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Echi d`Oriente - Teatro Regio di Torino
[copertina] consegnata a parte già impaginata Echi d’Oriente Suggestioni esotiche nella musica, nell’opera e nel balletto europei1 Echi d’Oriente Suggestioni esotiche nella musica, nell’opera e nel balletto europei In collaborazione con MAO - Museo d’Arte Orientale I contatti tra Oriente e Occidente sono argomento ricco di storia e stimolante nella sua attualità; i suggerimenti di studio che ne derivano sono molteplici e offrono varie possibilità di approfondimento. Il percorso si propone, in particolare, di affrontare l’affascinante ricchezza degli incontri tra l’arte orientale e il teatro d’opera, la musica classica, la danza. La conoscenza reciproca tra i due mondi avviene secondo tempi e modalità assai diverse per ogni area geografica. Infatti, già alla fine del primo millennio d.C. l’espansione dell’Islam verso il bacino mediterraneo, pur trovando nell’Occidente un avversario naturale, vi apporta influssi culturali innumerevoli e importantissimi nell’ambito delle scienze esatte, della filosofia, della letteratura e della musica. Nel Medioevo si favoleggia poi del magico regno governato da Prete Gianni, figura leggendaria descritta anche da Marco Polo nel suo Milione (1299), peraltro primo testo di carattere “scientifico” dedicato alla Cina e alla Via della Seta; sarà però il fascino dirompente della traduzione in francese, ai primi del Settecento, de Le mille e una notte, all’origine del cosiddetto mal d’Oriente che colpisce l’Europa del XVIII e XIX secolo, quando anche la conoscenza dell’elegante poesia del persiano Hāfez (sec. XIV) giungerà ad ispirare le liriche del Divano occidentale-orientale di Goethe (1819-1827), poderosa sintesi tra i due mondi. D’altra parte, il Giappone si aprirà all’Occidente soltanto nel 1854, creando in Europa e soprattutto a Parigi una nuova ondata di fervore per l’esotismo, che si manifesta addirittura come japonisme. Sempre a Parigi, le Esposizioni Universali permetteranno anche al vasto pubblico il contatto diretto con realtà sino ad allora conosciute solo attraverso l’altrui mediazione; l’Esposizione del 1889, in particolare, farà scoprire ai compositori francesi il timbro sfavillante e le inconsuete scale modali del gamelan, la colorita orchestra giavanese e balinese. Tutto questo si congiungerà alla straordinaria fortuna dei Ballets Russes di Djagilev che, a partire dal 1909, costituiranno un ulteriore ponte culturale con un Oriente inventato e rimaneggiato, sì, ma di immensa seduzione e in sintonia con le sinuosità dell’art nouveau. Nel trattare di arte orientale in relazione con il mondo della musica, dell’opera e del balletto europei è fondamentale considerare che l’Oriente è stato fonte di ispirazione, suggerimento, riferimento, ma che, quasi sempre, questi modelli sono stati riadattati, adeguati e spesso travisati nei loro significati profondi da chi li utilizzava. Ciò che maggiormente interessava all’Europa tra il Settecento e il primo Novecento erano gli spunti estetici che l’Oriente era in grado di fornire, uniti, ovviamente, a una certa aria di mistero e di esotismo che affascinava e irretiva il pubblico dell’epoca. 2 Un nuovo museo per Torino Il MAO - Museo d’Arte Orientale apre le sue porte al pubblico nel dicembre 2008. Il Museo è ospitato nella storica sede di Palazzo Mazzonis (sec. XVIII), abilmente riadattato alla funzione museale dal Settore Edifici per la Cultura della Città di Torino e fortemente caratterizzato dall’allestimento progettato dall’architetto Andrea Bruno. Accanto alla funzione principale di raccogliere, conservare e presentare al pubblico pregevoli opere artistiche, il MAO si propone come strumento di mediazione culturale: avvicinare il visitatore tradizionale a culture sinora poco conosciute e comprese, e rappresentare, per i cittadini di provenienza asiatica, un segno tangibile della stima e della tradizione di buoni rapporti che questa città ha sviluppato nel tempo con i loro paesi d’origine. Il patrimonio del museo comprende circa 1500 opere, suddivise e distribuite in cinque distinte “gallerie”, secondo l’ambito storico-geografico di provenienza: Asia Meridionale, Cina, Giappone, Regione Himalayana, Paesi Islamici. Piano terra Nella galleria dedicata all’Asia Meridionale sono ospitate le collezioni del Gandhara, dell’India e del Sudest Asiatico. Oltre ai fregi del grande stupa di Butkara, frutto degli scavi condotti negli anni Cinquanta dalla sezione piemontese dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO), la sezione del Gandhara ospita una serie di statue in scisto, stucco e terracotta acquistate negli ultimi anni. Nelle sale destinate all’arte indiana sono collocati rilievi e sculture che vanno dal II secolo a.C. al XIV secolo d.C. e comprendono esempi dell’arte Shunga, Kushana, Gupta e del Medioevo Indiano. Le sale dedicate al Sudest Asiatico presentano opere dell’arte thailandese, birmana e cambogiana con importanti sculture del periodo Khmer. 3 Primo piano La galleria cinese ospita oggetti d’arte della Cina antica dal 3.000 a.C. al 900 d.C. circa, con vasellame neolitico, bronzi rituali, lacche e terrecotte che comprendono oltre duecento esempi dell’arte funeraria dei periodi Han e Tang. Primo e secondo piano Nelle sale dedicate al Giappone sono esposte statue lignee di ispirazione buddhista (dal XII al XVII secolo), eccezionali paraventi degli inizi del XVII secolo, dipinti e xilografie policrome, insieme con una ricca collezione di oggetti laccati di raffinata fattura. 4 Terzo piano Nella galleria himalayana sono collocate importanti collezioni di arte buddhista tibetana, con sculture in legno e in metallo, strumenti rituali, dipinti a tempera databili dal XII al XVIII secolo e una serie di copertine lignee di testi sacri intagliate e dipinte. Quarto piano La galleria di arte islamica presenta una ricca collezione di vasellame e di piastrelle invetriate che illustrano l’evoluzione della produzione ceramica dal IX al XVII secolo ed espone inoltre pregevoli raccolte di bronzi e di manoscritti e una preziosa collezione di velluti ottomani. 