tuo destino futuro. Tanto che ora tu impallidisci sempre più,
intuendo che è un grave destino, un’eredità piena di una responsabilità tale da far tremare anche un
eroe. Una responsabilità e una missione che vanno eseguite con tutta la santità possibile in un uomo
per non deludere la volontà di Dio.
Non avere paura, Giacomo. Io non voglio la tua rovina. Perciò, se a questo Io ti destino, è segno che
so che da essa non danno, ma soprannaturale gloria ne avrai. Ascoltami, Giacomo. Fai in te la
pace, con un bell’atto di abbandono in Me, per potere udire e ricordare le mie parole. Mai più
saremo così soli e con lo spirito così preparato ad intenderci.
3Io me ne andrò un giorno. Come tutti gli uomini che hanno un tempo di sosta sulla terra. La mia
sosta cesserà in modo diverso da quello degli uomini, ma cesserà sempre e voi non mi avrete più
vicino altro che con il mio Spirito, il quale, te lo assicuro, non vi abbandonerà mai. Io me ne andrò
dopo aver dato a voi quel tanto che è necessario per far progredire la mia Dottrina nel mondo, dopo
aver compiuto il Sacrificio ed avervi ottenuto la Grazia. Con questa e col Fuoco Sapienziale e
settiforme, voi potrete fare ciò che ora vi parrebbe pazzia e presunzione anche soltanto immaginare.
Io me ne andrò e voi resterete. E il mondo che non ha compreso Cristo non comprenderà gli
apostoli di Cristo. Perciò sarete perseguitati e dispersi come i più pericolosi al benessere di Israele.
Ma, posto che voi siete i miei discepoli, dovete essere felici di subire le stesse afflizioni del vostro
Maestro.
Ti ho detto un giorno di nisam: “Tu sarai quello che rimani dei profeti del Signore”. Tua madre, per
ministero spirituale, ha semi intuito il significato di queste parole. Ma, prima ancora che esse si
avverino per i miei apostoli, a te, e per te, si saranno avverate. Giacomo, tutti saranno dispersi
fuorché tu, e ciò sino alla chiamata di Dio al suo Cielo. Tu resterai al posto a cui ti avrà eletto Dio
per bocca dei fratelli, tu discendente della stirpe regale, nella città regale, ad alzare il mio scettro ed
a parlare del vero Re. D’Israele Re e del mondo, secondo una regalità sublime che nessuno
comprende fuorché coloro ai quali essa è rivelata.
Saranno tempi in cui ti occorrerà una fortezza, una costanza, una pazienza, una sagacia senza
confini. Dovrai essere giusto con carità, con una fede semplice e pura come quella di un bambino e
nello stesso tempo erudita, da vero maestro, per sostenere la fede assalita in tanti cuori e da tante
cose nemiche ad essa, e per confutare gli errori dei falsi cristiani e le sottigliezze dottrinarie del
vecchio Israele, il quale, cieco da ora, sarà più che mia cieco dopo aver ucciso la Luce, e piegherà le
parole profetiche, e persino i comandi del Padre da cui Io procedo, per persuadere se stesso, onde
darsi pace, e il mondo che Colui di cui si parla da patriarchi e profeti non ero Io. Ma che Io invece
non ero che un povero uomo, un illuso, un folle per i più buoni, un eretico indemoniato per i meno
buoni del vecchio Israele.
Io ti prego di essere allora un altro Me. No, che non è impossibile! Non lo è. Tu dovrai avere
presente il tuo Gesù, i suoi atti, la sua parola, le sue opere. Come se tu ti adagiassi nella forma di
argilla usata da chi fonde i metalli per dare loro un’impronta, così tu dovrai colarti in Me. Io sarò
sempre presente, tanto presente e vivo a voi, miei fedeli, che voi potrete unirvi a Me, fare un altro
Me, solo che lo vogliate. Ma tu, tu che sei stato con Me dalla più tenera età e hai avuto il cibo della
Sapienza dalle mani di Maria, prima ancora che dalle mie, tu che sei nipote dell’uomo più giusto
che ebbe Israele, tu devi essere un perfetto Cristo…».
4«Non posso, non posso, Signore! Dàllo a mio fratello questo compito. Dàllo a Giovanni, dàllo a
Simon Pietro, dàllo all’altro Simone. Non a me, Signore! Perché a me? Che ho fatto per meritarlo?
Non vedi che sono un ben povero uomo con una capacità sola: quella di volerti tanto bene e di
credere fermamente a tutto quanto Tu dici?».
«Giuda ha un temperamento troppo forte. Andrà molto bene dove c’è da abbattere il paganesimo.
Non qui dove c’è da convincere al cristianesimo coloro che per essere già popolo di Dio si credono
nel giusto ad ogni costo. Non qui dove c’è da convincere tutti coloro che pur credendo in Me
saranno delusi dallo svolgimento degli avvenimenti. Convincerli che il mio Regno non è di questo
mondo, ma è quel Regno, tutto spirituale, dei Cieli, il cui preludio è una vita cristiana, ossia una vita
in cui i valori preponderanti sono quelli dello spirito.
La convinzione si ottiene con ferma dolcezza. Guai a chi afferra alla gola per persuadere.
L’aggredito dirà “sì” al momento, per liberarsi dalla stretta. Ma poi fuggirà senza più voltarsi
indietro e senza più accettare discussioni, se non è un perverso ma soltanto uno fuori strada.
Fuggendo per andare ad armarsi e dare morte al prepotente assertore di dottrine diverse delle sue, se
è uno perverso o anche soltanto uno fanatico.
E tu sarai circondato da fanatici. Fanatici fra i cristiani, fanatici fra gli israeliti. I primi vorranno da
te atti di forza o il permesso, almeno, di compierli. Perché il vecchio Israele, con le sue
intransigenze e le sue restrizioni, sarà ancora agitante in essi la sua coda venefica. I secondi
marceranno contro te e gli altri come per una guerra santa in difesa della vecchia Fede, dei suoi
simboli, delle sue cerimonie. E tu sarai al centro di questo mare in tempesta. Tale è la sorte dei capi.
E tu sarai il capo di quanti saranno della Gerusalemme cristianizzata dal tuo Gesù.
5Dovrai saper amare perfettamente per potere essere capo santamente. Non le armi e gli anatemi,
ma il tuo cuore dovrai opporre alle armi e agli anatemi dei giudei. Non permetterti mai di imitare i
farisei col giudicare letame i gentili. Anche per essi Io sono venuto, perché in verità per il solo
Israele sarebbe stato sproporzionato l’annichilimento di Dio in una carne passibile di morte. Che se
è vero che il mio Amore mi avrebbe fatto incarnare con gioia anche per la salvezza di un’anima
sola, la Giustizia, che è pure parte di Dio, impone che l’Infinito si annichili per un’infinità: il genere
umano.
Dolce, per non respingere, dovrai essere anche con loro, limitandoti ad essere incrollabile nel
dogma, ma condiscendente per altre forme di vita non simili alle nostre, e tutte materiali, senza
lesine allo spirito. Molto avrai a combattere coi fratelli per questo, perché Israele è avvolto di
pratiche. Tutte esterne, tutte inutili perché non mutano lo spirito. Tu invece sii, e insegna ad altri ad
esserlo, unicamente preoccupato dello spirito. Non pretendere che i gentili mutino di improvviso le
loro usanze. Tu pure non muterai di colpo le tue. Non stare ancorato al tuo scoglio. Perché, per
raccogliere sul mare i rottami e portarli al cantiere per riformarli a nuova vita, occorre navigare e
non stare fermo. E tu devi andare cercando i rottami. Ve ne sono nel gentilesimo e anche in Israele.
Al termine del mare immenso è Dio che apre le braccia a tutti i suoi creati. Siano essi ricchi di
origine santa, come gli israeliti, oppure poveri perché pagani.
Io ho detto: “Amerete il prossimo vostro”. Prossimo non è solo il parente o il patriota. È prossimo
anche l’uomo iperboreo di cui non conoscete l’aspetto, è prossimo anche quello che in quest’ora
guarda un’aurora in zone a voi sconosciute, o che percorre i nevai delle catene favolose dell’Asia, o
beve ad un fiume che si apre un letto fra le foreste ignote del centro africano. E ti venisse un
adoratore del sole, oppure uno che ha per suo dio il vorace coccodrillo, o uno che si crede il
rincarnato Sapiente che ha saputo intuire la Verità, ma non afferrarne la Perfezione e darla per
Salute ai suoi fedeli, oppure venire chiedendoti: “Dammi la cognizione di Dio” un nauseato
cittadino di Roma o di Atene, tu non puoi e non devi dir loro: “Io vi caccio perché sarebbe
profanazione portarvi a Dio”.
Abbi presente che essi non sanno, mentre Israele sa. Eppure in verità molti in Israele sono e saranno
più idolatri e crudeli del più barbaro idolatra che nel mondo sia, e non a questo o a quell’idolo
sacrificheranno vittime umane, ma a se stessi, al loro orgoglio, avidi di sangue dopo che in loro si
sarà accesa una sete inestinguibile che durerà fino alla fine dei secoli. Solo il bere nuovamente e con
fede quanto ha acceso quella sete atroce potrebbe estinguerla. Ma allora sarà anche la fine del
mondo, perché l’ultimo a dire: “Noi crediamo che Tu sei Dio e Messia” sarà Israele, nonostante
tutte le prove che ho dato e che darò della mia Divinità.
6Veglierai e sorveglierai perché la fede dei cristiani non sia vana. Vana sarebbe se fosse solo di
parole e di ipocrite pratiche. È lo spirito quello che vivifica. Lo spirito manca nell’esercizio
macchinale o farisaico, che non è che finzione di fede e non vera fede. Che varrebbe all’uomo
cantare le lodi a Dio nell’assemblea dei fedeli, se poi ogni suo atto è imprecazione a Dio, che non si
fa zimbello del fedele, ma, nella sua paternità, conserva sempre le sue prerogative di Dio e Re?
Veglia e sorveglia perché nessuno prenda il posto non suo. La Luce sarà data da Dio a seconda dei
gradi che avete. Dio non vi farà mancare la Luce, a meno che la Grazia non venga spenta in voi dal
peccato.
Molti ameranno sentirsi dire “maestro”. Uno solo è il Maestro: Colui che ti parla; e una sola è
Maestra: la Chiesa che lo perpetua. Nella Chiesa, maestri saranno coloro che saranno consacrati con
incarico speciale all’insegnamento. Però fra i fedeli vi saranno quelli che per volontà di Dio e per
santità propria, ossia per loro buona volontà, saranno presi dal gorgo della Sapienza e parleranno.
Altri ve ne saranno, di per loro non sapienti, ma docili come strumenti nelle mani dell’artiere, ed a
nome dell’Artiere parleranno, ripetendo come bambini buoni ciò che il Padre loro dice di dire, pur
senza comprendere tutta l’estensione di quello che dicono. Vi saranno infine quelli che parleranno
come fossero maestri, e con uno splendore che sedurrà i semplici, ma saranno superbi, duri di cuore,
gelosi, iracondi, mentitori e lussuriosi.
Mentre ti dico di raccogliere le parole dei sapienti nel Signore e dei sublimi pargoli dello Spirito
Santo, aiutandoli anzi a comprendere la profondità delle divine parole - perché, se essi sono i
portatori della divina Voce, voi, miei apostoli, sarete sempre i docenti della mia Chiesa, e dovete
soccorrere questi soprannaturalmente stanchi dalla estasiante e grave ricchezza che Dio ha deposta
in loro perché la portassero ai fratelli - così ti dico: respingi le parole di menzogna dei falsi profeti,
la cui vita non è consona alla mia dottrina. La bontà della vita, la mansuetudine, la purezza, la carità
e l’umiltà non mancheranno mai nelle sapienze e nelle piccole voci di Dio. Sempre negli altri.
Veglia e sorveglia perché gelosie e calunnie non siano nell’assemblea dei fedeli, e neppure
risentimenti e spirito di vendetta. Veglia e sorveglia perché la carne non prenda il sopravvento sullo
spirito. Non potrebbe sopportare le persecuzioni colui che non ha lo spirito re sulla carne.
7Giacomo, Io so che tu lo farai, ma da’ al tuo Fratello la promessa che tu non mi deluderai».
«Ma Signore, Signore! Io ho solo una paura: quella di non essere capace di fare. Signor mio, io te
ne prego, dà ad un altro questo incarico».
«No. Non posso…».
«Simone di Giona ti ama, e tu lo ami…».
«Simone di Giona non è Giacomo di Davide».
«Giovanni! Giovanni, l’angelo dotto, fai lui tuo servo qui».
«No. Non posso. Né Simone né Giovanni possiedono quel nulla che è pure molto presso gli uomini:
la parentela. Tu mi sei parente. Dopo avermi… dopo avermi misconosciuto, la parte migliore di
Israele cercherà di avere perdono presso Dio e presso se stessa col cercare di conoscere il Signore
che avranno maledetto nell’ora di Satana, e parrà loro di avere perdono, e perciò forza di mettersi
nella mia via, se sarà al mio posto uno del mio sangue. Giacomo, su questo monte si sono compiute
delle ben grandi cose. Qui il fuoco di Dio consumò non solo l’olocausto, le legna, le pietre, ma
anche la polvere e persino l’acqua che era nella fossa. Giacomo, credi tu che Dio non possa fare più
simile cosa, accendendo e consumando tutte le materialità dell’uomo-Giacomo per fare un
Giacomo-fuoco di Dio? Abbiamo parlato mentre il tramonto ha fatto di fiamma persino le nostre
vesti. Così, non meno fulgente o più fulgente, credi tu che fosse il fulgore del carro che rapì Elia?».
«Molto più fulgente, perché fatto di fuoco celeste».
«E pensa allora cosa diventerà il cuore divenuto fuoco per avere in sé Dio, perché Dio lo vuole
perpetuatore del suo Verbo nel predicare la Novella di Salute».
8«Ma Tu, ma Tu, Verbo di Dio, eterno Verbo, perché non rimani?».
«Perché sono Verbo e Carne. E col Verbo devo istruire, e con la Carne redimere».
«Oh! Mio Gesù, ma come redimerai? A che vai incontro?».
«Giacomo, ricorda i profeti».
«Ma non è allegorico il loro dire? Puoi Tu, Verbo di Dio, essere malmenato dagli uomini? Non
vogliono forse dire che alla tua divinità sarà dato martirio, alla tua perfezione, ma non di più, non
più di così? Mia madre si preoccupa per me e Giuda, ma io per Te e per Maria, e poi anche per noi,
tanto deboli. Gesù, Gesù, se l’uomo ti soverchiasse, non credi Tu che molti di noi ti crederebbero
reo e si allontanerebbero delusi da te?».
«Ne sono sicuro. Vi sarà uno sconvolgimento in tutti gli strati dei miei discepoli. Ma poi tornerà
pace, e anzi verrà una coesione delle parti migliori, sulle quali, dopo il mio sacrificio e il mio
trionfo, verrà lo Spirito fortificatore e sapiente: il divino Spirito».
«Gesù, perché io non defletta e non abbia scandalo nell’ora tremenda, dimmi: che ti faranno?».
«È una grande cosa ciò che mi chiedi».
«Dimmela, Signore».
«Ti sarà tormento saperla esattamente».
«Non importa. Per quell’amore che ci ha uniti…».
«Non deve essere nota».
«Dimmela e poi smemorami fino all’ora in cui dovrà compiersi. Allora riconducila alla mia
memoria insieme a quest’ora. Così non mi scandalizzerò di nulla e non ti diverrò nemico nel fondo
del cuore».
«Non gioverà a nulla perché tu pure cederai nella bufera».
«Dimmela, Signore!».
«Io sarò accusato, tradito, preso, torturato, posto a morte di croce».
«Noooh!» Giacomo urla e si torce come se fosse lui colpito a morte. «No!» ripete. «Se a Te così,
che faranno a noi? Come potremo continuare la tua opera? Non posso, non posso accettare il posto
che mi destini… Non posso!… Non posso! Tu morto, sarò un morto io pure, senza forza più. Gesù,
Gesù! Ascoltami. Non mi lasciare senza di Te. Promettimi, promettimi questo almeno!».
«Ti prometto che verrò a guidarti col mio Spirito, dopo che la gloriosa Risurrezione mi avrà liberato
dalle restrizioni della materia. Io e te saremo ancora una cosa sola, come ora che mi sei fra le
braccia», perché infatti Giacomo si è abbandonato a piangere sul petto di Gesù.
9«Non piangere più. Usciamo da quest’ora di estasi, luminosa e penosa, come uno che esce dalle
ombre di morte ricordando tutto fuorché cosa è l’atto-morte, spavento agghiacciante che dura un
minuto e che come fatto-morte dura per secoli. Vieni, ti bacio così, per aiutarti a dimenticare l’onere
della mia sorte d’Uomo. Troverai il ricordo a suo tempo come tu hai chiesto. Tieni, ti bacio sulla
bocca che dovrà ripetere le mie parole alle genti d’Israele, e sul cuore che dovrà amare come Io ho
detto, e qui, sulla tempia dove cesserà la vita insieme all’ultima parola di amorosa fede in Me.
Come verrò, fratello a Me diletto, presso di te, nelle assemblee dei fedeli, nelle ore di meditazione,
in quelle di pericolo e nell’ora della morte! Nessuno, neppure il tuo angelo, raccoglierà il tuo
spirito, ma Io, con un bacio così…».
Restano abbracciati a lungo e Giacomo pare che quasi si assopisca nella gioia dei baci di Dio che lo
smemorano dal suo soffrire. Quando alza il capo è tornato il Giacomo d’Alfeo, pacato e buono,
tanto simile a Giuseppe, sposo di Maria. Sorride a Gesù, un sorriso più maturo, un poco triste, ma
sempre così dolce.
«Prendiamo il nostro cibo, Giacomo, e poi dormiamo sotto le stelle. Alla prima luce scenderemo a
valle… andando fra gli uomini…» e Gesù ha un sospiro… Ma termina con un sorriso: «… e da
Maria».
«E a mia madre che dirò, Gesù? E che ai compagni? Senza domande non mi lasceranno…».
«Potrai dire loro tutto quanto ti dissi, facendoti considerare Elia nelle sue risposte ad Acab, al
popolo sul monte, e sulla potenza di uno amato da Dio per ottenere ciò che si vuole da popoli interi
ed elementi, e il suo zelo, che lo divora, per il Signore, e come ti ho fato considerare che con la pace
e nella pace si intende e si serve Dio. Dirai loro che come Io ho detto a voi: “Venite”, così voi,
come Elia fece col suo mantello su Eliseo, voi col mantello della carità potrete catturare nuovi servi
di Dio al Signore. E a quelli che hanno sempre preoccupazioni, di’ come ti ho fatto notare l’allegra
libertà delle cose del passato che mostra Eliseo, liberandosi dai buoi e dall’aratro. Di’ loro come ho
ricordato che a chi vuole miracoli mediante Belzebù avviene del male e non del bene, come
avvenne ad Ocozia, secondo la parola di Elia. Di’ loro, finalmente, come ti ho promesso che a chi
sarà fedele fino alla morte verrà il fuoco purificatore dell’Amore ad ardere le imperfezioni per
portarlo direttamente al Cielo. Il resto è per te solo».
259.Lezione sulla Chiesa e sui Sacramenti a Giacomo d’Alfeo, che opera
un miracolo.
21 agosto 1945.
1Gesù lascia il pianoro del Carmelo e scende per i sentieri rugiadosi, attraverso ai boschi che si
animano sempre più di trilli e di voci, sotto il primo sole che indora la pendice orientale del monte.
Quando la lieve nebbiolina del caldo si dissolve sotto al sole, tutta la pianura di Esdrelon si
manifesta nella sua bellezza di frutteti e vigneti, stretti intorno alle case. Sembra un tappeto, per lo
più verde, con rare oasi giallastre, sparse in un turbinio di rosso, che sono i campi del grano segato
dove ora fiammeggiano i papaveri, stretto dal castone triangolare dei monti Carmelo, Tabor,
Hermon (il piccolo Hermon) e dai monti più lontani, di cui non so il nome, che nascondono il
Giordano e che si uniscono a sud-est coi monti della Samaria.
Gesù si arresta a guardare, pensosamente, tutta quella parte di Palestina.
Giacomo lo guarda e dice: «Guardi la bellezza di questa zona?».
«Sì, anche quella. Ma più che altro, penso alle peregrinazioni future e alla necessità di mandarvi, e
mandare senza indugio, i discepoli, non nel limitato lavoro di ora, ma in un vero lavoro missionario.
Abbiamo zone e zone che ancora non mi conoscono, ed Io non voglio lasciare luoghi senza di Me.
È il mio affanno sempre presente: andare, fare, mentre posso, e fare tutto…».
«Ogni tanto intervengono cose che ti rallentano».
«Più che rallentarmi, impongono mutamenti nell’itinerario da seguire, perché non sono mai inutili i
viaggi che facciamo. Ma c’è ancora tanto, tanto da fare… Anche perché, dopo un’assenza da un
luogo, Io ritrovo molti cuori tornati al punto di prima e devo tornare da capo».
«Sì, è accasciante e disgustante questa apatia degli spiriti, questa volubilità e questa preferenza al
male».
«Accasciante. Non dire disgustante. Il lavoro di Dio non è mai disgustante. Le povere anime devono
farci pietà, non disgusto. Noi dobbiamo avere sempre un cuore di padre, di padre buono. Un buon
padre non ha mai disgusto per le malattie dei figli. Non ne dobbiamo avere noi, per nessuno».
2«Gesù, mi permetti di farti delle domande? Io, anche questa notte, non ho dormito. Ma ho molto
pensato mentre ti guardavo dormire. Nel sonno sembri tanto giovane, Fratello! Sorridevi, con il
capo appoggiato ad un braccio ripiegato sotto la testa, proprio una posa da bambino. Ti vedevo bene
per la luna così luminosa di questa notte. Io pensavo. E molte domande mi sono venute su dal
cuore…».
«Dille».
«Dicevo: bisogna che io chieda a Gesù come potremo noi giungere a questo organismo, che Tu hai
detto Chiesa e nel quale, se ho ben capito, vi saranno gerarchie, con la nostra insufficienza. Ci dirai
Tu tutto quello che dobbiamo fare, o dovremo farlo da noi?».
«Io, quando sarà l’ora, vi indicherò il capo di essa. Non oltre. Durante la mia presenza fra voi già vi
indico le diverse classi con le differenze fra apostoli, discepoli e discepole. Perché queste sono
inevitabili. Però Io voglio che, come nei discepoli deve essere rispetto e ubbidienza agli apostoli,
così gli apostoli abbiano amore e pazienza coi discepoli».
«E che dovremo fare? Sempre e solo predicarti?».
«Questa è la cosa essenziale. 3Poi dovrete in mio nome assolvere e benedire, riammettere alla
Grazia, amministrare i sacramenti che Io istituirò…».
«Che sono queste cose?».
«Sono mezzi soprannaturali e spirituali applicati anche con mezzi materiali, usati per persuadere gli
uomini che il sacerdote fa realmente qualche cosa. Tu vedi che l’uomo se non vede non crede. Ha
sempre bisogno di qualche cosa che gli dica che c’è qualcosa. Per questo, quando Io faccio miracoli
impongo le mani, o bagno con la saliva, o do un boccone di pane intinto. Potrei fare miracolo anche
col mio solo pensiero. Ma credi tu che allora la gente direbbe: “Dio ha fatto il miracolo”? Direbbero
“È guarito perché era l’ora di guarire”. E attribuirebbero il merito al medico, alle medicine, alla
resistenza fisica del malato. Lo stesso sarà per i sacramenti: forme del culto per amministrare la
Grazia, o renderla, o fortificarla nei fedeli. Giovanni, per esempio, usava l’immersione nell’acqua
per dare una figura della mondezza dai peccati. In realtà, più che l’acqua che lavava le membra, era
utile la mortificazione di confessarsi immondi per i peccati fatti. Io pure avrò il battesimo, il mio
battesimo, che non sarà semplicemente una figura, ma sarà realmente detersione della macchia di
origine dall’anima e restituzione alla stessa dello stato spirituale che possedevano Adamo ed Eva
avanti la loro colpa, qui aumentato ancora perché dato per i meriti dell’Uomo-Dio».
«Ma… l’acqua non scende sull’anima! L’anima è spirituale. Chi l’afferra nel neonato, o nell’adulto,
o nel vecchio? Nessuno».
«Vedi che tu ammetti che l’acqua è un mezzo materiale, nullo su una cosa spirituale? Non sarà
dunque l’acqua, ma la parola del sacerdote, membro della Chiesa di Cristo, consacrato al suo
servizio, o di altro vero credente che in casi eccezionali lo sostituisca, quella che opererà il miracolo
della redenzione dalla colpa di origine del battezzato».
4«Va bene. Ma l’uomo è peccatore anche di suo… E gli altri peccati chi li leverà?».
«Sempre il sacerdote, Giacomo. Se un adulto si battezzerà, insieme alla colpa di origine si
annulleranno le altre colpe. Se l’uomo è già battezzato e torna a peccare, il sacerdote lo assolverà in
nome del Dio uno e trino e per il merito del Verbo incarnato, così come faccio Io coi peccatori».
«Ma Tu sei santo! Noi…».
«Voi santi dovete essere perché toccate cose sante e amministrate ciò che è di Dio».
«Allora battezzeremo più volte lo stesso uomo, come fa Giovanni che concede l’immersione
nell’acqua quante volte uno viene a lui?».
«Giovanni nel suo battesimo non fa che una purificazione attraverso l’umiltà di colui che si
immerge. Te l’ho già detto. Voi non ribattezzerete chi è già battezzato, fuori che nel caso che lo sia
stato con formula non apostolica ma scismatica, nel quale caso è amministrabile un secondo
battesimo previa netta domanda del battezzando, se è adulto, di volerlo e netta dichiarazione di
voler far parte della vera Chiesa. Le altre volte, per rendere l’amicizia e la pace con Dio, userete la
parola del perdono unita ai meriti di Cristo, e l’anima, venuta a voi con vero pentimento e umile
accusa, sarà assolta».
5«E se uno non può venire perché malato al punto di non poter essere rimosso? Morirà allora in
peccato? Alla sofferenza dell’agonia unirà quella della paura del giudizio di Dio?».
«No. Il sacerdote andrà dal morente e lo assolverà. Anzi gli darà la forma più ampia di assoluzione,
non complessiva, ma per ogni e singolo organo del senso, per cui l’uomo generalmente giunge al
peccato. Noi abbiamo in Israele l’olio santo, composto secondo la regola data dall’Altissimo, e col
quale vengono consacrati l’altare, il pontefice, i sacerdoti e i re. L’uomo è realmente altare. E re
diventa per la sua elezione al seggio del Cielo; può dunque essere consacrato con l’olio
dell’unzione. L’olio santo sarà preso con altre parti del culto israelitico e incluso nella mia Chiesa,
sebbene con altri usi. Perché non tutto in Israele è male e va respinto. Ma anzi molti ricordi del
ceppo antico saranno nella Chiesa mia. Ed uno sarà l’olio dell’unzione, usato anche dalla Chiesa per
consacrare l’altare, i pontefici e le gerarchie ecclesiastiche, tutte, e per consacrare i re, ed i fedeli,
quando diverranno i principi-eredi del Regno, oppure quando avranno bisogno del massimo aiuto
per comparire davanti a Dio con le membra e i sensi mondati da ogni colpa. La grazia del Signore
soccorrerà l’anima ed anche il corpo, se a Dio così piace per il bene del malato. Il corpo molte volte
non reagisce alla malattia anche per i rimorsi che gli turbano la pace per l’opera di Satana che, per
quella morte, spera di guadagnare un’anima al suo regno e anche portare disperazione i superstiti. Il
malato passa dalla stretta satanica e dal turbamento interiore alla pace, mediante la certezza del
perdono di Dio che gli ottiene anche l’allontanamento di Satana. E posto che il dono della Grazia
aveva a compagno, nei progenitori, quello della immunità dalle malattie e da ogni forma di dolore,
il malato, restituito alla Grazia, grande quanto quella che è di un neonato battezzato del mio
battesimo, può ottenere anche la vittoria sulla malattia. In questo aiutato anche dalla preghiera dei
fratelli di fede, nei quali vi è l’obbligo della pietà verso il malato, pietà non solo corporale ma
soprattutto spirituale, tendente ad ottenere salvezza fisica e spirituale del fratello. La preghiera è già
una forma di miracolo, Giacomo. La preghiera di un giusto, tu lo hai visto in Elia, tanto può fare».
6«Ti comprendo poco, ma quello che comprendo mi riempie di riverenza per il carattere sacerdotale
dei tuoi sacerdoti. Se ben comprendo, avremo con Te molti punti in comune: la predicazione,
l’assoluzione, il miracolo. Tre sacramenti, dunque».
«No, Giacomo. Predicazione e miracolo non sono sacramenti. Ma i sacramenti saranno di più. Sette
come il candelabro del Tempio e i doni dello Spirito d’Amore. E in verità i sacramenti sono doni e
sono fiamme, dati perché l’uomo arda davanti al Signore nei secoli dei secoli. Vi sarà anche il
sacramento per le nozze dell’uomo. Quello che è accennato nel simbolo delle nozze sante di Sara di
Raguele, liberata dal demonio. Esso agli sposi darà tutti gli aiuti per una santa convivenza secondo
le leggi e i desideri di Dio. Anche lo sposo e la sposa divengono ministri di un rito: quello
procreativo. Anche il marito e la moglie divengono sacerdoti di una piccola chiesa: la famiglia.
Devono perciò essere consacrati per procreare con benedizione di Dio e per allevare una
discendenza nella quale si benedica il Nome Ss. di Dio».
«E noi, i sacerdoti, chi ci consacrerà?».
«Io prima di lasciarvi. Voi poi consacrerete i successori e quanti vi aggregherete per propagare la
fede cristiana».
«Ci insegnerai Tu, non è vero?».
«Io e Colui che Io vi manderò. Anche questa venuta sarà un sacramento. Volontario da parte di Dio
Ss. nella sua prima epifania, poi dato da coloro che avranno avuto la pienezza del sacerdozio. Sarà
forza e intelligenza, sarà affermazione nella fede, sarà pietà santa e santo timore, sarà aiuto di
consiglio e sapienza soprannaturale, e possesso di una giustizia che per sua natura e potenza farà
adulto il pargolo che la riceve. Ma non puoi per ora comprendere questo. Egli stesso te lo farà
comprendere. Egli, il divino Paraclito, l’Amore eterno, quando sarete giunti al momento di riceverlo
in voi. E così non potete per ora comprendere un altro sacramento. È quasi incomprensibile agli
angeli tanto è sublime. Eppure voi, semplici uomini, lo comprenderete per virtù di fede e di amore.
In verità ti dico che chi lo amerà e se ne nutrirà lo spirito, potrà calpestare il demonio senza averne
danno. Perché Io allora sarò con lui. Cerca di ricordare queste cose, fratello. A te spetterà di dirle ai
compagni e ai fedeli, molte e molte volte. Voi allora saprete già per ministero divino, ma tu potrai
dire: “Egli me lo ha detto un giorno, scendendo dal Carmelo. Tutto mi ha detto perché io ero fin da
allora destinato ad essere il capo della Chiesa di Israele”».
7«Ecco un’altra domanda da farti. La pensavo da questa notte. Ma devo essere io a dire ai
compagni: “Io sarò il capo qui”? Non mi piace. Lo farò se lo ordini. Ma non mi piace».
«Non avere timore. Lo Spirito Paraclito scenderà su tutti e vi darà i pensieri santi. Tutti avrete gli
stessi pensieri per la gloria di Dio nella sua Chiesa».
«E non ci saranno mai più quelle discussioni così… così spiacevoli che ci sono ora? Anche Giuda
di Simone non sarà più elemento di disagio?».
«Non sarà più, sta’ tranquillo. Ma divergenze ce ne saranno ancora. È per quello che ti ho detto:
veglia e sorveglia senza stancarti mai, facendo il tuo dovere fino in fondo».
«Ancora una domanda, mio Signore. In tempo di persecuzione come mi devo comportare? Sembra,
a quello che Tu dici, che io debba a restare solo dei dodici. Gli altri dunque se ne andranno per
sfuggire la persecuzione. Ed io?».
«Tu rimarrai al tuo posto. Perché, se è necessario che non siate sterminati finché non sia ben
consolidata la Chiesa - e ciò giustifica la dispersione di molti discepoli e quasi tutti gli apostoli nulla giustificherebbe la diserzione tua e l’abbandono da parte tua della Chiesa di Gerusalemme.
Anzi più essa sarà in pericolo e più tu dovrai vegliarla come fosse la tua creatura più cara e in
procinto di morte. Il tuo esempio irrobustirà lo spirito dei fedeli. Ne avranno bisogno per superare la
prova. Più deboli li vedrai e più li dovrai sostenere, con compassione e con sapienza. Se tu sarai
forte, non essere senza pietà per i deboli. Ma sostienili pensando: “Io tutto ho avuto da Dio per
giungere a questa mia forza. Umilmente devo dirlo e caritatevolmente devo agire per i meno
benedetti dei doni di Dio” e dare, dare la tua forza, con la parola, col soccorso, con la calma, con
l’esempio».
«E se fra i fedeli ce ne fossero di malvagi, causa di scandalo e di pericolo per gli altri, che devo
fare?».
«Prudenza nell’accettarli, perché è meglio essere pochi e buoni che molti e non buoni. Tu conosci il
vecchio apologo delle mele sane e delle mele malate. Fa’ che non si ripeta nella tua chiesa. Ma se
troverai tu pure i tuoi traditori, cerca ravvederli in tutti i modi, serbando i modi severi per mezzo
estremo. Ma se si tratterà solo di piccole colpe, individuali, non essere di una severità che sgomenta.
Perdona, perdona… Fa più un perdono congiunto a lacrime e a parole d’amore che un anatema, a
redimere un cuore. Se la colpa è grave, ma frutto di un improvviso assalto di Satana, tanto grave che
il colpevole sente il bisogno di fuggire dal tuo cospetto, tu va’ in cerca del colpevole. Perché egli è
agnello sviato e tu sei il pastore. Non temere di avvilire te stesso con lo scendere per le vie fangose,
col frugare per stagni e i precipizi. La tua fronte si incoronerà allora della corona del martire
dell’amore, e sarà la prima delle tre corone… E tu stesso sarai tradito, come lo fu il Battista, e tanti
altri, perché ogni santo ha il suo traditore, perdona. Più a questo che ad alcun altro. Perdona come
Dio ha perdonato agli uomini e come perdonerà. Chiama ancora “figlio” colui che ti darà dolore,
perché il Padre così vi chiama per bocca mia, e in verità non vi è uomo che non abbia dato dolore al
Padre dei Cieli…».
8Un lungo silenzio mentre attraversano pascoli sparsi di pecore brucianti.
Infine Gesù chiede: «Non hai altre domande da farmi?».
«No, Gesù. E questa mattina ho capito meglio la mia tremenda missione…».
«Perché sei meno sconvolto di ieri. Quando sarà la tua ora, sarai ancora più in pace e capirai meglio
ancora».
«Ricorderò tutte queste cose… tutte… meno….»
«Che Giacomo?».
«Meno quella che non mi lasciava guardarti senza pianto questa note. Quella che non so se me l’hai
proprio detta Tu - e dovrei crederla se detta da Te - oppure se è stato uno sgomento del demonio.
Ma come puoi essere tanto calmo se… se quelle cose ti dovessero proprio accadere?».
«E tu saresti calmo se Io ti dicessi: “Vi è quel pastore che si trascina con fatica per l’arto storpiato.
Vedi di guarirlo in nome di Dio”?».
«No, mio Signore. Sarei come fuori di me pensando di essere tentato ad usurpare il tuo posto».
«E se te lo comandassi?».
«Lo farei per ubbidienza e non avrei più nessuna agitazione, perché saprei che Tu lo vuoi e sarei
senza tema di non saper fare. Perché certo Tu, nel mandarmi, mi daresti la forza di fare ciò che Tu
vuoi».
«Tu lo dici, e dici bene. Vedi dunque che Io, facendo ubbidienza al Padre, sono sempre in pace».
Giacomo piange chinando il capo.
«Vuoi proprio dimenticare?».
«Ciò che Tu vuoi, Signore…».
«Hai due scelte: dimenticare oppure ricordare. Il dimenticare ti libererà dal dolore e dal silenzio
assoluto presso i compagni, ma ti lascerà impreparato. Il ricordare ti preparerà alla tua missione,
perché non c’è che ricordare ciò che patisce nella sua vita terrena il Figlio dell’uomo per non
lamentarsi mai e per virilizzarsi spiritualmente, vedendo tutto del Cristo nella più luminosa luce.
Scegli».
«Credere, ricordare, amare. Questo vorrei. E morire, al più presto, Signore…» e Giacomo piange
sempre senza rumore. Non fossero le gocce del pianto che brillano sulla sua barba castana, non si
capirebbe che piange.
Gesù lo lascia fare…
Infine Giacomo dice: «E se in futuro Tu farai nuove allusioni al… al tuo martirio, devo dire che
so?».
«No. Taci. Giuseppe ha saputo tacere sul suo dolore di sposo che si credeva tradito e sul mistero del
concepimento verginale e della mia Natura. Imitalo. Anche quello era un tremendo segreto. Eppure
andava custodito, perché il non custodirlo, o per orgoglio o per leggerezza, sarebbe stato mettere in
pericolo tutta la Redenzione. Satana è costante nel vegliare e nell’agire. Ricordalo. Il tuo parlare ora
sarebbe danno a troppi, per troppe cose. Taci».
«Tacerò… e sarà doppio peso…».
Gesù non risponde. Lascia che Giacomo, al riparo del suo copricapo di lino, pianga liberamente.
Incontrano un uomo con un bambino infelice legato alle sue spalle.
«È tuo figlio?» chiede Gesù.
«Sì. Mi è nato, uccidendo la madre, così. Ora, morta anche mia madre, andando al lavoro me lo
porto dietro per sorvegliarlo. Sono boscaiolo. Me lo sdraio sull’erba, sul mantello, e mentre sego le
piante egli si diverte coi fiori, misero figlio mio!».
«Hai una grande sventura».
«Eh! sì! Ma ciò che Dio vuole va preso con pace».
«Addio, uomo. La pace sia con te».
«Addio. A voi pace».
L’uomo ascende il monte, Gesù e Giacomo scendono ancora.
«Quante sventure! Speravo che Tu lo guarissi» sospira Giacomo.
Gesù non mostra di intendere.
«Maestro, se quell’uomo avesse saputo che Tu sei il Messia, forse ti avrebbe chiesto il miracolo…».
Gesù non risponde.
«Gesù. mi lasci andare dietro a dirlo a quell’uomo? Ho pietà di quel bambino. Ho il cuore già tanto
pieno di dolore. Dammi almeno la gioia di vedere quel piccolo guarito».
«Vai pure. Ti aspetto qui».
10Giacomo parte di corsa. Raggiunge l’uomo, lo chiama: «Uomo, fermati, ascolta! Quello che era
con me è il Messia. Dammi il tuo bambino, ché io glielo porti. Vieni anche tu, se vuoi, per vedere se
il Maestro te lo guarisce».
«Vai tu, uomo. Io devo segare tutto questo legname. Ho già fatto tardi per causa del bambino. E se
non lavoro non mangio. Sono povero e lui mi costa tanto. Io credo nel Messia, ma è meglio che tu
gli parli per me».
Giacomo si china a raccogliere il bambino steso sull’erba.
«Fa piano» ammonisce il boscaiolo «è tutto un dolore».
Infatti, non appena Giacomo fa per alzarlo, il bambino piange lamentosamente.
«Oh! che pena!» sospira Giacomo.
«Una grande pena» dice il boscaiolo lavorando di sega in un tronco duro, e aggiunge: «Non potresti
guarirlo tu?».
«Non sono il Messia, io. Sono un suo discepolo soltanto…».
«Ebbene? I medici imparano da altri medici. I discepoli dal Maestro. Va’ là, sii buono. Non lo fare
soffrire. Prova tu. Se il Maestro voleva venire qui, lo faceva. Ha mandato te o perché non lo vuole
guarire o perché vuole che lo guarisca tu».
Giacomo è perplesso. Poi si decide. Si raddrizza e prega come vede fare dal suo Gesù, e poi intima:
«In nome di Gesù Cristo, Messia d’Israele e Figlio di Dio, guarisci!» e subito dopo si inginocchia
dicendo: «Oh! mio Signore, perdono! Ho agito senza il tuo permesso! Ma è stata pietà di questa
creatura d’Israele. Pietà, mio Dio! Per lui e per me, peccatore!» e piange di gusto, curvo sul
bambino disteso. Le lacrime cadono sulle gambine contorte e inerti.
11Gesù sbuca dal sentiero. Ma nessuno lo vede perché il boscaiolo lavora, Giacomo piange, il
bambino lo guarda curiosamente e poi, carezzoso, chiede: «Perché piangi?» e stende una manina a
carezzarlo, e senza avvedersene si siede da solo, si alza e abbraccia Giacomo per consolarlo.
È il grido di Giacomo quello che fa voltare il boscaiolo, che vede la sua creatura ritta sulle gambe
non più morte e contorte. E nel volgersi vede Gesù. «Eccolo! Eccolo!» grida accennando dietro le
spalle di Giacomo, che si volta e vede Gesù che lo guarda con un viso di luminosa gioia.
«Maestro! Maestro! Io non so come fu… la pietà… quest’uomo… questo piccolo… Perdono!».
«Alzati. I discepoli non sono più del Maestro ma possono fare ciò che fa il Maestro quando lo fanno
con santo motivo. Alzati e vieni con Me. Siate benedetti voi due e ricordatevi che anche i servi di
Dio fanno le opere del Figlio di Dio» e se ne va tirandosi dietro Giacomo, che dice sempre: «Ma
come ho potuto? Io non capisco ancora. Con che ho fatto miracolo in tuo nome?».
«Con la tua pietà, Giacomo. Col tuo desiderio di farmi amare da quell’innocente e da quell’uomo
che credeva e dubitava insieme. Giovanni presso Jabnia fece miracolo per amore, guarendo un
morente con l’ungerlo pregando. Tu qui hai guarito col tuo pianto e la tua pietà. E con la tua fiducia
nel mio Nome. Vedi come è pacifico servire il Signore quando nel discepolo è retta intenzione? Ora
andiamo lesti, perché quell’uomo ci segue. Non è bene che i compagni sappiano di ciò, ancora.
Presto vi manderò in mio Nome… (un gran sospiro di Gesù) come Giuda di Simone arde di fare (un
altro sospirone). E farete… Ma non per tutti sarà un bene. Svelto, Giacomo! Simon Pietro, tuo
fratello, e anche gli altri, soffirebbero di sapere questo, come di una parzialità. Ma non lo è. È
preparare fra voi dodici qualcuno che sappia guidare gli altri. Scendiamo nel greto di questo torrente
coperto di fogliame. Faremo perdere le nostre tracce… Te ne spiace per il bambino? Oh! Lo
ritroveremo…».
260. Due parabole di Pietro per i contadini della pianura di Esdrelon.
22 agosto 1945.
1«Che cosa fate, amici, presso questo fuoco?» chiede Gesù, trovando i discepoli intorno ad un ben
nutrito fuoco che splende nelle prime ombre della sera ad un crocevia della pianura di Esdrelon.
Gli apostoli sobbalzano non avendolo veduto venire e dimenticano il fuoco per acclamare il
Maestro. Sembra che sia un secolo che non lo vedono. Poi spiegano: «Zitto! Abbiamo composto
una questione fra due fratelli di Jezrael e sono stati così contenti che ci hanno voluto dare ognuno
un agnello. Abbiamo pensato di cuocerlo per darlo a quelli di Doras. Michea di Giocana li ha
scannati e preparati e ora li mettiamo ad arrostire. Tua Madre con Maria e Susanna sono andate ad
avvertire quelli di Doras di venire alla fine del vespero, quando l’intendente è chiuso in casa a
sbevazzare. Le donne danno meno nell’occhio… Noi si è cercato di vederli passando come
viandanti per i campi, ma si è fatto poco. Questa sera avevamo deciso di riunirci qui e dire…
qualche cosa di più, per l’anima, e farli stare bene anche col corpo, come Tu hai fatto le altre volte.
Ma ora ci sei Tu e sarà più bello».
«Chi avrebbe parlato?».
«Mah! Un poco tutti…. Così alla buona. Non si è capaci di più, molto più che Giovanni, lo Zelote e
tuo fratello non vogliono parlare, e neppure Giuda di Simone, e anche Bartolomeo cerca di non
parlare… Ci siamo anche litigati per questo…» dice Pietro.
«E perché non vogliono parlare quei cinque?».
«Giovanni e Simone perché dicono che non sta bene sempre loro… Tuo fratello perché vuole che
parli io dicendo che se non comincio mai… Bartolomeo perché… perché ha paura di parlare troppo
da maestro e di non saperli convincere. Tu vedi che sono scuse…».
«E tu, Giuda di Simone, perché non vuoi parlare?».
«Ma per le stesse ragioni degli altri! Per tutte insieme, perché tutte giuste…».
«Molte ragioni. E una non è detta. 2Ora giudico Io, e con giudizio inappellabile. Tu, Simone di
Giona, parlerai come dice il Taddeo, che dice con saggezza. E tu, Giuda di Simone, anche parlerai.
Così una delle molte ragioni, quella nota a Dio e a te, cessa di esistere».
«Maestro, credi, non c’è altro…» cerca di ribattere Giuda.
Ma Pietro lo soverchia dicendo: «Oh! Signore! Io parlare Te presente? Non riuscirò! Ho paura che
Tu rida…».
«Tu non vuoi essere solo; tu non vuoi essere con Me… Che vuoi allora?».
«Hai ragione. Ma… che devo dire?».
«Guarda tuo fratello che sta venendo con gli agnelli. Aiutalo, e mentre li cuoci pensaci. Tutto serve
a trovare argomenti».
«Anche un agnello sulla fiamma?» chiede incredulo Pietro.
«Anche. Ubbidisci».
Pietro ha un sospirone proprio pietoso, ma non ribatte più. Va incontro ad Andrea e lo aiuta ad
infilare le bestie su un appuntito bastone che fa da spiedo, e si dà a sorvegliare la cottura con una
concentrazione nel viso che lo fa parere un giudice nel momento della sentenza.
«Andiamo incontro alle donne, Giuda di Simone» ordina Gesù. E se ne va verso i campi senza vita
di Doras. «Un buon discepolo non disprezza ciò che il Maestro non disprezza, Giuda» dice dopo
qualche tempo e senza preamboli.
«Maestro, io non sprezzo. Ma, come Bartolomeo, sento che non sarei capito e preferisco tacere».
«Natanaele lo fa per paura di non eseguire il mio desiderio, ossia di illuminare e sollevare i cuori.
Fa male anche lui, perché manca di fiducia nel Signore. Ma tu fai molto più male perché in te non è
paura di non essere capito, ma è disdegno di farti capire da poveri contadini, ignoranti in tutto
fuorché nella virtù. In questa veramente superano molti di voi. Non hai ancora capito nulla, Giuda.
