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Doc/Scienze - Classe 1 - I Terremoti
Un terremoto è il prodotto della brusca e violenta liberazione dell'energia accumulata da una roccia sottoposta a sforzo. A pressioni non elevate le rocce, sottoposte a sforzi, hanno un comportamento "fragile" che può essere illustrato con il diagramma della figura accanto. La roccia si deforma elasticamente fino ad un valore A dello sforzo, al di sopra del quale la relazione non è più lineare. Quando lo sforzo raggiunge il valore C (punto di rottura) la roccia si rompe, liberando tutta l'energia accumulata fino a quel momento. Il punto in cui avviene la rottura (accompagnata da spostamento delle parti), viene chiamata faglia. Con il nome di faglia vengono indicate tutte le discontinuità piane lungo le quali si ha spostamento. Da un punto di vista geometrico un piano di faglia, che sarà caratterizzato da una direzione, un'immersione ed un'inclinazione, separerà due blocchi i quali prenderanno il nome di tetto e letto in funzione della loro rispettiva posizione rispetto al piano di faglia. Si definirà tetto il blocco che si trova al di sopra del piano di faglia, letto quello che giacerà al di sotto. Si definisce rigetto lo spostamento, misurato in punti omologhi, che i due blocchi subiscono lungo il piano di faglia. Il rigetto di una faglia si scompone in realtà in : • Rigetto reale: corrisponde al reale spostamento avvenuto lungo il piano di faglia (segmento AB della figura). • Rigetto verticale apparente: rappresenta la componente verticale, sul piano di faglia, del rigetto reale (segmento CB). • Rigetto orizzontale: rappresenta la componente orizzontale del rigetto reale misurata lungo la direzione del piano di faglia (segmento AC). • Rigetto verticale: costituisce lo spostamento misurato lungo la verticale (segmento CD). • Rigetto laterale: costituisce lo spostamento avvenuto lungo il piano orizzontale (segmento DB). Si definisce pitch l'angolo che una linea sul piano di faglia, forma con la direzione del piano stesso. TIPI DI FAGLIE In funzione del tipo di spostamento che avviene lungo la discontinuità, le faglie possono suddividersi in genere in: Faglie normali Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della superficie di separazione con uno spostamento verso il basso del tetto rispetto al letto. Faglie inverse Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della superficie di separazione con uno spostamento verso l'alto del tetto rispetto al letto. Se il movimento avviene lungo, la direzione del piano di faglia; in particolare si distingueranno faglie trascorrenti destre e sinistre Faglie secondo che ad un osservatore che staziona su un blocco, l'altro trascorrenti apparirà essere stato spostato rispettivamente verso la sua destra o sinistra. In natura molto spesso le faglie hanno movimenti intermedi tra quello delle faglie normali (e/o inverse) e quello delle faglie trascorrenti. In tale caso si parlerà di faglie oblique normali o inverse; in particolare se lo spostamento prevalente sarà quello verticale si avranno faglie normali e/o inverse con componenti di trascorrenza destra o sinistra, viceversa se prevarrà lo spostamento orizzontale si avranno faglie trascorrenti destre o sinistre a componente normale o inversa. Considerando che la deformazione avviene in mezzo omogeneo ed isotropo lungo piani simmetrici, è possibile aggiungere ai criteri classificativi di tipo qualitativo anche un parametro fisico che è rappresentato dalla geometria del campo degli sforzi corrispondenti. In particolare avremo Faglie normali E' caratterizzata da una geometria del campo tensionale con la componente principale massima (sigma 1) verticale, la componente principale minima (sigma 3) orizzontale e perpendicolare al sigma 1 e la componente intermedia (sigma 2), giacente sul piano orizzontale e parallela al piano di faglia. Faglie inverse E' caratterizzata da una geometria del campo tensionale con la componente principale massima (sigma 1) giacente sul piano orizzontale, la componente principale minima (sigma 3) verticale e la componente intermedia (sigma 2), giacente sul piano orizzontale e parallela al piano di faglia. E' caratterizzato da una geometria del campo tensionale con le componenti