5 Asia Meridionale Il Buddha è seduto su un seggio quadrangolare in padmasana, termine che indica la postura seduta, con le gambe incrociate e i piedi appoggiati sulle cosce opposte, con le piante rivolte verso l’alto. Le grandi mani sono atteggiate in dharmachakramudra, gesto della predicazione del dharma o messa in moto della Ruota della Legge, coincidente con il primo sermone pronunciato dal Buddha dopo l’avvenuta illuminazione. Buddha assiso in dharmachakramudra. Asia Meridionale (Gandhāra), II secolo d.C. Scisto. La figura rappresentata una yakshini, semidivinità femminile, nel caratteristico atteggiamento del corpo denominata tribhanga, triplice torsione, definita dalla postura sporgente del fianco destro, dall’inclinazione del busto e della testa, curvati lievemente verso sinistra, e dal braccio destro arcuato sopra la testa. La yakshini, collocata vicino a un albero, con un braccio alzato sopra la testa e appeso a un ramo, è definita shalabanjika, colei che spezza un ramo dell’albero shala. A lato: Shalabhanjika. Asia Meridionale (India nord-occidentale), XI secolo d.C. Marmo. 6 Asia Meridionale L’arte occidentale guarda a queste figure da un punto di vista puramente estetico, lasciandosi affascinare dalla bellezza di gesti e posizioni senza approfondirne il significato simbolico e religioso. È questo il caso dell’utilizzo di posizioni ispirate alle mudrâ nella danza e, in particolare, nei balletti di argomento orientale o contenenti danze La Bayadère: l’Idolo d’Oro nell’allestimento del Ballet de l’Opéra esotiche. Le più im- National de Paris. piegate sono l’Añjali Mudrâ (della venerazione) e la Vitarka Mudrâ (del ragionamento). Il primo esempio, rintracciabile nella storia della danza, di balletto ispirato dall’arte figurativa dell’Asia Meridionale e, più in generale, dal concetto di esotico, è Les Indes Galantes, che debutta il 23 agosto 1735 all’Académie Royale de Musique et Dance di Parigi, su musiche di Jean-Philippe Rameau (1683-1764) e libretto di Louis Fuzieler (1672-1752), con coreografie di Louis Dupré (1697-1774). Frontespizio de Les Indes galantes (1735) di Jean-Philippe Rameau. 7 Asia Meridionale L’immagine danzante di Ganesha è definita dagli arti inferiori piegati di lato nel passo di danza e da otto braccia disposte a ventaglio. L’arto inferiore sinistro segue il profilo del fianco sporgente, assecondando il movimento di danza; l’indice e il pollice della mano sono uniti ad anello. L’arto inferiore destro è disteso lungo il corpo, con la mano aperta e tenuta parallela rispetto al terreno, come in un gesto di protezione nei confronti del devoto posto ai suoi piedi. Ganesha danzante. Asia meridionale (India), X secolo d.C. Arenaria. Buddha sdraiato in parinirvana. Asia Meridionale (Birmania), XIX sec. Legno laccato e dorato. Il Parinirvana mostra il Buddha morbidamente disteso sul fianco destro, con il capo sorretto dal braccio corrispondente e il gomito poggiato al suolo. Il termine parinirvana significa “supremo nirvana”, momento che coincide con l’estinzione fisica del Buddha, cioè con il suo distacco completo dalla vita terrena e il raggiungimento definitivo dell’illuminazione. In iconografia, il termine identifica un’immagine del Buddha sdraiato sul fianco destro, simbolicamente raffigurato in punto di morte. 8 Asia Meridionale Altri esempi sono i balletti La Peri, favola persiana del 1843, e La Bayadère, che debutta al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo il 23 gennaio 1877, su musiche di Aloisius Ludwig Minkus (1836-1891) e con coreografie di Marius Petipa (18181910). L’ambientazione indiana e le atmosfere misteriose La Bayadère, bozzetto del quadro I dell’atto II di K. Brozh per l’altradiscono fortemen- lestimento del 1877 a San Pietroburgo. te l’ispirazione esotica, che era prepotentemente tornata di moda nella seconda metà del XIX secolo grazie alle grandi esplorazioni geografiche e al colonialismo. Nell’arco dei secoli XVIII, XIX e XX le dottrine indiane esercitano una costante attrazione sul pensiero tedesco, da Herder, che parla dell’India come di “culla di tutte le divine infanzie umane”, a Schopenhauer, che dichiara la lettura delle Upanishad “unico conforto della vita”, fino al Siddharta di Hesse, realizzazione artistica di tale affinità metafisica. Il compositore Richard Wagner (18131883), a sua volta molto suggestionato dalla lettura di Schopenhauer, nel suo capolavoro Tristan und Isolde descrive la morte d’amore della protagonista come una sorta di parinirvana. Isolde, infatti, non affronta un passaggio all’aldilà come concepisce il pensiero occidentale, ma giunge a una sublime dissoluzione del suo essere nel “tutto” cosmico in cui si estingue ogni dolore: …Dolcemente in vapori dissolvermi? Nell’ondeggiante oceano, nell’armonia sonora del respiro del mondo nell’alitante Tutto naufragare, affondare inconsapevolmente suprema delizia! (atto III, finale) 9 Cina Porta-tamburo configurato, proveniente da corredo funerario. Cina centro-meridionale, V-IV secolo a.C. Legno dipinto. Proprietà Regione Piemonte. Il telaio del porta-tamburo è formato dai corpi e dai colli di due volatili, sorretti da quattro sottili gambe da trampoliere inserite nel dorso di due felini. Il tamburo veniva sospeso per mezzo di anelli e corde alle creste e al punto di giunzione delle code degli uccelli. La parte centrale dello strumento era costituita da pelli decorate. Non si sa se questi fragili strumenti venissero davvero suonati da musicisti. Sembra più probabile che venissero utilizzati solo occasionalmente durante i funerali, prima di essere deposti nei vani delle tombe medio-grandi in cui sono stati ritrovati. La statuetta rappresenta un attore di shuochang, esempio tipico di rappresentazione dei cantastorie, in parte raccontata e in parte cantata, in voga soprattutto verso la fine dell’epoca Han. Il cantastorie qui raffigurato è intento a declamare una storia accompagnandosi con un piccolo tamburo che regge sotto il braccio sinistro e che percuote con una mazza tenuta nella mano destra, per dare ritmo alle parti cantate. Tutto il corpo sembra partecipare al racconto con una mimica esagerata che stravolge il volto in tratti grotteschi. Cantastorie, proveniente da corredo funerario. Cina (Sichuan), seconda metà II secolo d.C. Terracotta. Proprietà Regione Piemonte 10 Cina A Pechino «al tempo delle favole», il cuore di ghiaccio dell’austera e spietata principessa Turandot si infiammerà