Il Vangelo è proprio la Buona Novella portata ai poveri, ai malati, agli schiavi, ai desolati. Poi sarà
anche degli altri. Ma è proprio perché gli infelici di tutte le infelicità abbiano aiuto e conforto, che
essa è data».
Giuda curva il capo e non risponde.
3Da un folto di piante sbucano Maria, Maria Cleofe, e Susanna.
«Madre, ti saluto! La pace a voi, donne!».
«Figlio mio! Ero andata da quei… torturati. Ma ho avuto una notizia buona a non farmi soffrire
oltre misura. Doras si è liberato di queste terre e le ha prese Giocana. Non è un paradiso… Ma non è
più quell’inferno. Oggi l’intendente lo ha detto ai contadini. Lui se ne è già andato, portando via sui
carri fino all’ultimo chicco di grano e lasciando tutti senza mangiare. E posto che il sorvegliante di
Giocana ha per oggi cibarie solo per i suoi, quelli di Doras avrebbero dovuto stare senza mangiare.
È proprio stata una provvidenza avere quegli agnelli!».
«Provvidenza è anche che non siano più di Doras. Abbiamo visto le loro case… Porcili…» dice
scandalizzata Susanna.
«Sono tutti felici, quei poveretti!» termina Maria Cleofe.
«Io pure sono contento. Staranno sempre meglio di prima» risponde Gesù, che torna verso gli
apostoli.
Giovanni di Endor lo raggiunge con brocche d’acqua che porta insieme ad Ermasteo. «Ce le hanno
date quelli di Giocana» spiega dopo aver venerato Gesù.
Tornano tutti al posto dove rosolano i due agnelli fra dense nubi di fumo grasso. Pietro continua a
rigirare il suo spiedo, e intanto rimugina i suoi pensieri. Invece Giuda Taddeo, tenendo abbracciato
alla vita il fratello, va avanti e indietro parlando fitto fitto. Gli altri, chi porta altre legna, chi
prepara… la tavola, portando grosse pietre per fare da sedile o da tavola. Non so.
4Arrivano i contadini di Doras. Ancor più magri e laceri. Ma così felici! Sono una ventina e non c’è
neppure un bambino né una donna. Poveri uomini soli…
«La pace a voi tutti e benediciamo insieme il Signore per avervi dato un padrone migliore.
Benediciamolo pregando per la conversione di quello che vi ha fatto tanto soffrire. Non è vero? Sei
felice, vecchio padre? Io pure. Potrò venire più spesso col bambino. Ti hanno detto? Piangi di gioia,
vero? Vieni, vieni senza timore...» dice parlando col nonno di Marziam, il quale gli bacia le mani
tutto curvo e piangente e mormorante: «Non chiedo più nulla all’Altissimo. Mi ha dato più che non
chiedessi. Ora vorrei morire per paura di vivere ancora tanto da ricadere nel mio soffrire».
Un poco impacciati per essere col Maestro, i contadini si rinfrancano presto e, quando su larghe
foglie, stese sulle pietre portate prima, vengono deposti i due agnelli e vengono fatte le parti,
appoggiandola ognuna su una bassa e larga focaccia che fa anche da piatto, essi sono già tranquilli,
nella loro semplicità, e mangiano di gusto, saziando tutta la fame che hanno accumulata e
raccontando degli ultimi avvenimenti.
Uno dice: «Ho sempre maledetto le locuste, le talpe e le formiche. Ma d’ora in poi mi
sembreranno tanti messaggeri del Signore. Perché è per essi che noi lasciamo l’inferno». E per
quanto il paragonare le formiche e le locuste alle schiere angeliche sia un po’ forte, però nessuno
ride, perché tutti sentono la tragicità che è celata sotto quelle parole.
La fiamma illumina questa accolta di persone, ma i volti non guardano la fiamma e poco guardano
ciò che hanno davanti. Tutti gli occhi convergono sul volto di Gesù, distraendosene solo per
qualche momento quando Maria d’Alfeo, che si occupa di fare le parti, torna ad appoggiare nuova
carne sulle focacce degli affamati contadini, e termina la sua opera avvolgendo due cosciotti
arrostiti in altre larghe foglie, dicendo al vecchio parente di Marziam: «Tieni. Un boccone per uno
lo avrete anche domani. Intanto il sorvegliante di Giocana provvederà».
«Ma voi…».
«Noi andiamo più leggeri. Prendi, prendi, uomo».
Dei due agnelli non restano altro che le ossa spolpate e un persistente odore di grasso colato, che
ancora bruciacchia sulle legna che stanno spegnendosi, surrogate nell’illuminare dal chiarore della
luna.
5Anche i contadini di Giocana si uniscono agli altri. È l’ora di parlare.
Gli occhi azzurri di Gesù si alzano cercando Giuda Iscariota che si è messo vicino ad un albero, un
poco nell’ombra. E vedendo che egli mostra di non capire quello sguardo, Gesù chiama forte:
«Giuda!». È giuoco forza alzarsi e venire avanti. «Non ti appartare. Ti prego di evangelizzare per
Me. Sono molto stanco. E se non fossi giunto questa sera, avreste ben dovuto parlare voi!».
«Maestro… io non so che dire… Fàmmi almeno delle domande».
«Non sono Io che te le devo fare. A voi: che avete desiderio di udire o di avere spiegato?» chiede
poi ai contadini.
Gli uomini si guardano l’un l’altro… sono incerti… Infine un contadino chiede: «Noi abbiamo
conosciuto la potenza del Signore e la sua bontà. Ma ben poco sappiamo della sua dottrina. Forse
ora ne potremo sapere di più, stando con Giocana. Ma in noi è viva la volontà di sapere quali sono
le cose indispensabili da farsi per ottenere il Regno che il Messia promette. Con quel nulla che
possiamo fare, potremo ottenerlo?».
Giuda risponde: «Certo è che voi siete in condizioni molto crucciose. Tutto in voi e intorno a voi
congiura per allontanarvi dal Regno. La libertà che non avete di venire al Maestro quando vi pare,
la condizione di servi di un padrone – che, se non è una iena come Doras, è, a quel che ci risulta, un
molosso che tiene ben prigionieri i suoi servi - le sofferenze e l’avvilimento in cui siete, sono
altrettante condizioni sfavorevoli alla vostra elezione al Regno. Perché difficilmente in voi non
saranno risentimenti e sentimenti di rancore, di critica e di vendetta verso colui che vi tratta
duramente. E il minimo necessario è amare Dio e il prossimo. Senza questo non c’è salvezza. Voi
dovrete vigilare per contenere il vostro cuore in una sommissione passiva al volere di Dio, che si
palesa nella vostra sorte, e in una paziente sopportazione del padrone, senza neppure permettere al
vostro pensiero la libertà di un giudizio, che non potrebbe certo essere benevolo verso il padrone, né
di ringraziamento verso la vostra… verso il vostro… Insomma, non dovete riflettere per non avere
ribellioni in voi, ribellioni che ucciderebbero l’amore. E chi non ha l’amore non ha salvezza perché
contravviene al primo precetto. Io però sono quasi certo che voi potrete salvarvi, perché vedo in voi
la buona volontà unita ad una mitezza d’animo, che dà buona speranza che saprete tenere lontano da
voi l’odio e lo spirito di vendetta. Del resto, la misericordia di Dio è tanto grande che vi condonerà
quanto ancora manca alla vostra perfezione».
6Un silenzio. Gesù sta a testa molto china e non se ne vede l’espressione; ma degli altri sono visibili
i volti. E non sono veramente volti beati. Quelli dei contadini sono più avviliti di prima, quelli degli
apostoli e delle donne sono stupiti e direi quasi spaventati.
«Cercheremo di non far sorgere in noi nessun pensiero che non sia di pazienza e di perdono»
risponde il vecchio umilmente.
Un altro contadino sospira: «Certo sarà difficile giungere alla perfezione dell’amore, per noi che è
già molto se non siamo divenuti assassini dei nostri torturatori! L’animo soffre, soffre, soffre, e se
anche non odia, fa fatica ad amare, come quei bambini macilenti che fanno fatica a crescere…».
«Ma no, uomo. Io credo che, proprio perché avete tanto sofferto senza giungere ad essere assassini
e vendicativi, voi avete l’animo più forte del nostro nell’amore. Voi amate senza neppure
avvedervene» dice Pietro per consolarli. 7E si avvede di avere parlato e si interrompe per dire: «Oh!
Maestro!… Ma… mi hai detto che dovevo parlare… e di trovare l’argomento anche nell’agnello
che arrostivo. Io l’ho continuato a guardare per cercare delle parole buone per questi nostri fratelli,
per il loro caso. Ma, certo perché sono uno stolto, non ho trovato nulla di appropriato e, non so
come, mi sono trovato molto lontano, in pensieri che non so se dire stravaganti, e allora sono certo
miei, o santi, e allora sono certo venuti dal Cielo. Io li dico, così come sono venuti, e Tu, Maestro,
me ne darai spiegazione o rimprovero, e voi tutti compatimento. Guardavo dunque per prima cosa
la fiamma, e mi è venuto questo pensiero: “Ecco: di che cosa è fatta la fiamma? Dalle legna. Ora la
legna di per sé non fiammeggia. Anzi, se non è bene asciutta, non fiammeggia affatto, perché
l’acqua l’appesantisce e impedisce all’esca di accenderla. La legna quando è morta giunge anche a
imputridire, a sfarinarsi per i tarli, ma da sé non si accende. Eppure, ecco che se uno la dispone in
modo atto e le avvicina l’esca e l’acciarino e poi fa sorgere la scintilla e ne favorisce l’apprendersi
col soffiare sulle frasche sottili per aumentare la fiammella - perché si comincia sempre dalle cose
più sottili - ecco che la fiamma sorge e si fa bella e utile, e tutto investe, anche le grosse legna”. E
mi dicevo: “Noi siamo le legna. Da soli non ci accendiamo. Ma però ci vuole in noi la cura di non
essere troppo pregni delle pesanti acque di carne e sangue per permettere all’esca di apprendersi con
la sua scintilla. E dobbiamo desiderare di essere arsi perché, se rimaniamo inerti, possiamo essere
distrutti dalle intemperie e dai tarli, ossia dall’umanità e dal demonio. Mentre, se ci abbandoniamo
al fuoco dell’amore, esso comincerà ad ardere le ramette più esili e le distruggerà - e le ramette per
me erano le imperfezioni - e poi crescerà e attaccherà le legna più grosse, ossia le passioni più
robuste. E noi legna, cosa materiale, dura, opaca, brutta anche, diventeremo quella bella,
incorporea, agile, splendida cosa ce è la fiamma. E tutto perché ci saremo prestati all’amore, che è
l’acciarino e l’esca che del nostro misero essere di uomo peccatore fanno l’angelo del tempo futuro,
il cittadino del Regno dei Cieli”. E questo è stato un pensiero».
8Gesù ha alzato un poco la testa e sta ad ascoltare ad occhi chiusi, con un’ombra di sorriso sulle
labbra. Gli altri guardano Pietro, ancora stupiti ma non più spaventati.
Lui continua tranquillo: «Un altro pensiero mi è venuto guardando le bestie che si cuocevano. Non
dite che sono puerile nei miei pensieri. Il Maestro mi ha detto di cercarli in ciò che vedevo… E io
ho ubbidito. Dunque guardavo le bestie e dicevo: “Ecco. Sono due innocenti, due miti. La nostra
Scrittura è piena di dolci allusioni all’agnello, e per ricordare Colui che è il promesso Messia e
Salvatore fin da quando fu accennato nell’agnello mosaico, e per dire che Dio avrà pietà di noi. Lo
dicono i profeti. Egli viene a radunare le sue pecore, a soccorrere quelle ferite, a portare quelle
fratturate. Quanta bontà!” dicevo. “Come non bisogna avere paura di un Dio che promette tanta
pietà per noi miserabili! Ma” dicevo ancora, “bisogna essere miti, almeno miti, posto che innocenti
non siamo. Miti e desiderosi di essere consumati dall’amore. Perché anche il più bello e puro
agnellino, che diventa, dopo che viene ucciso, se la fiamma non lo cuoce? Una putrida carogna.
Mentre ecco che, se il fuoco lo investe, esso diviene cibo sano e benedetto”. E concludevo:
“Insomma tutto il bene è fatto dall’amore. Esso ci spoglia dalle pesantezze dell’umanità, ci fa
splendenti e utili, ci rende buoni ai fratelli e grati a Dio. Esso sublima le nostre buone qualità
naturali portandole ad una altezza che prende il nome di virtù soprannaturali. E chi è virtuoso è
santo, chi è santo possiede il Cielo. Perciò quello che ci apre le vie della perfezione non è la scienza
e non la paura. Ma è l’amore. Esso, molto più del timore del castigo, ci tiene lontani dal male per il
desiderio di non addolorare il Signore. Esso ci fa compatire i fratelli e amarli perché vengono da
Dio. Perciò l’amore è la salvezza e la santificazione dell’uomo”. Queste erano le cose che pensavo
guardando il mio arrosto e ubbidendo a Gesù mio. E perdonate se sono queste sole. Ma a me hanno
fatto bene. Ve le do nella speranza che facciano bene a voi pure».
9Gesù apre gli occhi, e sono raggianti. Allunga un braccio e posa la mano sulla palla di Pietro: «In
verità tu hai trovato le parole che dovevi. L’ubbidienza e l’amore te le hanno fatte trovare, e
l’umiltà e il desiderio di dare consolazione ai fratelli faranno di esse tante stelle nel loro cielo
oscuro. Dio ti benedica, Simone di Giona!».
«Dio benedica Te, Maestro mio! E Tu non parli?».
«Domani essi entreranno nella nuova dipendenza. Benedirò la loro entrata con la mia parola. Ora
andate in pace e Dio sia con voi».
261. Esortazione ai contadini di Doras, passati alle dipendenze di Giocana.
23 agosto 1945.
1Non ancora è tutta sorta l’aurora. Gesù è ritto in mezzo al rovinato frutteto di Doras. Una sequela
di piante morte o morenti delle quali molte già abbattute od estirpate dal suolo. Intorno a Lui i
contadini di Doras e di Giocana e gli apostoli, parte in piedi, parte seduti sui tronchi rovesciati.
Gesù inizia a parlare:
«Un nuovo giorno e una nuova partenza. E non sono solo Io quello che parte. Ma voi pure partite,
se non materialmente, moralmente, passando sotto un altro padrone. Sarete perciò uniti ad altri
contadini buoni e pii e farete una famiglia in cui potrete parlare di Dio e del suo Verbo senza
ricorrere a sotterfugi per fare questo. Sostenetevi nella fede l’uno con l’altro, aiutatevi
scambievolmente, compatitevi nei vostri singoli difetti, siate l’uno all’altro di edificazione.
Questo è amore. E, sebbene in diversa maniera, che nell’amore sia la salvezza lo avete sentito ieri
sera dai miei apostoli. Simon Pietro, con parola semplice e buona, vi ha fatto riflettere come
l’amore cambi la natura pesante in natura soprannaturale, e di un individuo - che senza amore può
divenire corrotto e corruttore, come una bestia macellata e non cotta, o quanto meno essere inutile,
come legna che imporrisce nell’acqua senza essere buona a far fuoco - fare un uomo vivente già
nella atmosfera di Dio, e perciò un essere che esce da corruzione e diviene utile al prossimo suo.
Perché, credetelo, figli, la grande forza dell’universo è l’amore. Io non mi stancherò mai di dirlo.
Tutte le sciagure della terra vengono dal disamore. Cominciando dalla morte e dalle malattie che
sono nate dal non amore di Adamo ed Eva al Signore altissimo. Perché l’amore è ubbidienza. Chi
non ubbidisce è un ribelle. Chi è un ribelle non ama colui al quale si ribella. Ma anche le altre
sciagure generali o singolari, come le guerre o le rovine in una o due famiglie fra loro contendenti,
da che vengono? Dall’egoismo che è disamore. E con le rovine delle famiglie vengono anche rovine
di beni per castigo di Dio. Perché Dio, prima o poi, sempre colpisce colui che vive senza amore.
2Io so che qui circola la leggenda - e per essa Io sono odiato da alcuni, guardato con pauroso cuore
da altri, o invocato come novello castigo, o sopportato per paura di una punizione - so che qui
circola la leggenda che sia stato il mio sguardo a rendere questi campi maledetti. Non il mio
sguardo, ma il punito egoismo di un ingiusto e crudele. Se dovessero i miei sguardi bruciare le terre
di tutti quelli che mi odiano, in verità poco verde rimarrebbe in Palestina!
Io non vendico mai le offese fatte a Me stesso, ma consegno al Padre coloro che cocciutamente
persistono nel loro peccato di egoismo verso il prossimo e sacrilegamente deridono il precetto e, più
hanno parole per persuaderli e, con le parole, atti per convincerli all’amore, più incrudeliscono. Io
sono sempre pronto ad alzare la mano per dire a chi si pente: “Io ti assolvo. Va’ in pace”. Ma non
offendo l’Amore col consentire alle inconvertibili durezze. Questo abbiatelo presente sempre, per
vedere le cose nella giusta luce e smentire le leggende che, sia che siano date per venerazione o per
iraconda paura, sono sempre diverse dalla verità.
3Voi passate sotto un altro padrone, ma non lasciate queste terre che, nello stato in cui sono,
sembra pazzia curare. Eppure Io vi dico: fate in esse il vostro dovere. Lo avete fatto fino ad ora per
paura delle punizioni inumane. Fatelo anche ora pur sapendo che non sarete trattati come lo foste.
Anzi vi dico: più sarete trattati con umanità e più con ilare solerzia lavorate per rendere, col lavoro,
umanità a chi umanità vi dona. Perché, se è vero che i padroni hanno il dovere di essere umani coi
loro dipendenti - ricordando che siamo tutti di un ceppo e che in verità ogni uomo nasce nudo ad
una maniera e muore divenendo marciume in una maniera, tanto il povero che il ricco, e le
ricchezze sono non opera di chi le ha ma di quelli che gliele hanno accumulate, con onestà o con
disonestà, e non bisogna di esse gloriarsene e per esse opprimere, ma farne buona cosa anche agli
altri coll’usarle con amore, discrezione e giustizia, onde essere guardati senza severità dal vero
Padrone che è Dio, il quale non si compera e seduce con gioielli e talenti d’oro, ma si rende amico
con le nostre buone azioni - perché, se è vero questo, è altrettanto vero che i servi hanno il dovere di
essere buoni coi padroni.
4Fate con semplicità e con buona volontà la volontà di Dio che vi vuole in questa umile condizione.
Voi sapete la parabola del ricco Epulone. Vedete che in Cielo non è l’oro ma la virtù quella che ha
premio. La virtù e la sommissione alla volontà di Dio rendono Dio amico dell’uomo. So che è
molto difficile essere sempre capaci di vedere Dio attraverso le opere degli uomini. Nel buono è
facile. Nel cattivo è difficile perché può indurre l’animo a pensare che Dio non è buono. Ma voi
superate il cattivo che vi viene fatto dall’uomo tentato da Satana e, al di là di questa barriera che
costa lacrime, vedete la verità del dolore e la sua bellezza. Il dolore viene dal Male. Ma Dio, non
potendo abolirlo perché questa forza c’è, ed è saggio dell’oro spirituale dei figli di Dio, lo costringe
ad estrarre dal suo veleno il succo di una medicina che dà vita eterna. Perché il dolore, col suo
mordente, inocula nei buoni reazioni tali che li spiritualizzano sempre più, facendo di essi dei santi.
5Voi dunque siate buoni, rispettosi, sottomessi. Non giudicate i padroni. Vi è già chi li giudica. Io
vorrei che chi vi comanda divenisse un giusto, per rendervi più facile la via e per dare ad esso vita
eterna. Ma ricordate che più è penoso il dovere da compiere e più grande è il merito agli occhi di
Dio. Non cercate di frodare il padrone. Il denaro o la derrata presa con frode non arricchiscono e
non saziano. Abbiate pure le mani, le labbra e il cuore. E allora farete i vostri sabati, le vostre feste
di precetto con grazia agli occhi del Signore, anche se sarete costretti alla zolla. In verità avrà più
valore la vostra fatica che non l’ipocrita preghiera di quelli che vanno a compiere il precetto per
averne lode dal mondo, contravvenendo in realtà al precetto col disubbidire alla Legge, che dice di
ubbidire per se stessi e per quanti sono della casa al precetto del sabato e delle solennità d’Israele.
Perché la preghiera non è nell’atto ma nel sentimento. E se il vostro cuore ama Dio con santità, in
ogni contingenza, esso compierà i riti del sabato e delle feste, che altri vi impediscono, meglio di
loro.
Io vi benedico e vi lascio perché il sole si alza e intendo arrivare alle colline prima che il calore sia
troppo forte. Ci rivedremo presto, perché l’autunno non è più molto lontano. La pace sia con voi
tutti, nuovi e antichi servi di Giocana, e vi renda tranquillo il cuore».
E Gesù si avvia passando fra i contadini e benedicendoli uno ad uno.
6Dietro ad un grande melo disseccato è un uomo seminascosto. Ma quando Gesù sta per passare
fingendo di non vederlo, egli salta fuori e dice: «Sono l’intendente di Giocana. Egli mi ha detto: “Se
viene il Rabbi d’Israele lascialo sostare nelle mie terre e lascialo parlare ai servi. Ne avremo
maggior lavoro perché Egli non insegna che cose buone”. E ieri, con la notizia che da oggi essi (e
indica quelli di Doras) sono con me, e queste terre sono di Giocana, mi ha scritto: “Se il Rabbi verrà
ascolta ciò che dice e regolati. Che non ci avvenga sventura. Ricoprilo di onori, ma vedi se fai
revocare la maledizione dalle terre”. Perché sappi che Giocana le ha acquistate per puntiglio. Ma io
credo che ne è già pentito. Molto sarà se ne faremo pascoli...».
«Mi hai sentito parlare?».
«Sì, Maestro».
«Allora saprete come regolarvi, tu e il tuo padrone, per avere benedizione da Dio. Riferisci questo
al tuo padrone. E per tuo conto tempera anche gli ordini suoi, tu che vedi cosa è praticamente la
fatica dell’uomo del campo e sei benvoluto dal padrone. Val meglio però che tu perda benevolenza
e posto, anziché perdere la tua anima. Addio».
«Ma io ti devo fare onore».
«Non sono un idolo. Non ho bisogno di interessati onori per dare grazie. Onorami con il tuo spirito,
mettendo in pratica quanto hai sentito, e avrai servito Dio e il padrone insieme».
E Gesù, seguito dai discepoli e dalle donne, e poi da tutti i contadini, traversa i campi e prende la
via per le colline, salutato nuovamente da tutti.
262. Una figlia indesiderata e il ruolo della donna redenta.
L’Iscariota chiede l’aiuto di Maria.
24 agosto 1945
1In un sali-scendi di colline sulle quali si snoda la via che conduce a Nazaret, approfittando delle
ombre degli uliveti, e dei frutteti in genere, sparsi in questa regione fertile e coltivata, Gesù torna
verso Nazaret.
Arrivato però al crocicchio dove si interseca la via per Tolemaide, si ferma e dice: «Sostiamo
presso questa casa, dove già ho sostato altre volte, prendiamo il nostro ristoro e, mentre il sole fa il
suo cammino, stiamo uniti prima di separarci di nuovo. Noi andiamo verso Tiberiade, mia Madre e
Maria a Nazaret, e Giovanni con Ermasteo a Sicaminon».
Si dirigono attraverso un uliveto ad una casa di contadini larga e bassa, infiocchettata
dall’immancabile fico e inghirlandata dai festoni di una vite che corre su per la scaletta per poi
stendere i suoi rami sulla terrazza.
«La pace sia con voi. Sono qui nuovamente».
«Vieni, Maestro. Sempre benvenuta è la tua presenza. Dio ti renda la pace, a Te e ai tuoi» risponde
un uomo vecchiotto che traversava la corte con una bracciata di fascine. E poi chiama: «Sara! Sara!
C’è il Maestro con i suoi discepoli. Aggiungi farina al tuo pane!».
Esce da una stanza una donna tutta imbiancata dalla farina che certo setacciava, perché ha ancora in
mano il setaccio col cruschello dentro, e si inginocchia sorridendo davanti a Gesù.
«La pace a te, donna. Ti ho accompagnato la Madre come ti avevo promesso. Eccola. E questa è sua
cognata, madre di Giacomo e Giuda. Dove sono Dina e Filippo?».
La donna, dopo aver salutato le due Marie, risponde: «Dina ha avuto ieri la sua terza bambina.
Siamo un poco tristi perché non ci è dato avere un nipote. Ma anche contenti, non è vero, Matatia?».
«Sì, perché è una bella bambina ed è sempre il nostro sangue. Te la mostreremo. Filippo è andato a
riprendere Anna e Noemi dai vecchi suoi. Ma presto sarà di ritorno».
La donna torna al suo pane mentre l’uomo, deposte le fascine nel forno, si occupa degli ospiti,
dando loro sedili e latte appena munto per chi lo vuole, frutta ed ulive per chi le preferisce.
2La stanza terrena è fresca e ombrosa, così ampia come è e aperta sul davanti e sul dietro della casa,
con le due porte ombreggiate una dal potente fico, l’altra da un’alta siepe di fiori stellari, specie di
girasoli nella forma ma meno giganteschi di questi nella corolla. Una luce smeraldina entra così nel
camerone, con grande sollievo degli occhi stanchi dal molto sole. Panche e tavoli sono nella grande
stanza, che è forse quella dove le donne filano e tessono e gli uomini aggiustano gli arnesi agricoli
oppure ricoverano le provviste di farine e di frutta, come lo fanno pensare dei travicelli irti di ganci
e delle tavole messe su mensoloni oltre delle lunghe casse panche lungo le pareti. Dei fioccosi
capecchi di lino o canapa sembrano trecce disciolte lungo il muro scialbato a calcina e un tessuto
rosso fuoco, steso su un telaio rimasto scoperto, sembra rallegrare tutto l’ambiente col suo colore
ridente e pomposo.
Torna la padrona di casa che ha finito il suo panificare e domanda agli ospiti se vogliono vedere la
neonata.
Gesù risponde: «La benedirò certamente».
Maria invece si alza e dice: «Vengo a salutare la madre».
Escono tutte le donne.
«Si sta bene qui» dice Bartolomeo che è visibilmente molto stanco.
«Sì. C’è ombra e silenzio. Finiremo col dormire» conferma Pietro già mezzo insonnolito.
«Fra tre giorni saremo per molto tempo nelle nostre case. Vi riposerete perché andrete
evangelizzando nelle immediate vicinanze» dice Gesù.
«E Tu?».
«Io starò fermo a Cafarnao quasi sempre con soste a Betsaida. Ed evangelizzerò quanti mi
raggiungono lì. Poi, venuta la luna di tisri, riprenderemo ad andare. Alla sera, intanto, continuerò a
migliorarvi…».
Gesù tace perché vede che il sonno rende inutili le sue parole. Sorride scuotendo il capo nel rimirare
questa accolta di persone che la fatica ha sopraffatto e che in pose più o meno comode se la dorme.
Il silenzio della casa e della campagna assolata è completo. Sembra un posto incantato. Gesù si fa
sulla porta, presso la siepe dei fiori, e guarda, attraverso i rami, i dolci colli galilei tutti grigi di ulivi
immobili.
3Uno scalpiccio leggero, unito ad uno stridolino incerto di neonato, suona sulla sua testa. E Gesù
alza il volto, sorridendo a sua Madre che scende portando sulle braccia un fagottino bianco dal
quale emergono tre cosette rosse: una testolina e due pugnelli che annaspano.
«Guarda, Gesù, che bella bambina! Assomiglia un poco a Te quando avevi un giorno. Eri così
biondo, tanto da parere senza capelli se non fossero stati fin d’allora sollevati in ricciolini lievi
come un fiocco di nube, ed eri così come una rosa nel colore. E, guarda, guarda, ora che apre gli
occhietti in quest’ombra e cerca il capezzolo ha i tuoi occhi azzurro scuri… Oh! cara! Ma io non ce
l’ho il latte, piccolina, rosellina, tortorina mia!» e la Madonna cuna la piccola, che calma il suo
vagito in un gorgoglio proprio di tortorina e si addormenta.
«Mamma, facevi così anche con Me?» chiede Gesù che osserva sua Madre cullare la piccina, stando
con la guancia appoggiata alla testolina bionda.
«Sì, Figlio. Ma a Te dicevo “agnellino mio”. È bella, non è vero?».
«Molto bella e robusta. La madre può esserne felice» conferma Gesù, curvo anche Lui ad osservare
il sonno dell’innocente.
«Invece non lo è… Il marito è irritato perché tutti i figli sono femmine. È vero che coi campi che
abbiamo sono meglio i maschi. Ma la nostra figlia non ne ha colpa…» sospira la padrona di casa,
sopraggiunta.
«Sono giovani. Si amino e avranno anche maschi» dice sicuro il Signore.
4«Ecco Filippo… Ora si farà scuro…» mormora turbata la donna. E più forte dice: «Filippo, c’è il
Rabbi di Nazaret».
«Molto lieto di vederlo. Pace a Te, Maestro».
«E a te, Filippo. Ho visto la tua bella bambina. Anzi la sto ancora guardando perché è degna di lode.
Dio ti benedice con bambini belli, sani e buoni.. Gli devi essere moto grato… Non rispondi? Sembri
crucciato…».
«Speravo fosse un maschio, io!».
«Non vorrai già dirmi che sei ingiusto accusando l’innocente di essere femmina, e tanto meno
essere duro con la tua sposa?» chiede severo Gesù.
«Volevo un maschio, io! Per il Signore e per me!» esclama risentito Filippo.
«Ed è con una ingiustizia ed una ribellione che credi di ottenerlo? Hai letto forse nel pensiero di
Dio? Sei da più di Lui per dirgli: “Fa’ così perché ciò è giusto?”. Questa donna mia discepola non
ha figli, ad esempio. Ed è giunta a dirmi: “Benedico la mia sterilità, che mi dà ali per seguirti”. E
questa, madre di quattro maschi, anela che tutti e quattro siano non più suoi. È vero, Susanna e
Maria? Le senti? E tu, sposato da pochi anni ad una donna feconda, benedetto da tre bocci di rose
che chiedono il tuo amore, sei sdegnato? Con chi? Perché? Non lo vuoi dire? Lo dico Io: perché sei
un egoista. Deponi subito il tuo rancore. Apri le braccia a questa creatura nata dal tuo seme ed
amala. Avanti! Prendila!» e Gesù prende il fagottino di lini e lo depone nelle braccia del giovane
padre. Gesù riprende a parlare: «Vai da tua moglie che piange e dille che tu l’ami. O Dio veramente
non ti darà mai più un maschio. Io te lo dico. Vai!…».
L’uomo sale nella camera dove è la sposa.
«Grazie, Maestro!» sussurra la suocera. «Egli da ieri era molto crudele…».
L’uomo ridiscende dopo qualche minuto e dice: «L’ho fatto, Signore. La donna ti ringrazia. E dice
ci chiederti il nome della piccina, perché… perché io avevo destinato a lei un nome troppo brutto
nel mio odio ingiusto…».
«Chiamala Maria. Ha bevuto il pianto amaro insieme alla prima goccia di latte, amaro esso pure per
la tua durezza; può chiamarsi Maria, e Maria l’amerà. Non è vero, Madre?».
«Sì, certo, povera piccolina. È tanto graziosa. E sarà certo buona divenendo una stellina del Cielo».
5Tornano nello stanzone dove gli apostoli stanchi, dormono pesantemente, meno l’Iscariota che
pare sulle spine.
«Mi volevi, Giuda?» chiede Gesù.
«No, Maestro, ma non riesco a dormire e vorrei uscire un poco».
«Chi te lo vieta? Io pure esco. Salgo su quel poggetto. C’è tutt’ombra… Riposerò pregando. Vuoi
venire con Me?».
«No, Maestro. Ti darei disturbo perché non sono in condizione di pregare. Forse… forse non mi
sento bene e ciò mi turba…».
«Resta, allora. Non forzo nessuno. Addio. Addio, donne. Madre, quando Giovanni di Endor si
sveglia lo mandi da Me, e da solo».
«Sì, Figlio. La pace sia con Te».
Gesù esce, Maria e Susanna si chinano ad osservare la stoffa sul telaio. Maria si siede con le mani
in grembo, stando un poco curva. Forse prega Lei pure. Maria di Alfeo presto si stanca di osservare
il lavoro. Si siede nell’angolo più buio e presto dorme. Susanna pensa bene di imitarla.
Restano svegli Maria e Giuda. L’una tutta raccolta in se stessa. L’altro che la guarda ad occhi ben
aperti non perdendola mai di vista. Infine si alza e le si avvicina lentamente senza fare rumore. Non
so perché, ma nonostante la sua indiscutibile bellezza mi fa pensare ad un felino o ad un serpente
che si avvicini alla preda. Forse è l’antipatia che ho per lui, che mi fa vedere subdolo e crudele
anche il suo passo... Chiama sottovoce: «Maria!».
«Che vuoi da me, Giuda?» chiede dolcemente Maria, e lo guarda col suo occhio dolcissimo.
«Vorrei parlarti…».
«Parla. Ti ascolto».
«Non qui… Non vorrei essere sentito… Non usciresti un poco lì fuori? C’è ombra anche lì…».
«Andiamo pure. Ma tu vedi… Dormono tutti… potevi parlare anche qui» dice la Vergine. Però si
alza ed esce per la prima, addossandosi all’alta siepe di fiori.
«Che vuoi da me, Giuda?» torna a chiedere fissando acutamente l’apostolo, che si turba un poco e
pare stenti a trovare le parole. «Ti senti male? O hai fatto del male e non sai come dirlo? O anche ti
senti in procinto di fare del male e ti pesa confessarti tentato? Parla, figlio. Come ti ho curato la
carne, ti curerò l’anima. Dimmi quello che ti turba, ed io se potrò ti rasserenerò. Se non potrò da
sola, lo dirò a Gesù. Anche tu avessi molto peccato, Egli ti perdonerà se io chiedo perdono per te.
Veramente anche Gesù ti perdonerebbe subito… Ma forse di Lui, Maestro, ti vergogni. Io sono una
mamma… Non faccio vergogna…».
«Sì. Non fai vergogna perché sei madre e buona tanto. Sei veramente la pace fra noi. 6Io… io mi
sento molto turbato. Ho un pessimo carattere, Maria. Io non so cosa ho nel sangue e nel cuore…
Ogni tanto io non so più comandare ad essi… e allora farei le cose più starne… e più cattive».
«Anche con Gesù vicino non riesci più a resistere a chi ti tenta?».
«Anche. E ne soffro, credilo. Ma così è. Sono un infelice».
«Pregherò per te, Giuda».
«Non basta».
«Farò pregare senza dire per chi è la preghiera ai giusti».
«Non basta».
«Farò pregare i bambini. Ce ne sono tanti che vengono da me, nel mio orto, come uccellini in cerca
di grano. E il grano sono le carezze e le parole che do loro. Parlo di Dio… Ed essi, innocenti,
preferiscono questo ai giuochi e alle favole. La preghiera dei bambini è grata al Signore».
«Mai quanto la tua. Ma non basta ancora».
«Dirò a Gesù di pregare il Padre per te».
«Non basta ancora».
«Ma di più non c’è! La preghiera di Gesù vice anche i demoni…».
«Sì. Ma Gesù non pregherebbe sempre. Ed io tornerei ad essere io… Gesù, sempre lo dice, se ne
andrà un giorno. Io devo pensare a quando sarò senza di Lui. Gesù ora ci vuole mandare ad
evangelizzare. Io ho paura ad andare con questo mio nemico, che sono io stesso, a spargere la
parola di Dio. Io vorrei essermi formato per quest’ora».
«Ma, figlio mio, se neppure Gesù ci riesce, chi vuoi che possa?».
«Tu, madre! Lasciami stare un poco di tempo con te. Ci sono stati i pagani e le meretrici. Posso
starci io pure. Se non vuoi che io stia dove tu vivi, nella notte, andrò a dormire da Alfeo o da Maria
di Cleofa, ma il giorno lo passerò con te, con i bambini. Le altre volte ho cercato di fare da me e ho
fatto peggio. Se vado a Gerusalemme ho troppi amici malvagi, e nelle condizioni in cui sono
quando mi prende questa cosa divento il loto zimbello… Se vado in altra città è uguale. La
tentazione della via mi si accende insieme con questa che già ho. Se vado a Keriot, presso mia
madre, la superbia mi fa schiavo. Se vado in solitudine, il silenzio mi dilania con le voci di Satana.
Ma da te… oh! da te sento che sarà diverso!… Lasciami venire! Dillo a Gesù che me lo conceda!
Vuoi tu che io mi perda? Hai paura di me? Mi guardi con lo sguardo di una gazzella ferita e che non
ha più la forza di fuggire i suoi assalitori. Ma io non ti farò offesa. Ho una madre anche io… e ti
amo più di mia madre. Abbi pietà di un peccatore, Maria! Guarda, piango ai tuoi piedi… Se tu mi
respingi, può essere la mia morte spirituale…» e Giuda piange proprio, ai piedi di Maria che lo
guarda con uno sguardo di pietà e di angoscia misto a paura.
È pallidissima. Ma pure fa un passo avanti, perché si era quasi sprofondata nella siepe per sfuggire
Giuda che le si avvicinava troppo, e mette una mano sui capelli bruni dell’Iscariota. «Taci! Che non
ti sentano! Parlerò a Gesù. E se Egli vorrà… verrai nella mia casa. Del giudizio del mondo non mi
curo. Non lede l’anima mia. E solo di essere colpevole io verso Dio avrei orrore. La calunnia mi
lascia indifferente. Ma non sarò calunniata perché Nazaret sa che la sua figlia non è scandalo alla
sua città. E poi, avvenga ciò che vuole, mi preme che tu ti salvi nel tuo spirito. Vado da Gesù. Sta’
in pace». E si avvolge nel suo velo, bianco come la sua veste, e va svelta per il sentiero che porta ad
un poggetto coperto di ulivi.
7Cerca il suo Gesù e lo trova assorto in meditazione profonda.
«Figlio, sono io… Ascoltami!».
«Oh! Mamma! Vieni a pregare con Me? Che gioia, che sollievo mi dai!».
«Che, figlio io? Sei affaticato nello spirito? Triste? Dillo alla tua Mamma!».
«Affaticato, lo hai detto, e afflitto. Non tanto per la fatica e le miserie che vedo nei cuori, quanto per
l’immutabilità di quelli che sono i miei amici. Ma non voglio essere ingiusto con loro. Uno solo mi
affatica. Ed è Giuda di Simone…».
«Figlio, di lui venivo a parlarti…».
«Ha fatto del male? Ti ha dato dolore?».
«No. Ma mi ha fatto la pena che avrei vedendo uno molto infetto… Povero figlio! Quanto è malato
nel suo spirito!».
«E tu ne hai pietà? Non ne hai più paura? Un tempo l’avevi...».
«Figlio mio, la mia pietà è ancora più grande della mia paura. E vorrei aiutare Te e lui a salvare il
suo spirito. Tu tutto puoi e non hai bisogno di me. Ma Tu dici che tutti devono cooperare col Cristo
nel redimere… e questo figlio è così bisognoso di redenzione!».
«Che devo fare più che non faccia per lui?».
«Tu non puoi fare di più. Ma potresti lasciarmi fare. Egli mi ha pregata di lasciarlo sostare nella
nostra casa, perché gli pare che là potrà liberarsi dal suo mostro…Tu scuoti il capo? Non vuoi?
Glielo dirò…».
«No, Mamma. Non è che non voglia. Scuoto il capo perché so che è inutile. Giuda è come uno che
affoga e che, nonostante senta di affogare, respinge per orgoglio la fune gettatagli per trarlo a riva.
Manca in lui la volontà di venire a riva. Ogni tanto, preso dal terrore di affogare, cerca e invoca
l’aiuto, ci si attacca… e poi, ripreso dall’orgoglio, lascia l’aiuto, lo respinge, vuole fare da sé… e
sempre più si appesantisce per l’acqua melmosa che inghiotte. Ma perché non si dica che ho
lasciato intentato un rimedio, si faccia anche questo, povera Mamma… Sì, povera Mamma che ti
sottoponi, per amore di un’anima, alla sofferenza di avere vicino… uno che ti fa paura».
«No, Gesù. Non lo dire. Io sono una povera donna perché sono ancora soggetta ad antipatie.
Rimproverami. Lo merito. Non dovrei avere ribrezzo di nessuno, per tuo amore. Ma non per altro
sono povera. Oh! potessi renderti Giuda spiritualmente guarito! Darti un’anima è darti un tesoro. E
chi dà tesori non è povero, Figlio!… Vado a dire a Giuda che sì, che Tu concedi? Tu lo hai detto:
“Verrà un tempo che tu dirai: ‘Come è difficile essere la Madre del Redentore!’ “. Una volta già
l’ho detto… per Aglae… Ma cosa è mai una volta? L’umanità è tanta! E Tu di tutti sei Redentore.
Figlio!… Figlio!… Come ho tenuto fra le braccia la piccolina, per portarla alla tua benedizione,
lascia che tenga nelle braccia Giuda, per portarlo alla tua benedizione…».
«Mamma… Mamma… Egli non ti merita…».
«Gesù mio, quando Tu titubavi a dare Marziam a Pietro io ti ho detto che ciò gli avrebbe giovato.
Non puoi negare che Pietro si è rinnovato da quel momento… Lasciami fare con Giuda».
«E sia come tu vuoi! E che tu sia benedetta per la tua intenzione d’amore per Me e per Giuda! Ora
preghiamo insieme, Mamma. È così dolce pregare con te!…»…
8…È il tramonto appena iniziato quando rivedo la partenza dalla casa che li ha ospitati.
Giovanni di Endor con Ermasteo si accomiatano da Gesù subito dopo essere giunti sulla via. Maria
con le donne prosegue invece insieme al Figlio per una via fra gli uliveti dei colli. Parlano. E,
naturalmente, dei fatti del giorno.
Pietro dice: «Un bel matto quel Filippo! A momenti rinnegava la moglie e la figlia se non ti mettevi
a fargli capire la ragione».
«Speriamo però che duri nel pentimento attuale e non gli ripigli subito la mattana del dispregio
verso le femmine. In fondo… è per le donne che il mondo va avanti» dice Tommaso, e molti ridono
all’uscita.
«Certo. È vero. Ma sono più immonde di noi, e…» risponde Bartolomeo.
«Ma va! Riguardo a immondezza!… Anche noi non siamo degli angeli. Ecco, io vorrei sapere se
dopo la Redenzione sarà sempre così per la donna. Ci insegnano ad onorare la madre, ad avere il
massimo rispetto alle sorelle, alle figlie, alle zie, alle nuore, alle cognate e poi… Anatema di qua,
anatema di là! Nel Tempio no. Avvicinarle, molte volte, no… Ha peccato Eva? D’accordo. Ma ha
peccato anche Adamo. Dio ha dato ad Eva il suo castigo ed è ben severo. Non basta?».
«Ma Toma! La donna è considerata impura anche da Mosè».
«Il quale senza le donne sarebbe morto affogato… Però, abbi pazienza, Bartolmai, però ti ricordo,
anche che io non sia dotto come te, ma solo un battiloro, che Mosè cita le impurità carnali della
donna perché noi la si rispetti, non per metterla all’anatema».
9La discussione si accende.
Gesù che era avanti, proprio con le donne e con Giovanni e Giuda Iscariota, si ferma e si volta, e
interviene: «Dio aveva davanti un popolo moralmente e spiritualmente informe, contaminato da
contatti con idolatri. Voleva di esso farne un popolo forte nel fisico e nello spirito. Dette come
precetti le norme salutari alla robustezza fisica e salutari all’onestà dei costumi. Non poteva fare
diversamente per frenare le cupidigie maschili, acciò i peccati per cui fu sommersa la terra e arsa
Sodoma e Gomorra non si ripetessero. Ma nel tempo futuro la donna redenta non sarà così oppressa
come lo è ora. Rimarranno i divieti di prudenza fisica, ma saranno levati gli ostacoli al suo venire al
Signore. Io già li levo per preparare le prime sacerdotesse del tempo futuro».
«Oh! ci saranno le donne sacerdoti?!» chiede quasi sbalordito Filippo.
«Non mi fraintendete. Non saranno sacerdotesse come gli uomini, non consacreranno e non
amministreranno i doni di Dio, quelli che voi non potete per ora sapere. Ma saranno della classe
sacerdotale lo stesso, cooperando con i sacerdoti al bene delle anime, in molto modi».
«Predicheranno?» chiede incredulo Bartolomeo.
«Come già predica mia Madre».
«Faranno pellegrinaggi apostolici?» chiede Matteo.
«Sì. Portando la Fede molto lontano, e, devo dirlo, con ancor più eroismo degli uomini».
«Faranno miracoli?» chiede ridendo l’Iscariota.
«Qualcuna farà anche miracoli. Ma non vi basate sul miracolo come sulla cosa essenziale. Esse, le
donne sante, faranno anche molti miracoli di conversione con la preghiera».
«Uhm! Le donne pregare al punto di fare miracoli!» borbotta Natanaele.
«Non essere chiuso come uno scriba, Bartolomeo. Secondo te cosa è la preghiera?».
«Il rivolgersi a Dio con le formule che sappiamo».
«Questo e più ancora La preghiera è la conversazione del cuore con Dio e dovrebbe essere lo stato
abituale dell’uomo. La donna, per la sua vita più ritirata della nostra e per la sua facoltà affettiva più
forte della nostra, è portata a questa conversazione con Dio più di noi. In essa ella trova conforto ai
suoi dolori, sollievo alle sue fatiche, che non sono solo quelle della casa e del generare, ma anche
quelle di sopportare noi uomini; trova ciò che asciuga i suoi pianti e riconduce un sorriso nel cuore.
Perché essa sa parlare con Dio e più ancora lo saprà in futuro. Gli uomini saranno i giganti della
dottrina, le donne saranno sempre quelle che col loro orare sostengono i giganti e anche il mondo,
perché molte sventure saranno evitate per le loro preghiere e molti castighi trattenuti. Perciò faranno
miracolo, invisibile per lo più e conosciuto solo da Dio, ma non perciò irreale».
«Anche Tu oggi hai fatto un miracolo invisibile ma certo reale. Non è vero, Maestro?» chiede il
Taddeo.
«Sì, fratello».
«Era meglio farlo visibile» osserva Filippo.
«Volevo che cambiassi la piccola in un pargolo? Il miracolo in realtà è una alterazione delle cose
destinate, un benefico disordine, perciò, che Dio concede per acconsentire alla preghiera dell’uomo,
onde mostrargli che lo ama, o persuadere che Egli è Colui che è. Ma dato che Dio è ordine, non
viola in maniera esagerata l’ordine. La bambina è nata donna e donna resta».
«Ero così afflitta questa mattina!» sospira la Vergine.
«Perché? La bambina disamata non era tua» dice Susanna. E aggiunge: «Io quando vedo qualche
disgrazia in un fanciullo dico: “Buon per me che non ne ho!”».
