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LA CITTÀ PUNICO –ROMANA DI NORA UN CASO DI STUDIO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELLA TERRA XII CICLO, CONSORZIO CAGLIARI-GENOVA-TORINO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI LA CITTÀ PUNICO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA –ROMANA DI NORA: UN CASO DI STUDIO GEOMORFOLOGICO E ARCHEOLOGICO INTEGRATI Relatore: Prof. Antonio ULZEGA Candidato: Dott.ssa Susanna MELIS Coordinatore del Dottorato: Prof. LucianoCORTESOGNO 1 INDICE PREFAZIONE.................................................................................................................5 Scopi e obiettivi del lavoro ...........................................................................................................5 Metodologia....................................................................................................................................6 INTRODUZIONE dalla geomorfologia alla geoarcheologia......................................9 Scienze naturali e archeologia: un binomio lungo due secoli.....................................................9 Geoarcheologia: obiettivi e metodi ............................................................................................12 PARTE PRIMA ASPETTI GEOMORFOLOGICI E ARCHEOLOGICI CAPITOLO I Il sito nel suo contesto territoriale......................................................17 Archeologia e storia ....................................................................................................................17 Inquadramento geologico – strutturale.....................................................................................20 Caratteri geomorfologici.............................................................................................................32 CAPITOLO II inquadramento geologico e geomorfologico della baia di Nora......39 Caratteri geologici e strutturali..................................................................................................39 Caratteri geomorfologici.............................................................................................................46 PARTE SECONDA VARIAZIONI RECENTI DEL LIVELLO DEL MARE NEL MEDITERRANEO: DATI ARCHEOLOGICI, GEOLOGICI E BIOLOGICI 2 CAPITOLO III le oscillazioni del livello del mare: cause, e metodi di studio........57 Variazioni del livello del mare....................................................................................................57 Indicatori delle variazioni del livello del mare nel Mediterraneo...........................................58 Dati archeologici sulle variazioni del livello del mare nel Mediterraneo................................63 CAPITOLO IV dati archeologici relativi al sito di Nora..................................................................65 Molo Schmiedt..............................................................................................................................66 Terme a Mare...............................................................................................................................66 Basilica..........................................................................................................................................67 Cinta muraria...............................................................................................................................68 Tombe puniche.............................................................................................................................69 Cava di Fradis Minoris................................................................................................................70 PARTE TERZA LA LAGUNA DI S.EFISIO CAPITOLO V aspetti storici e geografici..................................................................75 Caratteristiche geografiche.........................................................................................................75 Ipotesi circa l’ubicazione del porto di Nora...............................................................................76 CAPITOLO VI analisi e sintesi dei dati......................................................................81 Indagini geopetrografiche sulla cava di Fradis Minoris...........................................................81 Analisi sedimentologiche condotte sulla spiaggia di Agumu...................................................85 Geofisica lungo i bordi della laguna...........................................................................................91 3 CONCLUSIONI.............................................................................................................94 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI................................................................................102 ALLEGATI - N. 1 carta geomorfologica in scala 1:5.000 - N. 2 carta geomorfologica della laguna (1: 2.000) 4 PREFAZIONE Scopi e obiettivi del lavoro L’obiettivo principale del presente lavoro è la ricostruzione, mediante uno studio geomorfologico e archeologico integrati, del paleopaesaggio del territorio di Nora nel periodo punico-romano; intendendo con la parola paleopaesaggio non soltanto gli aspetti geografici, ma anche quelli economici e antropici legati ad esso, ossia i rapporti e le interazioni intercorse tra l’uomo e l’ambiente in epoca antica per ricostruirne l’evoluzione, fino al ‘900. Prima che il passato dell’uomo possa essere districato, è necessario riuscire a decifrare un vasto insieme di relazioni uomo-ambiente. In qualità di elemento di tale sistema, l’uomo può agire o reagire ai cambiamenti ambientali innescati da fattori esterni, ed è importante mettere in evidenza come in un contesto archeologico l’attività umana influenzasse e/o fosse influenzata dall’ambiente. Appare, dunque, evidente come lo scopo, al di là dei risultati ottenuti, fosse principalmente di tipo epistemologico: come studiare una località di interesse archeologico da un punto di vista geomorfologico? Come integrare i dati ottenuti da due discipline apparentemente autonome? Ci si è posti, dunque, il problema di quale potesse essere il contributo dato dall’archeologia alla ricostruzione geomorfologica e, viceversa, quale fosse il contributo dato dalla geomorfologia all’archeologia e da qui si è partiti alla ricerca di un metodo atto a integrare le due discipline per ottenere un risultato unico afferente, in realtà, a una disciplina diversa e autonoma quale la geoarcheologia. L’originalità del lavoro consiste, fondamentalmente, nell’aspetto interdisciplinare che esso si propone di offrire. Per tale motivo una parte decisamente importante di esso si è svolta sul campo, sia direttamente sullo scavo archeologico, sia partecipando alla ricognizione archeologica sul territorio; ciò ha permesso di acquisire una buona dimestichezza con le problematiche e le metodologie utilizzate in ambito archeologico e di poterle integrare con quelle relative alla geomorfologia, nonché di affrontare problemi archeologici di tipo ambientale con un approccio né geomorfologico né archeologico, ma geoarcheologico. 5 Metodologia Il nostro lavoro si é articolato in diverse fasi: lo studio preliminare di carte geologiche e topografiche, nonché della bibliografia riguardante il settore in esame, sono serviti come base per organizzare il rilevamento di campagna. Ha fatto seguito un rilevamento geomorfologico sul campo, a scala regionale (sintetizzato in una carta in scala 1:10.000, corrispondente alla tavola II) che ha investito tutta la piana circostante il sito archeologico di Nora; si é poi aumentato il dettaglio, realizzando un rilevamento geomorfologico, in scala 1:5.000, che ha interessato la baia di Nora; infine, si é aumentato ancora il dettaglio (scala 1:2.000) analizzando in maniera più precisa il promontorio di Nora e la laguna di S.Efisio. Tale lavoro si é reso necessario per diversi motivi : 1. Pur dovendo studiare il sito archeologico di Nora nel particolare era necessario inserire questa porzione di territorio, assai ridotta, in un contesto più ampio, quello regionale, alfine di poter valutare e evidenziare i processi geomorfici che, ovviamente, sono legati a una dinamica che interressa tutto il territorio. 2. Nel corso del lavoro ci si é resi conto che la laguna, nel suo complesso, rappresentava un punto focale sia per gli aspetti antropici che per quelli geomorfologici: da un punto di vista morfologico si tratta di un ambiente a rapida evoluzione e, in quanto tale, utile nella ricostruzione delle modificazioni recenti; per cio' che concerne gli aspetti antropici ci si é resi conto che già a partire dal periodo punico la laguna é stata sede di insediamenti umani e di attività socio-economiche di vario genere. L’indagine geomorfologica è stata portata avanti in parallelo alla ricognizione archeologica sul territorio circostante Nora. Infatti l'indagine geomorfologica e quella archeologica incrociate hanno messo in evidenza la presenza di una organizzazione del territorio fortemente legata alla morfologia1 e alle formazioni superficiali presenti nel territorio: ciò ha determinato la colonizzazione di determinate zone piuttosto che altre da parte dei vari gruppi, in base al loro tipo di economia; così le colline andesitiche sono state prevalentemente sede della colonizzazione nuragica evidenziando una economia 1 Non ci si riferisce, qui, alla morfologia intesa unicamente come forme del rilievo, ma anche a ciò che alle forme del rilievo è associato e dipendente: idrografia superficiale (disponibilità d’acqua), esposizione geografica ecc. 6 mista di tipo agricolo (limitata alle vallecole che si trovano tra una collina e l’altra) e di tipo pastorale; i siti punici si trovano a non troppa distanza dalla città di Nora, con una certa concentrazione verso la laguna, evidenziando così una vocazione più commerciale e un forte legame di dipendenza con la città, mentre i siti romani si trovano sempre posizionati nelle vaste aree alluvionali, laddove è possibile praticare l’agricoltura a scala più larga, senza, però, disdegnare le colline andesitiche, più fertili, ma con spazi più ridotti. Un grosso problema relativo ai resti archeologici della città di Nora riguarda la presenza di alcune strutture in parte sommerse, in parte troncate dall’erosione: si è resa, quindi, necessaria, una ricostruzione delle variazioni di livello tra la terraferma ed il mare; tale ricostruzione è stata portata a termine facendo ricorso sia a metodi tendenti a determinare la posizione altimetrica dei resti archeologici rispetto al l.m.m. attuale, sia a metodi utilizzati in geomorfologia nell’identificazione delle paleolinee di riva. La combinazione di questi due metodi permette, come si vedrà nel lavoro qui presentato, di raggiungere buoni risultati sia nella ricostruzione delle variazioni del livello del mare che nell’identificare le antiche ripe marine e le variazioni relative all’idrografia superficiale e alla morfologia della piana in generale. Per giungere a tale ricostruzione si è avuto un ulteriore contributo dal raffronto di edizioni successive di rilievi catastali, di carte topografiche 2 e di fotografie aeree3 riprese in epoca diversa. L’indagine si è articolata in due fasi: 1. Studio delle fotografie aeree in relazione a tutte le altre fonti disponibili 2. Esplorazione dei tratti di costa più significativi, determinazione metrica in corrispondenza di resti monumentali di cui è stato possibile accertare la funzione e l’antica posizione rispetto al livello del mare, e infine l’esecuzione dei rilievi planoaltimetrici stessi. Da notare che per i ruderi sommersi sono state prese in situ 2 Sono state confrontate le carte topografiche in scala 1:25.000 dell’IGM del 1897 e del 1931, e quelle del 1965 e del 1987 allo scopo di evidenziare variazioni della linea di costa in questo arco di tempo; sono state inoltre confrontate altre carte geografiche rilevate a partire dal 1830-1840 con il semplice scopo di evidenziare la presenza e l’estensione delle aree paludose e di verificare i toponimi che rivestono sempre una grande importanza in questo genere di studi. 3 Sono state raccolte e selezionate diverse levate aerofotogrammetriche a diverse scale e relative a tutto l’arco del secolo a partire dal dopoguerra (1955) su tali foto è stato fatto un lavoro di interpretazione, bidimensionale (utilizzando coppie o mosaici di foto aeree), tridimensionale (mediante l’utilizzo di stereoscopi) e informatizzata tramite l’uso di programmi di trattamento di immagine. 7 misure riferite al l.m. del momento e per stabilire quali siano i valori del l.m.m. occorre integrarli con quelli relativi alle escursioni di marea nel Mediterraneo. Sono state, inoltre, eseguite, con lo scopo di individuare lo spessore dei sedimenti e la provenienza degli apporti fluviali, alfine di capire l’evoluzione e i cambiamenti relativi alla laguna di S.Efisio, una serie di analisi sedimentologiche nella spiaggia di Agumu e delle indagini geofisiche nel bordo settentrionale della stessa. 8 INTRODUZIONE dalla geomorfologia alla geoarcheologia Comparaison. La géologie est une sorte d’Histoire que si elle se bornait à noter et conter telles éruptions prodigieuses, telle inondation célèbre etc. elle ferait ce que fait l’histoire avec ses événement. Mais elle recherche les modifications lentes et que personne n’a pu observer tel jour – Ce que devrait faire l’“histoire”. Mais ici cette remarque : l’histoire ordinaire “reçoit” les faits tout donnés, les événements enregistrés – tandis que celle, dont Je parle “rechercherait” les événements, ou plutôt ce qui, mis en lumière, deviendrait “événement” après coup. (P.Valéry, Cahiers,II, p.1503) Scienze naturali e archeologia: un binomio lungo due secoli Un paragone tra storia e geologia, considerare la geologia una sorta di storia è un’idea tutt’altro che bizzarra. Anche il geologo, come lo storico va alla ricerca degli avvenimenti, e della loro cronologia. Le prime collaborazioni tra scienza e archeologia sono nate intorno al XVIII secolo con i contributi dati da fisica e chimica alla risoluzione di certi problemi archeologici: Il chimico tedesco M.H. Klaproth con la pubblicazione, nel 1796, dei risultati di alcune analisi chimiche, condotte su monete e vetri, greci e romani, diede uno dei primi contributi all’archeometria. Nel 1815 Humphrey Davy analizzò i pigmenti dei colori di alcune pitture di età romano-imperiale. La stretta collaborazione tra l’archeologo Henry Layard e lo scienziato T.T. Philipps, durante lo scavo di Ninive e di Babilonia portò alla realizzazione, nel 1853, di un bollettino di scavo con, in appendice, i risultati delle analisi condotte sui manufatti rinvenuti durante lo scavo. All’inizio del XIX secolo la scoperta fatta da J.C. Boucher de Perthes ad Abbeville , nella valle della Somma, in Francia, diede un impulso definitivo all’utilizzo di metodi geologici nello studio di siti archeologici. Boucher de Perthes scoprì delle selci lavorate, degli utensili in pietra e dei resti fossili di vertebrati, ora estinti, il tutto all’interno di un pacco sedimentario di ghiaie risalenti ad un periodo glaciale, che giaceva indisturbato a circa 5 m sotto la superficie attuale. 9 I resti relativi alla presenza umana erano, ovviamente, contemporanei al deposito e potevano essere datati insieme al contesto racchiuso dal deposito sedimentario: i resti archeologici potevano essere datati con metodi geologici. Nel 1863 Charles Lyell4 pubblica, dopo aver visitato Abbeville, il suo Geological Evidence of the Antiquity of Man nel quale evidenzia come il contesto geologico possa essere usato per documentare i manufatti e i resti relativi ai primi uomini: nasce ufficialmente la collaborazione tra geologia e archeologia. All’inizio del XIX secolo cominciano inoltre ad apparire gli studi condotti dai geologi sulle cave di marmo greche e romane nel 1837 L. Ross descrive le cave del monte Pentelikon vicino ad Atene. Nel 1905 Raphael Pumpelly, allora presidente della Geological Society of America, guida una spedizione in una parte della Siberia appartenente alla Turchia. I suoi studi, condotti su siti preistorici, sono gli studi pionieristici nel campo della ricostruzione dei paleoambienti e rappresentano il preludio per quelli successivi. Infatti a tale lavoro fece seguito quello di Ellsworth Huntington il quale, effettuando degli studi simili in siti del Nord e del Centro America, dimostrò come evidenze geomorfiche ed archeologiche potessero essere usate per stabilire cambiamenti climatici e paleoambientali. Attualmente non può più essere discusso il ruolo di primaria importanza assunto dalla geologia negli studi archeologici. La geofisica e la geochimica sono di aiuto nella localizzazione dei siti da scavare. La geomorfologia può mettere in evidenza i luoghi nei quali è più probabile trovare antichi insediamenti e può essere d’aiuto nella determinazione dei paleoambienti. Sullo scavo la stratigrafia e i metodi sedimentologici aiutano a determinare la sequenza stratigrafica dello scavo e del sito. La geofisica apporta, inoltre, un aiuto importante nella ricerca e nell’interpretazione delle strutture nascoste o coperte dal suolo. La palinologia e la fitologia aiutano ad individuare gli antichi metodi di sussistenza, oltreché le strategie agricole e il paleoclima. I manufatti e i resti umani possono essere analizzati chimicamente e isotopicamente: le analisi condotte sulle ossa permettono di determinare i regimi alimentari e le malattie. La geochimica, la geofisica e le tecniche petrografiche aiutano a 4 Ch. Lyell fu uno dei più importanti scienziati degli ultimi due secoli con il suo Principles of Geology (18301833) diede uno dei maggiori contributi all’istituzione e al riconoscimento della Geologia in quanto disciplina scientifica. 10 riconoscere la provenienza delle materie prime e a ricreare le tecniche di lavorazione usate per creare oggetti ornamentali e di uso comune (Hertz & Garrison, 1998). Gli scienziati - geologi, chimici, fisici – hanno tentato di risolvere problemi archeologici prima ancora che l’archeologia esistesse come disciplina riconosciuta. Per ciò che concerne il rapporto tra geologia e archeologia si può affermare che negli ultimi cinquant’anni la ricerca si è evoluta considerevolmente dando luogo a tutta una serie di sottodiscipline aventi come comune denominatore quello di associare geologia e archeologia. Una di queste aree di indagine è la ricostruzione dei paesaggi del passato mediante delle tecniche geomorfologiche e sedimentologiche. Questo tipo di ricostruzioni è particolarmente in uso nelle aree a rapida evoluzione quali quelle situate intorno ai maggiori sistemi fluviali e nei mari interni, in quanto, spesso, tali ambienti sono anche sede di attività e di insediamenti umani (Rapp & Gifford, 1982) I termini archeogeologia, archeometria, geoarcheologia e geologia archeologica 5 sono stati usati per descrivere i differenti tipi di collaborazione scientifica tra geologia e archeologia. Il termine archeogeologia è stato usato per la prima volta nel 1976 per indicare in maniera abbastanza generica e generale il contributo dato dalle scienze geologiche all’archeologia. L’archeometria si prefigge lo scopo di misurare le proprietà fisico - chimiche dei materiali archeologici. Negli ultimi anni in Gran Bretagna e in Nord America questa è stata centrata su due principali campi di studio : (1) metodi di datazione applicabili al Pleistocene antico e recente e (2) metodi analitici volti a determinare le tecnologie e la provenienza dei manufatti e delle materie prime. La geoarcheologia ha lo scopo, almeno nelle intenzioni della rivista americana che porta questo nome, di interessarsi principalmente ai processi sedimentari e geomorfologici legati a siti archeologici e, mediante il loro studio, di ricostruire i paleopaesaggi archeologici. 5 Corrispondenti ai seguenti termini inglesi: archaeogeology, archaeometry, georachaeology, archaeological geology. 11 Geoarcheologia: obiettivi e metodi Epistemologia La collaborazione tra geologia e archeologia nasce, dunque, nell’800, ma è a partire dagli anni ’70 che nascono le distinzioni tra i diversi campi di applicazione e tra i diversi approcci, ed è proprio negli anni ’70 che nasce la geoarcheologia con l’accezione che le si da attualmente. Le ipotesi che facciamo sull’argomento della nostra ricerca sono influenzate dai metodi che abbiamo a disposizione per investigare su quel determinato soggetto, e le tecniche che usiamo dipendono, in parte, dalle domande che ci poniamo riguardo al soggetto. Diversi autori operano una distinzione fra due diversi modi di intendere la collaborazione tra geologia e archeologia: 1. Geologia archeologica 2. Geoarcheologia Queste due sottobranche sono spesso definite in maniera distinta. La geologia archeologica è stata definita come l’applicazione di tecniche geologiche alla risoluzione di problemi discreti di natura archeologica. Si tratta essenzialmente di geologia. La geoarcheologia è definita da Rapp & Gifford come dell’archeologia fatta mediante dei metodi, delle tecniche o dei concetti di tipo geologico6. Secondo Butzer (1985) “La geoarcheologia è la formulazione e la soluzione di problemi archeologici utilizzando metodi relativi alle Scienze della Terra. La geoarcheologia è o dovrebbe essere parte integrante del processo di scavo. In termini di stratigrafia attuazione e revisione sul sito di strategie e tattiche il tutto corredato e integrato dalla fase analitica di laboratorio”. E importante precisare che le definizioni fin qui esposte hanno senso se le si considera da un punto di vista metodologico, e non con i fini o gli scopi che la disciplina si prefigge. Da un punto di vista dei fini e degli scopi si può dire che fra esse non ci siano distinzioni di sorta. Fare una distinzione in questo senso è come farla fra diversi 6 Leach, 1992 12 tipi di archeologia. Una differenza sostanziale esiste, invece, quando si usa l’archeologia nella soluzione di problemi geologici quali per esempio quelli cronologici legati alla datazione dei terrazzi fluviali: in questo caso è diverso anche il fine che ci si prefigge. Noi ci troviamo in perfetto accordo con l’interpretazione fornita da questi autori del concetto di geoarcheologia che consideriamo la disciplina che si occupa dello studio di problemi archeologici servendosi di metodi propri alla geomorfologia, alla sedimentologia e alla petrografia del sedimentario: il geoarcheologo, attraverso lo studio del terreno e le analisi di laboratorio, elabora il micro-, meso-, macro - ambiente del sito e provvede alla realizzazione di modelli dell’attività umana nel tempo e nello spazio. L’approccio è quello dello studio di un sito archeologico nel quale viene data importanza al contesto ambientale e, per questo motivo, è necessario l’intervento di discipline derivanti dalle scienze della terra. Tale approccio prevede che si metta a fuoco il contesto geomorfologico dei manufatti e consente di realizzare uno studio interdisciplinare completo in quanto presuppone una stretta collaborazione, in fase di acquisizione, elaborazione e interpretazione dei dati, tra geomorfologo e archeologo; poiché riteniamo che questo sia il modo più proficuo di procedere, in questo tipo di ricerche, l’abbiamo applicato per portare avanti il nostro lavoro, stabilendo nel corso degli anni una collaborazione diretta con la missione archeologica di Nora, sia sullo scavo che nell’indagine relativa al territorio circostante. Stato attuale della ricerca e metodologie utilizzate L’attuale interesse per la topografia antica, per la prospezione archeologica (ossia l’analisi del territorio mirata al ritrovamento di nuovi siti) e l’archeologia dei paesaggi ha determinato un rapido svilupparsi della stretta collaborazione tra scienze naturali ed esatte e archeologia sperimentando e applicando nuove tecnologie quali GIS o Telerilevamento. Nell'ambito degli studi paesaggistici, si ritiene comunemente che la distribuzione spaziale dei siti archeologici dipenda in gran parte da un ampio spettro di fenomeni territoriali (come, ad es., la morfologia, il tipo di suolo, la vicinanza di risorse idriche, il manto vegetale, le condizioni climatiche, ecc.) che caratterizzano il contesto ambientale nel quale i siti sono localizzati. 13 Per questo, durante lo scorso decennio, sono stati applicati in maniera sempre più diffusa i modelli previsionali nelle indagini che cercavano di spiegare la distribuzione spaziale dei siti già conosciuti, per prevedere dove vi erano maggiori probabilità di rinvenire nuovi siti. Dal confronto del set di dati archeologici con l’archivio di dati territoriali, è possibile costruire modelli euristici o statistici che mettono in relazione la variabilità spaziale dei suddetti parametri con l'evento "localizzazione di sito archelogico". A tal fine, gli ambienti GIS, i sistemi di telerilevamento, e le tecniche di modellizzazione tridimensionale e di image processing possono offrire nuove opportunità per l'identificazione, l'analisi e l'interpretazione delle località archeologiche. In particolare, l'integrazione di tali tecniche rende possibile sia la definizione delle relazioni dei siti già noti con il contesto ambientale, sia l'identificazione di nuove risorse archeologiche sul territorio. Tali tipi di indagine mirano così a: • comprendere le interrelazioni esistenti tra la presenza di siti archeologici ed il contesto ambientale; • sviluppare modelli previsionali per stabilire dove è più probabile localizzare nuovi siti; • generare un database geografico dei siti archeologici e delle relative peculiarità ambientali per alcune regioni campione; • Ricostruire la topografia antica e la morfologia nonché lo sfruttamento del territorio in epoca antica. Lo studio dei siti costieri e la ricostruzione delle linee di costa mediante studi interdisciplinari (geoarcheologici in particolare) ha costituito una larga parte dei lavori di questo tipo dagli anni ’70 ad oggi. Un fattore critico nella ricostruzione dei paleopaesaggi costieri risiede nel valutare se un avanzamento o un arretramento della linea di costa sia o no dovuto a un cambiamento del livello medio del mare. Tale cambiamento è in generale dovuto ad un mix di tre processi geologici: sollevamento o abbassamento generalizzato del livello del 14 mare; movimenti tettonici verticali del basamento; e deposizione (o viceversa erosione) di depositi sedimentari costieri. Tre diverse metodologie sono state usate per studiare e descrivere i cambiamenti costieri recenti relativi a contesti archeologici. Raphel (1973) ed altri hanno utilizzato un attento rilievo gemorfologico al fine di dare una dettagliata descrizione dell’evoluzione delle forme del rilievo pertinenti (collegate), dei sistemi fluviali e delle relazioni mare - terra. Un approccio diverso è quello di Flemming (1978) il quale ha studiato il cambiamento relativo del livello del mare nel Mediterraneo in primo luogo studiando la posizione verticale delle strutture archeologiche costiere databili e conducendo un’analisi matematica per stabilire le relazioni originali tra le strutture suddette e la linea di costa a loro contemporanea. La terza metodologia è consistita nell’effettuare una serie intensa di sondaggi in aree costiere al fine di ricoprire la sequenza verticale degli ambienti geologici aggiungendo la dimensione della profondità alla ricostruzione paleogeografica. I materiali provenienti dai sondaggi possono inoltre essere datati grazie al C14 e ciò permette quindi di stabilire una cronologia assoluta nella sequenza dei cambiamenti (Rapp & Gifford, 1982). 