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MICHELE BERTANI, Il contratto di edizione dalla lex mercatoria alla

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MICHELE BERTANI, Il contratto di edizione dalla lex mercatoria alla
MICHELE BERTANI
Il contratto di edizione dalla lex mercatoria alla tipizzazione
legale (*)
SOMMARIO: 1. Il divenire delle tecniche di appropriazione dei risultati della creatività intellettuale. –
2. L'evoluzione parallela delle tecniche contrattuali di circolazione dei diritti sulle opere dell'ingegno. – Il tipo del contratto di edizione nella legge italiana del 1941.
1. Il divenire delle tecniche di appropriazione dei risultati della creatività intellettuale è frutto dell'interazione continua tra interessi solo in parte antagonisti,
tra i quali quello dell'autore a diffondere ed a godere in esclusiva l'esito del suo
lavoro e l'interesse degli intermediari nella circolazione delle opere dell'ingegno
a veder remunerati i loro investimenti (1). In parallelo l'interazione degli interessi ora ricordati incide tipicamente anche sullo sviluppo delle tecniche contrattuali mirate a realizzare la loro composizione.
È noto che l'emersione di questi interessi ha avuto luogo soltanto nel corso
del XV secolo, a seguito dell'ampliamento consistente del mercato dei prodotti
culturali determinato dalla combinazione tra l’invenzione della stampa a caratteri mobili – che permettendo un'ampia produzione seriale delle opere letterarie ha
posto le condizioni per la nascita dell'industria editoriale – e la domanda sempre
più intensa di conoscenza generata dall'ascesa socio-economica della borghesia
mercantile, dalla quale unitamente alla rivitalizzazione dei traffici commerciali
sono derivate una più ampia alfabetizzazione ed una ripresa potente della circolazione delle idee, dei modelli e degli artefatti culturali (2).
Sul piano delle tecniche di appropriazione degli esiti della creatività intellettuale le dinamiche degli interessi ora ricordati sono state dapprima governate a
mezzo del regime dei privilegi. Originariamente questo regime vedeva il principe assegnare in via ottriata e discrezionale il potere esclusivo di esercitare l'arte
della stampa in capo ad un editore (cd. privilegio librario), talvolta limitatamente alla produzione di un singolo autore o ad un genere particolare di opere letterarie, non necessariamente inedite ed anzi assai spesso appartenenti alla tradizione classica (3). A seguito della fioritura culturale delle età umanistica e rina_______
(*) Questo studio è destinato alla pubblicazione negli scritti in onore di Umberto Belviso.
(1) Maggiormente antagonisti rispetto a quelli ricordati nel testo sono gli interessi individuali
degli altri utilizzatori professionali a valersi delle opere dell'ingegno quali fattori produttivi nella
propria attività imprenditoriale, e gli interessi della collettività a conoscere ed usare gli esiti della
creatività umana a fini di godimento intellettuale, di crescita culturale, di critica e libera manifestazione del pensiero, che tuttavia nelle dinamiche relative al contratto di edizione rimangono sullo
sfondo.
(2) Nell’esperienza europea il passaggio dalla stampa per blocchi di legno ai caratteri mobili è
tradizionalmente attribuito a Johann Gutenberg, che tra il 1448 ed il 1454 realizzò la celebre Bibbia
a 42 linee. In Cina questa tecnica era invece conosciuta già da alcuni secoli.
(3) Il più antico privilegio librario tra quelli noti è stato concesso il 18 settembre 1469 dal Senato veneziano allo stampatore Giovanni da Spira, ed è leggibile in Riv. dir. ind. 1952, I, 372-373
con commento di R. FRANCESCHELLI.
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scimentale la crescita dell'interesse per le opere dei contemporanei ha permesso
agli autori di rivendicare con sempre maggiore successo l'assegnazione diretta
dei privilegi (cd. letterari) a vantaggio loro e dei loro eredi, o comunque a beneficio dei soli editori che avessero ottenuto il loro consenso alla stampa, oppure
avessero acquistato da loro il manoscritto originale dell’opera (4).
Il convergere delle rivendicazioni giusnaturalistiche riguardanti la riserva ad
ogni uomo dei risultati del suo lavoro (anche) creativo con le aspirazioni protoliberiste delle imprese culturali ad ottenere (seppure in via derivativa) un titolo
di sfruttamento esclusivo dell’opera svincolato dalla discrezionalità del principe
e più in generale a sperimentare una liberalizzazione del mercato editoriale ha
poi stimolato ovunque tra l'inizio del XVIII e la prima metà del XIX secolo
l’abbandono del sistema dei privilegi a favore dell’assegnazione all’autore di un
diritto esclusivo sullo sfruttamento economico dei frutti della propria creatività
intellettuale (5). In territorio italiano questo passaggio è stato attuato dapprima
in modo scomposto nelle esperienze parallele dei diversi stati preunitari (6). Ed
ha poi trovato una sintesi unitaria nella legge d’autore del 1865 (7).
Per reazione al sistema dei privilegi le nuove tecniche di appropriazione in
questa fase iniziale sono state costruite dal legislatore e dagli interpreti prendendo a modello la proprietà sulle cose corporali, che affrancata faticosamente dalle
scorie del sistema feudale appariva al tempo stesso come l’archetipo dei diritti
soggettivi conquistati dalla borghesia liberale e come modello efficace per soddisfare le pretese di appartenenza delle nuove forme di ricchezza (8).
_______
(4) V. qui ad esempio la parte veneziana del 1544, leggibile in DE GREGORIO, Il contratto di
edizione, Athenaeum, 1913, 20-21, che subordinava la liceità della stampa dell’opera al consenso
dell’autore o dei suoi eredi.
(5) Questo passaggio è stato sperimentato per la prima volta in Gran Bretagna con l’Atto della
Regina Anna entrato in vigore il 10 aprile 1710. Pur con diversa intensità le motivazioni ora ricordate hanno poi ispirato il Copyright Act statunitense del 31 maggio 1790; i decreti rivoluzionari francesi del gennaio 1791 e del luglio 1793; la legge prussiana dell’11 giugno 1837, in qualche modo
anticipata dai §§ 996-1036 della parte I del titolo XI dell’Allgemeines Landrecht für die Preußischen
Staaten del 5 febbraio 1794, che pur trattando del contratto di edizione presupponevano
l’attribuzione all’autore di un diritto esclusivo di sfruttamento economico dell’opera; la legge austriaca 9 ottobre 1846, anticipata dai §§ 1164-1171 dell’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch austriaco del 1811, sempre in tema di contratto di edizione.
(6) V. qui in particolare le regie patenti sarde di Carlo Felice del 28 febbraio 1826, poi integrate dalla convenzione austro-sarda del 22 maggio 1840; l’editto pontificio del 23 settembre 1826; il
decreto 5 febbraio 1828 n. 1904 del Regno delle Due Sicilie; il decreto 22 dicembre 1840 del Ducato
di Parma; la già ricordata legge austriaca 9 ottobre 1846, applicata dal 1847 anche nel LombardoVeneto, nei territori del quale una prima esperienza di assegnazione agli autori di un diritto di sfruttamento economico dell’opera aveva già avuto luogo con la legge 19 maggio 1801 della Consulta
della Repubblica Cisalpina.
(7) V. la legge 25 giugno 1865 n. 2337
(8) A quel tempo il percorso di costruzione della proprietà in senso moderno era ormai in stato
avanzato, seppure non poteva ritenersi compiuto. Già Pothier sistematizzando fermenti copiosi del
secolo precedente aveva posto i germi di una concezione del diritto dominicale che vedeva i poteri
dell'uomo sulla cosa iniziare a semplificarsi ed unificarsi, per provare a superare la scomposizione
medievale tra dominio utile e dominio diretto [su questa vicenda v. le pagine ormai classiche di
GROSSI, Un paradiso per Pothier (Robert-Joseph Pothier e la proprietà moderna), in Il dominio e le
cose, Giuffré, Milano, 1992, 385-437]. Poco dopo sulla scorta dei fermenti rivoluzionari l'art. 544
del Code Napoléon sarebbe intervenuto a sanzionare sul piano normativo questo percorso di semplificazione ed unificazione, seppure in un contesto che vedeva la struttura della propriété ancora legata ad una enumerazione puntuale dei poteri ivi contenuti (su questi temi v. amplius GROSSI, La pro-
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A seguito di un percorso eterogeneo e non sempre lineare è poi emerso ed
ha trovato soluzione il problema della distinzione e delle relazioni reciproche tra
gli interessi personali e rispettivamente patrimoniali dell’autore
sull’utilizzazione della sua opera. Così nell’esperienza francese la duttilità del
modello di proprietà adottato dal code Napoléon ha permesso di affidare per
lungo tempo la tutela della personalità creativa dell’autore alle tecniche di diritto
comune deputate a proteggere gli interessi patrimoniali della persona (9). Mentre nell’esperienza tedesca la scuola germanistica ha fatto leva sulla disciplina
esistente dell'Urheberrecht, offrendone una ricostruzione dogmatica che sulla
scorta del paradigma personalistico lo affrancava dall'archetipo dominicale e
prevedeva di valorizzarlo come tecnica di protezione degli interessi sia personali
che patrimoniali dell’autore, secondo un’impostazione (cd. «monistica») che costruisce il diritto d’autore quale privativa monolitica a carattere tendenzialmente
indisponibile (10).