«Non lo dire, Susanna! Non è carità. Io pure potrei dirlo, perché la mia unica Maternità è trascesa
dalle leggi naturali. Ma non lo dico perché sempre penso: “Se Dio non mi avesse voluta vergine,
forse quel seme sarebbe caduto in me, e madre sarei io di quest’infelice”, e così ho pietà di tutti…
Perché dico: “Avrebbe potuto essere mio figlio” e come madre vorrei tutti buoni, sani, amati e
amabili, perché così desiderano le madri per i figli loro» risponde dolcemente Maria. E Gesù pare
vestirla di luce tanto la guarda con occhio radioso.
«È per questo che hai pietà di me…» dice l’Iscariota sottovoce.
«Di tutti. Fosse anche dell’assassino di mio Figlio. Perché penso che sarebbe il più bisognoso di
perdono… e di amore. Perché tutto il mondo lo odierebbe, certamente».
«Donna, dovresti faticare molto a difenderlo per dargli tempo di convertirsi… Io lo leverei subito di
mezzo, per il primo…» dice Pietro.
11Eccoci al luogo di commiato. Madre, Dio sia con te. E con te, Maria. E anche con te, Giuda». Si
baciano e Gesù aggiunge ancora: «Ricordati che ti ho concesso una grande cosa, Giuda. Fattene un
bene e non un male. Addio».
E Gesù con gli undici rimasti e con Susanna vanno lesti verso oriente, mentre Maria, la cognata e
l’Iscariota vanno diritti.
263. Guarigione dell’uomo dal braccio atrofizzato.
26 agosto 1945.
1Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao che si affolla lentamente di fedeli perché è sabato. Lo
stupore di vederlo è molto grande. Tutti se lo accennano bisbigliando, e qualcuno tira la veste a
questo o quell’apostolo per chiedere quando sono tornati in città, perché nessuno sapeva che erano
giunti.
«Siamo sbarcati adesso al “pozzo del fico” venendo da Bestaida, per non fare un passo fuori del
prescritto, amico» risponde Pietro ad Uria il fariseo, e questo, offeso al sentirsi chiamare amico da
un pescatore, se ne va sdegnoso a raggiungere i suoi, in prima fila.
«Non li stuzzicare, Simone!» avverte Andrea.
«Stuzzicarli? Mi ha interrogato e ho risposto dicendo anche che abbiamo evitato di camminare per
rispetto al sabato».
«Diranno che abbiamo faticato con la barca…».
«Finiranno col dire che abbiamo faticato respirando! Stolto! È la barca che fatica, è il vento e
l’onda, non noi andando in barca!».
Andrea si prende il rabbuffo e tace.
2Dopo le preghiere preliminari, viene il momento della lettura di un brano e spiegazione dello
stesso. Il sinagogo chiede a Gesù di farlo, ma Gesù accenna ai farisei dicendo: «Lo facciano loro».
Ma, posto che loro non lo vogliono fare, deve parlare Lui.
Gesù legge il brano del primo libro dei Re dove è narrato come Davide, tradito dagli Zifei, fu
segnalato a Saul che era a Gabaa. Restituisce il rotolo e inizia a parlare.
«Violare il precetto della carità, dell’ospitalità, dell’onestà, è sempre male. Ma l’uomo non si perita
di farlo con la massima indifferenza. Qui abbiamo un duplice episodio di questa violazione e la
conseguente punizione di Dio. La condotta degli Zifei era subdola. Quella di Saul non lo era da
meno. I primi, vili nell’intento di ingraziarsi il più forte e averne utile. Il secondo, vile nell’intento
di levare di mezzo l’unto del Signore. L’egoismo perciò li accomunava. E all’indegna proposta il
falso e peccatore re d’Israele osa dare una risposta in cui è nominato il Signore: “Siate benedetti dal
Signore”.
Irrisione della giustizia di Dio! Abituale irrisione! Sulle malvagità dell’uomo troppe volte si invoca
a premio o a mallevadoria il Nome del Signore e la sua benedizione. È detto: “Non nominare il
Nome di Dio invano”. E vi può essere cosa più vana, peggio, più malvagia di quella di nominarlo
per compiere un delitto contro il prossimo? Eppure è peccato comune più di ogni altro, fatto con
indifferenza anche da quelli che sono sempre i primi nelle adunanze del Signore, nelle cerimonie e
nell’insegnamento. Ricordatevi che è peccaminoso indagare, notare, preparare ogni cosa per
nuocere al prossimo. E pure peccaminoso è fare indagare, notare e preparare ogni cosa, per nuocere
al prossimo, da altri. È indurre gli altri al peccato tentandoli con mercede o minacciandoli di
rappresaglie.
Io vi avverto che è peccato. Io vi avverto che è egoismo e odio una simile condotta. E voi sapete che
odio ed egoismo sono i nemici dell’amore. Ve ne avverto perché mi preoccupo delle vostre anime.
Perché vi amo. Perché non vi voglio in peccato. Perché non vi voglio puniti da Dio come avvenne a
Saul che, mentre inseguiva Davide per prenderlo e ucciderlo, ebbe il paese distrutto dai filistei. In
verità ciò avverrà sempre a chi nuoce al prossimo. La sua vittoria durerà quanto l’erba sul prato.
Presto sorgerà, ma presto seccherà e sarà tritata dal piede indifferente del passante. Mentre la buona
condotta, la vita onesta, pare stenti a nascere ed affermarsi. Ma formata che sia come abito di vita,
diviene albero potente e fronzuto che neppure il turbine divelle e la canicola non brucia. In verità,
chi è fedele alla Legge, ma realmente fedele, diviene un albero potente che non è piegato dalle
passioni, né arso dal fuoco di Satana.
Ho detto. 3Se qualcuno vuol dire di più, lo dica».
«Noi ti chiediamo se hai parlato per noi, farisei».
«Di farisei è forse piena la sinagoga? Voi siete quattro, la folla è di cento e cento persone. La parola
è per tutti».
«L’allusione però era chiara».
«In verità non si è mai visto che uno, solo indiziato da un parallelo, si accusi da sé! E voi lo fate.
Ma perché vi accusate se Io non vi accuso? Sapete forse di agire come ho detto? Io non lo so. Ma se
così è, ravvedetevene. Perché l’uomo è debole e può peccare. Ma Dio lo perdona se sorge in lui il
pentimento sincero e la voglia di non peccare più. Ma certo che persistere nel male è doppio peccato
e su di esso non scende il perdono».
«Noi non abbiamo questo peccato».
«E allora non vi affliggete per le mie parole».
L’incidente è chiuso. E la sinagoga si empie del canto degli inni. Poi sembra prossima a sciogliersi
l’adunanza senz’altri incidenti.
4Ma il fariseo Gioachino scopre un uomo fra la fola e gli intima coi cenni e lo sguardo di venire in
prima fila. È un uomo sulla cinquantina ed ha un braccio atrofizzato, reso, anche nella mano, molto
più piccolo dell’altro perché l’atrofia ha distrutto i muscoli.
Gesù lo vede. E vede tutto l’armeggio fatto per farglielo vedere. Ha una mossa di disgusto e di
compatimento sul viso, un lampo di espressione, ma molto chiara. Pure non devia il colpo. Anzi,
affronta la situazione con fermezza.
«Vieni qui, nel mezzo» ordina all’uomo. E quando lo ha davanti si volge ai farisei dicendo: «Perché
mi tentate? Non ho cessato ora di parlare contro l’insidia e l’odio? E voi non avete or ora detto:
“Non abbiamo questo peccato”? Non rispondete? Rispondete almeno a questo: È lecito fare del
bene o del male in sabato? È lecito salvare o togliere la vita? Non rispondete? Risponderò Io per voi
e al cospetto di tutto il popolo, che giudicherà meglio di voi perché è semplice e senza odio e
superbia. Non è lecito fare nessun lavoro in sabato. Ma come è lecito pregare così è lecito fare del
bene, perché il bene è orazione più grande ancora degli inni e dei salmi che abbiamo cantato.
Mentre né in sabato né in altro giorno è lecito fare del male. E voi lo avete fatto armeggiando per
avere qui quest’uomo, che non è neppure di Cafarnao e che avete fatto venire da due giorni sapendo
che Io ero a Betsaida e intuendo che sarei venuto alla mia città. E lo avete fatto per vedere di trarmi
in accusa. E così commettete anche il peccato di uccidere la vostra anima in luogo di salvarla. Ma
per quanto sta a Me vi perdono e non deluderò la fede di questo, al quale voi avete detto di venire
dicendo che lo avrei guarito, mentre lo volevate per farmi un tranello. Egli è incolpevole perché vi è
venuto senz’altra intenzione che di guarire. E ciò sia. Uomo: stendi la tua mano e va’ in pace».
L’uomo ubbidisce e la sua mano è sana, uguale all’altra. La usa subito per prendere un lembo del
mantello di Gesù per baciarlo dicendogli: «Tu lo sai che io non sapevo la vera intenzione di costoro.
L’avessi saputa non sarei venuto, preferendo tenermi la mano secca al servire contro di Te. Perciò
non mi volere del male».
«Va’ in pace, uomo. Io so la verità e verso di te non ho che benevolenza».
La folla esce commentando e per ultimo esce Gesù con gli undici apostoli.
264. Una giornata di Giuda Iscariota a Nazareth.
27 agosto 1845.
1La casa di Nazaret sarebbe la più indicata alle elevazioni dello spirito. In essa pace, silenzio,
ordine. La santità pare trasudi dalle pietre di essa, si esali dalle piante dell’orto, piova dal cielo
sereno che le fa da cupola celeste. In realtà emana da Colei che l’abita, e che si muove lesta e
silenziosa con le sue movenze giovanili, intatte, il passo leggero che aveva quando vi entrò sposa e
lo stesso sorriso mite che placa e accarezza.
Il sole, in quest’ora mattutina, investe la casa sul lato destro, quello che si appoggia alla prima
ondulazione del colle, e solo le cime degli alberi ne beneficiano, per primi gli ulivi messi a fare da
presa alla terra del balzo con le loro radici, i superstiti, contorti, poderosi ulivi dalle rame più grosse
tutte alzate al cielo come invocassero la sua benedizione o pregassero essi pure da quel luogo di
pace, i superstiti ulivi dell’uliveto di Gioachino, un tempo numeroso di piante che proseguivano la
loro passeggiata di pellegrini oranti fino ai campi lontani dove l’uliveto e i campi finivano in
pascoli, ora ridotti a poche piante rimaste nel confine della mutilata proprietà di Gioachino. Poi ne
beneficiano il mandorlo e i meli, alti e potenti, che aprono sul brolo l’ombrello dei loro rami; terzo
ne beve i raggi il melograno; ultimo il fico contro la casa, quando già il sole carezza i fiori e le
verdure ben curati nelle aiuole rettangolari e lungo le siepi disposte sotto la pergola carica di
grappoli.
Le api ronzano, gocce doro volanti su tutto quanto può dar loro succhi dolci e profumati. Vi è un
piccolo tralcio di caprifoglio che ne è preso d’assalto, e così una siepe di fiori a forma di campanule
messe a pannocchia, di cui ignoro il nome, che stanno chiudendosi - devono essere fiori notturni dal profumo intensissimo. Le api si affrettano a suggerli, questi fiori, prima che essi pieghino i
petali nel sonno della corolla.
2Maria va lesta dai nidi dei colombi alla piccola fontana che cola presso la grotticella, da questa alla
casa, nelle sue faccende, e pur nel suo lavoro trova modo di ammirare i fiori o i colombi che
minuettano per i sentieri o fanno un girotondo di voli sopra la casa e l’orto.
Rientra Giuda Iscariota, carico di piante e di talee. «Ti saluto, Madre. Mi hanno dato tutto quanto
volevo. Ho fatto una corsa perché non soffrano. Ma io spero attecchiranno come il caprifoglio.
L’anno che viene avrai il giardino simile ad un canestro fiorito. E così ti ricorderai del povero Giuda
e della sua sosta qui» dice estraendo con cura da una borsa delle piante colla loro radice avvolta in
terra e in foglie umide e, da un’altra borsa, delle talee.
«Io ti ringrazio, Giuda. Proprio tanto. Non puoi credere come io sia felice di avere quel caprifoglio
presso la grotticella. Da piccola, là in fondo a quei campi, allora nostri, ce ne era una ancora più
bella, ed edere e caprifogli la vestivano di rami e fiori, facendole da cortina e da riparo ai gigli
minuscoli che crescevano fin dentro alla grotta tutta verde del ricamo sottile dei capelvenere. Perché
là era proprio una sorgiva… Nel Tempio io pensavo sempre a quella grotta e, te lo dico, quando
pregavo davanti al Velo del Santo, io vergine del Tempio, non sentivo Dio in maniera maggiore.
Anzi, devo dire che là risognavo i dolci colloqui dello spirito mio col mio Signore… Il mio
Giuseppe mi fece trovare questa, con un filo d’acqua per utile, ma più per darmi la gioia di una
grotticella copiata su quella… Era buono Giuseppe, fino nelle più minute cose… E ci aveva messo
un caprifoglio, e l’edera che vive ancora, mentre il primo è morto negli anni di esilio… Poi ce lo
aveva ripiantato. Ma è morto tre anni or sono. Ora tu lo hai rimesso. Ha attecchito, vedi? Sei molto
bravo come giardiniere».
«Sì. Quando ero fanciullo amavo tanto le piante, e la mamma mi insegnava a curarle… Ora torno
fanciullo al tuo fianco, Madre, e ritrovo la passata capacità. Per farti piacere. Sei tanto buona con
me!…» risponde Giuda, lavorando da esperto a collocare le sue piante nei posti più adatti. E va a
porre, presso la siepe dei fiori notturni, dei grovigli di radici che non so se siano di mughetti o di
altri fiori. «Qui ci stanno bene» dice ribattendo con uno zappetto la terra sulle radici sepolte. «Non
vogliono molto sole. Non me li voleva dare il servo di Eleazar. Ma ho tanto insistito che me li ha
dati».
«Anche quei gelsomini d’India non li volevano dare a Giuseppe. Ma egli fece dei lavori senza
mercede per procurarmeli. Hanno prosperato sempre più».
«Ecco fatto, Madre. Ora li innaffio e tutto andrà bene». Innaffia, e poi si lava le mani alla fonte.
3Maria lo guarda, così diverso da suo Figlio e anche così diverso dal Giuda di certe ore di burrasca,
lo scruta, pensa, gli va vicino e, posandogli una mano sul braccio, gli chiede dolcemente: «Stai
meglio, Giuda? Nel tuo spirito, voglio dire».
«Oh! Madre! Tanto meglio! Sono in pace. E tu lo vedi. Trovo gusto e salvezza nelle cose umili e
nello stare con te. Non dovrei mai uscire da questa pace, da questo raccoglimento. Qui… come è
lontano il mondo da questa casa!…». E Giuda guarda l’orto, le piante, la casetta… Termina: «Ma se
stessi qui, non sarei mai l’apostolo. Ed io lo voglio essere…».
«Per quanto, credilo, meglio ti sarebbe essere un’anima giusta ad un ingiusto apostolo. Se tu
comprendi che il contatto col mondo ti turba, se tu comprendi che le lodi e gli onori dell’apostolo ti
fanno male, rinuncia, Giuda. Meglio per te essere un semplice fedele nel mio Gesù, ma un fedele
santo, ad un apostolo peccatore».
Giuda china il capo pensieroso. Maria lo lascia alle sue meditazioni ed entra in casa, alle sue
faccende.
Giuda sta fermo qualche tempo, poi passeggia su e giù sotto la pergola. Ha le braccia conserte, il
capo chino. Pensa, pensa e passa a monologare e gestire da sé… Un monologo incomprensibile. Ma
i gesti sono di chi è in un gran contrasto di idee. Sembra che supplichi e che respinga, o si
compianga, o maledica qualcosa, passando da un’espressione interrogativa ad una spaurita,
angosciata, fino a prendere il viso dei momenti peggiori, col quale si ferma di botto a metà sentiero
rimanendo così qualche tempo, con un viso da vero demonio… E poi si porta le mani al viso e
fugge sul balzo degli ulivi, fuor dalla vista di Maria, e piange col viso celato fra le mani, finché si
calma e resta seduto colla schiena appoggiata a un ulivo, come sbalordito…
4…E non è più mattina, ma la fine di un tramonto potente. Nazaret apre le porte delle sue case,
chiuse per tutto il giorno al feroce calore estivo del giorno, e giorno d’oriente per giunta. E donne,
uomini, bambini escono negli orti o per le vie ancora calde ma non più assolate, in cerca d’aria, alla
fonte, ai giuochi, alle loro conversazioni… in attesa della cena. Gran saluti, chiacchericcio, risate e
gridi, rispettivamente fra uomini, donne, e bambini.
Anche Giuda esce e si avvia alla fonte con le brocche di rame. È visto e indicato dai nazareni col
nomignolo di «il discepolo del Tempio». Cosa che, giungendo alle orecchie di Giuda, suona come
una musica. Egli passa salutando con affabilità, ma anche con un che di riserbo, che se non è ancora
sussiego superbo, è molto prossimo parente di questo.
«Sei molto buono con Maria, Giuda» gli dice un nazareno barbuto.
«Ella merita questo ed altro. È veramente una grande donna di Israele. Voi felici che vi è
concittadina».
La lode alla donna di Nazaret seduce molto i nazareni, i quali si ripetono l’un l’altro ciò che Giuda
ha detto.
Questo, intanto, giunto alla fonte, attende il suo turno e spinge la sua cortesia a portare le brocche
ad una vecchierella, che non finisce di benedirlo, e a prendere l’acqua per due donne impicciate a
farlo per un poppante che hanno fra le braccia. Socchiudendo il loro velo esse mormorano: «Dio te
ne compensi».
«L’amore di prossimo è il primo dovere di un amico di Gesù» risponde con un inchino l’Iscariota. E
si empie le sue brocche tornando poi verso casa.
5Lo fermano, mentre torna a casa, il sinagogo di Nazaret con altri invitandolo a parlare il sabato
prossimo. «Sono più di due settimane che sei con noi e non hai fatto altra lezione che quella di una
grande cortesia per noi tutti» si lamenta il sinagogo che è con gli anziani del paese.
«Ma se vi è non gradevole il parlare del vostro maggior figlio, può mai esservi gradevole il mio di
suo discepolo, e giudeo per giunta?» risponde Giuda.
«Il tuo sospetto è ingiusto e ci addolora. Noi siamo schietti nell’invito. Tu sei discepolo e giudeo. È
vero. Ma tu sei del Tempio. Perciò puoi parlare. Perché nel Tempio è dottrina. Il figlio di Giuseppe
è solo un legnaiuolo…».
«Ma è il Messia!».
«Lo dice Lui… Sarà poi vero? Oppure sarà un suo delirio?».
«Ma la sua santità, nazareni! La sua santità!». Giuda è scandalizzato dall’incredulità dei nazareni.
«È grande. Ciò è vero. Ma da questo a essere il Messia!... E poi... Perché ha un parlare così duro?».
«Duro? No! A me non sembra duro. Ma piuttosto, ecco, questo sì, è troppo sincero e intransigente.
Non lascia coperta una colpa, non esita a denunciare un abuso… e ciò spiace. Mette il dito proprio
al centro delle piaghe. E ciò fa male. Ma è per santità. Oh! certo! Per questa sola che fa così. Io
gliel’ho detto più volte: “Gesù, tu ti nuoci!”. Ma non vuole darmi retta!…».
«Tu lo ami molto e, dotto come sei, potresti guidarlo».
«Oh! dotto, no... Ma pratico, questo sì. Del Tempio, sapete!? So gli usi. Ho amici. Il figlio di Anna
è come fratello per me. Anzi, se volete cose dal Sinedrio, dite, dite,… Ma ora lasciatemi portare
l’acqua a Maria che mi aspetta per la cena».
«Torna dopo. Sulla mia terrazza c’è fresco. Staremo fra amici e parleremo…»
«Sì. Addio».
6E Giuda va a casa, dove si scusa con Maria di aver tardato perché trattenuto dal sinagogo e dagli
anziani del paese. E termina: «Vorrebbero che io parlassi sabato… Il Maestro non me lo a ordinato.
Tu che ne dici, Madre? Guidami tu».
«Parlare al sinagogo… o parlare nella sinagoga?».
«L’uno e l’altro. Io non vorrei parlare con nessuno e a nessuno, perché so che sono contrari a Gesù
e anche perché parlare dove solo Lui ha diritto di essere Maestro mi pare sacrilegio. Ma hanno tanto
insistito! Mi vogliono dopo cena… Ho quasi promesso. E se tu credi che io possa, parlando, levare
a loro quello spirito di resistenza al Maestro, che è così penoso, io, per quanto mi sia grave, andrò e
parlerò. Così come so fare, alla buona, cercando di essere molto longanime per le loro caparbietà.
Perché ho proprio capito che essere duri è peggio. Eh! non incorrerò più nell’errore fatto ad
Esdrelon! Il Maestro se ne è tanto dispiaciuto! Non mi ha detto nulla, ma l’ho capito. Non lo farò
più. Ma vorrei lasciare Nazaret dopo averla persuasa che il Mastro è il Messia e va creduto ed
amato».
Giuda mentre parla, seduto a tavola al posto di Gesù, mangia ciò che Maria ha preparato. E mi fa
male vedere Giuda seduto a quel posto, di fronte a Maria che lo ascolta e lo serve come una
mamma.
Ora Ella risponde: «Sarebbe bene, infatti, che Nazaret comprendesse la verità e l’accettasse. Io non
ti trattengo. Va’ pure. Nessuno più di te può dire se Gesù meriti amore. Pensa quanto ti ama, e te lo
mostra scusandoti sempre e accontentandoti sol che possa… Questa riflessione ti dia parole e atti
santi».
La cena è presto finita. Giuda va ad innaffiare i fiori dell’orto prima che la luce si infoschi troppo, e
poi esce, lasciando Maria sulla terrazza intenta a ripiegare i panni che aveva steso ad asciugare.
7E Giuda, dopo aver salutato Alfeo di Sara e Maria Cleofe, che parlano insieme sulla porta della
casa di quello, va diretto alla casa del sinagogo. Sono presenti anche i due cugini del Signore oltre
ad altri sei anziani.
Dopo i pomposi saluti, si siedono tutti gravemente su sedili ornati di cuscini e frescheggiano
bevendo acque anisate o alla menta che devono essere belle fresche, perché la brocca di metallo
suda nel divario fra il liquido gelido e l’aria ancora calda, nonostante la brezza che agita le cime
degli alberi venendo dai colli a settentrione di Nazaret.
«Sono contento che tu abbia accettato di venire. Sei giovane. Un poco di svago fa bene» dice il
sinagogo che è pieno di riguardi per Giuda.
«Temevo di importunare venendo prima. Vi so disdegnosi per Gesù e i suoi seguaci…».
«Sdegnosi? No. Increduli… e feriti dalle sue… ammettiamolo pure, verità troppo crude. Noi
credevamo che tu ci sdegnassi e non ti invitavamo per questo».
«Sdegnarvi io? Ma anzi! Vi capisco molto bene!… Eh! già! Ma sono convinto che la pace fra voi e
Lui finirà a farsi. A Lui conviene sempre e così a voi. A Lui perché ha bisogno di tutti, e a voi
perché non vi merita prendere nome di nemici del Messia».
«E tu lo credi proprio tale?» chiede Giuseppe d’Alfeo. «In Lui non è nulla della figura regale che ci
è stata profetizzata. Forse sarà perché noi lo ricordiamo falegname… Ma… Dove è in Lui il re
liberatore?».
«Anche Davide non pareva che un pastorello. Ma voi vedete che non vi fu re più grande di Davide.
Neppure Salomone, nella sua gloria, è da tanto. Perché, infine, Salomone non fece che continuare
Davide, e non fu mai ispirato come lui. Mentre Davide! Ma considerate la figura di Davide! È
gigantesca. Di una regalità che sfiora già il Cielo. Non giudicate perciò le origini del Cristo per
dubitare della sua regalità. Davide re e pastore. O meglio, pastore e poi re. Gesù re e falegname. O
meglio, falegname e poi re».
8«Tu parli come un rabbi. Si sente in te l’educato del Tempio» dice il sinagogo. «E potresti fare
sapere al Sinedrio che io, il sinagogo, ho bisogno di aiuti del Tempio per una causa privata?».
«Ma certo! Ma sicuro! Con Eleazaro! Figurati! E poi Giuseppe l’Anziano, sai?, il ricco di Arimatea.
E poi lo scriba Sadoc... e poi... oh! non hai che parlare!».
«Allora domani sarai mio ospite. Parleremo».
«Ospite? No. Non abbandono quella santa e afflitta donna di Maria. Sono venuto apposta per farle
compagnia…».
«Che ha la parente nostra? La sappiamo sana e, nella sua povertà, felice» dice Simone di Alfeo.
«Sì. E noi non la abbandoniamo. Mia madre le è sempre vicina. E anche io e mia moglie. Per
quanto… Per quanto io non le possa perdonare la sua debolezza verso il Figlio. E anche il dolore di
mio padre, che per causa di Gesù morì con due soli figli presso il suo letto. E poi!… Ma affanno di
parentela non si bandisce dall’alto dei tetti!» sospira Giuseppe d’Alfeo.
«Hai ragione. Si sussurra in fonda cantina, versandolo in un cuore amico. Ma così di molti dolori!
Anche io ho i miei, di discepolo… Ma non ne parliamo!».
«Parliamone, anzi. Che c’è? Del brutto per Gesù? Non approviamo la sua condotta. Ma siamo
sempre parenti. E pronti a far causa con Lui contro i nemici. Parla!» dice ancora Giuseppe.
«Del brutto? Noh! Dicevo così per dire… E poi i dolori del discepolo sono tanti! Non è soltanto
dolore per il modo come il Maestro usa con amici e nemici, danneggiandosi, ma anche il vedere che
non è amato. Io vorrei che voi tutti lo amaste…».
«Ma come si fa? Tu lo dici! Ha un modo di fare… Non era così prima di lasciare la Madre» si scusa
il sinagogo. «Non è vero, voi tutti?».
Tutti approvano gravemente dicendo un gran bene del Gesù silenzioso, mite, ritirato, di un tempo.
«Chi pensava potesse scaturire da quello, uno quale è ora? Tutto casa e parenti. E ora?» dice un
nazareno molto anziano.
Giuda sospira: «Povera donna!».
«Ma insomma, che sai? Parla!» grida Giuseppe.
«Ma nulla più di quanto tu non sappia. Credi che sia dolce per Lei essere abbandonata?».
«Se Giuseppe fosse campato come vostro padre, ciò non sarebbe avvenuto» sentenzia un altro
nazareno molto vecchio lui pure.
«Non te lo pensare, uomo. Sarebbe stato lo stesso. Quando prendono certe idee!» dice Giuda.
9Un servo porta delle lucerne e le posa sul tavolo, perché la notte è senza luna per quanto il cielo sia
tutto un brillio di stelle. E col lume vengono portate altre bevande, che il sinagogo vuole offrire
subito a Giuda.
«Grazie. Non mi trattengo oltre. Ho dei doveri verso Maria» dice alzandosi.
Anche i due figli di Alfeo si alzano dicendo: «Veniamo con te. È la stessa via…» e con grandi
saluti l’adunanza si divide, rimanendo col sinagogo i sei anziani.
Le vie sono ormai deserte e silenziose. Dall’alto delle case scendono parlottii sommessi di voci
gravi. I bambini dormono già nei loro lettini e mancano perciò i loro trilli di uccellini allegri. Con le
voci, dall’alto delle case più ricche, scendono piccoli bagliori di lumi ad olio.
I due figli di Alfeo e Giuda camminano per qualche metro in silenzio, poi Giuseppe si ferma
prendendo per un braccio Giuda e dice: «Senti. Ho compreso che tu sai qualche cosa ma che non
hai voluto parlare in presenza di estranei. Ma ora con me devi parlare. Io sono l’anziano della casa e
ho il diritto e il dovere di sapere tutto».
«E io sono venuto qui nell’intento di dirvelo e di tutelare il Maestro, Maria, i vostri fratelli e il
vostro nome. È una cosa molto penosa a dirsi e ad udirsi. Penosissima a farsi. Perché sembra una
spiata. Ma vi prego di capirmi bene. Tale non è. È solo amore ed è saggezza. Io so molte cose, che
voi pure non ignorate del resto. Le so dai miei amici del Tempio. E so che sono un pericolo per
Gesù e anche per il buon nome della famiglia. Io ho cercato di farlo capire al Maestro. Ma non ci
sono riuscito. Anzi! Più io lo consiglio e più Lui fa peggio, facendosi criticare e odiare sempre di
più. Ciò perché Lui è tanto santo che non può capire cosa è il mondo. Ma insomma è triste cosa
vedere perire una cosa santa per l’imprudenza del fondatore».
«Ma insomma, cosa c’è? Di’ tutto. E noi provvederemo. Non è vero, Simone?».
«Certamente. Ma mi pare impossibile che Gesù faccia cose imprudenti e contro la sua missione…».
«Ma se questo bravo giovane, che pure ama Gesù, lo dice!? Vedi tu come sei? Sempre così! Incerto.
Titubante. Mi lasci sempre solo al momento buono. Io contro tutta la parentela. Non hai neppure
pietà del nostro nome e del povero fratello nostro che si rovina!».
«No! Rovinarsi no! Ma si menoma, ecco».
«Parla, parla!» insiste Giuseppe, mentre Simone tace perplesso.
«Io parlerei… Ma vorrei essere sicuro che voi non mi nominerete con Gesù… Giuratelo!».
«Sul santo Velo lo giuriamo. Parla».
«E neppure a vostra madre, e tanto meno ai fratelli dovete dire quanto vi dico».
«Sta’ certo del silenzio».
«E tacerete con Maria? Per non darle dolore. Come io faccio, in silenzio, è dovere di provvedere
anche per la pace di questa povera madre…».
«Taceremo con tutti. Te lo giuriamo».
10«Allora sentite… Gesù non si limita più ad avvicinare gentili, pubblicani e meretrici, a offendere
i farisei e gli altri grandi. Ma ora fa proprio delle cose assurde. Pensate che fu in terra filistea e ci
fece peregrinare portandosi dietro un caprone tutto nero. Poi ora si è messo un filisteo fra i
discepoli. E prima quel bambino che ha raccolto? Non sapete che commenti ci furono? E proprio
pochi giorni fa una greca, e schiava, e fuggita al padrone romano. E poi discorsi che sono discordi
alla sapienza ben nota. Insomma sembra folle. E si danneggia. In Filistea si è anche intrufolato in
una cerimonia di stregoni, mettendosi a tu per tu in gara con essi. Li ha vinti, ma… Già scribi e
farisei lo odiano. Ma se vengono al loro orecchio queste cose, che succede? Voi avete il dovere di
intervenire, di impedire…».
«Ciò è grave. Molto grave. Ma come potevamo saperlo? Noi siamo qui… E anche ora come
potremo sapere?».
«Eppure tocca a voi intervenire e impedire. La Madre è madre, ed è troppo buona. Voi non lo
dovete abbandonare così. Né per Lui né per il mondo. Anche questo continuare a cacciare i
demoni… Circola voce che Egli sia servito da Belzebù. Vedete voi se ciò gli può giovare. E poi!
Ma che re potrà mai divenire se le turbe ridono già da ora o sono scandalizzate?».
«Ma... le fa proprio queste cose?» chiede incredulo Simone.
«Domandatelo a Lui stesso. Vi dirà che sì. Perché anzi se ne vanta».
«Ti ci dovresti avvisare…».
«Sì che lo farò! Quando vedessi qualcosa di nuovo, vi manderò un avviso. Ma mi raccomando!
Silenzio ora e sempre con tutti!».
«Lo abbiamo giurato. Quando parti?».
«Dopo il sabato. Ormai non c’è più scopo a stare qui. Ho fatto il mio dovere».
«E noi te ne ringraziamo. Eh! io lo dicevo che Lui era mutato! Tu, fratello, non mi volevi credere…
Lo vedi se ho ragione?» dice Giuseppe d’Alfeo.
«Io… io stento a crederlo ancora. Giuda e Giacomo, infine, non sono degli stolti. Perché non ci
hanno detto nulla? Perché non provvedono, se queste cose avvengono proprio?» dice Simone
d’Alfeo.
«Uomo, non mi farai il disonore di non credere alle mie parole?!» scatta risentito Giuda.
«No!… ma… Basta. Perdona se ti dico: crederò quando vedrò».
«Va bene. Presto vedrai e dovrai dirmi: “Avevi ragione”. 11Ebbene. Eccoci alla vostra casa. Io vi
lascio. Dio sia con voi».
«Dio sia con te, Giuda. E… senti. Tu pure non parlare con altri di questo. Per il nostro onore…».
«Non lo dirò neppure all’aria. Addio».
E se ne va lesto, rientrando tranquillo in casa e salendo sul terrazzo, dove Maria con le mani in
grembo, contempla il cielo gremito d’astri, e al lumicino della lampadetta che Giuda ha acceso per
salire la scala si vedono due righe di pianto luccicare sulle gote di Maria.
«Perché piangi, Madre?» chiede con premura ansiosa Giuda.
«Perché mi pare che il mondo sia gremito d’insidie più che il cielo di stelle. Insidie per il mio
Gesù…».
Giuda la fissa attento e turbato.
Ma Lei termina soave: «Ma mi rincuora l’amore dei discepoli… Amatelo tanto il mio Gesù…
amatelo… Vuoi rimanere, Giuda? Io scendo nella mia camera. Già Maria Cleofe si è coricata dopo
aver preparato il lievito per domani».
«Sì. Io resto. Si sta bene qui».
«La pace sia con te, Giuda».
«La pace sia con te, Maria».
265.Istruzioni ai dodici apostoli che iniziano il loro ministero.
28 agosto 1945.
1Gesù con gli apostoli - e ci sono tutti, segno che Giuda Iscariota, compita la sua opera, ha
raggiunto i compagni - sono seduti a tavola nella casa di Cafarnao. È sera. La luce del giorno
morente entra dalla porta e dalle finestre spalancate, e queste lasciano vedere il mutarsi della
porpora del tramonto in un rosso paonazzo irreale, il quale agli orli si sfrangia in accartocciamenti
di un color viola ardesia che finisce in grigio. Mi fa pensare ad un foglio di carta gettato sul fuoco,
che si accende come il carbone sul quale è stato gettato, ma agli orli, dopo la vampa, si accartoccia e
si spegne in un color piombo bluastro che finisce in un grigio perlaceo quasi bianco.
«Caldo» sentenzia Pietro, accennando il nuvolone che copre l’occidente di quei colori. «Caldo. Non
acqua. Quella è nebbia, non nuvola. Io questa notte dormo nella barca per avere più fresco».
«No. Questa notte andiamo fra gli uliveti. Ho bisogno di parlarvi. Ormai Giuda è tornato. È tempo
di parlare. Conosco un posto ventilato. Vi staremo bene. Alzatevi e andiamo».
«È lontano?» chiedono prendendo i mantelli.
«No. Molto vicino. A un trar di frombola dall’ultima casa. Potete lasciare i mantelli. Però prendete
esca e acciarino per vederci nel rientrare».
Escono dalla stanza alta e scendono la scaletta dopo avere salutato il padrone e la moglie che
frescheggiano sul terrazzo.
Gesù volta risolutamente le spalle al lago e, traversato il paese, fa un duecento o trecento metri fra
gli ulivi di una prima collinetta che è alle spalle del paese. Si ferma su un ciglio che, per la sua
posizione sporgente e libera da ostacoli, gode di tutta l’aria possibile a godersi in quella notte d’afa.
2«Sediamo e prestatemi attenzione. È venuta l’ora della vostra evangelizzazione. Sono a metà circa
della mia vita pubblica per preparare i cuori al mio Regno. Ora è tempo che anche i miei apostoli
prendano parte alla preparazione di questo Regno. I re fanno così quando hanno deciso la conquista
di un regno. Prima indagano e avvicinano persone per sentire le reazioni e lavorarle all’idea che
perseguono. Poi estendono l’opera preparatoria con messi fidati, mandati nel paese da conquistare.
E sempre più ne mandano finché tutto il paese è noto nelle sue particolarità geografiche e morali.
Poi, fatto questo, il re porta a compimento l’opera proclamandosi re di quel luogo e incoronandosi
tale. E sangue scorre per fare questo. Perché le vittorie costano sempre del sangue…».
«Noi siamo pronti a combattere per Te e a versare il nostro sangue» promettono unanimemente gli
apostoli.
«Io non verserò altro sangue che quello del Santo dei santi».
«Vuoi iniziare dal Tempio la conquista, irrompendo nell’ora dei sacrifici?…».
«Non divaghiamo, amici. Il futuro lo saprete a suo tempo. Ma non fremete d’orrore. Vi assicuro che
non sconvolgerò le cerimonie con la violenza di una irruzione. Eppure saranno sconvolte e vi sarà
una sera in cui il terrore impedirà la preghiera rituale. Il terrore dei peccatori. Ma Io, quella sera,
sarò in pace. In pace collo spirito mio e col mio corpo. Una pace totale, beata…».
Gesù guarda uno per uno i suoi dodici, ed è come se guardasse la stessa pagina per dodici volte e vi
leggesse per dodici volte la parola che vi è scritta: incomprensione. Sorride e prosegue.
3«Dunque ho deciso di mandarvi per penetrare più avanti e più ampiamente di quanto possa fare Io
da solo. Però fra il mio modo di evangelizzare e il vostro vi saranno differenze prudenziali che Io
metto per non portarvi a difficoltà troppo forti, in pericoli troppo seri per la vostra anima e anche
per il vostro corpo, e per non nuocere all’opera mia.
Voi non siete ancora formati al punto da poter avvicinare chicchessia senza averne danno o senza
fargli danno, e tanto meno siete eroici al punto di sfidare il mondo per l’Idea andando incontro alle
vendette del mondo. Perciò, andando a predicarmi non andate fra i gentili e non entrate nelle città
dei samaritani, ma andate dalle pecorelle sperdute della casa d’Israele. Vi è tanto da fare anche fra
queste, perché in verità vi dico che le turbe che vi paiono tante, intorno a me, sono la centesima
parte di quelle che in Israele ancora attendono il Messia e non lo conoscono né sanno che è vivente.
Portate a queste la fede e la conoscenza di Me.
Nel vostro cammino predicate dicendo: “Il Regno di Cieli è vicino”. Sia questo l’annuncio base. Su
questo appoggiate tutta la vostra predicazione. Tanto avete sentito parlare del Regno da Me! Non
avete che a ripetere ciò che Io vi ho detto. Ma l’uomo, per essere attirato e convinto sulle verità
spirituali, ha bisogno di dolcezze materiali, come fosse un eterno bambino che non studia una
lezione e non impara un mestiere se non è allettato da un dolce della mamma o un premio del
maestro di scuola o del maestro del mestiere. Io, perché voi abbiate il mezzo per essere creduti e
cercati, vi concedo il dono del miracolo...».
Gli apostoli scattano in piedi, meno Giacomo d’Alfeo e Giovanni, urlando, protestando, esaltandosi,
ognuno a seconda del temperamento. Veramente, che si pavoneggi nell’idea del miracolo da fare
non c’è che l’Iscariota che, con quel po’ po’ di conto che ha sull’anima di un’accusa falsa e
interessata, esclama: «Era ora che noi pure si facesse questo per avere un minimo di autorità sulle
turbe!».
Gesù lo guarda ma non dice nulla. Pietro e lo Zelote che stanno dicendo: «No, Signore! Noi non
siamo degni di tanto! Ciò spetta ai santi», dànno sulla voce a Giuda, dicendo lo Zelote: «Come ti
permetti di fare rimprovero al Maestro, uomo stolto ed orgoglioso?», e Pietro: «Il minimo? E che
vuoi fare di più del miracolo? Diventare Dio tu pure? Hai lo stesso prurito di Lucifero?».
«Silenzio!» intima Gesù. E prosegue:
«Vi è una cosa che è ancor più del miracolo e che convince ugualmente le folle e con maggiore
profondità e durata: una vita santa. Ma da questa voi siete ancora lontani, e tu, Giuda, più lontano
degli altri. Ma lasciatemi parlare perché è una lunga istruzione.
4Andate perciò guarendo gli infermi, mondando i lebbrosi, risuscitando i morti del corpo o dello
spirito, perché corpo e spirito possono essere ugualmente infermi, lebbrosi, morti. E voi anche
sapete come si fa ad operare miracolo: con una vita di penitenza, una preghiera fervente, un sincero
desiderio di far brillare la potenza di Dio, un’umiltà profonda, una viva carità, una accesa fede, una
speranza che non si turba per difficoltà di sorta. In verità vi dico che tutto è possibile a chi ha in sé
questi elementi. Anche i demoni fuggiranno di fronte al Nome del Signore detto da voi, avendo in
voi quanto ho detto. Questo potere vi viene dato da Me e dal Padre nostro. Non si compera con
nessuna moneta. Solo il nostro volere lo concede e solo la vita giusta lo mantiene. Ma, come vi è
stato dato gratis, così gratuitamente datelo agli altri, ai bisognosi di esso. Guai a voi se avvilirete in
dono di Dio facendolo servire per impinguare la vostra borsa. Non è vostra potenza, è potenza di
Dio. Usatela, ma non ve ne appropriate dicendo: “È mia”. Come vi viene data, così vi può essere
tolta.
Simone di Giona poco fa a detto a Giuda di Simone: “Hai tu lo stesso prurito di Lucifero?”. Ha
detto una giusta definizione. Dire: “Io faccio ciò che fa Dio perché io sono come Dio” è imitare
Lucifero. E il suo castigo è noto. Come noto è ciò che avvenne ai due che nel paradiso terrestre
mangiarono il frutto proibito, per istigazione dell’Invidioso, che voleva mettere altri infelici nel suo
Inferno, oltre ai ribelli angelici che già vi erano, ma anche per prurito loro proprio di superbia
perfetta.
Unico frutto che vi è lecito prendere da ciò che fate sono le anime che col miracolo conquisterete al
Signore e che al Signore vanno date. Ecco le vostre monete. Non altre. Nell’altra vita ne godrete il
tesoro.
5Andate senza ricchezze. Non portate con voi né oro, né argento, né monete nelle vostre cinture,
non sacca da viaggio con due o più vesti e doppi calzari, né bastone da pellegrino, né armi da uomo.
Perché le vostre visite apostoliche per ora saranno corte, ed ogni vigilia di sabato ci ritroveremo e
potrete deporre le vesti sudate senza avere bisogno di portarvi dietro il ricambio. Non occorre il
bastone perché qui dolce è il cammino, e ciò che serve su colli e pianure è ben diverso da ciò che
serve nei deserti e sui monti alti. Non occorrono armi. Queste sono buone per l’uomo che non
conosce la santa povertà e ignora il divino perdono. Ma voi non avete tesori da tutelare e difendere
dai ladroni. Unico da temere, unico ladrone per voi è Satana. Ed esso si vince con la costanza e la
preghiera, non con spade e pugnali.
A chi vi offende perdonate. Se vi spogliassero del mantello, date anche la veste. Rimaneste anche
nudi affatto per mitezza e distacco dalle ricchezze, non scandalizzerete gli angeli del Signore e
neppure l’infinita Castità di Dio, perché la vostra carità vestirebbe di oro il vostro corpo nudo, e la
mitezza vi farebbe ornata cintura, e di perdono verso il ladrone vi darebbe manto e corona regale.
Sareste perciò vestiti meglio di un re. E non di stoffe corruttibili, ma di materie incorruttibili.
Non abbiate preoccupazioni per il vostro nutrimento. Avrete sempre quanto è appropriato alla
vostra condizione e al vostro ministero, perché l’operaio è degno del nutrimento che gli viene porto.
Sempre. E se gli uomini non provvedessero, Dio provvederebbe al suo operaio. Già vi ho mostrato
che per vivere e per predicare non è necessario avere i ventri colmi del cibo ingurgitato. Ciò serve
agli animali immondi, la cui missione è quella di ingrassare, per essere uccisi per ingrassare gli
uomini. Ma voi non dovete che impinguare lo spirito vostro e altrui di cibi sapienziali. E la
Sapienza si illumina ad una mente che la crapula non rende ottusa e ad un cuore che si nutre di cose
soprannaturali. Voi non siete mai stati tanto eloquenti come dopo il ritiro sul monte. E allora
mangiaste solo quanto era necessario per non morire. Eppure al termine del ritiro eravate forti e ilari
come non mai. Non è forse vero?
6In qualunque città o luogo entrerete, informatevi che vi sia chi meriti di accogliervi. Non perché
siete Simone, o Giuda, o Bartolomeo, o Giacomo, o Giovanni, e così via. Ma perché siete i messi
del Signore. Foste anche stati dei rifiuti, degli assassini, dei ladri, dei pubblicani, pentiti ora e al mio
servizio, meritate rispetto perché miei messi. Dico più ancora. Dico: guai a voi se avete l’apparenza
di miei messi e nell’interno siete abbietti e insatanassati. Guai a voi! L’inferno è ancor poco per
quello che meritate per il vostro inganno. Ma anche foste contemporaneamente messi di Dio in
palese, e rifiuti, pubblicani, ladri, assassini in occulto, o anche un sospetto fosse nei cuori verso di
voi, una quasi certezza, vi va dato ancora onore e rispetto perché siete miei messi. L’occhio
dell’uomo deve sorpassare il mezzo e vedere il messo e il fine, vedere Dio e la sua opera al di là del
mezzo troppo spesso manchevole. Solo in casi di colpa grave, ledente la fede dei cuori, Io per ora,
poi chi mi succederà, provvederanno a recidere il membro guasto. Perché non è lecito che per un
sacerdote demonio si perdano anime di fedeli. Non sarà mai lecito, per nascondere le piaghe nate
nel corpo apostolico, permettere sopravvivenza in esso di corpi incancreniti che col loro aspetto
ripugnante allontanano e col loro fetore demoniaco avvelenano.
Voi dunque vi informerete quale è la famiglia di vita più retta, là dove le donne sanno stare ritirate e
i costumi sono castigati. E là entrerete e dimorerete finché non partiate dal luogo. Non imitate i
fuchi che, dopo aver succhiato un fiore, passano ad altro più nutriente. Voi, sia che siate capitati tra
persone di buon letto e ricca mensa, o sia che siate capitati in umile famiglia ricca solo di virtù,
rimanete dove siete. Non cercate mai il “meglio” per il corpo che perisce. Ma, anzi, date ad esso
sempre il peggio, riserbando tutti i diritti allo spirito. E, ve lo dico perché è bene lo facciate, date,
sol che lo possiate fare, la preferenza ai poveri per la vostra sosta. Per non umiliarli, per ricordo di
Me che sono e resto povero e di esser povero me ne vanto, e anche perché i poveri sono sovente
migliori dei ricchi. Troverete sempre poveri giusti, mentre raro sarà trovare un ricco senza
ingiustizia. Non avete perciò la scusa di dire: “Non ho trovato bontà altro che nei ricchi” per
giustificare la vostra smania di benessere.
Nell’atto di entrare nella casa salutate col mio saluto, che è il più dolce che vi sia. Dite: “La pace sia
con voi. La pace sia in questa casa”, oppure “la pace venga in questa casa”. Infatti voi, messi di
Gesù e della Buona Novella, portate con voi la pace, e la vostra venuta in un luogo è far venire la
pace in esso. Se la casa ne è degna, la pace verrà e permarrà in essa; se non ne è degna, la pace
tornerà a voi. Però badate di essere voi pacifici onde avere Dio come vostro Padre. Un padre aiuta
sempre. E voi, aiutati da Dio, farete tutto, e tutto bene.
