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Doc/Scienze - Classe 1 - I Terremoti

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Doc/Scienze - Classe 1 - I Terremoti
Un terremoto è il prodotto della brusca e
violenta liberazione dell'energia accumulata da
una roccia sottoposta a sforzo.
A pressioni non elevate le rocce, sottoposte a
sforzi, hanno un comportamento "fragile" che
può essere illustrato con il diagramma della figura accanto.
La roccia si deforma elasticamente fino ad un valore A dello sforzo, al
di sopra del quale la relazione non è più lineare.
Quando lo sforzo raggiunge il valore C (punto di rottura) la roccia si
rompe, liberando tutta l'energia accumulata fino a quel momento.
Il punto in cui avviene la rottura (accompagnata da spostamento delle
parti), viene chiamata faglia.
Con il nome di faglia vengono indicate tutte le discontinuità
piane lungo le quali si ha spostamento.
Da un punto di vista geometrico un piano di faglia, che sarà
caratterizzato da una direzione, un'immersione ed
un'inclinazione, separerà due blocchi i quali prenderanno il
nome di tetto e letto in funzione della loro rispettiva posizione rispetto al piano di
faglia.
Si definirà tetto il blocco che si trova al di sopra del piano di faglia, letto quello che
giacerà al di sotto.
Si definisce rigetto lo spostamento, misurato in punti omologhi, che i due blocchi
subiscono lungo il piano di faglia.
Il rigetto di una faglia si scompone in realtà in :
• Rigetto reale: corrisponde al reale spostamento avvenuto lungo il piano di faglia
(segmento AB della figura).
• Rigetto verticale apparente: rappresenta la componente verticale, sul piano di
faglia, del rigetto reale (segmento CB).
• Rigetto orizzontale: rappresenta la componente orizzontale del rigetto reale
misurata lungo la direzione del piano di faglia (segmento AC).
• Rigetto verticale: costituisce lo spostamento misurato lungo la verticale (segmento
CD).
• Rigetto laterale: costituisce lo spostamento avvenuto lungo il piano orizzontale
(segmento DB).
Si definisce pitch l'angolo che una linea sul piano di faglia, forma con la direzione del
piano stesso.
TIPI DI FAGLIE
In funzione del tipo di spostamento che avviene lungo la discontinuità, le faglie
possono suddividersi in genere in:
Faglie
normali
Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della
superficie di separazione con uno spostamento verso il basso del
tetto rispetto al letto.
Faglie
inverse
Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della
superficie di separazione con uno spostamento verso l'alto del tetto
rispetto al letto.
Se il movimento avviene lungo, la direzione del piano di faglia; in
particolare si distingueranno faglie trascorrenti destre e sinistre
Faglie
secondo che ad un osservatore che staziona su un blocco, l'altro
trascorrenti apparirà essere stato spostato rispettivamente verso la sua destra o
sinistra.
In natura molto spesso le faglie hanno movimenti intermedi tra quello delle faglie
normali (e/o inverse) e quello delle faglie trascorrenti.
In tale caso si parlerà di faglie oblique normali o inverse; in particolare se lo
spostamento prevalente sarà quello verticale si avranno faglie normali e/o inverse con
componenti di trascorrenza destra o sinistra, viceversa se prevarrà lo spostamento
orizzontale si avranno faglie trascorrenti destre o sinistre a componente normale o
inversa.
Considerando che la deformazione avviene in mezzo omogeneo ed isotropo lungo
piani simmetrici, è possibile aggiungere ai criteri classificativi di tipo qualitativo
anche un parametro fisico che è rappresentato dalla geometria del campo degli sforzi
corrispondenti.
In particolare avremo
Faglie
normali
E' caratterizzata da una geometria del campo tensionale con la
componente principale massima (sigma 1) verticale, la
componente principale minima (sigma 3) orizzontale e
perpendicolare al sigma 1 e la componente intermedia (sigma 2),
giacente sul piano orizzontale e parallela al piano di faglia.
Faglie
inverse
E' caratterizzata da una geometria del campo tensionale con la
componente principale massima (sigma 1) giacente sul piano
orizzontale, la componente principale minima (sigma 3)
verticale e la componente intermedia (sigma 2), giacente sul
piano orizzontale e parallela al piano di faglia.
E' caratterizzato da una geometria del campo tensionale con le
componenti principali massima (sigma 1) e minima (sigma 3)
giacenti sul piano orizzontale ed orientate rispettivamente in
Faglie
trascorrenti corrispondenza delle bisettrici dell'angolo acuto e dell'angolo
ottuso formati da due piani coniugati; la componente intermedia
(sigma 2) sarà verticale.
