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LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI NELLE SOCIETA

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LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI NELLE SOCIETA
ODCEC PUNTOCOMM
La presunzione di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria
Autore: Dott. Pierluigi Rosano
Pubblicato in data: 31 marzo 2009
LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI A
RISTRETTA BASE AZIONARIA
articolo di Pierluigi Rosano
Fattispecie
Sovente capita nella pratica professionale che l’Ufficio, a seguito di un avviso di
accertamento emesso nei confronti di una società, proceda, contemporaneamente, alla
rettifica del reddito in capo ai singoli soci che si vedono cosi recuperati a tassazione redditi di
capitale in proporzione alla rispettiva percentuale di partecipazione al capitale della società
Diversamente dalle società di persone infatti, per le società di capitali sussiste, ai fini
tributari, una netta separazione tra le società e i singoli soci, di talché l’imputazione a questi
ultimi dei redditi avviene dietro apposita delibera.
Si è tuttavia stratificato negli anni un principio in Giurisprudenza, divenuto ius receptum,
secondo il quale “gli utili extrabilancio della società di capitali a ristretta base azionaria o a
base familiare si presumono distribuiti ai soci, salvo la loro prova contraria” (ex multis
Cassazione sentenza n. 3896/2008, Cassazione sentenza n. 11724 del 18 maggio 2006).
In sostanza, pur non operando una presunzione legale, come nel caso delle società di
persone, nelle società di capitali a ristretta base azionaria in tema di accertamento delle
imposte sui redditi non può considerarsi illogica la presunzione semplice di distribuzione degli
utili extracontabili ai soci, tenuto conto della complicità che normalmente accomuna
compagini sociali ristrette (tra le altre Cassazione 29 gennaio 2008 n. 1906, Cassazione,
sentenza 13485/2008).
L’origine della distribuzione di detti utili è rappresentata dall’esistenza delle registrazione di
costi inesistenti ovvero di ricavi non contabilizzati.
Insegna la Suprema Corte che l’attribuibilità alla compagine sociale degli utili extrabilancio
discende dallo scarso numero dei soci che “…si converte nel dato qualitativo della maggiore
conoscibilità degli affari societari e nell’onere per il socio di conoscere tali affari.. “
(Cassazione sentenza n. 1906 del 29 gennaio 2008).
E la presunzione di distribuzione opera anche in fattispecie specularmene opposte.
Infatti, nella sentenza n. 24531 del 26 novembre 2007 i Giudici della Cassazione hanno
ritenuto legittima la presunzione dell’amministrazione finanziaria in forza della quale le
somme versate a titolo di aumento del capitale sociale erano utili occulti in precedenza
percepiti dalla società e distribuiti, occultamente, ai soci.
E’ la “ristrettezza” della base societaria il cardine sul quale poggia la presunzione che origina
la formazione di una volontà unica per la complicità che avvince un gruppo ristretto di soci.
Non esiste, è bene precisarlo, una definizione giuridica di società a ristretta base sociale, né
di società a base familiare, pertanto la fattispecie andrà valutata caso per caso.
A titolo esemplificativo la Suprema Corte ha ritenuto sussistere tale fattispecie anche
allorquando la società accertata, una cooperativa a r.l., era partecipata da una società di
persone nella misura del 14,62 per cento.
Nella recente sentenza della Suprema Corte n. 18640 dell’ 8 luglio 2008 si ritrova un
elemento di novità.
La società accertata infatti, presentava un risultato di esercizio negativo che rimaneva tale
anche a seguito delle rettifiche operate dall’Ufficio, che aveva accertato un maggior reddito.
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ODCEC PUNTOCOMM
La presunzione di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria
Autore: Dott. Pierluigi Rosano
Pubblicato in data: 31 marzo 2009
La Suprema Corte ribadisce un consolidato orientamento (Cassazione n. 6780/2003) per il
quale “.. in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a
ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione di eventuali utili
extracontabili accertati ai soci”, fatta ovviamente salva la facoltà per il contribuente di offrire
prova contraria;
tale principio, “in carenza di qualsivoglia convincete argomentazione contraria, deve essere
confermato anche nell’ipotesi di una perdita contabile nonostante la considerazione di ricavi
non contabilizzati atteso che per effetto della mancata loro inclusione nella contabilità sociale
comunque i ricavi conseguiti da operazioni “in nero” non risultano né accantonati né
reinvestiti e quindi, sono stati distratti dalla società per essere distribuiti ai soci .