Può darsi anche, anzi certo avverrà, che vi sarà città o casa che non vi ricevono e non vogliono
ascoltare le vostre parole cacciandovi o deridendovi, o anche inseguendovi a colpi di pietra come
profeti noiosi. E qui avrete più che mai bisogno di essere pacifici, umili, miti per abito di vita.
Perché altrimenti l’ira prenderà il sopravvento e voi peccherete scandalizzando e aumentando
l’incredulità dei convertendi. Mentre, se riceverete l’offesa di essere cacciati, derisi, inseguiti con
pace, voi convertirete con la predica più bella: quella silenziosa della virtù vera. Ritroverete un
giorno i nemici di oggi sul vostro cammino e vi diranno: “Vi abbiamo cercato perché il vostro modo
di agire ci ha fatti persuasi della Verità che annunciate. Vogliate perdonarci e accoglierci per
discepoli. Perché noi non vi conoscevamo, ma ora vi conosciamo per santi. Perciò, se santi siete,
dovete essere i messi di un santo, e noi crediamo ora in Lui”. Ma, nell’uscire dalla città o casa dove
non siete stati accolti, scuotete da voi anche la polvere dei vostri calzari, acciò la superbia e la
durezza di quel luogo non si apprenda neppure alle vostre suole. In verità vi dico: nel giorno del
Giudizio, Sodoma e Gomorra saranno trattate meno duramente di quella città.
7Ecco: Io vi mando come pecore fra i lupi. Siate dunque prudenti come le serpi e semplici come le
colombe. Perché voi sapete come il mondo, che in verità è più di lupi che di pecore, usa anche con
Me che sono il Cristo. Io posso difendermi col mio potere e lo farò finché non è l’ora del trionfo
temporaneo del mondo. Ma voi non avete questo potere e vi necessita maggior prudenza e
semplicità. Maggiore accortezza, perciò, per evitare per ora carceri e flagellazioni.
In verità voi, per ora, nonostante le vostre proteste di voler dare il sangue per Me, non sopportate
neppure uno sguardo ironico o iracondo. Poi verrà un tempo in cui sarete forti come eroi contro
tutte le persecuzioni, forti più di eroi, di un eroismo inconcepibile secondo il mondo, inspiegabile, e
verrà detto “follia”. No, che follia non sarà! Sarà l’immedesimazione per forza di amore dell’uomo
con l’Uomo Dio, e voi saprete fare ciò che Io avrò già fatto. Per capire questo eroismo occorrerà
vederlo, studiarlo e giudicarlo da piani ultraterreni. Perché è cosa soprannaturale che esula da tutte
le restrizioni della natura umana. I re, i re dello spirito saranno i miei eroi, in eterno re ed eroi….
In quel tempo vi arresteranno mettendovi le mani addosso, trascinandovi davanti ai tribunali,
davanti ai presidi ed ai re, onde vi giudichino e vi condannino per il grande peccato, agli occhi del
mondo, di essere i servi di Dio, ministri e tutori del Bene, i maestri delle virtù. E per essere questo
sarete flagellati e in mille guise puniti, fino ad essere uccisi. E voi renderete testimonianza di Me ai
re, ai presidi, alle nazioni, confessando col sangue che voi amate Cristo, il Figlio vero di Dio Vero.
Quando sarete nelle loro mani, non vi mettete in pena su ciò che avete a rispondere e di quanto
avrete a dire. Nessuna pena abbiate allora che non sia quella dell’afflizione verso i giudici e gli
accusatori che Satana travia al punto da renderli ciechi alla Verità. Le parole da dire vi saranno date
in quel momento. Il Padre vostro ve le metterà sulle labbra, perché allora non sarete voi che
parlerete per convertire alla Fede e professare la Verità, ma sarà lo Spirito del Padre vostro quello
che parlerà in voi.
8Allora il fratello darà la morte al fratello, il padre al figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e
li faranno morire. No, non tramortite e non vi scandalizzate! Rispondete a Me. Per voi è più grande
delitto uccidere un padre, un fratello, un figlio, o Dio stesso?».
«Dio non si può uccidere» dice secco Giuda Iscariota
«È vero. È Spirito imprendibile» conferma Bartolomeo. E gli altri, pur tacendo, sono dello stesso
parere.
«Io sono Dio, e Carne sono» dice calmo Gesù.
«Nessuno pensa ad ucciderti» ribatte l’Iscariota.
«Vi prego: rispondete alla mia domanda».
«Ma è più grave uccidere Dio! Si intende!».
«Ebbene: Dio sarà ucciso dall’uomo, nella Carne dell’Uomo Dio e nell’anima degli uccisori
dell’Uomo Dio. Dunque, come si giungerà a questo delitto senza orrore in chi lo compie, parimenti
si giungerà al delitto dei padri, dei fratelli, dei figli, contro i figli, i fratelli, i padri.
9Sarete odiati da tutti a causa del mio Nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvo. E
quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra. Non per viltà, ma per dare tempo alla
neonata Chiesa di Cristo di giungere ad età non più di lattante debole e inetto, ma ad una età
maggiore in cui sarà capace di affrontare la vita e la morte senza temere Morte. Quelli che lo Spirito
consiglierà a fuggire, fuggano. Come Io sono fuggito quando ero pargolo. In verità, nella vita della
mia Chiesa si ripeteranno tutte le vicende della mia vita d’uomo. Tutte. Dal mistero del suo formarsi
all’umiltà dei primi tempi, ai turbamenti e insidie date dai feroci, alla necessità di fuggire per
continuare a esistere, dalla povertà e dal lavoro indefesso fino a molte altre cose che Io vivo
attualmente, che patirò in seguito, prima di giungere al trionfo eterno. Quelli invece che lo Spirito
consiglia di rimanere, restino. Perché, anche se cadranno uccisi, essi vivranno e saranno utili alla
Chiesa. Perché è sempre bene ciò che lo Spirito di Dio consiglia.
10In verità vi dico che non finirete, voi e chi vi succederà, di percorrere le vie e le città d’Israele
prima che venga il Figlio dell’uomo. Perché Israele, per un suo tremendo peccato, sarà disperso
come pula investita da un turbine e sparso per tutta la terra, e secoli e millenni, uno dopo un altro
uno, e oltre, si succederanno prima che sia di nuovo raccolto sull’aia di Areuna Gebuseo. Tutte le
volte che lo tenterà, prima dell’ora segnata, sarà nuovamente preso dal turbine e disperso, perché
Israele dovrà piangere il suo peccato per tanti secoli quante sono le stille che pioveranno dalle vene
dell’Agnello di Dio immolato per i peccati del mondo. E la Chiesa mia dovrà pure, essa che sarà
stata colpita da Israele in Me e nei miei apostoli e discepoli, aprire braccia di madre e cercare di
raccogliere Israele sotto il suo manto come una chioccia fa coi pulcini sviati. Quando Israele sarà
tutto sotto il manto della Chiesa di Cristo, allora Io verrò.
11Ma queste saranno le cose future. Parliamo delle immediate.
Ricordatevi che il discepolo non è da più del Maestro, né il servo da più del Padrone. Perciò basti al
discepolo di essere come il Maestro, ed è già immeritato onore; e al servo di essere come il Padrone,
ed è già soprannaturale bontà concedervi che ciò sia. Se hanno chiamato Belzebù il Padrone di casa,
come chiameranno i suoi servi? E potranno i servi ribellarsi se il Padrone non si ribella, non odia e
maledice, ma calmo nella sua giustizia continua la sua opera, trasferendo il giudizio ad altro
momento, quando, dopo aver tutto tentato per persuadere, avrà visto in essi l’ostinazione nel Male?
No. Non potranno i servi fare ciò che non fa il Padrone, ma bensì imitarlo, pensando che essi sono
anche peccatori mentre Egli era senza peccato. Non temete dunque quelli che vi chiameranno:
“demoni”. La verità verrà un giorno che sarà nota, e si vedrà allora chi era il “demonio”. Se voi o
loro.
Non c’è niente di nascosto che non si abbia a rivelare, e niente di segreto che non si abbia a sapere.
Quello che ora Io vi dico nelle tenebre e in segreto, perché il mondo non è degno di sapere tutte le
parole del Verbo - non è ancora degno di questo, né è ora di dirlo anche agli indegni - voi, quando
sarà l’ora che tutto deve essere noto, ditelo nella luce, dall’alto dei tetti gridate ciò che ora Io vi
sussurro più all’anima che all’orecchio. Perché allora il mondo sarà stato battezzato dal Sangue, e
Satana avrà contro uno stendardo per cui il mondo potrà, volendo, comprendere i segreti di Dio,
mentre Satana non potrà nuocere altro che su chi desidera il morso di Satana e lo preferisce al mio
bacio. Ma otto parti su dieci del mondo non vorranno comprendere. Solo le minoranze saranno
volenterose di sapere tutto per seguire tutto che è mia Dottrina. Non importa. Siccome non si può
separare queste due parti sante dalla massa ingiusta, predicate anche dai tetti la mia Dottrina,
predicatela dall’alto dei monti, sui mari senza confine, nelle viscere della terra. Se anche gli uomini
non l’ascolteranno, raccoglieranno le divine parole gli uccelli e i venti, i pesci e le onde, e ne
serberanno l’eco le viscere del suolo per dirlo alle interne sorgenti, ai minerali, ai metalli, e ne
gioiranno tutti, perché essi pure sono creati da Dio per essere di sgabello ai miei piedi e di gioia al
mio cuore.
Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima, ma temete solo quello
che può mandare a perdizione la vostra anima e ricongiungere nell’ultimo Giudizio questa al risorto
corpo, per gettarli nel fuoco dell’Inferno. Non tenete. Non si vendono forse due passeri per un
soldo? Eppure, se il Padre non lo permette, non uno di essi cadrà nonostante tutte le insidie
dell’uomo. Non temete dunque. Voi siete noti al Padre. Noti gli sono nel loro numero anche i
capelli che avete sul capo. Voi siete dappiù di molti passeri! Ed Io vi dico che chi mi riconoscerà
davanti agli uomini, anche Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei Cieli. Ma chi mi
rinnegherà davanti agli uomini, anche Io lo rinnegherò davanti al Padre mio. Riconoscere qui è per
seguire e praticare; rinnegare è abbandonare la mia via per viltà, per concupiscenza triplice, o per
calcolo meschino, per affetto umano verso uno dei vostri, contrari a Me. Perché ci sarà questo.
12Non pensate che Io sia venuto per mettere concordia sulla terra, e per la terra. La mia pace è più
alta delle calcolate paci per il barcamenare di ogni giorno. Non sono venuto a mettere la pace, ma la
spada. La spada tagliente per recidere le liane che trattengono nel fango e aprire le vie ai voli nel
soprannaturale. Perciò Io sono venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora
dalla suocera. Perché Io sono Colui che regna e ha ogni diritto sui suoi sudditi. Perché nessuno è più
grande di Me nei diritti sugli affetti. Perché in Me si accentrano tutti gli amori sublimandosi, ed Io
sono Padre, Madre, Sposo, Fratello, Amico, e vi amo come tale, e come tale vado amato. E quando
dico: “Voglio”, nessun legame può resistere e la creatura è mia. Io col Padre, l’ho creata, Io da Me
stesso la salvo, Io ho il diritto di averla.
In verità i nemici dell’uomo sono gli uomini oltre che i demoni; e i nemici dell’uomo nuovo, del
cristiano, saranno quelli di casa, coi loro lamenti, minacce o suppliche. Chi però d’ora in poi amerà
il padre o la madre più di Me non è degno di Me; chi ama il figlio o la figlia più di Me non è degno
di Me. Chi non prende la sua croce quotidiana, complessa, fatta di rassegnazioni, di rinunce, di
ubbidienze, di eroismi, di dolori, di malattie, di lutti, di tutto quello che manifesta la volontà di Dio
o una prova dell’uomo, e con essa non mi segue, non è degno di Me. Chi tiene conto della sua vita
terrena più di quella spirituale, perderà la Vita vera. Chi avrà perduto la sua vita terrena per amore
mio la ritroverà eterna e beata.
13Chi riceve voi riceve Me. Chi riceve Me riceve Colui che mi ha mandato. Chi riceve un profeta
come un profeta riceverà premio proporzionato alla carità data al profeta, chi un giusto come un
giusto riceverà un premio proporzionato al giusto. E ciò perché chi riconosce nel profeta il profeta è
segno che è profeta lui pure, ossia molto santo perché tenuto fra le braccia dallo Spirito di Dio, e chi
avrà riconosciuto un giusto come giusto, dimostra di essere lui stesso giusto, perché le anime simili
si riconoscono. Ad ognuno dunque sarà dato secondo giustizia.
Ma a chi avrà dato anche un solo calice d’acqua pura ad uno dei miei servi, fosse anche il più
piccolo - e sono servi di Gesù tutti quelli che lo predicano con una vita santa, e possono esserlo i re
come i mendicanti, i sapienti come coloro che non sanno nulla, i vecchi come i pargoli, perché in
tutte le età e le classi si può essere miei discepoli - chi avrà dato ad un mio discepolo anche un
calice d’acqua in mio nome e perché mio discepolo, in verità vi dico che non perderà la sua
ricompensa.
13Ho detto. Ora preghiamo e poi andiamo a casa. All’alba partirete e così: Simone di Giona con
Giovanni, Simone Zelote con Giuda Iscariota, Andrea con Matteo, Giacomo d’Alfeo con Tommaso,
Filippo con Giacomo di Zebedeo, Giuda mio fratello con Bartolomeo. Questa settimana così. Poi
darò il nuovo ordine. Preghiamo».
E pregano ad alta voce…
266.I discepoli del Battista vogliono accertarsi che Gesù è il Messia.
Testimonianza sul Precursore e invettiva contro le città impenitenti.
29 agosto 1945.
1Gesù è solo con Matteo che, ferito ad un piede, non è potuto andare con gli altri a predicare. Ma
però malati e desiderosi della Buona Novella affollano la terrazza e lo spazio libero dell’orto per
udirlo e averne aiuto.
Gesù termina di parlare dicendo: «Contemplato che abbiamo insieme la grande frase di Salomone:
“Nell’abbondanza della giustizia sta la somma fortezza”, Io vi esorto a possedere questa
abbondanza perché essa è moneta per entrare nel Regno dei Cieli. State con la mia pace e Dio sia
con voi». E poi si volge ai poveri e ai malati - e in molti casi sono l’uno e l’altro insieme - e ascolta
con bontà i loro racconti, soccorre con denaro, consiglia con parole, sana coll’imposizione delle
mani e con la parola. Matteo, al suo fianco, provvede a dare le monete.
2Gesù sta ascoltando attentamente una povera vedova, che gli narra fra le lacrime della morte
improvvisa del marito legnaiuolo al suo banco di lavoro, avvenuta pochi giorni prima: «Sono corsa
a cercarti qui, e tutto il parentado del morto mi accusò di essere scomposta e dura di cuore e ora mi
maledice. Ma io ero venuta perché so che risusciti e so che se potevo trovarti il mio uomo sarebbe
risorto. Non c’eri… Ora egli è nel sepolcro da due settimane… ed io sono qui con cinque figli… I
parenti mi odiano e non mi aiutano. Ho degli ulivi e delle viti. Pochi, ma mi darebbero pane per
l’inverno se potessi tenerli fino alla raccolta. Ma non ho denaro, perché l’uomo da tempo era poco
sano e poco lavorava, e per sostenersi mangiava e beveva anche troppo. Diceva che il vino gli
faceva bene… invece fece il doppio male di ucciderlo e di consumare i risparmi già ridotti per il suo
poco lavoro. Stava finendo un carro ed un cofano, e aveva ordinati due letti, delle tavole e mensole.
Ma ora… Non sono finiti e mio figlio maschio non ha ancora otto anni. Perderò il denaro… Dovrò
vendere gli arnesi, il legname. Il carro e il cofano non posso neppure venderli per tali, per quanto
quasi ultimati, e li dovrò dare come legna da ardere. E non basteranno i denari perché io, mia madre
vecchia e malata, e cinque figli, siamo sette persone… Venderò il vigneto e gli ulivi… Ma tu sai
come è il mondo… Strozza dove c’è il bisogno. Dimmi, che devo fare? Io volevo serbare il banco e
i ferri per il figlio che già sa qualcosa del legno… volevo serbare la terra per vivere e per dote alle
figlie…».
Sta ascoltando tutto questo quando un rimescolio fra la gente lo avverte che c’è qualcosa di nuovo.
Si volta per vedere e vede tre uomini che si fanno strada fra la folla. Si torna a voltare per parlare
alla vedova: «Dove abiti?».
«A Corozim, presso la strada che va alla Fonte calda. Una casa bassa in mezzo a due fichi».
«Va bene. Verrò ad ultimare il carro ed il cofano, e li venderai a chi li ha ordinati. Aspettami
domani all’aurora».
«Tu! Tu lavorare per me!». La donna è soffocata dallo stupore.
«Riprenderò il lavoro mio e ti darò pace. Intanto, a quelli di Corozim senza cuore impartirò la
lezione della carità».
«Oh! sì! Senza cuore! Ci fosse stato ancora il vecchio Isacco! Non mi avrebbe lasciata morire di
fame! Ma egli è tornato ad Abramo…».
«Non piangere. Va’ tranquilla. Ecco quanto serve per oggi. Domani verrò Io. Va’ in pace».
La donna si prostra a baciargli la veste e se ne va più sollevata.
3«Maestro tre volte santo, ti posso salutare?» chiede uno dei tre sopraggiunti che si sono fermati
rispettosamente dietro a Gesù, attendendo che Egli congedasse la donna, e che perciò hanno sentito
la promessa di Gesù. E quest’uomo che saluta è Mannaen.
Gesù si volta con un sorriso e dice: «Pace a te, Mannaen! Ti sei dunque ricordato di Me?».
«Sempre, Maestro. E avevo divisato di venire da Te in casa di Lazzaro o all’Orto degli Ulivi per
stare con Te. Ma prima di Pasqua fu preso il Battista. Fu ripreso con tradimento ed io temevo che,
nell’assenza di Erode venuto a Gerusalemme per la Pasqua, Erodiade ordinasse l’uccisione del
santo. Non è voluta andare per le feste a Sionne dicendosi malata. Malata, sì. Di odio e lussuria… Io
sono stato a Macheronte per controllare e… trattenere la perfida donna, che sarebbe capace di
uccidere di sua mano… E non lo fa perché teme di perdere il favore di Erode, che… per paura o per
convinzione difende Giovanni limitandosi a tenerlo prigioniero. Ora Erodiade è fuggita dal caldo
opprimente di Macheronte andando in un castello di sua proprietà. Ed io sono venuto con questi
amici miei e discepoli di Giovanni. Egli li mandava perché ti interrogassero. E io mi sono unito a
loro».
4La gente, sentendo parlare di Erode e comprendendo chi è che ne parla, si affolla curiosa intorno al
gruppetto di Gesù e dei tre.
«Che volevate chiedermi?» chiede Gesù dopo scambievoli saluti coi due austeri personaggi.
«Parla tu, Mannaen, che sai tutto e sei più amico» dice uno dei due.
«Ecco, Maestro. Tu devi compatire se per troppo amore i discepoli vanno in diffidenza verso Colui
che credono antagonista o soppiantatore del loro maestro. Così fanno i tuoi, così quelli di Giovanni.
È una comprensibile gelosia, che dimostra tutto l’amore dei discepoli per i maestri. Io… sono
imparziale, e questi che con me sono lo possono dire, perché conosco Te e Giovanni e vi amo con
giustizia, tanto che, per quanto ami Te per quello che sei, ho preferito fare il sacrificio di stare
presso Giovanni, perché venero lui pure per quello che è, ed attualmente perché più in pericolo di
Te. Ora per questo amore, nel quale soffiano col loro astio i farisei, essi sono giunti a dubitare che
Tu sia il Messia. E lo hanno confessato a Giovanni credendo di dargli gioia col dire: “Per noi sei tu
il Messia. Non ci può essere uno più santo di te”. Ma Giovanni li ha rimproverati per prima cosa
chiamandoli bestemmiatori, e poi, dopo il rimprovero, con più dolcezza, ha spiegato tutte le cose
che ti indicano come vero Messia. Infine, vedendoli ancora non persuasi, ha preso due di essi,
questi, e ha detto: “Andate da Lui e ditegli in mio nome: ‘Sei Tu quello che ha da venire, o
dobbiamo attenderne un altro?’ “. Non ha mandato i discepoli già pastori, perché essi credono e non
sarebbe giovato mandarli. Ma ha preso fra quelli che dubitano per farteli avvicinare e perché la loro
parola dissipi i dubbi dei loro simili. Io li ho accompagnati per poterti vedere. Ho detto. Tu ora
calma i loro dubbi».
5«Ma non ci credere ostili, Maestro! Le parole di Mannaen te lo potrebbero far pensare. Noi…
noi… Noi conosciamo da anni il Battista e lo abbiamo sempre visto santo, penitente, ispirato. Tu…
non ti conosciamo che per parola altrui. E Tu sai cosa è la parola degli uomini… Crea e distrugge
fama e lodi nel contrasto fra chi esalta e chi abbatte, così come una nuvola viene formata e disciolta
da due venti contrari».
«So, so. Leggo nel vostro animo, e i vostri occhi leggono la verità in quanto vi circonda, così come
le vostre orecchie hanno sentito il colloquio con la vedova. Questo basterebbe a persuadere. Ma Io
vi dico. Osservate chi mi circonda. Qui non sono ricchi né gaudenti, qui non persone scandalose.
Ma poveri, malati, onesti israeliti che vogliono conoscere la Parola di Dio. E non altro. Questo,
questo, questa donna, e poi quella fanciullina e quel vecchio, sono venuti qui malati ed ora sono
sani. Interrogateli e vi diranno cosa avevano e come li guarii e come stanno ora. Fate, fate. Io
intanto parlo con Mannaen» e Gesù fa per ritirarsi.
«No, Maestro. Noi non dubitiamo delle tue parole. Solo dàcci una risposta da dare a Giovanni,
perché egli veda che siamo venuti e perché possa, in base a quella, persuadere i nostri compagni».
«Andate a riferire questo a Giovanni: “I sordi odono; questa fanciulla era sorda e muta. I muti
parlano; e quell’uomo era muto dalla nascita. I ciechi vedono”. 6Uomo, vieni qui. Di’ a costoro ciò
che avevi» dice Gesù prendendo per un braccio un miracolato.
Questo dice: «Sono muratore e mi cadde sul viso un secchio pieno di calce viva. Mi bruciò gli
occhi. Da quattro anni ero nelle tenebre. Il Messia mi ha bagnato gli occhi seccati con la sua saliva e
sono tornati più freschi di quando avevo venti anni. Che Egli ne sia benedetto».
Gesù riprende: «E coi ciechi, sordi, muti guariti, si raddrizzano gli storpiati e corrono gli zoppi.
Ecco lì quel vecchio rattrappito poco anzi e ora dritto come una palma del deserto e agile come una
gazzella. Si sanano le malattie più gravi. Tu, donna, che avevi?».
«Un male al seno per il troppo latte dato a bocche voraci. E il male, col seno, mi rodeva la vita. Ora
guardate» e si socchiude la veste mostrando intatte le mammelle e aggiunge: «Era tutta una piaga, e
lo dimostra la tunica ancor bagnata del marciume. Ora vado a casa per mettere veste monda e sono
forte e felice. Mente solo ieri ero morente, portata qui da pietosi, e tanto infelice… per i bambini
prossimi ad essere senza madre. Eterna lode al Salvatore!».
«Udite? E potete interrogare il sinagogo di questa città sulla risurrezione della figlia sua e, tornando
verso Gerico, passate da Naim, chiedete del giovane risuscitato alla presenza di tutta la città e
mentre stava per essere messo nel sepolcro. Così potrete riferire che i morti risuscitano. Che molti
lebbrosi siano guariti, potete saperlo da molti luoghi in Israele, ma se volete andare a Sicaminon,
cercatene fra i discepoli, e molti ne troverete. Dite dunque a Giovanni che i lebbrosi sono mondati.
E dite, poiché lo vedete, che ai poveri è annunziata la Buona Novella. Ed è beato chi non si sarà
scandalizzato di Me. 7Dite questo a Giovanni. E ditegli che Io lo benedico con tutto il mio amore».
«Grazie, Maestro. Benedici noi pure prima della partenza».
«Voi non potete partire in queste ore calde. Rimanete perciò miei ospiti fino a sera. Vivrete per un
giorno la vita di questo Maestro che non è Giovanni, ma che Giovanni ama perché sa Chi è. Venite
nella casa. Vi è fresco e vi ristorerò. Addio, miei ascoltatori. La pace sia con voi» e congedate le
turbe entra in casa coi tre ospiti…
8…Quanto si dicano in quelle ore affocate non so. Ciò che vedo ora è la preparazione della partenza
per Gerico dei due discepoli. Mannaen pare che resti, perché il suo cavallo non è stato portato con i
due robusti asini davanti all’apertura del muro del cortile. I due inviati di Giovanni, dopo molti
inchini al Maestro e a Mannaen, montano in sella e ancora si voltano a guardare e a salutare, finché
un angolo di via non li nasconde alla vista.
Molti di Cafarnao si sono affollati per vedere questa partenza, perché la notizia della venuta dei
discepoli di Giovanni e la risposta di Gesù a loro hanno fatto il giro del paese, e credo anche di altri
paesi vicini. Vedo persone di Betsaida e Corozim, che si sono presentate ai messi di Giovanni
chiedendo di lui e dicendo di salutarlo - forse sono ex discepoli del Battista - rimanere ora, in
crocchio con quelli di Cafarnao, a commentare. Gesù, con a fianco Mannaen, fa per rientrare in casa
parlando. Ma la gente gli si stringe intorno, curiosa di osservare il fratello di latte di Erode e i suoi
modi pieni di ossequio per Gesù, e desiderosa di parlare col Maestro.
9C’è anche Giairo, il sinagogo. Ma, per grazia di Dio, non ci sono farisei. È proprio Giairo che dice:
«Sarà contento Giovanni! Non solo hai mandato esauriente risposta, ma anche, trattenendoli, hai
potuto ammaestrarli e mostrare loro un miracolo».
«E non da poco, anche!» dice un uomo.
«Io avevo portato apposta la mia bambina oggi perché la vedessero. Non è mai stata così bene e per
lei è una gioia venire dal Maestro. Avete sentito, eh?, la sua risposta? “Io non mi ricordo cosa è la
morte. Ma mi ricordo che un angelo mi ha chiamata portandomi ad una luce sempre più viva, al
termine della quale era Gesù. E come l’ho visto allora, col mio spirito che tornava in me, non lo
vedo neppure ora. Voi ed io ora vediamo l’Uomo. Ma il mio spirito ha visto il Dio che è chiuso
nell’Uomo”. E come si è fatta buona da allora! Lo era buona. Ma ora è un vero angelo. Ah! per me,
dicano quello che vogliono tutti, non ci sei che Tu di santo!».
«Ma anche Giovanni è santo però» dice uno di Betsaida.
«Sì. Ma è troppo severo».
«Non lo è più per gli altri che per sé».
«Ma non fa miracoli e si dice che digiuni perché sia come un mago».
«Eppure è santo».
Il battibecco fra la folla si estende. 10Gesù alza la mano e la stende col gesto abituale che ha quando
chiede silenzio e attenzione perché vuole parlare. Il silenzio si fa subito.
Gesù dice:
«Giovanni è santo e grande. Non guardate il suo modo di fare né l’assenza di miracoli. In verità ve
lo dico: “Egli è un grande del Regno di Dio”. Là apparirà in tutta la sua grandezza.
Molti si lamentano perché egli era ed è severo fin ad apparire rude. In verità vi dico che egli ha
lavorato da gigante per preparare le vie del Signore. E chi lavora così non ha tempo da perdere in
mollezze. Non diceva egli, mentre era lungo il Giordano, le parole di Isaia in cui lui e il Messia
sono profetizzati: “Ogni valle sarà colmata, ogni monte sarà abbassato, e le vie tortuose saranno
raddrizzate e le scabre fatte piane”, e ciò per preparare le vie al Signore e Re? Ma in verità ha fatto
più egli che non tutto Israele per prepararmi la via! E chi deve abbattere monti e colmare valli e
raddrizzare vie o rendere dolci le salite penose, non può che lavorare rudemente. Perché egli era il
Precursore e solo il giro di poche lune lo anticipava da Me, e tutto doveva essere fatto prima che il
Sole fosse alto sul giorno della Redenzione. Il tempo è questo, il Sole ascende per splendere su
Sionne e da lì su tutto il mondo. Giovanni ha preparato la via. Come doveva.
Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna che ogni vento agita in diversa direzione? Ma che
siete andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ma questi abitano nelle case dei re, avvolti in
morbide vesti e ossequiati da mille servi e cortigiani, cortigiani essi pure di un povero uomo. Qui ve
ne è uno. Interrogatelo se in lui non è il disgusto della vita di Corte e ammirazione per la rupe
solitaria e scabra, sulla quale invano si avventano fulmini e gragnuole e i venti stolti giostrano per
svellerla, mentre essa sta solida con lo slancio di tutte le sue parti verso il cielo, con la punta che
predica la gioia dell’alto tanto è eretta, puntuta come una fiamma che sale. Questo è Giovanni. Così
lo vede Mannaen, perché ha compreso la verità della vita e della morte, e vede grandezza là dove è,
anche se nascosta sotto le apparenze selvagge.
E voi, che avete visto in Giovanni quando siete andati a vederlo? Un profeta? Un santo? Io ve lo
dico: Egli è da più di un profeta. Egli è da più di molti santi, da più dei santi perché è colui del quale
sta scritto: “Ecco, Io mando dinnanzi a voi il mio angelo a preparare la tua via dinnanzi a Te”.
11Angelo. Considerate. Voi sapete che gli angeli sono spiriti puri, creati da Dio a sua somiglianza
spirituale, messi a congiunzione fra l’uomo: perfezione del creato visibile e materiale, e Dio:
Perfezione del Cielo e della terra, Creatore del Regno spirituale e del regno animale. Nell’uomo
anche più santo vi è sempre la carne e il sangue a porre un abisso fra lui e Dio. E l’abisso si
sprofonda per il peccato che appesantisce anche ciò che è spirituale nell’uomo. Ecco allora Dio
creare gli angeli, creature che toccano il vertice della scala creativa così come i minerali ne segnano
la base; i minerali, la polvere che compone la terra, le materie inorganiche in genere. Specchi tersi
del Pensiero di Dio, fiamme volenterose operanti per amore, pronti a comprendere, solleciti ad
operare, liberi nel volere come noi, ma di un volere tutto santo che ignora le ribellioni e i fomiti del
peccato. Questo sono gli angeli adoratori di Dio, suoi messaggeri presso gli uomini, protettori
nostri, datori a noi della Luce che li investe e del Fuoco che essi raccolgono adorando.
Giovanni è detto “angelo” dalla parola profetica. Ebbene Io vi dico: “Tra i nati di donna non ne è
mai sorto uno più grande di Giovanni Battista”. Eppure, il più piccolo del Regno dei Cieli sarà più
grande di lui-uomo. Perché uno del Regno dei Cieli è figlio di Dio e non figlio di donna. Tendete
dunque tutti a divenire cittadini del Regno.
12Che vi chiedete l’un l’altro?».
«Dicevamo: “Ma Giovanni sarà nel Regno? E come vi sarà?”».
«Egli nel suo spirito è già del Regno e vi sarà dopo la morte come uno dei soli più splendidi
dell’Eterna Gerusalemme. E ciò per la Grazia che è senza incrinatura in lui e per la sua volontà
propria. Perché egli fu ed è violento anche con se stesso per fine santo. Dal Battista in poi, il Regno
dei Cieli è di coloro che sanno conquistarselo con la forza opposta al Male, e se lo acquistano i
violenti. Perché ora sono note le cose da farsi e tutto è dato per questa conquista. Non è più il tempo
che parlavano solo la Legge ed i Profeti. Questi hanno parlato sino a Giovanni. Ora parla la Parola
di Dio e non nasconde un iota di quanto è da sapersi per questa conquista. Se credete in Me, dovete
perciò vedere Giovanni come quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi da intendere, intenda. Ma a
chi paragonerò questa generazione? È simile a quella che descrivono quei ragazzi, che seduti sulla
piazza gridano ai loro compagni: “Abbiamo suonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e
non avete pianto”. Difatti è venuto Giovanni che non mangia e non beve, e questa generazione dice:
“Può fare così perché ha il demonio che lo aiuta”. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e
dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori”. Così alla Sapienza viene
resa giustizia dai suoi figli! 13In verità vi dico che solo i pargoli sanno riconoscere la verità, perché
in essi non è malizia».
«Bene hai detto, Maestro» dice il sinagogo. «Ecco perché mia figlia, ancor senza malizia, ti vede
quale noi non giungiamo a vederti. Eppure questa città e quelle vicine traboccano della tua potenza,
sapienza e bontà e, devo confessarlo, non procedono che in cattiveria verso di Te. Non si
ravvedono. E il bene, che Tu dai loro, fermenta in odio verso di Te».
«Come parli, Giairo? Tu ci calunni! Noi siamo qui perché fedeli al Cristo» dice uno di Betsaida.
«Sì. Noi. Ma quanti siamo? Meno di cento su tre città che dovrebbero essere ai piedi di Gesù. Fra
quelli che mancano, e parlo degli uomini, la metà è nemica, un quarto indifferente, l’altra voglio
mettere non possa venire. Non è questo colpa agli occhi di Dio? E non sarà punito tutto questo
livore e questa pertinacia nel male? Parla Tu, Maestro che sai, e che se taci è per la tua bontà, non
già perché Tu ignori. Longanime sei, e ciò è preso per ignoranza e debolezza. Parla dunque e possa
il tuo parlare scuotere almeno gli indifferenti, posto che i malvagi non si convertono ma sempre più
malvagi divengono».
«Sì. È colpa e sarà punita. Perché il dono di Dio non va mai sprezzato o usato per fare del male.
Guai a te, Corozim, guai a te, Betsaida, che fate mal’uso dei dono di Dio. Se in Tiro e in Sidone
fossero già avvenuti i miracoli avvenuti in mezzo a voi, già da gran tempo, vestiti di cilizio e aspersi
di cenere, avrebbero fatto penitenza e sarebbero venuti a Me. E perciò vi dico che a Tiro e a Sidone
sarà usata maggiore clemenza che a voi nel giorno del Giudizio. E tu, Cafarnao, credi che per
avermi ospitato soltanto sarai esaltata fino al Cielo? Tu scenderai fino all’inferno. Perché se in
Sodoma fossero stati fatti i miracoli che Io ti ho dati, essa ancora sarebbe fiorente, perché in Me
avrebbe creduto e si sarebbe convertita. Perciò sarà usata maggior clemenza a Sodoma nell’ultimo
Giudizio, perché essa non ha conosciuto il Salvatore e la sua Parola, e perciò è meno grande la sua
colpa di quanto non ne verrà usata a te, che hai conosciuto il Messia e udita la sua parola e non ti sei
ravveduta. Però, siccome Dio è giusto, a quelli di Cafarnao, Betsaida e Corozim che hanno creduto
e che si santificano ubbidendo alla mia parola, sarà usata misericordia grande. Perché non è giusto
che i giusti siano coinvolti nella rovina dei peccatori. 14Riguardo a tua figlia, Giairo, e alla tua,
Simone, e al tuo bambino, Zaccaria, ai tuoi nipoti, Beniamino, Io vi dico che essi, essendo senza
malizia, già vedono Dio. E voi lo vedete come la loro fede è pura e operosa in essi, unita a sapienza
celeste, a aneliti di carità quali gli adulti non hanno».
E Gesù, alzando li occhi al cielo che incupisce nella sera, esclama: «Io ti ringrazio, o Padre, Signore
del Cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai
piccoli. Così, o Padre, perché così ti è piaciuto. Tutto è stato affidato a me dal Padre mio, e nessuno
lo conosce tranne il Figlio e coloro ai quali il Figlio avrà voluto rivelarlo. Ed Io l’ho rivelato ai
piccoli, agli umili, ai puri, perché Dio si comunica ad essi, e la verità scende come seme nei terreni
liberi, e su essa il Padre fa piovere le sue luci perché getti radice e faccia pianta. Anzi, che in verità
il Padre prepara questi spiriti di pargoli per età o pargoli di volere, perché essi conoscano la Verità
ed Io abbia gioia dalla loro fede»…
267. Gesù falegname a Corozim.
31 agosto 1945.
1Gesù lavora di gusto in una officina da falegname. Sta completando una ruota. Un bambino
gracilino e triste lo aiuta porgendogli questo o quello. Mannaen, testimone inutile ma ammiratore,
sta seduto su un pancone presso il muro.
Gesù si è levata la bella veste di lino e ne ha indossata una scura, che per essere non sua gli giunge a
metà degli stinchi. Una veste da lavoro, pulita ma rattoppata, forse del falegname morto.
Gesù incoraggia con sorrisi e parole buone il fanciullo, insegnandogli ciò che deve fare per portare
la colla al punto giusto, per tirare a pulimento le pareti del cofano.
«Hai fatto presto a finirlo, Maestro» dice Mannaen alzandosi e andando a passare un dito sulle
modanature del cofano ultimato, che il bambino lucida con un liquido.
«Era quasi ultimato!…».
«Vorrei averlo io questo tuo lavoro. Ma è già venuto il compratore, che pare abbia dei diritti… Lo
hai deluso. Sperava di potere prendere tutto per rifarsi dei pochi denari prestati. Invece si prende i
suoi oggetti e basta. Fosse almeno uno che ti crede… Avrebbero un valore infinito per lui. Ma hai
sentito?…».
«Lascialo fare. 2Del resto qui c’è del legno, e la donna sarà ben felice di usarlo avendone guadagno.
Ordinami un cofano e te lo farò…».
«Davvero, Maestro? Ma intendi lavorare ancora?».
«Finché non c’è più legno. Sono un operaio coscienzioso» dice sorridendo più apertamente.
«Un cofano fatto da Te! Oh! che reliquia! Ma che ci metterò dentro?».
«Tutto quello che vuoi, Mennaen. Non sarà che un cofano».
«Ma Tu lo avrai fatto!».
«Ebbene? Anche il Padre ha fatto l’uomo, ha fatto tutti gli uomini. Eppure che ha messo in sé
l’uomo e che vi mettono gli uomini?».
Gesù parla e lavora, andando qua e là in cerca di ferri necessari, stringendo morse, trivellando,
piallando, tornendo, a seconda del bisogno.
«Il peccato ci abbiamo messo. È vero».
«Tu vedi! E credi pure che l’uomo creato da Dio è molto di più di un cofano fatto da me. Non
confondere mai l’oggetto con l’azione. Di un lavoro mio fattene solo una reliquia per lo spirito».
«Ossia?».
«Ossia dà al tuo spirito l’insegnamento tratto da quanto faccio».
«La tua carità, la tua umiltà, la tua operosità, allora… Queste virtù, non è vero?».
«Sì. E fa similmente tu in avvenire».
«Sì, Maestro. Ma me lo fai il cofano?».
«Te lo faccio. Ma guarda che, posto che tu lo vedi sempre come una reliquia, te lo farò pagare per
tale. Almeno si potrà dire che una volta tanto fui ingordo anche Io di denaro… Ma tu sai per chi è
quel denaro… Per questi orfanelli».
«Chiedimi ciò che vuoi. Te lo darò. Almeno sarà giustificato il mio oziare mentre Tu, Figlio di Dio,
lavori».
3«È detto: “Mangerai il tuo pane bagnato col sudore della tua fronte”».
«Ma questo è detto per l’uomo colpevole. Non per Te!».
«Oh! Un giorno Io sarò il Colpevole e avrò su Me tutti i peccati del mondo. Li porterò via con Me,
nella mia prima dipartita».
«E credi che il mondo non peccherà più?».
«Dovrebbe… Ma peccherà sempre. Per questo, il peso che avrò su Me sarà tale che mi farà
spezzare il cuore. Perché avrò i peccati fatti da Adamo fino a quell’ora e quelli da quell’ora fino alla
fine dei secoli. Tutto Io sconterò per l’uomo».
«E l’uomo non ti capirà e non ti amerà ancora… Credi tu che Corozim si converta per questa
lezione silenziosa e santa che stai dando col tuo lavoro, fatto per soccorrere una famiglia?».
«Non lo farà. Dirà: “Ha preferito lavorare per ingannare il tempo e per tenersi del denaro”. Ma Io
non avevo più denaro. Avevo dato tutto. Do sempre tutto quanto ho, fino all’ultimo spicciolo, e ho
lavorato per dare denaro».
«E per mangiare per Te e Matteo?».
«Dio avrebbe provveduto».
«Ma a noi hai dato da mangiare».
«Già».
«Come hai fatto?».
«Chiedilo al padrone di casa».
«Glielo chiederò certo, appena torniamo a Cafarnao».
Gesù ride pacatamente fra il biondo della barba.
4Un silenzio in cui è solo il rumore di cigolio della morsa stretta intorno a due pezzi di ruota.
Poi Mannaen chiede: «Che conti di fare prima del sabato?».
«Andare a Cafarnao in attesa degli apostoli. È convenuto di riunirci ogni sera di venerdì e stare
insieme per tutto il sabato. Poi darò gli ordini e, se Matteo è guarito, saranno sei le coppie che
vanno evangelizzando. Se no… Vuoi andare con loro?».
«Preferisco stare con Te, Maestro… Mi lasci però darti un consiglio?».
«Dillo. Se è giusto lo accetterò».
«Non rimanere mai tutto solo. Hai molti nemici, Maestro».
«Lo so. Ma credi che gli apostoli farebbero molto, in caso di pericolo?».
«Ti amano, credo».
«Certamente. Ma non servirebbe. I nemici, se di idea di catturarmi, verrebbero in forze molto più
forti di quelle degli apostoli».
«Non importa. Non stare solo».
«Fra due settimane sarò raggiunto da molti discepoli. Li preparo per mandarli essi pure ad
evangelizzare. Non sarò più solo. Sta’ quieto».
Mentre parlano così, molti curiosi di Corozim vengono a sbirciare e poi se ne vanno senza parlare.
«Li stupisce vedere Te al lavoro».
«Sì. Ma non sanno essere umili al punto di dire: “Egli ci ammaestra così”. I migliori che qui avevo
sono coi discepoli, meno un vecchio che è morto. Non importa. La lezione è sempre lezione».
«Che diranno gli apostoli sapendoti operaio?».
«Sono undici, perché Matteo si è già pronunciato. Saranno undici pareri diversi. E per lo più
contrari. Ma mi servirà per ammaestrarli».
«Mi lasci assistere alla lezione?».
«Se tu vuoi rimanere…».
«Ma io sono un discepolo ed essi degli apostoli!».
«Quanto farà bene agli apostoli lo farà anche al discepolo».
«Essi se ne avranno a male di essere richiamati alla giustizia in mia presenza».
«Servirà alla loro umiltà. Resta, resta, Mannaen. Ti tengo volentieri con Me».
«Ed io volentieri rimango».
5Si affaccia la vedova e dice: «Il pasto è pronto, Maestro. Ma Tu troppo lavori…».
«Guadagno il mio pane, donna. E poi… Ecco qui un altro cliente. Vuole un cofano anche lui. E
paga bene. Ti rimarrà vuoto il posto del legname» dice Gesù, levandosi un lacero grembiule che
aveva davanti e avviandosi fuori dalla stanza per lavarsi ad un bacile che la donna gli ha portato
nell’orto.
E lei, con uno degli incerti sorrisi che riaffiorano dopo molto tempo di pianto, dice: «Vuoto il posto
del legname, piena la casa della tua presenza e il cuore di pace. Non ho più paura del domani,
Maestro. E Tu non avere paura che noi ti si possa mai dimenticare».
Entrano in cucina e tutto ha fine.
268.Lezione sulla carità con la parabola dei noccioli.
Il giogo di Gesù è leggero.
1 settembre 1945.
1Gesù con a fianco Mannaen esce dalla casa della vedova dicendo: «La pace a te ed ai tuoi. Dopo il
sabato ci ritroveremo. Addio, piccolo Giuseppe. Domani riposa e giuoca, poi mi aiuterai ancora.
Perché piangi?».
«Ho paura che Tu non torni più…».
«Io dico sempre la verità. Ma tanto ti spiace che Io me ne vada?».
Il bambino accenna di sì col capo.
Gesù lo carezza e dice: «Un giorno passa presto. Domani stai con la mamma e i fratelli. E Io sto coi
miei apostoli e parlo a loro. In questi giorni ho parlato a te per insegnarti a lavorare, adesso vado da
loro per insegnar loro a predicare e a essere buoni. Non ti divertiresti con Me, bambino solo fra tanti
uomini».
«Oh! Mi divertirei perché sarei con Te».
«Ho capito, donna! Tuo figlio fa come molti, e sono i migliori. Non mi vuole lasciare. Ti fidi a
lasciarmelo fino a dopodomani?».
«Oh! Signore! Ma tutti te li darei! Con Te sono sicuri come in Cielo… E questo bambino, che era
quello che stava più di tutti col padre, ha troppo sofferto. Ci si è trovato lui al momento… Vedi?…
Non fa che piangere e languire. Non piangere, figlio mio. Chiedi al Signore se non è vero ciò che
dico. Maestro, io per consolarlo gli dico sempre che il padre non è perduto, ma solo andato lontano
da noi momentaneamente».
«È verità. È proprio come dice tua madre, piccolo Giuseppe».
«Ma finché io non muoio non lo ritrovo. E io sono piccolo. E se divento vecchio come era Isacco,
quanto devo aspettare?».
«Povero bambino! Ma il tempo è veloce!».
«No, Signore. Sono tre settimane che non ho il padre, e mi pare tanto, tanto!… Io non ce la faccio
più senza di lui…» e piange senza rumore ma con profonda pena.
«Lo vedi? Fa sempre così. E specie quando non è occupato in cose che l’assorbono. Il sabato è un
tormento. Io ho paura che mi muoia...».
«No. Ho un altro fanciullo senza padre e senza madre. Era macilento e triste. Ora, presso una buona
donna di Betsaida, e con la certezza di non essere separato di genitori, è rifiorito nella carne e nello
spirito. Così sarà del tuo. E per quello che gli dirò, e perché il tempo è un grande medico, e anche
perché quando ti vedrà più tranquilla per il pane quotidiano, sarà più quieto lui pure. 2Addio,
donna. Il sole cala e devo andare. Vieni, Giuseppe. Saluta la mamma, i fratellini e la vecchia madre,
e poi raggiungimi di corsa».
E Gesù se ne va.
«E ora che dirai agli apostoli?».
«Che ho un vecchio discepolo e uno nuovo».
Camminano per Corozim che si anima di gente.
Un gruppo di uomini ferma Gesù: «Te ne vai? Non resti di sabato?».
«No. Vado a Cafarnao».
«Senza dire una parola in tutta la settimana. Non siamo degni della tua parola?».
«Non vi ho dato per sei giorni la parola migliore?».
«Quando? E a chi?».