principali massima (sigma 1) e minima (sigma 3) giacenti sul piano orizzontale ed orientate rispettivamente in Faglie trascorrenti corrispondenza delle bisettrici dell'angolo acuto e dell'angolo ottuso formati da due piani coniugati; la componente intermedia (sigma 2) sarà verticale. La classificazione sopra riportata ha come riferimento le relazioni esistenti fra le tre componenti principali rispetto all'orizzontale. Queste relazioni sono valide solo per livelli superficiali in quanto, con il progredire delle profondità, l'andamento degli assi delle tre componenti subisce variazioni più o meno marcate dipendenti da numerosi fattori. Ciò comporterà che anche l'andamento dei piani delle faglie subirà dei cambiamenti nell'orientazione adattandosi di volta in volta alla nuova geometria del campo tensionale. Il terremoto si origina in un punto all'interno della terra che prende il nome di IPOCENTRO, la proiezione dell'ipocentro sulla superficie della terra, prende invece il nome di EPICENTRO. L'ipocentro, può essere localizzato, analizzando i sismogrammi che vengono registrati nelle stazioni sismografiche. Per poter localizzare esattamente l'epicentro, occorrono i dati registrati in più stazioni sismografiche. Infatti con i sismogrammi, si possono calcolare le distanze epicentrali, ed i dati di una sola stazione sismografica, potranno definire solo una zona circolare lungo il cui perimetro si è generato il sisma. Occorrono almeno tre stazioni sismografiche per poter determinare le coordinate esatte dell'epicentro.In ogni stazione, verrà definito un perimetro circolare, e l'intersezione dei tre cerchi ci darà un punto, coincidente con l'epicentro del terremoto. Le distanze dell'epicentro dalla stazione sismografica, vengono determinate in base alla misura dei tempi di arrivo delle onde P ed S nelle differenti stazioni. Quando si hanno a disposizione le registrazioni, ottenute in almeno tre stazioni, di un evento sismico che si è verificato nell'istante t0 (tempo d'origine), è possibile determinare le coordinate epicentrali del terremoto se sono note le velocità di propagazione (Vp e Vs) delle onde sismiche e se si suppone isotropo (un mezzo si dice isotropo quando presenta le stesse caratteristiche chimico - fisiche in tutte le direzioni) il mezzo attraverso il quale esse si propagano. Supponiamo di avere i sismogrammi relativi alle stazioni A, B, C, riportati nella figura a fianco. Congiungiamo l'origine degli assi, coincidente nel nostro caso con l'epicentro, con i tempi di arrivo della stessa onda nelle tre stazioni con una linea (rossa) detta dromocrona , ne costruiremo una per ogni tipo di onda, una per le onde P, una per le onde S ed una per le onde superficiali. Supponendo di conoscere la velocità delle onde P (Vp=1,73 Vs) e delle onde S (Vs), e ricavando dal diagramma la differenza dei tempi di arrivo delle onde P ed S, possiamo ricavare la distanza epicentrale con la formula: D= (Vp / 1,73) (ts - tp) dove: ts= tempo di arrivo delle onde S tp= tempo di arrivo delle onde P Per determinarla profondità dell'ipocentro si usa lo stesso metodo, basato sulla differenza dei tempi di arrivo delle varie onde. In questo caso, però si utilizzano solo i dati relativi alla stazione più vicina all'epicentro, che per convenzione, viene considerata come se fosse sulla verticale dell'ipocentro. La distanza ottenuta, applicando la formula precedente, sarà in questo caso la distanza verticale, ovvero la profondità, dell'ipocentro dalla superficie. Il terremoto, generandosi all'interno di mezzi elastici, come sono le rocce costituenti la terra,si propaga tramite delle ONDE MECCANICHE. Tali onde hanno origine dallo spostamento di una porzione di un mezzo elastico dalla sua posizione normale, con successiva oscillazione attorno ad una posizione di equilibrio. A causa, poi, delle proprietà elastiche del mezzo, la perturbazione si trasmette da uno strato al successivo e quindi all'intero mezzo. La trasmissione dell'energia non avviene, quindi,mediante un movimento effettivo a lungo raggio del mezzo stesso, ma le varie parti si limitano ad oscillare entro limiti ristretti. La trasmissione delle onde meccaniche avviene solo se c'è materia. Onde di volume Onde di superficie A seconda del movimento delle particelle