Il risultato, “pur sempre negativo” del bilancio, riscontrato dal giudice del merito, infatti, non
esclude il fatto oggettivo che i ricavi non contabilizzati, non entrati nelle casse sociali, sono
stati distribuiti ai soci in quanto tali (uti soci) quindi senza nessun altro titolo giuridico che la
qualità rivestita”.
Sulla Presunzione, il divieto di doppia presunzione.
La presunzione di distribuzione di utili ai soci rientra nell’alveo delle presunzioni semplici
concetto mutuato dal legislatore fiscale dal codice civile che, all’articolo 2727 così recita “Le
presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a
un fatto ignorato.”
E’ l’articolo 39 del D.P.R. 600/73 (per le imposte sui redditi) che consente ai fini delle
imposte dirette, la possibilità di utilizzo delle presunzioni, possibilità peraltro prevista anche
ai fini dell’imposta sul valore aggiunto dagli articolo 54 e 55 del D.P.R. 633/72.
Infatti, verificata la sussistenza nelle scritture contabili del contribuente di specifici riscontri,
l’Amministrazione finanziaria può desumere, sulla scorta di presunzioni semplici, purché gravi
precise e concordanti, l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività
dichiarate.
Orbene, il fatto che la distribuzione di utili ai soci (fatto ignoto) si radichi su un altro fatto
ignoto, un maggior utile accertato in capo alla società per il quale risulti ancora pendente la
causa innanzi i giudici tributari, sembra contravvenire il divieto di doppia presunzione.
Cassazione (n. 6033/1994) ha stabilito infatti il divieto di presumptio de presumpto, cosicché
si eviti che da una presunzione ne possano scaturire altre, creando una catena di
presunzioni.
Tuttavia la Giurisprudenza ritiene oramai principio consolidato che la presunzione di
distribuzione ai soci di utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo
grado, vale a dire il divieto di praesumptio de praesumpto in quanto “..il fatto noto non è
costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della
società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco
controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale..”
(Cassazione n. 21415/2007)
Di fatto, come precedentemente illustrato, accettando l’impostazione della Suprema Corte
divenuta ius receptum, si rende possibile accertare in capo ai soci maggiori redditi di capitali
anche nel caso in cui detti utili fuori bilancio non siano stati ancora definitivamente accertati.
Poiché la presunzione è tipo semplice, al contribuente è consentito dare prova a suo favore
dimostrando, ad esempio, che le somme sono state reinvestite all’interno della società, che
gli utili extrabilancio non sono stati distribuiti ai soci pro quota o che il socio non aveva, in
concreto, poteri gestori all’interno della società, di talché gli sarebbe stato impossibile
conoscere l’esistenza e la distribuzione di somme transitate fuori la contabilità sociale.
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La presunzione di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria
Autore: Dott. Pierluigi Rosano
Pubblicato in data: 31 marzo 2009
Considerazioni e conclusioni
Pur rilevando una posizione dei Giudici di legittimità pressoché costante, la Giurisprudenza di
merito e parte della dottrina hanno manifestato più di qualche perplessità.
Infatti, tenuto conto delle considerazioni su riportate, la ristretta base azionaria costituisce,
rectius, costituirebbe, in sostanza, quel fatto noto sufficiente a fondare la presunzione di
distribuzione.
Tale assunto è stato ritenuto dal giudice del merito “..invero troppo generico e scarsamente
garantista per poter essere esteso a qualunque caso, in quanto ogni realtà può avere una
specificità tale da rendere applicabile o meno la presunzione legale di distribuzione di utili
occulti ai soci” (Commissione Tributaria regionale della Puglia del 27 dicembre 2006 n.
116/01/06).
“La presenza di fatture d’acquisto per supposte operazioni inesistenti può costituire un
indizio di distribuzione ai soci, ma si tratta pur sempre di indizio che non può divenire unico
mezzo di prova”.