15 PARTE PRIMA ASPETTI GEOMORFOLOGICI E ARCHEOLOGICI 16 CAPITOLO I Il sito nel suo contesto territoriale Il sito archeologico di Nora, ubicato sull’omonimo promontorio (cfr. Tav. I), appartiene al territorio comunale di Pula, una località turistica di circa 5000 abitanti posta a 30 Km da Cagliari. Tale sito ha suscitato l’interesse di numerosi studiosi e viaggiatori del secolo scorso (Canonico Spano, La Marmora) e, quando alla fine dell’800, una mareggiata ha riportato alla luce i resti del tophet punico, posto sulla spiaggia, nei pressi della chiesetta paleocristiana, sono stati intrapresi i primi scavi ufficiali. Da allora si sono susseguite varie campagne di scavo, ricerche e ipotesi. Archeologia e storia Cenni storici su Nora e Pula La città di Nora è un sito molto antico. Le prime testimonianze della presenza dell’uomo risalgono all’epoca nuragica, anche se la documentazione risulta insufficiente. La prova più evidente è data dalla presenza di un pozzo nuragico nei pressi dell’angolo SE delle terme a mare, con una breve scalinata che scende verso l’acqua. La vita in epoca nuragica nella zona è, comunque, attestata dalla presenza di un nuraghe, segnalato da La Marmora, e non più esistente, sul piccolo rilievo di Sa Guardia Mongiasa. Secondo la descrizione e il disegno che ne fa La Marmora i resti di questo nuraghe fungevano da base per l’acquedotto romano. La fondazione della città viene attribuita ai Fenici, ipotesi confermata dai dati di scavo e da altre informazioni indirette come per esempio la posizione geografica. Infatti i Fenici (come attesta anche lo storico greco Tucidide) prediligevano, per i loro insediamenti, sorti per soddisfare le esigenze del commercio marittimo, promontori, isole, lagune, foci di fiumi, oppure zone al riparo di un istmo, a destra o a sinistra del quale si ancoravano le navi, a seconda dello spirare dei venti. Nora risponde a queste caratteristiche: le cale che si aprono nelle tre principali insenature della penisola (cale di NE, di SE, di NO) dovevano avere natura di ancoraggio di “buon tempo”, mentre il porto attrezzato della città punica si apriva, probabilmente, a Nord della cala di NO, 17 nella zona dell’attuale peschiera; tale ipotesi troverebbe una conferma anche nel ritrovamento, durante la ricognizione, di numerosi siti punici lungo i bordi della peschiera7. La data di fondazione della colonia da parte dei Fenici si fa risalire all’VIII sec. a.C. sulla base di una stele trovata a Nora durante gli scavi degli anni ’50, gli scavi più recenti, condotti nella parte più meridionale del promontorio confermano la presenza fenicia almeno a partire dal VI sec. a.C. I dati di scavo e le attestazioni archeologiche hanno permesso di stabilire che la città era abbastanza fiorente già nel V – IV sec. a.C., assumendo una notevole rilevanza tra le città della costa meridionale dell’isola. I resti di edifici considerabili sicuramente di età punica, ritrovati a Nora, non sono molto numerosi: Si tratta soprattutto di resti di fortificazioni, templi, muri, mentre nelle tombe rinvenute lungo la costa sono stati trovati dei ricchi corredi funerari. Nel 238 a.C. inizia a sentirsi la presenza della dominazione romana, in questo periodo Nora rivestiva ancora una certa importanza (essendo sede del Governatorato) che conserverà e, anzi, accrescerà, in epoca imperiale. Il periodo di maggiore fioritura in epoca romana viene indicato fra il II e il III sec. d.C.; i resti più imponenti quali il teatro e le terme a mare appartengono proprio a questo periodo e, comunque, la maggior parte degli edifici attualmente visibili appartiene al periodo romano. Da questo momento l’espansione della popolazione sul territorio circostante assume proporzioni decisamente maggiori e diventa più capillare e indipendente dalla città. La documentazione epigrafica e quella proveniente dagli scavi forniscono dei dati inerenti lavori di restauro e costruzione di opere pubbliche e quindi di datarne un certo numero. Tali datazioni permettono di stabilire per la maggior parte degli edifici un’età compresa tra il II e il III sec. d.C. : questo è il momento di massimo splendore di Nora in età romana. I primi segni dell’abbandono della città si manifestano a partire dal 456 – 466 d.C., quando la Sardegna fu soggetta alle incursioni vandaliche. Secondo una ricostruzione fatta dal Casalis, gli abitanti di Nora resistettero dapprima con una Nora praesidium, città fortificata, dopodiché cominciarono a spostarsi verso l’interno, alla ricerca di luoghi più sicuri dove potersi installare. Il promontorio ha continuato, comunque, ad 7 Per un’analisi dettagliata circa l’ubicazione del porto si rimanda al Capitolo V. 18 essere abitato fino all’VIII secolo d.C., periodo in cui cominciarono le incursioni arabe lungo le coste sarde e che sancisce il definitivo abbandono del promontorio di Nora. Tutta la zona è rimasta completamente deserta per un lungo periodo di tempo, probabilmente a causa della malaria (la zona di Pula ne è stata liberata definitivamente negli anni ’50 grazie all’intervento dell’ERLAAS), dell’incedere delle pestilenze e per il ripetersi delle incursioni barbariche; nel XVI secolo la zona era completamente priva di abitanti. Nel XVII secolo i ricchi proprietari terrieri cagliaritani che avevano dei possedimenti nella zona di Pula fecero in modo di farvi installare delle famiglie che lavorassero la terra in modo da trarne qualche profitto; in particolare poco dopo il 1630, quando già erano state costruite le torri litoranee (S.Macario, Coltellazzo, Cala d’Ostia) che rendevano un po’ più sicuro l’entroterra, fu ristabilita la popolazione; ma, ancora una volta, nel 1652-1656, la peste, unitamente a nuove incursioni, debellò completamente anche questo nuovo nucleo. Successivamente si ebbe un incremento della popolazione a S.Pietro di Pula (l’attuale Villa S.Pietro), il quale trovandosi spostato verso l’entroterra appariva più sicuro dagli attacchi provenienti dal mare; qui la popolazione si occupava prevalentemente di agricoltura e di pastorizia. Dopodiché si ebbe un nuovo spostamento: un gruppo di abitanti di S.Pietro andò a stabilirsi dov’era l’antico borgo (Pula) ed essendo una zona fertile, ormai sicura, perché non più soggetta a incursioni, si sviluppò ben presto un commercio fiorente con Cagliari, che determinò l’accrescersi del centro abitato. Il nucleo stabile di Pula è nato alla fine del ‘700 e la sua espansione è cominciata verso la metà dell’800. Scavi attuali e metodi di studio Nel 1990 sono iniziati i nuovi scavi archeologici sul promontorio di Nora diretti dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano e portati avanti con la collaborazione delle Università di Genova, Padova, Pisa e Viterbo. Questi nuovi scavi hanno un’importanza notevole per quel che riguarda gli studi su Nora in quanto hanno permesso di acquisire una mole importante di dati preziosi a 19 comprenderne la storia. Fino al 1977 le conoscenze che si avevano della città si concentravano principalmente nella lettura di alcuni monumenti ed episodi isolati: rimanevano sostanzialmente poco conosciuti il periodo iniziale e le vicende legate alla fase tardo romana, passando per il periodo vandalo e quello bizantino sino al suo abbandono. Un primo importante intervento fu effettuato nel 1977 con lo scavo delle grandi Terme a Mare: per la prima volta si ebbero dati stratigrafici affidabili per individuare le varie fasi di vita, fino al crollo, dell’edificio termale. I nuovi scavi hanno dato un grosso input per quanto concerne la fase fenicia e le fasi tarde di vita della città. In relazione alla fase fenicia sono stati individuate un’area sacra e delle strutture abitative databili tra il VII e il VI sec. a.C.; altre interessanti informazioni riguardano l’ultima fase di vita di epoca bizantina, evidenziando il fenomeno della continuità di uso della grande strada costiera, posta nel lato nord-occidentale del promontorio, anche dopo l’abbandono degli edifici che sorgevano ai lati. Nel 1992 ha preso il via lo studio del territorio mediante il metodo della ricognizione archeologica sul territorio, tale metodo di indagine ha lo scopo di ricostruire la topografia antica, la distribuzione della popolazione nel territorio e l’organizzazione e lo sfruttamento dello stesso e, per questo motivo, presuppone l’intervento di diverse professionalità e di un lavoro essenzialmente interdisciplinare. La ricognizione ha interessato tutta l’area della piana di Pula fino ai comuni di Sarroch e Villa S.Pietro. Tale studio ha permesso l’identificazione di diversi siti 8 sparsi per tutto il territorio (cfr. Tav. II): una presenza umana ripartita su una porzione di territorio molto vasta che, messa in relazione con i dati geologici e geomorfologici, permette di chiarire i rapporti intercorsi nelle epoche passate tra i vari gruppi umani e il territorio da loro occupato9. Inquadramento geologico - strutturale (cfr. Tav. III) Il promontorio di Nora fa parte della piana costiera di Pula; tale piana, di origine alluvionale, è compresa nelle seguenti tavolette I.G.M. in scala 1:25.000: F. 234 III SW 8 Per sito si intende una presenza di materiale archeologico in quantità consistente rispetto a una presenza più o meno costante di materiale indicata come disturbo di fondo; la concentrazione abbondante di materiale costituirebbe un’anomalia rispetto al disturbo di fondo e in quanto tale viene indicata come sito ossia come luogo di frequentazione umana, la cui natura viene chiarita in un secondo tempo con lo studio del materiale e delle strutture, quando queste sono presenti. 9 Per un maggiore dettaglio circa la ricognizione e i risultati si vedano i capitoli V e VII. 20 e F. 240 IV NW (rilevate nel 1965) e F. 565 Sez. II – Villa S.Pietro, F. 573 Sez. I – Domus de Maria e F. 566 sez. III – Pula il cui rilevamento risale al 1987. Le litologie affioranti nel settore sono essenzialmente delle coperture superficiali relative al Quaternario; tali depositi occupano la quasi totalità della piana. Sparse qua e là, a costituire i promontori che caratterizzano la costa e gli alti morfologici della piana, troviamo le rocce vulcaniche terziarie. Sempre al Terziario sono riferibili gli scarsi affioramenti di arenarie e argille relativi alla “Formazione del Cixerri”. Mentre i graniti affioranti a monte rappresentano il substrato paleozoico del settore. Nel dettaglio la piana presenta i seguenti lineamenti geologici. Paleozoico La Sardegna e la Corsica costituiscono la parte restante di una zolla crostale che presenta maggiori affinità con l’Europa continentale (in particolare con alcune parti della Francia e della Spagna) che con il resto dell’Italia. Si può senz’altro affermare che l’isola ha vissuto nel corso del Paleozoico gli avvenimenti più importanti della sua storia geologica, passando attraverso ben due cicli orogenetici (quello caledonico che ha interessato sedimenti cambriani e siluriani e quello ercinico che ha coinvolto anche depositi devoniani e carboniferi). Tali cicli orogenetici hanno lasciato segni ancora ben evidenti sull’assetto geologico generale della Sardegna: il granito, la caratteristica litologica che contraddistingue la Sardegna è ciò che resta di un magmatismo di tipo intrusivo legato all’orogenesi ercinica. I rilievi che chiudono la piana di Pula verso Ovest fanno parte degli affioramenti paleozoici del basso Sulcis e sono rappresentati perlopiù da graniti ai quali si associano, in maniera abbastanza esigua e limitata alla sola zona entro il comune di Villa S.Pietro, delle metamorfiti (in facies scisti verdi). I graniti si presentano perlopiù a grana media con un colore grigio-roseo, talora a grossi feldspati, che conferiscono alla massa una struttura essenzialmente porfirica. Sono soprattutto leucograniti con scarse manifestazioni filoniane associate. Ad Ovest di Villa S. Pietro prevalgono litologie a grana molto fine di origine metamorfica (facies di derivazione pelitico arenacea) dove il metamorfismo è originato dalla intrusione granitica (metamorfismo di contatto). Il basamento è interessato, poi, da deformazione 21 di origine ercinica, nonché dalla tettonica alpina (la quale ha condizionato i rapporti spaziali attualmente esistenti tra le varie litologie): il lineamento tettonico principale è un’importante faglia a prevalente rigetto verticale orientata WSW-ENE che divide le litologie paleozoiche a N e a NW, da quelle terziarie e quaternarie a S e SE. questa faglia può essere considerata come un prolungamento della grande linea di dislocazione del Campidano occidentale. In prossimità di questa faglia il granito, generalmente abbastanza compatto, si presenta arenizzato, potrebbero esserne la causa dei fenomeni di frizionamento. La morfologia complessiva della piana costiera di Pula è stata fortemente influenzata dalla presenza di questo elemento strutturale che ha determinato un forte dislivello responsabile, insieme ai cambiamenti climatici alternatisi nel Quaternario, del riempimento alluvionale prodottosi nella piana. Cenozoico Nel Cenozoico la Sardegna ha subito diverse vicissitudini di tipo dinamico che l’hanno portata all’attuale posizione all’interno del Mediterraneo: durante tutto il Paleozoico e il Mesozoico la Sardegna era saldata all’Europa continentale, tale situazione si è protratta, secondo vari studiosi, fino all’Eocene dopodiché l’isola, ha cominciato un movimento di deriva verso sud-est e una rotazione antioraria di circa 30° che l’hanno portata a occupare la posizione attuale. Questa rotazione non è stata senza conseguenze: è in quel momento che si è iniziato a formare il graben sardo, ossia una vasta depressione, estesa dal golfo di Cagliari al golfo dell’Asinara, entro la quale si è originato un vulcanismo di tipo andesitico esteso dai bordi di questa depressione fino alle parti poste più a sud del golfo di Cagliari (Sarroch-Pula). In seguito, nel Miocene, questa depressione viene invasa dal mare che comincia a depositare i suoi sedimenti. Sarà, poi, nel Pliocene medio che si avrà un nuovo ciclo subsidente che interesserà la parte meridionale della grande depressione e che originerà il graben del campidano ossia l’attuale pianura del Campidano che si estende dal golfo di Cagliari al golfo di Oristano. Le formazioni terziarie affioranti nella nostra area di studio sono di due tipi: una, la più antica, sedimentaria, di ambiente continentale di transizione (la “Formazione del Cixerri”), l’altra di tipo vulcanico andesitico. 22 Formazione del Cixerri Tale formazione è stata rinvenuta principalmente nella valle del fiume Cixerri, nell’iglesiente, ma suoi lembi sono stati ritrovati in diverse parti dell’iglesiente stesso e del Sulcis, tra cui nella piana di Pula. La formazione è in facies continentale e gli apporti ciottolosi, rinvenuti nella valle del Cixerri provengono dal dominio iberico ossia dalla Spagna nord-orientale (Cherchi & Montadert, 1982): gli autori sono concordi nel ritenere che la deposizione sia iniziata quando ancora la Sardegna era saldata all’Europa continentale. Questo sulla base del contenuto mineralogico e litologico della base degli affioramenti, rinvenuti nella valle del Cixerri, il quale presenta delle affinità con rocce rilevate in Spagna. Il colore rosso, una delle caratteristiche peculiari di questo deposito è dovuto proprio all’ambiente di deposizione. Tale ambiente è, prevalentemente, di tipo fluvio-deltizio negli affioramenti più occidentali della formazione, mentre in quelli più meridionali (Sarroch - Pula) Barca & Palmerini (1973) ipotizzano ambienti di sedimentazione di tipo prevalentemente lagunare, nei quali ricorrenti e cospicui apporti terrigeni, riconoscibili nelle facies conglomeratiche intercalate alle arenarie, hanno dato luogo a processi di sedimentazione riconducibili a quelli torbiditici; non ci si riferisce in questo caso a torbiditi legate da un punto di vista genetico alla batimetria, ma a correnti di torbida prodottesi nell’ambito di correnti fluviali nelle quali sia presente una forte concentrazione di materiali clastici eterometrici. Fra gli ambienti di sedimentazione possibili viene incluso anche quello marino – litorale per la presenza, in alcune facies, di strutture sedimentarie quali burrows ossia gallerie scavate da organismi fossatori che in genere vivono in questo ambiente. La datazione della formazione ha rappresentato uno dei problemi maggiori nello studio della stessa, in quanto essa si presenta quasi completamente priva di contenuto fossilifero. Tuttavia il ritrovamento di alcuni fossili nei pressi di Domusnovas ha permesso di datarne la base e di attribuirla ad un Eocene medio/inf. (Massoli-Novelli & Palmerini, 1970), il fatto che poi al di sopra della formazione si trovino le vulcaniti datate Oligocene-Miocene, porta a concludere che la formazione del Cixerri si è formata in un arco di tempo compreso tra l’Eocene medio/inf. e l’Oligocene. 23 Nel nostro settore tale formazione affiora in maniera sporadica e gli affioramenti più estesi sono quelli di Sa Perdera (nella fascia pedemontana ad Ovest di Villa S.Pietro) e di G.dia Mussara (a Nord di Villa S.Pietro). Nel complesso si tratta di arenarie di colore grigio, disposte in banchi, potenti, talvolta, anche diversi metri, alternate a delle argille rosso - violacee; le arenarie, hanno una granulometria media, sono prevalentemente quarzose e debolmente cementate da un cemento di tipo carbonatico, si presentano completamente prive di fossili (anche a livello microscopico) e di qualsiasi tipo di struttura sedimentaria. Le argille, particolarmente evidenti per via del loro colore viola intenso, presentano una plasticità estrema quando bagnate. Per questo motivo sono state campionate e sottoposte ad analisi archeometriche (tuttora in corso) al fine di stabilire se siano state usate o no nella fabbricazione di ceramiche in epoca punica o romana. In località Sa Perdera/Sa Perderedda le arenarie affiorano sotto a depositi di versante pleistocenici piuttosto ben cementati; mentre a G.dia Mussara le troviamo sotto alle vulcaniti. Vulcaniti Le vulcaniti sono un elemento litologico e morfologico importante nel nostro settore: rappresentano il substrato sul quale poggiano le formazioni superficiali della piana e la caratterizzano morfologicamente costituendone gli alti morfologici e i promontori lungo la costa. Sono state individuate due facies vulcaniche che affiorano in alternanza: una lavica massiva (osservabile nel promontorio del Coltellazzo) e una brecciosa (piuttosto diffusa nel settore di Pula). Tali vulcaniti sono state riconosciute come andesiti appartenenti al ciclo vulcanico attivo in Sardegna a partire dall’Oligocene in concomitanza con i movimenti di rotazione del massiccio sardo-corso, prima della trasgressione miocenica (Pecorini & Pomesano-Cherchi, 1969). Le datazioni più recenti, fatte sulle vulcaniti, hanno fornito un’età di 35-32 M.a. (Montigny et al. 1981; Beccaluva et al., 1985; 1987). Le facies brecciose o “agglomeratiche” si presentano costituite in prevalenza da elementi arrotondati, con una debole percentuale di elementi spigolosi. Le dimensioni di questi ciottoli variano in media tra i 3 e i 10 cm di diametro, sono presenti elementi di dimensioni maggiori o minori, ma alquanto raramente. 24 Il colore e l’aspetto di questi agglomerati andesitici sono vari e sono in relazione al grado di alterazione della roccia ed al colore dei singoli elementi che li costituiscono; la parte “agglomerante” è generalmente grigio-verde, mentre gli inclusi variano dal grigio, al verde, al rosso. Per ciò che concerne la genesi, potrebbe trattarsi di agglomerati formati da materiali accumulatisi in seguito allo smantellamento di rilievi vulcanici preesistenti, trasportati dall’acqua, scesi per gravità e poi inglobati dalla massa lavica andesitica che raffreddandosi ha costituito la parte “agglomerante”. Tali brecce hanno un aspetto quasi conglomeratico, sono molto sensibili all’erosione presentando lungo la costa, diverse forme quali solchi di battente, piccole cavità scavate nella roccia, o marmitte e ripe di erosione. L’alto grado di erodibilità determina, inoltre, l’abbondante formazione di materiale detritico, che accumulandosi ai piedi dei versanti costituisce falde di detrito e colluvi. Le lave presentano una varietà di colore dovuta al diverso grado di alterazione. Il loro colore varia dal grigio chiaro a quello scuro, quasi nero, al verdastro. Quelle più scure sono anche, generalmente, le più fresche e le più compatte, presentanti una frattura da scheggiosa a concoide, caratteristica, quest’ultima, dei tipi più vetrosi. Le più chiare sono, invece, le più alterate e, di conseguenza, le meno compatte e mostrano una frattura terrosa. Le rocce fresche presentano una struttura porfirica con fenocristalli le cui dimensioni possono andare da qualche decimo di mm fino a 5-6 cm. I fenocristalli in quest’ultimo caso sono rappresentati da grossi individui di orneblenda di colore nero lucente e con tracce nette di sfaldature (Massoli-Novelli, 1965). L’alterazione tende a modificare il colore della roccia. Nelle facies ove è prevalente l’alterazione cloritica, che investe soprattutto gli anfiboli e, secondariamente, i plagioclasi, si ha una conseguente colorazione verdastra della roccia alterata. Laddove prevale, invece, la trasformazione argillosa, la roccia passa dal colore grigio omogeneo primitivo ad un grigio chiaro punteggiato di bianco, perdendo molto in compattezza (Massoli-Novelli, 1965). Le facies massive e filoniane costituiscono dei rilievi con versanti acclivi mentre le facies brecciose, facilmente argillificate, danno luogo, in genere, a basse colline. Le 25 facies massive si presentano, inoltre, fratturate, con fratture fra loro perpendicolari che le rende soggette alla formazione di falesie quando affiorano lungo la costa. Le due facies, massiva e brecciosa, si trovano alternate. La fuoriuscita delle lave non è avvenuta attraverso degli apparati vulcanici conici, ma attraverso delle faglie. Gli autori sostengono che l’elemento tettonico responsabile di questa fuoriuscita sia proprio la faglia orientata NE-SW, in raccordo con le faglie del Campidano, posta tra i rilievi paleozoici e la piana vera e propria. Da un punto di vista morfologico le vulcaniti si presentano cupuliformi, con versanti piuttosto dolci, quando non superano i 50 m di altezza; nel settore di Sarroch, dove le quote raggiunte sono abbastanza elevate, i versanti sono scoscesi e la dinamica di versante è abbastanza accentuata. La dinamica costiera è quella che agisce con più efficacia, lasciando le tracce della sua azione sui promontori: la morfologia della costa è quella che si presenta più articolata. Tutti i promontori presentano delle falesie o delle ripe di erosione, la presenza dell’una o dell’altra dipende essenzialmente dalla litologia; sono sempre presenti delle piattaforme di abrasione scavate sulla roccia e dei solchi di battente sia attuali che relativi a livelli del mare più alti dell’attuale (cfr. foto 4); quando l’azione del mare agisce sulle brecce si ha la formazione di ulteriori forme quali marmitte e altri tipi di cavità. Quaternario I depositi quaternari (essenzialmente formazioni superficiali) sono riferibili sia al Pleistocene che all’Olocene. Tali depositi si presentano distribuiti nel modo seguente: nella fascia pedemontana (dove dominano i processi legati alla gravità e all’azione delle acque di ruscellamento superficiale) prevalgono i depositi continentali quali glacis e conoidi pleistocenici e falde di detrito attuali; nella fascia intermedia, dove l’attività deposizionale operata dai corsi d’acqua si fa più intensa, prevalgono i depositi alluvionali terrazzati sia olocenici che pleistocenici, e i depositi alluvionali sciolti attuali; nella fascia costiera, sede del modellamento e dell’accumulo marino, troviamo depositi di spiaggia attuali e pleistocenici, sabbiosi o ciottolosi; depositi limoso-argillosi delle zone palustri, e lembi di depositi continentali relitti relativi al pleistocene. 26 Pleistocene Il Pleistocene marino è rappresentato da conglomerati e arenarie a stratificazione incrociata la cui datazione, ottenuta con il metodo della racemizzazione degli aminoacidi10, ha dato 125.000 anni B.P. e ci permette di collocare, cronologicamente, tali affioramenti all’interno dell’ultimo intereglaciale. Il contenuto fossilifero è piuttosto abbondante ed è costituito da Lithothamnium, Patella ferruginea e dalla fauna tipica del tirreniano: lo Strombus Bubonius; tali specie, attualmente viventi lungo le coste senegalesi, in un ambiente climatico diverso dal nostro, indicano, che nel Tirreniano, la Sardegna aveva un clima simile a quello attuale delle coste dell’Africa occidentale. I depositi tirreniani affiorano lungo la linea di costa tra 2 e 4 m sul l.m.m. attuale, tra P.ta S.Vittoria e P.ta d’Agumu. Le due sezioni tipo affioranti in questa zona sono quella di Fradis Minoris e quella di Nora. Il significato paleogeografico di questi depositi è abbastanza chiaro: si tratta di testimonianze di antiche spiagge, cordoni litorali, tomboli formatisi circa 125.000 anni fa in un clima più caldo del nostro e con un livello del mare più alto di 2-4 metri. L’affioramento di Fradis Minoris viene interpretato come un cordone litorale emerso in seguito a una fase di barra sommersa. La sua emersione avrebbe provocato la chiusura, tra il promontorio di Nora e la P.ta d’Agumu, di uno stagno con caratteristiche simili a quelle dell’attuale stagno di Chia. Il promontorio di Nora deve, invece, la sua formazione al tombolo tirreniano che avrebbe saldato quella che allora era un’isola alla terraferma. Testimonianze di questa saldatura sono fornite sia dagli affioramenti tirreniani distribuiti nell’istmo che collega oggi il promontorio alla terraferma, ma anche da altri affioramenti trovati a quote di circa + 1,6 m s.l.m.m. attuale, all’interno dell’area di scavo. La spiaggia di Nora, invece, aveva una larghezza maggiore con una linea di costa che correva parallelamente alla linea di costa attuale (cfr. Tav. IV). Attualmente i depositi tirreniani sono incisi e formano delle ripe di erosione attive, sottoposte all’azione erosiva del mare, che opera uno scalzamento alla base con crollo arretramento della ripa parallelamente a se stessa. Il Pleistocene continentale è rappresentato da depositi continentali di versante e alluvionali. I primi si presentano principalmente come un insieme caotico ed 10 Ulzega A. Hearty P. J., 1986-Geomorfology, Stratigraphy and Geochronology of Late Quaternary Marine Deposits in Sardinia Z. geomorph. N.F. Suppl. Bol. 62, 119-129, Berlin-Stuttgart. 