d’amore per l’ardimentoso principe Calaf. Ma prima, per essere ammesso al rito degli enigmi, il giovane dovrà percuotere un immenso gong sacro per annunciare al po- Figurina Liebig rappresentante i personaggi di Ping, Pang e Pong polo, all’Imperatore e nell’atto I, che riprendono i bozzetti di Galileo Chini per la prima rappresentazione assoluta di Turandot al Teatro alla Scala di Mialla stessa Turandot, lano nel 1926. che un temerario si predispone alla terribile prova. «Chi quel gong percuoterà / apparire la vedrà / bianca al pari della giada / fredda come quella spada / è la bella Turandot!» (Coro, atto I). Anche l’Occidente conosce da tempi immemorabili la figura del cantastorie, intrattenitore ambulante che narra di piazza in piazza una favola, un fatto storico, una storia edificante, improvvisando sulla base di uno schema poetico e musicale. Spesso i cantastorie si avvalgono di grosse immagini con le scene salienti del racconto. Elemento di contatto tra la tradizione colta e quella popolare, questi artisti di strada resistono oggi solo nelle aree culturali più legate al folclore. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. 11 Cina La giovane compie un passo di danza e disegna nell’aria gesti lenti con le braccia e con le lunghe maniche della veste. La danzatrice ha il viso truccato di belletto rosa sulle guance e rosso sulla bocca, dipinto di nero per le ciglia e gli occhi. Sulla fronte è disegnato in rosso un motivo floreale. I capelli neri hanno la scriminatura al centro e sono pettinati in un’acconciatura tipica delle donne di epoca Tang, caratterizzata da due crocchie distanziate ed alte sopra le orecchie. Figura di danzatrice, proveniente da corredo funerario. Cina (Shaanxi o Henan), VII - VIII secolo d.C. Terracotta. Questa statuina rappresenta una donna a cavallo che tiene, nella mano sinistra, il manico di un liuto cinese o pipa, strumento musicale a corde simile a un liuto con cassa di risonanza piriforme, e nel pugno destro sollevato un lungo plettro. Il liuto è dipinto di verde chiaro, ha la parte terminale del manico lanceolata e due linee perpendicolari incise sulla cassa. Il volto della donna è bianco, la bocca rossa e gli occhi dipinti di nero, così come i capelli raccolti in due crocchie sopra le orecchie. Suonatrice di “pipa” a cavallo, proveniente da corredo funerario. Cina (Shaanxi), VII - VIII secolo d.C. Terracotta. 12 Cina In Cina ancora oggi la danza tradizionale utilizza tre strumenti: ventaglio, spada e lunghe maniche o nastri. I costumi con ampie maniche vennero introdotti in epoca Han, mentre, all’epoca della dinastia Tang, le ballerine nascondevano a volte nelle maniche lunghi nastri da srotolare Una foto di scena dell’atto I di Turandot nell’allestimento di Zhang durante l’esibizione. Yimou. Teatro Regio, Stagione 1997-1998. Tali maniche sono un mezzo per enfatizzare l’effetto estetico; il loro movimento ricorda quello delle onde di un fiume e sostiene il linguaggio del corpo, dando espressione a personalità e sentimenti del personaggio. La diffusione del liuto, termine di derivazione araba (cfr. pag. 23), occupa aree geografiche immense e investe un lunghissimo periodo storico. Si hanno immagini di liuti risalenti al III-II millennio a.C. in area mesopotamica, troviamo poi lo strumento nella musica degli antichi egizi, nella tradizione araba e persiana, da cui passerà in Europa. Lungo la Via della Seta, lo strumento si diffonde fino alla Cina, a partire dal III secolo d.C.; in cinese il nome significa “suonare avanti e indietro”. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. 13 Giappone In questa stampa è rappresentato lo spaccato dei camerini di un teatro kabuki, forma di teatro drammatico popolare affermatosi nelle grandi città dell’epoca Edo (1603-1868). Il kabuki, nato come spettacolo di danze eccentriche, si è arricchito nel tempo di un vasto repertorio drammatico, in cui tutti i ruoli sono recitati da attori di sesso maschile. Sul palcoscenico, oltre agli attori, sono presenti cantanti e musicisti. Tra gli strumenti musicali, è di un certo rilievo uno strumento a tre corde chiamato shamisen. Utagawa Kunisada (Toyokuni III), Camerini di un teatro kabuki. Giappone, prima metà XIX sec. Silografia su carta. Proprietà Regione Piemonte. Katsushika Hokusai (1760-1849) è stato un pittore giapponese autore, tra l’altro, di stampe ukiyo-e. L’ukiyo-e, «immagini del mondo fluttuante», è un genere di stampa artistica impressa su carta da matrici scolpite in blocchi di legno, prodotta tra il XVII e il XX secolo, che Katsushika Hokusai, raffigura per lo più paeLa grande onda a largo di Kanagawa. saggi, soggetti teatrali e Giappone, secondo quarto XIX sec. quartieri di piacere. Tra i Silografia su carta. Collezione privata. lavori più noti di questo artista, importante fonte di ispirazione per molti pittori europei come Claude Monet e Vincent Van Gogh, vi è la serie delle stampe ukiyo-e «trentasei vedute del monte Fuji». La grande onda è la più celebre di queste vedute. 14 Giappone All’Esposizione Universale di Parigi del 1867 il pubblico europeo scopre il mondo giapponese attraverso la sua arte. Più di cento stampe dei maggiori maestri nipponici vengono esposte e attirano un continuo afflusso di artisti. Alcune di queste Ukiyo-e, che avevano la funzione di manifesti pubblicitari, ritraevano gli attori più famosi del Teatro Kabuki, i cui volti perfettamente truccati venivano reinterpretati secondo la moda ridondante delle stampe. La febbre del dilagante japonisme nella Parigi tra Otto e Novecento coinvolge anche il grande compositore Claude Debussy (1862-1918), il quale vuole sia utilizzato un particolare della celebre immagine di Hokusai come frontespizio della partitura a stampa de La mer, schizzi sinfonici (1905). Sarà invece una lacca giapponese posta sopra il suo pianoforte a ispirargli la splendida pagina pianistica Poissons d’or (da Images, II, 1908). Copertina della partitura a stampa di La mer, schizzi sinfonici di Claude Debussy. 