“.. Il principio che andava osservato è che non vi può essere percezione da parte dei soci del
reddito sociale se questo non è uscito dal patrimonio della società e nessun reddito può
essere acquisito ad IRPEF senza la percezione del medesimo..”. (Commissione tributaria
centrale Sezione IX, n. 2222 del 29 aprile 1998).
La ristretta base azionaria può giustificare che l’ufficio effettui indagini per verificare
l’esistenza di somme non risultanti dalla contabilità, ma “non può …..sostituirsi
completamente ad essa rendendola superflua, essendo ovvio che ogni risultanza al riguardo,
per produrre gli effetti voluti, deve essere suffragata da attendibili elementi di prova, in
mancanza dei quali l’affermazione che i maggiori utili accertati a carico della società sono
stati ripartiti fra i soci non può essere considerata se non alla stregua di una mera illazione”
(Commissione Tributaria centrale Sezione VII del 11/06/1990 n. 7027).
Per il giudice di merito e per il massimo consesso tributario anteriore alla costituzione della
sezione tributaria della Suprema Corte, pertanto, la presunzione di distribuzione, non è
illogica di per sé, ma deve essere supportata da altri elementi per arrivare a quella gravità,
precisione e concordanza difettando i quali il contribuente si troverebbe nell’impossibilità di
esercitare una difesa efficace.
In altri termini, la ristretta base azionaria non fornisce di per sé la prova di distribuzione di
utili extrabilancio, ma assumerebbe valore presuntivo circa la percezione di supposti
maggiori utili soltanto in concorso con altri elementi idonei a documentare maggiori
percezioni ricollegabili, anche sotto il profilo temporale, a tale fonte reddituale.
E questi ulteriori elementi non sono, nella normalità dei casi, prodotti dall’ufficio, che si limita
ad accertare, in capo a ciascun socio, un maggior reddito come conseguenza dell’avviso di
accertamento notificato alla società.
L’ufficio infatti, in conclusione, ritiene di poter dedurre dal fatto noto della esistenza di una
società a base azionaria ristretta il fatto ignorato della distribuzione dei maggiori utili
accertati in capo alla società stessa.
La giurisprudenza di merito ha invece più volte ritenuto, contrariamente ai giudici di
legittimità, che “Secondo una corretta applicazione della regola presuntiva … la Commissione
ritiene che il fatto noto dal quale dedurre il fatto ignorato non può essere la circostanza della
ristretta base azionaria, bensì la avvenuta percezione di redditi non dichiarati da parte della
società..” (Comm. Tributaria provinciale Salerno sentenza 65/1995).
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La presunzione di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria
Autore: Dott. Pierluigi Rosano
Pubblicato in data: 31 marzo 2009
Conformi a tale orientamento le sentenze citate dalla su emarginata Commissione
provinciale, C. Tributaria centrale, sez. VII 11 dicembre 1995 n. 1239, sez. V, 11 aprile 1994
n. 2953, C. Cass., sez. 3° pen., 07 aprile 1994, n. 907; C.T. I grado Roma, 21 aprile 1994,
n. 1850194.
Il fatto ignoto, infatti, la supposta distribuzione di utili in nero ai soci, non poggia su un
fatto noto, come stabilito dalla legge, bensì su un fatto anch’esso presunto, cioè un maggior
utile individuato presuntivamente, non ancora definitivamente determinato allorquando
l’avviso di accertamento in capo alla società venga impugnato e risulti essere ancora
pendente il relativo processo tributario, situazione per la quale, a mente della Suprema Corte
(Cassazione sentenza 7506/2001), non trova applicazione la sospensione ex articolo 295
c.p.c. in attesa della definizione della controversia in capo alla società;
ciò porta, come sostenuto da più autori, ad eludere il principio affermato dalla Cassazione
nella sentenza numero 1412 del 1997, che così si è pronunciata:”…Ai fini dell’applicazione
dell’articolo 2727 del codice civile - in base al quale le presunzioni sono le conseguenze che
la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato- non è corretto
considerare noto un fatto contenuto in un accertamento dell’Amministrazione finanziaria e da
questo risalire al fatto ignorato dell’esistenza di un maggior reddito, senza avere
preventivamente verificato se l’atto in questione è divenuto definitivo per mancata
impugnazione o per rigetto del ricorso del contribuente con sentenza non più impugnabile,
solo in tale caso acquistando il contenuto dell’atto impositivo su indicato il carattere della
certezza…”.