Alternativa ai modelli ora illustrati [ed anche alla concezione «pluralisticopatrimoniale» che ha ispirato a lungo il copyright di matrice anglosassone (11)]
era invece la costruzione «dualistica» proposta da Joseph Kohler (12), elaborata
poi criticamente (secondo uno schema qui chiamato per convenzione «pluralistico-duale») dalla nostra dottrina e recepita dal legislatore italiano del 1925 e
del 1941 (13), che vedeva in campo più diritti esclusivi disponibili (cd. diritti
_______
prietà e le proprietà nell'officina dello storico, in Il dominio e le cose, cit., 660-663).
In questa fase il saldo aggancio tra il diritto d’autore e l’archetipo dominicale non discendeva
soltanto dalle suggestioni giusnaturalistiche. Piuttosto sul piano tecnico-giuridico la proprietà sulle
cose corporali si poneva come modello efficace per costruire gli strumenti di appropriazione delle
nuove forme «immateriali» di ricchezza; mentre sul piano politico-giuridico la scelta di questo modello quale archetipo della nascente proprietà intellettuale mirava (tra l’altro) a legittimare i nuovi istituti nell’ambito della teoria economica liberista, che tipicamente guardava con sospetto alla costituzione di poteri privati di esclusiva capaci di interferire con le libertà economiche dei concorrenti.
(9) Per una ricostruzione articolata di questa vicenda v. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, Jovene, Napoli, 2005, 28-40.
(10) A questa privativa unitaria era normalmente assegnato un contenuto comprendente ad un
tempo facoltà destinate a tutelare interessi allo sfruttamento economico dell’opera e facoltà deputate
a proteggere interessi personali dell’autore ad essere rappresentato come tale, oppure ad impedire alterazioni della sua creazione pregiudizievoli dei suoi onore e reputazione. Particolare rilievo
nell’elaborazione dell’impostazione monistica ebbero la teoria degli Individualrechte di GAREIS,
Das juristische Wesen der Autorrechte, sowie des Firmen- und Markenschutzes, in Archiv für Theorie und Praxis des Allgemeinen und Deutschen Handels- und Wechselrechts 1877, soprattutto 197198 e 203-206, che pure nella ricostruzione di questo Autore avevano carattere disponibile; e la teoria dei Persönlichkeitsrechte (altrimenti detta «monismo della personalità») di GIERKE, Deutsches
Privatrecht, Dunker & Humblot, Leipzig, 1895, I, 702-708, 764-767, 805-810, che (pur ammettendo, come vedremo, la trasferibilità del loro esercizio) teorizzava la tendenziale indisponibilità di
queste situazioni soggettive.
(11) In base a questa costruzione l’opera dell’ingegno è oggetto di una pluralità di diritti a contenuto esclusivamente patrimoniale.
(12) Nella teoria degli Immaterialgüterrechte elaborata da KOHLER, Das Autorrecht, Gustav
Fischer Verlag, Jena, 1880, 74-75, un generale diritto della personalità (Individualrecht) era contrapposto ad una serie di diritti soggettivi insistenti su beni immateriali separabili dalla persona
(Immaterialgüterrechte), tra i quali rientrava anche il diritto sulle opere dell’ingegno.
L’Individualrecht era considerato da Kohler indisponibile e proteggeva anche gli interessi personali
dell’autore. L’Autorrecht quale Immaterialgüterrecht aveva invece carattere disponibile e proteggeva l’interesse allo sfruttamento economico dell’opera. Un embrione minimo di concezione dualistica
emerge anche dalla costruzione proposta in Italia pochi anni prima da AMAR, Dei diritti degli autori
di opere dell’ingegno, Fratelli Bocca, Roma-Torino-Firenze, 1874, 279-284, che riprendeva e sviluppava una distinzione tra «proprietà materiale» e «proprietà spirituale» dell'opera dell'ingegno già
accennata da MANTELLI, Giurisprudenza del codice civile e delle altre leggi dei regj stati, Alessandria, Guidetti, 1839, vol. I, 702.
(13) Nell’impostazione adottata dalla legge 7 novembre 1925 n. 1950 (e poi affinata dalla l. 22
aprile 1941 n. 633, attualmente in vigore e qui di seguito spesso indicata in modo sintetico come
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patrimoniali) e rispettivamente non disponibili (cd. diritti morali): i primi destinati a proteggere gli interessi (specialmente) patrimoniali allo sfruttamento economico dell’opera; gli altri (soprattutto) gli interessi più intensamente connessi
alla persona del creatore intellettuale che riguardano la paternità e l’integrità
dell’opera.
2. In parallelo all’evoluzione sin qui illustrata delle tecniche di appropriazione ha avuto luogo quella delle tecniche di circolazione negoziale del potere
esclusivo di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno (14). La costruzione di questo potere in guisa di diritto soggettivo e la sua assegnazione ab origine all'autore hanno precluso anzitutto all'editore la possibilità precedentemente
consentita dal sistema dei privilegi (librari) di acquistare in via originaria il potere ora ricordato, secondo uno schema che aveva convissuto a lungo con l'altro
alternativo che vedeva l'editore acquistare il potere esclusivo di sfruttamento
dell'opera a mezzo del trasferimento del privilegio (letterario), spesso espressamente autorizzato dal testo del provvedimento oppure da una normativa di carattere generale (15). Il passaggio dal sistema dei privilegi alla costruzione del diritto d'autore in forma di diritto soggettivo ha aperto tuttavia ampi spazi all'autonomia privata per selezionare modi nuovi e più efficienti di composizione degli
interessi degli autori e rispettivamente degli editori. Sul piano normativo la ga_______
«legge d’autore» o «l.a.») lo schema dualistico prevede di affiancare ai diritti patrimoniali una nuova
serie di privative (i cd. diritti morali), che a differenza del generale Individualrecht di Kohler sono
specificamente destinate a tutelare la personalità creativa; e per questa ragione sono collocate
all’interno del sistema del diritto d’autore. L’adozione di questo modo dualistico (o rectius: «pluralistico-duale») di concepire il sistema del diritto d’autore è stata preceduta ed accompagnata da
un’intensa elaborazione dottrinale, che ha rimeditato criticamente i copiosi stimoli provenienti
dall’esperienza tedesca descritta supra alle note 10 e 12. Tra i partecipanti a questo intenso dibattito
meritano di essere ricordati specialmente DE GREGORIO, Il contratto di edizione, cit., 48-76, che sosteneva l'autonomia delle facoltà poste a tutela della personalità creativa dell'autore rispetto a quelle
relative allo sfruttamento patrimoniale dell'opera; STOLFI, La proprietà intellettuale2, Utet, Torino,
1915, I, 256ss., che proponeva una distinzione tra diritti di sfruttamento economico dell’opera (cd.
«proprietà letteraria») conformati analogamente al domino (secondo l'impostazione di Kohler, come
Stolfi chiarisce a p. 258) e diritti personali sull'opera (cd. «diritti d’autore» in senso proprio), ricompresi entro la nozione unitaria di «proprietà intellettuale»; L. FERRARA, Il diritto reale di autore, Jovene, Napoli, 1940, 14ss., rigido fautore dell’impostazione dualista; e soprattutto PIOLA C ASELLI,
che già nella prima edizione del suo trattato Del diritto d’autore, Marghieri-Utet, Napoli-Torino,
1907, 80-98, in commento alla legge d’autore del 1865 teorizzava la natura solo personale del diritto
d’autore prima della pubblicazione, mista personale e patrimoniale dopo la pubblicazione, secondo
un’impostazione che avrebbe poi mantenuto sostanzialmente ferma anche nella seconda edizione,
Trattato del diritto d’autore e del contratto di edizione, Marghieri-Utet, Napoli-Torino, 1927, 52-61
scritta a commento della legge del 1925; e specialmente nel Codice del diritto di autore, Utet, Torino, 1943, 276ss., a commento della legge del 1941, della quale Piola Caselli fu relatore e tra i principali estensori..