La classificazione sopra riportata ha come riferimento le relazioni esistenti fra le tre
componenti principali rispetto all'orizzontale.
Queste relazioni sono valide solo per livelli superficiali in quanto, con il progredire
delle profondità, l'andamento degli assi delle tre componenti subisce variazioni più o
meno marcate dipendenti da numerosi fattori.
Ciò comporterà che anche l'andamento dei piani delle faglie subirà dei cambiamenti
nell'orientazione adattandosi di volta in volta alla nuova geometria del campo
tensionale.
Il terremoto si origina in un punto all'interno della terra che prende il nome di
IPOCENTRO, la proiezione dell'ipocentro sulla superficie della terra, prende invece
il nome di EPICENTRO.
L'ipocentro, può essere localizzato, analizzando i sismogrammi che vengono
registrati nelle stazioni sismografiche.
Per poter localizzare esattamente l'epicentro, occorrono i dati registrati in più stazioni
sismografiche. Infatti con i sismogrammi, si possono calcolare le distanze epicentrali,
ed i dati di una sola stazione sismografica, potranno definire solo una zona circolare
lungo il cui perimetro si è generato il sisma.
Occorrono almeno tre stazioni sismografiche per poter determinare le coordinate
esatte dell'epicentro.In ogni stazione, verrà definito un perimetro circolare, e
l'intersezione dei tre cerchi ci darà un punto, coincidente con l'epicentro del
terremoto. Le distanze dell'epicentro dalla stazione sismografica, vengono
determinate in base alla misura dei tempi di arrivo delle onde P ed S nelle differenti
stazioni.
Quando si hanno a disposizione le registrazioni, ottenute in almeno tre stazioni, di un
evento sismico che si è verificato nell'istante t0 (tempo d'origine), è possibile
determinare le coordinate epicentrali del terremoto se sono note le velocità di
propagazione (Vp e Vs) delle onde sismiche e se si suppone isotropo (un mezzo si
dice isotropo quando presenta le stesse caratteristiche chimico - fisiche in tutte le
direzioni) il mezzo attraverso il quale esse si propagano. Supponiamo di avere i
sismogrammi relativi alle stazioni A, B, C, riportati nella figura a fianco.
Congiungiamo l'origine degli assi, coincidente nel nostro caso con l'epicentro, con i
tempi di arrivo della stessa onda nelle tre stazioni con una linea (rossa) detta
dromocrona , ne costruiremo una per ogni tipo di onda, una per le onde P, una per le
onde S ed una per le onde superficiali.
Supponendo di conoscere la velocità delle onde P (Vp=1,73 Vs) e delle onde S (Vs),
e ricavando dal diagramma la differenza dei tempi di arrivo delle onde P ed S,
possiamo ricavare la distanza epicentrale con la formula:
D= (Vp / 1,73) (ts - tp)
dove:
ts= tempo di arrivo delle onde S
tp= tempo di arrivo delle onde P
Per determinarla profondità dell'ipocentro si usa lo stesso metodo, basato sulla
differenza dei tempi di arrivo delle varie onde.
In questo caso, però si utilizzano solo i dati relativi alla stazione più vicina
all'epicentro, che per convenzione, viene considerata come se fosse sulla verticale
dell'ipocentro.
La distanza ottenuta, applicando la formula precedente, sarà in questo caso la
distanza verticale, ovvero la profondità, dell'ipocentro dalla superficie.
Il terremoto, generandosi all'interno di mezzi elastici, come sono le rocce costituenti
la terra,si propaga tramite delle ONDE MECCANICHE.
Tali onde hanno origine dallo spostamento di una porzione di un mezzo elastico dalla
sua posizione normale, con successiva oscillazione attorno ad una posizione di
equilibrio.
A causa, poi, delle proprietà elastiche del mezzo, la perturbazione si trasmette da uno
strato al successivo e quindi all'intero mezzo.
La trasmissione dell'energia non avviene, quindi,mediante un movimento effettivo a
lungo raggio del mezzo stesso, ma le varie parti si limitano ad oscillare entro limiti
ristretti.
La trasmissione delle onde meccaniche
avviene solo se c'è materia.