15 Giappone Come supporto per la pittura e per la calligrafia, il ventaglio pieghevole ha avuto un ruolo rilevante nella storia artistica giapponese. Il ruolo del ventaglio è della massima importanza nei teatri tradizionali, No, Kyogen e KabuDue caratteri calligrafici, ventaglio dipinto. Giappone, metà XIX sec. ki. Esso costituisce un Inchiostro su carta. Collezione privata. elemento indispensabile della recitazione e specialmente della danza, in cui rappresenta di volta in volta azioni e oggetti diversi. Il ventaglio, in Giappone, non é legato solo al mondo femminile, ma completa anche l’abbigliamento maschile. Sulla parte di fondo, è collocato il tokonoma, uno spazio incassato nel quale vengono esposti dipinti o calligrafie; in basso, su una tavola poco rialzata rispetto al piano del pavimento, sono disposti oggetti spesso costituiti da lacche preziose e composizioni floreali Chashitsu, “stanza del tè” tradizionale giapponese (riproduzione). (ikebana). I pavimenti sono ricoperti da materassini intrecciati di forma rettangolare, chiamati tatami. Le porte scorrevoli, shoji, sono in legno e carta. 16 Giappone Madama Butterfly è la toccante storia della piccola geisha Cio-Cio San e del suo amore infelice per l’americano Pinkerton, uomo insensibile e incapace di comprendere il mondo profondo e delicato della fanciulla. Nel primo atto dell’opera Butterfly giunge alla casetta dove si sposerà, portando nelle maniche del kimono alcuni oggetti: fazzoletti, una cintura… un ventaglio… gli Ottokè (le divinità della casa), un astuccio con un pugnale… Giacomo Puccini utilizza melodie popolari giapponesi, inserite in un contesto musicale squisitamente italiano. Giuseppe Palanti, figurino per Madama Butterfly nell’atto I (1904). Nel 1901 Giacomo Puccini assiste a Londra a una rappresentazione della tragedia Madame Butterfly di David Belasco; il compositore non capisce l’inglese, ma decide ugualmente di trarre un’opera dal soggetto, avvinto soprattutto dalla scena in cui Butterfly, chiusa in un trepidante e poi malinconico silenzio, attende invano l’arrivo di Pinkerton, inginocchiata davanti a una parete della sua casetta. Nell’opera, la scena corrispondente è accompagnata dallo struggente “Coro a bocca chiusa”. Locandina di Leopold Metlicovitz per la prima rappresentazione assoluta di Madama Butterfly (1904). 17 Regione Himalayana Simhavaktra, divinità furiosa che calpesta l’ignoranza e la sofferenza, ha il corpo blu, una testa di leone bianca dotata di tre occhi e una folta chioma fulva incorniciata da un diadema di teschi. Indossa gli ornamenti d’osso propri delle divinità furiose e una ghirlanda di teste mozze ed è avvolta da un violento alone di fiamme. Questa thang-ka rappresenta Simhavaktra in Ardhaparyanka, con il piede sinistro a terra e la gamba destra ripiegata, posizione che nella danza indiana evoca il viaggio e il volo. Simhavaktra. Tibet orientale, XIX secolo. Tempera su cotone. Proprietà Regione Piemonte. La figura più grande rappresenta il Guru Rin-po-che, vissuto nel VIII secolo e divenuto in seguito un personaggio leggendario. Verso il 750, egli raggiunse il Tibet e vi diffuse la dottrina buddhista. Intorno alla figura centrale, sono distribuiti i cinque Buddha Cosmici, associati ai punti Le otto manifestazioni del Guru Rin-po-che. cardinali. Tra loro, la fiBhutan, XIX secolo. gura blu in alto al centro Tempera su cotone. rappresenta AkshobhProprietà Regione Piemonte. ya, il Buddha dell’Est. La seconda figura blu scuro a sinistra di Akshobhya è Pad-ma-gsol-ba, una delle otto emanazioni principali del Guru Rin-po-che. 18 Regione Himalayana I Ballets Russes di Sergej Djagilev (1872-1929) portano, dal 1909, una rivoluzione nella danza in Europa Occidentale. La compagnia mira a conquistare gli spettatori attraverso la ripresa dei grandi classici della tradizione russa e sperimenta nuove strade, spesso controverse e difficili da accettare per il pubblico conformista dell’epoca. Uno degli indirizzi seguiti fu quello dell’ispirazione orientale: Cleopatra, Le Chant du Rossignol, Le Dieu Bleu, Les Orientales, L’uccello di fuoco, Shéhérazade. Vera Fokina, Tamara Karsavina e Michail Fokin in Le Dieu Bleu (tournée in Germania dei Ballets Russes, 1914). Molti dei costumi e degli allestimenti disegnati da Léon Bakst (1866-1924) sono debitori delle colorate divinità tibetane. Ne è un esempio il bozzetto del costume di Vaclav Nižinskij (1890-1950) per il balletto Le Dieu Bleu, andato in scena al Teatro Châtelet di Parigi il 13 maggio 1912, su musiche di Reynaldo Hahn (1874-1947) e con coreografie di Michail Fokin (18801942), che volle creare dei movimenti del tutto nuovi, traendo ispirazione dalle danze tradizionali siamesi e indiane. Léon Bakst, figurino per Le Dieu Bleu (1912). 19 Area islamica Piastrella con cortigiano. Iran, XVII secolo (epoca Safavide). Ceramica. La piastrella policroma, dipinta in vivaci tonalità di verde, blu, turchese, giallo e bianco, è decorata dalla figura di un cortigiano con baffi e folta barba nera, circondato da stilizzazioni floreali e formazioni rocciose di gusto cinese. La decorazione si staglia su uno sfondo uniforme di colore blu-cobalto. Il cortigiano, vestito elegantemente, indossa una tunica di colore giallo con colletto turchese e bottone nero. Al disotto della tunica si intravede un tessuto di colore verde. In testa ha un elegante e composito turbante multicolore. Da un rumi, motivo di arabesco, si aprono due foglie lanceolate e dentellate e un bocciolo stilizzato in forma di tulipano da cui si originano sette petali di garofano dal bordo sfrangiato. Negli spazi fra le foglie e i petali esterni dei garofani sono inseriti dei melograni. I due orli simmetrici presentano tulipani schematizzati. I velluti di Bursa erano originariamente fatti come teli a metratura, adatti a molti usi: potevano venire appesi a pareti o occasionalmente impiegati nella decorazione di abiti. Singoli teli completi di bordi superiore e inferiore venivano trasformati in copricuscini. Copricuscino. Turchia (Bursa), XVI-XVII secolo. Velluto in seta broccato con fili d’oro e d’argento. 