(14) Anteriormente all'assoggettamento dell'opera letteraria ad un potere di sfruttamento esclusivo (e così tra l'altro: prima dell'invenzione della stampa a caratteri mobili e dell'introduzione del sistema dei privilegi) lo strumento contrattuale in forma di compravendita dell'esemplare unico o di
uno tra i pochi esemplari formati da amanuensi costituiva invece l'unica tecnica a disposizione dell'autore per controllare la circolazione (quanto meno iniziale) e negoziare il compenso degli esiti del
suo lavoro creativo.
(15) Espressamente trasferibile era ad esempio il privilegio concesso dal Duca di Milano a Donato Bossi nel 1492, riprodotto in R. FRANCESCHELLI, Trattato di diritto industriale, Giuffré, Milano, 1960, I, 355-356.
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ranzia di questi spazi è stata ben presto formalizzata a mezzo di regole che dichiaravano espressamente la disponibilità dei diritti di sfruttamento economico
delle opere protette (16). In questo scenario l’autonomia privata ha potuto così
iniziare ad elaborare schemi contrattuali pensati specificamente per la circolazione dei nuovi diritti ora ricordati.
Anche alla luce delle già segnalate suggestioni dell’archetipo dominicale lo
schema negoziale di più semplice ed efficace applicazione nei rapporti tra autori
ed imprese culturali poteva prima facie apparire quello della compravendita, con
i conseguenti effetti traslativi di cessione definitiva ed onnicomprensiva dei diritti patrimoniali sull’opera. Per quanto praticato questo schema non soddisfaceva tuttavia in modo completo gli interessi dei contraenti (17). L'idoneità di molti
generi di opere ad essere sfruttati in più modi e da parte di più tipi di imprese
culturali ha infatti giustificato ben presto l'emersione del principio di indipendenza (e dunque di autonoma trasferibilità) dei singoli poteri [fossero essi configurati in forma di diritti o facoltà (18)] di utilizzazione economica esistenti sulla
medesima creazione (19). E reciprocamente ha stimolato una differenziazione
tra più schemi negoziali, ognuno calibrato sulle peculiarità di un modo particolare di utilizzazione dei diversi generi di opere. Nel campo dell'edizione a stampa l'effetto definitivamente traslativo che viene generato dalla vendita dei diritti
patrimoniali non poteva d’altro canto soddisfare (ed anzi lasciava tipicamente
insoddisfatti) gli interessi dell'autore a godere di compensi per il proprio lavoro
proporzionati al successo dell’opera, nonché a conservare la possibilità di otte_______
(16) Così ad esempio la trasmissibilità dei diritti d’autore era prevista in generale dalla section
1 del Copyright Act statunitense del 1790, dall’art. 1 della legge francese del luglio 1793, dal § 9
della legge prussiana del 1837 e dal § 2 della legge austriaca del 1846. Per gli stati italiani preunitari
basterà ricordare l'art. 4 dell'editto pontificio 23 settembre 1826, secondo il quale ciascun autore poteva disporre del «diritto di assoluta proprietà» sull'opera assegnatogli dall'art. 1 «nel modo che può
disporre di ogni altro diritto di proprietà». Da questa formulazione emerge chiaramente che il collegamento con l'archetipo dominicale permetteva al diritto d'autore di godere dell'ampio rinvio che il
legislatore faceva all'autonomia privata in tema di circolazione della proprietà delle res corporales.
Un riferimento alla cedibilità della proprietà sulle opere dell’ingegno era d’altro canto contenuto anche nell’art. 1 della legge 19 maggio 1801 della Repubblica Cisalpina, nonché nell’art. 3 del decreto
1904/1828 del Regno delle Due Sicilie. Sulla scorta di queste precedenti esperienze l’art. 15 della
legge italiana 2337/1865 stabiliva a sua volta che i diritti patrimoniali d'autore «si possono alienare e
trasmettere in tutti i modi consentiti dalle leggi»
(17) Nell’esperienza italiana la praticabilità dello schema della compravendita dei diritti patrinomiali d'autore era in quel tempo già ampiamente ammessa dalla dottrina: e qui v. ad esempio ROSMINI, Legislazione e giurisprudenza sui diritti d’autore, Hoepli, Milano, 1890, 367; BRUNO, voce
Diritti d'autore, in Digesto italiano, UTET, Milano-Roma-Napoli, 1898-1901, 653; STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 241-247.
(18) Privo di particolare rilievo pratico mi pare il quesito se le facoltà patrimoniali siano ricomprese ognuna in un autonomo diritto soggettivo, secondo uno schema che vede una pluralità di
diritti patrimoniali d’autore paralleli, oppure se esista un unico diritto esclusivo nel contenuto del
quale siano collocate le diverse facoltà a contenuto patrimoniale, come peraltro prevedevano in maniera espressa gli artt. 8-9 l. 1950/1925. Nell’esperienza italiana la rappresentazione della tutela
d’autore in forma di una pluralità di diritti patrimoniali sembra suggerita immediatamente dal tenore
testuale degli artt. 13-19 l.a. Tuttavia l’idea che si tratti di diverse facoltà ricomprese in un’unica
privativa patrimoniale è tradizionalmente radicata nella nostra dottrina, e forse suggerita dalla clausola generale ex art. 12 co. 2 della legge d'autore del 1941. Per uno spunto in questo senso v. ad esempio già PIOLA CASELLI, Codice del diritto di autore, cit., 285; e da ultimo RICOLFI, Il diritto
d'autore, in ABRIANI-COTTINO-RICOLFI, Diritto industriale, nel Trattato di diritto commerciale diretto da COTTINO, Cedam, Padova, 2001, 490.
(19) Qui si pensi ad esempio alle opere musicali, drammatico-musicali, drammatico-letterarie o
comico-letterarie, che possono essere stampate da un editore, ma possono essere anche valorizzate
da un impresario teatrale per essere eseguite, rappresentate o recitate innanzi ad un pubblico, oppure
a partire dalla seconda metà dell'800 possono essere registrate su supporti discografici da un produttore fonografico.
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nere nuove edizioni successive da parte di un diverso editore, specialmente nel
caso che il precedente avesse deciso di cessare o addirittura di non iniziare
nemmeno la produzione e la distribuzione degli esemplari.
In questo scenario è emerso ben presto nella prassi mercantile un tipo socioeconomico denominato convenzionalmente «contratto di edizione», che prevedeva di limitare l'attribuzione all'editore del potere di sfruttamento esclusivo dell'opera per un periodo di tempo definito oppure per una quantità determinata di
esemplari; e successivamente consentiva all'autore di recuperare la propria libertà d'azione stipulando un nuovo contratto con un diverso editore. La vocazione
naturale delle opere dell'ingegno ad avere una circolazione transnazionale si è
poi trasmessa anche al piano delle tecniche contrattuali, favorendo l'emersione
nelle diverse esperienze nazionali di schemi negoziali sempre più omogenei.
I primi episodi di tipizzazione normativa del contratto di edizione risalgono
all’Allgemeines Landrecht prussiano del 1794 ed all’Allgemeines Bürgerliches
Gesetzbuch austriaco del 1811, che hanno introdotto nei rispettivi ordinamenti
una disciplina del Verlagsvertrag prima ancora di regolare in modo organico la
materia del diritto d’autore (20). Coerentemente con le ragioni che hanno giustificato la nascita del tipo socio-economico qui considerato le norme ivi dedicate
al Verlagsvertrag miravano tra l’altro ad integrare la volontà delle parti con regole che proteggendo l'autore quale contraente debole introducevano limitazioni
quantitative al potere dell'editore di utilizzazione economica dell'opera (21). Pur
non dedicando una disciplina specifica al tipo del contratto di edizione la legge
italiana del 1865 dimostrava peraltro una analoga attenzione per gli interessi degli autori. Ed infatti al comma 1 dell'art. 18 stabiliva che nel caso di concessione
all'editore di un «permesso indeterminato di pubblicare un lavoro inedito o di
pubblicare un'opera determinata» fosse da escludersi una «alienazione indefinita
del diritto di riproduzione»; ed al comma 2 del medesimo articolo prevedeva
che in questo caso il termine di durata del contratto dovesse essere fissato per
intervento giudiziale (22).