Onde di volume
Onde di superficie
A seconda del movimento delle particelle materiali rispetto alla direzione di
propagazione delle onde stesse, possono essere divise in:
ONDE P (longitudinali)
Il loro nome è l'abbreviazione di primae, sono molto
veloci (da 5,5 a 11,7 Km / sec). Il movimento trasmesso dall'onda alle particelle
materiali, avviene nella stessa direzione di propagazione dell'onda (come le onde
sonore).
Implicano variazioni di volume; il mezzo sarà soggetto a compressioni e dilatazioni.
ONDE S (trasversali)
Il loro nome è l'abbreviazione di secundae, sono meno veloci delle onde P (da 3,5 a
7,3 Km / sec). Sono dette onde trasversali, cioè di torsione, capaci di imprimere alle
particelle incontrate vibrazioni in direzione ortogonale a quella di propagazione
dell'onda.
Questo tipo di onda è fortemente attenuata nei mezzi poco rigidi, fino a scomparire
totalmente nei mezzi fluidi. Danno luogo a variazioni di forma.
La terra non è un mezzo omogeneo, ma
presenta delle discontinuità in corrispondenza
delle quali si
generano le
onde superficiali, le quali si propagano in due
dimensioni.
Possono essere distinte in:
ONDE R (di Rayleigh)
Sono onde polarizzate in un piano verticale. La vibrazione delle particelle è la
risultante di due movimenti uno verticale ed uno orizzontale nella direzione di
propagazione dell'onda. Le onde R si propagano lungo la superficie della terra in
prossimità della discontinuità terra - aria.
Quando si propagano in un mezzo omogeneo non presentano dispersione e la loro
velocità è generalmente pari a 0,92 volte la velocità delle onde S. L'ampiezza
dell'onda si smorza rapidamente con la profondità.
ONDE DI LOVE
Le onde di Love sono polarizzate in un piano orizzontale e sono generate in una
superficie di discontinuità tra due strati quando la velocità delle onde trasversali nello
strato inferiore è maggiore di quella nello strato superiore.
La vibrazione delle particelle avviene in due direzioni orizzontali ortogonali tra loro.
La velocità delle onde di Love è funzione del rapporto tra la velocità delle onde
trasversali nei due strati, e della loro lunghezza d'onda. Il fatto che la velocità dipenda
dalla lunghezza d'onda dà origine al fenomeno della dispersione.
Per definire in modo completo un terremoto è necessario poter determinare, oltre alle
coordinate ipocentrali, anche l'energia liberata all'ipocentro.
Per molti anni si è cercato di dedurre quest'ultimo parametro in base agli effetti che
un terremoto produce su manufatti e persone. Questo criterio però è largamente
inadeguato perchè gli effetti prodotti da un terremoto dipendono da diversi fattori
(profondità ipocentrale, distribuzione della popolazione, caratteristiche geologiche
locali, tipo di costruzioni ecc.).
Attualmente, per misurare i terremoti, si utilizzano due tipi di scale:
Scala Richter
misura la Magnitudo o Energia del terremoto.
Scala Mercalli
misura l'intensità del terremoto e si basa sugli effetti macrosismici.
La scala Richter, è stata introdotta nel 1935 dal sismologo C.
Richter e serve a definire la "magnitudo" come parametro legato all'energia liberata
all'ipocentro.
La magnitudo è stata definita da Richter come il logaritmo in base 10 dell'ampiezza
massima, misurata in micron, della registrazione, ottenuta con un sismografo
standard, di un terremoto avvenuto ad una distanza epicentrale di 100 Km.
dalla stazione.
La magnitudo di terremoti che avvengono a distanze epicentrali diverse dai 100 Km.
può essere calcolata se si conosce la legge di attenuazione dell'ampiezza delle diverse
onde sismiche con la distanza epicentrale.
Dallo studio di numerosissimi terremoti superficiali della California, con distanze
epicentrali comprese tra 200 e 1500 Km, Richter ricavò la seguente equazione valida
per il calcolo della magnitudo locale (Ml) in California:
Ml = log Amax + 3 log D - 3,37
in cui:
D è la distanza epicentrale misurata in Km.
Amax è l'ampiezza massima dell'oscillazione misurata in micron.
In questa definizione, la magnitudo si calcola in base al valore dell'ampiezza massima
ottenuta in una registrazione, qualunque sia il tipo di onda (P, S o superficiale) al
quale essa si riferisce.