20 Area islamica Nel balletto e nell’opera del Settecento si sviluppa il genere comico o semi-serio delle turcherie, in cui la paura secolare del “turco crudele”’ si stempera in curiosità. Due sono i personaggitipo: il “turco galante” e magnanimo e la “favorita”, la schiava prediletta e bellissima; la scena è l’haOtto Reigbert, Il giardino presso il palazzo di Selim Pascià, bozrem, luogo-simbolo zetto di scena per l’allestimento di Colonia del 1932 del Ratto dal delle fantasie esoti- serraglio di W. A. Mozart. che e amorose occidentali. Con “musica turca” si intende invece l’insieme di triangolo, grancassa e ottavino, usato per imitare le sonorità penetranti delle bande di giannizzeri e descrivere ambienti orientaleggianti. Nel 1888 il compositore russo Nikolaj Rimskji-Korsakov (1844-1908) crea Shéhérazade, suite sinfonica destinata a un grande successo internazionale; la magistrale orchestrazione e la musica sensuale e coloratissima evocano la figura della protagonista cui il violino dà voce in un tema ricorrente flessuoso e arabescato. Le descrizioni di ambienti fiabeschi orientali sono una caratteristica della musica russa, grazie alla favorevole posizione geografica dell’immensa nazione, vero “ponte culturale” tra Europa e Oriente. «Sire» esclamò Shahrazàd, «le mie storie sono così numerose, che non posso neppure contarle. Temo piuttosto che la vostra maestà si stanchi prima che mi manchi l’argomento per intrattenerla». «Non pensateci neppure», rispose il sultano, «e vediamo che cosa avete di nuovo da raccontarmi». Shahrazàd, incoraggiata da queste parole del sultano delle Indie, cominciò allora a raccontargli una nuova storia. (da Le mille e una notte) 21 Area islamica Pannello di due piastrelle con figura umana. Iran (Isfahan), XVII sec. (epoca Safavide). Ceramica. La coppia di piastrelle, frammento di una composizione più ampia, raffigura una fanciulla che, con morbidi movimenti del corpo, è intenta a versare del liquido da un recipiente di colore blu. Alla sua destra si intravedono tessuti dai vivaci colori che hanno la forma di eleganti cuscini. Le due piastrelle sono un esempio degli eleganti rivestimenti in ceramica che decoravano i sontuosi palazzi di Isfahan (Iran), capitale dei Safavidi, che governarono un vasto impero tra il XVI e il XVIII secolo e che allacciarono con l’Occidente intensi scambi sia commerciali che culturali. A Isfahan, infatti, erano spesso invitati ambasciatori e funzionari delle più potenti corti europee dell’epoca. Moslehoddin ‘Abdollah Sa’dî (11841291), fu uno dei più importanti poeti della letteratura persiana. Le poesie raccolte in questo manoscritto sono redatte in eleganti caratteri neri, tracciati su pagine impreziosite da fitte decorazioni in oro e pigmenti. Due delicate miniature decorano il volume con scene della vita di corte, dove il sovrano si riposa in un giardino circondato dai suoi servitori. La natura è rappresentata con grande cura: fiori e alberi sono tracciati con linee precise e con grande attenzione per i particolari. Opere di Sa’dì, manoscritto persiano (scrittura nasta’liq). India, XVII sec. Inchiostro nero e rosso, oro e acquerello. 22 Area islamica Tanti i balletti ispirati al mondo di religione islamica: Abdallah o La gazzella di Bassora, Le Corsaire, La fontana di Bakhcisarai, Raymonda; e ancora La danza araba nello Schiaccianoci. Il balletto più celebre è Shéhérazade, che debutta a Parigi il 4 giugno 1910 con coreografie di Michail Fokin su musiche di Nicolaj Rimskij-Korsakov. I movimenti di coreografia vennero creati guardando all’Oriente e scene e costumi, creati da Léon Bakst, rivelano l’ispirazione del pittore. Vaclav Nižinskij in Shéhérazade (1910). Tra gli innumerevoli lasciti della cultura musicale islamica, gli strumenti musicali costituiscono un ambito tra i più cospicui: ad esempio, lo strumento più diffuso nel tardo Medioevo e nel Rinascimento europei, il liuto, altro non è che la trasformazione dell’arabo ud (letteralmente “legno”), mentre il rabab, una sorta Riproduzione degli strumenti islamici ud e daf, dal di liuto ad arco, sarebbe manoscritto del Khamseh di Nizani. Iran, 1539-43. all’origine della famiglia dei violini e delle viole, attraverso la medievale ribeca; nell’immagine si vede anche un daf, tamburo a cornice con sonagli. 23 Opere Richard Wagner (1813-1883), Tristan und Isolde, 1865 Il soggetto è tratto da un poema cavalleresco di Gottfried von Strassburg (sec. XIII). Il cavaliere Tristan è incaricato di portare in Cornovaglia, prigioniera, la principessa irlandese Isolde, che dovrà andare sposa a Re Marke. La fanciulla vuole vendicarsi della morte del fidanzato Morold per mano di Tristan ed è turbata per aver salvato il giovane prima di sapere chi fosse. Decide allora di bere con lui un filtro di morte, ma l’ancella Brangäne, spaventata, prepara invece un filtro d’amore. I due giovani, ormai, sono indissolubilmente legati. Giunti al castello reale, attendono che Re Marke si allontani per la caccia notturna per potersi incontrare. La notte protegge gli innamorati avvinti nel loro rapimento e ignari del mondo circostante; nemmeno l’inquietudine di Brangäne, che li avverte dello scorrere del tempo, può destarli dal loro sogno amoroso. Giunge infine Re Marke; profondamente addolorato dal doppio tradimento, stabilisce che Tristan dovrà andare in esilio. Melot, cortigiano del re, ferisce gravemente Tristan. Cacciato in Bretagna, ormai in fin di vita e vegliato dal fido Kurvenal, il giovane attende l’amata; quando Isolde arriva, le corre incontro strappandosi le bende della ferita e cade in terra morto. Re Marke, informato del filtro d’amore, ha seguito la nave di Isolde ed è pronto al perdono, ma riesce solo ad assistere, commosso, alla morte d’amore di Isolde. Giacomo Puccini (1858 – 1924), Turandot, 1926 (libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni) Il soggetto è tratto da una fiaba teatrale di Carlo Gozzi (1762). Pechino, “al tempo delle favole”. La principessa Turandot, in memoria dell’onta subita dall’ava Lou-Ling, ha giurato di sposare soltanto colui che risolverà i suoi tre inesplicabili enigmi e di uccidere chi non riuscirà nell’impresa. Il principe di Persia ha fallito e, nonostante le suppliche della folla, viene condannato; assistono alla scena il vecchio re tartaro spodestato Timur, suo figlio Calaf e la schiava Liù, di lui innamorata. Calaf invece viene stregato dalla bellezza di Turandot e decide di tentare la sorte, nonostante i ministri Ping, Pong e Pang tentino di dissuaderlo. I tre enigmi Foto di scena di Turandot (Teatro Regio, vengono risolti, ma Turandot cade nella disperazione: la principessa di gelo non Stagione 1997-98). Regia di Zhang Yimou. Allestimento Teatro vuole appartenere a nessun uomo. Calaf le Comunale di Firenze. pone