_______
(20) V. supra la nota 5.
(21) Così ad esempio il § 1016 della parte I, titolo XI dell’Allgemeines Landrecht prussiano
stabiliva che salvo patto contrario il contratto di edizione si estendesse soltanto alla prima versione
dell’opera; nel caso di nuova versione con cambiamenti di formato o di contenuto il § 1017 richiedeva la stipula di un nuovo contratto; mentre in mancanza di accordo il § 1019 consentiva all’autore
di cambiare casa editrice, imponendogli tuttavia l’obbligo di acquistare tutte le copie invendute ancora giacenti nel magazzino del primo editore. Qualora le parti avessero determinato il numero di
esemplari da tirare il § 1014 prevedeva invece che in caso di una nuova edizione immutata per formato e contenuto l’autore avesse diritto ad un compenso ulteriore rispetto a quello previsto per
l’edizione precedente.
Similmente il § 1167 dell’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch austriaco del 1811 nel caso di
fissazione ex contractu del numero degli esemplari da pubblicare stabiliva che per ogni nuova edizione fosse necessario ottenere un nuovo consenso dell'autore e rinegoziarne le condizioni a mezzo
di un nuovo contratto; mentre il § 1168 prevedeva in ogni caso la necessità di un nuovo consenso
ogni volta che la nuova edizione dell'opera fosse accompagnata da una sua modificazione; e nel caso
di mancato accordo, permetteva all’autore di pubblicare la nuova edizione modificata presso altra
casa editrice, obbligandolo tuttavia a tenere indenne il primo editore per la mancata vendita degli esemplari ancora in magazzino.
(22) Come già notava Antonio Scialoja al § 4 della relazione di accompagnamento al progetto
che avrebbe originato la legge d’autore del 1865, gli autori (e tra questi specialmente i più giovani
non ancora affermati) sono «soventi volte costretti in Italia a correr dietro ad un editore e pregarlo
M ICHELE BERTANI
A partire da questo nucleo iniziale la prassi mercantile ha poi seguitato a
sviluppare lo schema del contratto di edizione, arricchendolo continuamente di
nuovi elementi. Così anzitutto le limitazioni quantitative ora ricordate al potere
dell'editore di sfruttamento economico dell'opera presupponevano l'inidoneità di
questo contratto a produrre effetti definitivamente traslativi dei diritti d'autore.
In questo scenario è emersa ben presto la necessità di proteggere l'interesse dell'editore ad avere legittimazione attiva all'azione di contraffazione, e più in generale a disporre di un titolo da far valere erga omnes pur in assenza (come avverrebbe invece nel caso di mera compravendita) di un trasferimento definitivo
dei diritti sull'opera. Per soddisfare questo interesse già l’Allgemeines Landrecht
prussiano del 1794 faceva discendere dalla stipulazione del Verlagsvertrag
l’attribuzione all’editore di un diritto esclusivo di moltiplicare l’opera in copie e
di immettere in commercio gli esemplari così realizzati (23), nonché la sua legittimazione attiva all’azione di contraffazione (24).
Il secolo successivo ha visto la dottrina tedesca esercitarsi nel tentativo di
offrire una razionalizzazione dogmatica di queste scelte normative. In particolare la prospettiva «dualistica» traeva spunto dalla teorica dominicale per proporre
una costruzione fondata sullo schema dell'acquisto derivativo-costitutivo, in base al quale l'autore a mezzo del contratto di edizione era ritenuto costituire in
capo all'editore diritti di sfruttamento economico dell’opera (cd. Verlagsrechte o
diritti di edizione) strutturalmente analoghi ai diritti reali parziari ed opponibili
erga omnes (25). Mentre per coerenza con la teorizzata indisponibilità della privativa l'impostazione «monistica» giungeva a garantire la protezione erga omnes
dell'editore assegnando al Verlagsvertrag l'effetto di trasferire l'esercizio (di una
porzione) del medesimo diritto spettante all'autore (26). Per la loro efficienza
nel risolvere i problemi di legittimazione dell’editore all’azione di contraffazione queste costruzioni dogmatiche sono poi state ampiamente recepite anche
nell’esperienza italiana, unitamente al duplice modello teorico alla loro base
(27).
Nel percorso di costruzione del tipo socio-economico del contratto di edizione è venuta d’altro canto in considerazione l'esigenza di proteggere l'interesse
dell'autore a vedere la propria opera effettivamente pubblicata e distribuita sul
mercato editoriale. A tutela di questo interesse la prassi negoziale ha registrato
l'introduzione sempre più frequente di clausole che prevedevano espressamente
_______
perché pubblichi un loro lavoro […] quasi sempre senza remunerazione di sorta», cosicché «sarebbe
cosa dura indurre da questa specie di permesso indeterminato di pubblicare un’opera l’alienazione
del diritto dell’autore per tutta la sua durata» (il passo ora ricordato di questa relazione è leggibile in
STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 244-245).
(23) In particolare sul contenuto di questo Verlagsrecht v. il § 996 titolo XI, parte I.
(24) A questo riguardo v. i §§ 1034-1035 titolo XI, parte I.
(25) Per questa costruzione v. KOHLER, Das Autorrecht, cit., 283.
(26) In questo senso v. GIERKE, Deutsches Privatrecht, cit, 767, 805-810.
(27) Per un'adesione a questa costruzione procedendo da una prospettiva dualistica v. nella dottrina italiana DE GREGORIO, Il contratto di edizione, cit., 112-123; sul fatto che il contratto di edizione attribuisca all'editore una sorta di usufrutto sull'utilizzazione economica dell'opera v. ROSMINI,
Legislazione e giurisprudenza sui diritti d’autore, cit., 367-368; SATTA, voce Edizione (contratto
di), nel Digesto Italiano, Utet, Torino, 1895-1898, X, 116-117, 129. Nella prospettiva monistica v.
invece PIOLA CASELLI, Del diritto di autore, cit., 712-714, che pur non accogliendone integralmente
le premesse sulla natura solo personale del diritto d'autore riprendeva la tesi di Gierke sull'idoneità
del Verlagsrecht a generare la sola trasmissione all'editore dell'esercizio della privativa; su quest'ultimo punto v. l'adesione di STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 289, che pure procedeva da una
prospettiva dualistica.
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l'obbligazione per l'editore di stampare e divulgare l'opera (28). Mentre la dottrina coeva ha sostenuto in vario modo che in mancanza di una determinazione
espressa in contrario la stipula del contratto di edizione comportasse l'assunzione da parte dell'editore di un obbligo di pubblicare e distribuire l'opera (29).
Alla fine del XIX secolo il tipo socio-economico del contratto di edizione
appariva ormai delineato in tutti i suoi caratteri essenziali (30). In questo scenario è iniziato il dibattito sull'opportunità della sua recezione normativa su base
tanto nazionale quanto sovrannazionale, specialmente al fine di garantire una
protezione dell'autore contraente debole ogni volta che l'asimmetria di potere
contrattuale rispetto all'editore gli impedisse di ottenere la contrattualizzazione
delle garanzie della durata limitata del rapporto e dell'obbligo di riproduzione e
distribuzione dell'opera (31). Mentre il Gesetz über das Verlagsrecht tedesco
provvedeva già nel 1901 a legificare il tipo del contratto di edizione secondo lo
schema dell'acquisto derivativo-costitutivo supra illustrato (32), in Italia ha pre_______
(28) Sul fatto che i contratti stipulati per regolare i rapporti tra autore ed editore (non qualificati
come «contratti di edizione» ed inquadrati genericamente nella locazione d’opere) prevedessero tipicamente l’obbligo di pubblicazione dell’opera v. ad esempio AMAR, Dei diritti degli autori di opere dell’ingegno, cit., 270, 278, 315. Per una constatazione analoga, seppure con riferimento a negozi
qualificati esplicitamente come «contratti di edizione», v. anche SATTA, voce Edizione (contratto
di), cit., 122, 126.