materiali rispetto alla direzione di propagazione delle onde stesse, possono essere divise in: ONDE P (longitudinali) Il loro nome è l'abbreviazione di primae, sono molto veloci (da 5,5 a 11,7 Km / sec). Il movimento trasmesso dall'onda alle particelle materiali, avviene nella stessa direzione di propagazione dell'onda (come le onde sonore). Implicano variazioni di volume; il mezzo sarà soggetto a compressioni e dilatazioni. ONDE S (trasversali) Il loro nome è l'abbreviazione di secundae, sono meno veloci delle onde P (da 3,5 a 7,3 Km / sec). Sono dette onde trasversali, cioè di torsione, capaci di imprimere alle particelle incontrate vibrazioni in direzione ortogonale a quella di propagazione dell'onda. Questo tipo di onda è fortemente attenuata nei mezzi poco rigidi, fino a scomparire totalmente nei mezzi fluidi. Danno luogo a variazioni di forma. La terra non è un mezzo omogeneo, ma presenta delle discontinuità in corrispondenza delle quali si generano le onde superficiali, le quali si propagano in due dimensioni. Possono essere distinte in: ONDE R (di Rayleigh) Sono onde polarizzate in un piano verticale. La vibrazione delle particelle è la risultante di due movimenti uno verticale ed uno orizzontale nella direzione di propagazione dell'onda. Le onde R si propagano lungo la superficie della terra in prossimità della discontinuità terra - aria. Quando si propagano in un mezzo omogeneo non presentano dispersione e la loro velocità è generalmente pari a 0,92 volte la velocità delle onde S. L'ampiezza dell'onda si smorza rapidamente con la profondità. ONDE DI LOVE Le onde di Love sono polarizzate in un piano orizzontale e sono generate in una superficie di discontinuità tra due strati quando la velocità delle onde trasversali nello strato inferiore è maggiore di quella nello strato superiore. La vibrazione delle particelle avviene in due direzioni orizzontali ortogonali tra loro. La velocità delle onde di Love è funzione del rapporto tra la velocità delle onde trasversali nei due strati, e della loro lunghezza d'onda. Il fatto che la velocità dipenda dalla lunghezza d'onda dà origine al fenomeno della dispersione. Per definire in modo completo un terremoto è necessario poter determinare, oltre alle coordinate ipocentrali, anche l'energia liberata all'ipocentro. Per molti anni si è cercato di dedurre quest'ultimo parametro in base agli effetti che un terremoto produce su manufatti e persone. Questo criterio però è largamente inadeguato perchè gli effetti prodotti da un terremoto dipendono da diversi fattori (profondità ipocentrale, distribuzione della popolazione, caratteristiche geologiche locali, tipo di costruzioni ecc.). Attualmente, per misurare i terremoti, si utilizzano due tipi di scale: Scala Richter misura la Magnitudo o Energia del terremoto. Scala Mercalli misura l'intensità del terremoto e si basa sugli effetti macrosismici. La scala Richter, è stata introdotta nel 1935 dal sismologo C. Richter e serve a definire la "magnitudo" come parametro legato all'energia liberata all'ipocentro. La magnitudo è stata definita da Richter come il logaritmo in base 10 dell'ampiezza massima, misurata in micron, della registrazione, ottenuta con un sismografo standard, di un terremoto avvenuto ad una distanza epicentrale di 100 Km. dalla stazione. La magnitudo di terremoti che avvengono a distanze epicentrali diverse dai 100 Km. può essere calcolata se si conosce la legge di attenuazione dell'ampiezza delle diverse onde sismiche con la distanza epicentrale. Dallo studio di numerosissimi terremoti superficiali della California, con distanze epicentrali comprese tra 200 e 1500 Km, Richter ricavò la seguente equazione valida per il calcolo della magnitudo locale (Ml) in California: Ml = log Amax + 3 log D - 3,37 in cui: D è la distanza epicentrale misurata in Km. Amax è l'ampiezza massima dell'oscillazione misurata in micron. In questa definizione, la magnitudo si calcola in base al valore dell'ampiezza massima ottenuta in una registrazione, qualunque sia il tipo di onda (P, S o superficiale) al quale essa si riferisce. Sono state proposte in seguito delle definizioni più generali, cioè valide non solo localmente, basate sull'utilizzazione delle onde superficiali. Le definizioni più usate sono: quella di Gutemberg e Richter, nella quale la magnitudo (Ms) è determinata in base al valore in micron, della massima ampiezza del movimento del suolo prodotto da onde R di periodo uguale a 20 sec: Ms = log A + a f(D,h) + b in cui: a e b sono due costanti. h è la profondità ipocentrale. Abbiamo poi la definizione di Bath, nella quale la magnitudo è calcolata in base all'ampiezza massima di un'onda superficiale di periodo T: Ms = log (A/T) +a f(D,h) + b La funzione f(D,h) che compare nelle ultime due formule deve essere determinata per ogni stazione sismografica. L'utilizzazione delle onde superficiali per il calcolo della magnitudo è adeguata per i terremoti superficiali (profondità ipocentrale inferiore a 90 Km.), ma non è conveniente per i terremoti profondi in quanto essi producono onde superficiali poco sviluppate. È stata perciò introdotta una magnitudo (Mb) basata sulla determinazione dell'ampiezza delle onde P: Mb = log (Ap/T) +a f(D,h) + b in cui: Ap è l'ampiezza massima dell'onda P. Per uno stesso terremoto Mb e Ms sono diversi, perchè le magnitudo, vengono calcolate su onde diverse. Una relazione statistica ha dimostrato che generalmente: Mb = 2,94 + 0,55 Ms Per cui avremo Mb = Ms per valori di Ms = 6,5. Se Ms < 6,5 allora avremo Mb > Ms. Se Ms > 6,5 allora avremo Mb < Ms La scala Mercalli, misura l'intensità del terremoto basandosi su effetti macrosismici (danni a persone e manufatti) ed è quindi una misura molto imprecisa, in quanto i danni rilevati, dipendono anche dalle caratteristiche delle strutture, dalla densità abitativa, dall'importanza artistica di determinati edifici e da altre variabili indipendenti dal terremoto stesso. Le zone che hanno riportato gli stessi danni, vengono racchiuse da delle linee dette isosiste. Ad ogni isosista corrisponde un grado di intensità, dipendente dagli effetti prodotti dal terremoto all'interno dell'area racchiusa dall'isosista stessa. L'intensità massima, si avrà in corrispondenza dell'epicentro e poi man mano che ci si allontana dall'epicentro, avremo delle intensità via via minori. I gradi d'intensità, vengono attribuiti alle varie zone, sulla base di una tabella, nella quale vengono riportati i gradi ed i relativi effetti. Grado Descrizione degli effetti I Non percepito salvo che in casi particolari; animali inquieti; fronde che stormiscono; porte e lampadari che oscillano. II Percepito solo da persone sdraiate, soprattutto ai piani alti degli edifici. III Percepito in casa; la maggioranza però non riconosce il terremoto; tremito simile a quello dovuto al passaggio di un carro leggero; la durata della scossa può essere valutata. IV Finestre, piatti e porte vibrano; i muri scricchiolano; vibrazione simile a quella dovuta al passaggio di carri pesanti; percepito da molti in casa, da pochi all'esterno. V Percepito quasi da tutti; molti vengono svegliati; oggetti instabili possono cadere; gli intonaci possono rompersi. VI Percepito da tutti; mobili pesanti vengono rimossi; i libri cadono ed i quadri si staccano dal muro; le campane suonano; danni occasionali ai camini; danni strutturali minimi. Panico; difficoltà a conservare la posizione eretta; percepito anche dagli automobilisti; VII danni minimi agli edifici di buona fattura; danni considerevoli agli altri; onde nei laghi e negli stagni. Disturba la guida di autoveicoli; la struttura degli edifici è interessata fino alle VIII fondamenta, muri di separazione abbattuti; i camini vibrano o cadono; danni lievi solo alle costruzioni antisismiche; i mobili pesanti vengono rovesciati. IX Panico generale; danni considerevoli anche alle costruzioni antisismiche; caduta di edifici; danni seri ai bacini ed alle tubazioni sotterranee; ampie fratture nel terreno. X La maggior parte delle opere in muratura è distrutta, compresi anche gli edifici antisismici; rotaie deformate debolmente; grandi frane. XI Poche case rimangono in piedi; i ponti distrutti; ampie fessure nel terreno; rotaie fortemente piegate. XII Distruzione totale; gli oggetti sono addirittura proiettati in aria. Se si eccettuano i terremoti collegati al sistema arco calabro-arco delle Eolie-bacino margianale del Tirreno, l'attività sismica in Italia è prevalentemente concentrata nella crosta terrestre, cioè a profondità minori di 40 