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All`ex spetta la metà dei risparmi

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All`ex spetta la metà dei risparmi
VIII Lunedì 22 Febbraio 2010
D IR IT TO & FA M I GL I A
La Cassazione: non va trascurato il concorrente contributo finanziario. Basta dimostrarlo
All’ex spetta la metà dei risparmi
Vanno divisi tra i coniugi i soldi messi da parte e poi investiti
Il principio
In caso di divorzio dei coniugi (che hanno scelto la
separazione dei beni) si presume la comproprietà per
i beni mobili e
degli immobili (intestati a
uno solo dei
coniugi, dei
quali nessuno di essi sia
in grado di
dimostrare
I
DI
Pagina a cura
DEBORA ALBERICI
soldi messi da parte durante il matrimonio e poi investiti in immobili intestati
a uno solo dei coniugi (in
regime di separazione legale)
andranno divisi a metà in sede
di divorzio, a prescindere dalle rispettive professioni. Ciò a
meno che uno dei due non riesca
a provare che il suo contributo
economico è stato esclusivo.
Lo ha stabilito la Corte di
cassazione che, con la sentenza n. 3479 del 15 febbraio
2010, ha accolto il ricorso di un
marito che chiedeva almeno la
metà delle somme di denaro
spese per acquistare e migliorare degli immobili. Insomma
chiedeva la metà delle «riserve
finanziarie» investite.
Il caso. Durante il matrimonio erano riusciti a mettere
da parte un
po’ di denaro,
la coppia aveva costituito,
cioè, una riserva finanziaria.
I soldi erano
stati investiti. I due, che
avevano scelto la separazione
legale, avevano comprato degli
immobili (intestati solo alla
moglie) e ne avevano ristrutturati degli altri. Da quanto viene
ricostruito in sentenza sembra
che anche la moglie avesse contribuito agli investimenti. Ma
dopo la separazione le case erano rimaste alla donna. Lui ne
aveva chiesto la restituzione,
sostenendo che l’intestazione
a lei dei beni era meramente
«fittizia», probabilmente scelta
per motivi fiscali. Ma il Tribunale di Monza aveva respinto
la domanda. La decisione era
stata poi confermata dalla Corte d’appello di Milano.
Contro questa decisione l’uomo ha fatto ricorso in Cassazione presentando due domande.
Con la prima ha chiesto l’acquisto della proprietà degli immobili perché, aveva sostenuto,
l’intestazione alla ex moglie
era stata soltanto fittizia. Con
la seconda, aveva domandato
l’acquisto esclusivo.
Perciò, in caso di richiesta
di restituzione di somme destinate ad un
acquisto di
beni mobili,
il coniuge
richiedente ha diritto
almeno alla
restituzione
d e ll a m e t à
dell’importo
richiesto.
la restituzione dei soldi, delle riserve finanziarie servite
all’acquisto degli appartamenti. Il Collegio di legittimità ha
accolto in parte il secondo motivo del ricorso, riconoscendo
al marito la metà del denaro
investito.
Le motivazioni. La sentenza depositata dalla seconda sezione civile offre spunti interessanti perché è stato stimato che
i casi di intestazioni fittizie di
immobili acquistati con il denaro dei coniugi e, a volte, anche
solo del marito, in Italia sono
moltissimi. Dalle motivazione
emerge che anche se l’immobile è intestato a uno solo dei
coniugi in regime di separazione, l’altro potrà ottenere non
la metà del bene, ma la metà
delle somme se l’intestatario
non dimostra che l’acquisto è
stato fatto esclusivamente da
lui. Insomma il giudice non deve
mai trascurare «il
concorrente
contributo
finanziario» di chi
chiede il
denaro e,
sempreché sia riuscito a dimostrarlo. Il principio che emerge
dalla sentenza può essere riassunto nel senso che in caso di
divorzio dei coniugi (che hanno
scelto la separazione dei beni)
si presume la comproprietà per
i beni mobili e degli immobili,
intestati a uno solo dei coniugi,
dei quali nessuno di essi sia in
grado di dimostrare l’acquisto
esclusivo.