Sono state proposte in seguito delle definizioni più generali, cioè valide non solo
localmente, basate sull'utilizzazione delle onde superficiali. Le definizioni più usate
sono: quella di Gutemberg e Richter, nella quale la magnitudo (Ms) è determinata in
base al valore in micron, della massima ampiezza del movimento del suolo prodotto
da onde R di periodo uguale a 20 sec:
Ms = log A + a f(D,h) + b
in cui:
a e b sono due costanti.
h è la profondità ipocentrale.
Abbiamo poi la definizione di Bath, nella quale la magnitudo è calcolata in base
all'ampiezza massima di un'onda superficiale di periodo T:
Ms = log (A/T) +a f(D,h) + b
La funzione f(D,h) che compare nelle ultime due formule deve essere determinata per
ogni stazione sismografica.
L'utilizzazione delle onde superficiali per il calcolo della magnitudo è adeguata per i
terremoti superficiali (profondità ipocentrale inferiore a 90 Km.), ma non è
conveniente per i terremoti profondi in quanto essi producono onde superficiali poco
sviluppate.
È stata perciò introdotta una magnitudo (Mb) basata sulla determinazione
dell'ampiezza delle onde P:
Mb = log (Ap/T) +a f(D,h) + b
in cui:
Ap è l'ampiezza massima dell'onda P.
Per uno stesso terremoto Mb e Ms sono diversi, perchè le magnitudo, vengono
calcolate su onde diverse.
Una relazione statistica ha dimostrato che generalmente:
Mb = 2,94 + 0,55 Ms
Per cui avremo Mb = Ms per valori di Ms = 6,5.
Se Ms < 6,5 allora avremo Mb > Ms.
Se Ms > 6,5 allora avremo Mb < Ms
La scala Mercalli, misura l'intensità del
terremoto basandosi su effetti macrosismici
(danni a persone e manufatti) ed è quindi
una misura molto imprecisa, in quanto i
danni rilevati, dipendono anche dalle
caratteristiche delle strutture, dalla densità
abitativa, dall'importanza artistica di
determinati edifici e da altre variabili
indipendenti dal terremoto stesso.
Le zone che hanno riportato gli stessi danni, vengono racchiuse da delle linee dette
isosiste.
Ad ogni isosista corrisponde un grado di intensità, dipendente dagli effetti prodotti
dal terremoto all'interno dell'area racchiusa dall'isosista stessa.
L'intensità massima, si avrà in corrispondenza dell'epicentro e poi man mano che ci si
allontana dall'epicentro, avremo delle intensità via via minori.
I gradi d'intensità, vengono attribuiti alle varie zone, sulla base di una tabella, nella
quale vengono riportati i gradi ed i relativi effetti.
Grado
Descrizione degli effetti
I
Non percepito salvo che in casi particolari; animali inquieti; fronde che stormiscono; porte
e lampadari che oscillano.
II
Percepito solo da persone sdraiate, soprattutto ai piani alti degli edifici.
III
Percepito in casa; la maggioranza però non riconosce il terremoto; tremito simile a quello
dovuto al passaggio di un carro leggero; la durata della scossa può essere valutata.
IV
Finestre, piatti e porte vibrano; i muri scricchiolano; vibrazione simile a quella dovuta al
passaggio di carri pesanti; percepito da molti in casa, da pochi all'esterno.
V
Percepito quasi da tutti; molti vengono svegliati; oggetti instabili possono cadere; gli
intonaci possono rompersi.
VI
Percepito da tutti; mobili pesanti vengono rimossi; i libri cadono ed i quadri si staccano
dal muro; le campane suonano; danni occasionali ai camini; danni strutturali minimi.
Panico; difficoltà a conservare la posizione eretta; percepito anche dagli automobilisti;
VII danni minimi agli edifici di buona fattura; danni considerevoli agli altri; onde nei laghi e
negli stagni.
Disturba la guida di autoveicoli; la struttura degli edifici è interessata fino alle
VIII fondamenta, muri di separazione abbattuti; i camini vibrano o cadono; danni lievi solo alle
costruzioni antisismiche; i mobili pesanti vengono rovesciati.
IX
Panico generale; danni considerevoli anche alle costruzioni antisismiche; caduta di edifici;
danni seri ai bacini ed alle tubazioni sotterranee; ampie fratture nel terreno.
X
La maggior parte delle opere in muratura è distrutta, compresi anche gli edifici
antisismici; rotaie deformate debolmente; grandi frane.
XI
Poche case rimangono in piedi; i ponti distrutti; ampie fessure nel terreno; rotaie
fortemente piegate.
XII Distruzione totale; gli oggetti sono addirittura proiettati in aria.