Km. circa. La distribuzione degli epicentri superficiali nella penisola italiana segue la catena appenninica ma non mostra correlazioni evidenti con le principali linee tettoniche appenniniche visibili in superficie, sebbene lungo alcune di esse sia localizzata un'intensa attività sismica. Probabilmente la mancanza di una chiara correlazione è imputabile sia al fatto che solo per i terremoti degli ultimi anni l'epicentro è stato determinato con buona precisione che ala complessità della struttura geologica costituita da una copertura a falde "scollate" dal basamento rigido. Solo dal 1978 la rete nazionale gestita dall'Istituto Nazionale di Geofisica è stata riorganizzata in modo da fornire determinazioni delle distanze epicentrali con una precisione media di + 10 Km. per l'intero territorio nazionale. La precisione è ancora più elevata per i terremoti che avvengono nelle aree nelle quali operano reti sismiche regionali. In tali aree le determinazioni della profondità ipocentrale dei terremoti raggiunge una precisione di + 5 Km.. I terremoti intermedi e profondi che avvengono nell'area tirrenica se vengono proiettati in un piano verticale perpendicolare alla direzione dell'arco metamorfico Calabro-Peloritano e dell'arco vulcanico delle isole Eolie definiscono un piano di Benioff che si immerge verso WNW con un'inclinazione di 50°-60°. La distribuzione dei terremoti lungo il piano di Benioff non è uniforme, ma esistono delle zone di minore attività tra 150 e 230 Km. e tra 350 e 450 Km., profondità alla quale sono stati registrati gli ipocentri più profondi. Una constatazione che risulta evidente dall'osservazione della distribuzione a scala planetaria dei terremoti è che essi non avvengono con la stessa frequenza su tutta la Terra, ma sono concentrati in alcune aree ben definite da un punto di vista geologico. I terremoti avvengono principalmente in una ristretta fascia che circonda l'Oceano Pacifico ed è connessa alle recenti catene a pieghe, che formano il margine pacifico del continente americano, ed una serie di isole vulcaniche che bordano la costa pacifica del continente asiatico e dell'Australia. Il 75 % dell'energia associata a terremoti con ipocentro meno profondo di 70 Km. avvenuti tra il 1904 ed il 1952 è stata liberata nella fascia circumpacifica. Un ulteriore 23 % dell'energia sismica liberata nello stesso periodo è concentrata nella fascia di catene montuose recenti che va dal Mediterraneo all'Himalaya (orogeni alpino-himalayani) e negli archi di isole connessi (Egeo, Eolie). Il restante 2% è legato in gran parte a terremoti che avvengono lungo le dorsali medio-oceaniche. Appare quindi chiaro che l'ubicazione dei terremoti caratterizza i tratti fondamentali delle strutture litosferiche, giacchè: a) segue perfettamente l'andamento delle varie dorsali oceaniche; b) delinea i margini dell'intero oceano Pacifico e dell'oceano Indiano orientale, caratterizzati da vistosi fenomeni recenti di tettonica compressiva; c) si addentra nelle masse continentali rivelando l'instabilità delle grandi linee di sutura in corrispondenza delle catene corrugatesi durante il ciclo AlpinoHimalayano. Nella teoria della tettonica a zolle la distribuzione degli epicentri sismici è considerata marcare i limiti tra zolle di litosfera, in moto relativo tra di loro, nelle quali è divisa la superficie terrestre. Una suddivisione ancora più netta si ottiene se si prendono in considerazione solo i terremoti intermedi (profondità compresa tra 70 e 300 Km.) e profondi (profondità superiore a 300 Km.). Questi infatti sono ancora maggiormente concentrati lungo la cintura circumpacifica. Il terremoto più profondo è avvenuto, ad una profondità di 720 Km.. > Se gli ipocentri dei terremoti intermedi e profondi che avvengono in una determinata regione vengono proiettati su di un piano verticale orientati perpendicolarmente alla direzione dell'arco di isole, essi definiscono un piano che immerge con un angolo variabile tra 30° e 70° al di sotto dell'arco di isole verso il bacino marginale. Questo piano è chiamato "Benioff" o "Benioff-Wadati" dal nome dei primi geofisici che ne hanno mostrato l'esistenza. Lo spessore del piano di Benioff, definito dalla distribuzione dei terremoti, è variabile da circa 25 Km. nel caso