Perciò, in caso di richiesta di
restituzione di somme destinate a un acquisto di beni, il
coniuge richiedente ha diritto
almeno alla restituzione della
metà dell’importo richiesto. Ripercorrendo le decisioni di merito, gli Ermellini hanno affermato che «la Corte territoriale
ha condiviso il convincimento
del giudice di primo grado in
ordine alla mancata prova da
parte del marito della proprietà
esclusiva in proprio favore delle somme di denaro destinare
all’acquisto, alla manutenzio-
Per la comproprietà non basta
aver pagato le rate del mutuo
Sì alla comproprietà della casa coniugale anche se il coniuge non intestatario ha pagato il
condominio. Può acquistare la pretesa della
comproprietà del bene per usucapione anche
il coniuge che abbia contribuito alle spese
di gestione della casa. Ciò perché, ha spiegato la Corte di cassazione con la sentenza
n. 225 di gennaio 2010, «in tema di matrimonio, qualora un coniuge avanzi la pretesa
della comproprietà per usucapione della casa
coniugale acquistata a nome dell’altro, deve
fornire una prova certa e rigorosa dell’esercizio del potere dominicale sulla res. L’acquisto per usucapione postula il compimento di
atti incompatibili con il diritto di proprietà
esclusivo acquistato con l’atto di assegnazione, atti idonei a dimostrare il mutamento
della (co) detenzione in (com)possesso. In
proposito, non possono considerarsi tali il
pagamento dei ratei di mutuo ovvero delle
quote condominiali, che evidentemente possono essere stati effettuati in adempimento
degli accordi intervenuti fra i coniugi circa
il contributo dovuto nell’amministrazione e
nella gestione dei rapporti patrimoniali, in
relazione ai quali ciascun coniuge è chiamato
a dare il proprio contributo in proporzione
delle rispettive risorse economiche».
Convenzione sì, ma con atto pubblico
Le convenzioni matrimoniali devono risultare da atto pubblico. Le convenzioni matrimoniali, ha sancito la Corte di cassazione
con la sentenza 225 del 2010, che regolano
i rapporti patrimoniali dei coniugi, devono
risultare da un atto pubblico, altrimenti non
sono opponibili ai terzi. Nelle motivazioni
si legge infatti che «le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate a pena di
nullità, con atto pubblico che deve fornire
la prova ad substantiam del regime patrimoniale dei coniugi secondo quanto previsto dall’art. 162 cod. civ. sia nel testo previgente alla riforma di cui alla legge n. 151
del 1975 sia in quello attualmente vigente
che ha introdotto l’annotazione sull’atto di
matrimonio al fine di renderle opponibili ai
terzi. Non è esercitabile perciò la disciplina di cui all’art. 213 cod. proc. civ., tenuto
conto che l’esercizio del potere di richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione
le informazioni relative ad atti e documenti
della stessa che sia necessario acquisire al
processo costituisce una facoltà rimessa alla
discrezionalità del giudice, il cui mancato
esercizio non è censurabile in sede di legittimità (pur in presenza di una specifica
istanza in tal senso formulata dalla parte),
avente a oggetto poteri inquisitori non sostitutivi dell’onere probatorio incombente
alla parte, con la conseguenza che tali poteri
possono essere attivati soltanto quando sia
necessario acquisire informazioni relative
ad atti o documenti della p.a. che la parte
sia impossibilitata a fornire e dei quali solo
l’amministrazione sia in possesso proprio in
relazione all’attività da essa svolta».
© Riproduzione riservata
Gli aumenti di capitale entrano
nella comunione dei beni
L’aumento di capitale della società entra
in comunione. Gli aumenti di capitale della
società intestata a uno solo dei coniugi (in
regime di comunione dei
beni) entrano in comunione. Ciò anche se sono
stati effettuati da uno
solo di loro. A sancire che
la crescita dell’azienda di
uno dei due interessa la
coppia è la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 2569 del 2009,
ne, alla ristrutturazione e ai
miglioramenti degli immobili
suddetti, non avendo per un
verso l’appellante fornito alcuna indicazione circa i mezzi
finanziari utilizzati per i pagamenti, ed essendo emerso d’altro canto che anche la moglie
aveva partecipato, sia pure in
misura minore, al soddisfacimento delle esigenze familiari
e alla formazione delle riserve
finanziarie costituenti la provvista degli investimenti successivi». Bene, aggiunge poi il
Collegio, tale premessa, se da
un lato spiega il mancato accoglimento della domanda di
ha messo nero su bianco che «la partecipazione di uno dei coniugi a una società di
persone e i successivi aumenti di capitale
rientrano tra gli acquisti che a norma dell’art.
177, lettera a), cod. civ.
costituiscono oggetto
della comunione legale tra i coniugi, anche
se effettuati durante il
matrimonio ad opera di
uno solo di essi».
restituzione della totalità della
somma di denaro richiesta dal
marito, «dall’altro è inidonea a
comprendere le ragioni per le
quali la domanda stessa non è
stata accolta limitatamente alla
metà dell’intero importo, atteso
che le considerazioni espresse
dal giudice di appello in ordine
ai concorrente contributo finanziario della donna alla costituzione del patrimonio familiare
dei suddetti coniugi avrebbe
dovuto coerentemente condurre
alla conclusione di ritenere, in
assenza di specifiche prove di
diverso segno, la sussistenza di
una situazione di comproprietà
© Riproduzione riservata
tra le parti in ordine al denaro
in questione». In questo senso
è giusto il richiamo del marito all’art. 219 del codice civile
che, con riferimento alle ipotesi
di separazione di beni tra i coniugi sancisce una presunzione
semplice di comproprietà per i
beni mobili dei quali nessuno di
essi sia in grado di dimostrare
la proprietà esclusiva».
© Riproduzione riservata
La sentenza
sul sito www.italiaoggi.it/docio7
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