27 eterometrico di ciottoli con diverse litologie dipendenti dal settore di provenienza degli apporti. Nei depositi più a Nord prevalgono rocce metamorfiche paleozoiche (affiorando tali rocce nel settore montano a Ovest di Villa S.Pietro), in quelli più a Sud sono essenzialmente rocce granitiche (affiorando nel settore a monte quasi esclusivamente graniti a partire dalla zona a Ovest di Pula). I ciottoli che costituiscono il deposito presentano un grado di elaborazione molto basso, spesso sono a spigoli vivi. Le dimensioni sono molto variabili, con ciottoli di dimensioni massime di 30 cm. Tali ciottoli si trovano immersi in una matrice argillososabbiosa che può assumere una colorazione rosso-arancio oppure tendente al marronegrigio. Tale colorazione è essenzialmente funzione dell’età, infatti i depositi più antichi si presentano ossidati e questa ossidazione conferisce al deposito un colore arrossato. La matrice si presenta argilloso-sabbiosa dove i litotipi dominanti sono granitici, mentre dove prevalgono le metamorfiti la matrice è essenzialmente di tipo argilloso. Il deposito può, inoltre, presentare un grado di cementazione piuttosto elevato, tale da conferirgli un aspetto quasi lapideo, in questi casi i ciottoli di granito sono fortemente alterati fino a presentare fenomeni di arenizzazione. Il grado di cementazione, l’alterazione dei ciottoli e l’ossidazione della matrice vengono utilizzati come segni indicanti l’antichità del deposito ossia anche se non si conosce la loro età precisa si ritiene che essi appartengano a un Quaternario antico e in particolare al Pleistocene. I depositi di versante di questo tipo vengono classificati, da un punto di vista morfologico, come dei glacis misti (di accumulo e di erosione) originati, in alcuni casi, dalla coalescenza di più conoidi (soprattutto nella zona a Ovest di Villa S.Pietro). Morfologicamente si presentano come delle distese subpianeggianti (pendenza massima di 10-15 gradi) e fungono da cerniera tra i rilievi e la piana alluvionale. La loro formazione è dovuta prevalentemente ad accumulo torrentizia e colluviale, e la loro estensione, in una zona in cui il clima attuale non ne permetterebbe la formazione, fa si che gli autori siano concordi nel ritenere che tali depositi si siano formati in un momento in cui il clima era più freddo, di tipo periglaciale 11. Un tipo di clima che attualmente si trova alle alte latitudini e alle elevate altitudini, ma che durante le fasi fredde del Quaternario ha interessato anche la Sardegna. 11 Si ritiene che questo ambiente morfoclimatico sia quello più favorevole alla formazione di questo tipo di glacis. 28 I depositi alluvionali occupano la fascia intermedia sia lungo il corso del Rio Pula che del Rio S. Margherita e, quando affiorano sulla linea di costa, sono incisi a formare delle ripe di erosione non più attive che costituiscono il retrospiaggia delle spiagge attuali. Si presentano come delle coltri di materiale detritico che raggiungono anche lo spessore di diversi metri (come nel caso del Rio Mannu/Rio Pula) costituite da materiale ciottoloso, essenzialmente granitico, formato da ciottoli con un alto grado di elaborazione fino ad arrotondati, eterometrici e moderatamente classati, di dimensioni massime di circa 30 cm, immersi in una matrice sabbioso-argillosa di colore rossoarancio. Nel complesso le loro caratteristiche ricordano molto quelle dei glacis, fatta eccezione per il maggiore arrotondamento dei ciottoli e per la loro maggiore classazione. Anche in questo caso il colore sarebbe indice di una ossidazione che, insieme al grado di cementazione presentato dai depositi, viene messo in relazione con l’età che, anche in questo caso, si attribuisce al Pleistocene. Seuffert (1970) sostiene che sia i glacis che le alluvioni appartengono all’ultimo grande periodo freddo del Quaternario ossia al Würm12, allora essi sarebbero la testimonianza del deterioramento climatico intercorso in seguito al periodo caldo del Tirreniano. Infatti per la loro formazione sono necessarie condizioni climatiche particolari quali l’aumento delle precipitazioni che con l’alternarsi di gelo e disgelo, determinano l’aumento del materiale detritico da trasportare e depositare a valle. Tuttavia la mancanza di elementi datanti in modo assoluto non ci permette di stabilire se siano realmente posteriori o se, invece, relativi a un periodo a clima freddo, precedente al Tirreniano. Gli elementi che abbiamo ci permettono solo di stabilire che si tratta di depositi relativi a un Quaternario antico, depositatisi in un clima più freddo di quello attuale e di quello tirreniano. Inoltre tali depositi si presentano incisi e terrazzati cioè dopo la loro formazione c’è stato un cambiamento climatico che ha determinato condizioni erosive dettate da minori precipitazioni e un graduale sollevamento del livello del mare. I depositi superficiali nella parte alta e media della valle sono stati incisi, e la stessa sorte è toccata ai depositi posti sulla costa. Probabilmente le testimonianze erosive lungo la costa, a una quota leggermente superiore a quella del 12 Anche se gli studi più recenti hanno dimostrato che le glaciazioni furono dei periodi caratterizzati da diverse oscillazioni climatiche succedutesi nel corso di quello che un tempo veniva indicato come wurmiano, per comodità di trattazione utilizzeremo questo termine per indicare grosso modo il periodo di formazione di questi depositi. 29 l.m.m. attuale, sono riferibili alla trasgressione Versiliana, la quale in Sardegna avrebbe raggiunto come livello massimo, + 2 m. Gli effetti più evidenti sono materializzati dalle innumerevoli ripe di erosione (cfr. Tav. V) incise su depositi continentali posti attualmente nella zona di retrospiaggia (lungo la spiaggia di Nora, la spiaggia di Agumu, a P.ta Furcadizzu, a Porto Columbu), da solchi di battente incisi a circa un metro al di sopra del livello attuale (Punta d’Agumu, foto 4), ai quali talvolta si trova associata la piattaforma di abrasione correlata (promontorio del Coltellazzo). 30 Olocene I depositi continentali olocenici sono essenzialmente depositi di versante, colluvi e depositi alluvionali; i depositi di versante sono quelli più recenti e coprono quasi tutti i versanti dei rilievi di quote maggiori, in particolare i rilievi granitici e quelli andesitici di Sarroch. Tali depositi sono il risultato di processi meccanici innescati dalla gravità, che agisce insieme agli agenti meteorici. Infatti la roccia, spesso già fratturata naturalmente, subisce delle frantumazioni per opera degli agenti meteorici, e i frammenti, così prodotti, tendono a muoversi lungo il versante per effetto della gravità, accumulandosi ai piedi del versante stesso dando luogo a degli ammassi ciottolosi, completamente sciolti, a spigoli vivi. Nel nostro settore i depositi di versante di questo tipo, meglio sviluppati, si trovano alla base delle rocce granitiche. I depositi colluviali interessano in modo particolare le vulcaniti, e sono distribuiti sia sui versanti delle colline che dei promontori; hanno spessori variabili da centimetrici a metrici (cfr. foto 6), il materiale che li costituisce deriva dall’alterazione chimica dell’andesite e dal trasporto lungo i versanti operato dalle acque di ruscellamento diffuso. Il risultato è un deposito caotico, etereometrico, formato da ciottoli spigolosi di vulcaniti immersi in una matrice argillosa di colore bruno. I depositi alluvionali, osservabili in vaste aree della piana, si presentano come delle distese ciottolose di materiale granitico, con ciottoli ben arrotondati, immersi in una matrice argillosa di colore bruno; tali depositi sono, talvolta, incisi dai corsi d’acqua attuali. La loro vasta estensione è legata a una paleoidrografia più sviluppata rispetto a quella attuale, anche nell’olocene recente: In alcuni casi questi depositi sono le uniche testimonianze rimaste di corsi d’acqua ormai estinti il cui corso è individuabile facendo un’analisi incrociata tra foto aeree e rilevamento di campagna. I depositi alluvionali sciolti costituiscono i letti dei corsi d’acqua maggiori: essenzialmente ciottolosi, fortemente eterometrici, privi totalemente di matrice, i litotipi dominanti sono granitici, in quanto il reticolo idrografico della piana prende origine nel settore montano paleozoico.. I depositi marini sono rappresentati dalle spiagge che si presentano, sabbiose o ciottolose. Tali spiagge hanno una estensione abbastanza ridotta e si trovano sempre 31 strette fra i promontori andesitici formando delle caratteristiche baie. Sono presenti alcune forme costiere di accumulo particolari quali cordoni litorali di formazione molto recente come quello posto all’interno della laguna e quello che costituisce la parte finale della spiaggia di Agumu. I depositi palustri occupano un’area abbondante, ma non molto vasta, del settore studiato. E’ molto difficile indicare con precisione i limiti di questi depositi anche perché l’area ha subito degli interventi di bonifica negli anni cinquanta mirati a eliminare i focolai di malaria e dunque le aree paludose o stagnanti. Sono comunque estesi nella parte a Nord della laguna “Su Stangioni e S.Efisio” e in prossimità del canale Cristallu. Tali depositi si presentano argillosi, di colore grigio scuro-nero e sono gli unici depositi interamente argillosi che si trovano nelle immediate vicinanze della città di Nora. Caratteri geomorfologici (cfr. Tav. III) La zona oggetto di studio ha, nel complesso, una morfologia pianeggiante o subpianeggiante, con degli alti morfologici rappresentati dalle colline e dai promontori andesitici. La zona può essere divisa, nonostante l’omogeneità che presenta nel complesso, in tre fasce morfologicamente distinte da un punto di vista genetico: a. Una fascia pedemontana caratterizzata dalla presenza di depositi di versante, dove prevalgono i processi legati alla gravità e al ruscellamento superficiale e che funziona da raccordo tra la fascia montana e la piana vera e propria; b. Una fascia intermedia, che rappresenta la piana alluvionale in senso stretto, nella quale i processi alluvionali legati alle acque incanalate hanno prevalso, soprattutto nel Pleistocene; c. La fascia costiera caratterizzata da una costa a promontori alternati a baie sabbiose o ciottolose e nella quale la dinamica costiera è l’elemento morfologico dominante (anche se in certe zone si può avere una influenza notevole da parte della dinamica eolica). Veniamo ora ad analizzare in maniera più dettagliata le tre zone individuate all’interno della piana. Fascia Pedemontana 32 La fascia pedemontana è caratterizzata da una copertura attuale, costituita da falde di detrito e piccoli coni di deiezione, e una copertura pleistocenica costituita da glacis quaternari (a Ovest di Villa S.Pietro) più o meno incisi e terrazzati. Tale area si estende lungo tutto il bordo dei rilievi paleozoici che chiudono la piana a occidente. La morfologia dei glacis è tipicamente dolce, debolmente inclinata e incisa dai corsi d’acqua attuali. I processi che dominano e che hanno dominato nel Pleistocene, in quest’area, sono quelli di ruscellamento diffuso, quelli dovuti alla gravità e quelli legati alle acque incanalate. I glacis sono delle forme relitte, ossia delle forme non più attive, infatti la loro formazione è legata a un particolare tipo di clima che è quello periglaciale il quale ha interessato la Sardegna, a più riprese, durante le fasi fredde del Quaternario. In questi climi i detriti trasportati dai corsi d’acqua vengono abbandonati sotto forma di coni alluvionali, generalmente di grandi dimensioni, in conseguenza dell’abbondante produzione di detriti e della scarsità della copertura vegetale. L’unione di più coni in una larga superficie debolmente inclinata, al piede di un versante, determina la formazione di un glacis alluvionale. I processi di ruscellamento, di geliflusso o di dilavamento in massa trovano nell’ambiente periglaciale le condizioni favorevoli per il modellamento dei glacis d’erosione e di accumulo (Panizza, 1973). Nella fascia pedemontana del nostro settore si ritrovano tutti gli elementi morfologici descritti: i glacis assumono di volta in volta l’aspetto di conoidi e di glacis misti. Un bell’esempio di conoide, ancora reperibile sul topografico del 1966 e, in parte, del 1987, ma ben visibile in quello del 1931, lo si può osservare nel settore NO dell’area indagata (a Ovest di Villa S.Pietro). Lo spessore dei glacis varia notevolmente da alcune decine di metri a pochi metri, come accade in località Sa Perdera dove tali deposti poggiano sugli affioramenti terziari della formazione del Cixerri; il contatto fra le due formazione dà origine a fenomeni di erosione differenziale in quanto i depositi quaternari, più resistenti, proteggono la parte superiore del deposito terziario evitandone l’asportazione completa. Il risultato morfologico sono delle colline di forma allungata nella direzione dei corsi d’acqua che hanno inciso le vallecole tra una collina e l’altra. 33 I depositi di versante attuali, posti ai piedi dei rilievi paleozoici, sono essenzialmente delle falde di detrito legate ai processi gravitativi che agiscono sui materiali provenienti dal disfacimento della roccia. La fascia pedemontana è, dunque, caratterizzata da dinamiche di versante legate sia alla gravità che alle acque di ruscellamento superficiale. La maggiore estensione dei depositi più antichi rispetto a quelli attuali è legata al fatto che questa dinamica è stata molto più attiva in passato: i depositi più antichi si sono formati in un clima di tipo periglaciale con piogge più abbondanti, copertura vegetale ridotta e una gran mole di detriti derivanti dal disfacimento meccanico dei rilievi paleozoici che hanno fornito il materiale per la costruzione di questi depositi. Fascia intermedia La fascia intermedia è caratterizzata dalla presenza di depositi alluvionali pleistocenici e olocenici. La morfologia di questa fascia è decisamente pianeggiante interrotta solo dalle colline andesitiche che costituiscono gli alti morfologici. I depositi alluvionali pleistocenici seguono l’andamento dei due fiumi principali (il Rio Mannu Rio Pula e il Rio S.Margherita) e sono fortemente terrazzati; quelli olocenici hanno una distribuzione continua in tutta la piana; Per ciò che concerne il Rio Mannu – Rio Pula esso presenta dei terrazzamenti sia nella sponda sinistra (due ordini di terrazzi) che in quella destra (tre ordini di terrazzi se si considera anche l’incisione sui glacis). Si tratta di terrazzi alluvionali incastrati, che denotano una importanza minore dei periodi di erosione rispetto a quelli di deposizione. I terrazzi della sponda sinistra presentano pareti subverticali con orli netti e altezze maggiori rispetto a quelli della sponda destra. Tale conformazione ha origine nella topografia e dunque nell’erosione più marcata subita dalla sponda destra e conferisce alla valle un aspetto asimmetrico. Nella parte finale del corso d’acqua si conservano ancora delle alluvioni terrazzate, ma sono più recenti, di età olocenica. Il Rio S.Margherita è bordato da entrambi i lati da alluvioni pleistoceniche terrazzate che si estendono dallo sbocco a valle dei versanti fino alla linea di costa dove formano delle piccole ripe di erosione. La valle che ospita il Rio S.Margherita si è generata durante l’ultimo glaciale per erosione fluviale interessando regressivamente i rilievi 34 paleozoici retrostanti in conseguenza dell’abbassamento del livello del mare. La risalita del mare in stadi successivi ha catturato la valle dando luogo all’attuale piana alluvionale, nella quale si individuano i terrazzi relativi ai vari momenti di colmata e di erosione. Tutti i terrazzi si sono sviluppati nel tratto medio dei fiumi, per questo motivo li si considera dei terrazzi climatici. Le alluvioni pleistoceniche si spingono fin sulla linea di costa dove il mare olocenico in risalita le ha incise formando delle piccole ripe d’erosione (ora inattive). La monotonia del paesaggio pianeggiante delle alluvioni è interrotta in maniera abbastanza sporadica dalla colline andesitiche che costituiscono gli alti morfologici. Tali colline si presentano isolate con forme tendenzialmente a cupola e quote non molto elevate (tra i 10 e i 60 m); le loro dimensioni e la loro distribuzione diminuiscono mano a mano che ci si spinge verso sud. Al contrario se ci si sposta verso Nord (soprattutto nel confine tra il territorio comunale di Villa S.Pietro e il territorio comunale di Sarroch) le quote e l’estensione di questi rilievi aumentano. Fascia costiera La costa è caratterizzata da baie sabbiose e ciottolose alternate a promontori andesitici, la cui facies dominante è quella breccioso – agglomeratica; la penisola del Coltellazzo rappresenta un’eccezione in quanto presenta una facies di tipo massivo. La morfologia dei promontori è ben articolata e l’agente modellante principale è quello marino: falesie, attive o stabilizzate, coste alte con ripe di erosione, archi, solchi di battente ( cfr. foto 1, 2 e 4), piattaforme di abrasione (attuali o relitte). Il confronto incrociato fra tavolette I.G.M. (dal 1897 al 1987) e foto aeree (dal 1955 al 1996) ha messo in evidenza che in questo arco di tempo si sono verificate delle variazioni della linea di costa materializzate in avanzamenti o arretramenti. La forte antropizzazione, dovuta allo sviluppo turistico, a partire dagli anni ’50-60 ha determinato, in alcune zone, dei cambiamenti morfologici notevoli e dei processi di erosione accelerata. L’esempio più evidente è dato dalla spiaggia di Porto Columbu dove una concomitanza di cause di tipo antropico aveva innescato un lento processo di 35 arretramento della linea di costa13, tale processo ha subito un’accelerazione dopo la costruzione del porticciolo turistico di Perd’e Sali (cfr. Tav. VI). L’analisi incrociata di dati archeologici, geologici, cartografici e toponomastici ha messo in evidenza una serie di modificazioni morfologiche relative alla foce del Rio Pula e al suo letto di esondazione. Attualmente il Rio Pula si trova imbrigliato fra due argini artificiali costruiti negli anni ’50; tali argini possiedono dei bracci a mare che hanno determinato in questo lasso di tempo degli accumuli di materiale dovuti all’interferenza dei bracci stessi con l’azione della corrente di deriva litorale. Per quanto riguarda il letto di esondazione della parte finale del corso d’acqua si è potuta stabilire una sua evoluzione partendo dal Pleistocene e arrivando fino all’attuale sulla base di dati geologici, toponomastici e archeologici: 1. Sono stati trovati lembi isolati di depositi alluvionali arrossati e cementati relativi al Pleistocene in località P.ta Furcadizzo, sulla linea di costa dove formano delle piccole ripe di erosione, e nel suo immediato entroterra; 2. Tra P.ta Furcadizzo e la foce del Rio Pula sono presenti ben tre toponimi indicanti la presenza di stagni o zone palustri (“Su Stangioni”) due dei quali indicano inoltre la presenza di una foce (“Foxi”): Su Stangioni Perd’e Sali a Nord di Furcadizzo, che ospita ancora un piccolo specchio d’acqua, Su Stangioni Foxi Niedda a Nord della foce conserva ancora una certa umidità, rilevabile dal tipo di vegetazione, e Su Stangioni Foxi Lino a Sud della foce attuale, completamente colmato; 3. La ricognizione archeologica sul territorio ha rivelato che in un’area di dimensioni prossime a quelle del letto di piena registrato fino agli anni ’50, non esistono testimonianze archeologiche di nessuna epoca storica (cfr. Tav. II), ciò è abbastanza strano soprattutto per il periodo romano, per il quale la stessa ricognizione ha rivelato un’occupazione sul territorio estesa principalmente nelle aree alluvionali; questa assenza è stata messa in relazione con il fatto che l’area fosse sede di piene ordinarie o straordinarie fino 13 Degli studi condotti sulla spiaggia di Porto Columbu alla fine degli anni ’50 hanno dimostrato che la spiaggia era in arretramento. Le cause di questo arretramento furono individuate in cause di tipo antropico come il prelevamento indiscriminato di materiale sabbioso dalla spiaggia sommersa al largo della spiaggia emersa e il diminuito apporto di materiale di origine fluviale a causa degli sbarramenti sui corsi d’acqua 36 all’epoca romana e dunque pericolosa per lo stanziamento di attività antropiche di vario genere. I dati d’archivio dimostrano che fino a quando non sono stati costruiti gli argini l’area di esondazione del Rio Pula aveva dimensioni simili a quelle ipotizzate per il periodo romano. L’integrazione e lo studio dei dati qui esposti ci porta a fare le seguenti ipotesi e considerazioni: nel Pleistocene il Rio Pula aveva sicuramente portate maggiori rispetto a quelle attuali, con un’area di esondazione che si spingeva fino a Nord di Punta Furcadizzo, a tal proposito Seuffert ipotizza che il Rio Pula avesse una direzione di scorrimento diversa rispetto all’attuale, spostata molto più a Nord, con una foce posta in corrispondenza di Porto Columbu; questa ipotesi, però, non spiega la presenza di tanti depositi alluvionali pleistocenici posti nella zona prossima al corso attuale, e, soprattutto, non è supportata da dati di campagna, in quanto nell’area indicata non si ritrova nessun lembo di affioramento alluvionale pleistocenico; la mia ipotesi, proposta sulla base dei dati di campagna rilevati, è che nel Pleistocene l’area compresa tra Perda Fitta e P.ta Furcadizzo si presentava come una vasta area di esondazione a rami divaganti interessata, in tutta la sua superficie, da fenomeni di alluvionamento relativi a tali rami . Questo spiegherebbe l’ampia ripartizione in tutta quest’area dei depositi alluvionali e la conservazione in vari punti della costa di piccoli lembi di materiale alluvionale dello stesso tipo. Il successivo sollevamento del mare fino al massimo trasgressivo olocenico ha inciso questi depositi sia in corrispondenza dei letti fluviali, che lungo la costa, formando le ripe di erosione che si rinvengono in tutta l’area. Nell’Olocene il Rio Pula ha mantenuto le sue caratteristiche riducendo, a causa delle diverse condizioni climatiche, la sua area di esondazione; tale area coincide con lo spazio occupato dalle alluvioni oloceniche ai lati del Rio Pula e interno alle alluvioni pleistoceniche. L’area di piena del Rio Pula, relativa al periodo romano, è deducibile interpolando i punti in cui sono stati trovati i siti più interni, si tratta di un’area nella quale non si ritrova la minima testimonianza archeologica (cfr. Tav. II e III). L’area di piena occupata nell’ultimo secolo è, invece, ricavata dallo studio dei dati d’archivio e grazie anche alla toponomastica: tale area, nella zona a sud del Rio Pula, è quasi coincidente con quella dedotta per l’epoca romana, mentre a Nord è più ridotta. 37 Le forme costiere più imponenti, che caratterizzano la linea di costa, sono delle falesie con altezze variabili tra 15 e 30 metri. Le più caratteristiche si osservano a Perda Fitta, nella parete sud dell’isola del Coltellazzo, nella parete sud del promontorio del Coltellazzo (cfr. foto 1) e a Cala d’Ostia. A Perda Fitta la falesia (promontorio di S.Vittoria) presenta una parte attiva e una parte stabilizzata, è presente un solco di battente, corrispondente all’attuale livello del mare, ed è l’unica località in cui è osservabile un arco, il quale è, in parte, originato dall’attività antropica. La dinamica è di tipo prevalentemente erosivo, gli unici accumuli di materiale sono quelli relativi ai blocchi crollati dalla falesia, i quali non presentano, peraltro, nessun tipo di elaborazione. Il promontorio e l’isola del Coltellazzo, presentano delle pareti a falesia. Il promontorio, inoltre, conserva una piattaforma di abrasione e un solco di battente relativi a un livello del mare più alto, rispetto a quello attuale, di circa 1 m (cfr. Tav. V - foto 1). In corrispondenza delle coste rocciose, si osservano delle piattaforme di abrasione in formazione, talora molto estese. 38 CAPITOLO II Inquadramento geologico e geomorfologico della baia di Nora La “baia di Nora” (cfr. Tav. VII e allegato n. 1) è la zona da noi studiata nel dettaglio ed è compresa tra i promontori di Punta Santa Vittoria e di Punta d’Agumu. Il rilevamento relativo alla baia è stato eseguito al dettaglio utilizzando una scala di 1:5.000 (cfr. allegato n.1). Nel corso del lavoro ci si è resi conto che la laguna di S.Efisio rappresentava una chiave di volta nell’ambito delle variazioni morfologiche recenti, per questo motivo si è ritenuto opportuno dedicare un dettaglio maggiore al rilevamento geomorfologico della zona nella quale la laguna è compresa e dunque è stato fatto un rilevamento in scala 1:2.000 (cfr. allegato n. 2) corredato di analisi di tipo sedimentologico e geofisico. Caratteri geologici e strutturali Nella zona indagata affiorano quasi esclusivamente le formazioni superficiali relative al Quaternario; tali formazioni sono i depositi alluvionali, sciolti o cementati, i depositi sabbiosi o ciottolosi di spiaggia, i limi argillosi delle aree palustri, i depositi di versante delle colline e dei promontori andesitici. Il substrato è rappresentato dalle vulcaniti andesitiche oligo-mioceniche che costituiscono le colline e i promontori lungo la costa. Cenozoico Il substrato è essenzialmente formato dalle rocce vulcaniche andesitiche oligomioceniche14. La loro distribuzione è limitata ai promontori (M.te S.Vittoria, promontorio di Nora e P.ta d’Agumu) e alle colline dell’entroterra. La litofacies dominante nell’area indagata è quella breccioso – agglomeratica, con un’unica eccezione rappresentata dalla punta del Coltellazzo, dove prevale la facies massiva alla quale si alterna, in maniera del tutto esigua, quella brecciosa. Tale differenza litologica è ben evidente anche nella morfologia, infatti il Coltellazzo presenta delle pareti a falesia piuttosto acclivi, cosa che non si rileva per gli altri promontori della baia. 14 Per ciò che concerne le caratteristiche litologiche e la formazione di queste rocce si rimanda al capitolo I dove si descrivono le carattetristiche generali delle vulcaniti affioranti nella piana. 