A mio parere, considerato che l’Ufficio equipara le società di capitali a quelle di persone e
che le cause sono connesse, è privilegiabile il principio della Suprema Corte nei casi di
accertamento a carico delle società di persone e dei soci della stessa.
“.. La unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle
dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all’art, 5 TUIR e dei soci delle
stesse (art. 40 D.P.R. 600/1973) e la conseguente automatica imputazione dei redditi della
società a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione
agli
utili,indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da
uno dei soci o dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguardi
inscindibilmente la società ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali
tutti devono essere parte nello stesso processo, e la controversia non può essere decisa
limitatamente ad alcuni soltanto di essi (art. 14, comma 1, d.lgs. 546/1992), perché non
ha ad oggetto la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione
inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto
autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva
dell’obbligazione; trattasi pertanto di fatti specie di litisconsorzio necessario originario, con
la conseguenza che:
1) il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati, destinatario di un
atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo ed il giudice
adito in primo grado deve ordinare l’integrazione del contraddittorio (a meno che non sì
possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente, ai sensi dell’art. 29 d.lgs.
546/1992);
2) il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è
nullo per violazione del principio del contraddittorio di cui agli artt. 101 c.p.c. e 111,
secondo comma, Cost. e trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e
grado del procedimento, anche dì ufficio…”
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La presunzione di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria
Autore: Dott. Pierluigi Rosano
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…..Quando ricorra un’ ipotesi di litisconsorzio necessario originario, il giudice tributario deve
attenersi alle seguenti regole:
a) se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice
deve disporne la riunione ai sensi dell’art. 29 d.lgs. 546/1992, se sono tutti pendenti
dinanzi allo stessa commissione (la facoltà di disporre la riunione si trasforma in obbligo
in considerazione del vincolo del litisconsorzio necessario). Altrimenti, la riunione va
disposta dinanzi al giudice preventivamente adito, in forza del criterio stabilito dall’art. 39,
c.p.c., anche perché con la proposizione del primo ricorso sorge la necessità di
integrare il contraddittorio e quindi si radica la competenza territoriale, senza che possa
opporsi la inderogabilità della stessa, sancita dall’art. 5, comma 1, d.lgs. 546/1992.
b) Se, invece, una o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell’avviso di
accertamento, o avendola ricevuta, non l’abbiano impugnato, il giudice adito per primo
deve disporre l’integrazione del contraddittorio, mediante la loro chiamata in causa entro un
termine stabilito a pena di decadenza (art. 14, comma 2, d.lgs. 546/1992)….” (Cassazione
S.S. U.U. n. 14815/2008)
Epilogo più autorevole e pregnante rispetto al tema trattato ritengo non fosse possibile
reperire.
Pierluigi Rosano
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D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
S.O. n. 1 alla G.U. n. 268 del 16 ottobre 1973)
Art. 39
Per i redditi d'impresa delle persone fisiche
l'ufficio
procede
alla rettifica:
a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non
corrispondono a quelli del bilancio, del conto dei profitti
e
delle
perdite
e dell'eventuale prospetto di cui al secondo
comma dell'art. 3;
b) se non sono
state
esattamente
applicate
le
disposizioni
del Titolo V del decreto del Presidente della
Repubblica
29
settembre
1973, n. 597 [vedasi ora il Titolo I,
Capo VI ("Redditi d'impresa"), D.P.R.
22dicembre 1986, n. 917,
n.d.r.];
c) se l'incompletezza, la falsità
o
l'inesattezza
degli
elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati
risulta in modo
certo e diretto dai verbali e dai questionari di
cui ai nn. 2) e 4) dell'art. 32, dagli atti, documenti e registri
esibiti o trasmessi ai sensi del n. 3) dello stesso articolo,
dalle dichiarazioni di altri soggetti previste negli artt. 6 e 7,
dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri
contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell'ufficio;
d) se l'incompletezza, la falsità
o
l'inesattezza
degli
elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati
risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre
verifiche di cui all'art. 33 ovvero dal controllo della completezza,
esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta
delle fatture e degli altri atti e documenti relativi alla
impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei
modi previsti dall'art. 32.