Se si eccettuano i terremoti collegati al sistema arco calabro-arco delle Eolie-bacino
margianale del Tirreno, l'attività sismica in Italia è prevalentemente concentrata nella
crosta terrestre, cioè a profondità minori di 40 Km. circa.
La distribuzione degli epicentri superficiali nella penisola italiana segue la catena
appenninica ma non mostra correlazioni evidenti con le principali linee tettoniche
appenniniche visibili in superficie, sebbene lungo alcune di esse sia localizzata
un'intensa attività sismica.
Probabilmente la mancanza di una chiara correlazione è imputabile sia al fatto che
solo per i terremoti degli ultimi anni l'epicentro è stato determinato con buona
precisione che ala complessità della struttura geologica costituita da una copertura a
falde "scollate" dal basamento rigido.
Solo dal 1978 la rete nazionale gestita dall'Istituto Nazionale di Geofisica è stata
riorganizzata in modo da fornire determinazioni delle distanze epicentrali con una
precisione media di + 10 Km. per l'intero territorio nazionale. La precisione è ancora
più elevata per i terremoti che avvengono nelle aree nelle quali operano reti sismiche
regionali. In tali aree le determinazioni della profondità ipocentrale dei terremoti
raggiunge una precisione di + 5 Km..
I terremoti intermedi e profondi che avvengono nell'area tirrenica se vengono
proiettati in un piano verticale perpendicolare alla direzione dell'arco metamorfico
Calabro-Peloritano e dell'arco vulcanico delle isole Eolie definiscono un piano di
Benioff che si immerge verso WNW con un'inclinazione di 50°-60°.
La distribuzione dei terremoti lungo il piano di Benioff non è uniforme, ma esistono
delle zone di minore attività tra 150 e 230 Km. e tra 350 e 450 Km., profondità alla
quale sono stati registrati gli ipocentri più profondi.
Una constatazione che risulta evidente dall'osservazione della distribuzione a scala
planetaria dei terremoti è che essi non avvengono con la stessa frequenza su tutta la
Terra, ma sono concentrati in alcune aree ben definite da un punto di vista geologico.
I terremoti avvengono principalmente in una ristretta fascia che circonda l'Oceano
Pacifico ed è connessa alle recenti catene a pieghe, che formano il margine pacifico
del continente americano, ed una serie di isole vulcaniche che bordano la costa
pacifica del continente asiatico e dell'Australia.
Il 75 % dell'energia associata a terremoti con ipocentro meno profondo di 70 Km.
avvenuti tra il 1904 ed il 1952 è stata liberata nella fascia circumpacifica.
Un ulteriore 23 % dell'energia sismica liberata nello stesso periodo è concentrata
nella fascia di catene montuose recenti che va dal Mediterraneo all'Himalaya (orogeni
alpino-himalayani) e negli archi di isole connessi (Egeo, Eolie).
Il restante 2% è legato in gran parte a terremoti che avvengono lungo le dorsali
medio-oceaniche.
Appare quindi chiaro che l'ubicazione dei terremoti caratterizza i tratti fondamentali
delle strutture litosferiche, giacchè:
a) segue perfettamente l'andamento delle varie dorsali oceaniche;
b) delinea i margini dell'intero oceano Pacifico e dell'oceano Indiano orientale,
caratterizzati da vistosi fenomeni recenti di tettonica compressiva;
c) si addentra nelle masse continentali rivelando l'instabilità delle grandi linee di
sutura in corrispondenza delle catene corrugatesi durante il ciclo AlpinoHimalayano.
Nella teoria della tettonica a zolle la distribuzione degli epicentri sismici è
considerata marcare i limiti tra zolle di litosfera, in moto relativo tra di loro, nelle
quali è divisa la superficie terrestre.
Una suddivisione ancora più netta si ottiene se si prendono in considerazione solo i
terremoti intermedi (profondità compresa tra 70 e 300 Km.) e profondi (profondità
superiore a 300 Km.). Questi infatti sono ancora maggiormente concentrati lungo la
cintura circumpacifica.
Il terremoto più profondo è avvenuto, ad una profondità di 720 Km.. > Se gli
ipocentri dei terremoti intermedi e profondi che avvengono in una determinata
regione vengono proiettati su di un piano verticale orientati perpendicolarmente alla
direzione dell'arco di isole, essi definiscono un piano che immerge con un angolo
variabile tra 30° e 70° al di sotto dell'arco di isole verso il bacino marginale.