(29) V. qui ad esempio PIOLA C ASELLI, Del diritto di autore, cit., 714, secondo il quale
l’obbligo di pubblicazione costituiva un elemento naturale del contratto di edizione; e v. anche ROSMINI, Legislazione e giurisprudenza sui diritti d’autore, cit., 375, che in modo atecnico parlava di
obbligazione implicitamente assunta dall'editore «anche quando espressamente non si dichiari». Al
pari di KOHLER, Das Autorrecht, cit., 285, anche STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 310,
336-337, riteneva invece l'obbligazione ora ricordata un elemento essenziale del contratto di edizione, senza tuttavia chiarire quali conseguenze derivassero sul piano della qualificazione del rapporto
nei casi di sua mancata previsione o di deroga espressa. Analogamente in giurisprudenza Cass. Firenze 23 marzo 1911, in Riv. dir. comm. 1911, II, 563. Quanto alla fonte normativa che riguardo all'obbligo di pubblicazione avrebbe integrato la volontà delle parti gli Autori supra ricordati non offrivano alcuna indicazione espressa. È peraltro ipotizzabile che essi ritenessero possibile realizzare
questa integrazione a mezzo degli usi mercantili del settore editoriale, come previsto dall’art. 1 del
Codice di commercio del 1882. Per uno spunto in questa direzione v. espressamente DE GREGORIO,
Il contratto di edizione, cit., soprattutto se i riferimenti all'obbligo di pubblicazione ivi contenuti alle
pp. 248-249 sono letti in correlazione al ruolo integrativo della volontà delle parti assegnato nella p.
105 agli usi mercantili. Sull’utilità degli usi mercantili ai fini dell’integrazione del regolamento pattuito tra autore ed editore v. in termini più generali ROSMINI, Legislazione e giurisprudenza sui diritti d’autore, cit., 364; STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 269.
(30) Gli elementi caratteristici di questo tipo socio-economico come elaborato dalla prassi e
dalla dottrina ottocentesche sono stati ad esempio distillati nei «Principi» approvati dal Congresso di
Parigi sulla proprietà letteraria del 1889, ove al n. 1 era stabilito l’obbligo dell’editore di pubblicare
l’opera; dal coordinamento dei numeri 1 ed 8 emergeva che a mezzo del contratto di edizione
l’editore acquistava un diritto di edizione esercitabile erga omnes; al n. 2 era previsto che in mancanza di diversa indicazione il diritto acquistato dall’editore avesse per oggetto un’unica edizione (il
testo integrale dei «Principi» è leggibile in ROSMINI, Legislazione e giurisprudenza sui diritti
d’autore, cit., 364-365).
(31) Per una ricostruzione dei termini di questo dibattito v. ROSMINI, Legislazione e giurisprudenza sui diritti d’autore, cit., 365-366; STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 264-269. A cavallo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento ferveva peraltro l’intenso lavoro di studio, di
negoziazione e poi di continuo adeguamento della Convenzione di Unione di Berna del 1886, che
pur introducendo una prima disciplina uniforme su base internazionale del diritto d’autore non avrebbe tuttavia previsto una regolazione organica dei profili relativi alla circolazione della privativa.
(32) Riprendendo l’esperienza dell’Allgemeines Landrecht prussiano del 1794 (sul quale v. supra la nota 21) il § 8 del Gesetz über das Verlagsrecht del 19 giugno 1901, ancor oggi in vigore, stabilisce in particolare che a seguito della stipulazione del Verlagsvertrag l’autore costituisce a benefi-
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valso più a lungo l'opinione contraria (33), che da un lato riteneva sufficiente a
soddisfare le esigenze ora ricordate l'operare del rinvio ex art. 1 del codice di
commercio del 1882 agli usi mercantili; e d'altro canto teorizzava l'opportunità
di non irreggimentare in uno schema rigido un rapporto che la prassi negoziale
veniva plasmando a mezzo di continue modifiche (34).
Una linea intermedia ha ispirato la legge d'autore italiana del 1925, che pur
omettendo di dedicare una disciplina specifica al tipo del contratto di edizione
ha introdotto una regolazione generale di tutti gli atti di «alienazione e trasmissione» dei diritti patrimoniali d'autore, estesa tra l'altro ai profili relativi alla loro
forma, al loro contenuto ed alla loro patologia (35). Apprezzandone l'efficienza
nel risolvere i problemi di legittimazione dell’editore all’azione di contraffazione il legislatore del 1925 ha anzitutto recepito lo schema dell'acquisto derivativo-costitutivo, garantendone l’applicazione indipendentemente dal tipo contrattuale scelto dalle parti (36). In modo altrettanto generale la legge del 1925 ha
poi inteso collegare l'accesso allo schema derivativo-costitutivo all’obbligo del
cessionario di procedere alla divulgazione (e così di volta in volta: alla pubblicazione, alla rappresentazione, all'esecuzione o alla riproduzione) dell'opera
(37). Il legislatore del 1925 ha infine stabilito alcune regole riguardanti la sola
cessione del diritto di pubblicazione dell'opera a stampa, mirate specialmente ad
integrare ed eventualmente a correggere la volontà delle parti a protezione dell'autore quale contraente debole (38).
_______
cio dell’editore un Verlagsrecht (o diritto di edizione), il quale in base al § 9 costituisce titolo esercitabile dal Verleger (erga omnes, e così tra l’altro) per far valere contro i terzi la contraffazione
dell’opera oggetto del contratto. Innovando rispetto al precedente prussiano il § 1 della legge del
1901 introduce tuttavia nello schema del Verlagsvertrag l’obbligo di pubblicazione dell’opera.
(33) Già da alcuni decenni il tipo socio-economico del contratto di edizione trovava peraltro
ampio spazio nella trattatistica italiana. Qui v. ad esempio R OSMINI, Legislazione e giurisprudenza
sui diritti d’autore, cit., 363-387; SATTA, voce Edizione (contratto di), cit., 114-130; STOLFI, La
proprietà intellettuale, cit., II, 264-377, ove alle pp. 273-285 una ricostruzione del dibattito sulla sua
natura giuridica ed un’appassionata difesa dell’idea che si trattasse di uno schema negoziale sui generis, non riducibile ad alcuno dei tipi legali conosciuti né tanto meno agli schemi contrattuali tramandati dalla tradizione romanistica.
(34) In questo senso v. ad esempio R OSMINI, Legislazione e giurisprudenza sui diritti
d’autore, cit. 364-366; per una critica a questa impostazione v. invece STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 268-269.
(35) Durante i lavori della cd. Commissione Polacco, che a partire dal 1917 elaborò una serie
di progetti di riforma della normativa sul diritto d’autore, furono messi a punto un progetto StolfiBarbera che prevedeva la tipizzazione normativa del contratto di edizione ed un «contro-progetto»
Ferrari che si limitava a regolava in generale la trasmissione dei diritti sulle opere dell’ingegno. In
sede di discussione prevalse questa seconda proposta, che avrebbe poi ispirato in qualche modo il
legislatore del 1925 (per una ricostruzione di questa vicenda v. PIOLA CASELLI, Trattato del diritto
di autore e del contratto di edizione2, cit., 721-723).
(36) In particolare questo schema pare chiaramente recepito dall'art. 37 della legge italiana
1950/1925 che menzionava atti a titolo oneroso costituenti «sopra i diritti spettanti agli autori di opere dell'ingegno, diritti frazionari di godimento», sul presupposto che l’atto dispositivo da parte
dell’autonomia privata potesse costituire in capo all’avente causa un diritto di sfruttamento economico dell’opera più limitato del diritto esclusivo acquisito originariamente dall’autore. Altrettanto
emerge poi dal riferimento ex art. 40 co. 2 alla possibilità di effettuare una «cessione […] in modo
non esclusivo» dei diritti dell'autore.
(37) V. qui l'art. 39 l. 1950/1925.
(38) V. l'art. 46 l. 1950/1925, che prevedeva il diritto dell'autore di modificare l'opera anteriormente alla sua pubblicazione, salva la sopportazione delle spese per le correzioni straordinarie;
l'art. 47, che prevedeva a carico dell'editore un obbligo di interpello dell'autore sull'opportunità di
apportare modifiche all'opera in caso di sua nuova edizione; l'art. 48, che prevedeva il diritto dell'autore di opporsi alla fissazione di un prezzo di copertina tanto oneroso da pregiudicare i suoi interessi
e la diffusione dell'opera, l'art. 49, che prevedeva il diritto dell'autore di contrassegnare gli esemplari
dell'opera anteriormente alla loro messa in commercio, per controllare più agevol mente il rispetto
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Questo primo embrione importante di regole generali sui contratti relativi ai
diritti patrimoniali d’autore è poi stato ulteriormente arricchito e specificato dalla legge 22 aprile 1941 n. 633. Anzitutto la nuova disciplina ha stabilito una serie di regole generali sulla trasmissione dei diritti ora ricordati (39). A seguito
della contaminazione con l'impostazione dirigista che ha accompagnato la lunga
(e sostanzialmente coeva) esperienza della codificazione del 1942 il legislatore
del 1941 ha poi provveduto a legificare il tipo socio-economico del contratto di
edizione, che ha inglobato le regole sugli effetti derivativo-costitutivi e le altre
sul contenuto del contratto originariamente riferite dalla legge del 1925 a tutti
gli schemi negoziali in tema di diritti d’autore.