39 Le prime conoscenze relative alle caratteristiche geologiche dell’area le si devono al La Marmora che, nel suo Voyage en Sardaigne, descrive in maniera precisa e dettagliata la geologia della Sardegna compresi gli affioramenti vulcanici di questo settore. Secondo tale autore le forme assunte da queste rocce sono quelle di “monticoli conici” che “si dirigono secondo certe linee particolari”. Tale descrizione calza perfettamente ai diversi rilievi dell’area di Nora quali per esempio l’isola di S.Macario, il M.te S.Vittoria e, beninteso, il promontorio di Nora. Le rocce più compatte, presenti nella punta e nell’isola del Coltellazzo e nella collina che domina l’area degli scavi, presentano un sistema di fessurazioni subverticali e oblique particolarmente evidenti nella falesia del Coltellazzo. Il settore costiero, in particolare nella zona del Monte S.Vittoria, è caratterizzato dalla presenza di filoncelli e piccoli geodi, con zeoliti, talvolta ben sviluppati fino a dare luogo a cristalli molto ricercati dai collezionisti. La zona in cui la ricerca di tali minerali è più attiva è quella dov’è stato rilevato l’arco che sarebbe, in parte, il risultato di queste attività di ricerca. Quaternario Pleistocene Sono presenti depositi pleistocenici sia continentali che marini i primi sono i depositi alluvionali cementati15, affiorano nell’area SO della baia di Nora, e rappresentano un lembo dei depositi alluvionali del Rio S.Margherita, sono terrazzati e incisi e formano delle piccole ripe di erosione alla loro intersezione con la linea di costa; i secondi sono esclusivamente le arenarie e i conglomerati marini fossiliferi di età tirreniana affioranti sia lungo la costa che nella spiaggia sommersa in tutta la baia. Il Pleistocene marino affiora in diversi punti della baia di Nora, quattro sono le sezioni più significative: Nora, Fradis Minoris, su Guventeddu e P.ta d’Agumu (cfr. Tav IV e foto). I depositi affioranti a Nora e a Fradis Minoris rappresentano un riferimento stratigrafico per il Tirreniano sardo, ma la loro importanza è anche di tipo archeologico infatti a Nora vi è una necropoli di età punica completamente scavata in questi depositi 15 Per i caratteri generali relativi a questi depositi si veda la descrizione fatta nel capitolo I. 40 e a Fradis Minoris è stata rinvenuta una cava in cui l’analisi petrografica 16 ha dimostrato il legame fra il materiale della cava e quello usato nella costruzione del teatro. Tali depositi presentano le seguenti caratteristiche: Fradis Minoris (cfr. Tav. IV) La serie marina poggia su un deposito continentale pre-tirreniano rappresentato da un limo giallastro al quale fanno seguito: 1. Una unità sublitorale costituita da un conglomerato ricco di alghe calcaree; 2. Una unità litorale costituita da arenarie con stratificazione obliqua e talvolta incrociata; 3. Un’altra unità litorale di arenarie ricche di organismi fossili. Tale unità rappresenta una fase deposizionale in acqua più profonda, segnalante il clima dell’ultimo interglaciale, con una “fauna calda” a Strombus bubonius, Conus testudinaris, Patella ferruginea. Segue una superficie di erosione costituita da una crosta carbonatica e sormontata da un paleosuolo (Ulzega & Hearty, 1986). Nora (cfr. Tav. IV) Il Tirreniano di Nora poggia direttamente sulle vulcaniti terziarie e si presenta formato, dal basso verso l’alto, da: 1. Una serie di depositi di spiaggia sabbiosi o conglomeratici a stratificazione incrociata con Strombus; 2. Superficie di erosione; 3. Conglomerato grossolano fossilifero con ciottoli di vulcaniti terziarie, rocce paleozoiche e arenarie provenienti dalla formazione sottostante; 16 Melis S., Columbu S., 1998 – Matériaux de construction d’époque romaine et relation avec les anciennes carrières: l’exemple du théâtre de Nora (Sardaigne SO – Italie) in atti del convegno: La pierre dans la ville antique et medievale. Argenton-sur-Creuse (Francia), 30-31 Marzo 1998. 41 4. Un’altra superficie di erosione; 5. Un deposito colluviale recente contenente manufatti romani e punici. Tra le formazioni 1 e 3 non si rileva nessun deposito continentale, ciò fa supporre che queste due pulsazioni marine siano vicine nel tempo Depositi olocenici I depositi olocenici sono essenzialmente i depositi continentali sciolti quali depositi di versante, depositi alluvionali, depositi di spiaggia e palustri. Viene fatta una distinzione fra i depositi più o meno stabilizzati e quelli i cui processi di formazione sono ancora in atto, indicando questi ultimi come attuali. Tali depositi sono ripartiti in quasi tutta l’area interna della baia di Nora e si presentano nel modo seguente: alluvioni I depositi alluvionali olocenici coprono una vasta area di quella analizzata, essendo distribuiti, abbastanza uniformemente, in tutta la piana: sono le alluvioni sciolte a matrice argillosa bruna e ciottoli granitici 17. Tuttavia si trovano lembi isolati di questi affioramenti, di dimensioni talmente ridotte che non è possibile cartografarli, all’interno delle due aree palustri di S.Efisio e Cristallu, al passaggio dalla zona palustre al mare: L’analisi delle foto aeree ci ha permesso di rilevare, in corrispondenza di questi piccoli affioramenti, tracciati di alcuni corsi d’acqua ormai estinti e dei quali l’unica traccia sul terreno sono questi lembi isolati di affioramento18. L’interpretazione ambientale di questi affioramenti è stata fatta mediante l’integrazione dei dati di campagna e dello studio bidimensionale delle foto aeree 19: abbiamo messo in evidenza l’esistenza di un reticolo idrografico, ben sviluppato, soprattutto nella parte settentrionale della laguna di S.Efisio tra il Rio Arrieras e il canale Saliu, che corrisponde alla situazione relativa al periodo compreso tra la fine dell’800 e il primo 17 Per una descrizione più dettagliata si rimanda alla parte generale, capitolo I. Si veda, al capitolo VII, una trattazione più approfondita. 19 L’analisi è stata fatta su foto aeree a scale diverse e relative a diversi anni. E’ stata fatta un’analisi bidimensionale, evidenziando, mediante tecniche proprie della prospezione archeologica, le zone a umidità residua maggiore rispetto, all’ambiente circostante, ad andamento lineare e sinuoso paragonabili a corsi d’acqua. 42 18 cinquantennio del ‘900, prima degli interventi di bonifica e risistemazione idraulica della laguna. L’integrazione di questo dato con quelli archeologici ci permette di ritenere che in epoca romana la situazione fosse abbastanza simile a quella così ricostruita, con la laguna di S.Efisio più estesa verso nord. Colluvi I depositi colluviali sono, perlopiù, associati alle colline e ai promontori di origine vulcanica, ossia gli alti morfologici della baia. Tali depositi si presentano come delle coltri detritiche di debole spessore (da qualche decina di centimetri a 1-1,5 metri), sotto alle quali è sempre possibile rinvenire una sottile pellicola di roccia alterata in posto (regolite20) prima di giungere alla roccia sana; talvolta la parte superiore del deposito presenta una ulteriore alterazione che mostra una stabilizzazione con suoli in formazione; nel complesso si tratta di depositi abbastanza recenti, sovente ancora in formazione, risultato di una dinamica attiva del versante. Si presentano come delle argille di colore bruno con, al loro interno, frammenti di vulcaniti, a spigoli vivi, eterometrici. Tali depositi sono associati ai rilievi andesitici più estesi e di quote maggiori e sono il risultato di processi di versante lenti, ma costanti, che si producono in concomitanza di piogge non necessariamente abbondanti: si tratta di processi legati ai fenomeni di ruscellamento superficiale diffuso, talvolta incanalato (P.ta d’Agumu). Sugli affioramenti vulcanici citati il fenomeno agisce abbastanza facilmente grazie alla presenza, in situ, di una grossa porzione di roccia alterata e per la mancanza di una copertura vegetale estesa. I colluvi coprono i versanti delle colline sulle quali si trovano, giungendo, talvolta, fino alla linea di costa. Gli affioramenti più importanti sono a M.te S.Vittoria e a P.ta d’Agumu (cfr. Foto 5 e 6) Depositi palustri 20 Il termine regolite in senso stretto indica una formazione superficiale risultante dalla frammentazione della roccia non soggetta a trasporto. In senso largo è sinonimo di deposito superficiale non consolidato. In questo caso viene usato con il primo significato 43 Le estensioni maggiori di tali depositi si rinvengono principalmente nei pressi del Canale Su Cristallu e in tutto il bordo della laguna Su Stangioni S.Efisio; è presente qualche altro piccolo deposito isolato, come per esempio quello di G.dia Mongiasa, soprattutto nelle aree interne depresse (quota massima di 1 m s.l.m.). Si tratta di limi argillosi e sabbiosi di colore grigio - nero tendente al verde. Sono abbondantemente ricoperti da una vegetazione tipica di ambiente salmastro e umido. Sono il risultato del riempimento di zone depresse operato dai corsi d’acqua in un periodo piuttosto rapido: il confronto tra le foto aeree del 1955 e quelle del 1995 mostrano come in questo lasso di tempo, dopo la chiusura artificiale della laguna, si sia realizzato un riempimento notevole della parte occidentale della stessa (cfr. Tav. IX e X). La parte posta a Nord della laguna si presenta particolarmente sabbiosa con una sabbia piuttosto grossolana, contenente abbondanti ciottoletti di quarzo a spigoli vivi e con un colore tendente al rosso-arancio. Lo stesso tipo di deposito sabbioso, è stato rinvenuto sia nei pressi della spiaggia di Agumu che della spiaggia di Nora (sotto alla chiesa di S.Efisio) sempre in prossimità delle aree lagunari, al passaggio verso il mare. L’analisi sedimentologica e quella stratigrafica mostrano che si tratta di depositi relativi a piccole foci fluviali, e, comunque ad ambienti di transizione, associate a corsi d’acqua piuttosto effimeri e di breve gittata ormai completamente obliterati da altri depositi. Tali depositi si trovano, inoltre, associati a quelli alluvionali precedentemente illustrati e si inseriscono bene nel contesto relativo alla paleoidrografia olocenica, rilevata per l’area posta intorno alle aree umide di Cristallu e S.Efisio. Depositi sabbiosi di spiaggia Le sabbie occupano le due spiagge principali di Nora (tra il promontorio di Nora e Punta S. Vittoria) e Agumu (tra Fradis Minoris e Punta d’Agumu), nonché alcune “pocket beach” rilevate all’interno del promontorio di Nora. Attualmente non esistono corsi d’acqua sfocianti direttamente nelle spiagge suddette, dunque gli apporti sedimentari sono praticamente inesistenti. Il ripascimento della spiaggia di Nora si fa, solo ed esclusivamente, grazie allo smantellamento dei depositi quaternari di spiaggia, 44 sommersi, posti parallelamente alla linea di costa attuale (cfr. Tav. VIII). La spiaggia di P.to Agumu, anch’essa priva di qualsiasi apporto sedimentario attuale, riceve materiale dallo smantellamento dei depositi continentali che si trovano nel retrospiaggia: l’analisi sedimentologica dei suoi sedimenti ha dimostrato che questi presentano le caratteristiche di un deposito misto (marino/fluviale) e ciò, messo in relazione con la mancanza di corsi d’acqua o foci lungo la spiaggia, significa che i depositi che costituiscono la spiaggia derivano in parte dallo smantellamento dei depositi alluvionali posti nel retrospiaggia, in parte sono legati a una spiaggia formatasi in condizioni diverse da quelle attuali con una idrografia più complessa e articolata. Neottettonica La Sardegna meridionale è stata oggetto, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, di una serie di indagini mirate ad appurare se fossero esistenti movimenti di tipo neotettonico21. La ricerca è stata condotta mediante metodi geologico-stratigrafici integrando dati di rilevamento, dati strutturali e biostratografici ai valori radiometrici allora noti. I risultati ottenuti hanno dimostrato che, per i fogli 239-240 Teulada – S.Efisio, si è avuta una certa instabilità tettonica perdurata per la prima parte del Quaternario, mentre a partire dal Tirreniano il rilievo degli affioramenti corrispondenti (cfr. Tav. IV) conferma una stabilità tettonica: i sedimenti tirreniani si ritrovano indisturbati lungo tutta la costa con quote costanti e assenza di fenomeni di basculamento. Nell’ambito del nostro lavoro abbiamo provveduto, in fase di rilevamento geologico, a prendere le quote e a rilevare in maniera dettagliata i depositi tirreniani. I risultati del nostro rilevamento concordano con le conclusioni a cui sono giunti gli autori citati. Ci riteniamo, dunque, d’accordo nel sostenere che la zona studiata si presenta relativamente stabile a partire, almeno, dal Tirreniano. 21 Cherchi a., Marini A., Murru M., Ulzega A., 1978 - Movimenti neottettonici nella Sardegna Meridionale, Mem. Soc. Geol. It. 19, 581-587, 1 f. Cherchi A., Marini A., Murru M., 1978 – Dati preliminari sulla Neotettonica dei fogli 216-217 (Capo S.Marco – Oristano), 226 (Mandas), 234 – 240 (Cagliari – S.Efisio), 235 (Villassimius) (Sardegna). Contr. Prelim. Realizz. Carta Neotett. It., Pubbl. n.155 P. F. Geodinamica, sottoprogetto Neotettonica, 199 – 226. Cherchi A., Marini A., Murru M., Salvadori I., 1980 – Dati preliminari sulla Neotettonica dei fogli 232 – 232 bis – 233 – 239 – 240 – Sardegna. Contr. Prelim. Realizz. Carta Neotett. It., Pubbl. n. 356 P. F. Geodinamica, sottoprogetto Neotettonica, 597-613. 45 Caratteri geomorfologici La morfologia della baia di Nora è legata quasi esclusivamente alla dinamica costiera, a quella fluviale, e, in misura minore, a quella di versante (limitata ai soli affioramenti andesitici). L’attività marina è particolarmente evidente sui promontori dove si manifesta essenzialmente con forme di tipo erosivo che, solo nel caso dei promontori più articolati (qual’è per esempio quello di Nora) sono alternate a forme di accumulo, quali “pocket beach”. L’entroterra, si presenta pianeggiante dipendendo, gli aspetti morfologici, esclusivamente dalla dinamica fluviale e dai depositi alluvionali di riempimento. Anche i promontori andesitici, che nel loro lato rivolto a mare si presentano ben articolati e frastagliati con coste alte e diverse forme dovute al modellamento marino, nel loro lato interno presentano morfologie tabulari (cfr. Tav. VIII). I rilievi andesitici isolati, che si ritrovano sparsi nella piana hanno, invece, delle caratteristiche forme a cupola. Di seguito verranno analizzati nel dettaglio gli elementi che influiscono sul modellamento e sulla dinamica costiera, quali quelli meteomarini, le forme costiere, le forme fluviali e, in misura minore, quelle legate alla dinamica di versante. Dati meteomarini La conoscenza dei dati meteomarini è di fondamentale importanza nell’ambito di uno studio costiero in quanto vi sono alcuni parametri quali la direzione e l’intensità del vento e la direzione delle correnti di deriva litorale, che entrano direttamente in gioco nell’attività morfodinamica di una costa. In condizioni normali22 il vento, che trasmette all’acqua una parte della sua energia, è responsabile della nascita e della propagazione delle onde. Le onde appaiono fra loro parallele e perpendicolari alla direzione di propagazione. Una volta che si trovano in vicinanza della costa subiscono delle modificazioni: cambiamenti di forma, direzione, velocità e intensità, ciò è dovuto alla diminuzione della profondità e alla morfologia del fondale: se si avvicinano alla spiaggia obliquamente, esse cominceranno a risentire del rallentamento della loro propagazione solo da una parte, all’estremità di un fronte d’onda, ne risulterà una rotazione dei fronti d’onda tendenti a diventare meno obliqui 22 Ossia quando non intervengono fattori quali vulcanismo o tettonica o attività sismica di vario genere. 46 rispetto alla linea di riva e alle isobate: è il fenomeno della rifrazione delle onde. Tale fenomeno ha ripercussioni notevoli sull’evoluzione di una linea costiera in quanto dalla rifrazione delle onde dipende poi la direzione che assume la deriva litorale, ossia la corrente che trasporta, parallelamente alla costa, il materiale sedimentario. Da questa corrente, dalla sua direzione, dalla sua intensità, dal fatto che incontri o no degli ostacoli lungo il suo cammino dipende la deposizione e l’erosione dei materiali sciolti, come, ad esempio, i depositi sabbiosi. Solitamente si usa fare una distinzione tra venti dominanti e venti regnanti; i primi sono quelli che soffiano con maggiore forza, i secondi sono quelli che soffiano con le più lunghe durate, ossia con la maggiore frequenza. Ai fini del modellamento a lungo termine di un tratto di costa, sono i venti regnanti che hanno la maggiore importanza, mentre quelli dominanti entrano in gioco nei cambiamenti repentini. I dati, relativi alla direzione dei venti nella baia di Nora, qui discussi, sono ricavati da quelli della stazione anemometrica di Capo Spartivento: i venti più importanti nella zona da noi esaminata provengono dal terzo e dal quarto quadrante, ossia sono venti provenienti da sud. Ciò è dovuto al fatto che la zona è protetta a NO dai rilievi montuosi del Sulcis, dunque anche quando soffia il maestrale, uno dei venti più intensi e più frequenti di tutta la Sardegna, qui vi giunge come un vento proveniente da SO o da O a causa della rotazione che è costretto a fare una volta incontrato l’ostacolo montuoso del Sulcis. I venti regnanti nella baia di Nora sono quelli del terzo quadrante, aventi la direzione media dello Scirocco, mentre quelli dominanti hanno la direzione media del libeccio. La corrente di deriva litorale è stata estrapolata integrando i dati relativi ai venti, considerando solo quelli regnanti, le direzioni dei fronti d’onda (desunte dallo studio di un gran numero di foto aeree relative a periodi diversi e a scale diverse), i risultati delle analisi sedimentologiche (effettuate sulla spiaggia di Porto d’Agumu), e lo studio delle forme costiere di accumulo della baia. Considerando, dunque, che i venti provenienti da SE sono quelli più frequenti e quindi i principali responsabili della corrente di deriva litorale, abbiamo esaminato i fronti d’onda da essi generati e le rifrazioni subite da questi fronti d’onda al loro 47 incontro con i promontori. Da questa indagine segue che la deriva litorale principale ha la direzione indicata nella tavola VII e nei due allegati. Una ulteriore conferma ci viene data dalla forma della parte finale della spiaggia di Porto d’Agumu (una freccia litorale allungata verso la penisola di Fradis Minoris), e dal cordone litorale posto nella parte nord della laguna (formatosi nell’ultimo secolo): entrambi i corpi sabbiosi citati si allungano in direzione della corrente di deriva. In particolare per il cordone litorale è possibile seguire le tappe della sua formazione grazie alle carte del XIX secolo. I dati relativi alla sedimentologia verranno discussi più avanti e, come vedremo, anche questi dati confermano che la corrente di deriva litorale principale ha la direzione indicata. Forme costiere La morfologia della costa è quella di baie alternate a promontori rocciosi. Le baie sono perlopiù sabbiose, ma vi sono alcune spiagge ciottolose e ghiaiose e altre in cui sabbie e ghiaie si alternano. I promontori presentano delle tipiche forme erosive agevolate dalla facies affiorante che è molto spesso quella brecciosa, dunque facilmente erodibile. Il promontorio di M.te S.Vittoria chiude la baia a Nord; esso presenta delle coste alte, con di ripe di erosione e, a Perda Fitta, una parete con una falesia stabilizzata, nella quale è visibile l’incisione di un solco di battente a un livello più alto, di circa 1 metro, rispetto al livello del mare attuale. Nello stesso punto si osserva la presenza di una arco, originatosi in parte per cause antropiche, infatti questa è la zona nella quale è più facile trovare dei filoni, all’interno dell’andesite, inglobanti minerali molto apprezzati dai collezionisti; a tal fine venivano fatte saltare con dell’esplosivo di potenza molto ridotta, parti della roccia, questa pratica ha causato il primo nucleo dell’arco che, grazie all’azione erosiva marina, si è allargato raggiungendo le dimensioni osservabili attualmente. Tutti i lati del promontorio presentano delle piattaforme di abrasione marina in formazione; tali piattaforme hanno delle estensioni notevoli e indicano un’azione demolitrice, da parte del mare, molto pronunciata. La parte sud è caratterizzata, invece, da coste con quote più basse, ma nelle quali si osservano sempre delle ripe di erosione fino al passaggio alle coste basse, sabbiose. In questo lato, che è 48 quello che si apre verso la spiaggia di Su Guventeddu, il passaggio alla spiaggia è segnato dalla presenza di depositi colluviali anch’essi incisi a formare delle piccole ripe di erosione, dell’altezza massima di circa 2 m, non più attive. L’entroterra è caratterizzato da una morfologia dolce, tendenzialmente tabulare e poco articolata, che contrasta con la morfologia ben articolata della costa. Procedendo verso sud troviamo la spiaggia di Su Guventeddu - Nora la quale ha una lunghezza complessiva di circa 1300 m e una larghezza massima di 40 m. La forma di questa spiaggia è ad arco e si presenta divisa in due parti dalla presenza di una cuspide che coincide con un affioramento di arenarie tirreniane (cfr. allegato n.1). la prima parte è sabbiosa, presenta un retrospiaggia formato da una ripa di erosione, non più attiva, incisa su dei depositi continentali fortemente arrossati (cfr. Tav. V, foto 3) che poggiano sulle arenarie tirreniane, classificati come dei paleosuoli post-tirreniani. Su questi depositi di retrospiaggia si imposta una vegetazione tipo macchia mediterranea essenzialmente cespugliosa. In questo tratto di spiaggia non vi è nessuna foce fluviale, dunque non vi sono apporti attuali di materiale, se si eccettua il materiale proveniente dall’erosione dei depositi arenacei che si trovano nella spiaggia sommersa (cfr.allegato n.1) e che sono i testimoni di una spiaggia relitta. Procedendo, a sud della cuspide, la spiaggia assume dei caratteri morfologici diversi: scompare la ripa di erosione che costituisce il retrospiaggia (si conserva solo in prossimità della chiesa di S.Efisio, cfr. allegati), per lasciare spazio alla laguna (lo Stangioni S.Efisio)23; la taglia del materiale che costituisce la spiaggia aumenta, assumendo le dimensioni della ghiaia, e compare una tipica vegetazione bassa tipo graminacea a stabilizzare i sedimenti. La parte finale di questa spiaggia forma un istmo che collega il promontorio di Nora alla terra ferma. Da un punto di vista geomorfologico il promontorio ha avuto origine da un’antica isola vulcanica che si è saldata definitivamente alla terra ferma durante il Quaternario grazie alla formazione di un tombolo rappresentato dai depositi tirreniani e che costituisce l’istmo che attualmente conduce all’area archeologica. Ad Est e a Ovest di tale istmo si situano rispettivamente la spiaggia e lo stagno di Nora. 23 I documenti storici esaminati rivelano che fino alla fine dell’800 l’area in cui si trovano la chiesetta e il bar era caratterizzata da un sistema dunare, non molto esteso, che separava la spiaggia dalla laguna, costituendo, così, il tipico sistema spiaggia - retrospiaggia dunare - laguna 49 La penisola di Nora presenta caratteristiche differenti a seconda che ci si trovi nell’entroterra o che ci si sposti verso la linea di costa. Il primo si presenta piuttosto piatto, con deboli pendenze salvo che per la zona relativa al Coltellazzo, la seconda, al contrario, si presenta molto articolata rivelando tutte le forme di cui si è parlato in precedenza in riferimento al M.te S.Vittoria. La modesta estensione della penisola non permette lo sviluppo di un reticolo idrografico e le forme e i depositi superficiali sono essenzialmente riconducibili alle acque di ruscellamento le quali hanno prodotto dei depositi colluviali, spesso frammisti a materiale di risulta, derivante dallo scavo archeologico. Meglio definiti sono, invece, le forme e i depositi legati ai processi litorali. Il perimetro costiero si presenta, infatti, abbastanza vario con falesie, ripe di erosione rocciose o detritiche e insenature con coste basse sabbiose o ciottolose. La costa si presenta bassa, dapprima sabbiosa e poi, quasi esclusivamente ciottolosa, con ciottoli prevalentemente di origine vulcanica, lungo tutto l’istmo, dal suo inizio fino ad arrivare alla base del rilievo del Coltellazzo sul quale sorge una torre spagnola. La caratteristica comune a tutto questo tratto di costa è la presenza di una ripa di retrospiaggia incisa ora su materiale detritico continentale ora sulle arenarie e i conglomerati di spiaggia tirreniani. La costa prosegue con il promontorio del Coltellazzo il quale presenta una falesia che nel lato meridionale raggiunge i 32 metri di altezza. In quest’ultimo settore la forza del moto ondoso ha provocato evidenti fenomeni di crollo con accumulo di grossi blocchi ai piedi della falesia e arretramento della stessa. Tale processo morfogenetico, tuttora attivo, è stato favorito dalla presenza, alla base del promontorio, delle brecce, più facilmente erodibili, e sulle quali è localmente evidente la presenza di un solco di battente. Alla base del promontorio del Coltellazzo, sul lato meridionale, la costa rocciosa presenta un terrazzo di abrasione marina situato al di sopra del livello del mare attuale e al quale corrisponde un solco di battente (cfr. Tav. V foto 1). Il promontorio presenta, in tutti i suoi punti, i segni di sistemazioni di vario genere che le popolazioni che si sono succedute hanno operato ai fini del loro insediamento (per es. cisterne, pozzi scavati nella roccia, opere urbanistiche varie). Tra il promontorio del Coltellazzo e il Capo di Pula esiste una piccola spiaggia ciottolosa (pocket beach), costituita prevalentemente da materiale di origine