delle Tonga a più di 100 Km. nel caso del Giappone e di altri archi di isole E' possibile però che almeno parte della variazione sia dovuta a dispersione degli ipocentri dei terremoti a causa di errori nella loro ubicazione. La teoria della tettonica a zolle interpreta questi piani come zolle litosferiche subdotte nell'incontro tra due zolle di litosfera in movimento convergente. La distribuzione dell'energia sismica liberata non è però uniforme per tutta la lunghezza del piano di Benioff. Spesso l'attività sismica raggiunge un minimo a profondità comprese tra 150 e 250 Km. e tra 400 e 500 Km., indicando una probabile diminuzione della rigidità della litosfera in questi intervalli. Solo in questi ultimi tempi la scienza si è impegnata con uomini e mezzi per la previsione dei terremoti. Anche se purtroppo non è ancora possibile stabilire l'eventualità di un sisma con largo anticipo di tempo, è ormai accertato che per i grandi sismi i segnali premonitori si annunciano diversi anni prima. È difficile tuttavia formulare previsioni a breve scadenza, dell'ordine delle settimane e dei giorni, sia perchè esistono modelli diversi per la successione degli avvenimenti che immediatamente precedono la scossa sia e soprattutto perchè le conoscenze scientifiche in questo campo non sono ancora sufficientemente progredite. Si sa che nel periodo imediatamente precedente il sisma la roccia, sottoposta a tensione si piega e ciò causa numerose microfratture nella regione di massima tensione. È stato provato su campioni di laboratorio che il fenomeno inizia quando la forza agente è circa la metà di quella necessaria a spezzare il campione; in queste condizioni varia la velocità alla quale le onde elastiche possono viaggiare all'interno della roccia. Anche la resistività elettrica subisce delle alterazioni; nelle aree attive la normale frequenza dei microsismi ha un periodo di stasi prima di una grave scossa. Altri segni premonitori osservati sono la variazione di livello delle acque nei laghi, fiumi e nel mare; l'aumento della quantità di radon ( il più liquefacibile dei gas nobili) nelle acque dei pozzi; variazioni del campo magnetico nell'area epicentrale del terremoto. Naturalmente per avere la possibilità di una previsione ragionevolmente approssimata bisogna creare un modello fisico di riferimento che inquadri in maniera organica l'insieme delle conoscenze sui segni premonitori del sisma. Sono stati elaborati due modelli di previsione uno americano e l'altro russo. In ambedue i modelli nel primo stadio è prevista un'accumulazione di energia elastica. Nel secondo stadio, nel quale inizia l'emissione dei segnali premonitori, appaiono numerose fratture nell'area sottoposta a tensione e si verifica un anomalo aumento del volume della roccia, ciò che provoca una diminuzione della velocità sismica, un aumento del flusso dell'acqua nella roccia (a causa della fratturazione) e perciò una maggior quantità di radon nelle acque. Nel modello americano in questa seconda fase inizia a diminuire la resistività elettrica ed anche il numero di microsismi, perchè l'acqua riempiendo le fratture aumenta la coesione. I due modelli differiscono sostanzialmente nel terzo stadio che precede immediatamente il sisma. Gli americani in questa fase prevedono un maggior afflusso di d'acqua nell'area di maggior tensione. Ciò comporta un aumento della velocità delle onde sismiche, un aumento della pressione sulle facce delle fratture e nei pori della roccia invasa dall'acqua. questa azione ne indebolisce la struttura, che reagisce alle nuove spinte con una serie di fratture, segnalate da numerose scosse che evidenziano il precario equilibrio delle forze in gioco, che si concluderà catastroficamente alla ricerca di una nuova stabilità. Nel modello russo l'acqua non riveste alcun ruolo, ma la deformazione della roccia ed il rapido aumento delle fratture fanno diminuire la tensione e l'area deformata trova una precaria e momentanea stabilità con aumento della velocità sismica, diminuzione dei piccoli terremoti e diminuzione della resistività, ma non così accentuata come nel modello americano. Poi la pressione d'instabilità ha il sopravvento e si ha la scossa principale. Le rocce dopo l'evento sismico ritrovano le loro caratteristiche normali.