«A tutti. Dal banco del falegname. Per dei giorni ho predicato che il prossimo va amato ed aiutato in
tutti i modi, specie dove è fatto di deboli come sono le vedove e gli orfani. Addio, voi di Corozim.
Meditate nel sabato questa mia lezione». E Gesù si avvia di nuovo, lasciando interdetti i cittadini.
Ma il bambino, che lo raggiunge di corsa, fa sì che questi cittadini si risveglino nella loro curiosità e
dicano di nuovo a Gesù, che tornano a fermare: «Porti via il maschio della vedova? Perché?».
«Per insegnargli a credere che Dio è Padre e che in Dio troverà anche il padre perduto. E anche
perché ci sia uno che crede, qui, al posto del vecchio Isacco».
«Con i tuoi discepoli ci sono tre di Corozim».
«Con i miei. Non qui. Questo sarà qui. Addio».
E, tenendo il bambino in mezzo fra Lui e Mannaen, va svelto per la campagna verso Cafarnao,
parlando con Mannaen.
3Giungono a Cafarnao quando gli apostoli sono già arrivati. Seduti sul terrazzo, all’ombra della
pergola, intorno a Matteo, narrano le loro gesta al compagno che non è ancora guarito. Si voltano al
lieve scalpiccio dei sandali sulla scaletta e vedono la testa bionda di Gesù emergere sempre più dal
muretto della terrazza. Corrono a Lui che sorride… e restano di stucco vedendo che dietro a Gesù è
un povero bambino. La presenza di Mannaen, che sale pomposo nella sua veste di lino candido resa ancor più bella dalla cintura preziosa, dal mantello rosso fiamma di lino tinto, così lucido da
parer seta, appena appoggiato alle spalle a fargli quasi strascico dietro le spalle, e dal copricapo di
bisso tenuto da un sottile diadema d’oro, una lamina bulinata che gli taglia a metà la fronte spaziosa
dandogli quasi un’aria da re egizio - trattiene una valanga di domande che gli occhi però esprimono
ben chiare. Ma dopo i saluti reciproci, seduti ormai presso Gesù, gli apostoli chiedono: «E questo?»
accennando al bambino.
«E questo è la mia ultima conquista. Un piccolo Giuseppe, legnaiuolo come il grande Giuseppe che
mi fu padre. Perciò a Me carissimo, come Io carissimo a lui. Non è vero, bambino? Vieni qui, che ti
faccio conoscere questi miei amici dei quali hai tanto sentito parlare. Questo è Simon Pietro, l’uomo
più buono coi bambini che ci sia. E questo è Giovanni, un grande fanciullo che ti parlerà di Dio
anche giocando. E questo è Giacomo suo fratello, serio e buono come un fratello maggiore. E
questo è Andrea, fratello di Simon Pietro: andrai subito d’accordo con lui perché è mite come un
agnello. E poi ecco Simone lo Zelote: questo ama tanto i bambini senza padre che credo girerebbe
tutta la terra, se non fosse con Me, per cercarli. Poi ecco qui Giuda di Simone e con lui Filippo di
Betsaida e Natanaele. Vedi come ti guardano? Hanno bambini anche loro ed amano i bambini. E
questi sono i miei fratelli Giacomo e Giuda. Essi amano tutto ciò che Io amo, perciò ti ameranno.
Ora andiamo noi da Matteo, che spasima per il suo piede eppure non ha rancore per i bambini che,
giocando sventatamente, lo hanno colpito con una selce aguzza. Non è vero, Matteo?».
«Oh! no, Maestro. È figlio della vedova?».
«Sì. È molto bravo, ma è rimasto molto triste».
«Oh! povero bambino! Ti farò chiamare Giacomino e giocherai con lui» e Matteo lo carezza
attirandoselo con una mano vicino.
Gesù termina la presentazione con Tommaso che, pratico, la completa offrendo al bimbo un
grappolo d’uva staccata dalla pergola.
«Ora siete amici» conclude Gesù, sedendo di nuovo mentre il bambino succhia la sua uva
rispondendo a Matteo, che se lo tiene vicino.
4«Ma dove sei stato tutto solo per tutta la settimana?».
«A Corozim, Simone di Giona».
«Questo lo so. Ma che ci hai fatto? Sei stato da Isacco?».
«Isacco l’Adulto è morto».
«E allora?».
«Non te lo ha detto Matteo?».
«No. Ha detto soltanto che eri a Corozim dal giorno dopo la nostra partenza».
«Matteo è più bravo di te. Egli sa tacere, e tu non sai frenare a tua curiosità».
«Non la mia, quella di tutti».
«Ebbene, sono andato a Corozim per predicare la carità in atto».
«La carità in atto? Che vuoi dire?» chiedono in molti.
«A Corozim c’è una vedova con cinque bambini ed una vecchia malata. L’uomo è morto
all’improvviso al banco di lavoro, lasciando dietro di sé miseria e lavori incompiuti. Corozim non
ha saputo trovare un briciolo di pietà per questa famiglia infelice. Io sono andato a finire i lavori
e…».
Avviene un pandemonio. Chi domanda, chi protesta, chi brontola Matteo per averlo permesso, chi
ammira e chi critica. E, purtroppo, chi protesta o critica è la maggioranza.
Gesù lascia che la burrasca si quieti così come si è formata e per tutta risposta dice:
«E ci tornerò dopodomani. E così farò finché ho finito. E voglio sperare che almeno voi
comprendiate. 5Corozim è un nòcciolo serrato e mancante del germe. Siate almeno voi nòccioli col
germe.
Tu, bambino, dàmmi la noce che Simone ti ha dato e ascolta anche tu.
Vedete questa noce? E prendo questa perché non ho altri gusci sotto le mani, ma per capire la
parabola pensate ai nòccioli dei pinoli o delle palme, ai più duri, a quelli delle ulive, per esempio.
Sono astucci serrati, senza fessure, durissimi, di un legno compatto. Sembrano scrigni magici che
solo una violenza può aprire. Eppure, se uno di essi viene gettato nella terra, anche semplicemente a
terra e il passante lo affonda, col passarvi sopra, quel tanto che esso si adagi nel suolo, che avviene?
Che il forziere si apre e fa radici e foglie. Come avviene da sé? Noi dobbiamo battere molto col
martello per riuscirvi e invece, senza colpi, il nòcciolo si apre da sé. È dunque magico quel seme?
No. Ha dentro una polpa. Oh! una cosa debole rispetto al duro guscio! Eppure, essa nutre una
ancora più piccola cosa: il germe. E questo è la leva che sforza, apre, dà pianta con fronde e radici.
Provate a seppellire dei nòccioli e poi attendete. Vedrete che alcuni nascono, altri no. Estraete quelli
che non sono nati. Apriteli col martello e vedrete che sono semivuoti. Non è dunque l’umido del
suolo né il calore quelli che fanno aprire il nòcciolo. Ma è la polpa, e più: l’anima della polpa, il
germe che, gonfiando fa da leva e apre.
6Questa è la parabola. Ma applichiamola a noi.
Che ho fatto che non andasse fatto? Ci siamo ancora capiti così poco da non comprendere che
l’ipocrisia è peccato e che la parola è vento se non è convalidata dall’azione? Che vi ho sempre
detto Io? “Amatevi gli uni con gli altri. L’amore è il precetto e il segreto della gloria”. E Io, che
predico, dovrei essere senza carità? Darvi l’esempio di un maestro menzognero? No, mai!
Oh! amici miei. Il nostro corpo è il nòcciolo duro; nel nòcciolo duro è chiusa la polpa: l’anima; in
essa è il germe che Io ho deposto. Esso è fatto di molti elementi. Ma il principale è la carità. Essa è
che fa da leva per schiudere il nòcciolo e liberare lo spirito dalle costrizioni della materia
ricongiungendolo a Dio, che Carità è.
La carità non si fa solo di parole o di denaro. Si fa la carità con la sola carità. E non vi paia uno
scherzo di parole. Io non avevo denaro, e le parole non bastavano per questo caso. Qui vi erano
sette persone sulle soglie della fame e dell’angoscia. La disperazione avanzava le sue branche nere
per ghermire ed affogare. Il mondo si ritirava duro ed egoista davanti a questa sventura. Il mondo
mostrava di non avere capito il Maestro nelle sue parole. Il Maestro ha evangelizzato con le opere.
Io avevo capacità e libertà di farlo. E avevo il dovere di amare per tutto il mondo questi meschini
che il mondo disama. Io ho fatto tutto questo.
Potete criticarmi ancora? O devo essere Io che - alla presenza di un discepolo che non si è
scandalizzato di portare la sua persona fra la segatura e i trucioli per non abbandonare il Maestro e
che, ne sono convinto, si sarà fatto più persuaso di Me vedendomi curvo sul legno di quanto non
sarebbe stato persuaso vedendomi in trino, e di un bambino che a sentito Me per quello che sono,
nonostante la sua ignoranza, la sventura che l’ottunde, e la sua assoluta verginità di conoscenza col
Messia quale esso è in realtà - o devo essere Io che vi critico? Non parlate? Non vi mortificate
soltanto, mentre Io alzo la voce a raddrizzare idee errate. E per amore lo faccio. Ma mettete in voi il
germe che santifica e apre il nòcciolo. O sarete sempre degli esseri inutili.
Quello che Io ho fatto, voi dovete essere pronti a fare. Per amore del prossimo, per portare a Dio
un’anima, nessun lavoro vi deve pesare. Il lavoro, quale esso sia, non mai umiliante. Mentre
umilianti sono le azioni basse, le falsità, le denunce bugiarde, le durezze, i soprusi, gli strozzinaggi,
le calunnie, le lussurie. Queste mortificano l’uomo. Eppure si fanno senza vergognarsene, anche da
parte di quelli che vogliono dirsi perfetti e che certo si sono scandalizzati di vedermi lavorare di
sega e di martello.
Oh! Oh! Il martello! L’indegno martello, se è per mettere chiodi in un legno a formare un oggetto
atto a dar da mangiare a degli orfanelli, come diverrà nobile! Il martello, ignobile se nelle mie mani
e per fine santo, come non apparirà più tale, e come lo vorranno avere tutti quelli che ora si
darebbero a gridare il loro scandalo per esso! Oh! uomo, creatura che dovresti essere luce e verità,
come sei tenebra e menzogna!
Ma voi, voi almeno, comprendete cosa è il bene! Cosa è la carità. Cosa è l’ubbidienza. In verità vi
dico che molti sono i farisei. E che non sono assenti fra quelli che mi circondano».
«No, Maestro. Non lo dire! Noi… è perché ti amiamo che non vogliamo certe cose!…».
«È perché non avete ancora capito nulla. 7Vi ho parlato della fede e della speranza, e credevo che
non necessitasse parola novella per parlarvi della carità, perché Io tanto l’emano che dovreste
esserne saturi. Ma vedo che la conoscete solo di nome, senza saperne la natura e la forma. Così
come conoscete la luna.
Vi ricordate quando ho detto che la speranza è come il braccio trasverso del dolce giogo che
sorregge la fede e la carità, ed è il patibolo dell’umanità e il trono della salvezza? Si? Ma non avete
compreso le mie parole nel loro significato. E perché non me ne avete chiesto la spiegazione? Ve la
do Io. È giogo perché obbliga l’uomo a tenere bassa la sua superbia stolta sotto il peso delle verità
eterne. Ed è patibolo di questa superbia. L’uomo che spera in Dio suo Signore, di necessità umilia il
suo orgoglio, che vorrebbe proclamarsi “dio”, e riconosce che egli è nulla e Dio è tutto, che egli può
nulla e Dio può tutto, che egli-uomo è polvere che passa e Dio è eternità che eleva la polvere a
superiore grado, dandogli premio di eternità. L’uomo si inchioda alla sua croce santa per
raggiungere la Vita. E ve lo configgono le fiamme della fede, della carità, ma lo alza verso il Cielo
la speranza che è fra questa e quella. Però, ritenete la lezione: se manca la carità, il trono è senza
luce, e il corpo, schiodato da un lato, pende verso il fango, non vedendo più il Cielo. Annulla così
gli effetti salutari della speranza, e finisce col rendere sterile anche la fede perché, staccati da due
delle tre teologali virtù, si cade in languore e in gelo mortale.
Non rifiutate Dio neppure nelle minime cose. Ed è rifiutare Iddio respingere un aiuto al prossimo
per orgoglio pagano.
8La mia dottrina è un giogo che piega l’umanità colpevole ed è un maglio che rompe la scorza dura
per liberarne lo spirito. È un giogo ed è un maglio, sì. Ma pure chi la accetta non sente la stanchezza
che dànno tutte le altre dottrine umane e tutte le altre cose umane. Ma pure chi se ne fa colpire non
sente il dolore di essere frantumato nell’io umano, ma prova un senso di liberazione. Perché cercate
di liberarvene per sostituirla da tutto ciò che è piombo e dolore?
Voi tutti avete i vostri dolori e le vostre fatiche. Tutta l’umanità ha dolori e fatiche, superiori alle
forze umane talora. Dal bambino come questo, che già porta sulle piccole spalle un grande peso che
lo fa piegare e che leva il sorriso del fanciullo alle sue labbra e la spensieratezza alla sua mente che,
sempre umanamente parlando, non sarà perciò mai più stata fanciulla, al vecchio che piega alla
tomba con tutti i disinganni e le fatiche, e i pesi, e le ferite della sua lunga vita. Ma nella mia
dottrina e nella mia fede è il sollievo da questi pesi accascianti. Perciò è detta la “Buona Novella”. E
chi l’accetta e l’ubbidisce sarà beato dalla terra, perché avrà Dio a suo sollievo e le virtù a rendergli
facile e luminoso il cammino, quasi fossero buone sorelle che, tenendolo per mano, con le lampade
accese ne rischiarano la via e la vita e gli cantano le eterne promesse di Dio, fino a quando,
piegando in pace il corpo stanco sulla terra, si risveglia in Paradiso.
Perché volete, o uomini, essere affaticati, desolati, stanchi, disgustati, disperati, quando potete
essere sollevati e confortati? Perché anche voi, miei apostoli, volete sentire la stanchezza della
missione, la sua difficoltà, la sua severità, mentre avendo la fiducia di un bambino potete solo avere
ilare solerzia, luminosa facilità a compierla e comprendere e sentire che essa è severa solo agli
impenitenti che non conoscono Dio, ma per i fedeli suoi è come mamma che sorregge sul cammino,
indicando ai piedi incerti del pargolo i sassi e i pruni, i nidi di serpi ed i fossati, perché egli li
conosca e non vi pericoli?
9Voi ora siete desolati. La vostra desolazione ha avuto un inizio ben miserabile! Voi siete desolati
prima della mia umiltà come di un delitto contro Me stesso. Ora siete desolati perché avete capito di
avermi addolorato e di essere così lontani ancora dalla perfezione. Ma in pochi questa seconda
desolazione è priva di superbia. Della superbia ferita dalla constatazione di essere ancora nulla,
mentre per orgoglio vorreste essere perfetti. Abbiate solo l’umiltà volenterosa di accettare il
rimprovero e di confessare che avete sbagliato, promettendo in cuor vostro di volere la perfezione
per un fine sopraumano. E poi venite a Me. Io vi correggo, ma vi comprendo e compatisco.
Venite a Me, voi apostoli, e venite a Me voi tutti, uomini che soffrite per dolori materiali, per dolori
morali, per dolori spirituali. Questi ultimi dati dal dolore di non sapervi santificare come vorreste
per amore di Dio e con sollecitudine e senza ritorni al Male. La via della santificazione è lunga e
misteriosa e talora si compie all’insaputa del camminatore, che procede fra le tenebre, col sapore
del tossico in bocca, e crede di non procedere e di non bere liquido celeste, e non sa che anche
questa cecità spirituale è un elemento di perfezione.
Beati quelli, tre volte beati quelli che continuano a procedere senza godimenti di luce e di dolcezze
e non si arrendono perché nulla vedono e sentono, e non si fermano dicendo: “Finché Dio non mi dà
delizie io non procedo”. Io ve lo dico: la strada più oscura diverrà luminosissima d’improvviso
aprendosi su paesaggi celesti. Il tossico, dopo aver levato ogni gusto per le cose umane, si muterà in
dolcezza di Paradiso per questi coraggiosi che stupiti diranno: “Come ciò? Perché a me tanta
dolcezza e letizia?” Perché avranno perseverato e Dio li farà esultanti dalla terra di ciò che è il
Cielo.
Ma intanto, per resistere, venite a Me voi tutti che siete affaticati e stanchi, voi apostoli e, con voi,
tutti gli uomini che cercano Dio, che piangono per causa del dolore della terra, che si sfiniscono da
soli, ed Io vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo. Non è un peso. È un sostegno. Abbracciate la
mia dottrina come fosse una amata sposa. Imitate il Maestro vostro che non si limita a bandirla ma
fa ciò che insegna. Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore. Troverete il riposo delle vostre
anime, perché mitezza ed umiltà concedono il regno sulla terra e nei Cieli. Già ve l’ho detto che i
trionfatori veri fra gli uomini sono coloro che li conquistano con l’amore, e l’amore è sempre mite e
umile. Io non vi darei mai da fare delle cose superiori alle vostre forze, perché vi amo e vi voglio
con Me nel mio Regno. Prendete dunque la mia insegna e la mia assisa, e sforzatevi ad essere simili
a Me e quali la mia dottrina insegna. Non abbiate paura, perché il mio giogo è dolce e il suo peso è
leggero, mentre infinitamente potente è la gloria di cui godrete se a Me fedeli. Infinita ed eterna…
10Vi lascio per qualche tempo. Vado col bambino presso il lago. Troverà degli amici… Poi
spezzeremo il pane insieme. Vieni, Giuseppe. Ti farò conoscere i piccoli che mi amano».
269.La disputa con scribi e farisei a Cafarnao.
L’arrivo della Madre e dei fratelli.
2 settembre 1945.
1La stessa scena della passata visione. Gesù si accomiata dalla vedova, tenendo però già per mano il
piccolo Giuseppe, e dice alla donna: «Non verrà nessuno prima del mio ritorno, a meno che non sia
un gentile. Ma chiunque venga trattienilo fino a dopo domani dicendo che verrò senza fallo».
«Lo dirò, Maestro. E se vi saranno malati li ospiterò come Tu mi hai insegnato».
«Addio, allora, e la pace sia con voi. Vieni, Mannaen».
Da questo breve spunto comprendo che malati e infelici in genere lo hanno raggiunto a Corozim e
che all’evangelizzazione del lavoro Gesù ha unito quella del miracolo. E se Corozim resta sempre
indifferente è proprio segno che è terreno selvaggio e incoltivabile. Pure Gesù la traversa, salutando
quelli che lo salutano, come nulla fosse, e poi riprendendo a parlare con Mannaen, che è incerto se
ripartire per Macheronte o rimanere ancora una settimana…
2…Nella casa di Cafarnao intanto si preparano al sabato. Matteo, un poco zoppicante, riceve i
compagni, li soccorre di acqua e di frutta fresche, chiedendo delle loro missioni.
Pietro arriccia il naso vedendo che già dei farisei bighellonano presso la casa: «Hanno voglia di
avvelenarci il sabato. Quasi direi di andare incontro al Maestro e dirgli di andare a Betsaida
lasciando costoro delusi».
«E credi che il Maestro, lo farebbe?» chiede suo fratello.
«E poi c’è nella stanza bassa quel povero infelice che aspetta» osserva Matteo.
«Si potrebbe portarlo con la barca a Betsaida, e io, o qualche altro, andare incontro al Maestro» dice
Pietro.
«Quasi quasi…» dice Filippo che, avendo famiglia a Betsaida, ci andrebbe volentieri.
«Molto più che, vedete, vedete! Oggi la guardia è rinforzata con degli scribi. Andiamo senza
perdere tempo. Voi, col malato, passate dall’orto, e via per il dietro della casa. Io porto la barca al
“pozzo del fico” e Giacomo fa la stessa cosa. Simone Zelote e i fratelli di Gesù vanno incontro al
Maestro».
«Io non vado via con l’indemoniato» proclama l’Iscariota.
«Perché? Hai paura che ti si attacchi il demonio?».
«Non m inquietare, Simone di Giona. Ho detto che io non vado e non vado».
«Va’ coi cugini incontro a Gesù».
«No».
«Auf! Vieni in barca!».
«No».
«Ma insomma che vuoi? Sei sempre quello degli ostacoli…».
«Voglio rimanere dove sono: qui. Non ho paura di nessuno e non scappo. E del resto il Maestro non
vi sarebbe grato della trovata. E sarebbe un’altra predica di rimprovero, e io non voglio averla per
colpa vostra. Voi andate. Io resterò a riferire…».
«No proprio! O tutti o nessuno!» urla Pietro.
«Allora nessuno, perché il Maestro è qui. Eccolo che si avanza» dice serio lo Zelote che guardava
sulla via.
Pietro, malcontento, borbotta fra la barba. Ma va incontro a Gesù con gli altri. 3Dopo i primi saluti
gli dicono di un indemoniato, cieco e muto, che attende coi parenti la sua venuta da molte ore.
Matteo spiega: «È come inerte. Si è gettato su dei sacchi vuoti e non si è più mosso. I parenti
sperano in Te. Vieni a ristorarti e poi lo soccorrerai».
«No. Vado subito da lui. Dove è?».
«Nella stanza bassa presso al forno. L’ho messo lì con i parenti perché ci sono molti farisei, a anche
scribi, che sembrano in agguato…».
«Sì, e sarebbe meglio non farli contenti» brontola Pietro.
«Giuda di Simone non c’è?» chiede Gesù.
«È rimasto in casa. Lui deve fare ciò che gli altri non fanno» brontola ancora Pietro.
Gesù lo guarda ma non lo rimprovera. Si affretta alla casa affidando il bambino proprio a Pietro,
che se lo carezza tirando subito fuori dall’alta cintura un fischietto dicendo: «Uno a te e uno a mio
figlio. Domani sera ti ci porto a vederlo. Me li sono fatti fare da un pastore al quale ho parlato di
Gesù».
Gesù entra in casa, saluta Giuda che sembra tutto occupato ad ordinare le stoviglie, e poi tira dritto
fino ad una specie di dispensa bassa e scura che è addossata al forno.
«Fate uscire il malato» ordina Gesù.
Un fariseo che non è di Cafarnao, ma che ha una mùtria peggiore ancora a quelle dei farisei locali,
dice: «Non è un malato. È un indemoniato».
«È sempre una malattia dello spirito…».
«Ma lui ha legati gli occhi e la favella…».
«È sempre una malattia dello spirito, che estende alle membra e agli organi, la possessione. Se mi
avessi lasciato terminare avresti saputo che volevo dire questo. Anche la febbre è nel sangue quando
si è malati, ma dal sangue attacca poi questa o quella parte del corpo».
Il fariseo non sa che ribattere e tace.
4L’indemoniato è stato condotto di fronte a Gesù. Inerte. Ha detto bene Matteo. Molto impedito dal
demonio.
La gente intanto si affolla. È incredibile come, specie nelle ore, dirò così, di svago, facesse presto
un tempo ad accorrere gente dove c’era da vedere qualche cosa. Vi sono ora i notabili di Cafarnao,
fra i quali i quattro farisei, vi è Giairo, e in un angolo, con la scusa di sorvegliare l’ordine, vi è il
centurione romano, e con lui cittadini di altre città.
«In nome di Dio, lascia le pupille e la lingua di costui! Lo voglio! Libera di te questa creatura! Non
ti è più lecito tenerla. Via!» grida Gesù tendendo le mani nel comando.
Il miracolo si inizia con un urlo di rabbia del demonio e finisce con un urlo di gioia del liberato che
grida: «Figlio di Davide! Figlio di Davide! Santo e Re!».
5«Come fa costui a sapere chi è colui che lo ha guarito?» chiede uno scriba.
«Ma è tutta una commedia! Questa gente è pagata per fare ciò!» dice alzando le spalle un fariseo.
«Ma da chi, se è lecito chiedervelo?» interroga Giairo.
«Anche da te».
«E a che scopo?».
«Per rendere celebre Cafarnao».
«Non umiliare la tua intelligenza dicendo stoltezze e la tua lingua sporcandola di menzogne. Tu sai
che ciò non è vero, e dovresti capire che dici una stoltezza. Ciò che qui avviene è avvenuto in molte
parti d’Israele. Allora dovunque vi sarà chi paga? In verità io non sapevo che in Israele la plebe
fosse molto ricca! Perché voi, e con voi i grandi tutti, non pagate certo per questo. Allora paga la
plebe, che è l’unica che ami il Maestro».
«Tu sei sinagogo e lo ami. Là è Mannaen. E a Betania è Lazzaro di Teofilo. Questi non sono
plebe».
«Ma sono essi, e sono io, onesti. E non truffiamo nessuno, in niente. E tanto meno nelle cose di
fede. Non ce lo permettiamo noi, temendo Dio e avendo capito ciò che a Dio piace: l’onestà».
I farisei voltano le spalle a Giairo e attaccano i parenti del guarito: «Chi vi ha detto di venire qui?».
«Chi? Molti. Già guariti o parenti di guariti».
«Ma che vi hanno dato?».
«Dato? Le assicurazioni che Egli ce lo avrebbe guarito».
«Ma era proprio malato?».
«Oh! Menti subdole! Credete che sia finto tutto ciò? Andate a Gadara e chiedete, se non credete,
della sventura della famiglia di Anna di Ismaele».
La gente di Cafarnao, sdegnata, tumultua, mentre dei galilei, venuti da presso Nazaret, dicono:
«Eppure costui è figlio di Giuseppe legnaiuolo!».
I cittadini di Cafarnao, fedeli a Gesù, urlano: «No. È quello che Lui dice e che il guarito ha detto:
“Figlio di Dio e figlio di Davide”».
«Ma non aumentate l’esaltazione del popolo con le vostre asserzioni!» dice sprezzante uno scriba.
«E che è allora, secondo voi?».
«Un Belzebù!».
«Uh! Lingue di vipere! Bestemmiatori! Posseduti voi! Ciechi di cuore! Rovina nostra. Anche la
gioia del Messia vorreste levarci, eh!? Strozzini! Selci aride!» Un bel baccano!
Gesù, che si era ritirato in cucina per bere un poco d’acqua, si affaccia sulla soglia in tempo per
sentire una volta ancora la trita e ritrita e stolta accusa farisaica: «Costui non è che un Belzebù,
perché i demoni lo ubbidiscono. Il grande Belzebù suo padre lo aiuta, ed Egli caccia i demoni non
con altro che con l’opera di Belzebù principe dei demoni».
6Gesù scende i due piccoli scalini della soglia e viene avanti, diritto, severo e calmo, fermandosi
proprio di fronte al gruppo scribo-farisaico, e fissatili acutamente dice loro:
«Anche sulla terra noi vediamo che un regno diviso in partiti contrari fra di loro diviene debole
all’interno e facile ad essere aggredito e devastato dagli stati vicini che lo rendono suo schiavo.
Anche sulla terra vediamo che una città divisa in parti contrarie non ha più benessere, e così lo è di
una famiglia i cui componenti siano divisi dall’astio fra di loro. Essa si sgretola, diviene un inutile
sbocconcellamento che non serve a nessuno e che fa ridere i concittadini. La concordia, oltre che
dovere, è furbizia. Perché mantiene indipendenti, forti e amorosi. Questo dovrebbero riflettere i
patriotti, i cittadini, i familiari, quando per l’uzzolo di un utile singolo vengono tentati a separazioni
e a sopraffazioni che sono sempre pericolose, essendo alterne nei partiti, essendo distruttrici negli
affetti. E questa furbizia infatti esercitano coloro che sono i padroni del mondo. Osservate Roma
nella sua innegabile potenza, a noi tanto penosa. Domina il mondo. Ma è unita in un unico parere, in
una sola volontà: “dominare”. Anche fra di loro ci saranno certo contrasti, antipatie, ribellioni. Ma
questo sta nel fondo. Alla superficie è un blocco solo, senza incrinature, senza turbamenti. Vogliono
tutti la stessa cosa e riescono perché vogliono. E riusciranno finché vorranno la stessa cosa.
Guardate questo esempio umano di furbizia coesiva e pensate: se questi figli del secolo sono così,
cosa non sarà Satana? Essi sono per noi dei satana. Ma la loro satanicità pagana è nulla rispetto alla
satanicità perfetta di Satana e dei suoi demoni. Là, in quel regno eterno, senza secolo, senza fine,
senza limite di astuzia e di cattiveria, là dove si gode di nuocere a Dio e agli uomini - ed è loro
respiro il nuocere, loro doloroso godimento, unico, atroce - con perfezione maledetta, si è raggiunta
la fusione degli spiriti, uniti in un solo volere: “nuocere”. Ora se, come voi volete sostenere per
insinuare dubbi sul mio potere, Satana è colui che mi aiuta perché Io sono un Belzebù minore, non
avviene che Satana è in discordia con se stesso e coi suoi demoni, se caccia questi dai suoi possessi?
E se in discordia è, potrà mai durare il suo regno? No, che ciò non è. Satana è furbissimo e non si
nuoce. Egli mira ad estendere non a ridurre il suo regno nei cuori. La sua vita è “rubare – nuocere –
mentire – offendere – turbare”. Rubare anime a Dio e pace agli uomini. Nuocere alle creature del
Padre dando dolore allo stesso. Mentire per traviare. Offendere per godere. Turbare perché egli è il
Disordine. E non può mutare. È eterno nel suo essere e nei suoi metodi.
7Ma rispondete a questa domanda: se Io caccio i demoni in nome di Belzebù, in nome di chi li
cacciano i vostri figli? Vorrete confessare allora che essi pure sono Belzebù? Ora, se voi lo dite, essi
vi giudicheranno calunniatori. E se la loro santità sarà tale da non reagire all’accusa, vi giudicherete
da voi stessi confessando che credete di avere molti demoni in Israele, e vi giudicherà Iddio in nome
dei figli d’Israele accusati di essere demoni. Perciò, da qual che venga il giudizio, essi in fondo
saranno i vostri giudici, là dove il giudizio non è subornato da pressioni umane.
Se poi, come è verità, Io caccio i demoni per lo Spirito di Dio, è dunque prova che è giunto a voi il
Regno di Dio e il Re di questo Regno. Il quale Re ha un potere tale che nessuna forza contraria al
suo Regno può resistere. Onde Io lego e costringo gli usurpatori dei figli del mio Regno ad uscire
dai luoghi occupati ed a restituirmi la preda perché Io ne prenda possesso. Non fa forse così uno che
voglia entrare in una casa abitata da un forte per levargli i beni, bene o male acquistati? Così fa.
Entra, e lo lega. E dopo averlo fatto può spogliare la casa. Io lego l’angelo tenebroso che si è preso
ciò che è mio, e gli levo il bene che mi ha rubato. E Io solo posso farlo, perché Io solo sono il Forte,
il Padre del secolo futuro, il Principe della pace».
8«Spiegaci cosa vuoi dire dicendo: “Padre del secolo futuro”. Credi Tu di vivere fino al nuovo
secolo e, più stoltamente ancora, pensi di creare il tempo, Tu, povero uomo? Il tempo è di Dio»
chiede uno scriba.
«E tu, scriba, me lo chiedi? Non sai dunque che vi sarà un secolo che avrà inizio ma fine non avrà, e
che sarà il mio? In esso Io trionferò radunando intorno a Me coloro che sono figli di esso, ed essi
vivranno eterni come quel secolo che Io avrò creato, e già lo sto creando mettendo lo spirito in
valore, sulla carne e sul mondo e sugli inferi che Io scaccio perché tutto Io posso. Per questo vi dico
che chi non è con Me è contro di Me, e chi con Me non raccoglie disperde. Perché Io sono Colui
che sono. E chi non crede questo, già profetizzato, pecca contro lo Spirito Santo, la cui parola fu
detta dai Profeti e non è menzogna né errore, e va creduta senza resistenza.
Perché Io ve lo dico: tutto sarà perdonato agli uomini, ogni loro peccato e bestemmia. Perché Dio sa
che l’uomo non è solo spirito ma è carne, e carne tentata che soggiace ad improvvise debolezze. Ma
la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata. Chi avrà parlato contro il Figlio dell’uomo
sarà ancora perdonato, perché la pesantezza della carne, che avvolge la mia Persona e avvolge
l’uomo che contro Me parla, può ancora trarre in errore. Ma chi avrà parlato contro lo Spirito Santo
non sarà perdonato né in questa né nella vita futura, perché la Verità è quella che è: netta, santa,
innegabile, ed espressa allo spirito e in maniera che non induce ad errore. Altro che in coloro che
volutamente vogliono l’errore. Negare la Verità detta dallo Spirito Santo è negare la Parola di Dio e
l’Amore che quella parola ha dato per amore degli uomini. E il peccato contro l’Amore non è
perdonato.
9Ma ognuno dà i frutti della sua pianta. Voi date i vostri, e frutti buoni non sono. Se voi date un
albero buono perché sia messo nel verziere, esso darà buoni frutti; ma se date un albero cattivo,
cattivo sarà il frutto che da esso sarà colto, e tutti diranno: “Questo albero non è buono”. Perché è
dal frutto che si conosce l’albero. E voi credete di poter parlare bene, voi che siete cattivi? Perché la
bocca parla di ciò che gli riempie il cuore. È dalla sovrabbondanza di ciò che abbiamo in noi che
noi traiamo i nostri atti e i nostri discorsi. L’uomo buono trae dal suo buon tesoro cose buone; il
malvagio dal suo cattivo tesoro leva le male cose. E parla e agisce secondo il suo intimo.
E in verità vi dico che l’ozio è colpa. Ma meglio è oziare che fare opere malvagie. E anche vi dico
che è meglio tacere che parlare oziosamente e malvagiamente. Anche se il tacere è ozio, fatelo
piuttosto che peccare con la lingua. Io vi assicuro che di ogni parola detta oziosamente agli uomini
sarà chiesta la giustificazione nel giorno del Giudizio, e che per le parole dette saranno gli uomini
giustificati, e dalle parole stesse saranno condannati. Attenti, perciò, voi che tante ne dite di più che
oziose, perché sono non solo oziose ma operanti nel male e allo scopo di allontanare i cuori dalla
Verità che vi parla».
10I farisei si consultano con gli scribi e poi tutti insieme, fingendo cortesia, chiedono: «Maestro, si
crede meglio a quello che si vede. Dàcci dunque un segno perché noi si possa credere che Tu sei ciò
che dici d’essere».
«Vedete che in voi è il peccato contro lo Spirito Santo, che per il Verbo incarnato mi ha indicato più
volte? Verbo e Salvatore, venuto nel tempo segnato, preceduto e seguito dai segni profetizzati,
operante ciò che lo Spirito dice».
Essi rispondono: «Allo Spirito crediamo, ma come possiamo credere a Te se non vediamo un segno
coi nostri occhi?».
«Come potete credere allo Spirito le cui azioni sono spirituali, se non credete alle mie che sono
sensibili ai vostri occhi? La mia vita ne è piena. Non basta ancora? No. Io stesso rispondo che no.
Non basta ancora. A questa generazione adultera e malvagia, che cerca un segno, sarà dato un segno
soltanto: quello del profeta Giona. Infatti, come Giona stette per tre giorni nel ventre della balena,
così il Figlio dell’uomo starà tre giorni nelle viscere della terra. In verità vi dico che i Niniviti
risorgeranno nel giorno del Giudizio come tutti gli uomini e insorgeranno contro questa generazione
e la condanneranno. Perché essi fecero penitenza alla predicazione di Giona e voi no. E qui vi è Uno
che è da più di Giona. E così risorgerà e insorgerà contro di voi la Regina del Mezzogiorno e vi
condannerà, perché essa venne dagli ultimi confini della terra per udire la sapienza di Salomone. E
vi è qui Uno da più di Salomone».
11«Perché dici che questa generazione è adultera e malvagia? Non lo sarà da più delle altre. In essa
vi sono gli stessi santi che vi erano nelle altre. La compagine di Israele non è mutata. Tu ci offendi».
«Voi vi offendete da voi stessi nuocendovi nelle vostre anime, perché le allontanate dalla Verità, e
dalla Salvezza perciò. Ma Io vi rispondo lo stesso. Questa generazione non è santa che nelle vesti e
nell’esterno. Dentro, santa non è. Vi sono in Israele gli stessi nomi per significare le stesse cose. Ma
non c’è la realtà delle cose. Vi sono gli stessi usi, vesti, riti. Ma manca lo spirito di essi. Siete
adulteri perché avete respinto il soprannaturale maritaggio con la Legge divina e avete sposato, in
seconda adultera unione, la legge di Satana. Non siete circoncisi che in un membro caduco. Il cuore
non è più circonciso. E malvagi siete perché vi siete venduti al Maligno. Ho detto».
«Tu troppo ci offendi. Ma perché, se così è, Tu non liberi Israele dal demonio acciò diventi santo?».
«Ha Israele questa volontà? No. L’hanno quei poveri che vengono per essere liberati dal demonio
perché lo sentono in loro come un peso e una vergogna. Voi questo non lo sentite. E inutilmente voi
ne sareste liberati, perché non avendo volontà di esserlo, subito sareste ripresi ed in maniera ancora
più forte. Perché quando uno spirito immondo è uscito da un uomo, vagola per luoghi aridi in cerca
di una riposo e non lo trova. Luoghi aridi non materialmente, notate. Aridi perché gli sono ostili non
accogliendolo, così come la terra arida è ostile al seme. Allora dice: “Tornerò alla casa mia da dove
sono stato cacciato a forza e contro la sua volontà. E certo sono che mi accoglierà e mi darà riposo”.
Infatti torna a colui che era suo, e molte volte lo trova disposto ad accoglierlo, perché in verità ve lo
dico che l’uomo ha più nostalgia di Satana che di Dio, e se Satana non gli opprime le membra per
nessun’altra possessione si lamenta. Va dunque e trova la casa vuota, spazzata, adorna, odorosa di
purezza. Allora va a prendere altri sette demoni perché non vuole più perderla, e con questi sette
spiriti peggiori di lui, entra in essa e vi si stabiliscono tutti. E questo secondo stato, di uno
convertito una volta e che si pervertisce una seconda, è peggiore del primo. Perché il demonio ha la
misura di quanto quell’uomo sia amante di Satana e ingrato a Dio, ed anche perché Dio non ritorna
là dove si calpestano le sue grazie e, già esperti di una possessione, si riaprono le braccia ad una
maggiore. La ricaduta nel satanismo è peggio di una ricaduta in etisia mortale già sanata una volta.
Non è più passibile di miglioramento e guarigione. Così accadrà anche di questa generazione che,
convertita dal Battista, ha rivoluto essere peccatrice perché è amante del Malvagio e non di Me».
12Un brusio, che non è né di approvazione né di protesta, scorre per la folla, che si pigia ormai
tanto numerosa che anche la via ne è stipata, oltre l’orto e la terrazza. Vi è gente a cavalcioni del
muretto, arrampicata sul fico dell’orto e sulle piante degli orti vicini, perché tutti vogliono sentire la
disputa fra Gesù e i suoi nemici. Il brusio, come un’onda che dal largo giunge al lido, arriva di
bocca in bocca fino agli apostoli che più sono vicino a Gesù, ossia Pietro, Giovanni, lo Zelote e i
figli di Alfeo. Perché gli altri sono parte sulla terrazza e parte nella cucina. Meno Giuda Iscariota
che è sulla via, fra la folla.
E Pietro, Giovanni, lo Zelote, i figli d’Alfeo lo raccolgono questo brusio e dicono a Gesù:
«Maestro, c’è tua Madre e i tuoi fratelli. Sono là fuori, sulla via, e ti cercano perché ti vogliono
parlare. Da’ ordine che la folla si allontani perché essi possano venire a Te, perché certo un gran
motivo li ha portati fin qui a cercarti».
Gesù alza il capo e vede in fondo alla gente il viso angosciato di sua Madre che lotta per non
piangere, mentre Giuseppe di Alfeo le parla concitatamente, e vede i segni di diniego di Lei,
ripetuti, energici, nonostante l’insistenza di Giuseppe. Vede anche il viso imbarazzato di Simone,
palesemente addolorato, disgustato… Ma non sorride e non ordina nulla. Lascia l’Afflitta nel suo
dolore e i cugini là dove sono.
Abbassa gli occhi sulla folla e, rispondendo agli apostoli vicini, risponde anche a quelli lontani che
tentano di far valere il sangue più del dovere. «Chi è mia Madre? Chi sono i miei fratelli?». Gira
l’occhio, severo nel volto che impallidisce per questa violenza che si deve fare, per mettere il
dovere al disopra dell’affetto e del sangue e per fare questa sconfessione del suo legame alla Madre
per servire il Padre, e dice, accennando con un largo gesto la folla che si pigia intorno a Lui al lume
rosso delle torce e alla luce argentea della luna quasi piena: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli.
Coloro che fanno la volontà di Dio sono i miei fratelli e sorelle, sono mia madre. Non ne ho altri. E
i miei saranno tali se, per primi e con maggior perfezione di ogni altro, faranno la volontà di Dio
fino al sacrificio totale di ogni altra volontà o voce di sangue e di affetto».
La folla ha un mormorio più forte, come se fosse un mare sconvolto da un subito vento.
Gli scribi iniziano la fuga dicendo: «È un demonio! Rinnega persino il suo sangue!».
I parenti avanzano dicendo: «È un folle! Tortura persino sua Madre!».
Gli apostoli dicono: «In verità che in questa parola c’è tutto l’eroismo!».
La folla dice: «Come ci ama!».
13A fatica Maria con Giuseppe e Simone fendono la folla. Lei tutta dolcezza, Giuseppe tutto furia,
Simone tutto imbarazzo. Giungono presso Gesù.
E Giuseppe lo investe subito: «Sei folle! Offendi tutti. Non rispetti neppure tua Madre. Ma ora sono
qui io e te lo impedirò. È vero che vai come lavorante qua e là? E allora, se vero è, perché non
lavori nella tua bottega, sfamando tua Madre? Perché menti dicendo che il tuo lavoro è la
predicazione, ozioso e ingrato che sei, se poi vai al lavoro prezzolato in casa estranea? Veramente
mi sembri preso da un demonio che ti travia. Rispondi!».
Gesù si volta e prende per mano il bambino Giuseppe, se lo tira vicino e poi lo alza tenendolo per
le ascelle e dice: «Il mio lavoro fu sfamare questo innocente e i suoi parenti e persuaderli che Dio è
buono. È stato predicare a Corozim l’umiltà e la carità. E non a Corozim soltanto. Ma anche a te
Giuseppe, fratello ingiusto. Ma Io ti perdono perché ti so morso da denti di serpe. E perdono anche
a te, Simone incostante. Non ho nulla da perdonare né da farmi perdonare da mia Madre, perché
Ella giudica con giustizia. Il mondo faccia ciò che vuole. Io faccio ciò che Dio vuole. E con la
benedizione del Padre e della Madre mia sono felice più che se tutto il mondo mi acclamasse re
secondo il mondo. Vieni, Madre. Non piangere. Essi non sanno ciò che fanno. Perdonali».
«Oh Figlio mio! Io so. Tu sai. Non c’è altro da dire...».
«Non c’è altro da dire fuorché alla gente, questo: “Andate in pace”».
E Gesù benedice la folla e poi, tenendo con la destra Maria, con la sinistra il bambino, si avvia alla
scaletta e la sale per il primo.
270.La notizia dell’uccisione di Giovanni Battista.
4 settembre 1945.
1Gesù sta guarendo dei malati senz’altra assistenza di quella di Mannaen. Sono nella casa di
Cafarnao, nell’orto ombroso in questa ora mattutina. Mannaen non ha più né cintura preziosa né
lamina d’oro alla fronte. Il vestito è tenuto raccolto da un cordone di lana e il copricapo da una
strisciolina di tela. Gesù è a testa nuda, come sempre quando è in casa.
Finito di guarire e di consolare i malati, Gesù sale con Mannaen nella stanza alta e si siedono
ambedue sul davanzale della finestra che guarda il monte, perché la parte del lago è tutta presa dal
sole che è ancora ben caldo, nonostante che la canicola debba essere superata da qualche tempo.
«Fra poco hanno inizio le vendemmie» dice Mannaen.
«Già. E poi verranno i Tabernacoli… e sarà presto l’inverno. Tu quando conti di partire?».
«Uhm!… Io non partirei mai… Ma penso al Battista. Erode è un debole. Saputo suggestionare in
bene, se non diventa buono, rimane per lo meno… non sanguinario. Ma sono pochi quelli che lo
consigliano bene. E quella donna!… Quella donna!… Ma vorrei stare qui finché non tornano i tuoi
apostoli. Non che io presuma molto di me… ma qualche cosa valgo ancora… benché il mio auge
sia molto diminuito da quando hanno capito che seguo le vie del Bene. Ma non me ne importa.
2Vorrei avere il vero coraggio di sapere abbandonare tutto per seguire Te completamente, come
quei discepoli che Tu aspetti. Ma ci riuscirò mai? Noi che non siamo del popolo siamo più duri a
seguirti. Perché?».
«Perché avete i tentacoli delle povere ricchezze che vi trattengono».
«Veramente so anche di alcuni che non sono propriamente ricchi, ma dotti o sulla via di essere
dotti, ed essi pure non vengono».
«Anche essi hanno i tentacoli delle povere ricchezze che li trattengono. Non si è ricchi solo di
denaro. Vi è anche la ricchezza del sapere. Pochi giungono alla confessione di Salomone: “Vanità
delle vanità, tutto è vanità”, ripresa e ampliata non tanto materialmente quanto in profondità nel
Cioelet. L’hai presente? La scienza umana è vanità, perché aumentare soltanto l’umano sapere “è
affanno e afflizione di spirito, e chi moltiplica la scienza moltiplica gli affanni”. In verità te lo dico
che così è. E anche dico che così non sarebbe se l’umana scienza fosse sostenuta e imbrigliata dalla
soprannaturale sapienza e dal santo amore di Dio. Il piacere è vanità perché il piacere non dura, ma
rapido dilegua dopo aver arso lasciando cenere e vuoto. I beni accumulati con svariate industrie
sono vanità per l’uomo che nuore, perché ad altri li lascia e coi beni non può respingere la morte. La
donna, contemplata come femmina e come tale appetita, è vanità. Onde si conclude che l’unica cosa
che vanità non sia è la santa temenza di Dio e l’ubbidienza ai suoi comandi, ossia la sapienza
dell’uomo, che non è solo carne ma possiede la seconda natura: quella spirituale. Chi sa così
concludere e volere, sa staccarsi da ogni tentacolo di povero possesso e andare libero incontro al
Sole».
«Mi voglio ricordare queste parole. Quanto mi hai dato in questi giorni! Ora posso andare alla
bruttura della Corte, che pare luminosa solo agli stolti, che pare potente e libera, e non è che
miseria, carcere e tenebra, e andarvi con un tesoro che mi permetterà di vivervi meglio in attesa del
meglio. Ma vi giungerò mai io a questo meglio, che è l’essere tuo totalmente?».
«Vi giungerai».
«Quando? L’anno prossimo? O più in là? O quando la vecchiaia mi farà saggio?».
«Vi giungerai raggiungendo maturità di spirito e perfezione di volere nel volgere di poche ore».
Mannaen lo guarda pensoso, indagatore… Ma non chiede altro.