vulcanica, 50 sulla quale si ritrovano lembi di affioramenti arenacei e evidenze dello smantellamento, operato dal moto ondoso, di resti archeologici dei quali, peraltro, non si individuano le strutture. Questo è uno dei tratti di costa del promontorio a più alta energia. Il Capo di Pula presenta una costa rocciosa con una piattaforma di abrasione attuale. Questa zona si è particolarmente esposta al fenomeno erosivo in quanto costituita da brecce vulcaniche. Dal Capo di Pula, proseguendo verso Nord, si trova una costa bassa, alternativamente sabbiosa e ciottolosa, che si spinge fino alla laguna e dove i segni dell’arretramento costiero sono materializzati dalla presenza delle Terme a Mare e della Basilica, progressivamente smantellate dall’azione del moto ondoso (cfr. Tav. XVI). A Nord si trova la laguna (Stangioni S.Efisio) chiusa e canalizzata artificialmente nel 1957 allo scopo di creare una peschiera. La chiusura naturale, verso mare, della peschiera è rappresentata dalla penisola di Fradis Minoris e dalla parte finale della spiaggia di Porto d’Agumu. Nella penisola di Fradis Minoris è stata individuata una grossa area di cava, sulle arenarie e i conglomerati marini, mentre un’altra area di cava, di dimensioni molto modeste, si rinviene nelle arenarie affioranti sul lato a mare dell’ingresso dell’area archeologica. In entrambi i casi sono evidenti i segni di estrazione del materiale, rappresentati da canalette, scavate per agevolare l’inserimento degli strumenti utilizzati per l’estrazione, e dalle superfici di distacco dei blocchi. La penisola di Fradis Minoris presenta in tutta la sua lunghezza una ripa di erosione attiva, incisa sulle arenarie e sui conglomerati, che interessa anche la parte della penisola occupata dalla cava. L’attività erosiva del moto ondoso si manifesta con lo scalzamento dei limi che affiorano alla base delle arenarie e dei conglomerati e con il successivo crollo di questi, per la mancanza dell’appoggio sottostante. La spiaggia di Porto d’Agumu è una spiaggia in parte sabbiosa, in alcuni punti ciottolosa e, nella sua parte finale, con delle cuspidi di spiaggia ghiaiose, che si estende fino al promontorio di Punta d’Agumu. Tale spiaggia ha dimensioni molto ridotte e una forma ad arco; il retrospiaggia è formato dalla laguna Stangioni S.Efisio e dai depositi di un’altra area lagunare, bonificata negli anni ’50, e che corrisponde all’area limitrofa al Canale Su Cristallu. Nella parte centrale della spiaggia affiora un deposito continentale 51 che forma una ripa di erosione non più attiva, dunque una forma relitta, legata probabilmente al funzionamento congiunto della laguna e di corsi d’acqua ormai estinti. In vari punti della spiaggia si ritrovano posidonie spiaggiate. La parte finale, verso la penisola di Fradis Minoris, assume la forma allungata di una freccia litorale: la sua formazione è legata alle correnti di deriva litorale, che in questo punto perdono energia e depositano il materiale che hanno in carico, urtando sulla penisola di Fradis Minoris che funge, così, da ostacolo rispetto alle suddette correnti. Lungo questa spiaggia non esistono foci fluviali se si eccettua il Canale Cristallu il quale è una canalizzazione artificiale legata agli interventi di bonifica operati nel settore negli anni ’50; sono comunque evidenti i segni di piccole foci legate a corsi d’acqua estinti: le si riconosce dalla morfologia, dal tipo di materiale che si ritrova intorno e che si presenta sempre ben circoscritto e dall’esame delle foto aeree integrato dai dati sedimentologici relativi alla spiaggia. Sono state individuate in questo modo due piccole foci: la prima nell’estremità a sud della spiaggia, al passaggio dalla spiaggia al promontorio, corrispondente con un’area posta ai lati del Canale Cristallu; la seconda più a nord, in corrispondenza del punto in cui la spiaggia assume la larghezza maggiore, poco prima del passaggio alla freccia litorale24. Il promontorio di Punta d’Agumu presenta le caratteristiche già esposte per gli altri promontori: morfologia piuttosto dolce dei versanti, depositi di versante dovuti esclusivamente alle acque di ruscellamento superficiale fin sulla costa, dove vengono incisi dalla dinamica costiera. La costa è molto articolata con ripe di erosione rocciose, il litotipo affiorante è la breccia vulcanica, dove sono conservati dei solchi di battente ad altezze differenti rispetto a quello attuale (cfr. foto 4), oltreché piattaforme di abrasione in formazione, talora piuttosto estese. 24 Per una descrizione più approfondita si veda il capitolo VII. 52 Dati geomorfologici Dati meteomarini Venti regnanti: direzioni ESE – SE – SSE, direzione media dello SCIROCCO Venti dominanti: direzioni S-SSO, direzione media del LIBECCIO Morfologia della costa: baie con promontori rocciosi Spiaggia di Nora (S.Efisio-Su Guventeddu) Caratteristiche morfometriche spiaggia: - lunghezza: 1,3 Km - Larghezza mass.: 40 m Forma della spiaggia: ad arco Correnti locali relative alla deriva della litorale principale (legate ai venti più frequenti): - Punta d’Agumu: SE-NO - Nora: SE-NO Le correnti di deriva litorale sono soggette a dei cambiamenti di direzione dovuti alla rifrazione sui promontori Presenza di retrospiaggia con: - laguna - vegetazione arborea - ripe di erosione non attive Tipo di spiaggia: - spiaggia emersa: sabbia, ciottoli, ghiaia - spiaggia sommersa: roccia, sedimenti sciolti, posidonie Caratteristiche morfometriche della spiaggia: lunghezza: 0,7 Km larghezza mass.: 20 m Forma della spiaggia: ad arco con freccia litorale nella parte finale Presenza di retrospiaggia con: - laguna Spiaggia di Porto Agumu - vegetazione arborea Tipo di spiaggia: - spiaggia emersa: sabbia, ciottoli, ghiaia; cunei di spiaggia ghiaiosi. - spiaggia sommersa: sabbia, ciottoli, ghiaia Corsi d’acqua: canalizzazioni artificiali (Canale Su Cristallu) Andamento generale delle correnti marine: - mese di agosto: direzione SO-NE - mese di febbraio: direzione NESO Tabella riassuntiva dei principali dati geomorfologici e meteomarini della baia di Nora. 53 Forme fluviali e di versante Le forme fluviali caratterizzano tutto l’entroterra della baia di Nora, mentre quelle di versante sono limitate ai rilievi andesitici più estesi e alla parte rivolta verso terra dei promontori. Si tratta essenzialmente di depositi alluvionali olocenici e pleistocenici terrazzati o semplicemente incisi a formare delle piccole ripe di erosione. Il reticolo idrografico attuale della piana di Pula presenta un andamento subparallelo caratteristico delle aree a debole pendenza quali quelle costiere pianeggianti. Tuttavia tale reticolo non si presenta ben sviluppato, soprattutto in corrispondenza degli affioramenti vulcanici più estesi (Sarroch), dove sono sviluppati solo dei piccoli corsi d’acqua, effimeri, che in molti casi non riescono nemmeno ad arrivare alla linea di costa. Nei promontori non si sviluppa nessun tipo di reticolo idrografico, le uniche incisioni presenti sono quelle relative a ruscellamento superficiale incanalato, ma anche questo è un caso che si verifica molto raramente. Nella baia di Nora l’unico sistema fluviale di una certa importanza è quello relativo al Rio Arrieras che sfocia nella laguna di Nora (Stangioni S.Efisio), tale corso d’acqua attraversa tutta la piana, provenendo dai rilievi paleozoici, prima di immettersi nella laguna e presenta, nella parte finale del suo corso, un andamento sinuoso, quasi meandriforme. Questo andamento è in realtà una forma relitta relativa a prima della chiusura della laguna: infatti quella che attualmente rappresenta l’ultima parte del corso d’acqua, fino al 1954 era un’area di divagazione. Quest’ultimo tratto rappresentava il passaggio da un’area continentale ad un’area lagunare (con bassi fondali e un’apertura verso il mare di dimensioni abbastanza ridotte). Dall’osservazione attenta della foto aerea relativa al 1954 e dal confronto con la foto del 1995 si deduce che: 1. la chiusura della laguna si sarebbe prodotta naturalmente per la saldatura del cordone litorale, posto a nord dello specchio d’acqua, con la penisola di Fradis Minoris; 2. l’area, che attualmente ospita i canali artificiali della peschiera, era un’area di deposizione e divagazione del Rio Arrieras (cfr. Tav. IX e Tav. X). 54 L’andamento del Rio Arrieras fa pensare che esso possieda portate importanti, in realtà tale corso d’acqua presenta dimensioni ridottissime, con una larghezza massima di 6 - 7 metri e delle sponde che formano delle ripe di erosione alte non più di 2 metri. Come la maggior parte dei corsi d’acqua sardi è a carattere torrentizio: praticamente secco durante la stagione estiva (resistono piccole pozze di acqua stagnante) e con portate un po’ più abbondanti durante la stagione invernale. I dati di campagna e l’interpretazione fatta delle foto aeree più recenti evidenziano che i cambiamenti di direzione subiti dalla parte finale del Rio Arrieras sono ben identificabili e ricostruibili. Tali direzioni così estrapolate corrispondono solo in parte a quelle riportate sul topografico del 1897 (cfr. Tav. XI), ma sono compatibili con la situazione che si rileva dalle foto aeree analizzate relative agli anni ’50. Probabilmente il fatto che nel topografico tutti questi particolari non siano leggibili è da imputare al fatto che esso è a una scala troppo piccola (1:25.000) perché si possano leggere tali particolari. Le foto aeree invece sono in scala 1:10.000 e 1:4.000 e dunque sono evidenziabili anche le più piccole anomalie. 55 PARTE SECONDA VARIAZIONI RECENTI DEL LIVELLO DEL MARE NEL MEDITERRANEO: DATI GEOLOGICI, BIOLOGICI E ARCHEOLOGICI 56 CAPITOLO III Le oscillazioni del livello del mare cause e metodi di studio Variazioni del livello del mare L’espressione “livello del mare” è assai vaga, ma molto utilizzata per indicare la superficie di intersezione tra il mare e la linea di riva. Questa superficie non è fissa, ma varia continuamente, con le maree, gli agenti meteorici e le onde. Per questo motivo si è stabilita la convenzione di designare un livello medio del mare, ossia il livello intermedio tra cui oscilla la variazione di marea 25. Una variazione del livello medio a carattere mondiale, viene indicata come una variazione eustatica. Il rapporto tra le aree ricoperte dalle acque e quelle emerse è variato e varia ancora in tutto il globo terrestre e, in particolare, nel bacino del Mediterraneo, dove sono evidenti anche le variazioni molto recenti, materializzate dalla presenza di resti archeologici sommersi o erosi e, comunque, in posizione diversa da quella di vita. Le variazioni del livello marino in un dato luogo dipendono dal sovrapporsi di un insieme di cause locali, regionali e globali, che agiscono ciascuna a scale spaziali e temporali diverse. Per quanto riguarda le variazioni assolute del livello medio del mare le cause possono ricondursi a due generali: variazioni della forma del fondo del mare 26, variazione del volume d’acqua27. Questi ultimi movimenti sono quelli che, più propriamente, si dicono eustatici. Gli studi relativi alle variazioni del livello del mare nascono dalla necessità di comprenderne conseguenze di impatto ambientale e le ricadute socio-economiche nei confronti degli insediamenti umani, sempre più abbondanti nelle aree costiere. Le 25 Nel Mediterraneo l’escursione di marea è inferiore a 0,6 m. La tettonica globale muta a lungo termine la forma dei bacini oceanici e crea continuamente nuova crosta terrestre. Ciò comporta una lenta risalita apparente del livello relativo del mare nelle isole oceaniche e, in misura minore, lungo i margini continentali passivi. Vi sono variazioni dovute sempre a tettonica, ma che si manifestano solo a scala regionale o locale (vi sono degli esempi nel Mediterraneo orientale: Creta, Rodi, coste Levantine) 27 I cambiamenti di massa dell’acqua marina dipendono dalla formazione o dallo scioglimento in massa di calotte polari (glacio-eustatismo). Tali cambiamenti sono caratteristici del Quaternario e hanno comportato notevoli variazioni del livello marino su scala globale. I cambiamenti di livello del mare provocati dalla fusione di una calotta polare non sono, però uniformi dovunque, a causa di assestamenti isostatici (o glacio-isostatici e idro-isostatici) che cambiano da un posto all’altro, in funzione della distanza dalla calotta e dalla morfologia del litorale. 57 26 variazioni del livello del mare generano sempre delle modificazioni morfologiche lungo la costa, che si traducono o in arretramenti della linea costiera o in progradazioni e, dunque, in avanzamenti della stessa. Appare evidente che una costa fortemente antropizzata, con attività antropiche di una certa intensità non può che risentire di fenomeni simili. In generale le coste stabili da un punto di vista tettonico sono quelle che offrono le migliori condizioni di studio. Questa caratteristica, indispensabile, si può appurare realizzando degli studi preliminari con lo scopo di stabilire, appunto, la stabilità della costa. Indicatori della variazione del livello del mare Nel Mediterraneo, dove a causa del clima temperato non si possono formare dei reef corallini, utilizzati in altre parti del globo per studiare le variazioni del livello del mare, gli indicatori28 più sovente utilizzati sono di tre tipi: 1. Geologici (speleotemi sommersi e beach-rock); 2. biologici (reef a vermetidi); 3. archeologici (reperti sommersi). Speleotemi sommersi Si tratta di depositi di Carbonato di Calcio, dovuti a precipitazione chimica, che si formano all’interno di cavità carsiche (le morfologie più tipiche sono le stalattiti e stalagmiti). Sono noti speleotemi, formatisi in ambiente continentale e poi sommersi dal mare, colonizzati da organismi marini che vi hanno costruito delle concrezioni di carbonato di calcio molto spesse. L’alternanza, in questi depositi, di una parte formatasi in ambiente continentale e di una, formatasi in ambiente marino, ha fornito un buon metodo di studio delle variazioni del livello del mare e ha permesso di creare delle curve di risalita del livello del mare negli ultimi 10.000 anni (Alessio et al., 1998), molto dettagliate (cfr. Tav. XII). 28 Il termine indicatore indica un reperto archeologico o un reperto geologico fossile in grado di essere datato con precisione e che abbia una connessione diretta con la linea di riva. Ci sono degli organismi marini (Patelle, Balani o Vermetidi) che vivono in un habitat molto ristretto che si trova a non più di ±50 cm dal livello del mare: questi sono dei buoni indicatori. I reperti archeologici devono essere chiaramente riconosciuti come strutture che funzionavano in relazione a un livello del mare preciso (strutture portuali, peschiere ecc.). 58 Il carbonato di calcio che forma gli speleotemi deriva dalle acque che circolano, provenendo dall’ambiente esterno, all’interno delle cavità carsiche. Una volta che l’acqua, ricca in CO2, penetra nella grotta subisce un degassamento, dovuto al cambiamento delle caratteristiche chimico-fisiche (pressione e temperatura) cui è sottoposta; il biossido di carbonio, che si trovava in soluzione, passa allo stato gassoso e viene ceduto all’atmosfera della grotta. L’acqua, a questo punto, si trova sovrassatura rispetto al carbonato di calcio, che, quindi, precipita. Il carbonato che precipita comincia a costruire quelli che indichiamo come speleotemi. La formazione di questi depositi è legata al clima esterno alla grotta, in quanto legata al contenuto di CO 2 disciolto nell’acqua: i climi caldo – umidi, con vegetazione abbondante, rapida degradazione della stessa e alto contenuto di CO2 nel suolo, sono quelli in assoluto più favorevoli alla formazione degli speleotemi Nel caso in cui una grotta marina venga sommersa dal mare, gli speleotemi cessano di accrescersi, in pratica si “fossilizzano” se, per un caso fortunato, essi vengono colonizzati dai serpulidi29, organismi marini viventi in ambiente di grotta: sugli speleotemi, ormai privi di vita, si crea un nuovo concrezionamento, sempre calcareo, costituito da questi organismi, che continuerà ad accrescersi finché l’antica grotta sarà invasa dal mare. La punta dello speleotema rappresenterà l’ultimo momento in cui la grotta si trovava sopra il livello del mare, mentre il primo concrezionamento a serpulidi ci indicherà il momento di arrivo del mare. Beach-rocks Il termine beach – rock viene utilizzato per indicare dei particolari sedimenti, il cui ambiente di formazione si situa nell’area intertidale, e dove la cementazione avviene quasi contemporaneamente alla deposizione, grazie all’azione dell’acqua di mare. La cementazione è talmente rapida che nei sedimenti di questo tipo, formatisi in aree del Mediterraneo a clima caldo – umido, sono stati ritrovati, ben cementati al loro interno, oggetti quali lattine di birra o di Coca-Cola. 29 E’ stato osservato che il concrezionamento biogenico marino avviene solo in alcune particolari condizioni fisiche. E’ stato infatti accertato in un campione di circa 80 grotte sommerse del mare Tirreno che la condizione principale per la formazione di tali livelli biogenici sia la quasi assenza di idrodinamismo e la presenza di molti nutrienti che favoriscano la crescita e lo sviluppo dei Serpulidi, che rappresentano la specie colonizzatrice preponderante. 59 L’aspetto macroscopico è molto simile a quello di depositi detritici marini, ciò che cambia è l’aspetto microscopico, in particolare il tipo di cemento (in quanto le modalità di cementazione sono totalmente diverse) e l’aspetto dei granuli di quarzo, che possono presentare caratteristiche diverse, variando dall’aspetto lucido arrotondato, di ambiente tipicamente marino, a quello opaco e arrotondato di trasporto eolico. Da un punto di vista dei granuli di quarzo vi è, infatti, una grande variabilità tra le diverse beach-rocks. Tale variabilità si manifesta non solo nella forma, ma anche nella taglia dei granuli. Vi sono, inoltre, spesso delle differenze tra i sedimenti attuali della spiaggia analizzata e quelli che formano le beach-rocks. Ciò porta a concludere che il termine beach-rock va utilizzato per indicare dei sedimenti che si sono formati in ambiente intertidale, ma non sempre si tratta di sedimenti presentanti delle caratteristiche spiccatamente marine. In questo sta l’importanza dell’utilizzo delle beach-rock nell’ambito dello studio delle antiche linee di riva: tali depositi si formano proprio nella battigia e, in particolare, nell’area compresa tra la bassa e l’alta marea; ciò significa che, una volta identificata e datata una beach-rock, si ha in mano uno strumento per poter identificare la paleo linea di riva. In Sardegna si ritrovano beach-rocks, sia sommerse che emerse (per esempio quelle legate alla trasgrssione Versiliana) lungo tutte le sue coste; quelle molto recenti, oloceniche riferibili a circa 2000 anni fa, sono state identificate come tali grazie al rinvenimento, al loro interno, di resti ceramici punico – romani. Reef a Vermetidi I Vermetidi sono dei gasteropodi (Dendropoma Petreum) che vivono su gran parte delle coste del Mediterraneo, formando delle vere e proprie scogliere, associandosi in forma coloniale, in maniera molto simile a quella delle scogliere coralline. In Italia si ritrovano solamente in Sicilia e sulle coste della Sardegna meridionale. La peculiarità di questi organismi sta nel loro ambiente di vita, che coincide esattamente con il livello del mare (tra 0 e – 40 cm). Per questo motivo, il loro utilizzo nello studio delle variazioni del livello del mare è particolarmente efficace. Le colonie a vermetidi si presentano come dei “marciapiedi”, larghi fino a 2 metri, ed è stato appurato che nelle colonie attualmente viventi nelle coste nord – occidentali 60 della Sicilia, vi è una porzione fossile che presenta un’età massima di 500 anni. La loro datazione e la loro posizione, tra 0 e – 40 cm, hanno consentito di ricostruire in maniera molto dettagliata la risalita del mare negli ultimi 500 anni. Variazioni del livello del mare dai dati archeologici Anche i resti archeologici sommersi hanno un larghissimo uso in questo tipo di studi, in quanto li si ritrova in tutto il Mediterraneo. I dati archeologici possono, inoltre, essere correlati e integrati con informazioni deducibili da testi di geografi, storici e viaggiatori, da carte geografiche e topografiche dei quali si dispone in abbondanza per diverse aree del Mediterraneo. E’ possibile, inoltre, datare, con buona approssimazione, tali resti archeologici siti in riva al mare, ciò permette, dunque, da un lato di avere delle informazioni circa le antiche linee di riva, dall’altro di inserire queste informazioni in un contesto cronologico molto preciso. Per lungo tempo sono stati considerati, quali indicatori privilegiati della variazione del livello del mare, i porti e le peschiere in quanto trattasi di strutture in diretta relazione col livello del mare relativo al momento della loro costruzione; in realtà facendo alcune considerazioni geomorfologiche, si possono utilizzare molti altri reperti archeologici, quali indicatori, a patto che siano perfettamente datati e che abbiano una relazione con il livello marino; ne sono un esempio graffiti e pitture che raffigurano pesci o erbivori di grande taglia inseriti in contesti geomorfologici attuali, diversi, oppure cave, tombe e varie altre strutture, oggi sommerse, possono dare informazioni preziose, se correttamente interpretate. Il primo problema da porsi, quando si vuole determinare la quota di un certo reperto, è che esso sia veramente in situ, ossia che non siano subentrati altri fattori quali un abbassamento delle fondamenta a causa dell’erosione marina (che viene, ovviamente, incrementata dal sollevamento del livello del mare), oppure che non vi sia stata una compattazione e una subsidenza del substrato sul quale il reperto si trova. Bisogna, inoltre, considerare l’eventualità che avvenga anche il fenomeno inverso, ossia che il reperto si trovi in un’area deltaica o comunque un’area in cui vi è un grosso apporto di materiali e quindi un accrescimento tale che un reperto, che in fase di vita si trovava a 61 livello del mare, si trova attualmente sulla terra ferma. In entrambi i casi è necessario un lavoro interdisciplinare portato avanti, in stretta collaborazione tra archeologi e geologi, al fine di eliminare gli errori più grossolani. Una precisazione necessaria, quando si parla di indicatori archeologici, riguarda la loro funzione in fase di vita e, in base a questa, la loro posizione rispetto al livello del mare antico. Tali indicatori rappresentano dei cosiddetti indicatori “a senso unico” in quanto la loro posizione rispetto al livello del mare antico poteva essere o di emersione o di sommersione: un oggetto sempre emerso lo si può definire un indicatore di massimo, ma solo se la sua quota originaria superava quella massima delle Grandi Maree. In modo analogo si può definire un indicatore di minimo: un oggetto sempre sommerso tale che fosse al di sotto del livello minimo delle Grandi Maree30. Altri indicatori utili molto diffusi sono i piani di lavoro di antiche cave litoranee. Infatti nell’antichità era abbastanza comune aprire delle cave proprio in riva al mare, in quanto, questo permetteva un più rapido e agevole trasporto del materiale cavato. Per i porti, l’interpretazione del livello del mare deve essere fatta in relazione anche alle tecniche di costruzione adottate. Le fondamenta delle strutture sommerse erano generalmente formate da accumuli caotici di pietrame di vario taglio gettati sul fondale, possibilmente in corrispondenza di rilievi marini come secche sabbiose o banchi di materiale roccioso. I Romani, già a partire dal II sec a. C., utilizzavano una tecnica costruttiva che potrebbe definirsi di ingegneria idraulica: le opere sommerse si ottenevano mescolando sabbia, malta pozzolanica e ciottoli ed erigendo i muri in acqua per mezzo di paratie lignee piantate nel fondale tramite pali verticali. Un altro dato di cui è importante tenere conto, quando si analizzano strutture che potrebbero essere portuarie, riguarda il pescaggio delle navi: stando alle dimensioni delle navi romane e di quelle etrusche i piani di banchina dovevano trovarsi a circa 2 m s.l.m.m., mentre il pescaggio delle navi maggiori richiedeva profondità di 4 o 5 metri. Lungo i moli si trovavano bitte e anelli per l’ormeggio, in ferro o ricavati in blocchi monolitici incassati nella muratura. 30 Attualmente, nel Tirreno, il franco di marea relativo alle Grandi Maree è di 20 cm s.l.m.m., utilizzare questo valore per definire degli indicatori di massimo e di minimo risponde all’ipotesi più realistica secondo la quale le strutture marittime erano progettate per funzionare anche nelle peggiori condizioni di marea. 62 Dati archeologici sulla variazione del livello del mare nel Mediterraneo Sul bacino del Mediterraneo e sul mare Tirreno vi sono innumerevoli studi mirati alla ricostruzione del livello del mare in epoca antica, mediante lo studio e l’interpretazione dei dati archeologici. I primi studi di questo tipo risalgono alla fine degli anni ‘60 inizio anni ’70. Flemming nel 1969 porta a termine un’indagine sul Mediterraneo occidentale al fine di ricavare dati utili sulla ricostruzione del livello del mare negli ultimi 2000 anni. Le sue ricerche lo portano, però, a concludere che la sommersione dei resti sia dovuta a un abbassamento del suolo anziché a una risalita eustatica. A scala regionale una delle ricerche più ricche di dati è quella condotta da Schmiedt (1972) il quale, coordinando una équipe composta da geologi, archeologi e geofisici, porta a termine un lavoro di rilievo e interpretazione di dati relativi al mare Tirreno, integrando dati geologico-stratigrafici, geomorfologici e archeologici. Il risultato di questo lavoro è l’acquisizione di una serie di dati originali molto interessanti che portano gli autori a ipotizzare una risalita eustatica di 1,7 mm/anno per l’epoca romana. Nel 1976 Pirazzoli porta a termine uno studio sul Mediterraneo nord - occidentale indicando una risalita eustatica, in epoca romana, compresa tra 0,77 e 0,74 mm/anno, in questa sede egli distingue, inoltre, indicatori di minimo e di massimo livello del mare antico a seconda della funzionalità del reperto. In seguito ad altri lavori sul Mediterraneo, Pirazzoli giunge alla conclusione che i resti archeologici testimoniano una leggera risalita eustatica per il Mediterraneo occidentale, mentre per il Mediterraneo orientale i dati rimangono contrastanti, in quanto i movimenti verticali della terra prevalgono su quelli eustatici. I lavori condotti da Paskoff et alii (1981) e da Paskoff & Oueslati (1991) sulla Tunisia mostrano che in epoca romana il livello del mare era più basso di 0,50 m rispetto all’attuale. Innumerevoli altri lavori condotti su siti archeologici Greci, israeliani, ma anche su altri siti italiani, francesi e spagnoli concordano nel definire, per tutte quelle regioni tettonicamente stabili, non subsidenti e non interessate da fenomeni di alluvionamento molto spinti, una risalita del livello del mare, dall’epoca romana, di circa 0,50 m (cfr. 63 Tav. XII). Ciò che è interessante mettere in evidenza è che questo dato concorda con quelli ricavati utilizzando altri indicatori quali speleotemi (cfr. Tav. XIII) o reef a vermetidi. 