L'esistenza di attività
non
dichiarate
o l'inesistenza di
passività dichiarate è
desumibile
anche
sulla
base
di
presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e
concordanti.
Per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili ovvero
la
costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui
medesimi beni, la prova
di cui al precedente periodo s'intende
integrata anche se l'infedeltà dei relativi ricavi viene desunta
sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai
sensi dell'articolo 9, comma 3, del testo unico delle imposte sui
redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica
22
dicembre 1986, n. 917.
In deroga alle disposizioni del comma precedente l'ufficio
delle imposte determina il reddito d'impresa sulla base dei dati e
delle
notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con
facoltà di prescindere
in tutto o in parte dalle risultanze del
bilancio e dalle scritture
contabili in quanto esistenti e di
avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla
lettera d) del precedente comma:
a) quando il reddito d'impresa non è stato
indicato
nella dichiarazione;
[b) ...]
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c) quando dal verbale di ispezione redatto
ai
sensi
dell'art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha
comunque
sottratto all'ispezione una o più delle scritture
contabili prescritte
dall'art.
14 ovvero quando le scritture
medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;
d) quando le omissioni e le false o inesatte
indicazioni
accertate ai
sensi
del
precedente
comma
ovvero
le
irregolarità
formali
delle scritture contabili risultanti dal
verbale di ispezione
sono
così
gravi, numerose e ripetute da
rendere inattendibili
nel
loro
complesso
le scritture stesse
per mancanza delle garanzie
proprie
di
una
contabilità
sistematica. Le
scritture
ausiliarie
di
magazzino
non
si
considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti
entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel
carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede
di
lavorazione
ai
sensi
della lettera d) del primo comma
dell'art. 14 del presente decreto.
d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli
inviti disposti dagli uffici ai sensi dell'articolo 32, primo comma,
numeri 3) e 4), del presente decreto o dell'articolo 51, secondo
comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica
26 ottobre 1972, n. 633.
Le disposizioni dei commi precedenti valgono,
in
quanto
applicabili, anche per i redditi delle imprese minori e per
quelli
derivanti dall'esercizio di
arti
e
professioni,
con
riferimento
alle
scritture contabili
rispettivamente
indicate
negli
artt.
18
e
19.
Il
reddito d'impresa dei soggetti
indicati nel quarto
comma
dell'art.
18,
che
non hanno
provveduto agli adempimenti contabili
di
cui
ai
precedenti
commi dello stesso articolo, è determinato in ogni caso ai sensi
del secondo comma del presente articolo.
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
(in S.O. n. 1 alla G.U. n. 292 dell'11 novembre 1972)
Art. 54
Rettifica delle dichiarazioni
L'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto procede alla rettifica
della
dichiarazione annuale presentata dal contribuente
quando
ritiene
che ne risulti un'imposta inferiore a quella dovuta ovvero
una
eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella
spettante.
L'infedeltà
della
dichiarazione,
qualora
non
emerga
o
direttamente
dal contenuto di essa o
dal
confronto
con
gli
elementi di calcolo delle liquidazioni di cui agli artt. 27 e 33
e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata
mediante
il
confronto
tra
gli
elementi indicati nella
dichiarazione e quelli annotati nei registri di cui agli artt.
23, 24 e 25 e mediante il controllo della completezza, esattezza
e veridicità
delle
registrazioni
sulla
scorta
delle
fatture
ed
altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili
e degli altri dati e notizie raccolti nei modi previsti negli artt.
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51 e 51-bis. Le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono
essere indirettamente desunte da tali risultanze, dati e notizie a
norma dell'art. 53 o anche sulla base
di presunzioni semplici,
purché queste siano gravi, precise e concordanti.
L'ufficio
può
tuttavia
procedere
alla
rettifica
indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del
contribuente qualora l'esistenza
di operazioni imponibili per
ammontare
superiore
a
quello
indicato
nella dichiarazione, o
l'inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno
diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in
via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui ai nn. 2),
3) e 4) dell'art.