In base all'art. 118 l.a. il contratto di edizione è attualmente regolato dalle
disposizioni (artt. 118-135) ad esso specificamente dedicate dalla legge d'autore
(40), dagli artt. 107-114 destinati in generale a disciplinare la trasmissione dei
diritti d'autore; nonché «dalle disposizioni contenute nei codici», secondo un
rinvio estensibile alla disciplina contenuta nel libro IV del codice civile del 1942
(41). La disciplina tipica del contratto di edizione rappresenta infine il modello
per una regolazione in buona parte de relato degli schemi negoziali del contratto
di rappresentazione (per le opere drammatiche, drammatico-musicali, coreografiche, pantomimiche e per tutte le altre destinate ad essere rappresentate in pub_______
dei patti che commisurassero il suo compenso al successo commerciale dell'opera.
(39) V. la sezione I del capo II del titolo III della legge del 1941, comprendente gli artt. 107114 l.a.
(40) Il contratto di edizione non ha sin qui conosciuto una normazione a livello soprannazionale e comunitario, a differenza dei diritti d'autore, che sono stati invece oggetto di diverse convenzioni di diritto materiale uniforme e di numerose direttive di armonizzazione dell'Unione Europea. Uno
progetto di normazione uniforme in tema di contratto di edizione è stato elaborato congiuntamente
nel 1985 da OMPI ed UNESCO, ma non ha poi ricevuto alcuna sanzione ufficiale (v. il testo in IDA
1985, 288 ed ivi 1986, 526, con il rapporto presentato dagli estensori del progetto).
(41) I lavori preparatori della legge d'autore del 1941 hanno corso in parallelo a quelli del codice civile del 1942. Dalla Relazione della Commissione ministeriale sul progetto della legge
633/1941, leggibile in PIOLA CASELLI, Codice del diritto di autore, cit., 12ss., traspare tuttavia che i
commissari lavorarono al nuovo testo della legge diritto d'autore immaginandone un coordinamento
(non con il futuro codice civile del 1942, ma) con l'assetto codicistico ottocentesco in quel momento
ancora vigente: e così tra l'altro avendo presente non solo il codice civile del 1865, ma anche il codice di commercio del 1882. Ed infatti in base all’art. 3 n. 10) di questo codice l’esercizio dell’attività
editoriale era considerato un atto di commercio, mentre secondo l’art. 8 l’editore esercitando questa
attività in modo professionale assumeva la qualifica di "commerciante": cosicché sulla scorta
dell’art. 54 nel caso di stipula del contratto di edizione, come per tutti gli altri atti «commerciali per
una sola delle parti, tutti i contraenti» erano « soggetti alla legge commerciale». Nella dottrina coeva
sulla qualificazione del contratto di edizione e più in generale dei contratti tra autori ed editori come
atti di commercio v. per tutti STOLFI, La proprietà intellettuale, cit., II, 234; PIOLA CASELLI, Trattato del diritto di autore e del contratto di edizione2, cit., 805. È pur vero peraltro che secondo l'art. 1
co. 2 del codice di commercio al diritto (e così naturalmente al codice) civile era assegnata una funzione residuale di integrazione della disciplina della materia commerciale. E tanto spiega tra l'altro
perché la parte generale sulle obbligazioni prevista dal codice civile del 1865 sia stata talvolta assunta dal legislatore quale modello per costruire il tipo contrattuale del contratto di edizione. Pur essendo stata emanata l'anno precedente la legge d'autore del 1941 per ragioni contingenti è entrata d'altro canto in vigore soltanto il 18 dicembre 1942,al momento di inizio della vigenza del suo regolamento di esecuzione (regio decreto 18 maggio 1942, n. 1369), come prescrive l'art. 206 l.a. Ed a
quel punto il rinvio ex art. 118 l.a. alle «disposizioni contenute nei codici» non poteva riferirsi ad altro che al nuovo codice civile, entrato in vigore (quanto meno con riferimento al libro IV) a partire
dal 21 aprile 1942.
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blico) e del contratto di esecuzione (per le composizioni musicali) (42).
3. Dall'evoluzione storica della disciplina del contratto di edizione emerge
che la prassi negoziale ha elaborato questo tipo socio-economico ed il legislatore del 1941 lo ha eretto a tipo legale quale strumento a disposizione
dell’autonomia privata per coordinare l'interesse dell'editore ad acquisire un titolo erga omnes per lo sfruttamento economico dell'opera con l'interesse dell'autore a vederla stampata e distribuita sul mercato a spese della controparte. Non a
caso questi due elementi esauriscono la definizione stabilita dall'art. 118 l.a., che
per «contratto di edizione» dichiara intendersi «il contratto con il quale l'autore
concede ad un editore l'esercizio del diritto di pubblicare per le stampe, per conto e a spese dell'editore stesso, l'opera dell'ingegno». Al di là della sua formulazione imprecisa, da questa disposizione emerge infatti che il primo tra gli elementi dello schema contrattuale qui considerato è rappresentato dal fatto che
l'accordo inter partes prevede la costituzione in capo all'editore di un diritto assoluto di pubblicazione dell'opera a stampa (43); mentre il secondo consiste nel
_______
(42) V. qui gli artt. 136-141 l.a.
(43) L'idoneità del tipo qui considerato a produrre in capo all'editore un acquisto a titolo derivativo di diritti aventi per contenuto poteri di sfruttamento economico dell'opera precedentemente
ricompresi entro la sfera giuridica dell'autore/dante causa mi pare confermata da numerose disposizioni della legge d'autore, quali tra l'altro gli artt. 119, 120 n. 2), 122 commi 2 e 5, 125 co. 1 n. 2),
128 co. 1 e 132. Nella versione accolta dal legislatore del 1941 lo schema dell'acquisto derivativocostitutivo prevede peraltro due costruzioni alternative. Nella prima l’autore costituisce a beneficio
dell’editore diritti di sfruttamento economico a stampa aventi carattere esclusivo. Sulla scorta di un
contratto così congegnato l’editore acquista un titolo che la legge qualifica espressamente opponibile
erga omnes, perché diversamente non si spiegherebbe il riferimento ex art. 119 al carattere esclusivo
(e così precisamente: di ius excludendi omnes alios) del diritto trasferito. In ragione di questi caratteri di assolutezza ed esclusività il diritto dell'editore è pertanto opponibile per tutta la durata del contratto tanto all’autore quanto (ai suoi aventi causa: e così precisamente) a coloro che abbiano acquistato la privativa patrimoniale per atti inter vivos o mortis causa: i quali al pari di chiunque altro in
mancanza del consenso dell’editore dovranno pertanto astenersi dall’utilizzare l’opera secondo le
modalità pattuite ex contractu. Per le medesime ragioni questo diritto è poi opponibile a coloro che
abbiano utilizzato l’opera senza il consenso dell’editore, che per conseguenza è legittimato
all’azione di contraffazione per tutti i casi di utilizzazione realizzati successivamente alla stipulazione del contratto di edizione e fino al termine della sua durata.
Nella seconda costruzione prevista dalla legge d’autore il contratto di edizione prevede la costituzione in capo all’editore di un diritto di sfruttamento economico dell’opera a carattere non esclusivo. Questa costruzione si ricava a contrario dall’art. 119 co. 2 l.a., che nel dichiarare presunto il trasferimento di diritti esclusivi ammette in modo tanto implicito quanto inequivocabile la possibilità di
un trasferimento di diritti non esclusivi. Anche questo secondo schema contrattuale permette peraltro all’editore di acquistare un titolo allo sfruttamento dell’opera a stampa (per quanto non esclusivo,
comunque) opponibile a terzi (e dunque in qualche modo dotato di efficacia erga omnes): e così tra
l’altro a qualsiasi titolare successivo della privativa per atto inter vivos o mortis causa, oppure a
qualsiasi cessionario di diritti esclusivi per mezzo di un successivo contratto di edizione, o più in
generale a chiunque contesti all'editore la liceità dell'utilizzazione dell'opera. Non avendo carattere
di ius excludendi questo diritto non legittima invece il suo titolare ad agire per contraffazione verso
ogni utilizzatore dell’opera non autorizzato dall’autore o da altro titolare del diritto patrimoniale.