Un silenzio. Poi Gesù dice: «Hai mai avvicinato Lazzaro di Betania?».
«No, Maestro. Posso dire di no. Che se ci fu qualche incontro non può dirsi amicizia. Sai… Io con
Erode, e Erode contro di lui… Perciò…».
«Lazzaro ora ti vedrebbe oltre le cose, in Dio. Devi cercare di avvicinarlo come condiscepolo».
«Lo farò se Tu lo vuoi…».
3Delle voci agitate si sentono nell’orto. Chiedono con ansia: «Il Maestro! Il Maestro! Qui è?».
Risponde la voce cantante della padrona di casa: «Nella stanza alta è. Chi siete? Malati?».
«No. Discepoli di Giovanni e vogliamo Gesù di Nazaret».
Gesù si affaccia dalla finestra dicendo: «La pace sia a voi… Oh! Voi siete? Venite! Venite!».
Sono i tre pastori, Giovanni, Mattia e Simeone. «Oh! Maestro!» dicono alzando il capo e mostrando
un volto addolorato. Neppure la vista di Gesù li rasserena.
Gesù lascia la stanza andando loro incontro sulla terrazza. Mannaen lo segue. Si incontrano proprio
là dove la scaletta sbocca sul terrazzo assolato.
I tre si inginocchiano baciando il suolo. E poi Giovanni per tutti dice: «Ed ora raccoglici, Signore,
perché noi siamo la tua eredità!» e delle lacrime scendono sul volto del discepolo e dei compagni.
Gesù e Mannaen hanno un solo grido: «Giovanni!?».
«È stato ucciso…».
La parola cade come fosse un enorme fragore che copra ogni rumore del mondo. Eppure è stata
detta molto piano. Ma pietrifica chi la dice e chi la sente. E sembra che la terra, per raccoglierla e
per raccapricciarne, sospenda ogni suo rumore, tanto vi è un periodo di silenzio profondo e di
profonda immobilità negli animali, nelle fronde, nell’aria. Sospeso le sgrugolio dei colombi,
troncato il flauto di un merlo, ammutolito il coro dei passeri e, quasi gli si fosse spezzato di colpo
l’ordigno, una cicala frinente tace improvvisamente, mentre si sospende il vento che carezzava
pampini e foglie facendo fruscio di seta e cigolio di pali.
4Gesù diventa di un pallore di avorio mentre gli occhi gli si dilatano invetrandosi di pianto. Apre le
braccia dicendo, e la voce è profonda per lo sforzo di renderla sicura: «Pace al Martire della
giustizia ed al mio Precursore». Poi raccoglie le braccia e lo spirito e certo prega, comunicando con
lo Spirito di Dio e del Battista.
Mannaen non osa un gesto. Al contrario di Gesù, egli è arrossato vivamente ed ha avuto un moto
d’ira. Poi si è irrigidito, e tutto il suo turbamento si rivela dal movimento meccanico della destra,
che cincischia il cordone della veste, e della sinistra che involontariamente cerca il pugnale… e
Mannaen scuote il capo commiserando la sua debolezza di mente che non ricorda di essersi
disarmato per essere “il discepolo del Mite, presso il Mite”.
Gesù riapre le bocca e gli occhi. Il suo viso, il suo sguardo, la sua voce, hanno ripreso la maestà
divina che gli sono abituali. Solo permane una grave mestizia temperata di pace.
«Venite. Mi racconterete. Da oggi siete miei». E li conduce nella stanza chiudendo la porta,
socchiudendole tende, a temperare la luce, a far raccoglimento intorno al dolore e alla bellezza della
morte del Battista, a far separazione fra questa perfezione di vita e il mondo corrotto.
«Parlate» ordina.
Mannaen sembra sempre di pietra. È vicino al gruppo. Ma non dice parola.
5«Fu la sera della festa… Imprevedibile l’evento… Solo due ore prima Erode si era consigliato con
Giovanni, licenziandolo poi con benignità… E poco, poco prima che avvenisse… l’omicidio, il
martirio, il delitto, la glorificazione, aveva mandato un servo con frutta gelate e vini rari al
prigioniero. Giovanni aveva distribuito a noi quelle cose… Lui non ha mai mutato la sua austerità…
Noi soli c’eravamo, perché per merito di Mannaen noi eravamo nel palazzo come servi alle cucine e
alle scuderie. E questa era grazia che ci permetteva di vedere sempre il nostro Giovanni… Eravamo
alle cucine io e Giovanni, mentre Simeone sorvegliava i servi di scuderia perché trattassero con cura
le cavalcature degli ospiti… Il palazzo era pieno di grandi, di capi militari e di signori di Galilea.
Erodiade si era chiusa nelle sue stanze dopo una violenta scena avvenuta al mattino fra lei ed
Erode…».
Mannaen interrompe: «Ma quando era venuta la iena?».
«Due giorni avanti. Inaspettata… Dicendo al monarca che non poteva vivere lontana da lui ed
essere assente nel dì della sua festa. Vipera e maga come sempre, lo aveva reso uno zimbello… Ma
Erode al mattino di quel giorno si era rifiutato, benché già ebbro di vino e di lussuria, di concedere
alla femmina ciò che chiedeva con alte grida… E nessuno pensava fosse la vita di Giovanni!… Era
nelle sue stanze, sdegnosa. Aveva respinto i cibi regali mandati da Erode su vassoi preziosi. Solo
aveva trattenuto un vassoio prezioso colmo di frutta, ricompensando il dono con un’anfora di vino
drogato per Erode… Drogato… Ah! che bastava la sua natura ebbra e viziosa a drogarlo al delitto!
Dai servi di mensa seppimo che dopo la danza delle mime di corte, anzi a metà della stessa, era
irrotta nella sala del convito Salomè, danzando. E le mime, davanti alla fanciulla regale, si erano
ritirate contro le pareti. La danza era perfetta, ci hanno detto. Lubrica e perfetta. Degna degli
ospiti… Erode… Oh! che forse un nuovo gusto di incesto gli fermentava dentro!… Erode, al
termine di questa danza, entusiasta, disse a Salomè: “Bene hai ballato! Io lo giuro che meriti un
premio. Io lo giuro che te lo darò. Io lo giuro che ti darò qualunque cosa che tu mi possa chiedere.
Alla presenza di tutti lo giuro. E parola di re è fedele anche senza giuramenti. Chiedi dunque che
vuoi”. E Salomè, fingendo perplessità, innocenza e modestia, raccogliendosi nei veli, con mossa
pudica dopo tanta impudicizia, disse: “Permettimi, o grande, di riflettere un momento. Mi ritiro e
poi verrò, perché la tua grazia mi ha turbata”… E si ritirò andando dalla madre. Selma mi ha detto
che entrò ridendo, dicendo: “Madre, hai vinto! Dàmmi il vassoio”. Ed Erodiade con un grido di
trionfo ordinò alla schiva di dare alla fanciulla il vassoio trattenuto prima, dicendo: “Va’ e torna con
la testa odiata, e ti vestirò di perle e oro”. E Selma, inorridendo, ubbidì… Salomè rientrò danzando
nella sala, e danzando andò a prostrarsi ai piedi del re dicendo: “Ecco. Su questo bacile che tu hai
mandato alla madre, in segno che l’ami e che mi ami, io voglio la testa di Giovanni. E poi danzerò
ancora, se tanto ti piaccio. Danzerò la danza della vittoria. Perché io ho vinto! Ho vinto te, re! Ho
vinto la vita, e felice sono!”. Questo disse, e a noi lo ripeté un coppiere amico. E Erode si turbò,
preso tra due voglie: esser fedele alla parola, essere giusto. Ma non seppe essere giusto, perché un
ingiusto è. Fece cenno al carnefice, che era dietro al sedile reale, e quello, preso dalle mani alzate di
Salomè il vassoio, scese dalla sala del convito verso le stanze basse. Lo vedemmo traversare la corte
io e Giovanni… e poco dopo udimmo il grido di Simeone: “Assassini!” e poi lo vedemmo ripassare
con la testa sul vassoio… Giovanni, il tuo Precursore, era morto…».
6«Simeone, puoi dirmi come morì?» chiede dopo qualche tempo Gesù.
«Sì. Era in preghiera… Mi aveva detto prima: “Fra poco torneranno i due mandati, e chi non crede
crederà. Ma però ricorda che, se io più non vivessi al loro ritorno, io, come uno che è presso alla
morte, ancor ti dico, perché tu a loro lo ridica: ‘Gesù di Nazaret è il vero Messia’ ”. Pensava sempre
a Te… Entrò il carnefice. Io gridai forte. Giovanni alzò il capo e lo vide. Si alzò in piedi. Disse:
“Non puoi che troncarmi la vita. Ma la verità, che dura, è che non è lecito fare il male”. E stava per
dirmi qualcosa quando il carnefice roteò la spada pesante, mentre ancora Giovanni era il piedi, e la
testa cadde dal busto con un gran fiotto di sangue, che fece rossa la pelle caprina e di cera il volto
magro in cui rimasero vivi, aperti, accusatori, gli occhi. Mi rotolò ai piedi… Io caddi insieme al
corpo di lui, per debolezza di dolore. Dopo… dopo… Dopo che Erodiade l’ebbe sfregiato, fu
gettato il capo ai cani. Ma noi lo raccogliemmo pronti ed in un velo prezioso lo legammo insieme al
tronco, ricomponendo nella notte il corpo e trasportandolo fuori Macheronte. Lo imbalsamammo in
un folto di acacie lì presso, al primo sole, con l’aiuto di altri discepoli… Ma ancora ci fu preso per
altri sfregi. Perché ella non può distruggerlo e non può perdonarlo… E i suoi schiavi, temendo la
morte, furono più feroci di sciacalli nel levarci quel capo. 7Se tu c’eri Mannaen!…».
«Se io c’ero… Ma è la sua maledizione quel capo… Nulla si leva alla gloria del Precursore, anche
se incompleto è il corpo. Non è vero, Maestro?».
«È vero. Anche lo avessero distrutto i cani, non sarebbe mutata la gloria».
«E non è mutata la parola, Maestro. I suoi occhi, benché sfregiati sotto una gran ferita, dicono
ancora: “Non ti è lecito”. Ma noi lo abbiamo perduto!» dice Mattia.
«E ora siamo tuoi, perché così egli ha detto, dicendo anche che Tu sai già».
«Sì. Da mesi siete miei. Come veniste?».
«A piedi, a tappe. Lungo, penoso cammino fra rovente di sabbie e di sole e ancor più rovente di
dolore. Sono quasi venti giorni che camminiamo…»
«Ora riposerete».
Mannaen chiede: «Dite: Erode non si stupì della mia assenza?».
«Sì. E fu inquieto prima e furente poi. Ma passato il furore disse: “Un giudice di meno”. Così ci
riferì il coppiere amico».
Gesù dice: «Un giudice di meno! Ha Dio per giudice e basta quello. Venite dove dormiamo. Siete
stanchi e polverosi. Troverete vesti e sandali dei compagni vostri. Prendeteli, ristoratevi. Ciò che è
di uno è di tutti. Tu, Mattia, che alto sei, puoi prendere una mia veste. Poi provvederemo. Entro
sera, poiché è vigilia del sabato, verranno gli apostoli miei. Nella settimana prossima verrà Isacco
coi discepoli e poi verranno Beniamino e Daniele; dopo i Tabernacoli, Elia, Giuseppe e Levi
verranno pure. È tempo che ai dodici si uniscano altri. Andate ora al riposo».
Mannaen li accompagna e poi torna. 8Gesù resta con Mannaen. Si siede pensieroso, visibilmente
triste, col capo reclinato sulla mano, il gomito puntato sul ginocchio a far da sostegno. Mannaen è
seduto presso la tavola e non si muove. Ma è cupo. Il suo volto è una tempesta.
Dopo molto Gesù alza il capo, lo guarda e chiede: «E tu? Che farai ora?».
«Non lo so ancora…. Lo scopo di rimanere a Macheronte è finito. Ma vorrei ancora rimanere presso
la Corte per sapere… per proteggere Te, sapendo».
«Ti converrebbe meglio seguirmi senza indugio. Ma non ti forzo. Verrai quando sarà disfatto,
molecola a molecola, il vecchio Mannaen».
«Vorrei anche levare quella testa a quella donna. Non è degna di averla…».
Gesù ha un pallido accenno di sorriso e, schietto, dice: «E poi non sei ancora morto alle ricchezze
umane. Ma mi sei caro ugualmente. So che non ti perdo, anche se attendo. Io so attendere…».
«Maestro, io vorrei darti la mia generosità per consolarti... Perché Tu soffri. Lo vedo».
«È vero. Io soffro. Molto! Molto!…».
«Solo per Giovanni? Non credo. Tu lo sai in pace».
«Lo so in pace e non lo sento lontano».
«E allora?».
«E allora!… Mannaen, l’alba che cosa precede?».
«Il giorno, Maestro. Perché lo chiedi?».
«Perché la morte di Giovanni precede il giorno in cui sarò il Redentore. E la parte umana di Me
freme di fronte a questa idea… Mannaen, Io vado sul monte. Resta tu a ricevere chi viene, a
soccorrere quelli che sono già venuti. Resta fino al mio ritorno. Poi… farai ciò che vorrai. Addio».
E Gesù esce dalla stanza. Scende piano la scaletta, traversa l’orto e, per la parte posteriore di esso, si
imbuca in un sentierucolo fra orti scapigliati e frutteti di ulivi, meli, viti e fichi, e prende il pendio di
un piccolo colle dove mi scompare alla vista.
Indice del Volume Quinto
* = in linea
296. L’arrivo ad Aera sotto la pioggia e la guarigione dei malati in attesa.
297. Con il discorso ad Aera termina il secondo grande viaggio apostolico.
298. Il soccorso agli orfanelli Maria a Mattia e gli insegnamenti che ne derivano.
299. L’affidamento degli orfanelli Maria a Mattia a Giovanna di Cusa.
300. Con scribi a farisei in casa del risuscitato di Naim.
301.
302.
303.
304.
305.
306.
307.
Parabola delle fronti detronizzate e spiegazione della parabola sull’impurità.
A Magdala, prima di mandare tutti in famiglia per le Encenie.
Gesù dalla Madre a Nazareth.
Con Giovanni di Endor, Sintica a Marziam. Maria è Madre e Maestra.
Gesù conforta Marziam con la parabola degli uccellini.
Anche Simone Zelote è a Nazareth. Lezione sui danni dell’ozio.
Nella casa di Nazareth si discute delle colpe dei nazareni.
Lezione sulla tendenza al peccato malgrado la Redenzione.
308.
Guarigione del figlio di Simone d’Alfeo.
Marziam è il primo dei bambini discepoli.
309. Sacrificio di Marziam per la guarigione di una bambina.
Ravvedimento di Simone d’Alfeo.
310. Con Pietro, a Nazareth, Gesù organizza la partenza di Giovanni di Endor e Sintica.
311. La rinuncia di Marziam provoca una lezione sui sacrifici fatti per amore.
312. Gesù comunica a Giovanni di Endor la decisione di mandarlo ad Antiochia.
Fine del secondo anno.
TERZO ANNO DELLA VITA PUBBLICA DI GESÙ
313. Preparativi di partenza da Nazareth dopo la visita di Simone d’Alfeo con
terzo anno Gesù sarà il Giusto.
314. La cena nella casa di Nazareth e la dolorosa partenza.
315. Il viaggio verso Jiftael e le riflessioni di Giovanni di Endor.
316. L’addio di Gesù a Giovanni di Endor e a Sintica.
317. La preghiera di Gesù per la salvezza di Giuda Iscariota.
318. In barca da Tolemaide a Tiro.
319. Partenza da Tiro sulla nave del cretese Nicomede.
320. Prodigi sulla nave nel mare in tempesta.
la famiglia. Nel
*
321.
322.
323.
324.
325.
326.
327.
328.
329.
330.
Sbarco a Seleucia a commiato da Nicomede.
Partenza da Seleucia su un carro a arrivo ad Antiochia.
La visita ad Antigonio.
I discorsi degli otto apostoli prima di ripartire da Antiochia. L’addio a Giovanni di Endor e a
Sintica.
Gli otto apostoli si riuniscono a Gesù presso Aczib.
Una sosta ad Aczib.
Ai confini della Fenicia. Discorso sulla uguaglianza dei popoli a parabola del lievito.
Ad Alessandroscene, dai fratelli di Ermione.
Al mercato di Alessandroscene. La parabola degli operai della vigna.
Giacomo a Giovanni “figli del tuono”. Verso Aczib con il pastore Anna.
*
331. La fede della donna cananea a altre conquiste. Arrivo ad Aczib.
332. La sofferta separazione di Bartolomeo, che con Filippo si ricongiunge al Maestro.
333. Con dieci apostoli verso Sicaminon.
334. Anche Tommaso e Giuda Iscariota si riuniscono al gruppo apostolico.
335. La falsa amicizia di Ismael ben Fabi e l’idropico guarito in giorno di sabato.
336. A Nazareth con quattro apostoli. L’amore di Tommaso per Maria Ss.
337. Il sabato a Corozim.
Parabola sui cuori inlavorabili e guarigione di una donna curva.
338. Giuda Iscariota perde il potere del miracolo. La parabola del coltivatore.
339. La notte peccaminosa di Giuda Iscariota.
340. Ravvedimento di Giuda Iscariota e scontro con i rabbi al sepolcro di Hillele.
341.
342.
343.
344.
345.
346.
347.
348.
La mano ferita di Gesù. Guarigione di un sordomuto ai confini siro-fenici.
A Cédès. Il segno chiesto dai farisei e la profezia di Abacuc.
Il lievito dei farisei. Il Figlio dell’uomo. Il primato a Simon Pietro.
Incontro con i discepoli a Cesarea di Filippo e spiegazione del segno di Giona.
Miracolo al castello di Cesarea Paneade.
Primo annuncio della Passione e il rimprovero a Simon Pietro.
A Betsaida. Profezia sul martirio degli apostoli e guarigione di un cieco.
Mannaen riferisce su Erode Antipa e da Cafarnao va con Gesù a Nazareth. Svelate le
trasfigurazioni della Vergine.
349. La Trasfigurazione sul monte Tabor e l’epilettico guarito ai piedi del monte. Un commento
per i prediletti.
350. Lezione ai discepoli sul potere di vincere i demoni.
351. Il tributo al Tempio pagato con la moneta trovata in bocca al pesce.
352. Un convertito da Maria di Magdala. Parabola per il piccolo Beniamino e lezione su chi è
grande nel regno dei Cieli.
353. La seconda moltiplicazione dei pani e il miracolo della moltiplicazione della Parola.
354. Il discorso sul Pane del Cielo nella sinagoga di Cafarnao.
355. Il nuovo discepolo Nicolai di Antiochia e il secondo annuncio della Passione.
356. Verso Gadara. Le eresie di Giuda Iscariota e le rinunce di Giovanni che vuole solo amare.
357. Giovanni a le colpe di Giuda Iscariota. I farisei e la questione del divorzio.
358. A Pella. Il giovinetto Jaia e la madre di Marco di Giosia.
359. Nella capanna di Mattia presso Jabes Galaad.
360. Il malumore degli apostoli a il riposo in una grotta.
L’incontro con Rosa di Gerico.
361. I due innesti che trasformeranno gli apostoli. Maria di Magdala avverte Gesù di un pericolo.
Miracolo sul fiume Giordano in piena.
362. La missione delle “voci” nella Chiesa futura.
L’incontro con la Madre e con le discepole.
363. A Rama, in casa della sorella di Tommaso.
Discorso sulla salvezza e apostrofe a Gerusalemme.
321. Sbarco a Seleucia e commiato da Nicomede.
6 novembre 1945.
1In un bellissimo tramonto si delinea la città di Seleucia come un grande ammasso bianco al limite
delle acqua azzurre del mare, che è placido e ridente, tutto uno scherzar di ondette sotto il cielo che
fonde il suo cobalto senza nubi con le porpore del tramonto. La nave a vele spiegate punta veloce
sulla città lontana, e pare incendiarsi con fuochi di gioia per la festa del prossimo arrivo, tanto è
investita dagli splendori del sole calante.
Sul ponte, fra i marinai, non più indaffarati e inquieti, sono i passeggeri che vedono avvicinarsi la
meta. E seduto presso Giovanni di Endor, ancor più macilento di quando è partito, è il marinaio
ferito. Ha ancora la testa fasciata da una lieve benda, è di un pallore d’avorio per il molto sangue
perduto. Ma però è sorridente e parla con i suoi salvatori o coi compagni che, passando, si felicitano
con lui di rivederlo sul ponte.
2Lo nota anche il cretese e lascia per un poco il suo posto, affidandolo al capo ciurma, per venire a
salutare il suo «ottimo Demete», ritornato sul ponte per la prima volta dopo la ferita. «E grazie a voi
tutti» dice agli apostoli. «Non credevo proprio potesse vivere ancora, colpito come fu dal trave
pesante e dal ferro che ancor più pesante lo faceva. Veramente, o Demete, costoro ti hanno
ripartorito alla vita, perché tu eri già morto una e una volta. La prima giacendo qual merce sul
ponte dove, e per sangue che si sperdeva e per onde che al mare portato ti avrebbero, saresti perito
scendendo nel regno di Nettuno tra Nereidi e Tritoni. E la seconda per averti curato con quei
meravigliosi unguenti. Fàmmi dunque vedere la ferita!».
L’uomo si scioglie la benda e mostra la cicatrice ben chiusa, liscia, simile ad un segno rosso dalla
tempia alla nuca, al limite dei capelli che appaiono tagliati, forse da Sintica, perché non entrassero
nella ferita.
Nicomede sfiora leggermente quel segno: «Anche l’osso è saldato! Ti amò Venere marina! E non
volle averti che alla superficie del mare e sulle sponde di Grecia. Ti sia dunque propizio Eros, ora
che a terra scendiamo, e giovi a levarti il ricordo della sciagura e il terrore di Tanatos nelle cui
strette già eri».
Il viso di Pietro è un panorama di espressioni, mentre sente tutte queste frange mitologiche.
Appoggiato ad un albero di vela, con le mani dietro la schiena, non parla, ma tutto in lui parla per
applicare un epiteto salato al pagano Nicomede e al suo paganesimo, e per significare il suo schifo
per tutto ciò che è gentilesimo.
Anche gli altri non sono da meno… Giuda d’Alfeo ha il viso chiuso dei momenti peggiori, suo
fratello si gira su se stesso mostrando un grande interesse al mare. Giacomo di Zebedeo e Andrea
pensano bene di lasciare in asso tutti e di scendere a prendere le sacche e il telaio, Matteo
giocherella con la sua cintura e lo Zelote lo imita occupandosi a dismisura dei suoi sandali come
fossero una cosa nuova, e Giovanni di Zebedeo si ipnotizza guardando il mare.
Tanto manifesto lo sprezzo e la noia degli otto - e non lo è meno il mutismo dei due discepoli seduti
presso il ferito - che il cretese se ne accorge e si scusa: «È la nostra religione, sapete? Come voi
credete alla vostra, io e noi tutti crediamo alla nostra…».
Nessuno risponde 3e il cretese pensa bene di lasciare in pace i suo dèi e scendere dall’Olimpo sulla
terra, anzi sul mare, sulla sua nave, invitando gli apostoli a venire a prua per vedere bene la città che
si avvicina. «Ecco, vedete? Ci siete mai stati qui?».
«Io, una volta. Ma venendo per via di terra» dice lo Zelote serio e reciso.
«Ah! bene! Ma allora almeno sai che il vero porto di Antiochia è Seleucia, sul mare, alle foci
dell’Oronte, che graziosamente si presta esso pure ad accogliere i navigli e, nei tempi di acque
fonde, può essere risalito da barche leggere fino ad Antiochia. Quella che voi vedete è Seleucia, la
più grande. L’altra, verso il mezzogiorno, non è città, ma rovine di un posto devastato. Illudono, ma
è paese morto. Quella catena è il Pierio, che fa chiamare la città Seleucia Pieria. Quel picco più in
dentro, oltre la pianura, è il monte Casio, che sovrasta come un gigante la pianura d’Antiochia.
L’altra catena a settentrione è quella dell'Amano. Oh! vedrete che lavori in Seleucia e in Antiochia
hanno fato i romani! Di più grandi non potevano. Un porto a tre bacini che è uno dei migliori, e
canali, e gettate, e dighe. Tanto non c’è in Palestina. Ma la Siria è più buona di altre province
dell’Impero…».
Le sue parole cadono in un silenzio glaciale. Anche Sintica, che per essere greca è meno schifiltosa
degli altri, serra le labbra, e il suo viso prende più che mai l’incisività di un volto scolpito su una
medaglia o un bassorilievo: un volto da dèa, sdegnosa dei contatti terreni.
Il cretese se ne accorge e si scusa: «Che volete! In fondo io guadagno coi romani!…».
La risposta di Sintica è netta come una sciabolata: «E l’oro leva il filo alla spada dell’onor nazionale
e della libertà», e lo dice in maniera tale e con un latino così puro che l’altro resta di stucco…
Poi osa chiedere: «Ma non sei greca?».
«Greca sono. Ma tu ami i romani. Ti parlo con la lingua dei tuoi padroni, non con la mia, quella
della Patria martire».
Il cretese è confuso e gli apostoli sono mutuamente entusiasti per la lezione data all’elogiatore di
Roma.4Il quale pensa bene di girare il discorso chiedendo con che mezzo andranno da Seleucia ad
Antiochia.
«Con le gambe, uomo» risponde Pietro.
«Ma è sera. Sarà notte quando sbarcherete…».
«Ci sarà dove dormire».
«Oh! certo. Ma potreste dormire anche qui fino a domani».
Giuda Taddeo, che ha visto portare già tutto l’occorrente per un sacrificio agli dèi, forse da farsi
all’arrivo in porto, dice: «Non occorre. Ti siamo grati della tua bontà, ma preferiamo scendere. Non
è vero, Simone?».
«Sì, sì. Anche noi dobbiamo fare le nostre preghiere e… o tu e i tuoi dèi, o noi e il nostro Dio».
«Fate come credete. Avevo piacere fare cosa grata al figlio di Teofilo».
«Anche noi al Figlio di Dio facendoti persuaso che vi è un solo Dio. Ma tu sei scoglio che non si
smuove. Come vedi, siamo pari. Ma chissà che un giorno non ci si ritrovi e che tu sia meno
tenace…» dice serio lo Zelote.
Nicomede fa un atto come dire: «Chissà quando!». Un atto di noncuranza ironica circa l’invito a
riconoscere il Dio vero e ad abbandonare il falso. Poi va al suo posto di pilota, perché ormai il porto
è vicino.
«Scendiamo a prendere i cofani. Facciamo da noi. Non vedo l’ora di allontanarmi da questo puzzo
pagano» dice Pietro. E, meno Sintica e Giovanni, se ne vanno tutti abbasso.
5Loro, i due esiliati, sono vicini e guardano le dighe che si avvicinano sempre più.
«Sintica, un altro passo verso l’ignoto, un altro strappo dal dolce passato, un’altra agonia, Sintica…
Non ce la faccio più…».
Sintica gli prende la mano. È pallida molto, addolorata. Ma è sempre la forte donna che sa dare
forza.
«Sì, Giovanni, un altro strappo, un’altra agonia. Ma non dire: un altro passo verso l’ignoto… Non è
giusto. Noi sappiamo la nostra missione qui. Gesù l’ha detta. Dunque noi non andiamo all’ignoto,
ma anzi sempre più ci fondiamo con ciò che sappiamo, con la volontà di Dio. Non è neppur giusto
dire: “un altro strappo”. Noi ci uniamo alla sua volontà. Lo strappo separa. Noi ci uniamo. Perciò
non ci strappiamo. Ci liberiamo unicamente da tutte le delizie sensibili del nostro amore per Lui, il
Maestro nostro, riserbandoci tutte le delizie soprasensibili, trasportando l’amore e il dovere ad un
piano ultraterreno. Ne sei persuaso che è così? Sì? E allora non devi dire neppure: “un’altra agonia”.
Agonia presuppone prossima morte. Ma noi, raggiungendo i piani spirituali, per nostra dimora, aura
e cibo, non moriamo, ma “viviamo”. Perché lo spirituale è eterno. Perciò noi saliamo ad una vita
più viva, anticipo della grande vita dei Cieli. Su, dunque! Dimentica di essere l’uomo-Giovanni, e
ricordati di essere il desinato al Cielo. Ragiona, agisci, pensa e spera solo da cittadino di questa
Patria immortale…».
6Tornano gli altri con i loro carichi proprio mentre la nave entra maestosa nell’ampio porto di
Seleucia.
«E ora filiamo, al più presto, al primo albergo che vediamo. Certo ve ne sono vicini, e domani… o
per barca o per carro andremo a destino».
Fra fischi secchi di comando la nave attracca e viene calata la passerella. Nicomede si fa vicino ai
partenti.
«Addio, uomo. E grazie» dice per tutti Pietro.
«Salve, ebrei. E grazie anche da me. Se farete quella via, subito troverete alloggio. Addio».
Gli apostoli scendono di qua, lui si allontana di là verso il suo altare e, mentre Pietro con gli altri,
carichi come facchini, vanno al riposo, il pagano inizia il suo inutile rito…
322. Partenza da Seleucia su un carro e arrivo ad Antiochia.
[senza data]
1«Sui mercati troverete certo un carretto. Ma se volete il carro mio ve lo do, in ricordo di Teofilo.
Se sono un uomo tranquillo, a lui lo devo. Mi difese perché era giusto. E certe cose non si
dimenticano» dice il vecchio albergatore, ritto davanti agli apostoli nel primo sole del mattino.
«È che il tuo carro te lo terremmo via per dei giorni... E poi chi lo conduce? Io arrivo all’asino... Ma
i cavalli...».
«Ma È uguale, uomo! Non ti darò un puledro indomito, ma un prudente cavallo da tiro, buono come
un agnello. Ma farete presto a senza fatica. A nona sarete ad Antiochia, molto più che il cavallo ben
conosce la strada a va da sé. Me lo renderai quando vorrai, senza interesse da parte mia, eccettuato
quello di far cosa grata al figlio di Teofilo, al quale direte che ancora io sono debitore di tanto, e lo
ricordo, e servo suo mi sento».
«Che facciamo?» chiede Pietro ai compagni.
«Quello che credi meglio. Tu giudica e noi ubbidiamo...».
«Tentiamo il cavallo? Per Giovanni lo dico... a anche per fare presto... Mi sembra di condurre uno a
morte a non vedo l’ora che sia tutto passato...».
«Hai ragione» dicono tutti.
«Allora, uomo, accetto».
«Ed io con gioia dono. Vado ad apparecchiare il veicolo».
2L’albergatore se ne va. Pietro sfoga il suo pensiero per intero: «Io ho consumato metà del tempo
vitale che avevo in questi pochi giorni. Una pena! Una pena! Avrei voluto avere il carro di Elia, il
manto preso da Eliseo, tutto ciò che è rapido per fare presto... e soprattutto avrei voluto, a costo di
soffrire la morte, dare un che, che consolasse quei poverini, li smemorasse, li... Non so, ecco!!
Qualcosa, insomma, che non li facesse soffrire tanto... Ma se riesco a sapere chi è la causa
principale di questo dolore, non sono più Simone di Giona se non lo torco come un panno da
strizzare. Non già dico di ucciderlo, ohibò! Ma spremerlo come lui ha spremuto gioia a vita a quei
due poverini...».
«Hai ragione. È una grande pena. Ma Gesù dice che si deve perdonare le offese...» dice Giacomo
d’Alfeo.
«Le avessero fatte a me, dovrei perdonare. E potrei. Io sono sano a forte, e se qualcuno mi offende
ho forza da reagire anche al dolore. Ma quel povero Giovanni! No, non posso perdonare l’offesa
fatta al redento del Signore, ad uno che muore afflitto così...».
«Io penso all’ora in cui lo lasceremo del tutto...» sospira Andrea.
«Io pure. È un pensiero fisso a che cresce più si avvicina il momento...» mormora Matteo.
«Facciamolo presto, per pietà» dice Pietro.
«No, Simone. Perdona se ti faccio considerare che hai torto a volerlo. Il tuo sta divenendo un amor
di prossimo devialo, e non deve in te, sempre retto, avvenire tal cosa» dice pacalo lo Zelote,
mettendo una mano sulla spalla di Pietro.
«Perché, Simone? Tu sei collo a buono. Mostrami il mio torto ed io, se lo vedo tale, ti dirò: hai
ragione».
«Il tuo amore sta divenendo malsano perché sta per cangiarsi in egoismo».
«Come? Mi affliggo per loro a sono egoista?».
«Sì, fratello, perché tu per eccesso di amore - ogni eccesso è disordine, e perciò induce al peccato divieni vile. Vuoi non soffrire tu di veder soffrire. Ciò è egoismo, fratello nel nome del Signore».
«È vero! Hai ragione. E ti ringrazio di avermi avvertilo. Così va fatto fra buoni compagni. Bene.
Allora non avrò più fretta... Ma però, dite il vero, non è una pietà?».
«Lo è, lo è...» dicono tutti.
3«Come faremo a lasciarli?».
«Io direi di farlo dopo che Filippo li ha ospitati, restando magari nascosti in Antiochia per qualche
tempo, andando a sentire da Filippo come si adattano...» suggerisce Andrea.
«No. Sarebbe farli soffrire troppo con uno strappo così reciso» dice Giacomo d’Alfeo.
«Allora, ecco, prendiamo il consiglio di Andrea per metà. Rimaniamo ad Antiochia, ma non in casa
di Filippo. E per un po’ di giorni si va a trovarli, sempre meno, sempre meno finché... non ci si va
più» dice l’altro Giacomo.
«Dolore sempre rinnovato, e crudele delusione. No. Non va fatto» dice il Taddeo.
«Che facciamo, Simone?».
«Ah! per me! Vorrei essere al loro posto piuttosto che dover dire: “vi saluto”» dice Pietro avvilito.
«Io propongo una cosa. Andiamo con loro da Filippo a vi stiamo. Poi, sempre insieme, andiamo ad
Antigonio. È luogo rallegrante... E vi stiamo. Quando essi sono acclimatati, ci ritiriamo, con dolore,
ma con virilità. Ciò direi. A meno che Simon-Pietro non abbia ordini diversi dal Maestro» dice
Simone Zelote.
«Io? No. Mi ha detto: “Fa’ tutto bene, con amore, senza pigrizie e senza frette, e nel modo che
giudichi il migliore”. Fino ad ora mi pare di averlo fatto. C’è quel che di aver detto che ero
pescatore!... Ma se non dicevo così non mi lasciava sul ponte».
«Non ti fare degli scrupoli stolti, Simone. Sono insidie del demonio per turbarti» conforta il
Taddeo.
«Oh! sì. Proprio così. Credo che ci stia intorno come non mai, creandoci ostacoli e paure per indurci
a viltà» dice Giovanni apostolo, a termina sottovoce: «Credo che volesse indurre a disperazione
quei due col tenerli in Palestina... ed ora che essi sfuggono alla sua insidia, esso si vendica su di
noi... Me lo sento attorno come un serpe nascosto fra l’erbe... E sono mesi che me lo sento intorno
così... Ma ecco l’albergatore da un lato e Giovanni con Sintica dall’altro. Vi dirò il resto quando
saremo soli, se vi interessa».
Infatti da un lato del cortile viene avanti il carro robusto al quale è attaccalo un robusto cavallo
guidalo dall’oste, mentre dall’altro lato vengono verso loro i due discepoli.
«È ora di andare?» chiede Sintica.
«Sì. È l’ora. Sei coperto bene, Giovanni? Vanno meglio i tuoi dolori?».
«Sì. Sono avvolto nelle lane e mi ha giovalo l’unzione».
«Allora sali, che ora veniamo noi pure».
4… E, ultimalo il carico, saliti tutti, escono dall’ampio portone dopo ripetute assicurazioni
dell’oste sulla docilità del cavallo. Traversano una piazza che è stata loro indicata a prendono una
strada presso le mura, finché escono da una porta costeggiando prima un fondo canale a poi il fiume
stesso. È una bella via ben tenuta, in direzione nord-est, ma seguente le giravolte del fiume.
Dall’altro lato sono dei monti molto verdi nelle loro coste, insenature e burroni, e già si vedono sui
cespugli del sotto bosco, nei posti più soleggiati, gonfiare le gemme di mille arbusti.
«Quanti mirti!» esclama Sintica.
«E lauri!» aggiunge Matteo.
«Presso Antiochia è un luogo sacro ad Apollo» dice Giovanni di Endor.
«Forse i venti hanno portato i semi sin qui...».
«Forse. Ma è tutto un luogo pieno di belle piante questo» dice lo Zelote.
«Tu che ci sei stato, credi che passeremo presso Dafne?».
«Per forza. Vedrete una delle valli più belle del mondo. A parte il cullo osceno a degeneralo in orgie
sempre più luride, è una valle di paradiso terrestre, e se vi entrerà la Fede diverrà un paradiso vero.
Oh! quanto bene potrete fare qui! Vi auguro fertili i cuori come fertile è il suolo...» dice lo Zelote
per suscitare pensieri di consolazione nei due.
Ma Giovanni china il capo a Sintica sospira.
5Il cavallo trotta cadenzato e Pietro non parla, tutto teso nello sforzo del guidare, benché la bestia
vada sicura senza richiedere guida o stimolo. La strada scorre perciò abbastanza rapida, finché
sostano presso un ponte per mangiare e per fare riposare il cavallo. Il sole è a mezzogiorno, e il
bello della bellissima natura è tutto visibile.
«Però... preferisco qui che sul mare...» dice Pietro osservando intorno.
«Ma che tempesta!».
«Il Signore ha pregalo per noi. Io l’ho sentito vicino quando pregavamo sul ponte. Vicino come
fosse fra noi...» dice sorridendo Giovanni.
«Dove sarà mai? Io non ho pace pensando che è senza vesti... Se si bagna? E che mangerà? È
capace di digiunare...».
«Puoi essere certo che lo fa per aiutare noi» dice sicuro Giacomo d’Alfeo.
«E per altro ancora. Nostro fratello è mollo afflitto da qualche tempo. Credo si mortifichi
continuamente per vincere il mondo» dice il Taddeo.
«Vorrai dire: il demonio che é nel mondo» dice Giacomo di Zebedeo.
«È lo stesso».
«Ma non vi riuscirà. Io ho il cuore stretto da mine paure...» sospira Andrea.
«Oh! ora che noi siamo lontani, tutto andrà meglio!» dice un po’ amaro Giovanni di Endor.
«Non te lo pensare. Tu a lei non eravate nulla rispetto ai “grandi torti” del Messia secondo i grandi
d’Israele» dice reciso il Taddeo.
«Ne sei sicuro? Io, nel mio soffrire, ho anche questo chiodo nel cuore: di essere stato causa di male
a Gesù con la mia venuta. Se fossi sicuro che così non è, soffrirei meno» dice Giovanni di Endor.
«Mi credi veritiero, Giovanni?» domanda il Taddeo.
«Sì che lo credo!».
«Ebbene, allora in nome di Dio e mio ti assicuro che lo non hai dato che una pena a Gesù: quella di
doverti mandare qui in missione. In tutte le altre sue pene passate, presenti e future, tu non c’entri».
Il primo sorriso, dopo tanti giorni di malinconia tetra, illumina il volto scavato di Giovanni di
Endor, che dice: «Che sollievo mi dai! Mi pare più luminoso il giorno, più leggero il mio male, più
consolato il cuore. Grazie, Giuda di Alfeo! Grazie!».
6Rimontano sul carro e passando sul ponte prendono l’altra riva del fiume, l’altra strada che va
diritta verso Antiochia, attraverso una zona fertilissima.
«Ecco là! In quella valle poetica è Dafne col suo tempio e i suoi boschetti. E là, in quella pianura,
ecco Antiochia a le sue torri sulle mura. Entreremo per la porta che è presso il fiume. La casa di
Lazzaro non è mollo lontana dalle mura. Le più belle case sono state vendute. Resta questa, un
tempo luogo di sosta dei servi e clienti di Teofilo, con molte scuderie e granai. Ora ci vive Filippo.
Un buon vecchio. Un fedele di Lazzaro. Vi troverete bene. E insieme andremo ad Antigonio, dove
era la casa abitata da Eucheria a dai suoi figli, allora bambini...».
«Molto fortificata questa città, eh?» chiede Pietro, che ripiglia fiato ora che vede che il suo primo
saggio di auriga è andato bene.
«Molto. Muraglie di altezza a larghezza grandiosa, oltre cento torri che, le vedete, sembrano giganti
diritti sulle mura, e fossati invalicabili al loro piede. Anche il Silpio ha messo le sue cime ad aiuto
della difesa e a contrafforte delle mura nella parte più delicata... Ecco la porta. Meglio è che lo
fermi ed entri tenendo al morso. Io ti conduco perché so la via»...
Passano la porta, guardata da romani.
Giovanni apostolo dice: «Chissà se è qui quel soldato della porta dei Pesci... Gesù avrebbe gioia di
saperlo...».
«Lo cercheremo. Ma ora cammina lesto» ordina Pietro, turbato all’idea di andare in una casa
sconosciuta.
Giovanni ubbidisce senza parlare; solo guarda attentamente ogni milite che vede.
7Una breve via, poi una robusta e semplice casa, ossia un alto muro senza finestre. Solo un portone
al centro del muro.
«Ecco. Ferma» dice lo Zelote.
«Oh! Simone! Sii buono! Parla tu, ora».
«Ma sì, se ti deve fare piacere parlerò io», e lo Zelote bussa al pesante portone.
Si fa riconoscere per un messo di Lazzaro. Entra solo. Esce con un vecchio alto a dignitoso, che si
sprofonda in inchini a che dà ordine ad un servo di aprire il portone per lasciare entrare il carro. E si
scusa di farli passare tutti di lì anziché dalla porta di casa.
Il carro si arresta in un ampio cortile porticato, ben tenuto, con quattro grossi platani ai quattro
angoli a due al centro, a difesa di un pozzo e di una vasca per abbeverare i cavalli.
«Provvedi al cavallo» ordina l’intendente al servo. E poi, agli ospiti: «Vi prego, venite e sia
benedetto il Signore che mi manda servi suoi e amici del padrone mio. Ordinate, che il vostro servo
vi ascolta».
Pietro si fa rosso, perché specie a lui sono rivolte quelle parole e quegli inchini, e non sa che dire...
Lo soccorre lo Zelote. «I discepoli del Messia d’Israele, di cut ti parla Lazzaro di Teofilo, che d’ora
in poi abiteranno la tua casa per servire il Signore, non necessitano che di riposo. Vuoi mostrarci
dove possono abitare?».
«Oh! sono sempre pronte stanze per pellegrini, come era uso della padrona mia. Venite, venite...».
E seguito da tutti prende un corridoio, poi un piccolo cortile in fondo al quale è la vera casa. Apre la
porta, va per un andito, piega a destra. Ecco una scala. Salgono. Un nuovo corridoio con stanze ai
due lati.
«Ecco. E dolce vi sia la dimora. Ora vado a ordinare acqua e biancherie. Dio sia con voi» dice il
vecchio e se ne va.
Aprono le imposte delle camere che scelgono. Le mura e i forti di Antiochia sono di fronte a quelle
di un lato; il quieto cortile decorato di rosai rampicanti, per ora miseri per via della stagione, è
visibile dalle altre dell’altro lato.
E, dopo tanto andare, ecco finalmente una casa, una stanza, un letto... La sosta per alcuni, la mèta
per gli altri...
323. La visita ad Antigonio.
7 novembre 1945.
1«Mio figlio Tolmai è venuto per i mercati. Oggi a sesta torna ad Antigonio. Tiepido è il giorno.
Volete andare, secondo che desideravate?» chiede il vecchio Filippo mentre serve agli ospiti del
latte fumante.
«Andremo senza fallo. Quando hai detto?».
«A sesta. Potrete tornare domani, se volete, oppure la sera avanti il sabato, se più vi piace. Allora
tutti i servi ebrei, o entrati nella fede, vengono per le funzioni del sabato».
«Così faremo. 2E non è detto che non sia scelto quel luogo per dimora a questi».
«Ne avrò sempre piacere, anche se li perdo. Perché è luogo salubre. E molto bene potreste fare fra i
servi che, alcuni, sono ancora i servi lasciati dal padrone. E alcuni sono bontà della padrona
benedetta che li ha riscattati da padroni crudeli. Perciò non sono tutti israeliti. Ma ormai non sono
più neppure pagani. Parlo delle donne. Gli uomini sono tutti circoncisi. Non ne abbiate ribrezzo…
Ma sono molto lontani ancora dalla giustizia d’Israele. I santi del Tempio se ne scandalizzerebbero,
loro che perfetti sono…».
«Eh! già! già! già!… Bene! Ora potranno progredire aspirando sapienza e bontà dei messi del
Signore… Sentite quanto avete da fare?» termina Pietro rivolgendosi ai due.
«Lo faremo. Non deluderemo il Maestro» promette Sintica. Ed esce per preparare ciò che crede
opportuno.
Giovanni di Endor chiede a Filippo: «Credi che ad Antigonio potrei fare un poco di bene anche ad
altri, insegnando come pedagogo?».
«Molto bene. Il vecchio Plauto è morto da tre lune e i fanciulli gentili non hanno scuola. Quanto
agli ebrei non c’è maestro, perché tutti i nostri fuggono da quel luogo prossimo a Dafne. Ci vuole
uno che sia… che sia… come era Teofilo… Senza rigidezze per… per…».
«Sì, insomma, senza fariseismo, vuoi dire» termina Pietro spicciativo.
«Ecco… sì… Non voglio criticare… Ma penso… Maledire non serve. Meglio sarebbe aiutare…
Come faceva la padrona che col suo sorriso portava alla Legge più e meglio di un rabbi».
3«Ecco perché mi ha mandato qui il Maestro! Io sono proprio l’uomo che ha i requisiti giusti… Oh!
farò la sua volontà. Fino all’ultimo respiro. Ora credo, credo proprio che non è altro che una
missione di predilezione la mia. Lo vado a dire a Sintica. Vedrete che ci fermiamo là… Vado, vado
a dirglielo» ed esce, animato come da tempo non era.
«Altissimo Signore, io ti ringrazio e benedico! Soffrirà ancora, ma non come prima… Ah! che
sollievo!» esclama Pietro. E poi sente il dovere di spiegare a Filippo un poco, e come lo può fare, il
perché della sua gioia: «Devi sapere che Giovanni è stato preso di mira dai… “rigidi” di Israele. Tu
li chiami: “rigidi”…»
«Ah! comprendo! Perseguitato politico come… come…» e guarda lo Zelote.
«Sì, come me e più, per altro ancora. Perché, oltre che per la casta diversa, egli li eccita con il suo
essere del Messia. Onde, e sia detto una volta per tutte, alla tua fedeltà sono affidati lui e lei…
Comprendi?».
«Comprendo. E mi saprò regolare».
«Come li chiamerai presso gli altri?».
«Due pedagoghi raccomandati da Lazzaro di Teofilo, lui per i fanciulli, ella per le bambine. Vedo
che ha ricami e telai… Molti lavori donneschi si fanno e si vendono ad Antiochia, da gente
straniera. Ma sono lavori rozzi e pesanti. Ieri le ho visto un lavoro che mi ha ricordato la buona
padrona mia… Saranno molto ricercati…».