64 CAPITOLO IV Analisi dei resti archeologici sommersi del sito di Nora A Nora sono stati rilevati dei resti archeologici (cfr. Tav. XIV e XV) che mettono, inequivocabilmente, in evidenza una variazione dell’andamento della linea di costa: si presentano sommersi o troncati da fenomeni erosivi, testimoniando, in tal modo, un arretramento della linea di riva. Tali resti, osservabili lungo le coste del promontorio di Nora, sono: a. Il “Molo Schmiedt”; b. Le Terme a Mare; c. La Basilica; d. La cinta muraria della cala di NE; e. Le tombe puniche; f. La cava di Fradis Minoris; Alcune delle ipotesi, fatte in passato, sulla causa della sommersione di queste strutture, facevano riferimento alla tettonica (terremoti o bradisismi). Il rilevamento di campagna, da noi portato a termine, ha messo in evidenza come non vi siano evidenze geologiche che confermino un’attività tettonica recente della zona indagata; questo in accordo, oltretutto, con i risultati ottenuti dagli studi sulla neotettonica condotti nella zona. Ciò ci porta a prendere in considerazione un sollevamento eustatico, quale causa scatenante di una serie di fenomeni che hanno avuto come risultato quello della sommersione delle strutture: 1. il sollevamento del livello del mare favorisce e accelera lo scalzamento al piede dei sedimenti sui quali sono costruite le strutture, ne deriva un fenomeno erosivo rapido con arretramento della linea di costa; 2. i fenomeni erosivi si possono combinare, inoltre ai fenomeni di subsidenza, dovuti alla compattazione dei sedimenti fini (limosi) affioranti, in alcuni casi, alla base dei depositi sui quali si trovano le strutture; tenendo conto, inoltre, che i dati rilevati nell’ambito del bacino del Mediterraneo hanno evidenziato un sollevamento del livello del mare continuo, nell’Olocene recente, non possiamo che ritenere questa ipotesi la più attendibile. L’analisi dettagliata delle strutture sommerse ci fornisce una ulteriore conferma. 65 Molo Schmiedt (cfr. Tav. XIV e XV, foto 7 e 8) Il “Molo Schmiedt” è l’unica vera struttura sommersa presente a Nora. Si tratta di una struttura allungata, con direzione grossomodo NO-SE, lunga all’incirca 250 m (in realtà tale struttura è ben individuabile sulle foto aeree, mentre sott’acqua presenta notevoli difficoltà ad essere reperita); è costituita da grossi blocchi di materiale conglomeratico che la vegetazione marina impedisce di riconoscere con esattezza, ma che potrebbe essere la facies più grossolana del conglomerato tirreniano. In molti punti i blocchi sono crollati e disposti in ammassi caotici con dimensioni di 1,20 m x 0,60 m. La profondità a cui si trova questa struttura è compresa tra – 0,50 e –1 m. L’interpretazione funzionale che è stata data a questa struttura è che si tratti di un molo dell’antico porto punico prima, romano poi: in nessuno dei blocchi rinvenuti sono state, però, trovate bitte per l’ormeggio di nessuna genere. Non presenta né fratture né segni di basculamento. L’autore della scoperta è il Generale Schmiedt (da cui il nome dato alla struttura) il quale, nel 1965, realizzò uno studio mirato all’individuazione e ricostruzione degli antichi porti d’Italia, grazie all’analisi di foto aeree. Terme a Mare Le Terme a mare (o Grandi Terme) sono il più grande dei tre edifici termali presenti a Nora. Sono posizionate nel lato nord - occidentale del promontorio, sulla costa, esattamente nello spazio antistante il “Molo Schmiedt”; la datazione che ne è stata fatta le colloca tra la fine del II e l’inizio del III sec. d.C. e rappresentano uno degli edifici più imponenti di tutta l’area archeologica. Attualmente quello che era il corridoio anteriore delle terme si trova sulla battigia esposto ai frangenti, eroso e, in gran parte sommerso. La base si trova a una profondità compresa tra – 0,50 m e – 0,80 m e conserva la posizione che aveva quando si trovava in fase di vita senza presentare segni di fratture o di basculamento. Sia le foto che la pianta (riportate in tav. XVI) mostrano, inoltre, come il muro relativo al corridoio suddetto, agisca attualmente da ostacolo 66 rispetto alla deriva litorale creando, nella parte sottocorrente, un ulteriore fenomeno di arretramento della linea di costa. Lo scavo di questo edificio fu intrapreso nel 1977 dalla Soprintendenza ai Archeologici di Cagliari e proprio il fatto che una parte dell’edificio si trovasse eroso per opera del mare impose di utilizzare determinate tecniche31 al fine di portare a buon fine lo scavo. Ciò che appare evidente, nell’osservare questo tratto di costa, è che l’azione erosiva è particolarmente forte, in realtà ci troviamo in un punto in cui le correnti di deriva acquistano energia per effetto della rifrazione e l’unico riparo all’azione erosiva potrebbe essere dato da una barriera frangiflutti posta esattamente nella stessa posizione del “Molo Schmiedt”. Basilica La Basilica si trova sullo stesso lato del promontorio delle Terme a Mare a poche decine di metri di distanza da queste ultime. Com’è possibile osservare sulla pianta, riportata nella tavola XVI, la Basilica occupava in origine una parte della costa che è stata completamente erosa e dove in origine poggiava l’abside, come si evince dalla ricostruzione che ne è stata fatta. In realtà alcuni elementi dell’abside sono ancora presenti e, come si vede dal confronto delle due tavole (situazione attuale e ricostruzione), questi elementi sono ancora in posizione di vita. Tali elementi presentano la base sommersa e le profondità rilevate sono comprese tra – 0,50 m e – 0,80 m. L’età di questo edificio non si conosce con precisione, ma stando all’ultimo saggio, risalente a qualche anno fa, si suppone che esso sia stato costruito più o meno contemporaneamente alle Terme a Mare. L’elemento interessante relativo alla Basilica risiede, appunto, nel fatto che questa è sommersa trovandosi, però, ancora in “posizione di vita”, non vi sono segni di basculamento ed è evidente l’arretramento della linea di 31 “Il crollo dei muri e delle grandi volte rendeva il lavoro di scavo lungo e difficile. Pertanto furono liberati solo gli ambulacri esterni e parte di due vani orientali, sul lato occidentale l’avanzata del mare era giunta a lambire gli ambienti che vi si affacciavano, dopo averne degradati altri. Lo scavo fu impostato mediante accurati rilievi della situazione, con l’individuazione delle parti di crollo e delle murature ancora in situ”. “Il lato occidentale è, come detto, eroso dall’azione del mare; si può ricostruire, comunque la presenza di un corridoio di servizio deve si trovavano i forni per il riscaldamento degli ambienti che vi si affacciavano; di questo dato siamo fatti certi dall’esistenza dello sbocco dei praefurnia nelle pareti occidentali di detti vani, e dall’individuazione di un tratto di muro nella parte sommersa, adesso ricoperta dalla banchina artificiale di terra, creata per consentire i lavori e proteggere l’edificio dalle mareggiate”. [C. Tronchetti Le Terme a Mare, estr. da “Nora, recenti studi e scoperte”, Amm. Com. Di Pula, 1985]. 67 costa. Inoltre il rilevamento geologico ha messo in evidenza che la Basilica poggia su un substrato costituito essenzialmente da sabbie e limi: questo lascia supporre che contemporaneamente alla erosione per scalzamento, legata al sollevamento del livello del mare, siano intervenuti dei fenomeni di subsidenza legati alla compattazione del sedimento e questo spiegherebbe la posizione che la Basilica occupa attualmente. Cinta muraria della cala di NE (cfr. TAV. XIV e XV) Si tratta di una struttura di una certa importanza descritta in maniera molto precisa da Patroni32 nel 1904. I dati da noi rilevati per questa cinta muraria ci hanno dato i seguenti risultati: presenta una parte interamente sommersa e una parte in cui solo la base è sommersa mentre l’alzato è emerso; per la sua costruzione sono stati usati dei blocchi squadrati di arenarie grossolane e di conglomerati le cui dimensioni sono di 1m x 0,50 m, in alcuni casi sono presenti i segni della cavatura quali canalette di estrazione; le modalità di costruzione hanno portato gli archeologi a considerarla come una cinta muraria di età punica. La sua lunghezza è di 13,20 m, la parte sommersa si presenta a profondità variabili tra – 0,50 e – 0,20 m s.l.m.m. attuale e in alcuni punti presenta dei blocchi crollati a testimoniare un’altezza maggiore in passato, mentre la parte emersa si trova, nella sua parte più alta a circa 1,5 m s.l.m.m. (la foto 9 mostra la parte del muro sommersa); in quest’ultima parte sono visibili delle forme di abrasione marina quali piccoli solchi di battente che si approfondiscono verso l’interno formando delle piccole superfici di abrasione; tali forme sono in connessione con il l.m.m. attuale e si trovano, rispetto alla base del muro, a un’altezza di circa 10 cm. 32 “Nella fronte Nord del promontorio, verso la rada di S.Efisio e a mezza costa, trovammo bensì gli avanzi di un muro che si poté seguire per 11 metri di lunghezza, dello spessore di m 0,70 in fondazione, ove è costituito da massi informi, e m 0,50 in elevazione, dove si conserva un filare di massi squadrati messi in opera senza cemento. Ma se non è impossibile che questo muro abbia relazione con opere che potevano essere difensive non è da ammettersi che possa rappresentare un avanzo di cinta o cortina, ma piuttosto, per le condizioni di livello deve riconoscersi in esso un muro di sostegno a qualche terrazza o spianata superiore che doveva stare a sua volta in rapporto con opere costruttive interamente scomparse”. Patroni G., 1904 – Nora colonia fenicia in Sardegna, estr. da “Monumenti antichi” pubblicati per cura della Regia Acc. Dei Lincei, Vol. XIV, 1904. 68 Tombe puniche Di queste tombe e della loro posizione rispetto alla linea di costa ne comunicava già notizia Patroni nel 190433, il quale, metteva, inoltre, in evidenza che questo stato di cose doveva esistere già nel 1871 quando si ebbe notizia dello “svuotamento” delle tombe. Lo scavo di quelle poste ad oriente dell’istmo è opera del Nissardi. Tale scavo è stato eseguito negli anni 1891-1892. Patroni ci dà, inoltre, notizia circa la profondità dei pozzi34. Pesce nel 1972 scrive : “Nella balza rocciosa, formante il litorale, che guarda a NE, là dove la pista che adduce agli scavi, fiancheggia il reticolato di recinzione della 33 Egli scrive: “ Tombe a ipogeo scavate nella roccia. Esse si trovano sul margine della spianata che si eleva oltre il primo istmo basso e sabbioso, sul qual margine è costruita l’attuale casa della Guardiana, e sono divise in 2 gruppi, uno a destra di chi oltrepassa quell’istmo, ovvero ad occidente, l’altro a sinistra o ad oriente entrambi presso il mare. Quelle del gruppo occidentale sono violate da tempo antico e frante in parte nel mare che le va distruggendo e pone allo scoperto il fondo o le pareti degli ipogei” . Patroni 1904, Ibidem. 34 “La profondità dei pozzi è di circa tre metri, poiché inferiormente s’incontra un sabbione infiltrato di acqua marina, trovandosi la bocca dei pozzi a poco più di quattro metri sul livello del mare. Ibidem. 69 stazione radio della Marina Militare, erano scavate le tombe più cospicue, varianti di un medesimo tipo di sepoltura, ch’era uno dei più antichi usati dai fenici, e che corrisponde anche alle immagini bibliche: un pozzo, che si allarga, nella sua parte inferiore in forma di cella”. E continua con: “Le mareggiate hanno fatto franare la parete esterna del ciglione roccioso ed oggi chi vada giù e cammini sulla spiaggia può vedere queste celle sepolcrali, tagliate in sezione come in un grafico. Un’altra serie d’ipogei (cioè per l’appunto tombe a pozzo o a camera scavate nel masso roccioso) si trovava nell’opposto litorale, prospiciente il SO, in linea con la casa della Guardiana, ma erano state violate nei tempi antichi, poi anche queste erano franate parzialmente in mare lasciando allo scoperto il loro interno”. La descrizione precisa di queste strutture viene data anche da Bartoloni 35 che le descrive costituite da “un breve pozzo a pianta rettangolare che conduceva alla camera ipogeica, parimenti rettangolare, che si apriva sovente sul lato breve del pozzo stesso. L’apertura dei pozzi era occlusa da lastroni d’arenaria, alloggiati talvolta in appositi incassi praticati lungo il perimetro dell’apertura. Il pozzo stesso era talvolta privo di camera ipogeica, ma presentava unicamente, in prossimità del fondo, un ampliamento utilizzato per la deposizione del cadavere. Aderente al portello della camera funeraria era talvolta una lastra d’arenaria, ricavata probabilmente dallo stesso scavo della tomba. Le tombe del versante nord orientale del promontorio sono inoltre segnalate dai ricercatori impegnati nel progetto di ricognizione archeologica sul territorio intrapresa nel 1992 (Botto - Rendeli, 1993). Tali tombe si presentano attualmente come descritte dal Pesce: l’erosione al piede della roccia, nella quale sono state scavate, ha determinato dei crolli per scalzamento, tali crolli sono stati favoriti dalla presenza dei vuoti delle tombe che hanno agevolato le forze di taglio verticali determinando un distacco della roccia. Ciò permette di vedere le tombe sezionate a metà (cfr. foto 10 e 11). Una situazione per molti versi simile si è presentata a Tharros, dove si hanno delle tombe ipogeiche tagliate nello stesso modo di quelle di Nora a causa di erosione e scalzamento al piede della roccia e successivo crollo della roccia senza più appoggio alla base. Cava di Fradis Minoris 35 Cfr.. BARTOLONI P., 1985 – La necropoli punica estr. da “Nora. recenti studi e scoperte”, edizione a cura dell’amministrazione comunale di Pula 70 La cava di Fradis Minoris presenta il piede sommerso a una profondità compresa tra – 0,50 m e – 0,80 m s.l.m.m. (cfr. Foto 12 e 13), in tutto l’affioramento non si rilevano evidenze di fratture o basculamenti, eccezion fatta per i blocchi crollati a causa dell’erosione dovuta all’azione di scalzamento alla base dell’affioramento. Sull’affioramento tirreniano di Fradis Minori,s in corrispondenza della cava sono state fatte delle analisi petrografiche36 di campioni in sezione sottile che hanno dimostrato che il materiale arenaceo utilizzato per costruire il teatro proviene dalla cava di Fradis Minoris, dunque la cava era ancora in funzione nel periodo in cui il teatro è stato costruito, a meno che il materiale del teatro non sia materiale di reimpiego, ma se anche così fosse potremmo, comunque, fornire un intervallo cronologico di attività della cava che è compreso tra il VI sec. a.C. (periodo relativo alle prime costruzioni puniche in blocchi di arenarie) e il II sec. d.C. (data della costruzione del teatro). Ciò che è importante mettere in evidenza in questo contesto è il fatto che la cava è stata effettivamente utilizzata per prelevare del materiale da costruzione da impiegare a Nora, ciò significa che quando la cava era in uso, la parte che oggi è sommersa (che comprende anche delle parti nelle quali si vedono tracce della lavorazione dei blocchi), si trovava, invece, emersa ed era un’area di attività lavorativa. Segue, dunque, che la sommersione della cava si è avuta quando questa già non era più in uso; possiamo supporre dopo il II sec. d.C., visto che questo è il dato cronologico che abbiamo dell’utilizzo più recente del materiale proveniente da Fradis Minoris. 36 Cfr. Cap. VI. 71 Dati archeologici Molo Schmiedt Terme a Mare Materiale usato per la costruzione Profondità Dimensioni s.l.m.m. della attuale struttura Blocchi squadrati di max 0,50 m Lunghezza di dimensioni di 1,20m x circa 250 m 0,60 m di conglomerati min 1 m (Tirre niani?) 57 m (N - S) Mattoni max 0,80 m min 0,50 m max 0,80 m Basilica Mattoni x 41 m (E -O) 21 m (N-S) x min 0,50 m Caratteristiche particolari La sua posizione è tale che esso si oppone ai venti di libeccio e alle correnti di deriva litorale principali Le profondità indicate rappresentano la base delle fondamenta della parte più esterna della struttura L’abside presenta la base sommersa mantenendo la forma originaria 28 m (E-O) dimensioni di 1m x max 0,53 m Presenta una 0,50m di arenarie e lunghezza di conglomerati di 13,20 m min 0,18 m spiaggia tirreniani. La parte emersa presenta, alla base, delle forme di Cinta muraria modellamento marino in miniatura, quali solchi di battente e abrasioni. Tombe puniche Tombe a ipogeo Le tombe sono erose alla scavate nelle arenarie base e tagliate in sezione a tirreniane causa dell’indebolimento dovuto alla mancanza del sostegno alla base e all’azione delle forze di taglio in corrispondenza dei vuoti materializzati dalla camera dell’ipogeo. Cava di Fradis Arenarie e Piede della Circa 250 m Sono ben conservati i segni Minoris conglomerati tirreniani cava dell’attività di estrazione di lunghezza sommerso quali canalette per il passaggio dell’acqua e i max 0,80 m segni dei punteruoli min 0,50 m utilizzati (cfr. Foto 14 e 15) Tabella riassuntiva dei dati relativi ai resti archeologici sommersi o erosi Discussione dei dati presentati I dati fin qui esposti mostrano che tutti gli indicatori archeologici posti nel lato NO del promontorio si trovano a una profondità massima di circa - 1 m e a una profondità minima ci circa - 0,50 m; mentre nell’altro lato la profondità massima è risultata essere di – 0,50 m circa. La posizione degli indicatori rispetto alla linea di riva, l’assenza di basculamenti o di fratture nelle strutture considerate, nonché il fatto che tutte le strutture siano in posizione di vita, ci portano a concludere che la causa principale 72 dell’arretramento della linea di costa e dell’erosione dei resti archeologici è da ricercarsi nel sollevamento del livello del mare, intercorso in questo intervallo di tempo, al quale si sono sommati vari altri fenomeni quali scalzamento alla base e compattazione e subsidenza delle fondamenta sui quali le strutture si trovavano costruite. Le Terme a Mare, la Basilica, le tombe puniche e la cava possono considerarsi come degli indicatori di massimo, ossia degli indicatori che si trovavano sempre emersi anche in condizioni di alta marea estrema; mentre per il “molo Schmiedt” e la cinta muraria è difficile trovare una collocazione precisa perché non si conosce la loro esatta funzione, tuttavia, almeno per il molo, in questa sede daremo, come si vedrà più avanti, una interpretazione desunta dai dati di campagna integrati a quelli archeologici; tale interpretazione è che non si tratta del molo di un porto, ma bensì di una barriera frangiflutti costruita a protezione dell’area delle terme e della basilica, in questo caso il molo rappresenterebbe un indicatore di minimo, cioè un indicatore che si trova sempre sommerso. I dati qui presentati sono in accordo con quelli esistenti per il Mediterraneo occidentale, concordi nel ritenere che ci sia stata, negli ultimi 2000 anni una risalita eustatica di circa 0,50 m. Possiamo, dunque, affermare, in guisa di conclusione, che l’area archeologica di Nora presenta delle strutture sommerse o erose e che la causa di questo fenomeno è da ricercarsi in un sollevamento eustatico, la cui entità è di circa 0,50 m negli ultimi 2000 anni. 73 PARTE TERZA LA LAGUNA DI S.EFISIO 74 CAPITOLO V Aspetti storici e geografici Caratteristiche geografiche La laguna di S.Efisio (la cui denominazione esatta è Stangioni S. Efisio) è uno stagno artificiale, ad occidente del promontorio di Nora, reso tale nel 1957 grazie alla costruzione di un argine a sud, che ne costituisce lo sbarramento verso il mare. La trasformazione, effettuata ad opera del demanio regionale per la pesca, aveva lo scopo di adattare lo specchio d’acqua in peschiera. La sua origine è legata all’emersione del cordone litorale Tirreniano (penisola di Fradis Minoris) sul quale poggia una stretta lingua sabbiosa (la spiaggia di Porto d’Agumu) formatasi nell’Olocene. L’esame delle carte topografiche I.G.M. 1: 25.000 del 1897, del 1931, del 1968 e del 1987 conferma che le modificazioni subite dall’area riguardano soprattutto la zona settentrionale, interessata da una serie di canalizzazioni artificiali facenti parte integrante della peschiera; fatta eccezione per tali interventi antropici si può affermare che, nel complesso, la laguna conserva i tratti morfologici che aveva all’inizio del secolo. All’interno della laguna sfociano due piccoli corsi d’acqua: il Rio Arrieras e il canale Saliu, un canale di bonifica che, però, era naturalmente presente alla fine dell’800, com’è possibile osservare nella carta topografica del 1897, e che, dunque, ha subito un interramento nel periodo compreso tra il 1897 e il 1957. L’analisi delle foto aeree permette di evidenziare i cambiamenti indotti dalla chiusura e canalizzazione artificiale del ’57. Innanzitutto (cfr. Tav. IX, X e XIV) appare evidente come il corso del Rio Arrieras abbia divagato prima di assumere quello attuale: i dati di campagna confermano questa divagazione, grazie al rinvenimento di vari depositi alluvionali in corrispondenza del corso seguito sulle foto. Dalle stesse si osserva una differenza di profondità notevole tra la parte orientale e quella occidentale della laguna con valori minimi di 30 cm (nella parte occidentale) e massimi di 3,5 m (nella parte orientale). Il confronto tra le foto aeree relative al 1954 e al 1995 mostra che il riempimento della zona occidentale della laguna si è prodotto in questo arco di tempo per effetto degli apporti detritici provenenti dai due rii. 75 La laguna si trova nelle immediate vicinanze del promontorio sul quale sorge la città fenicia, punica e romana di Nora37 ed è con questa in stretto contatto, come appare dagli studi da noi condotti. Ipotesi circa l’ubicazione del porto di Nora Uno degli aspetti di maggior interesse archeologico e topografico, riguardanti la città, concerne la sommersione di alcune strutture urbane, di altre considerate di carattere “portuale” e l’ubicazione stessa del porto, non ancora rilevabile con certezza. Quest’ultimo è stato oggetto di molte attenzioni da parte di diversi studiosi. Ipotesi esistenti Un primo studio è stato condotto da G. Schmiedt nel 1965 38, il quale, grazie alla lettura delle fotografie aeree ha potuto individuare numerose strutture sommerse, posizionando il porto nella cala nord-occidentale, evidentemente provvista di opere foranee, ma inadatta ad ospitare imbarcazioni alla fonda ed incapace di assicurare un servizio di alaggio e di attracco in banchina; il lungo molo con direzione NO-SE, portato a sostegno di tale ipotesi, non presenta infatti bitte per l’ormeggio. Il secondo studio è di E. Macnamara – W. G. St. J. Wilkes del 1967 39, i quali, ignorando completamente le strutture sommerse relative al “molo Schmiedt” e interpretandone altre erroneamente, realizzano una carta batimetrica della penisola, ma non apportano alcuna ipotesi sulla localizzazione del porto, anzi non considerano neanche quella già esistente. Una grave lacuna nello studio della équipe britannica è l’assenza di una qualsiasi analisi di carattere morfologico delle aree circostanti la penisola di Nora: nella prospezione archeologica subacquea non si sono mai tenuti in considerazione gli apporti fluviali. L’unico vero esame archeologico e topografico dell’area si ha nel 1979 con Bartoloni 40 , al quale si deve per la prima volta l’ipotesi della localizzazione del porto nell’attuale peschiera di Nora e la considerazione che le cale disposte simmetricamente attorno alla 37 Patroni 1904, coll. 109-268; Pesce 1972; Chiera 1978; Bartoloni-Tronchetti 1981; un puntuale riesame delle attestazioni fenicie e puniche della città è in Moscati 1986, pp. 208-225. 38 Cfr.. Schmiedt 1965, pp. 234-238. 39 Macnamara – Wilkes 1967, pp. 4-11. 40 Bartoloni 1979, pp. 57-61. 76 penisola, fossero esclusivamente cale di buon tempo (summer anchorages), essendo troppo esposte ai venti di scirocco e di greco. Topograficamente la laguna di Nora presenta tutte le caratteristiche di un porto naturale: riparata dai venti settentrionali e occidentali, bloccati dal complesso sulcitano, sicura in caso di libeccio per la protezione offerta da Punta d’Agumu e in caso di scirocco per la copertura data dalla stessa penisola di Nora, nonché protetta dai flutti grazie alla penisola di Fradis Minoris. Bartoloni sottolineava l’importanza della peschiera e del suo probabile sfruttamento come zona portuale, che fino ad allora era considerata dalla letteratura archeologica come una laguna morta e fortemente interrata 41 . Aspetti geografici a sostegno dell’ipotesi della laguna quale area portuale L’ipotesi di uno sfruttamento portuale dell’area trova il conforto nella lettura delle fotografie aeree dalle quali si evince come tra il 1954 e il 1995 (anni in cui vennero effettuate le riprese fotografiche) questa insenatura abbia subito un processo di colmata e di interramento dovuto agli accumuli fangosi depositati dal Canale Saliu e dal Rio Arrieras accelerato dalla costruzione del molo che elimina ogni sbocco a mare della laguna. Poiché l’interramento di aree palustri generato dai depositi limoso - argillosi è un’attività naturale e costante in un ambiente lagunare, segue che i detriti trasportati dai corsi d’acqua dall’età storica ad oggi potrebbero aver completamente colmato lo specchio d’acqua che in età antica aveva profondità tali da garantire ormeggi: di fatto essi erano ancora possibili nel 1897, quando la cartografia I.G.M. identifica il toponimo con il nome Cala di Nora (cfr. Tav. XI). Tale area era utilizzata come porticciolo per piccoli natanti. A conferma della localizzazione dell’antico porto di Nora nella laguna giungono, inoltre, i risultati di una serie d’indagini con scandaglio, interne alla peschiera, e delle ricognizioni subacquee nello specchio d’acqua antistante la penisola di Fradis Minoris42. Alle prime si deve l’individuazione di una depressione quadrangolare 41 Bartoloni 1979, p. 61. Abbiamo avuto la possibilità di condurre prospezioni subacquee nell’area grazie alla disponibilità del centro di educazione ambientale della “Cooperativa Ittica” che si occupa della gestione della laguna. Ci sia concesso di ringraziare tutto il personale della struttura detta e, in modo particolare, il dott. Luca Zizula che ha reso più agevole i continui sopralluoghi sia sott’acqua che in superficie con la sua amichevole disponibilità. 