Piuttosto la legittimazione resta riservata in capo al titolare dello ius excludendi.
Sul fatto che la disciplina del contratto di edizione contenuta nella legge d'autore del 1941 abbia accolto lo schema dell'acquisto derivativo-costitutivo v. già ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Giuffré, Milano 1960, 641, 816-818; VAL. DE SANCTIS, Contratto di edizione, nel Trattato di diritto civile e commerciale diretto da CICU-MESSINEO, Giuffré, Milano, 1965,
100; OPPO, Creazione intellettuale, creazione industriale e diritti di utilizzazione economica, in Riv.
dir. civ. 1969, I, 18-19; AULETTA-M ANGINI, Del marchio. Del diritto d'autore sulle opere dell'ingegno letterarie e artistiche2, nel Commentario del codice civile a cura di SCIALOJA-BRANCA, Zanichelli-Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1977, cit., 196-201. Nella dottrina italiana una parte importante delle opinioni in campo nega tuttavia che lo schema del contratto di edizione preveda la costituzione in capo all’editore di diritti erga omnes, e sostiene per contro che a seguito della conclusione
di questo contratto l’autore si limiti a rinunciare all’azione di contraffazione verso la controparte e
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fatto che la volontà dei contraenti contempla l'assunzione da parte dell'editore di
un'obbligazione di stampare e distribuire l'opera a proprie spese (44).
Nonostante l'art. 118 l.a. vi faccia espressa menzione l'esercizio di un'impresa editoriale e rispettivamente la qualifica di autore delle opere negoziate non
rappresentano invece elementi essenziali dello schema contrattuale qui esaminato, che può ben essere utilizzato anche da parti altrimenti qualificate, quali ad
esempio un soggetto non imprenditore o rispettivamente un avente causa dell'autore per atto inter vivos o mortis causa (45). Tra gli elementi essenziali dello
schema contrattuale qui analizzato non rientra infine la pattuizione di un compenso a favore dell’autore, che pure all’art. 130 l.a. pare oggetto di una regola
inderogabile. Ed infatti la mancanza di garanzie normative riguardo
all’effettività di questo compenso rende la regola in esame sostanzialmente eludibile dalla volontà dei contraenti.
In questo scenario il contratto di edizione si palesa come un tipo legale che
_______
ad assumere l’obbligazione di garantire all’editore il pacifico godimento dell’opera. Più in generale
sul fatto che dal contratto di edizione deriverebbero all'editore meri diritti personali di godimento v.
ad esempio GRECO, I diritti sui beni immateriali, Utet, Torino, 1948, 301, 495; AUTERI, Contratti
traslativi del diritto di autore e principio di indipendenza delle facoltà di utilizzazione, in Riv. dir.
ind. 1963, II, 113-116; GRECO-VERCELLONE, I diritti sulle opere dell'ingegno, nel Trattato di diritto
civile italiano diretto da VASSALLI, UTET, Torino, 1974, XI, t. 3, 299-302; RICOLFI, Il diritto d'autore, cit., 498; M USSO, Del diritto di autore sulle opere dell'ingegno letterarie e artistiche, nel
Commentario del codice civile SCIALOJA-BRANCA, a cura di GALGANO, Zanichelli, Il Foro Italiano,
Bologna-Roma, 2008, cit., 374-375. La natura erga omnes della posizione giuridica soggettiva acquistata dall'editore è negata in particolare da Greco e Vercellone con ampie argomentazioni, che mi
sembrano tuttavia opinabili. Così ad esempio non mi pare possibile invocare a sostegno di questa
posizione il principio del numerus clausus dei diritti assoluti, dal momento che il chiaro riferimento
testuale ex art. 119 l.a. alla natura di iura excludendi alios dei poteri acquistati dall'editore attua una
qualificazione normativa di queste situazioni giuridiche soggettive come tali (e così precisamente:
come diritti assoluti), nel pieno rispetto del principio predetto del numerus clausus. Nè d'altro canto
mi pare rilevante che i diritti dell'editore non partecipino delle caratteristiche proprie di alcuni diritti
reali parziari, quali tra l'altro l'assenza di obblighi di facere a carico dei loro titolari, la loro libera
trasferibilità senza il consenso del «dominus» e la loro durata illimitata: perché questa circostanza
non preclude il carattere assoluto dei diritti qui considerati, ma prova soltanto (come già ampiamente
acquisito dalla riflessione scientifica su questi temi) che i diritti assoluti parziari su cose corporali e
rispettivamente non corporali hanno caratteristiche strutturali e vanno assoggettati a regimi normativi tra loro non completamente omogenei. Né occorre ricordare che queste differenze di regime possono dipendere dalla peculiarità del rapporto negoziale che genera i diritti dell'editore. E qui basterà
segnalare ad esempio che i limiti ex art. 132 l.a. alla trasferibilità di questi diritti dipendono ragionevolmente dal legame esistente tra il loro esercizio e l'obbligazione di pubblicare l'opera. Resta poi da
ricordare che secondo una posizione isolata il contratto di edizione avrebbe invece effetti (non derivativo-costitutivi, né meramente obbligatori, ma) definitivamente traslativi del diritto patrimoniale
d'autore. E qui v. ad esempio ARIENZO, voce Edizione (Contratto di), in Noviss. Dig. It., Utet, Torino, 1957, VI, 409-410, che tuttavia non si cura di raccordare questa costruzione con la previsione ex
art. 122 l.a. di una durata massima ventennale dei diritti acquistati dall'editore.
(44) Quest'obbligazione è poi meglio specificata dall'art. 126 n. 1 l.a..
(45) L’irrilevanza della qualificazione delle parti come «autore» ed «editore» pare tra l'altro
confermata a contrario da alcuni indici testuali. Anzitutto l’applicabilità della disciplina del contratto di edizione anche agli accordi aventi come parte un soggetto che non eserciti un’impresa editoriale sembra essere prevista implicitamente dall’art. 132 l.a., che ammette la cedibilità dei diritti di
sfruttamento dell'opera acquistati dall'editore anche indipendentemente dalla cessione dell’azienda
editoriale. Reciprocamente l’applicabilità della disciplina del contratto di edizione agli accordi aventi come parte un soggetto diverso dall’autore è consentita espressamente dall’art. 121 l.a., che nel
regolare il caso della sua morte prima del compimento dell’opera contempla espressamente la possibilità della continuazione del rapporto contrattuale da parte dei suoi eredi.
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attua la cooperazione tra autore ed editore per perseguire il loro comune interesse alla circolazione negoziale delle opere dell'ingegno (46). Nel disegno del legislatore del 1941 il tipo qui considerato appare d'altro canto come uno schema
inderogabile per conseguire l'effetto di costituire in capo all'editore un potere di
sfruttamento dell'opera a stampa opponibile erga omnes (47), poiché in mancanza di previsioni normative analoghe a quelle previste per il contratto di edizione
gli schemi atipici elaborati dalla prassi negoziale (e tra questi soprattutto la
semplice licenza di utilizzazione dell'opera) sono inidonei a provocare questo
effetto di acquisto derivativo-costitutivo. L'accesso a questo genere di effetti ha
tuttavia per contropartita l’assunzione da parte dell’editore dell’obbligo di pubblicare l’opera (48), nonché l'applicazione di una serie di previsioni ulteriori a
protezione dell'autore, scomponibili in due diverse categorie. Una prima serie di
regole procede dal presupposto che l’autore nell’ambito della relazione asimmetrica con un imprenditore qual è l’editore sia tipicamente un contraente debole,
in quanto dotato di minor potere contrattuale. E vuole ragionevolmente garantire
il soddisfacimento dell’interesse del primo a concorrere nella determinazione
delle modalità di sfruttamento della sua opera da parte del secondo ed a partecipare al suo successo commerciale (49). Mentre una seconda serie di previsioni
vuole proteggere l’interesse dell’autore a recuperare la propria libertà d’azione
qualora dall’attuazione del rapporto con l’editore non sia adeguatamente soddisfatto il suo interesse alla diffusione dell’opera (50). Tanto basta dunque per
_______
(46) Più avanti nel testo l'effetto generato complessivamente dal contratto di edizione è qualificato come «scambio cooperativo». Questa espressione non vuole mettere in dubbio la qualificazione
dello schema qui considerato quale contratto di scambio, analizzata efficacemente da OPPO, Creazione intellettuale, creazione industriale e diritti di utilizzazione economica, cit., 21. Piuttosto questa
notazione vuole segnalare i risvolti di natura lato sensu associativa caratterizzanti questo schema negoziale, che ispirano diversi elementi della disciplina del contratto di edizione; e che ancor prima
della sua tipizzazione legislativa sono stati rilevati da PIOLA CASELLI, Trattato del diritto di autore e
del contratto di edizione2, cit., 768, il quale avrebbe poi avuto un ruolo primario nell'elaborazione
della legge del 1941.