51,
dagli
elenchi
allegati
alle
dichiarazioni
di
altri contribuenti o da verbali relativi ad
ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da
altri atti e documenti in suo possesso.
Per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili e relative
pertinenze, la prova di cui al precedente periodo s'intende
integrata anche se l'esistenza delle operazioni imponibili o
l'inesattezza delle indicazioni di cui
al
secondo comma sono
desunte
sulla
base
del
valore
normale
dei
predetti
beni,
determinato ai sensi dell'articolo 14 del presente decreto
[...]
Senza
pregiudizio
dell'ulteriore
azione
accertatrice
nei
termini stabiliti dall'articolo 57, i competenti uffici dell'Agenzia
delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni
e
verifiche
nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale
accertamento, da
una
Direzione regionale ovvero da un ufficio
della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla
Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici
oppure dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria,
risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di
corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di
detrazioni in tutto
o in parte non spettanti, può limitarsi ad
accertare, in base
agli
elementi predetti, l'imposta o
la
maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante, nonché
l'imposta o la maggiore imposta non versata, escluse le
ipotesi di cui
all'articolo
54-bis,
anche
avvalendosi
delle
procedure previste dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.
[ ... ]
Gli avvisi di accertamento parziale possono essere notificati
mediante invio di lettera raccomandata con avviso di
ricevimento.
La
notifica
si considera
avvenuta
alla
data
indicata
nell'avviso
di
ricevimento sottoscritto dal destinatario ovvero
da persona di famiglia o addetto alla casa.
Gli avvisi di accertamento parziale sono annullati dall'ufficio
che
li ha emessi se, dalla documentazione
prodotta
dal
contribuente, risultano infondati in tutto o in parte.
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
(in S.O. n. 1 alla G.U. n. 292 dell'11 novembre 1972)
Art. 55
Accertamento induttivo
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Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale
l'ufficio dell'imposta
sul
valore
aggiunto
può
procedere
in
ogni
caso all'accertamento
dell'imposta
dovuta
indipendentemente
dalla
previa ispezione della contabilità. In
tal caso l'ammontare imponibile complessivo e l'aliquota applicabile
sono determinati
induttivamente
sulla
base
dei dati e delle
notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell'ufficio e sono
computati in detrazione soltanto i versamenti
eventualmente
eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell'art.
19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33.
Le disposizioni del precedente comma si applicano anche
se
la dichiarazione [presentata è priva di sottoscrizione e il
contribuente
non
ha
provveduto,
entro
trenta
giorni
dal
ricevimento
dell'invito
da
parte dell'ufficio dell'imposta sul
valore aggiunto, alla sottoscrizione o]
reca le indicazioni di cui ai numeri 1) e 3) dell'art. 28
senza
le distinzioni e specificazioni ivi richieste, sempreché le
indicazioni stesse non siano state regolarizzate entro il mese
successivo
a
quello
di presentazione della dichiarazione. Le
disposizioni stesse si applicano,
in deroga alle disposizioni
dell'art. 54, anche nelle seguenti ipotesi:
1) quando risulta, attraverso il verbale
di
ispezione
redatto ai sensi dell'art. 52, che il contribuente non ha tenuto,
ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all'ispezione i
registri
previsti
dal presente decreto e le altre scritture
contabili obbligatorie a norma del primo comma dell'art. 2214 del
codice civile e delle leggi in materia di imposte sui redditi, o
anche soltanto alcuni di tali registri e scritture;
2)
quando
dal
verbale
di
ispezione
risulta
che
il
contribuente non ha emesso le fatture per una parte rilevante delle
operazioni ovvero non ha conservato, ha rifiutato di esibire o ha
comunque sottratto
all'ispezione, totalmente o per una parte
rilevante, le fatture emesse;
3)
quando
le
omissioni
e
le
false
o
inesatte
indicazioni
o annotazioni accertate ai sensi dell'art. 54, ovvero
le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture
contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi,
numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del
contribuente.
Se
vi
è
pericolo
per
la
riscossione
dell'imposta
l'ufficio può procedere all'accertamento induttivo, per la frazione
di anno solare già decorsa, senza attendere la scadenza del
termine stabilito per
la dichiarazione annuale e con riferimento
alle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33.
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