77 42 (cfr.allegato n.2) di circa 100 m di lato, di cui non è stato possibile accertarne con precisione la natura, in quanto impossibile, a causa delle pessime condizioni di visibilità, eseguire un’indagine subacquea diretta, in tale depressione si raggiunge la profondità massima dell’attuale peschiera. Le prospezioni subacquee hanno permesso di individuare nella parte esterna alla peschiera, un canale, con andamento N-S, la cui profondità varia fra i 2 e i 3,5 metri e la larghezza massima è di 3 metri, che si immette nella depressione appena menzionata. Tale canale presenta delle pareti subverticali ed è scavato nelle arenarie tirreniane affioranti sott’acqua. Vi sono, inoltre, le condizioni meteomarine relative in particolare ai venti: come già detto quelli principali provengono da sud e sono fondamentalmente libeccio e scirocco; la cala di Nora, all’interno della laguna, si presenta protetta verso entrambi. Allo stato attuale delle ricerche una grave lacuna è costituita dall’assenza, intorno alla peschiera, di opere portuali; tuttavia il rinvenimento in questa stessa area di alcuni siti che potrebbero essere ipoteticamente connessi a delle eventuali attività portuali permette di colmare, almeno in parte, tali mancanze. Aspetti archeologici a sostegno dell’ipotesi del porto all’interno della laguna Le località sono state individuate nel corso della prospezione topografica nel territorio di Nora intrapresa nel 1992 come parte integrante di un più ampio progetto, di definizione della fisionomia urbanistica e abitativa della città antica, portato avanti dalla Missione Archeologica di Nora43. Si tratta, infatti, di rinvenimenti che chiariscono il processo insediativo e l’assetto topografico nelle zone immediatamente circostanti la città e gravitanti attorno alla laguna stessa (cfr. Tav. II). Essi offrono una documentazione materiale che si estende, ininterrottamente, dalla seconda metà dell’VIII sec. a.C. sino alla tarda età imperiale, con periodo di massima occorrenza tra il IV e il II sec. a.C. Il rinvenimento di una grande quantità di materiale anforico, di grandi contenitori da trasporto e di scarti di fusione (spugne) e di lavorazione induce ad ipotizzare la presenza nell’area di un “quartiere industriale” correlato alle possibili attività portuali. Del resto anche Pesce porta notizie dei seguenti ritrovamenti nell’area dell’istmo tra la chiesetta di S.Efisio e la casa della Guardiana: “avanzi di costruzioni, di 43 La Missione archeologica di Nora comprende le Università di Genova, Pisa, Padova e Viterbo in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano. 78 un forno per fondere i metalli, di una macina per il grano” dei quali non c’era già più traccia all’epoca in cui Pesce scriveva, ma ciò non rappresenterebbe un problema in quanto i resti da noi individuati sono sicuramente venuti alla luce a seguito degli interventi di scasso del terreno occorsi nell’ultimo decennio. Il primo sito di particolare interesse è situato nel settore nord-orientale della laguna (NR92-R 1/9: S. Efisio44), tra la piccola strada sterrata che la costeggia, ormai completamente abbandonata, e, solo per brevi tratti ancora leggibile sul terreno, e la nuova strada che conduce alla città di Nora. La zona è stata oggetto d’interventi di scasso per la messa in opera della rete elettrica e idraulica. L’area potrebbe inoltre essere stata interessata dalle terre di riporto dello scavo delle necropoli e del tophet45: tutto questo fa sorgere diversi dubbi sulla giacitura primaria dei materiali recuperati. Inoltre, gli interventi di “dragaggio”, volti al recupero dei sopracitati materiali, utilizzati a fini edilizi, potrebbero aver intaccato la stratigrafia archeologica dell’area, ma le ricerche d’archivio effettuate dimostrano che interventi massicci di questo tipo interessarono solo il settore orientale, né rimangono tracce evidenti di terre riportate o di stratificazioni e accumuli tali da far considerare secondaria la natura del terreno. L’osservazione macroscopica dei depositi superficiali rinvenuti in quest’area (limi e argille di origine palustre e lacustre) conduce a ritenere che la zona in esame non è mai stata oggetto di profondi interventi antropici. Possiamo di conseguenza considerare i materiali recuperati in giacitura primaria, o, se in giacitura secondaria, provenienti da un’area non interessata da attività di “scavo (dragaggio)” e circoscritta ad un raggio di poche decine di metri. Il secondo sito meritorio d’attenzione è situato nel versante settentrionale della laguna (NR92-R 2/3: Peschiera di Nora)46. Esso occupa una lieve altura (2-4 m s.l.m.) circondata da un’ampia zona paludosa e separata dalla “Peschiera di Nora” da una lingua sabbiosa. L’area di rinvenimento dei reperti copre un’estensione di circa un ettaro, con concentrazione massime in prossimità della laguna, inoltre la qualità dei 44 La sigla dei siti contiene la sigla generale della ricognizione a Nora seguita dall’anno – NR 92, la R di ricognizione, e due numeri -1/9- che indicano rispettivamente il quadrato e il sito di rinvenimento e il toponimo della località scelto sulla base della cartografia I.G.M.I. utilizzata per la prospezione; Botto – Rendeli 1993, pp. 156-157. 45 Vivanet 1891, pp. 299-302; quelle vicende sono state recentemente ricordate in MOSCATI 1981, pp. 157-161. 46 Botto – Rendeli 1993, p. 159. 79 frammenti raccolti non sembra affatto discordante da quella rinvenuta nel sito analizzato in precedenza. Possiamo, verosimilmente, considerare tali insediamenti come stanziamenti “produttivi” in funzione in età fenicia e con periodo di massimo sviluppo nel corso del IV sec. a.C., come dimostrano i numerosi frammenti diagnostici di anfore. Un altro dato importante a favore dell’ipotesi del porto all’interno della laguna consiste nel dato relativo alla cava di Fradis Minoris; poiché quando la cava era attiva la baia era aperta, appare evidente che il solo modo di trasportare il materiale cavato era via mare; ciò significa che nei pressi della cava, e dunque, nella laguna, c’era la possibilità di far attraccare delle imbarcazioni. Inoltre la presenza della cava si situa in maniera perfetta all’interno del quadro di un’area produttiva e commerciale intorno alla laguna. Integrando i dati archeologici con quelli morfologici e quelli meteomarini vediamo che tutto converge verso questa ipotesi. La mancanza di strutture per l’ormeggio potrebbe essere spiegata o con il fatto che queste erano in legno e dunque si sono degradate, oppure sono state completamente obliterate dai depositi della laguna e, dunque, invisibili ai nostri occhi. 80 CAPITOLO VI Analisi e sintesi dei dati Analisi petrografiche sulla cava di Fradis Minoris La cava di Fradis Minoris è stata rinvenuta nel corso del rilevamento geologico operato nella zona; ci si è subito resi conto che la penisola di Fradis Minori, come del resto tutta l’area della laguna rappresentava una chiave di volta per la comprensione del paesaggio antico della baia di Nora, per via dei dati di tipo geomorfologico e archeologico che in essa sono conservati. Tale penisola, infatti, è costituita da arenarie e conglomerati di spiaggia di età tirreniana; la cava si estende per metà della sua lunghezza interessando sia il lato a mare che quello verso la laguna, la sua importanza risiede, innanzitutto, nel fatto che si tratta della più grande cava rinvenuta nell’area limitrofa a Nora, in un contesto che il proseguire delle ricerche mostra sempre più interessante e importante, per quel che concerne le attività umane in epoca punico romana. Gran parte degli edifici di età punica e di età romana risultano costruiti con questo tipo di arenaria: l’analisi petrografica e sedimentologica sulle arenarie della cava e del teatro ha accertato che le arenarie del teatro provengono da Fradis Minoris; altre analisi sono in corso nell’ambito di un progetto mirato alla conoscenza della provenienza delle materie prime utilizzate a Nora per accertare che le arenarie utilizzate nella costruzione degli edifici di età punica provengano anch’esse dalla cava di Fradis Minoris. Si tratta di una cava a cielo aperto, sfruttata con il metodo della coltivazione a giorno, in cui la massa rocciosa è completamente messa a nudo. La conservazione dei fronti di cava permette una buona lettura della tecnica utilizzata per scalzare i blocchi: questi sono stati prima disegnati, tramite delle incisioni nella roccia (le cosiddette canalette), e poi estratti, inserendo cunei metallici o lignei e facendo leva, in modo tale che i blocchi avessero forma e dimensioni prossime a quelle previste nel momento della messa in opera. La coltivazione della cava è realizzata a gradini e segue l’andamento della roccia sino a giungere al livello più basso, il quale, essendo costituito da un conglomerato di maggiori dimensioni, non sempre fu sfruttato per fornire blocchi da costruzione. 81 Considerata la probabile durata dell’uso della cava, le tracce delle più antiche coltivazioni in superficie sono indistinguibili, soltanto un’accurata osservazione metrologica sulle tracce di coltivazione permetterebbe di accertare uno sfruttamento in epoca punica: ossia se accanto alle dimensioni del piede romano (29,57 cm) o dei suoi multipli riuscissimo ad isolare tracce d’estrazione rapportabili a standard metrici punici (cubito=52 cm). Le misure finora rilevate sulla cava, mostrano la presenza dello standard metrico romano. Metodologia utilizzata In primo luogo si è effettuata un’analisi macroscopica dei materiali impiegati nella costruzione del teatro, sono stati distinti tre tipi principali di materiali: 1. arenarie grigie della formazione del Cixerri (di cui si è rinvenuta una cava in località Sa Perdera nella fascia pedemontana); 2. rocce vulcaniche andesitiche; 3. arenarie e conglomerati di spiaggia tirreniani. Le arenarie grigie e le vulcaniti sono state usate per la cavea, mentre le arenarie e i conglomerati sono stati impiegati per la costruzione dell’emiciclo esterno, del porticus post-scaenam e per la scaena. Delle ricerche bibliografiche su testi e carte del XIX secolo ci hanno permesso di appurare che entrambe le cave (Fradis Minoris e Sa Perdera) erano conosciute: della cava di Fradis Minoris ci da notizia Alberto Ferrero De La Marmora47 parlando, nel suo Voyage, di un “grès quaternario... in cui appariscono le tracce dello sfruttamento antico di questa pietra, usata nella costruzione della città di Nora, ora distrutta, la cui origine risale all’epoca fenicia”. La cava di Sa Perdera è, invece, riportata sulle tavolette IGM del 1897 e del 1931, ma già a partire dalle tavolette IGM del 1968 non vi è più nessun riferimento alla cava in questione. La cava di Fradis Minoris è stata oggetto di un campionamento accurato effettuato su diverse sezioni verticali (cfr. foto 16). I campioni prelevati dalla cava sono stati ridotti in sezione sottile al fine di essere studiati e confrontati con campioni analoghi prelevati dal teatro, il quale a sua volta, è stato campionato prelevando delle schegge di materiale delle dimensioni di una moneta, facendo bene attenzione a campionare in zone non troppo esposte dei blocchi e, soprattutto, quanto più possibile sane. Al fine di 47 (De) La Marmora F.A., 1840 – Voyage e Sardaigne. Troisième partie. Dèscription géologique. 3ème ed., Turin, 1840. 82 poter avere un quadro più vasto per operare il confronto si è campionata anche una sezione verticale dell’affioramento tirreniano del promontorio di Nora in prossimità della necropoli punica. I campioni, ridotti in sezione sottile sono stati osservati e studiati al microscopio ottico. Discussione e interpretazione dei dati La maggior parte del teatro di Nora è costruita con arenarie e conglomerati di spiaggia tirreniani. I blocchi usati sono o costituiti interamente da arenarie o da conglomerati, oppure mostrano il passaggio dall’una all’altra facies. I blocchi del teatro presentano le stesse strutture sedimentarie e lo stesso contenuto macrofossilifero rinvenuti nell’affioramento di Fradis Minoris. Infatti il conglomerato basale di tale affioramento si presenta come una biocostruzione a Lithothamnium, di dimensioni decisamente elevate; tale bicostruzione non si ritrova in nessuno degli altri affioramenti tirreniani della zona. L’analisi microscopica dei campioni ha rivelato le seguenti caratteristiche per i campioni provenienti dal teatro: il contenuto fossilifero è abbondante ed è costituito essenzialmente da foraminiferi (Miliolidi), da alghe rosse e spine di echinidi; il cemento 83 è carbonatico e il contenuto clastico e mineralogico è rappresentato quasi esclusivamente da quarzo, con granuli ben arrotondati e ben selezionati. Prevale il contenuto fossilifero su quello clastico. I campioni provenienti dalla cava di Fradis Minoris presentano esattamente le stesse caratteristiche, mentre i campioni provenienti dall’affioramento di Nora, campionati in una sezione in corrispondenza delle tombe puniche, sono completamente diversi per quanto riguarda i rapporti tra contenuto fossilifero e clastico: al contrario del caso precedente prevale il contenuto clastico, con granuli più spigolosi e una cementazione ben più spinta. Concludendo possiamo affermare che l’analisi petrografica conferma l’ipotesi di partenza secondo cui i blocchi usati per la costruzione del teatro di Nora provengono dalla cava di Fradis Minoris; l’analisi metrologica realizzata sulla cava mostra che la dimensione dei blocchi estratti corrisponde a quella dei blocchi usati per la costruzione del teatro. Considerando che la sua datazione si situa nel II sec. d.C. e che blocchi di arenarie macroscopicamente simili a quelli rinvenuti nel teatro sono stati utilizzati nella costruzione di edifici punici datati VI sec. a.C. è lecito affermare che la cava sia stata in uso tra il VI sec. a.C. e il II sec. d.C. e se anche i blocchi del teatro fossero di reimpiego essi non potrebbero che provenire da strutture puniche, dunque rimarrebbe comunque un termine post quem di attività della cava che è il VI sec. a.C. 84 Analisi sedimentologiche condotte sulla spiaggia di Agumu La spiaggia di Porto Agumu è situata tra il promontorio di Punta d’Agumu e la penisola di Fradis Minoris. Si è intrapresa l’analisi sedimentologica della spiaggia in quanto i dati provenienti dal rilevamento di campagna e dall’osservazione delle foto aeree hanno messo in evidenza la presenza di un paleoreticolo idrografico; poiché una parte dei corsi d’acqua di cui si è ricostruito l’andamento da foto aerea, sfociavano proprio in questa spiaggia si è ritenuto opportuno analizzarne i sedimenti, al fine di cercare una ulteriore conferma alla nostra ipotesi. Inoltre i dati provenienti dallo studio dei paremetri granulometrici ricavati dall’analisi sedimentologica sono serviti, integrati a quelli estrapolati dai dati anemometrici e delle foto aeree, per ricostruire la direzione della deriva litorale principale. Il campionamento della spiaggia è stato fatto in due volte: una prima volta nel Giugno del 1998 e una seconda nel Gennaio 1999. Si è adottata questa tecnica per poter rilevare le caratteristiche generali prescindendo dai cambiamenti stagionali. Campionamento relativo al mese di giugno: I campioni provenienti dalla spiaggia sono stati prelevati lungo i profili trasversali 1,2,3,4,5 (cfr. Tav. XVII) nell’ordine seguente: battigia, berma ordinaria e berma di tempesta. Non sempre è stato possibile prelevare i campioni lungo tutte le parti del profilo per la presenza abbondante di posidonie spiaggiate, soprattutto nella parte iniziale e in quella finale della spiaggia. Oltre a campioni di sabbie, provenienti dalla spiaggia, sono stati analizzati dei campioni provenienti dai depositi continentali del retrospiaggia, in quanto si ritiene che questi depositi siano in relazione con il paleoreticolo idrografico identificato in foto aerea: Il campione S4 proviene dalla matrice di un deposito alluvionale arrossato, contenente grossi ciottoli granitici ben smussati, affiorante in prossimità del canale Su Cristallu; le sue dimensioni sono molto ridotte per cui non è stato possibile cartografarlo, resta, comunque, una testimonianza geologica importante del passaggio di un corso d’acqua di cui non si trova traccia neanche nella cartografia della fine dell’800, ma che appare abbastanza evidente nelle foto aeree. Il campione S8, invece, proviene dal deposito continentale, affiorante per un 85 breve tratto sul retrospiaggia, dove forma una ripa di erosione. Tale deposito presenta un alto grado di arrossamento, è piuttosto grossolano, con grossi frammenti di quarzo a spigoli vivi; le caratteristiche di questo affioramento fanno supporre una sua origine continentale probabilmente in un ambiente di transizione. Profilo 1 2 3 4 Sigla campione S1 Unità fisiografica Berma in prossimità del canale “Su Cristallu” I/S2 Battigia I/S3 Berma ordinaria S4 Zona di retrospiaggia II/S5 Battigia II/S6 Berma ordinaria II/S7 Berma di tempesta S8 Scarpatina di retrospiaggia III/S9 Battigia III/S10 Berma ordinaria III/S11 Berma di tempesta IV/S12 Berma di transizione IV/S13 Battigia IV/S14 Berma ordinaria IV/S15 Berma di tempesta V/S16 Battigia V/S17 Berma ordinaria V/S18 Berma di tempesta Tipo di deposito Sabbie Sabbie Deposito sabbioso-argilloso arrossato, di natura alluvionale (matrice inglobante ciottoli arrotondati di granito) Sabbie Deposito sabbioso - argilloso, arrossato di natura continentale. Contiene al suo interno frammenti piuttosto grossolani, di quarzo a spigoli vivi. Sabbie Sabbie 5 Sabbie Tabella riassuntiva del campionamento di giugno ‘98 86 Campionamento relativo al mese di Gennaio: Nel mese di gennaio ’99 è stato realizzato un nuovo campionamento della spiaggia, lungo gli stessi profili trasversali campionati a giugno seguendo gli stessi criteri e nelle stesse unità fisiografiche. Il campionamento è stato eseguito solo sulla spiaggia in quanto soggetta a cambiamenti stagionali, mentre i depositi continentali non sono stati ricampionati. Mancano i campioni relativi al primo profilo poiché questo risultava completamente obliterato dalla presenza di posidonie spiaggiate Profilo 2 3 4 5 Sigla del campione Unità fisiografica IISb Battigia IISbo Berma ordinaria IISbt Berma di tempesta IIISb Battigia IIISbo Berma ordinaria IIISbt Berma di tempesta IVSb Battigia IVSbo Berma ordinaria IVSbt Berma di tempesta VSb Battigia VSbo Berma ordinaria VSbt Berma di tempesta Tipo di deposito Sabbie Sabbie Sabbie Sabbie Tabella riassuntiva campionamento di gennaio 1999 Metodo impiegato Per prima cosa i campioni sono stati lavati per eliminare i cristalli di sale che avrebbero falsato i risultati dell’analisi. In seguito è stata separata la frazione fine (<62.5 µ), quasi sempre assente fatta eccezione per i campioni di ambiente continentale (S4 e S8). Il campione rimasto rientrava completamente nella classe granulometrica delle sabbie (2mm ÷ 62.5 µ/-1φ÷4φ) ed è stato analizzato utilizzando una serie di setacci aventi fra loro uno scarto di ¼ φ. I risultati ottenuti con la setacciatura sono stati 87 utilizzati per costruire le curve granulometriche (di frequenza e cumulate) dalle quali sono stati determinati, poi, i parametri granulometrici che sono stati analizzati al fine di estrapolare le principali caratteristiche della spiaggia. Rappresentazione grafica dei dati I dati ottenuti con l’analisi granulometrica sono stati rappresentati mediante grafici, mentre i parametri granulometrici sono rappresentati mediante tabelle (vedi confronto curve pagine seguenti) I parametri granulometrici calcolati sono: - Mediana (Md): è il diametro corrispondente al 50% della curva cumulata - Grado di selezionamento o sorting (σ): indica il grado di elaborazione cui è stato sottoposto un sedimento ed è in stretto rapporto con le modalità di trasporto (i sedimenti eolici e quelli di spiaggia sono tra i più selezionati esistenti in natura). Lo studio sperimentale di un grosso numero di campioni ha permesso di schematizzare la seguente classificazione del selezionamento espresso in φ: - < 0,35 φ - Molto ben selezionato - Ben selezionato - Moderatamente ben selezionato 0,50 φ ÷ 0,80 φ - Moderatamente selezionato 0,80 φ ÷ 1,40 φ - Poco selezionato 1,40 φ ÷ 2,00 φ - Molto poco selezionato 2,00 φ ÷ 4,00 φ - Estremamente poco selezionato > 4,00 φ 0,35 φ ÷ 0,50 φ Skewness (Sk): E’ l’indice di asimmetria e ci dice se i valori sono equamente distribuiti da una parte e dall’altra della posizione centrale della curva. Un’asimmetria positiva indica che vi è una prevalenza di diametri piccoli, un’asimmetria negativa indica una prevalenza di diametri grossi. - Diametro medio (Mz): indica la dimensione del diametro medio del campione. Discussione e interpretazione dei dati 88 L’analisi dei parametri relativi al campionamento estivo e a quello invernale ci ha fornito i seguenti risultati: Per il campionamento estivo la maggior parte dei campioni rientrano nella classe del “moderatamente selezionato” con un sorting compreso tra 0,80 φ ÷ 1,40 φ, seguono dei campioni “moderatamente ben selezionati” con un sorting compreso tra 0,50 φ ÷ 0,80 φ, solo due campioni si presentano ben selezionati. I campioni, pur provenendo in massima parte da una spiaggia, non sono ben selezionati; essi presentano le caratteristiche di depositi misti, cosa, tra l’altro evidente, anche dalle curve di frequenza che si presentano tutte, o quasi, polimodali. I campioni meno selezionati in assoluto provengono dai depositi continentali, mentre fra quelli della spiaggia i meno selezionati provengono dai profili prossimi al canale Cristallu. Questo risultato si spiega facilmente ammettendo che la zona del canale Cristallu ospitava, prima della bonifica degli anni ’50, una o più piccole foci fluviali la cui presenza è testimoniata attualmente dalla presenza di lembi di depositi alluvionali e il cui tracciato si può seguire su foto aeree a grande scala, grazie a un’analisi bidimensionale che metta in evidenza le differenze di umidità nel terreno. Attualmente sulla spiaggia non vi sono sbocchi fluviali, dunque il nostro risultato deve essere riferito necessariamente alla situazione precedente alla bonifica. L’analisi dell’Mz ci mostra che non c’è nessun trend particolare spostandoci lungo la spiaggia e ciò è in parte spiegabile con il cattivo selezionamento del deposito. E’, invece importante sottolineare che la parte finale della spiaggia (quella che chiude verso Sud la laguna) presenta delle cuspidi di spiaggia ben pronunciate (cfr foto 17 e 18); tali cuspidi sono “punte di sedimenti grossolani rivolte verso mare e ugualmente distanziate, separate da leggere depressioni a cucchiaio occupate da materiale più fine. Si formano perlopiù durante il ritiro delle tempeste, con onde quasi perpendicolari alla costa; assimilando le onde a cilindri, questi sono strozzati ad intervalli regolari, di lunghezza uguale alla distanza tra due cuspidi, da una perturbazione ritmica detta edge wave” (Mutti, Bosellini, Ricci Lucchi, 1989). Per il campionamento invernale: i campioni si dividono tra moderatamente ben selezionati e moderatamente selezionati con la maggioranza dei campioni compresi nella classe del “moderatamente selezionato” anche in questo caso siamo di fronte a dei campioni che evidenziano una provenienza “mista” dei sedimenti ossia la componente 89 fluviale è ancora molto forte, ma rispetto ai campioni estivi vi è una maggiore coerenza. L’analisi dell’Mz in questo caso mostra la presenza di un trend: vi è una diminuzione del grano medio spostandoci dal canale Cristallu verso la penisola di Fradis Minoris. Questo dato si interpreta come la risposta sedimentaria alla diminuzione dell’energia di trasporto andando dal canale verso la parte della spiaggia che chiude la laguna; ciò è in perfetto accordo con la direzione della corrente di deriva litorale da noi estrapolata. Anche nel periodo invernale l’ultima parte della spiaggia è interessata dalla presenza di cuspidi litorali. Le curve granulometriche si presentano anche in questo caso molto varie, quelle di frequenza sono sempre polimodali e l’andamento delle curve varia completamente anche quando ci si trova all’interno della stessa unità fisiografica. L’asimmetria è quasi sempre positiva, ciò in netto contrasto con la norma secondo cui le sabbie di spiaggia generalmente hanno un’asimmetria negativa, mentre quelle fluviali e di duna hanno un’asimmetria positiva. Concludendo possiamo dunque affermare che l’analisi granulometrica fatta sulla spiaggia di Agumu ci ha fornito le seguenti indicazioni: 1. Si tratta di una spiaggia abbastanza recente i cui sedimenti presentano una componente fluviale importante legata al fatto che, anche se attualmente non vi è nessun apporto fluviale significativo, fino agli anni ’50, vi erano dei corsi d’acqua che sfociavano in quest’area; 2. Il trasporto del materiale avviene con una direzione che va da canale Cristallu verso Fradis Minoris; la parte finale della spiaggia è quella che subisce maggiormente gli effetti delle tempeste (estive e invernali) ed è quella formatasi più di recente, la sua forma allungata (freccia litorale) verso la penisola di Fradis Minoris, segue, effettivamente, la direzione della corrente di deriva litorale e la penisola di Fradis Minoris si pone come un ostacolo nei confronti della direzione di trasporto. 