«E una volta di più sia lodato il Signore» dice Pietro.
«Sì. Ciò diminuisce in noi il dolore della prossima partenza».
«Già volete partire?».
«Dobbiamo. Ci ha ritardato la tempesta. Ai primi di scebat dobbiamo essere col Maestro. Ci attende
già, ché in ritardo siamo» spiega il Taddeo.
4Si separano andando ognuno per le sue incombenze, ossia Filippo dove lo chiama una donna, gli
apostoli al sole, sull’altana.
«Potremmo partire il giorno dopo il sabato. Che dite?» chiede Giacomo d’Alfeo.
«Per me!… Figurati! Tutti i giorni mi alzo col tormento di Gesù solo, senza vesti, senza cure, e tutte
le notti mi corico con questo tormento. Ma oggi decideremo».
«Dite un po’. Ma il Maestro sapeva tutto ciò? Io mi chiedo da giorni come sapeva che avremmo
trovato il cretese, come ha preveduto il lavoro di Giovanni e Sintica, come, come… Tante cose,
insomma» dice Andrea.
«Veramente credo che il cretese abbia epoche fisse di sosta a Seleucia. Forse Lazzaro lo disse a
Gesù, e Lui perciò ha deciso di partire senza attendere la Pasqua…» spiega lo Zelote.
«Già! Giusto! E per la Pasqua come farà Giovanni?» chiede Giacomo d’Alfeo.
«Ma come tutti gli israeliti…» dice Matteo.
«No. Sarebbe cadere in bocca al lupo!».
«Macché. Fra tanta gente, chi lo pesca?».
«L’Iscar… Oh! che ho detto! Non ci pensate. È uno scherzo della mia mente…». Pietro è rosso,
afflitto di avere parlato.
Giuda d’Alfeo gli mette una mano sulla spalla, sorridendo del suo sorriso severo, e dice: «Va’ là!
Pensiamo tutti la stessa cosa… Ma non diciamola a nessuno. E benediciamo l’Eterno che ha deviato
da questo pensiero la mente di Giovanni».
Tacciono tutti, assorti. Ma per loro, veri israeliti, è un pensiero il come potrà fare la Pasqua in
Gerusalemme il discepolo esiliato… e tornano a parlare di questo.
«Io credo che Gesù provvederà. Forse Giovanni lo sa. Non c’è che chiederglielo» dice Matteo.
«Non lo fate. Non mettete desideri e spine dove appena si rifà pace» supplica Giovanni apostolo.
«Sì. È meglio chiederlo al Maestro stesso» conferma Giacomo d’Alfeo.
«Quando lo vedremo? Che dite?» chiede Andrea.
«Oh! Se partiamo il giorno dopo sabato, per la fine della luna saremo certo a Tolemaide…» dice
Giacomo di Zebedeo.
«Se troviamo naviglio…» osserva Giuda Taddeo. E suo fratello aggiunge: «E se non c’è tempesta».
«Per il naviglio ce n’è sempre in partenza per la Palestina. E pagando faremo fare scalo a Tolemaide
anche se è nave diretta a Joppe. Ne hai ancora, Simone?» chiede lo Zelote a Pietro.
«Sì. Per quanto quel ladro ded cretese mi abbia pelato a dovere, nonostante le sue proteste di volere
parco e fare gentilezza a Lazzaro. Ma ho da pagare la sosta della barca e quella di Antonio… E i
denari dati per Giovanni e per Sintica, non li tocco. Sacri. A costo di non mangiare, li lascio intatti».
«Fai bene. Quell’uomo è molto malato. Lui crede di poter fare il pedagogo. Credo farà solo
l’infermo, presto…» giudica lo Zelote.
«Sì, lo penso io pure. Sintica, più che i lavori, dovrà fare gli unguenti» conferma Giacomo di
Zebedeo.
«Ma quell’unguento, eh? Che prodigio! Sintica mi ha detto che lo vuole rifare e usarlo per poter
penetrare in famiglie di qui» dice Giovanni
«Buona idea! Uno, malato, che guarisce è sempre un discepolo acquistato, e con lui i suoi»
proclama Matteo.
«Ah! questo no!» esclama Pietro.
«Come? Vuoi dire che il miracolo non attira al Signore?» gli chiede Andrea e con lui due o tre altri.
«Oh! pargoletti! Sembra che veniate ora dal Cielo! Ma non vedete come fanno a Gesù? Si è
convertito Eli di Cafarnao? E Doras? E Osea di Corozoim? E Melchia di Betsaida? E - scusate, voi
di Nazaret - e tutta Nazaret per i cinque, sei, dieci miracoli fatti, fino all’ultimo, quello di vostro
nipote?» chiede Pietro.
Nessuno replica perché è l’amara verità…
«Non abbiamo trovato ancora il soldato romano. Gesù lo aveva fatto capire…» dice Giovanni dopo
un poco.
«Lo diremo a quelli che restano. Anzi sarà uno scopo di più nella loro vita» risponde lo Zelote.
5Ritorna Filippo: «Mio figlio è pronto. Ha fatto presto. È con la madre che prepara regali per i
nipoti».
«È buona tua nuora, non è vero?».
«Buona. Mi ha consolato della perdita del mio Giuseppe. Come una figlia è. Era ancella di
Eucheria, educata da lei. Venite a prendere ristoro avanti la partenza. Gli altri lo stanno facendo
già».…
…E preceduti dal carro di Tolmai, nipote di Filippo, trottano verso Antigonio…
La cittadina è presto raggiunta. Seppellita nell’ubertosità dei suoi giardini, riparata dalle correnti
per le catene di monti che ha intorno, abbastanza lontane per non opprimerla ma abbastanza vicine
per proteggerla e per versare su di essa gli effluvi dei suoi boschi di piante resinose ed essenziali,
tutta piena di sole, rallegra vista e cuore solo a traversarla.
6I giardini di Lazzaro sono al sud della città e sono preceduti da un viale per ora spoglio, lungo il
quale sono le case degli addetti ai giardini. Casette basse, ma ben tenute, sulle soglie delle quali si
affacciano visi di bimbi e di donne che osservano curiosi e salutano sorridendo. Le razze diverse
appaiono nella diversità dei volti.
Tolmai, non appena superato il cancello che inizia la proprietà, fa, passando davanti ad ogni casa,
uno schiocco di frusta speciale; deve essere come un segno. E gli abitanti di ogni casa, dopo avere
osservato, entrano nelle dimore ed escono poi chiudendo le porte e camminando per il viale, dietro
ai due carri, che camminano al passo e che si fermano poi al centro di una raggiera di sentieri diretti
in ogni senso come i raggi di una ruota, fra campi e campi messi ad aiuole, quali spoglie, quali
perenni nel loro verde, vegliate da lauri, da acacie o piante simili, da altre piante che da tagli fatti
nel tronco esprimono latte odorifero e resine. Un odore misto di aromi balsamici, resinosi,
aromatici, è nell’aria. Alveari per ogni dove. E vasche di irrigazione dove bevono colombi
bianchissimi. E in speciali zone, della terra nuda, zappate di fresco, razzolano gallinelle pure
bianche sorvegliate da fanciulle.
7Tolmai schiocca la sua frusta ripetutamente, finché tutti i sudditi del piccolo regno sono riuniti
intorno ai sopraggiunti. E allora inizia il suo discorsetto:
«Ecco. Filippo, capo nostro e padre del padre mio, manda e raccomanda questi santi di Israele, qui
venuti per volontà del padrone nostro, che Dio sia sempre con lui e la sua casa. Molto ci
lamentavamo perché qui mancavano le voci dei rabbi santi. Ecco che la bontà del Signore e del
padrone nostro, lontano ma tanto di noi amoroso - gli renda Dio il bene che egli dà ai suoi servi - ci
procurano ciò che il nostro cuore sognava. In Israele è sorto il Promesso alle genti. Ce lo avevano
detto nelle feste al Tempio e nella casa di Lazzaro. Ma ora realmente è venuto per noi il tempo della
grazia, perché il Re d’Israele ha pensato ai minimi tra i suoi servi ed ha mandato i suoi ministri a
portarci le sue parole. Questi sono i suoi discepoli, e due di questi vivranno fra noi, qui o in
Antiochia, insegnando la sapienza per essere dotti al Cielo e l’altra che necessita per la terra.
Giovanni, pedagogo e discepolo di Cristo, insegnerà ai nostri bambini l’una e l’altra sapienza.
Sintica, discepola e maestra d’ago, insegnerà la scienza dell’amor di Dio e l’arte del lavoro
donnesco alle fanciulle. Riceveteli come benedizione del Cielo e amateli come li ama Lazzaro di
Teofilo ed Eucheria - gloria alle loro anime e pace - e come li amano le figlie di Teofilo: Marta e
Maria, nostre amate padrone e discepole di Gesù di Nazaret, il Rabbi d’Israele, il Promesso, il Re».
Il piccolo popolo di uomini, dalle corte tuniche, dalle mani terrose che sorreggono arnesi di
giardinaggio, di donne, di fanciulli d’ogni età, ascolta stupito, poi bisbiglia, infine si inchina
profondamente.
Tolmai inizia le presentazioni: «Simone di Giona, il capo dei messi del Signore; Simone il Cananeo,
amico del padrone nostro; Giacomo e Giuda, fratelli del Signore; Giacomo e Giovanni, Andrea e
Matteo»; e poi agli apostoli e discepoli: «Anna, mia moglie, della tribù di Giuda, come mia madre,
d’altronde, perché puri siamo, venuti con Eucheria di Giuda. Giuseppe, il maschio sacro al Signore,
e Teocheria, primogenita, che nel nome ha il ricordo dei giusti padroni, saggia figlia e amante di
Dio da vera israelita; Nicolai e Dositeo. Nicolai è nazareo; Dositeo, terzogenito, è già sposo (e un
grosso sospirone accompagna l’annuncio) da più anni ad Ermione. 8Vieni qui, donna…».
Si avanza una giovanissima brunetta con un bambino lattante in braccio.
«Eccola. È figlia di un proselite e di una greca. Mio figlio la vide ad Alessandroscene di Fenicia
quando vi fu per commerci… e la volle… e Lazzaro non si oppose, ma anzi mi disse: “Meglio così
che al male”. E male non è. Ma volevo un sangue d’Israele io…».
La povera Ermione sta a testa china come un’accusata. Dositeo freme e soffre. Anna, la madre e
suocera, guarda con occhi dolenti…
Giovanni, per quanto più giovane di tutti, sente la necessità di rialzare gli spiriti umiliati e dice:
«Nel Regno del Signore non sono più greci o israeliti, romani o fenici, ma solo figli di Dio. Quando
da questi che sono qui venuti conoscerai la parola di Dio, ti si solleverà il cuore a nuove luci, e
costei non sarà più “la straniera” ma la discepola, come te e come tutti, del Signore nostro Gesù».
Ermione alza il capo avvilito e sorride con gratitudine a Giovanni, e nel volto di Dositeo e di Anna è
la stessa espressione di riconoscenza.
Tolmai risponde austero: «E così voglia Dio che avvenga, perché, fuor che l’origine, nulla ho da
rimproverare alla nuora. 9Quello che è nelle sue braccia è Alfeo, l’ultimo nato, che dal padre di lei,
proselite, ha preso il nome. La piccola dagli occhi di cielo sotto i ricci d’ebano è Mirtica, dal nome
della madre d’Ermione, e questo, il primogenito, è Lazzaro, perché il padrone così volle, e l’altro è
Erma».
«Il quinto si deve chiamare Tolmai e la sesta Anna, per dire al Signore e al mondo che il tuo cuore
si è aperto a nuove comprensioni» dice ancora Giovanni.
Tolmai si inchina senza parlare. Poi riprende le presentazioni: «Questi sono due fratelli d’Israele:
Miriam e Silvano, della tribù di Neftali. E questi sono Elbonide Danita e Simeone giudeo. Poi ecco
i proseliti, già romani, o almeno di romani, carità di Eucheria fatta opera, da lei strappati al giogo e
al gentilesimo: Lucio, Macello, Solone figlio di Elateo».
«Nome greco» osserva Sintica.
«Di Tessalonica. Schiavo di un servo di Roma», e lo sprezzo è palese nel dire “servo di Roma”.
«Eucheria lo prese insieme col padre morente, in un’ora torbida, e se il padre morì pagano, Solone
proselite è... Priscilla, vieni avanti coi figli…».
Una donna alta e sottile, dal volto aquilino, si fa avanti spingendo una fanciulla e un fanciullo, alle
gonne ha due frugoline.
«Ecco la moglie di Solone, già liberta di una romana ora morta, e Mario, Cornelia, Maria, e
Martilla, gemelle. Priscilla è esperta in essenze. Amiclea, vieni tu con i figli. Costei è figlia di
proseliti. E proseliti sono i due fanciulli Cassio e Teodoro. Tecla, non ti nascondere. È la moglie di
Marcello. Il suo dolore è essere sterile. Figlia di proseliti essa pure. Questi i coloni. 10Ora ai
giardini. Venite».
E li conduce per la vasta possessione, seguito dai giardinieri che spiegano le colture e i lavori,
mentre le fanciulle tornano alle loro gallinelle che hanno approfittato dell’assenza delle guardiane
per sconfinare altrove.
Tolmai spiega: «Vengono condotte qui per liberare la terra dai bruchi prima della semina delle
culture annue».
Giovanni di Endor sorride alle gallinelle croccolanti e dice: «Sembrano le mie di un tempo…», e si
curva gettando minuzzoli di pane preso nella sacca, finché è circondato da pollastrelle e ride perché
una, petulante, gli strappa il pane dalle dita.
«Meno male!» esclama Pietro, dando di gomito a Matteo e accennando a Giovanni che scherza coi
polli e a Sintica che parla greco con Solone ed Ermione.
Poi tornano verso la casa di Tolmai, che spiega; «Questo è il luogo. Ma se vorrete insegnare vi è
modo di fare posto. Rimanete qui o…».
«Sì, Sintica! Qui! È più bello! Antiochia mi opprime di ricordi…» prega piano Giovanni alla
compagna.
«Ma sì… Come vuoi. Purché tu stia bene. Per me tutto mi è uguale. Non guardo più indietro io…
Solo avanti, avanti… Su, Giovanni! Qui staremo bene. Bambini, fiori, colombi e gallinelle per noi,
povere creature. E per l’anima nostra la gioia di servire il Signore. Che ne dite voi?» interroga
volgendosi agli apostoli.
«Noi pensiamo come te, donna».
«Allora è detto così».
«Molto bene. Partiremo contenti…».
«Oh! non partite! Non vi vedrò più! Perché così presto? Perché?…». Giovanni ricade nel suo
dolore.
«Ma non andiamo via ora! Stiamo qui fino… fino che tu sei…». Pietro non dire cosa sarà Giovanni
e, per non far vedere che è gonfio anche lui di lacrime, abbraccia il piangente Giovanni e cerca di
consolarlo così.
324. I discorsi degli otto apostoli prima di ripartire da Antiochia.
L’addio a Giovanni di Endor e a Sintica.
8 novembre 1945.
1Gli apostoli sono da capo nella casa di Antiochia e con loro sono i due discepoli e tutti gli uomini
di Antigonio non già vestiti di vesti succinte e da lavoro, ma di abiti lunghi, festivi. Da questo
arguisco che sia il sabato.
Filippo prega gli apostoli di parlare almeno una volta a tutti, avanti la partenza, ormai imminente.
«Su che?».
«Su quanto volete. Avete udito in questi giorni i nostri discorsi. Regolatevi su quello».
Gli apostoli si guardano l’un l’altro. A chi tocca? A Pietro, è naturale. È il capo! Ma Pietro non
vorrebbe parlare, deferendo a Giacomo d’Alfeo o a Giovani di Zebedeo l’onore di farlo. E solo
quando li vede inesorabili si decide a parlare.
«Oggi abbiamo sentito nella sinagoga spiegare il capo 52° di Isaia. Dottamente secondo il mondo,
manchevolmente secondo la Sapienza, fu fatto il commento. Ma non è da farne rimprovero al
commentatore, il quale ha dato ciò che poteva con la sua sapienza mutilata della parte migliore: la
conoscenza del Messia e del tempo nuovo portato da Lui. Non facciamo però critiche ma preghiere,
perché egli venga a conoscenza di queste due grazie e le possa accettare senza ostacolo. Voi mi
avete detto che nella Pasqua sentiste parlare con fede e con scherno del Maestro. E che solo per la
grande fede che riempie i cuori della casa di Lazzaro, tutti i cuori, avevate potuto resistere al disagio
che le insinuazioni di altri vi metteva nel cuore, molto più che questi altri erano proprio i rabbi di
Israele. Ma essere dotti non vuole dire essere santi né possedere la Verità. La Verità è questa: Gesù
di Nazaret è il promesso Messia, il Salvatore del quale parlano i Profeti, l’ultimo dei quali da poco
riposa nel seno di Abramo dopo il glorioso martirio sofferto per la giustizia. Giovanni Battista ha
detto, e qui sono presenti quelli che hanno udito, queste parole: “Ecco l’Agnello di Dio che leva i
peccati del mondo”. Le sue parole sono state credute dai più umili fra i presenti, perché l’umiltà
aiuta a giungere alla Fede, mentre ai superbi è difficile il cammino - carichi come sono di zavorra per giungere in cima al monte dove vive casta e luminosa la Fede. Questi umili, perché erano tali e
per aver creduto, hanno meritato di essere i primi nell’esercito del Signore Gesù. Vedete dunque
quanto è necessaria l’umiltà per avere fede pronta, e quanto sia premiato il saper credere anche
contro le apparenze contrarie. Io vi esorto e stimolo ad avere queste due qualità in voi, e allora voi
sarete dell’esercito del Signore e conquisterete il Regno dei Cieli… 2A te, Simone Zelote. Io ho
detto. Tu continua».
Lo Zelote, preso così all’improvviso e così chiaramente indicato come secondo oratore, deve farsi
avanti senza indugio né recriminazione. E lo fa dicendo:
«Continuerò il discorso di Simon Pietro, capo di noi tutti per volontà del Signore. E continuerò
sempre prendendo l’argomento dal capo 52 di Isaia, visto da uno che conosce la Verità incarnata di
cui è servo per sempre. È detto: “Sorgi, rivestiti della tua forza, o Sion, vestiti a festa, città del
Santo”. Così veramente dovrebbe essere. Perché quando una promessa si compie, una pace si fa,
cessa una condanna e viene il tempo della gioia, i cuori e le città dovrebbero vestirsi a festa e
rialzare le fronti abbattute, sentendo che non più odiati, vinti, percossi, ma amati e liberati sono.
Non stiamo qui a fare il processo a Gerusalemme. La carità, prima fra tutte le virtù, lo vieta.
Lasciamo dunque di osservare i cuori degli altri e guardiamo il nostro. Rivestiamo di forza il nostro
cuore con quella fede della quale ha parlato Simone, e vestiamoci a festa, perché la nostra fede
secolare nel Messia ora si incorona della realtà della cosa. Il Messia, il Santo, il Verbo di Dio è
realmente fra noi. E ne hanno la prova non soltanto le anime che si sentono dire parole di sapienza
che le fortificano e infondono santità e pace, quanto anche i corpi che per opera del Santo, al quale
tutto dal Padre è concesso, si vedono liberati dai morbi più atroci e persino dalla morte, perché le
terre e le valli della nostra Patria di Israele risuonino degli osanna al Figlio di Davide e
all’Altissimo che ha mandato il suo Verbo, siccome aveva promesso ai Patriarchi ed ai Profeti. Io
che vi parlo ero lebbroso, desinato a morire, dopo anni di angoscia crudele, nella solitudine da belva
propria dei lebbrosi. Un uomo mi disse: “Va’ a Lui, al Rabbi di Nazaret, e tu sarai guarito”. Ho
avuto fede. Sono andato. Sono stato guarito. Nel corpo. Nel cuore. Sull’uno non ho più il morbo che
separa dagli uomini. Nell’altro non ho più il rancore che separa da Dio. E con animo nuovo, da
proscritto, malato, inquieto, sono divenuto il suo servo, chiamato alla felice missione di andare fra
gli uomini, amandoli in nome suo, istruendoli nella sola necessaria conoscenza: quella che Gesù di
Nazaret è il Salvatore e che beati sono coloro che credono in Lui. 3Parla tu, ora, Giacomo d’Alfeo».
«Io sono il fratello del Nazareno. Mio padre e suo padre erano fratelli nati da un seno. Ma pure non
mi posso dire fratello, ma servo. Perché la paternità di Giuseppe, fratello a mio padre, fu una
spirituale paternità, ed in verità vi dico che il vero Padre di Gesù, Maestro nostro, è l’Altissimo che
noi adoriamo. Il quale ha permesso che la sua Divinità, Una e Trina, si incarnasse nella seconda
Persona e venisse sulla terra pur rimanendo sempre unita con Quelle che abitano il Cielo. Perché ciò
Dio può fare, l’infinitamente Potente. E lo fa per l’Amore che è la sua natura. Gesù di Nazaret è il
nostro fratello, o uomini, perché nato da donna e simile a noi per l’umanità sua. È il nostro Maestro
perché è il Sapiente, è la Parola stessa di Dio venuta a parlarci per farci di Dio. Ed è il nostro Dio,
uno essendo col Padre e con lo Spirito Santo, coi quali è sempre in unione di amore, potenza e
natura. Questa verità, che con manifeste prove fu concesso conoscesse il Giusto che mi fu parente,
sia pure vostro possesso. E contro al mondo che cercherà di strapparvi al Cristo dicendo: “È un
uomo qualunque”, rispondete: “No. È il Figlio di Dio, è la Stella nata da Giacobbe, è la Verga che si
leva là in Israele, è il Dominatore”. Non lasciatevi smuovere da nessuna cosa. Questa è la Fede. 4A
te, Andrea».
«Questa è la Fede. Io sono un povero pescatore del lago di Galilea, e nelle silenziose notti di pesca,
sotto la luce degli astri, avevo muti colloqui con me stesso. Dicevo: “Quando verrà? Sarò io vivo
ancora? Molti anni ancora mancano, secondo la profezia”. Per l’uomo dalla vita limitata anche
poche decine d’anni, sono secoli… Mi chiedevo: “Come verrà? Dove? Da chi?”. E la mia ottusità
umana mi faceva sognare regali splendori, regali dimore e cortei e clangori e potenza e insostenibile
maestà… E dicevo: “Chi potrà guardare questo grande Re?”. Lo pensavo più terrorizzante, nella sua
manifestazione, dello stesso Jeovè sul Sinai. Mi dicevo: “Gli ebrei videro là il monte lampeggiare,
ma non rimasero inceneriti perché l’Eterno era oltre i nembi. Ma qui ci guarderà con occhi mortali e
noi morremo…”. Ero discepolo del Battista. E nelle pause della pesca andavo da lui, con altri
compagni. Era un giorno di questa luna… Le rive del Giordano erano piene di folla che tremava
sotto le parole del Battista. Avevo notato un giovane bello e calmo venire per un sentiero verso di
noi. Umile la veste, dolce l’aspetto. Pareva chiedesse amore e desse amore. Il suo occhio azzurro si
posò un momento su di me, ed io provai una cosa non mai più provata. Mi parve di essere carezzato
sull’anima, di essere sfiorato da ali d’angelo. Mi sono per un momento sentito così lontano dalla
terra, così diverso, che ho detto: “Ora muoio! Questo è l’appello di Dio al mio spirito”. Ma non
sono morto. Sono rimasto affascinato nel contemplare il giovane ignoto che, a sua volta, aveva
fissato il suo sguardo azzurro sul Battista. E il Battista si volse, corse a Lui, lo inchinò. Si parlarono.
E poiché la voce di Giovanni era un tuono continuo, le misteriose parole giunsero fino a me che
ascoltavo, teso nel desiderio di conoscere chi era il giovane ignoto. La mia anima lo sentiva diverso
da tutti. Diceva: “Io dovrei essere battezzato da Te…”. “Lascia fare per ora. Conviene adempiere
ogni giustizia”… Giovanni già aveva detto: “Verrà Colui al quale io non sono degno di sciogliere i
lacci dei sandali”. Aveva già detto: “Fra di voi, in Israele, sta Uno che non conoscete. Egli tiene già
in mano il ventilabro e netterà la sua aia bruciando le paglie col fuoco inestinguibile”. Io avevo
davanti un giovane del popolo, dall’aspetto mite ed umile, eppure ho sentito che Egli era Colui al
quale neppure il Santo di Israele, l’ultimo Profeta, il Precursore, era degno di sciogliere i calzari. Ho
sentito che era Colui che noi non conoscevamo. Ma non ne ebbi paura. Anzi, quando Giovanni,
dopo il superestasiante tuono di Dio, dopo l’inconcepibile splendore della Luce in forma di colomba
di pace, disse: “Ecco l’Agnello di Dio”, io, con la voce dell’anima, giubilante di avere presentito il
Re Messia nel giovane mite ed umile d’aspetto, ho gridato con la voce dello spirito: “Credo!”. Per
questa fede sono il suo servo. Siatelo voi pure e avrete pace. 5Matteo, a te narrare le altre glorie del
Signore».
«Io non posso usare le parole serene di Andrea. Egli era un giusto, io ero un peccatore. Perciò non
ha note di festa la mia parola, ma però ha la pace confidente di un salmo. Ero un peccatore. Un
grande peccatore. Vivevo nell’errore completo. Mi ci ero indurito e non ne sentivo disagio. Se
qualche volta i farisei o il sinagogo mi sferzavano dei loro insulti o dei loro rimproveri,
ricordandomi Dio Giudice inesorabile, avevo un momento di terrore… e poi mi adagiavo nella
stolta idea: “Tanto ormai sono un dannato. Godiamo perciò, o sensi miei, finché lo possiamo”. E
più che mai sprofondavo nel peccato. Due primavere fa venne un Ignoto a Cafarnao. Anche per me
era un ignoto. Lo era per tutti poiché era all’inizio della sua missione. Solo pochi uomini lo
conoscevano per ciò che era realmente. Questi che vedete e pochi altri ancora. Mi stupì la sua
splendida virilità, casta più della castità di una vergine. Questa la prima cosa che mi colpì. Lo
vedevo austero eppure pronto ad ascoltare i bambini che andavano da Lui come le api al fiore.
Unico suo svago i loro giuochi innocenti e le loro parole senza malizia. Poi mi stupì la sua potenza.
Faceva miracoli. Dissi: “È un esorcista. Un santo”. Ma mi sentivo talmente obbrobrio rispetto a Lui,
che lo sfuggivo. Ma Egli mi cercava. O ne avevo l’impressione. Non passava una volta vicino al
mio banco senza guardarmi col suo occhio dolce e un poco mesto. E ogni volta era come un
soprassalto della coscienza intorpidita, che non tornava più allo stesso livello di torpore. Un giorno la gente magnificava sempre la sua parola - ebbi voglia di udirlo. E nascondendomi dietro uno
spigolo di casa lo sentii parlare ad un gruppetto di uomini. Parlava alla buona, sulla carità che è
come una indulgenza per i nostri peccati… Da quella sera io, l’esoso e duro di cuore, volli farmi
perdonare da Dio molti peccati. Facevo le cose in segreto… Ma Egli sapeva che ero io, perché Egli
sa tutto. Un’altra volta lo sentii spiegare proprio il capo 52 d’Isaia. Diceva che nel suo Regno, nella
Gerusalemme celeste, non saranno gli immondi e gli incirconcisi di cuore, e prometteva che quella
Città celeste della quale diceva le bellezze con tale persuasiva parola che nostalgia di essa mi venne,
sarebbe stata di chi fosse venuto a Lui. E poi,… e poi… Oh! quel giorno non fu uno sguardo di
mestizia, ma di imperio. Mi lacerò il cuore, mise a nudo l’anima mia, la cauterizzò, la prese in
pugno questa povera anima malata, la torturò col suo amore esigente… ed ebbi un’anima nuova.
Sono andato verso di Lui con pentimento e desiderio. Non attese che gli dicessi: “Signore, pietà!”.
Disse Lui: “Seguimi!”. Il Mite aveva vinto Satana nel cuore del peccatore. Questo vi dica, se alcuno
fra voi è turbato da colpe, che Egli è il Salvatore buono e che non bisogna fuggirlo ma, quanto più
si è peccatori, andare a Lui con umiltà e pentimento per essere perdonati. 6Giacomo di Zebedeo,
parla tu».
«Veramente non so cosa dire. Voi avete parlato e detto ciò che io avrei detto. Perché la verità è
questa, e non può mutare. Io pure ero con Andrea al Giordano, ma non mi accorsi di Lui altro che
quando me lo indicò il richiamo del Battista. Pure ho subito creduto e quando Egli fu partito, dopo
la sua luminosa manifestazione, io rimasi come uno che da una vetta piena di sole viene incarcerato
in buia carcere. Smaniavo di ritrovare il Sole. Il mondo era tutto senza luce, dopo che m’era apparsa
la Luce di Dio e poi m’era scomparsa. Fra gli uomini ero solo. Mentre mi saziavo avevo fame. Nel
sonno vegliavo con la parte migliore, e denaro, mestiere, affetti, tutto, erano passati dietro questa
mia smania di Lui, lontani, senza più attrattiva. Come un bambino che ha perduto la madre,
gemevo: “Torna, Agnello del Signore! Altissimo, come mandasti Raffaele a guidare Tobia, manda
il tuo angelo a condurmi sulle vie del Signore perché io lo trovi, lo trovi, lo trovi!”. Eppure quando
dopo diecine di giorni di inutile attesa, di ricerche affannose - che per la loro inutilità ci facevano
più crudele la perdita del nostro Giovanni, arrestato per una prima volta - Egli ci apparve sul
sentiero, venendo dal deserto, io non lo riconobbi subito. E qui, fratelli nel Signore, io vi voglio
insegnare un’altra via per andare a Lui e riconoscerlo. Simone di Giona ha detto che occorre fede e
umiltà per riconoscerlo. Simone Zelote ha riconfermato l’assoluta necessità della fede per
riconoscere in Gesù di Nazaret Colui che è, in Cielo e in terra, secondo quanto è detto. E Simone
Zelote necessitava di una fede ben grande, anche per sperare per il suo corpo inesorabilmente
malato. Perciò Simone Zelote dice che fede e speranza sono i mezzi per avere il Figlio di Dio.
Giacomo, fratello del Signore, dice del potere della fortezza per conservare ciò che si è trovato. La
fortezza che impedisce che le insidie del mondo e di Satana scalzino la nostra fede. Andrea mostra
tutta la necessità di unire alla fede una santa sete di giustizia, cercando di conoscere e di ritenere la
verità, quale che sia la bocca santa che l’annuncia, non per orgoglio umano d’essere dotti, ma per
desiderio di conoscere Iddio. Chi si istruisce nelle verità trova Dio. Matteo, un tempo peccatore, vi
indica un’altra via per la quale si raggiunge Dio: spogliarsi del senso per spirito di imitazione, direi
per riflesso di Dio che è Purezza infinita. Egli, il peccatore, è per prima cosa colpito dalla “virilità
casta” dell’Ignoto venuto a Cafarnao e, quasi questa avesse il potere di risuscitare la sua morta
continenza, egli si interdice per prima cosa il senso carnale, sgombrando così la via alla venuta di
Dio, e alla risurrezione delle altre morte virtù. Dalla continenza passa alla misericordia, da questa
alla contrizione, dalla contrizione al superamento di tutto se stesso e all’unione con Dio. “Seguimi”,
“Vengo”. Ma la sua anima aveva già detto: “Vengo”, e il Salvatore aveva già detto: “Seguimi”, da
quando per la prima volta la virtù del Maestro aveva attirato l'attenzione del peccatore. Imitate.
Perché ogni esperienza altrui, anche se penosa, è guida ad evitare il male e a trovare il bene in
coloro che sono di buona volontà. Io, per me, dico che più l’uomo si sforza di vivere per lo spirito e
più è atto a riconoscere il Signore, e la vita angelica favorisce ciò al sommo. Fra noi, discepoli di
Giovanni, colui che lo riconobbe, dopo l’assenza, fu l’anima vergine. Più ancora di Andrea egli lo
riconobbe, nonostante la penitenza avesse mutato il volto dell’Agnello di Dio. Onde dico: siate casti
per poterlo riconoscere. 7Giuda, vuoi parlare tu, ora?».
«Sì. Siate casti per poterlo riconoscere. Ma siatelo anche per poterlo conservare in voi con la sua
Sapienza, col suo Amore, con tutto Se stesso. È ancora Isaia che dice, nel 52° capo: “Non toccate
ciò che è impuro,... purificatevi voi che portate i vasi del Signore”. Veramente che ogni anima che
si fa sua discepola è simile ad un vaso colmo del Signore, ed il corpo che la contiene è come colui
che porta il vaso sacro al Signore. Non può Dio stare dove è impurità. Matteo ha detto come il
Signore spiegasse che nulla di immondo e di separato da Dio sarà nella Gerusalemme celeste. Sì.
Ma occorre non essere immondi quaggiù, né da Dio separati, per potervi entrare. Infelici coloro che
si rimettono all’estrema ora per pentirsi. Non sempre avranno tempo di farlo. Così come coloro che
ora lo calunniano non avranno tempo di rifarsi un cuore al momento del suo trionfo e non godranno
perciò dei frutti di esso. Coloro che nel Re santo e umile sperano di vedere un monarca terreno, e
più ancora quelli che temono di vedere in Lui un monarca terreno, saranno impreparati per
quell’ora; tratti in inganno e delusi nel loro pensiero, che non è il pensiero di Dio ma un povero
pensiero umano, peccheranno vieppiù. L’umiliazione di esser l’Uomo è su di Lui. Questo dobbiamo
ricordarlo. Isaia lo dice che tutti i nostri peccati tengono mortificata la Persona Divina sotto
un’apparenza comune. Quando io penso che il Verbo di Dio ha intorno a Sé, come una crosta
sudicia, tutta la miseria dell’umanità da quando essa è, penso con profonda compassione e con
profonda comprensione alla sofferenza che deve averne la sua anima senza colpa. Il ribrezzo di un
sano che venisse ricoperto dei cenci e delle lordure di un lebbroso. È veramente il trafitto dai nostri
peccati, il piagato da tutte le concupiscenze dell’uomo. La sua anima, vivente fra noi, deve tremare
nei contatti come per ribrezzo di febbre. Eppure Egli non parla. Non apre bocca per dire: “Mi fate
orrore”. Ma la apre solo per dire: “Venite a Me, che Io vi levi le vostre colpe”. È il Salvatore. Nella
sua infinita bontà ha voluto velare la sua insostenibile bellezza. Quella che, se fosse apparsa quale è
nel Cielo, ci avrebbe inceneriti, come disse Andrea. Quella ora si è fatta attraente, come di Agnello
mansueto, per poterci avvicinare e salvare. La sua oppressione, la sua condanna durerà finché,
consumato dallo sforzo di essere l’Uomo perfetto fra gli uomini imperfetti, sarà innalzato sopra la
moltitudine dei riscattati, nel trionfo della sua regalità santa. Dio che conosce la morte, per salvare
noi alla Vita! Questi pensieri ve lo facciano amare sopra ogni cosa. Egli è il Santo. Io lo posso
dire, io che con Giacomo sono cresciuto con Lui. E lo dico e lo dirò, pronto a dare la mia vita per
firmare questa confessione, perché gli uomini credano in Lui ed abbiano la Vita Eterna. 8Giovanni
di Zebedeo, a te sta di parlare».
«Quanto sono belli sui monti i piedi del messaggero! Del messaggero di pace, di Colui che
annunzia la felicità e predica la salute, di Colui che dice a Sion: “Regnerà il tuo Dio!”. E questi
piedi vanno instancabili da due anni per i monti d’Israele chiamando a raccolta le pecore del gregge
di Dio, confortando, sanando, perdonando, danno pace. La sua pace. Veramente mi è stupore vedere
che non ne trasalgano di gioia i colli e non esultino le acque della patria alla carezza del suo piede.
Ma ciò che più mi stupisce è di vedere che non trasalgano di gioia i cuori e non esultino dicendo:
“Lode al Signore! L’Atteso è venuto! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!”, Colui che
sparge grazie e benedizioni, pace e salute, e chiama al Regno aprendocene la via; Colui, soprattutto,
che effonde amore da ogni suo atto o parola, da ogni sguardo, da ogni respiro. Che è dunque questo
mondo per essere cieco alla Luce che vive fra noi? Quali lastre, spesse più della pietra che è alle
porte dei sepolcri, ha dunque murate sulla vista dell’anima per non vedere questa Luce? Quali
montagne di peccati ha su se stesso per essere così oppresso, separato, acciecato, assordito,
incatenato, paralizzato, di modo da rimanere inerte davanti al Salvatore? Cosa è il Salvatore? È la
Luce fusa con l’Amore. La bocca dei miei fratelli ha magnificato le lodi del Signore, rievocato le
sue opere, indicato le virtù da praticare per giungere alla sua via. Io vi dico: amate. Non c’è altra
virtù più grande e più simile alla sua Natura. Se voi amerete, tutte le virtù praticherete senza fatica,
cominciando dalla castità. Né vi sarà di peso essere casti, perché amando Gesù niun’altro amerete
smodatamente. Sarete umili perché vedrete in Lui le sue infinite perfezioni con occhi d’amante, e
perciò non insuperbirete delle vostre, minime. Sarete credenti. E chi non crede in chi ama? Sarete
contriti dal dolore che salva, perché il vostro sarà retto dolore, ossia dolore per la pena a Lui data
non per quella da voi meritata. Sarete forti. Oh! sì! Uniti a Gesù si è forti! Forti contro ogni cosa.
Sarete pieni di speranza perché non dubiterete del Cuor dei cuori che vi ama con tutto Se stesso.
Sarete sapienti. Tutto sarete. Amate Colui che annunzia la felicità vera, che predica la salute, che va
instancabile per monti e valli, chiamando il gregge a raccolta, e sulla sua via è la Pace, e pace è nel
suo Regno che non è di questo mondo, ma che è vero come vero è Dio. Lasciate ogni strada che la
sua non sia. Liberatevi da ogni nebbia. Andate alla Luce. Non siate come il mondo che non vuole
vedere la Luce, che non la vuole conoscere. Ma andate al Padre nostro che è il Padre delle luci, che
Luce senza misura è, attraverso al Figlio che è la Luce del mondo, per godere Dio nell’abbraccio
del Paraclito che è il folgoreggiare delle Luci in una sola beatitudine d’amore, che i Tre accentra in
Uno. Infinito oceano dell’Amore, senza tempeste, senza tenebre, accoglici! Tutti! Gli innocenti
come i convertiti. Tutti! Nella tua pace! Tutti! Per l’eternità. Tutti, sulla terra, perché amiamo Te,
Dio, e il prossimo come Tu vuoi. Tutti, nel Cielo, perché ancora e sempre amiamo non solo Te e i
celesti abitanti, ma anche, e ancora, i fratelli militanti sulla terra in attesa della pace, e come angeli
di amore li difendiamo e sorreggiamo nelle lotte e nelle tentazioni, perché poi possano essere teco
nella tua pace, a gloria eterna del Signore nostro Gesù, Salvatore, Amatore dell’uomo, fino al limite
senza limite dell’annichilimento sublime».
9Come sempre, Giovanni, salendo nei suoi voli d’amore, porta seco le anime dove è rarefazione
d’amore e silenzio mistico.
Solo dopo qualche tempo ritorna sulle labbra degli ascoltatori la parola. E il primo a dirla è Filippo,
rivolgendosi a Pietro. «E Giovanni pedagogo, non parla?».
«Egli vi parlerà per noi continuamente. Ora lasciatelo nella sua pace e lasciateci con lui alquanto.
Tu, Saba, fa’ ciò che ti ho detto prima, e così pure tu, buona Berenice…».
10Tutti escono, rimanendo nella vasta stanza gli otto coi due. Vi è un silenzio grave. Sono tutti un
poco pallidi, gli apostoli perché sanno ciò che sta per accadere, e i due discepoli perché lo
presentono.
Pietro apre la bocca, ma non trova che questa parola: «Preghiamo», e intona il «Pater noster». Poi,
ed è proprio pallido come forse non sarà nella morte, dice, andando fra i due e mettendo loro una
mano sulla spalla: «È l’ora del commiato, figli. Che devo dire al Signore a nome vostro? A Lui che
certo ansioso sarà di sapere la santità vostra?».
Sintica scivola in ginocchio coprendosi il volto con le mani e Giovanni la imita. Pietro li ha ai piedi
e macchinalmente li carezza, mentre si morde le labbra per non cedere all’emozione.
Giovanni di Endor alza un volto straziato e dice: «Dirai al Maestro che noi facciamo la sua
volontà…». E Sintica: «E che ci aiuti a compierla fino alla fine…». Ma il pianto impedisce più
lunghe frasi.
«Sta bene. Diamoci il bacio di addio. Quest’ora doveva venire…». Anche Pietro si ferma, strozzato
da un nodo di pianto.
«Prima benedicici» prega Sintica.
«No. Non io. Meglio uno dei fratelli di Gesù…».
«No. Tu sei il capo. Noi li benediremo col bacio. Benedicici tutti, sia noi che partiamo come essi
che restano» dice il Taddeo, inginocchiandosi per primo.
E Pietro, il povero Pietro, che ora è rosso dallo sforzo di tenere ferma la voce e dall’orgasmo di
benedire a mani tese verso il piccolo nucleo prono ai suoi piedi, dice, con voce fatta ancor più aspra
dal pianto, una voce quasi di vecchio, la benedizione mosaica… Poi si china, bacia sulla fronte la
donna come fosse una sorella, alza e abbraccia, baciandolo forte, Giovanni e… scappa
coraggiosamente fuori della stanza, mentre gli altri imitano il suo atto con i due che restano…
Fuori il carro è già pronto. Non è presente che Filippo e Berenice, e il servo che tiene il cavallo.
Pietro è già sul carro…
«Dirai al padrone che abbia pace circa i suoi raccomandati» dice Filippo a Pietro.
«Dirai a Maria che io sento la pace di Eucheria da quando ella è la discepola» dice piano Berenice
allo Zelote.
«Direte al Maestro, a Maria, a tutti, che li amiamo, e che… Addio! Addio! Oh! Non lo vedremo
più! Addio, fratelli! Addio!…».
Corrono fuori, sulla via, i due discepoli… Ma il carro, che è partito al trotto, ha ormai svoltato
l’angolo… Sparito…
«Sintica!».
«Giovanni!».
«Siamo soli!».
«Dio è con noi!… Vieni, povero Giovanni. Il sole cala, ti fa male restar qui…».
«Il sole è calato per sempre per me… Solo in Cielo risorgerà».
Ed entrano dove prima erano gli altri, abbandonandosi su un tavolo, piangendo senza più freno…
11Dice Gesù:
«E il tormento causato da un uomo, non voluto altro che dall’uomo cattivo, fu compìto, fermandosi
come corso d’acqua che si ferma in un lago dopo aver fatto il suo corso…
Ti faccio osservare come anche Giuda d’Alfeo, per quanto nutrito di sapienza più degli altri, dia al
brano di Isaia, sulle mie sofferenze di Redentore, una spiegazione umana. E così era tutto Israele,
che si rifiutava di accettare la realtà profetica e contemplativa le profezie sui miei dolori come
allegorie e simboli. Il grande errore per cui, nell’ora della Redenzione, ben pochi in Israele seppero
ancora vedere il Messia nel Condannato.
La Fede non è solo una corona di fiori. Ha spine anche. Ed è santo colui che sa credere nelle ore di
gloria come nelle ore tragiche, e sa amare sia che Dio lo copra di fiori o lo adagi sulle spine».
325. Gli otto apostoli si riuniscono a Gesù presso Aczib.
10 novembre 1945.
1Gesù - un Gesù molto magro e pallido, molto mesto, direi sofferente - è sulla cima, proprio sulla
cima più alta di un monticello sul quale è anche un paese. Ma Gesù non è nel paese che è in vetta,
sì, ma volto sulla pendice sud-est. Gesù, invece, è su uno speroncello, il più alto, volto a nord-ovest.
Più ovest che nord, veramente.
Gesù, guardando come fa da più lati, vede perciò una catena ondulata di monti che all’estremo
nord-ovest e sud-ovest tuffa l’ultima propaggine in mare: a sud-ovest col Carmelo, che sfuma
lontano nella giornata serena; a nord-ovest con un capo tagliente come uno sperone di nave, molto
simile alle nostre Apuane per vene rocciose biancheggianti al sole. Da questa catena ondulata di
monti scendono torrenti e fiumicelli, tutti ben colmi d’acque in questa stagione, che per la pianura
costiera corrono a gettarsi nel mare. Presso l’ampia baia di Sicaminon, il più rigoglioso di essi, il
Kison, sfocia a mare dopo aver quasi fatto uno specchio d’acqua alla confluenza di un altro
fiumiciattolo, presso a foce. Il sole meridiano di una giornata serena trae luccichii di topazi o di
zaffiri dai corsi d’acqua, mentre il mare è un immenso zaffiro venato di leggere collane di perle.
La primavera del sud si delinea già con le foglie novelle che erompono dalle gemme dischiuse,
tenere, lucide, direi verginali tanto sono novelle, ignare di polvere e di tempeste, di morsi di insetti e
di contatti d’uomo. E i rami dei mandorli sono già fiocchi di spuma bianco-rosata, così soffici, così
aerei, che dànno l’impressione abbiano a staccarsi dal tronco natale e veleggiare per l’aria serena
come piccole nubi. Anche i campi della pianura, non vasta ma fertile, compresa fra il capo a nordovest e quello a sud-ovest, mostrano un tenero verzicare di grani che levano ogni tristezza ai campi,
solo poco tempo prima nudi.
Gesù guarda. Dal punto dove è, vede tre strade. Quella che esce dal paese e viene a finire lì, una
stradetta adatta solo a persone, e altre due che dal paese scendono biforcandosi in direzione opposta:
verso nord-ovest, verso sud-ovest.
Che Gesù patito è mai! Segnato dalla penitenza molto più di quando digiunò nel deserto. Allora era
l’uomo impallidito ma ancora giovane e gagliardo. Ora è l’uomo emunto da un complesso soffrire
che accascia tanto le forze fisiche come le forze morali. Il suo occhio è moto mesto, una mestizia
dolce e severa insieme. Le gote, assottigliate, fanno ancor più risaltare la spiritualità del suo profilo,
della fronte alta, del naso lungo e diritto, della bocca dalle labbra assolutamente prive di sensualità.
Un viso angelico, tanto esclude la materialità. Ha la barba più lunga del solito, cresciuta anche sulle
guance fino a confondersi con i capelli che cadono sulle orecchie, di modo che del suo volto sono
visibili solo la fronte, gli occhi, il naso e gli zigomi sottili e di un color avorio senz’ombra di roseo.
Ha i capelli ravviati rudimentalmente, resi opachi e conservanti, per ricordo dell’antro dove è stato,
tante piccole parti di foglie secche e di stecchi rimasti aggrovigliati nella lunga capigliatura. E la
veste e il mantello, spiegazzati e polverosi, denunciano, pure loro, il luogo selvaggio in cui furono
portati e usati senza sosta.