allora a sua volta un indovinello: se 24 la crudele riuscirà a scoprire il suo nome prima dell’alba, egli accetterà di morire. Pronta a tutto Turandot fa imprigionare e torturare Timur e Liù, che preferisce uccidersi piuttosto che svelare il segreto che darebbe la morte all’uomo che ama. Turbata da un tale gesto di dedizione, Turandot si lascia baciare da Calaf, che le rivela infine il proprio nome. Al mattino, davanti alla folla, Turandot, ormai vinta, dichiara che il nome dello straniero è Amore. Giacomo Puccini, Madama Butterfly, 1904 (libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa) Il soggetto è tratto dalla tragedia Madame Butterfly di David Belasco (1900), a sua volta ispirata all’omonimo racconto di John Luther Long (1898). Nagasaki, alla fine dell’Ottocento. Il tenente della marina americana Pinkerton sta per sposare la piccola geisha Cio-Cio-San, detta Madama Butterfly, ma, come lui stesso ammette al console Sharpless, secondo la legge giapponese, non valida in America. La fanciulla, giunta nella nuova casa con le proprie poche cose, viene maledetta dallo zio bonzo per aver tradito la religione degli avi, ma è felice di dedicare la sua vita all’amore per Pinkerton. Trascorsi tre anni Butterfly è sola, l’uomo l’ha lasciata senza nemmeno sapere dell’esistenza del loro figlioletto. Tuttavia la fanciulla è fiduciosa nel ritorno del marito e rifiuta la proposta del ricco e nobile Yamadori. Sharpless, commosso, non ha la forza di informarla di una lettera di Pinkerton, nella quale il tenente annuncia il proprio arrivo con la moglie americana. La nave infine giunge nel porto di Nagasaki, ma Butterfly attende invano tutta la notte che Pinkerton salga alla loro casetta. Infine, il giorno seguente arreca la cruda verità: Butterfly intravede in giardino la “sposa americana”. Decide allora di morire con onore: benda il piccolo e si suicida facendo harakiri, mentre risuona inutile il grido di rimorso di Pinkerton. Balletti Les Indes Galantes Il balletto debutta il 23 agosto 1735 all’Académie Royale de Musique et Dance di Parigi, su musiche di Jean-Philippe Rameau e libretto di Louis Fuzelier, autore di successo nel genere dell’opéra-ballet, con coreografie di Louis Dupré. Narra le vicende sentimentali di quattro coppie, che vivono rispettivamente in Turchia, Perù, Nord America e Persia; le relative entrées vennero intitolate Il turco generoso, Gli Incas del Perù, I selvaggi e I fiori. Inizialmente limitato a prologo e due entrées, lo spettacolo venne ampliato con una terza entrée (Les Fleurs) già in occasione della terza andata in scena, successivamente rimaneggiata perché non aveva incontrato il favore del pubblico. Per l’inizio del 1736 lo spettacolo aveva già avuto ventotto riprese e gli autori decisero di arricchirlo ulteriormente con l’entrée Les Savages. Le riprese del balletto fatte nel corso del Settecento non tennero conto né dell’ordine né del numero delle entrées inizialmente progettate. Per quanto pare certo che le stravaganti storie d’amore venissero create sulla base di riferimenti storici precisi 25 a tradizioni, nomi e luoghi, cosa che conferiva alla rappresentazione una rara precisione, per l’epoca, nel creare il colore locale, l’intero spettacolo risentiva della mentalità del secolo, che generalmente indicava, con il termine Indie, tutti i territori extra-europei conosciuti, senza preoccuparsi della loro effettiva collocazione né approfondirne la tradizione o la cultura. La Bayadère Il balletto, concepito in quattro atti e sette quadri con apoteosi, debutta la sera del 23 gennaio 1877 sul palcoscenico del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, ad opera del coreografo Marius Petipa su musiche di Ludwig Minkus. Difficile indicarne la trama, poiché, con il passare degli anni, se ne è, di volta in volta, eliminato il quarto quadro, spostato l’ordine delle scene, messo in scena il solo Atto Delle Ombre. Il guerriero Solor, infatuato della bayadéra Nikia, danzatrice custode della fiamma del dio, la incontra di nascosto. Ma il Bramino, innamorato anch’egli di Nikia, spia il loro incontro e ne riferisce al Rajah, la cui figlia Gamzatti, che ascolta non vista la conversazione, è promessa a Solor. Gamzatti convoca Nikia e le rivela il tradimento di Solor; Nikia tenta di ucciderla. Alla festa per il matrimonio la bayadéra balla per la coppia; Gamzatti ha fatto nascondere un serpente tra i fiori della danza e Nikia, morsa, muore. Solor, disperato, si rifugia nell’oppio e sogna di ballare con l’ombra di Nikia. Al risveglio si avvia alle nozze; ma il tempio crolla, sotterrando i due sposi sotto le macerie. Al racconto della Bayadère si innesta il tema letterario del Dramma di Sakuntala, noto in Europa sin dal 1789, opera di Kalidasa, il più insigne poeta classico dell’India. Una prima informazione su Sakuntala venne a Petipa da Parigi, dove, nel 1858, suo fratello Lucien (1815-1898), secondo maître du ballet al Teatro dell’Opera, aveva allestito un balletto intitolato, appunto, Sakuntala. Le Dieu Bleu Il balletto, in un atto, debutta il 13 maggio 1912 presso il Teatro Châtelet a Parigi, con coreografie di Michail Fokin su musiche di Reynaldo Hahn e libretto di Jean Cocteau (1889-1963); in scena Tamara Karsavina (1885-1978) e Vaclav Nižinskij. Sullo sfondo esotico di un’India fantastica un giovane sta per diventare sacerdote indù. Alla cerimonia di iniziazione una fanciulla, innamorata di lui, lo supplica di rinunciare al proprio proposito, ma i religiosi separano i due ragazzi e il Gran Sacerdote la condanna a morte. È notte; la ragazza cerca di fuggire, ma gli animali sacri del tempio le sbarrano la strada; terrorizzata prega gli dei di aiutarla. Appaiono la Dea Loto e il Dio Blu, che, con una danza spettacolare, soggioga le bestie, salvandola. Sopraggiungono i sacerdoti, cui la Dea intima di liberare la fanciulla. I due innamorati possono così ricongiungersi mentre gli dei risalgono in cielo benedicendoli. I Ballets Russes di Sergej Djagilev erano una compagnia unica nel suo genere, all’interno della quale eccezionali ballerini (Vaclav Nižinskij, Tamara Karsavina, Serge Lifar, Anna Pavlova), coreografi (Michail Fokin, Léonid Massine, Bronislava Nižinska, George Balanchine), musicisti (Igor Stravinskij, Erik Satie, 26 Sergej Prokof’ev) e pittori (Pablo Picasso, Henri Matisse, Giorgio De Chirico, Léon Bakst) ebbero la possibilità di sperimentare e dettare le nuove regole della danza e dell’arte in generale. Shéhérazade La vicenda dalla quale Nicolaj Rimskij-Korsakov trasse spunto per la suite sinfonica è quella narrata ne Le mille e una notte. La principessa Shéhérazade si offre sposa al sultano Shahriyar, che, avendo in odio le donne, uccide le mogli dopo la prima notte di nozze. Per salvarsi e riscattare il genere femminile Shéhérazade, donna abile e indipendente, gli narra, per mille e una notte, vicende straordinarie, conquistandolo infine con la propria intelligenza e il fascino delle sue parole. Il balletto, in un atto unico, debuttò a Parigi la sera del 4 giugno 1910, con coreografie di Michail Fokin su musiche di Nicolaj Rimskij-Korsakov; scene e costumi di Léon Bakst. Era l’occasione ideale per presentare il giovane e talentuoso Vaclav Nižinskij, che, nella parte dello Schiavo d’Oro, incantò e affascinò le platee dell’epoca con la sua carica sensuale, evidenziando la bellezza del corpo maschile nella danza. Il balletto narra l’antefatto de Le mille e una notte, in cui Shahriyar, che sospetta l’infedeltà della concubina Zobeide, la mette alla prova fingendo di recarsi a caccia. Non appena si allontana, le compagne di Zobeide sottraggono all’Eunuco le chiavi degli alloggi degli schiavi e li invitano a unirsi a loro per una festa sfrenata. Zobeide e lo Schiavo d’Oro, di cui ella è innamorata, danzano insieme, ma, quando la festa è ormai giunta al suo massimo culmine, il sultano fa irruzione nell’harem e uccide tutti senza pietà. Foto di scena di Shéhérazade (Teatro Regio, Stagione 2003-04). Coreografia di Michail Fokin. Allestimento Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. 27 Mudrâ e Tribhanga Una mudrâ è un gesto simbolico o rituale impiegato nell’iconografia e nella pratica spirituale delle religioni indiane. Le mudrâ vengono anche utilizzate nella danza classica indiana; scorrendo attraverso miriadi di mudrâ le mani parlano, in forma simbolica, della storia che il danzatore sta rappresentando. Le mudrâ sono molte e complesse, sia nelle loro forme originali che nelle loro varianti. Alcune, in particolare, hanno ispirato i coreografi occidentali; la citazione, ovviamente, non è mai precisa, né si interessa del significato religioso della mudrâ stessa; l’interesse è puramente di tipo estetico. L’Añjali-mudrâ è la mudrâ dell’offerta e della venerazione. Le mani sono giunte verticalmente davanti al petto, come nell’atteggiamento della preghiera. È un gesto comunemente usato da tutti in India e nel Sud-Est asiatico per il saluto, per evocare un’offerta, per esprimere venerazione se si fa all’altezza del viso. Añjali-mudrâ Vaslava Nijinskij in Les Orientales (1910). Vitarka-mudrâ La Vitarka-mudrâ è la mudrâ che convince l’uditore, che lo conduce alla conversione spiegandogli la Legge. Si esegue con le due mani in Abhaya-Varada-mudrâ, con i pollici che toccano le punte degli indici, a formare un cerchio che rappresenta la perfezione, ciò che è eterno, nozione assimilata alla La Bayadère, allestimento del Royal Ballet di Londra Legge del Buddha. La tribhanga è, letteralmente, una posa piegata in tre punti, riscontrabile in molta della statuaria dell’India e del Sud-Est Asiatico. Viene utilizzata anche nella danza tradizionale indiana e ha, anch’essa, ispirato i passi e i movimenti del balletto classico. La Bayadère, allestimento del Ballet dell’Opéra di Parigi. 28 Tribhanga Il Teatro Regio nella storia Le origini del Teatro risalgono all’inizio del XVIII secolo quando Vittorio Amedeo II decise di commissionare all’architetto Filippo Juvarra la progettazione e la costruzione di un nuovo grande teatro nell’ambito del più generale riassetto urbano della Piazza Castello. L’intento venne però perfezionato solo qualche anno più tardi da Carlo Emanuele III (incoronato re di Sardegna nel 1730) il quale, in seguito alla morte di Juvarra, scelse di affidare il progetto all’architetto Benedetto Alfieri con la richiesta di progettare un teatro di grande prestigio. Il “Regio Teatro” di Torino, edificato nel tempo record di due anni, venne inaugurato il 26 dicembre del 1740, diventando subito un punto di riferimento internazionale per la capienza - circa 2.500 posti tra platea e cinque ordini di palchetti, le magnifiche decorazioni della sala fra le quali spiccava la volta dipinta da Bernardino Galliari, gli imponenti scenari e le attrezzature tecniche, nonché la qualità delle rappresentazioni. Gli scritti entusiasti di grandi letterati-viaggiatori come Burney testimoniano il prestigio raggiunto dal Teatro all’interno dei Grand Tour europei dell’epoca, prestigio riconosciuto e avvalorato con la pubblicazione, nel 1772, delle incisioni illustrative dell’Alfieri nell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. Il Teatro proseguì la sua intensa attività, seguendo da vicino la vita di corte, fino alla fine del secolo XVIII, quando l’invasione delle truppe napoleoniche portò il possesso della Città ai francesi: le insegne sabaude vennero rimosse e l’edificio rinominato a più riprese in “Teatro Nazionale”, “Grand Théâtre des Arts” e infine, nel 1804, “Théâtre Impérial”. Nel 1814 il Piemonte tornò sotto il governo dei Savoia e il ristabilito Regio Teatro, per volere del re Carlo Alberto, venne ridecorato in stile neoclassico. Con l’unificazione dell’Italia e il successivo trasferimento della capitale a Roma, la casa regnante decretò la cessione della proprietà del Teatro al Comune di Torino. A cavallo del 1900, il Regio divenne una delle roccaforti wagneriane in Italia, anche grazie agli straordinari vertici musicali raggiunti dall’orchestra sotto la direzione artistica e musicale di Arturo Toscanini. Quegli stessi anni di splendore furono coronati dalle prime rappresentazioni assolute di due capolavori di Giacomo Puccini: Manon Lescaut (1893) e La bohème (1896). Insieme alla radicale ristrutturazione del palcoscenico e della sala, che vide la capienza aumentare fino a 3.000 posti grazie alla creazione di tre ordini di gallerie, il nuovo secolo portò al Regio la peggior catastrofe possibile per un teatro: nella notte fra l’8 e il 9 febbraio 1936 un incendio causato da un cortocircuito distrusse in poche ore l’illustre corso di un’istituzione che per quasi duecento anni aveva legato la sua storia con quella della Città. Benché il bando di concorso per la ricostruzione venisse pubblicato meno di un anno dopo, la seconda guerra mondiale e i numerosi emendamenti ai progetti originari tardarono i lavori di ricostruzione, che iniziarono negli anni Sessanta. Il progetto vincente risultò essere quello dell’architetto Carlo Mollino, artista del design e docente di composizione architettonica al Politecnico di Torino. 