90 Geofisica lungo i bordi della laguna Nell’ambito dello studio dettagliato di cui si è fatta oggetto la laguna di Nora si è intrapresa la realizzazione di due profili sismici con il duplice scopo (1) di evidenziare lo spessore48 e la natura dei sedimenti posti nel lato Nord della laguna e (2) di indagare circa la eventuale presenza di strutture antiche poste sotto i sedimenti. I due profili sismici sono stati realizzati il primo in data 4/12/1998 e il secondo in data 22/01/1999. Il primo profilo è situato in una zona quasi completamente artificiale (formata quasi completamente da terra di riporto) ed è stato realizzato in condizioni meteoriche avverse a causa di un forte temporale, scatenatosi in fase di acquisizione; le registrazioni di questo profilo erano, dunque, di scarsa qualità e difficili da interpretare. Le registrazioni relative al secondo profilo si sono rivelate migliori ai fini della lettura e dell’interpretazione; per tali motivi si sono analizzati e interpretati solo i dati relativi al secondo profilo, consapevoli del fatto che questi dati fossero validi per una buona parte del cordone litoraneo sul quale i profili sono stati realizzati. Metodo utilizzato e geometria dello stendimento Il metodo scelto è quello della sismica a rifrazione in quanto il nostro scopo era quello di indagare gli strati superficiali del sedimento per ricavarne dati circa gli spessori e la morfologia degli strati e informazioni indirette quali il tipo di materiale attraversato, dati ricavabili mediante le velocità di propagazione delle onde. I record sismici sono stati ottenuti con la tecnica degli scoppi coniugati effettuando, inoltre, nel caso del secondo profilo due scoppi esterni allo stendimento (cfr. Tav. XVIII); in entrambi i casi si è utilizzato un offset 49 di 20 m. Lo stendimento era composto di 24 geofoni posti a una distanza di cinque metri l’uno dall’altro e, poiché ad ogni geofono corrisponde un canale di acquisizione, il nostro stendimento si componeva 48 Il nostro progetto di ricerca prevedeva la realizzazione di uno o più carotaggi all’interno della laguna. Lo scopo era quello di studiarne i sedimenti per capire le fasi del riempimento e ricostruirne la morfologia per risalire all’aspetto e alla profondità dello specchio d’acqua in epoca punico – romana. I dati storici relativi all’ultimo secolo, dal canto loro, ci hanno permesso di appurare che in questo arco di tempo vi sono stati dei cambiamenti importanti sia nella morfologia che nel bilancio sedimentario della laguna. Purtroppo per dei motivi di ordine tecnico – finanziario non si sono potuti realizzare i suddetti carotaggi. 49 Si chiama offset la distanza che intercorre tra il punto di scoppio esterno e il primo geofono. 91 di 24 canali di acquisizione (nella tabella sono riportati gli schemi di acquisizione relativi ai due profili oltreché l’esatto posizionamento dei profili sulla carta). L’energizzazione del terreno è stata eseguita con il minibang, in quanto l’area indagata occupava una superficie molto ristretta sottoposta, inoltre, a vincoli di tutela ambientale50. Una volta partito lo scoppio, il sismografo, da noi sistemato al centro dello stendimento, ha permesso di registrare simultaneamente sui 24 canali di acquisizione i tempi di arrivo delle onde rifratte; in questo modo si sono ottenuti i record sismici51. Nel record sismico è possibile leggere i tempi di arrivo per ciascun geofono, nel nostro caso ogni tacca rappresenta 5 ms. Dalla lettura di queste registrazioni si sono ricavati i grafici s/t (o grafici delle dromocrone) ottenuti riportando in ordinata i tempi di arrivo delle onde rifratte ai geofoni e in ascissa le distanze fra i geofoni (cfr. Tav. XIX), tali grafici, in sostanza, rappresentano i rifrattori. Su questi dati è stato applicato un metodo di correzione statica chiamato Plus-Minus al fine di ricavare la morfologia, la profondità e le velocità reali di propagazione delle onde dei rifrattori. Dai tempi minus si ricavano le velocità reali, utilizzate per trovare la profondità dei rifrattori. Dei tempi plus ci siamo serviti per ricavare la morfologia degli stessi. Discussione e interpretazione dei dati Alla prima fase del lavoro, consistita nella lettura dei tempi registrati da ciascun geofono, è seguita la costruzione delle dromocrone, relative a ciascuno scoppio. Le prime considerazioni che si possono fare nell’osservare le dromocrone riguardano il numero dei rifrattori e l’inclinazione degli stessi. La rappresentazione grafica evidenzia la presenza di due rifrattori 52 al di sotto dello strato superficiale (l’aerato), dalle dromocrone abbiamo calcolato le velocità apparenti relative ai due rifrattori e con il metodo di correzione siamo risaliti alle velocità reali dei 50 L’area della laguna di Nora è un’area di nidificazione per alcune specie di avifauna che si trovano nel Mediterraneo; la Cooperativa che gestisce la peschiera si occupa della salvaguardia, della tutela e della divulgazione, mediante visite guidate, del patrimonio che quest’area costituisce. 51 Il record sismico è un insieme di tracce sismiche ognuna delle quali rappresenta la registrazione effettuata ad ogni singolo geofono. 52 La presenza di un terzo rifrattore visibile nella dromocrona relativa allo scoppio in prossimità del primo geofono, e ancora visibile nella dromocrona relativa allo scoppio centrale, resta abbastanza dubbiosa. Le dromocrone relative agli scoppi esterni non sono state d’aiuto all’accertamento della presenza di tale rifrattore, essendo l’offset di 20 m insufficiente alla captazione di orizzonti più profondi, tali scoppi hanno intercettato solo il secondo rifrattore. 92 rifrattori e dell’aerato. I dati ricavati concordavano con l’ipotesi iniziale : un primo strato (l’aerato) con velocità di propagazione molto basse (circa 700 m/s), compatibili con l’ipotesi della presenza di un terreno non consolidato riferibile sia ai dragaggi e ai riporti di materiale fatti negli anni ‘50 per realizzare la peschiera, sia alla possibilità che si trattasse di materiale sabbioso sciolto dovuto all’accumulo per opera della deriva litorale o una miscela di entrambi; sotto a quello, il primo rifrattore presenta una velocità media di circa 2300 m/s il che potrebbe corrispondere a un corpo arenaceo abbastanza compatto, ma non ben cementato (come sono per esempio le arenarie grossolane della formazione marina tirreniana); il secondo rifrattore presenta una velocità di 3600 m/s che sarebbe compatibile con la presenza di un affioramento roccioso abbastanza compatto come potrebbero essere per esempio le brecce andesitiche. 93 CONCLUSIONI L’obiettivo principale di questa tesi consisteva nella ricostruzione del paleopaesaggio della città punico-romana di Nora, mediante uno studio, integrato, di dati geomorfologici e archeologici. La ricostruzione del paleopaesaggio aveva, nelle nostre intenzioni, un significato abbastanza ampio comprendendo sia gli aspetti fisicogeografici che quelli economici e antropici legati ad esso, ossia le interazioni intercorse tra l’uomo e l’ambiente dall’epoca punico – romana fino a giungere alla situazione attuale. Il nostro scopo aveva una carattere essenzialmente epistemologico essendoci domandati, fin dall’inizio, se e come fosse possibile studiare un sito archeologico da un punto di vista geomorfologico, integrando i dati ottenuti dall’una e dall’altra delle due discipline, per giungere ad una disciplina del tutto autonoma, quale la geoarcheologia. Ricordandoci che per geoarcheologia si intende la disciplina che si occupa dello studio di problemi archeologici servendosi di metodi propri alla geomorfologia e alla sedimentologia, definiamo il geoarcheologo colui che, attraverso lo studio di terreno e le analisi di laboratorio elabora e ricostruisce l’ambiente del sito realizzando modelli dell’attività umana nel tempo e nello spazio. Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale il lavoro d’équipe portato avanti con gli archeologi, quindi una parte del lavoro si deve svolgere sul terreno rilevando contemporaneamente sia il dato geomorfologico che quello archeologico. Ed è quello che abbiamo fatto partecipando regolarmente allo scavo di Nora e alla Ricognizione archeologica sul territorio. Per ciò che concerne la metodologia utilizzata vogliamo mettere in evidenza che essa è stata messa a punto nel corso del lavoro tenendo conto delle caratteristiche peculiari della baia di Nora e del territorio circostante. L’utilizzo soprattutto di foto aeree, di dati storici d’archivio, della cartografia storica e l’analisi diretta sul terreno, si è reso necessario in quanto la zona ha subito grosse trasformazioni, legate all’antropizzazione, soprattutto cinquantennio, obliterando, in taluni casi, qualsiasi nel corso dell’ultimo evidenza della situazione precedente. 94 I risultati raggiunti ci permettono di affermare che i grossi cambiamenti del paesaggio, indotti dalla presenza umana, sono molto recenti, possiamo farli risalire alla seconda metà del ‘900 fin ad oggi. In epoca antica, viceversa, è stata la conformazione del territorio, le sue caratteristiche morfologiche, geologiche, la posizione geografica, che hanno determinato le attività umane e la loro distribuzione nel territorio. Partendo dall’insediamento più antico, quello Neolitico, possiamo evidenziare che il materiale archeologico trovato testimonia un tipo di economia misto (agricoltura/caccia) in perfetta sintonia con la posizione geografica: esso si trova in una zona pianeggiante, abbastanza vasta, in cui affiorano le alluvioni oloceniche, l’approvvigionamento idrico era assicurato dalla presenza di due piccoli corsi d’acqua, oggi completamente asciutti, ma che ancora negli anni ’50 avevano delle buone portate liquide; la zona montuosa, non troppo lontana poteva, inoltre, essere un buon terreno di caccia. Gli insediamenti nuragici occupano, invece, delle aree molto circoscritte e ben determinate: si rinvengono solo su colline o promontori andesitici. La particolarità è che, soprattutto nell’area di Villa S.Pietro, tra queste colline vi sono delle vallecole nelle quali ancora oggi è praticata l’agricoltura; si tratta di un’agricoltura di tipo intensivo, ma, viste le dimensioni ridotte degli insediamenti nuragici, sicuramente sufficienti al fabbisogno di chi vi abitava. L’apporto idrico proveniva, senza dubbio, dallo scavo di pozzi nella roccia53. La posizione sulle colline e sui promontori permetteva, inoltre un controllo di tutta l’area costiera: una posizione strategica importante. Anche in questo caso il territorio e la sua morfologia hanno giocato un ruolo fondamentale nella scelta dell’insediamento antropici. I siti punici, come abbiamo visto, sono stati trovati nelle immediate vicinanze della città, concentrati nell’area della laguna, testimonianza del fatto che vi era ancora uno stretto legame con la città di Nora e che la vocazione economica era di tipo fondamentalmente commerciale. La concentrazione dei siti indicanti attività artigianali e commerciali di vario genere, posti intorno alla laguna, testimoniano quanto appena detto. 53 Lo scavo archeologico dell’area di Nora ha evidenziato la presenza di numerosi pozzi di questo tipo interamente scavati nelle andesiti; le analisi condotte sull’acqua di uno di questi pozzi hanno accertato che si tratta di acqua dolce. 95 Gli insediamenti di epoca romana sono sparsi in tutto il territorio, con una percentuale dominante sulle alluvioni sia oloceniche che pleistoceniche. Il tipo di formazioni superficiali occupate e il tipo di siti ritrovati (ville isolate, vere e proprie fattorie) ci induce a sostenere che il tipo di economia adottato era prevalentemente agricolo, probabilmente estensivo: si ha un momento di occupazione del territorio, di tipo quasi latifondiario, che denota una maggiore indipendenza dei siti rispetto alla città. La baia di Nora in epoca punico – romana (cfr. Tav. XX) Per ciò che concerne in maniera più dettagliata la baia di Nora si può affermare quanto segue: siamo partiti dal fatto che a Nora esistono alcune strutture archeologiche che testimoniano inequivocabilmente un arretramento della linea di costa negli ultimi 2000 anni e, dunque, una variazione della morfologia del promontorio. Lo studio dei dati geomorfologici e la loro integrazione con quelli archeologici ha dimostrato che l’ipotesi avanzata, circa una sommersione dovuta a fenomeni eustatici, è stata confermata. Infatti non ci sono evidenze che dimostrino che la zona studiata sia stata interessata da fenomeni tettonici nell’Olocene. La presenza delle strutture archeologiche rappresenta, in questo contesto, un elemento utile a valutare l’entità del sollevamento. L’analisi e il rilevamento dettagliato delle profondità alle quali esse si trovano nonché il confronto di questi dati con le curve di risalita del mare olocenico e con i dati geoarcheologici rilevati, in studi precedenti, per il bacino del Mediterraneo, ci portano a sostenere che la baia di Nora si inserisce nel quadro della risalita eustatica determinata per il Mediterraneo occidentale, con un sollevamento medio del livello del mare, negli ultimi 2000, anni di circa 0,50 m. Questo sollevamento si traduce, praticamente, con un arretramento della linea di costa: le strutture che si trovavano in prossimità della linea di riva hanno cominciato a farne le spese, esattamente com’è successo recentemente nella zona di Porto Columbu, con la differenza che il sollevamento del livello del mare è un processo naturale al quale l’uomo non può porre rimedio. Attualmente a Porto Columbu, per cercare di arrestare l’avanzata del mare, sono state costruite una serie di barriere frangiflutti parallelamente alla linea di costa. Analogamente in epoca romana, quando sulle Terme e sulla Basilica, cominciarono a farsi sentire i contraccolpi dell’azione erosiva del mare in sollevamento, 96 si presero dei provvedimenti, costruendo una barriera frangflutti (il “Molo Schmiedt”) posto in maniera tale da opporsi alla corrente di deriva litorale e dunque, in modo da proteggere queste due importanti strutture romane. Quando poi la città cominciò a decadere cessarono anche le opere di manutenzione cui era sottoposta questa barriera, essa cominciò a demolirsi e la sua azione di protezione cessò: a quel punto incominciò il vero processo erosivo sulla costa che ha portato all’arretramento e all’erosione della basilica e delle Terme. L’analisi incrociata tra dati archeologici e geomorfologici ci ha permesso, inoltre, di ipotizzare che il porto attrezzato di Nora punica e di quella romana fosse all’interno della laguna; dunque la posizione di un molo nella cala NO, non ha nessun significato salvo considerarlo, come abbiamo detto, una barriera frangiflutti. Sintetizzando tutti i dati sin qui esposti possiamo concludere che in epoca punica l’occupazione del territorio non si spostava oltre la baia di Nora estendendosi principalmente verso la laguna. I dati archeologici e quelli geomorfologici testimoniano un’intensa attività economica e artigianale nei bordi della laguna: da Fradis Minoris proveniva parte del materiale lapideo impiegato nella costruzione degli edifici; nella parte nord della laguna erano presenti dei siti di tipo artigianale (confermati dal ritrovamento di scarti di lavorazione quali spugne e resti di forni) e anche la parte est. era occupata da insediamenti di tipo produttivo. In epoca romana si ha una occupazione del territorio circostante a scala molto più larga, i siti romani si trovano indifferentemente e costantemente in tutta l’area coperta dalla ricognizione. Per quanto riguarda Nora, in questo periodo si ha la costruzione degli edifici più monumentali quali il Teatro, le Terme a Mare e la Basilica: la cava è ancora attiva, in quanto si usano blocchi provenienti da qui per la costruzione del teatro, il porto attrezzato è sempre posto all’interno della laguna. Un grosso problema che si presenta alla città è quello dell’erosione delle strutture poste in prossimità della linea di riva: per ovviare a questo inconveniente viene costruita una barriera frangiflutti. Segue un periodo di abbandono totale del territorio per diversi secoli, dovuto sia ai problemi legati a invasioni di ogni genere, cui erano sottoposte le coste, sia a problemi legati all’insalubrità del territorio, paludoso, e dunque altamente malarico. Il nuovo nucleo abitativo si insedia verso la fine del XVIII secolo e da allora si è sviluppato per raggiungere le proporzioni attuali. 97 A partire dagli anni ’50 la situazione è molto cambiata e la presenza umana ha veramente influito sui cambiamenti del paesaggio, innescando spesso dei processi di erosione accelerata (com’è il caso di Porto Columbu), deviando o bloccando i corsi d’acqua, eliminando le zone paludose Cambiamenti del territorio nell’ultimo secolo La ricostruzione morfologica del paesaggio relativo all’ultimo secolo è il frutto dell’integrazione di dati di tre tipi: 1. Materiale cartografico storico e attuale (partendo da carte del 1839 fino a carte del 1989); 2. dati di archivio relativi agli interventi di bonifica operati dall’ ERLAAS54 nell’ambito della lotta antianofelica e dall’ETFAS nell’ambito della riforma agraria degli anni ’50; 3. Fotografie aeree relative a periodi diversi (a partire dal 1954). La carta più antica da noi presa in considerazione risale al 1839. Si tratta dalla carta rilevata da Alberto Ferrero de La Marmora e da Carlo de Candia. In questa carta si nota che l’unico cambiamento di rilievo è relativo alla laguna di Nora. La zona umida che ancora caratterizza questo tratto di costa (lo “Stangioni S.Efisio”) si presenta molto più estesa verso Nord rispetto alla situazione attuale, con un’apertura verso il mare coincidente con il molo artificiale, che attualmente chiude la laguna, e con i depositi sabbiosi attualmente visibili all’interno della laguna, ancora in corso di formazione. In questa carta è evidente che anche l’area intorno a Canale Cristallu sia paludosa. Ciò ci porta a supporre che l’attuale spiaggia di Agumu, fosse, ancora nella prima metà dell’800, sede di deposizione da parte di piccoli corsi d’acqua attualmente estinti. Questo spiegherebbe la presenza lungo tutta la spiaggia, e in modo particolare nel tratto 54 La battaglia antianofelica si è svolta in Sardegna tra il novembre 1946 e il dicembre 1950 tramite l’uso di Ddt, tale lotta debellò la malaria in Sardegna. L’ERLAAS (Ente Regionale Lotta Anti Anofelica….), l’ente appositamente creato nell’aprile del 1946, fu l’esecutore materiale di questa battagli voluto dalla “Rockfeller Foundation” la quale scelse la Sardegna come campo sperimentale per combattere il morbo a livello mondale. Il “Progetto Sardegna” fu deciso dagli americani il 2 ottobre 1945. Obiettivo: eliminare la zanzara dalla Sardegna. Già negli anni trenta l’assalto delle anofele era stato frenato introducendo contromisure quali bonifiche: un gran numero di paludi, pantani e raccolte d’acqua fu drenato sia scavando nuovi canali, sia allargando o migliorando quelli esistenti. I nuovi scavavano in profondità da un solco di aratro, spesso sufficiente per eliminare pozzanghere, fino a profondi canali permanenti o semipermanenti, in grado di smaltire una notevole quantità d’acqua. Alcune paludi costiere furono facilmente drenate scavando brevi canaletti fino al mare. 98 che la chiude a Est verso la penisola di Fradis Minoris, di materiale ciottoloso sciolto nonché quella di una piccola foce fluviale ormai praticamente inattiva. Le altre carte topografiche ottocentesche che abbiamo ritenuto opportuno prendere in considerazione sono quelle rilevate da Jean Pierre Jurien Lagravière nel 1842 e pubblicate nel 1846. In particolare abbiamo tenuto conto della Carte particulière de la côte meridionale de la Sardaigne depuis la tour de Pula jusqu’à Cap S.Elie e della Carte particulière de la côte meridionale de la Sardaigne de Cap Teulada jusqu’à la tour de Pula; Baie de l’île Rousse. I dati fisico-geografici ricavabili dalle due carte, si discostano pochissimo da quelli riportati sulla carta di La Marmora. L’unico particolare di interesse per la nostra ricerca storica è relativo ai toponimi infatti nel tratto relativo alla baia di Nora compare il toponimo Port de Pula ossia Porto di Pula proprio nell’area in cui ipotizziamo l’ubicazione dell’antico porto di Nora. La presenza, inoltre del toponimo Aiguade (acquazzone, acquata) nell’area corrispondente a quella indicata come paludosa e lagunare nelle altre carte lascia supporre che a distanza di qualche anno sussistesse l’area lagunare indicata da della Marmora. La carta storica più recente analizzata, risale al 1897 e anche qui (cfr. Tav. XXI) i dati di interesse riguardano la maggiore estensione della zona paludosa (ancora presente anche a Canale Cristallu) rispetto quella attuale, la presenza del toponimo Cala di Nora nell’area da noi ipotizzata come quella di ubicazione del porto e la presenza di una idrografia in parte differente rispetto a quella attuale. Il confronto tra questa carta e le foto aeree del 1954 ci mostrano che questa situazione si è mantenuta, quasi inalterata, almeno fino a quella data. Nel 1957, la chiusura della laguna di Nora ha conferito alla zona palustre retrostante l’aspetto attuale, determinando, inoltre l’accelerazione del processo di colmata relativo alla laguna stessa. I primi segni di una “nuova colonizzazione” si sono rivelati a partire dagli anni ’50 quando, subito dopo la seconda guerra mondiale, l’ETFAS (oggi ERSAT) operò una riforma agraria assegnando diversi appezzamenti di terreno, soprattutto a S. Margherita, nell’area posta a sud di quella da noi studiata. Questa risistemazione determinò un tale afflusso di popolazione che nacque la “borgata” di S.Margherita, facente parte del comune di Pula. In questo ambito nacquero 99 le aziende agricole, che ancora oggi costituiscono parte dell’economia portante dell’area; la nascita delle aziende agricole ebbe un primo impatto sull’ambiente, del quale oggi si riconoscono le conseguenze: l’attività agricola per poter funzionare, ha bisogno soprattutto, di acqua; poiché questa zona della Sardegna non è sicuramente una delle più piovose, il problema acqua venne risolto creando degli sbarramenti dei corsi d’acqua per quelle aziende poste a monte e scavando dei pozzi per quelle più prossime alla linea di spiaggia. I risultati si risentono attualmente: il minimo disequilibrio sulla linea di costa si trasforma in conseguenze catastrofiche per la stessa; ne abbiamo un esempio lampante Porto Columbu, dove già negli anni ’50 la spiaggia veniva segnalata in arretramento, in quanto parte del materiale usato per la costruzione delle aziende poste nelle zone limitrofe, proveniva dalla spiaggia sommersa antistante Perd’e Sali, inoltre gli sbarramenti a monte dei corsi d’acqua avevano creato un deficit negli apporti sedimentari della spiaggia. Quando nel 1987, sul piccolo promontorio posto nella parte nord di Perd’e Sali venne costruito un porticciolo turistico, le conseguenze sono state disastrose: nel giro di pochi anni la linea di costa è arretrata di qualche decina di metri coinvolgendo le ville costruite nel retrospiaggia, che hanno perso recinzioni, parti delle case, e non si è riusciti a fare niente per arrestare il processo erosivo innescato da questo intervento. Il sovrapporsi degli elementi suindicati ha reso la spiaggia molto fragile e non appena qualcosa è intervenuto a turbare questo equilibrio precario, la risposta è stata un’erosione accelerata della linea di costa. Ancora oggi l’agricoltura è uno dei pilastri portanti dell’economia della zona, e gli effetti di questo intenso sfruttamento agricolo, si registrano soprattutto nella diminuzione delle portate dei corsi d’acqua, quasi sempre sbarrati, nella zona a monte. Questi sbarramenti oltre a trattenere la parte liquida trasportata dai corsi d’acqua, trattengono una buona parte dei materiali detritici che, così, giungono nella costa in quantità ridottissima. Questo ha conseguenze gravissime sugli equilibri delle spiagge corrispondenti. Lo studio delle foto aeree ha evidenziato come il reticolo idrografico si sia ridotto notevolmente negli ultimi cinquant’anni. Alla fine degli anni ’40 inizio anni ’50 appartengono gli interventi di bonifica operati dall’ERLAAS, nell’ambito della lotta all’anofelica condotta in Sardegna subito dopo la seconda guerra mondiale. Un gran numero di aree paludose o acquitrinose sono state 100 bonificate, poiché questa zona aveva un’alta densità di zone umide, l’intervento è stato abbastanza stravolgente da un punto di vista del paesaggio in quanto sono state riempite e prosciugate oltre alle grandi zone paludose anche tutte le più piccole pozze o qualsiasi tipo di bacino che conservasse acqua stagnante; in alcuni casi la vegetazione stessa è stata eliminata totalmente. Si può affermare che da un punto di vista dello sviluppo economico della Sardegna questo intervento ha determinato la rinascita, liberando l’isola dalla piaga che più di ogni altra ne ha determinato l’arretratezza per tanto tempo. Si può affermare che nel corso dell’ultimo secolo, in particolare negli ultimi cinquant’anni, i cambiamenti occorsi nella zona esaminata sono tali e tanti da indurci a ritenere che l’antropizzazione recente è stata la causa delle modificazioni più evidenti del paesaggio. Si è passati da un sistema in cui l’uomo dipendeva dal paesaggio e le sue scelte erano dettate da ciò che il paesaggio poteva offrirgli, a un sistema in cui l’uomo fa le sue scelte indipendentemente, agendo lui stesso sul paesaggio, il quale è costretto ad adeguarsi ai cambiamenti, talvolta rispondendo, però, in maniera catastrofica per chi queste trasformazioni le ha prodotte. 101 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 102 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AA.VV., 1996 - Lignes de rivage et zones côtières au quaternaire: passé, présent et futur, Perpignan 2-4 dicembre 1996 Acquaro, E., 1988 - Gli insediamenti fenici e punici in Italia, Min. per i Beni Cult. e Amb. 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La data di pubblicazione è il 1845, ma i lavori trigonometrici e geodetici sono iniziati nel 1824 e proseguiti senza interruzione sino al 1838 per i quali l’autore rimanda alla notice inserita nel I volume II edizione (1839) del Voyage en Sardaigne. - Carta a stampa in B/N incisione in rame. J.P. Jurien-Lagravière Carte particulière de la côte meridionale de la Sardaigne depuis la tour de Pula jusqu’à Cap St.Elie… - IGM 1897 - IGM 1931 Scala 1:25.000 - IGM 1968 - IGM 1987 - C.T.R. (Carta Tecnica della Sardegna) anno 1968 scala 1:10.000, F. N. 573 Teulada sez.A4 (S.Margherita); F. N. 573A - Teulada sez.A1 (Nora); F.N. 566 Sarroch sez.D1 ( Pula); F. N.565 - Pula sez.D4 (Villa S.Pietro). - Atlante delle spiagge Italiane, foglio 239-240 (Teulada-S.Efisio), progetto strategico Clima, Ambiente e Territorio nel Mezzogiorno, C.N.R. – MURST, 1996 FOTO AEREE - Foto Aeree in scala 1:33.000 del 1955, F. 239 strisciate n. 59 e n.60 114 - Foto Aeree in scala 1:23.000 anno 1965, F. 239-240 strisciate n. 96 e n.97, F.234 strisciate n. 160 e n. 161; - Foto Aeree in scala 1:33.000 anno 1987: F. 239-240 strisciate n. LXXII, LXXIII, LXXVI, LXXXVII; F. 234 strisciata n. XL; - Foto Aeree R.A.S. (Ass. EE. L. Fin. e Urb. Servizio Informativo e Cartografico Regionale in scala 1: 4.000 anno 1987 : Strisciate n. 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9; - Ortofotocarte R.A.S. 1:10.000 115