2Gesù guarda… Il sole del mezzodì lo scalda, e sembra che Egli ne abbia piacere perché sfugge
l’ombra di alcuni roveri per venire proprio al sole, ma per quanto sia un sole netto, splendente, non
accende splendori nei suoi capelli polverosi, nei suoi occhi stanchi, né dà colore al suo viso
smagrito.
Non è il sole che lo ristora e avviva nei colori. Ma è la vista dei suoi cari apostoli, che salgono
gesticolando e guardando verso il paese dalla strada che viene da nord-ovest, la più piana. Allora
avviene la metamorfosi. L’occhio gli si avviva e il viso pare divenire meno macilento per una
sfumatura di roseo che si stende sulle gote e più per il sorriso che lo illumina. Disserra le braccia
che aveva conserte ed esclama: «I miei cari!». Lo dice alzando il volto, girando l’occhio sulle cose,
quasi a comunicare a steli e piante, al cielo sereno, all’aria che già sa di primavera, la sua gioia.
Raccoglie il mantello ben stretto intorno al corpo, perché non si impigli nei cespugli, e scende
rapido per una scorciatoia incontro a loro che salgono e che non lo hanno ancora visto. Quando è a
portata di voce li chiama, per arrestarli nel loro andare verso il paese.
Essi sentono il richiamo lontano. Forse dal punto dove sono non possono vedere Gesù, il cui abito
scuro si confonde col folto del bosco che copre la pendice. Si guardano incontro, gestiscono… Gesù
li chiama di nuovo… Infine una radura nel bosco lo mostra ai loro occhi, nel sole, con le braccia un
po’ tese, come li volesse abbracciare. Allora è un grande grido che si ripercuote sulla costa: «Il
Maestro!», e una grande corsa su per i greppi, lasciando la via, graffiandosi, inciampando, ansando,
senza sentire il peso delle sacche, la fatica dell’andare… portati dalla gioia di rivederlo.
3Naturalmente i primi ad arrivare sono i più giovani e i più agili, ossia i due figli di Alfeo dal passo
sicuro di chi è nato sui colli, e Giovanni e Andrea che corrono come due cerbiatti, ridendo felici. E
gli cadono ai piedi, amorosi e riverenti, felici, felici, felici… Poi arriva Giacomo di Zebedeo; ultimi,
quasi insieme, i tre meno esperti di corse e di montagne, Matteo e lo Zelote; e ultimo, proprio
ultimo, Pietro.
Ma si fa largo - oh! se si fa largo! - per giungere al Maestro stretto alle gambe dai primi arrivati, che
non si stancano di baciargli le vesti o le mani che Egli ha abbandonato a loro. Prende energicamente
Giovanni e Andrea, attaccati, come ostriche ad uno scoglio, alle vesti di Gesù, e ansando per la
fatica fatta li scansa tanto da poter cadere lui ai piedi di Gesù dicendo: «Oh! Maestro mio! Ora torno
a vivere, finalmente! Non ne potevo più. Sono invecchiato e smagrito come fossi stato malato forte.
Guarda se non è vero, Maestro…», e alza il capo per farsi guardare da Gesù. Ma nel farlo vede lui il
mutamento di Gesù e sorge in piedi gridando: «Maestro!? Ma che hai fatto? Stolti! Ma guardate!
Non vedete niente voi? Gesù è stato malato!… 4Maestro, Maestro mio, che hai avuto? Dillo al tuo
Simone!».
«Nulla, amico!».
«Nulla? Con quel viso? Allora ti hanno fatto del male?».
«Ma no, Simone».
«Non è possibile! O malato o perseguitato sei stato! Ho gli occhi io!…».
«Io pure. E vedo te smagrito e invecchiato, infatti. Perché, allora, sei così?» chiede sorridendo il
Signore al suo Pietro, che lo scruta come volesse leggere la verità dai capelli, dalla pelle, dalla barba
di Gesù.
«Ma io ho sofferto, io! E non lo nego. Credi che sia stato piacevole vedere tanto dolore?».
«Lo hai detto! Io pure ho sofferto per lo stesso motivo…».
«Proprio solo per quello, Gesù?» chiede impietosito e affettuoso Giuda d’Alfeo.
«Per il dolore, sì, fratello mio. Per il dolore causato dalla necessità di mandare via…».
«E per il dolore di esservi stato costretto da…».
«Ti prego!… Silenzio! Mi è più caro il silenzio sulla mia ferita di ogni parola che voglia consolare
dicendomi: “Io so perché hai sofferto”. Del resto, sappiatelo tutti, ho sofferto di molte cose, non di
quella sola. E se Giuda non mi avesse interrotto ve lo avrei detto». Gesù è austero nel dire questo.
Tutti ne restano intimoriti.
Ma Pietro è il primo a riprendersi e chiede: «E dove sei stato, Maestro? Che hai fatto?».
«Sono stato in una grotta… a pregare… a meditare… a fortificare lo spirito mio, a ottenervi
fortezza, a voi nella vostra missione, a Giovanni e Sintica nel loro soffrire».
«Ma dove, dove? Senza vesti, senza denaro! Come hai fatto?». Simone è agitato.
«In una grotta non necessitavo di nulla».
«Ma il cibo? Ma il fuoco? Ma il letto? Ma… tutto insomma! Io ti speravo almeno ospite, come un
pellegrino smarrito, a Jiftael, altrove, in una casa insomma. E questo mi dava un poco di pace. Ma
però, eh? Ditelo voi se non era il mio tormento il pensiero che Lui era senza vesti, senza cibo, senza
modo di procurarselo,senza, soprattutto questo, senza volontà di procurarselo. Ah! Gesù! Questo
non lo dovevi fare! E non me lo farai mai più! Non ti lascerò più per un’ora. Mi cucirò alla tua
veste, per venirti dietro come un’ombra, sia che Tu voglia o che Tu non voglia. Solo se muoio sarò
separato da Te».
«O se Io muoio».
«Oh! Tu no. Tu non devi morire prima di me. Non lo dire. Mi vuoi rattristare del tutto?».
«No. Anzi mi voglio con te, con tutti, rallegrare in questa bell’ora che mi riporta i miei cari,
prediletti amici. Vedete! Sto già meglio perché il vostro amore sincero mi nutre, mi scalda, mi
consola di tutto».
E li carezza, uno per uno, mentre i loro volti splendono in un sorriso beato e gli occhi luccicano e
tremano le labbra per l’emozione di queste parole, mentre chiedono: «Davvero, Signore?», «Proprio
così, Maestro?», «Tanto cari ti siamo?».
«Sì. Tanto cari. 5Avete cibo con voi?».
«Sì. Me lo sentivo che Tu eri sfinito e l’ho preso per via. Ho pane e carne arrostita, ho latte e
formaggi e mele, più una borraccia con vino generoso ed uova per Te. Purché non si siano rotte…».
«Ebbene, sediamo allora qui, a questo bel sole, e mangiamo. Mentre mangiamo mi direte…».
Si siedono al sole su un balzo e Pietro apre la sua sacca, osserva i suoi tesori: «Tutto salvo!»
esclama. «Anche il miele di Antigonio. Macché! Se l’ho detto io! Anche se al ritorno ci fossimo
messi in una botte e fatti rotolare da un matto, o su una barca senza remi, bucata magari, in ora di
tempesta, saremmo arrivati sani e salvi... Ma nell'andare! Sempre più mi convinco che prima era il
Demonio che ci ostacolava. Per non farci andare con quei poverini…».
«Già! ora non aveva più scopo…» conferma lo Zelote.
«Maestro, hai fatto penitenza per noi?» chiede Giovanni che si dimentica di mangiare per
contemplare Gesù.
«Sì, Giovanni. Vi ho seguiti col pensiero. Ho sentito i vostri pericoli e le vostre afflizioni. Vi ho
aiutato come ho potuto…».
«Oh! io l’ho sentito! Ve l’ho anche detto. Ve lo ricordate?».
«Sì. È vero» confermano tutti.
«Ebbene, ora voi mi rendete ciò che vi ho dato».
«Hai digiunato, Signore?» chiede Andrea.
«Per forza! Anche se avesse voluto mangiare, senza denaro, in una grotta, come volevi che
mangiasse?» gli risponde Pietro.
«Per causa nostra! Come ne ho dolore!» dice Giacomo d’Alfeo.
«Oh! no! Non ve ne affliggete! Non per voi soli. Anche per tutto il mondo. 6Come ho fatto quando
iniziai la missione, così ho fatto ora. Allora fui, alla fine, soccorso dagli angeli. Ora lo sono da voi.
E, credetelo, mi è duplice gioia. Perché negli angeli è inderogabile il ministero della carità. Ma negli
uomini è meno facile a trovarsi. Voi lo esercitate. E da uomini siete, per mio amore, divenuti
angeli, avendo scelto la santità contro ogni cosa. Perciò mi fate felice come Dio e come Uomo-Dio.
Perché mi date ciò che è di Dio: la Carità; e mi date ciò che è del Redentore: la vostra elevazione
alla Perfezione. Questo mi viene da voi ed è più nutriente d’ogni cibo. Anche allora, nel deserto, fui
nutrito di amore dopo il digiuno. E ne fui ristorato. Così ora, così ora! Abbiamo tutti sofferto. Io e
voi. Ma non è stata inutile sofferenza. Io credo, Io so che essa vi ha giovato più di un anno intero di
ammaestramento. Il dolore, la meditazione di ciò che può fare l’uomo di male ad una suo simile, la
pietà, la fede, la speranza, la carità che avete dovuto esercitare, e da soli, vi hanno maturati come
fanciulli che divengono uomini…».
«Oh! sì! Sono diventato vecchio, io. Non sarò mai più il Simone di Giona che ero alla partenza. Ho
capito come è dolorosa, faticosa, nella sua bellezza, la nostra missione…» sospira Pietro.
«Ebbene, ora siamo qui insieme. 7Narrate dunque…».
«Parla tu, Simone. Sai dire meglio di me» dice Pietro allo Zelote.
«No. Tu, da bravo capo, riferisci per tutti» risponde l’altro.
E Pietro comincia, dicendo a premessa: «Ma voi aiutatemi». Racconta con ordine fino alla partenza
da Antiochia. Poi inizia il racconto del ritorno: «Soffrivamo tutti, sai? Non dimenticherò mai le
ultime voci di quei due…». Pietro si asciuga col dorso della mano due lacrimoni che rotolano
improvvisi… «Mi sono sembrati l’ultimo grido di uno che affoga… Mah! Insomma, dite voi io non
posso…», e si alza andando un po’ in là per domare la sua emozione.
Parla Simone Zelote: «Non abbiamo parlato, nessuno, per molta via… Non potevamo parlare… La
gola ci doleva per tanto che era gonfia di pianto… E non volevamo piangere… perché se avessimo
cominciato, anche uno solo, sarebbe stata finita. Avevo preso le redini io perché Simone di Giona,
per non far vedere che soffriva, si era messo in fondo al carro rovistando nelle sacche. Ci siamo
fermati ad un paesino a mezza via fra Antiochia e Seleucia. Per quanto la luna si facesse chiara più
la notte si faceva alta, pure, non pratici come eravamo, ci siamo fermati lì. E abbiamo sonnecchiato
fra le nostre robe. Non abbiamo mangiato, nessuno, perché… non potevamo. Pensavamo a quei
due… Alla prima luce dell’alba abbiamo passato il ponte e siamo arrivati prima dell’ora di terza a
Seleucia. Abbiamo riportato il carro e il cavallo all’albergatore e - era tanto un buon uomo - ci
siamo consigliati con lui per la nave. Ha detto: “Vengo al porto io. Sono conosciuto e conosco”. E
così ha fatto. Ha trovato tre navigli in partenza per questi porti. Ma su uno erano certi… esseri che
non abbiamo voluto avere vicini. Ce lo ha detto l’uomo, che lo aveva saputo dal padrone della nave.
La seconda era di Ascalona, e non voleva fare scalo per noi a Tiro, a meno di una somma che non
avevamo più. La terza era un navicello ben meschino, carico di legname greggio. Una povera barca,
con poca ciurma e, credo, con molta miseria. Per questo, pure essendo diretta a Cesarea, acconsentì
a fermarsi a Tiro, previo sborso di una giornata di vitto e di paga per tutta la ciurma. Ci conveniva.
Io, veramente, e con me Matteo, avevo un poco paura. È tempo di tempeste… e Tu sai cosa si trovò
nell’andare. Ma Simon Pietro disse: “Non accadrà nulla”. E vi montammo. Pareva che gli angeli
fossero le vele della nave, tanto andava liscia e veloce. Meno della metà del tempo impiegato
nell’andare ci tenemmo a giungere a Tiro, e lì fu così buono il padrone che ci concesse di
rimorchiare la barca fino presso a Tolemaide. Dentro vi scesero Pietro e Andrea con Giovanni, per
le manovre. Ma era molto semplice… Non come nell’andare… A Tolemaide ci separammo. Ed
eravamo così contenti che gli abbiamo dato ancora denaro oltre il pattuito, prima di scendere tutti
nella barca dove erano già le nostre cose. A Tolemaide abbiamo sostato un giorno, poi siamo venuti
qui… Ma non dimenticheremo mai il sofferto. Simone di Giona ha ragione».
«Non abbiamo ragione, anche, di dire che il Demonio ci ostacolava solo nell’andare?» chiedono più
d’uno.
«Avete ragione. 8Ora ascoltate. La vostra missione è finita. Ora torneremo verso Jiftael, in attesa di
Filippo e Natanaele. E occorre farlo presto. Poi verranno gli altri… Intanto evangelizzeremo qui, ai
confini della Fenicia, nella Fenicia stessa. Però quanto è avvenuto è seppellito per sempre nei nostri
cuori. A nessuna domanda sarà data risposta».
«Neppure a Filippo e Natanaele? Essi sano che siamo venuti con Te…».
«Parlerò Io. Ho sofferto, amici, e voi lo avete visto. Ho pagato con la mia sofferenza la pace di
Giovanni e Sintica. Fate che il mio soffrire non sia inutile. Non aggravate le mie spalle di un peso.
Ne ho già tanti!… E il loro peso cresce giorno per giorno, ora per ora… Dite a Natanaele che ho
molto sofferto. Ditelo a Filippo, e che siano buoni. Ditelo agli altri due. Ma non dite di più. Dire che
avete capito che ho sofferto, e che ve l’ho confermato, è verità. Non occorre di più».
Gesù parla stancamente… Gli otto lo guardano dolenti, e Pietro osa accarezzarlo sulla testa,
standogli alle spalle. Gesù alza il capo e guarda il suo onesto Simone con un sorriso di una mestizia
affettuosa.
«Oh! Non posso vederti così! Mi sembra, ho la sensazione che la gioia della nostra unione sia
cessata e che di essa resti la santità, solo quella! Intanto!… Andiamo ad Aczib. Ti muterai la veste,
ti raderai le guance ed ordinerai i capelli.. Così no, non così! Non ti posso vedere così… Mi
sembri… uno sfuggito da mani crudeli, un percosso, un esausto… Mi sembri Abele di Betlemme di
Galilea, liberato dai suoi nemici…».
«Sì, Pietro. Me è il cuore del tuo Maestro che è malmenato… e quello non guarirà mai più…
Sempre più, anzi, sarà ferito. Andiamo…».
9Giovanni sospira: «Mi spiace… Avrei voluto raccontare a Toma, tanto amante della Madre tua, il
miracolo della canzone e dell’unguento…».
«Lo dirai un giorno… Non ora. Tutto direte un giorno. Allora potrete parlare. Io stesso vi dirò:
“Andate a dire tutto ciò che sapete”. Ma intanto sappiate vedere nel miracolo la verità. Questa: la
potenza della fede. Tanto Giovanni come Sintica hanno calmato il mare e guarito l’uomo non per le
parole, non per l’unguento. Ma per la fede con la quale hanno usato il nome di Maria e l’unguento
fatto da Lei. E anche: ciò avvenne perché intorno alla loro fede era la vostra, di tutti voi, e la vostra
carità. Carità verso il ferito. Carità verso il cretese. All’uno voleste conservare la vita, all’altro dare
la fede. Ma se è ancora facile curare i corpi, è ben dura cosa curare gli animi… Non vi è morbo più
difficile a debellare di quello spirituale…», e Gesù sospira forte.
Sono in vista di Aczib. Pietro va avanti con Matteo per trovare alloggio. Lo seguono gli altri, stretti
intorno a Gesù. Il sole cala rapidamente, mentre entrano in paese…
326. Una sosta ad Aczib.
11 novembre 1945.
1«Signore, questa notte ho pensato… Perché vuoi venire Tu tanto lontano, per poi tornare ai confini
fenici? Lascia andare me con un altro. Venderò Antonio… Me ne dispiace… ma ora non serve più e
darebbe nell’occhio. E andrò incontro a Filippo e Bartolomeo Non possono fare che quella strada e
li incontrerò di certo. E Tu puoi stare certo che io non parlerò. Non voglio darti dolori, io… Tu
riposi qui, con gli altri, ci risparmiamo tutta quella strada di Jiftael… e facciamo più presto» dice
Pietro mentre escono dalla casa dove hanno dormito. E sembrano meno sparuti perché hanno vesti
fresche, e barbe e capelli sono stati aggiustati da mano esperta.
«Il tuo pensiero è buono. Non ti impedisco di farlo. Va’ pure con chi vuoi dei compagni».
«Con Simone, allora. Signore, benedicici».
Gesù li abbraccia dicendo: «Con un bacio. Andate».
Li guardano andare, scendendo lesti verso la pianura.
«Come è buono Simone di Giona! In questi giorni l’ho apprezzato come mai avevo fatto prima»
dice Giuda Taddeo.
«Anche io» dice Matteo. «Mai egoista, mai superbo, mai esigente».
«Non si è mai prevalso di essere il capo. Anzi! Sembrava l’ultimo di noi, pure serbando il suo
posto» aggiunge Giacomo d’Alfeo.
«A noi non fa stupore. Lo conosciamo da anni. Focoso, ma tutto cuore. E così onesto, poi!» dice
Giacomo di Zebedeo.
«Mio fratello è buono, anche se è rude. Ma da quando poi è con Gesù si è fatto buono il doppio. Io
ho un carattere tutto diverso, e delle volte lui ci si inquietava. Ma era perché capiva che io soffrivo
di quel carattere. Per mio bene si inquietava. Quando lo si è capito, si va d’accordo con lui» dice
Andrea.
2«In questi giorni ci siamo sempre capiti e siamo stati un sol cuore» asserisce Giovanni.
«Ma già! L’ho notato anche io. In tutta una luna, e in momenti anche d’orgasmo, non abbiamo mai
avuto malumori… Mentre delle volte… non so perché…» monologa Giacomo di Zebedeo.
«Perché? Ma è facile a capirsi! Perché siamo retti nella nostra intenzione. Perfetti no. Ma retti sì. E
perciò accettiamo il bene che uno propone, o scartiamo il male che uno di noi ci indica per tale,
mentre prima non lo avevamo intuito da noi. Perché? Ma è facile dirlo. Perché noi otto abbiamo un
solo pensiero: fare le cose in modo da dare gioia a Gesù. Ecco tutto!» esclama il Taddeo.
«Non credo che gli altri abbiano altro pensiero» dice conciliante Andrea.
«No. Non Filippo, non Bartolomeo, sebbene questo molto anziano e molto Israele… e neppure
Toma, per quanto molto più uomo che spirito. Farei torto a questi se li accusassi di… Gesù, hai
ragione. Perdona. Ma se sapessi cosa è per me vedere che Tu soffri. E per lui! Io ti sono discepolo
come tutti gli altri. Ma in più ti sono fratello e amico, e il focoso sangue d’Alfeo è in me. Gesù, non
mi guardare così severo né triste. Tu sei l’Agnello e io… il leone. E credi che stento a trattenermi
dal lacerare con una zampata la rete di calunnie che ti avvolge e dall’abbattere il riparo nel quale si
cela il vero nemico. Vorrei vedere la realtà del suo viso spirituale, al quale do un nome… e forse
calunnio così; ed al quale darei un segno, se riuscissi a conoscerlo senza sbaglio possibile, che gli
leverei per sempre la voglia di nuocerti» dice veemente il Taddeo, che è stato trattenuto, al principio
del suo dire, da un’occhiata di Gesù.
Giacomo di Zebedeo gli risponde: «Dovresti segnare metà Israele!… Ma Gesù procederà lo stesso.
Lo hai visto in questi giorni se nulla può contro Gesù. 3Che facciamo, ora, Maestro? Hai parlato
qui?».
«No. Ero giunto su queste pendici da men di un giorno. Ho dormito nella selva».
«Perché non ti hanno voluto?».
«Il loro cuore respinse il Pellegrino… Ero senza denaro…».
«Sono cuori di pietra, allora! Di che temevano?».
«Che io fossi un ladrone… Ma non importa. Il Padre che è nei Cieli mi fece trovare una capra,
smarrita o fuggita. Venite, ve la mostro. Vive nel folto col suo capretto. Ma non è fuggita
vedendomi arrivare. Anzi mi lasciò spremere il suo latte nella mia bocca… come fossi un suo nato
Io pure. E ho dormito vicino ad essa, col caprettino quasi sul cuore. Dio è buono col suo Verbo!».
Vanno verso il luogo di ieri, in una macchia folta e spinosa. Un rovere secolare, che non so come
possa vivere così fenduto alla base come se il terreno si fosse aperto e lo avesse divaricato nel
tronco poderoso, tutto fasciato di edere verdi e di rovi, per ora privi di foglie, sta in mezzo ad essa.
E lì presso pascola la capra col suo capretto, e vedendo tanti uomini punta le corna in difesa. Ma poi
riconosce Gesù e si calma. Le buttano croste di pane e si ritirano.
«Ho dormito là» spiega Gesù. «E vi sarei rimasto se non foste venuti. Ormai avevo fame. Lo scopo
del digiuno era finito… Non occorreva insistere per altre cose che non sono mutabili più»… Gesù è
di nuovo mesto…
I sei si sbirciano, ma non dicono niente.
«E ora? Dove andiamo?»
«Rimaniamo qui, per oggi. Domani scenderemo a predicare sulla via di Tolemaide e poi andremo
verso i confini fenici per tornare qui avanti il sabato».
E lentamente tornano in paese.
327 .Ai confini della Fenicia. Discorso sulla uguaglianza dei popoli e parabola del lievito.
[senza data]
1La strada che dalla Fenicia viene verso Tolemaide è una bella strada che taglia, diritta diritta, la
pianura fra il mare e i monti. E per il modo come è mantenuta, è molto frequentata. Sovente tagliata
da strade minori, che dai paesi dell’interno vanno a quelli della costa, offre numerosi crocivia
presso i quali è generalmente una casa, un pozzo e una rudimentale mascalcia per i quadrupedi che
possono aver bisogno di ferri.
Gesù, coi sei rimasti con Lui, percorre un bel tratto di strada, due chilometri e più, sempre vedendo
le stesse cose. Infine si ferma presso una di queste case con pozzo e mascalcia, ad un bivio presso
un torrente sormontato da un ponte che, per essere robusto, ma largo appena quanto basta al
passaggio di un carro, fa sì che vi sia sosta forzata di chi va e di chi viene, perché le due correnti
opposte non potrebbero passare insieme. E ciò dà modo ai passeggeri, di razze diverse, da quel che
riesco a capire, ossia fenici ed israeliti veri e propri, in odio fra di loro, di accumunarsi in un unico
intento: quello di imprecare a Roma… Senza Roma essi non avrebbero neanche quel ponte, e col
torrente colmo non so come avrebbero potuto passare. Ma tant’è! L’oppressore è sempre odiato
anche se fa cose utili!
Gesù si ferma presso il ponte, nell’angolo pieno di sole dove è la casa che sul lato lungo il torrente
ha la maleodorante mascalcia, nella quale si stanno forgiando ferri per un cavallo e due asinelli che
li hanno perduti. Il cavallo è attaccato ad un carro romano, sul quale sono militi che si dilettano di
fare boccacce agli ebrei imprecanti. E ad un vecchio nasuto, astioso più di tutti, una vera e propria
bocca viperina che credo morderebbe volentieri i romani pur di avvelenarli, tirano addosso una
manciata di letame equino…
Figurarsi quello che avviene! Il vecchio ebreo scappa urlando come lo avessero infettato di lebbra, e
a lui si uniscono in coro altri ebrei. I fenici gridano ironici: «Vi piace la manna nuova? Mangiate,
mangiate, per aver lena a gridare contro quelli che sono troppo buoni con voi, ipocrite vipere». I
soldati sghignazzano… Gesù tace.
Il carro romano parte finalmente, salutando il maniscalco col grido: «Salve, o Tito, e prospero
soggiorno!». L’uomo, gagliardo, anziano, dal collo taurino, il volto sbarbato, gli occhi nerissimi ai
lati di un naso robusto e sotto la tettoia di una fronte sporgente e ampia, un poco stempiata per
mancanza di capelli che, là dove sono, sono corti e alquanto cresputi, alza il pesante martello con
gesto di addio e poi si volge da capo all’incudine, sulla quale un giovane ha posto un ferro rovente,
mentre un altro ragazzo brucia lo zoccolo di un somarello per regolarlo alla prossima ferratura.
2«Sono quasi tutti romani questi maniscalchi lungo le strade. Soldati rimasti qui dopo il servizio. E
ci guadagnano… Non hanno mai impedimenti a curare le bestie… E un asino può sferrarsi anche
avanti al tramonto del sabato o in tempo di Encenie…» osserva Matteo.
«Quello che ci ha ferrato Antonio era sposato ad una ebrea» dice Giovanni.
«Le donne stolte sono più delle donne savie» sentenzia Giacomo di Zebedeo.
«E i figli di chi sono? Di Dio o del paganesimo?» chiede Andrea.
«Sono del coniuge più forte, generalmente» risponde Matteo. «E, solo che la donna non sia lei una
apostata, sono ebrei, perché l’uomo, questi uomini, lasciano fare. Non sono molto… fanatici
neppure del loro Olimpo. Credo che ormai non credano altro che al bisogno del guadagno. Sono
pieni di figli».
«Spregevoli unioni, però. Senza una fede, senza una vera patria… invisi a tutti…» dice il Taddeo.
«No. Ti sbagli. Roma non li disprezza. Anzi li aiuta sempre. Servono più così che quando portavano
le armi. Penetrano in noi con la corruzione del sangue più che con la violenza. Chi soffre, se mai, è
la prima generazione. Poi si spargono e… il mondo dimentica…» dice Matteo, che pare molto
pratico.
«Sì, sono i figli quelli che soffrono. Ma anche le donne ebree, congiunte così… Per loro stesse e per
i loro figli. Mi fanno pietà. Nessuno parla loro più di Dio. Ma ciò non sarà più in avvenire. Allora
non saranno più queste separazioni di creature e di nazioni, perché le anime saranno unite in una
sola Patria: la mia» dice Gesù, fino allora silenzioso.
«Ma allora saranno morte!…» esclama Giovanni.
«No. Saranno raccolte nel mio Nome. Non più romani o libici, greci o pontici, iberi o gallici, egizi o
ebrei, ma anime di Cristo. E guai a coloro che vorranno distinguere le anime, tutte da Me
ugualmente amate e per le quali in uguale modo avrò sofferto, a seconda delle loro patrie terrene.
Colui che così facesse dimostrerebbe di non aver compreso la Carità, che è universale».
Gli apostoli sentono il velato rimprovero e curvano il capo tacendo…
3Il fragore del ferro battuto sull’incudine si è taciuto, e già rallentano i colpi sull’ultimo zoccolo
asinino. Gesù ne approfitta per alzare la voce e farsi sentire dalla folla. Pare continui il discorso ai
suoi apostoli. In realtà parla ai passanti e forse anche a chi è nella casa, delle donne certo, perché
richiami di voci femminee vanno per l’aria tiepida.
«Anche se pare inesistente, una parentela è sempre negli uomini. Quella della provenienza da un
unico Creatore. Ché, se poi i figli di un unico Padre si sono separati, non per questo si è mutato il
legame d’origine, così come non si muta il sangue di un figlio quando ripudia la paterna casa. Nelle
vene di Caino fu il sangue di Adamo anche dopo che il delitto lo mise in fuga per il vasto mondo. E
nelle vene dei figli nati dopo il dolore di Eva, gemente sul figlio ucciso, era lo stesso sangue che
bolliva in quelle del lontano Caino.
Lo stesso, e con più pura ragione, è dell’uguaglianza fra i figli del Creatore. Sperduti? Sì. Esiliati?
Sì. Apostati? Sì. Colpevoli? Sì. Parlanti e credenti lingue e fedi a noi aborrite? Sì. Corrotti per
unioni con pagani? Sì. Ma l’anima loro è venuta da Un solo, ed è sempre quella, anche se lacerata,
sperduta, esiliata, corrotta… Anche se è oggetto di dolore al Padre Iddio, è sempre anima da Lui
creata.
4I figli buoni di un Padre buonissimo devono avere sentimenti buoni. Buoni verso il Padre, buoni
verso i fratelli, quale che siano divenuti, perché figli di uno Stesso. Buoni verso il Padre col cercare
di consolarlo del suo dolore riportandogli i figli, che sono il suo dolore, o perché peccatori, o perché
apostati, o perché pagani. Buoni verso gli stessi perché essi hanno l’anima venuta dal Padre chiusa
in un corpo colpevole, bruttata, ebete per errata religione, ma sempre anima del Signore e uguale
alla nostra.
Ricordate, o voi d’Israele, che non vi è alcuno, fosse pure l’idolatra più lontano, con la sua
idolatrica religione, da Dio, fosse pure il più pagano tra i pagani, o il più ateo fra gli uomini, che sia
assolutamente privo di una traccia della sua origine. Ricordate, o voi che avete sbagliato
staccandovi dalla giusta religione, scendendo a mescolanza di sessi che la nostra religione
condanna, che anche se vi pare che tutto ciò che era Israele sia morto in voi, soffocato dall’amore
per un uomo di diversa fede e di diversa razza, morto non è. Uno che vive ancora. Ed è Israele. E
voi avete il dovere di soffiare su quel fuoco morente, di alimentare la scintilla che sussiste per
volontà di Dio, per farla crescere al disopra dell’amore carnale. Questo cessa con la morte. Ma la
vostra anima non cessa con la morte. Ricordatelo. E voi, voi, chiunque siate, che vedete, e molte
volte inorridite di vedere gli ibridi connubi di una figlia di Israele con uno di altra razza e fede,
ricordate che avete l’obbligo, il dovere, di aiutare caritatevolmente la sorella smarrita a ritrovare le
vie del Padre.
Questa è la nuova Legge, santa e gradita al Signore: che i seguaci del Redentore redimano là
ovunque è da redimere, perché Dio sorrida delle anime tornate alla Casa paterna, e perché non sia
reso sterile o troppo meschino il sacrificio del Redentore.
5Per fare fermentare molta farina, la donna di casa prende un pezzettino della pasta fatta la
settimana avanti. Oh! una briciola levata alla grande massa! E la seppellisce nel mucchio di farina, e
tiene ciò al riparo dai venti ostili, nel tepore previdente della casa.
Fate voi così, veri seguaci del Bene, e fate voi così, creature che vi siete allontanate dal Padre e dal
suo Regno. Date voi, i primi, una briciola del vostro lievito ad aggiunta e a rinforzo alle seconde,
che lo uniranno alla molecola di giustizia che sussiste in esse. E voi ed esse tenete al riparo dei venti
ostili del Male, nel tepore della Carità - che è, a seconda di ciò che siete, signora vostra, o tenace
superstite in voi, anche se ormai languente - il lievito novello. Serrate ancora le pareti della casa,
della correligione, intorno a ciò che lievita nel cuore di una correligionaria smarrita, che si senta
amata ancora da Israele, ancora figlia di Sionne e sorella vostra, perché fermentino tutte le buone
volontà e venga nelle anime e per le anime, tutte, il Regno dei Cieli».
6«Ma chi è? Ma chi è?» si chiede la gente, che non sente più fretta di passare nonostante il ponte sia
sgombro, né di proseguire se lo ha superato.
«Un rabbi».
«Un rabbi d’Israele».
«Qui? Ai confini della Fenicia? È la prima volta che ciò accade!».
«Eppure è così. Aser mi ha detto che è quello che dicono il Santo».
«Allora forse si rifugia fra noi perché di là lo perseguitano».
«Sono certi rettili!».
«Bene se viene da noi! Farà prodigi…».
«Intanto Gesù si è allontanato, prendendo un sentiero nei campi, e se ne va…
328.Ad Alessandrocene, dai fratelli di Ermione.
12 novembre 1945.
1La strada è nuovamente raggiunta dopo un ungo giro per i campi e dopo aver superato il torrente
su un ponticello di tavole cigolanti, capace proprio di servire solo al passaggio di persone: una
passerella più che un ponte.
E la marcia continua per la pianura, che si restringe sempre più per l’avanzarsi delle colline verso il
litorale, tanto che dopo un altro torrente, con l’indispensabile ponte romano, la strada in pianura
diviene strada nel monte, biforcandosi al ponte con una meno ripida che si dilunga verso nord-est
per una valle, mentre questa, scelta da Gesù, secondo l’indicazione del cippo romano:
“Alessandroscene - m.V°”, è una vera e propria scala nel monte roccioso ed erto che tuffa il muso
aguzzo nel Mediterraneo, che sempre più si spiega alla vista man mano che si sale. Solo pedoni e
somarelli percorrono quella via, quella gradinata, sarebbe meglio detto. Ma, forse perché
raccorciante di molto, la strada è anche molto battuta e la gente osserva curiosa il gruppo galileo,
così insolito, che la percorre.
«Questo deve essere il capo della Tempesta» dice Matteo indicando il promontorio che si spinge in
mare.
«Sì, ecco lì sotto il paese dal quale ci parlò il pescatore» conferma Giacomo di Zebedeo.
«Ma chi avrà fatto questa strada?».
«Chissà da quando c’è! Opera fenicia, forse…».
«Dalla vetta vedremo Alessandroscene oltre la quale è il capo Bianco. Vedrai molto mare, Giovanni
mio!» dice Gesù ponendo un braccio intorno alle spalle dell’apostolo.
«Ne sarò contento. Ma fra poco è notte. Dove sosteremo?».
«Ad Alessandroscene. Vedi? La strada già scende. Giù è pianura fino alla città che si vede là, in
basso».
2«È la città della donna di Antigonio… Come potremmo fare ad accontentarla?» dice Andrea.
«Sai Maestro? Ella ci ha detto: “Andate in Alessandroscene. I fratelli miei hanno empori là e
proseliti sono. Fate che sappiano del Maestro. Siamo figli di Dio anche noi…”, e piangeva perché è
poco sopportata come nuora… di modo che mai i fratelli vanno a lei e lei non sa di loro…» spiega
Giovanni.
«Cercheremo i fratelli della donna. Se ci accoglieranno come pellegrini avremo modo di
accontentarla…».
«Ma come si fa a dire che l’abbiamo vista?».
«È dipendente di Lazzaro. Noi siamo amici di Lazzaro» dice Gesù.
«È vero. Parlerai Tu…».
«Sì. Ma affrettate il passo per trovare la casa. Sapete dove è?»
«Sì, presso il Castro. Hanno molto contatto coi romani, ai quali vendono tante cose».
«Sta bene».
3Fanno velocemente la strada tutta piana, bella, una vera strada consolare che certo si congiunge
con quelle dell’interno, o meglio, che certo prosegue verso l’interno dopo aver lanciato la sua
propaggine rocciosa, a gradinate, lungo la costa, a cavaliere del promontorio.
Alessandroscene è una città più miliare che civile. Deve avere una importanza strategica che io non
conosco. Accucciata come è fra i due promontori, sembra una sentinella messa a guardia di quel
pezzo di mare. Ora che l’occhio può guardare l’uno e l’altro capo, si vede che spesseggiano su essi
le torri militari formanti catena con quelle del piano, delle città, dove, verso la marina, troneggia il
Castro imponente.
Entrano nella città dopo aver superato un altro torrentello, sito proprio alle porte, e si dirigono verso
la mole arcigna della fortezza guardandosi intorno curiosi ed essendo curiosamente osservati. I
soldati sono molto numerosi e, sembra, anche in buoni rapporti con i cittadini, cosa che fa
borbottare fra i denti gli apostoli: «Gente fenicia! Senza onore!».
4Giungono ai magazzini dei fratelli di Ermione mentre gli ultimi avventori ne escono carichi delle
più svariate merci, che vanno dai panni tessuti alle stoviglie e da queste a fieni e granaglie, oppure
olio e cibarie. Odore di cuoi, di spezie, di pagliai, di lane grezze, empie l’ampio androne per il quale
si accede nel cortile vasto come una piazza, sotto i portici del quale sono i diversi depositi.
Accorre un uomo barbuto e bruno. «Che volete? Cibarie?».
«Sì… e anche alloggio, se non ti sdegni alloggiare pellegrini. Veniamo da lontano e qui non fummo
mai. Accoglici in nome del Signore».
L’uomo guarda attentamente Gesù, che parla per tutti. Lo scruta… Poi dice: «Veramente io non do
alloggio. Ma Tu mi piaci. Sei galileo, non è vero? Meglio i galilei dei giudei. Troppa muffa in loro.
Non ci perdonano di avere sangue non puro. Farebbero meglio ad avere loro l’anima pura. Vieni,
entra qui, ché ora vengo subito. Chiudo, ché ormai è notte».
Infatti la luce è ormai crepuscolare, e lo è ancor più nel cortile dominato dal Castro potente.
Entrano in una stanza e si siedono stanchi su dei sedili sparsi qua e là…
Torna l’uomo con altri due, uno più vecchio, l’altro più giovane, e addita gli ospiti, che si alzano
salutando, dicendo: «Ecco. Che ve ne pare? Mi sembrano onesti…».
«Sì. Bene hai fatto» dice il più vecchio al fratello; e poi, rivolto agli ospiti, meglio, a Gesù che
appare chiaramente essere il capo, chiede: «Come vi chiamate?».
«Gesù di Nazaret, Giacomo e Giuda pure di Nazaret, Giacomo e Giovanni di Betsaida e così
Andrea, più Matteo di Cafarnao».
«Come mai qui siete? Perseguitati?».
«No. Evangelizzanti. Abbiamo percorso più di una volta la Palestina dalla Galilea alla Giudea,
dall’uno all’altro mare. E fin nell’Oltre Giordano, all’Auranite, fummo. Ora siamo venuti qui… ad
ammaestrare».
«Un rabbi qui? Ci è stupore, non è vero, Filippo e Elia?» chiede il più vecchio.
«Molto. Di che casta sei?».
«Di nessuna. Sono di Dio. Credono in Me i buoni del mondo. Sono povero, amo i poveri, ma non
disprezzo i ricchi ai quali insegno l’amore alla misericordia e il distacco dalle ricchezze, così come
insegno ai poveri ad amare la loro povertà fidando in Dio che non lascia perire nessuno. 5Fra gli
amici ricchi e discepoli miei è Lazzaro di Betania…».
«Lazzaro? Abbiamo una sorella sposata ad un suo servo».
«Lo so. Per questo anche sono venuto. Per dirvi che ella vi saluta e vi ama».
«L’hai vista?».
«Non Io. Ma questi che sono con Me, mandati da Lazzaro ad Antimonio».
«Oh! dite! Che fa Ermione? È proprio felice?».
«Lo sposo e la suocera l’amano molto. Il suocero la rispetta…» dice Giuda Taddeo.
«Ma non le perdona il sangue materno. Dillo».
«Sta per perdonarglielo. Ci ha detto di lei grandi lodi. E ha quattro fanciulli molto belli e buoni. Ciò
la fa felice. Ma vi ha sempre nel cuore e ha detto di venire a portarvi il Maestro divino».
«Ma… come… Sei il… quello che chiamano il Messia, Tu?».
«Lo sono».
«Sei veramente il… Ci hanno detto a Gerusalemme che sei, che ti chiamano il Verbo di Dio. È
vero?».
«Sì».
«Ma lo sei per quelli di là o per tutti?».
«Per tutti. Potete credere che Io sono quello?».
«Credere non costa nulla, molto più quando si spera che la cosa creduta possa levare ciò che fa
soffrire».
«È vero. Elia. Ma non dire così. È pensiero impuro molto, molto più del sangue misto. Rallegrati
non nella speranza che cada ciò che ti fa soffrire come uomo del disprezzo altrui, ma rallegrati per
la speranza di conquistare il Regno dei Cieli».
«Hai ragione. Sono un mezzo pagano, Signore…».
«Non te ne avvilire. Io amo anche te e anche per te sono venuto».
6«Saranno stanchi, Elia. Tu li trattieni in discorsi. Andiamo alla cena e poi conduciamoli al riposo.
Non ci sono donne qui… Nessuna d’Israele ci ha voluti e noi volevamo una di esse… Perdona
perciò se la casa ti parrà fredda e spoglia».
«Il vostro buon cuore me la farà ornata e calda».
«Quanto ti trattieni?».
«Non più di un giorno. Voglio andare verso Tiro e Sidone e vorrei essere ad Aczib avanti il sabato».
«Non puoi, Signore! Lontana è Sidone!».
«Domani vorrei parlare qui».
«La nostra casa è come un porto. Senza uscire da essa avrai uditorio a tuo piacere, tanto più che
domani è mercato grosso».
«Andiamo, allora, e il Signore vi compensi della vostra carità».
329. Al mercato di Alessandrocene. La parabola degli operai della vigna.
13 novembre 1945.
1Il cortile dei tre fratelli è per metà in ombra, per metà luminoso di sole. Ed è pieno di gente che va
e viene per i suoi acquisti, mentre fuori dal portone, sulla piazzetta, vocia il mercato di
Alessandroscene in un confuso andare e venire di acquirenti e di compratori, di asini, di pecore, di
agnelli, di pollame; perché si capisce che qui hanno meno storie, e anche i polli vengono portati al
mercato senza temere contaminazioni di sorta. Ragli, belati, croccolio di galline e trionfali
chicchirichì di galletti si mescolano alle voci degli uomini in un allegro coro, che ogni tanto prende
note acute e drammatiche per qualche alterco.
Anche nel cortile dei fratelli è brusio e non manca qualche alterco, o per il prezzo, o perché un
avventore ha preso ciò che un altro aveva in cuor suo prescelto. Non manca il lamento querulo dei
mendicanti che dalla piazza, presso il portone, fanno la litania delle loro miserie con una gorga
cantante e triste come un ululo di morente.
Soldati romani vanno e vengono da padroni per il fondaco e per la piazza. Suppongo in servizio
d’ordine, perché li vedo armati, e mai soli, fra i fenici tutti armati.
Anche Gesù va e viene per il cortile, passeggiando coi sei apostoli come in attesa del momento
buono per parlare. E poi esce un momento sulla piazza, passando presso ai mendicanti ai quali dà
un obolo. La gente si distrae per qualche minuto a guardare il gruppo galileo e si domanda chi sono
quegli uomini stranieri. E c’è chi informa, perché ha chiesto notizie ai tre fratelli, chi siano i loro
ospiti.
Un brusio segue i passi di Gesù che va tranquillo, accarezzando i bambini che trova sulla sua strada.
Nel brusio non mancano i sogghigni e gli epiteti poco lusinghieri per gli ebrei, come non manca il
desiderio onesto di sentire questo «Profeta», questo «Rabbi», questo «Santo», questo «Messia»
d’Israele, ché con tali nomi se lo indicano, a seconda del loro grado di fede e della loro rettezza
d’animo.
2Sento due madri: «Ma è vero?».
«Me lo ha detto Daniele, proprio a me. Lui ha parlato a Gerusalemme con gente che ha veduto i
miracoli del Santo».
«Sì, d’accordo! Ma sarà poi questo l’uomo?».
«Oh! Mi ha detto Daniele che non può essere che Lui per quello che dice».
«Allora… che dici? Mi farà grazia anche se sono soltanto proselite?».
«Io direi di sì… Prova. Forse non tornerà più qui da noi. Prova, prova! Male non ti farà certo!».
«Vado» dice la donnetta, lasciando in asso un venditore di stoviglie col quale contrattava delle
scodelle, il quale venditore, che ha sentito il discorso delle due, deluso, irritato del buon affare
andato in fumo, si scaraventa sulla donna superstite, coprendola di improperi quali: «Maledetta
proselite. Sangue d’ebrea. Donna venduta», ecc. ecc.
Sento due uomini gravi e barbuti: «Mi piacerebbe sentirlo. Dicono che è un grande Rabbi».
«Un Profeta, devi dire. Più grande del Battista. Mi ha detto Elia certe cose! Certe cose! Lui le sa
perché ha una sorella sposata ad un servo di un grande ricco d’Israele e per sapere di lei va a
chiederne ai conservi. Questo ricco è molto amico del Rabbi…».
Un terzo, un fenicio forse, che essendo lì vicino ha sentito, insinua la sua faccia sottile, satirica, fra i
due, e sghignazza: «Bella santità! Condita di ricchezze! Per quello che so, il santo dovrebbe vivere
poveramente!».
«Taci Doro, lingua maledica. Non sei degno, tu, pagano, di giudicare queste cose».
«Ah! ne siete degni voi, tu in specie, Samuele! Faresti meglio a pagarmi quel debito».
«Toh! e non mi girare più attorno, vampiro dalla faccia di fauno!»…
Sento un vecchio semicieco, accompagnato da una fanciullina, che chiede: «Dove è, dove è il
Messia?»; e la bimba: «Fate largo al vecchio Marco! Vogliate dire dove è il Messia al vecchio
Marco!».
Le due voci - la senile fioca e tremante; la fanciulla, argentina e sicura - si spandono sulla piazza
inutilmente, finché un altro uomo dice: «Volete andare dal Rabbi? È tornato verso la casa di
Daniele. Eccolo là fermo, che parla coi mendicanti».
3Sento due soldati romani: «Deve essere quello che perseguitano i giudei, buone pelli! Si vede solo
a guardarlo che è migliore di loro».
«Per quello che dà loro noia!».
«Andiamo a dirlo all’alfiere. Questo è l’ordine».
«Molto stolto, o Caio! Roma si guarda dagli agnelli e sopporta, direi carezza, le tigri» (Scipione).
«Non mi pare, Scipione! Ponzio è facile ad ammazzare!» (Caio).
«Sì… ma non chiude la sua dimora alle striscianti iene che lo adulano» (Scipione).
«Politica, Scipione! Politica!» (Caio).
«Viltà, Caio, e stoltezza. Di questo dovrebbe farsi amico. Per avere un aiuto a tenere ubbidiente
questa marmaglia asiatica. Non serve bene Roma, Ponzio, trascurando questo buono e adulando i
malvagi» (Scipione).
«Non criticare il Proconsole. Noi siamo soldati e il superiore è sacro come un dio. Abbiamo giurato
ubbidienza al divo Cesare e il Proconsole è una rappresentanza di lui» (Caio).
«Va bene ciò per quanto riguarda il dovere verso la Patria, sacra e immortale. Ma non per il giudizio
interno». (Scipione).
«Ma ubbidienza viene da giudizio. Se il tuo giudizio si ribella ad un ordine e lo critica, non
ubbidirai più totalmente. Roma si appoggia sulla nostra ubbidienza cieca per tutelare le sue
conquiste» (Caio).
«Sembri un tribuno, e dici bene. Ma ti faccio osservare che 
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