29 La visita guidata al Teatro La facciata del vecchio Regio, l’unica parte rimasta integra dopo l’incendio, necessitava di essere conservata per rispetto della conformazione architettonica della storica Piazza Castello: il difficile problema del rapporto con gli edifici storici adiacenti è stato risolto da Mollino in modo audace e originale con la creazione di linee e volumi al contempo contrastanti e attinenti. Infatti, la pianta del nuovo Teatro Regio, inaugurato nel 1973, curvilinea anziché a parallelepipedo, oltre a costituire un elemento di estrema novità è anche un esplicito richiamo, evidenziato dall’uso del laterizio e delle bugnature a forma di stella, al barocco Palazzo Carignano di Guarino Guarini. L’imponenza della struttura è poi alleggerita dall’apertura di ampie vetrate a tutt’altezza che creano giochi di rifrazioni e vedute con le attigue architetture dello Juvarra (oggi Archivio di Stato) e dell’Alfieri (l’antica manica divenuta sede degli uffici del Teatro). Una grande cancellata bronzea, l’Odissea Musicale, opera dello scultore Umberto Mastroianni, dal 1994 costituisce la soglia della Galleria Tamagno, primo elegante punto di raccolta del pubblico. Di qui si può apprezzare l’immensa “vetrina” che espone alla vista il foyer interno, con la sua molteplicità di piani e la presenza, al centro, delle scale mobili. L’ingresso nel foyer è filtrato da una serie di dodici doppie porte in cristallo brunito, oltrepassate le quali si accede a un ambiente confortevole e soft, cromaticamente dominato dal rosso della moquette, delle poltrone e delle pareti, impreziosite dall’alternanza delle superfici a specchio, in marmo bianco e in cotto. Un gran numero di globi luminosi disposti a grappolo illumina questo spazio aperto, distribuito su quattro livelli, senza corridoi o divisioni di piani, per una superficie totale di ben 3700 mq. Oltre alle zone di servizio, come l’ampio guardaroba e i due bar (composti da banconi marmorei a pianta ellittica), due saloni costituiscono il contesto ideale per incontri e conferenze: sono il Foyer del Toro, che deve il suo nome al grande mosaico in marmo che raffigura un toro rampante, simbolo della Città di Torino, e la Sala Caminetto, caratterizzata dalla presenza del focolare un tempo collocato nel palco reale dell’antico Teatro Regio. Due grandi scaloni a spirale, insieme alle scale e alle passerelle che percorrono 30 il perimetro della sala, permettono al pubblico di raggiungere da più punti sia la platea, sia i palchi. La sala, dall’originale forma a conchiglia semiaperta che modella intorno a sé tutti i volumi dell’edificio, è in grado di contenere quasi 1.600 persone, di cui circa 200 nei palchi. Il colore rosso delle poltroncine della platea e del legno di faggio che riveste pavimento e pareti è accostato agli originali colori della copertura acustica: l’iniziale bianco avorio appena venato di indaco digrada progressivamente verso l’indaco intenso della parte più alta. L’illuminazione è data da una grande cascata luminosa composta da più di 3.600 steli riflettenti il cui effetto complessivo è quello di una nuvola iridescente. Altre fonti luminose sono le coppie di globi collocate in corrispondenza dei 31 palchi pensili disposti, su un’unica arcata, lungo il perimetro della sala. Tutto converge verso il palcoscenico, uno dei più grandi d’Europa, secondo solo a quello dell’Opéra-Bastille di Parigi. Il suo boccascena, dall’originale sagoma “a video” disegnata da Mollino, è stato in parte coperto dalle quattro cornici concentriche installate nei lavori di restauro acustico del 1996. Il golfo mistico, lo spazio riservato all’orchestra, poggia su un piano mobile collocabile a diverse altezze (fino a tre metri più in basso del piano di scena) in modo tale da adattarsi alle esigenze degli spettacoli. Il palco, vero e proprio cuore del teatro, ha una pianta a croce latina formata dalla scena centrale, dalle due scene laterali e dal carrello dorsale, per una superficie totale di oltre 1000 mq. La scena centrale, o “d’azione” (l’unica visibile al pubblico), poggia su sei ponti mobili in grado di alzarsi, abbassarsi e inclinarsi indipendentemente tra loro permettendo di ricreare i più disparati tipi di scenografia. La sormonta una torre di scena alta 32 metri, capace di contenere un elevato numero di macchinari, fondali, quinte e luci manovrabili tramite 64 tiri di scena. Le due scene laterali, disposte simmetricamente a quella centrale, e la piattaforma mobile, posta sul retro della stessa, sono in grado di ospitare elementi di attrezzeria e intere scenografie, in modo tale da consentire rapidi, e altrimenti ardui, cambi di scena. 31 FONDAZIONE TEATRO REGIO DI TORINO DIREZIONE SVILUPPO E MARKETING [quarta di copertina e colophon] LA SCUOLA ALL’OPERA Attività didattica del Teatro Regio Torino consegnato parte già impaginato in collaborazione conaCittà di Torino, Regione Piemonte, Agiscuola, Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica – nucleo regionale ex I.R.R.E. Piemonte Direzione Sviluppo e Marketing Direttore Ugo Sandroni Capoufficio Attività Scuola Vincenza Bellina Segreteria Andreina Fanan MAO - MUSEO D’ARTE ORIENTALE Direzione Prof. Franco Ricca Servizi Educativi Eva Morando, Mia Landi ECHI D’ORIENTE Progetto didattico Vincenza Bellina, Caterina Lucia Cugnasco, Elisabetta Lipeti (Teatro Regio), Eva Morando (MAO - Museo d’Arte Orientale) Testi e percorso iconografico Caterina Lucia Cugnasco, Elisabetta Lipeti (Teatro Regio), Servizi Educativi MAO in collaborazione con il Personale Scientifico Immagini Archivio Fotografico della Fondazione Torino Musei, Archivio Fotografico del Teatro Regio In copertina: Katsushika Hokusai, La grande onda a largo di Kanagawa Edizioni Fondazione Teatro Regio di Torino www.teatroregio.torino.it 32