Questo piano è chiamato "Benioff" o "Benioff-Wadati" dal nome dei primi geofisici
che ne hanno mostrato l'esistenza. Lo spessore del piano di Benioff, definito dalla
distribuzione dei terremoti, è variabile da circa 25 Km. nel caso delle Tonga a più di
100 Km. nel caso del Giappone e di altri archi di isole
E' possibile però che almeno parte della variazione sia dovuta a dispersione degli
ipocentri dei terremoti a causa di errori nella loro ubicazione.
La teoria della tettonica a zolle interpreta questi piani come zolle litosferiche subdotte
nell'incontro tra due zolle di litosfera in movimento convergente.
La distribuzione dell'energia sismica liberata non è però uniforme per tutta la
lunghezza del piano di Benioff. Spesso l'attività sismica raggiunge un minimo a
profondità comprese tra 150 e 250 Km. e tra 400 e 500 Km., indicando una probabile
diminuzione della rigidità della litosfera in questi intervalli.
Solo in questi ultimi tempi la scienza si è impegnata con uomini e mezzi per la
previsione dei terremoti.
Anche se purtroppo non è ancora possibile stabilire l'eventualità di un sisma con largo
anticipo di tempo, è ormai accertato che per i grandi sismi i segnali premonitori si
annunciano diversi anni prima.
È difficile tuttavia formulare previsioni a breve scadenza, dell'ordine delle settimane
e dei giorni, sia perchè esistono modelli diversi per la successione degli avvenimenti
che immediatamente precedono la scossa sia e soprattutto perchè le conoscenze
scientifiche in questo campo non sono ancora sufficientemente progredite.
Si sa che nel periodo imediatamente precedente il sisma la roccia, sottoposta a
tensione si piega e ciò causa numerose microfratture nella regione di massima
tensione.
È stato provato su campioni di laboratorio che il fenomeno inizia quando la forza
agente è circa la metà di quella necessaria a spezzare il campione; in queste
condizioni varia la velocità alla quale le onde elastiche possono viaggiare all'interno
della roccia. Anche la resistività elettrica subisce delle alterazioni; nelle aree attive la
normale frequenza dei microsismi ha un periodo di stasi prima di una grave scossa.
Altri segni premonitori osservati sono la variazione di livello delle acque nei laghi,
fiumi e nel mare; l'aumento della quantità di radon ( il più liquefacibile dei gas nobili)
nelle acque dei pozzi; variazioni del campo magnetico nell'area epicentrale del
terremoto.
Naturalmente per avere la possibilità di una previsione ragionevolmente approssimata
bisogna creare un modello fisico di riferimento che inquadri in maniera organica
l'insieme delle conoscenze sui segni premonitori del sisma.
Sono stati elaborati due modelli di previsione uno americano e l'altro russo.
In ambedue i modelli nel primo stadio è prevista un'accumulazione di energia
elastica. Nel secondo stadio, nel quale inizia l'emissione dei segnali premonitori,
appaiono numerose fratture nell'area sottoposta a tensione e si verifica un anomalo
aumento del volume della roccia, ciò che provoca una diminuzione della velocità
sismica, un aumento del flusso dell'acqua nella roccia (a causa della fratturazione) e
perciò una maggior quantità di radon nelle acque. Nel modello americano in questa
seconda fase inizia a diminuire la resistività elettrica ed anche il numero di
microsismi, perchè l'acqua riempiendo le fratture aumenta la coesione.
I due modelli differiscono sostanzialmente nel terzo stadio che precede
immediatamente il sisma.
Gli americani in questa fase prevedono un maggior afflusso di d'acqua nell'area di
maggior tensione. Ciò comporta un aumento della velocità delle onde sismiche, un
aumento della pressione sulle facce delle fratture e nei pori della roccia invasa
dall'acqua. questa azione ne indebolisce la struttura, che reagisce alle nuove spinte
con una serie di fratture, segnalate da numerose scosse che evidenziano il precario
equilibrio delle forze in gioco, che si concluderà catastroficamente alla ricerca di una
nuova stabilità.
Nel modello russo l'acqua non riveste alcun ruolo, ma la deformazione della roccia ed
il rapido aumento delle fratture fanno diminuire la tensione e l'area deformata trova
una precaria e momentanea stabilità con aumento della velocità sismica, diminuzione
dei piccoli terremoti e diminuzione della resistività, ma non così accentuata come nel
modello americano. Poi la pressione d'instabilità ha il sopravvento e si ha la scossa
principale. Le rocce dopo l'evento sismico ritrovano le loro caratteristiche normali.
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