(47) In questi termini mi pare vada riletto il riferimento ex art. 107 l.a. al fatto che per quanto le
parti siano libere di attuare il trasferimento dei diritti patrimoniali d'autore in tutti i modi e forme
consentiti ex lege sono comunque fatte salve (tra l'altro anche, e per quanto qui interessa) le disposizioni ex artt. 118ss l.a. A conferma di questa rilettura basterà ricordare che nella Relazione della
Commissione ministeriale sul progetto della legge d'autore del 1941 il relatore Piola Caselli rileva
che le regole in tema di contratto di edizione «hanno, per la loro natura di norme di legge dettate da
un interesse pubblico generale, il valore di norme cogenti, alle quali, quindi, le parti non possono derogare» (v. qui il punto 101 della Relazione, leggibile in PIOLA CASELLI, Codice del diritto di autore, cit., 35).
(48) Come già abbiamo visto al paragrafo 1 l'art. 39 l. 1950/1925 prevedeva che l'assunzione
da parte dell'editore dell'obbligo di pubblicare fosse un effetto generato inderogabilmente da qualsiasi contratto mirante a trasferire o costituire diritti sull'opera dell'ingegno. Regolando l'obbligo di
pubblicazione (non tanto tra le disposizioni generali ex artt. 107 ss., ma) nella sola disciplina dedicata ai contratti tipici di edizione, rappresentazione ed esecuzione il legislatore del 1941 ha inteso aprire spazi importanti per l'autonomia privata. E reciprocamente ha dimostrato di voler legare quest'obbligo agli altri elementi caratteristici di questi schemi negoziali, quali l'idoneità a generare un acquisto derivativo-costitutivo di diritti erga omnes sull'opera e la previsione di regole a protezione dell'autore quale contraente debole.
(49) Tra queste regole rientrano in particolare quelle previste dagli artt. 119.3 (divieto di cessione dei diritti futuri), 120.1 (divieto di cessione delle opere future priva di limitazione temporale),
120.2 (limitazione a dieci anni della durata dei contratti che prevedano la costituzione di diritti esclusivi su opere future), 122 (limitazione a venti anni del termine massimo di durata dei contratti di
edizione), 130 (obbligo di determinazione del compenso dell’autore in percentuale sul prezzo di copertina), 132 (divieto di cessione del contratto nel caso di pregiudizio alla reputazione dell’autore o
alla diffusione dell’opera).
(50) V. qui tra l’altro gli artt. 124.3 (recesso dell’autore qualora l’editore non provveda alla
nuova edizione dell’opera), 128 (risoluzione del contratto per mancata pubblicazione dell’opera nel
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concludere che la costruzione del contratto di edizione come tipo vincolato per
generare l'acquisto derivativo-costitutivo di diritti di sfruttamento dell'opera mira principalmente a soddisfare esigenze di tutela degli autori, quali contraenti
deboli nel rapporto con gli editori. Ed al pari della disciplina rimanente della
trasmissione del diritto patrimoniale d'autore punta così ad incentivare (non soltanto la creatività intellettuale, ma anche la disponibilità degli autori a consentire) la circolazione negoziale dei prodotti dell'ingegno umano (51).
Per tutte le ragioni sin qui illustrate lo «scambio cooperativo» tra la costituzione di un titolo erga omnes di sfruttamento dell’opera e l’assunzione
dell’obbligo della sua pubblicazione a spese dell'editore esaurisce ragionevolmente il novero degli elementi essenziali del tipo contrattuale qui considerato
(52). A corollario di questa ricostruzione emerge anzitutto che gli accordi in ba_______
termine pattuito), 133 (prelazione a beneficio dell’autore sull’acquisto delle copie dell’opera da
svendere o macerare).
(51) Sul fatto che il regime delle risorse di proprietà intellettuale esprima un favor generale per
la loro circolazione negoziale mi permetto di rinviare al primo capitolo del mio Proprietà intellettuale, antitrust e rifiuto di licenze, Giuffré, Milano, 2004.
(52) Questa conclusione mi pare prescindere dal metodo che si intenda seguire per individuare
gli elementi tipologici del contratto di edizione. Ad essa porta anzitutto l'esame della definizione legale ex art. 118 l.a. (sul rilievo di questa definizione ai fini della ricostruzione dei tipi contrattuali v.
per tutti BELVEDERE, Il problema delle definizioni nel codice civile, Giuffré, Milano, 1977, 101ss.,
specialmente 169-181). Alla medesima conclusione mi pare si potrebbe tuttavia giungere anche procedendo dal cd. «metodo tipologico», che nella sua applicazione ai tipi contrattuali (per la quale v.
DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova, 1974, 121-172) prevede di valorizzare l'intuizione
dell'interprete per ricostruire il tipo normativo quale quadro complessivo degli elementi distintivi del
contratto, ricavabili (non solo dalla definizione legale, ma in generale) da tutta la sua disciplina e da
ulteriori fonti ad essa esterne (quali ad esempio il raffronto con la disciplina di tipi affini o divergenti, l'esame dell'esperienza giurisprudenziale, il confronto tra disciplina legale e disciplina pattizia,
l'analisi comparatistica, e così via). Ed infatti per quanto riguarda il contratto di edizione basterà ricordare che per tutte le ragioni già illustrate al paragrafo 2 l'essenzialità dei due elementi rappresentati dalla costituzione di diritti erga omnes e rispettivamente di un obbligo relativi alla pubblicazione
dell'opera a stampa è suggerita (non solo dalla definizione ex art. 118 l.a., ma più in generale) da tutta la disciplina normativa di questo tipo negoziale; ed è poi confermata dall'analisi di un'esperienza
normativa, giurisprudenziale e negoziale ormai ultrasecolare e fin dall'inizio transnazionale. La conclusione supra illustrata nel testo mi sembra tuttavia confermata anche procedendo ad una ricostruzione del tipo legale del contratto di edizione che faccia leva specialmente sul contenuto dell'operazione economica espressa da questo schema negoziale, secondo l'impostazione seguita da BIANCA,
Diritto civile, vol. 3, Giuffré, Milano, 1988, 448-449 e da GABRIELLI, Il contratto e le sue classificazioni, in I contratti in generale2, a cura di GABRIELLI, nel Trattato dei contratti diretto da RESCIGNO-GABRIELLI, Utet, Torino, 2006, vol. I, 52-65, se è vero che per tutte le ragioni già illustrate al
paragrafo 2 lo schema contrattuale qui considerato nasce per attuare uno scambio cooperativo che
offra all'autore una garanzia di pubblicazione dell'opera ed all'editore un diritto opponibile erga omnes al suo sfruttamento economico.
Resta infine da ricordare che il tema dello scambio tra l'assunzione dell'obbligo e la costituzione del diritto di pubblicare l'opera è stato talvolta declinato sul piano della definizione della causa
del contratto di edizione (così ad esempio VAL. DE SANCTIS, Contratto di edizione, cit., 91, 108111), in base ad una prospettiva che rimanda alla nozione di causa quale funzione «economicosociale» assegnata dall'ordinamento ai diversi contratti tipici (v. qui per tutti la costruzione dogmatica di BETTI, Teoria generale del negozio giuridico2, nel Trattato di diritto civile italiano diretto da
VASSALLI, Utet, Torino, 1960, vol. XV, t. 2, qui citato nell'edizione ristampata da ESI, Napoli,
2002, 180-181). Una visione più attuale di questo istituto quale funzione concreta, quale programma
contrattuale predisposto in concreto dai contraenti (per l’elaborazione di una nozione di causa intesa
in concreto, quale «funzione economico-individuale» del contratto, v. lo studio di G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Giuffrè, Milano, 1966, 365-375, e v. anche BIANCA, Diritto civile, cit., 419-421, secondo il quale la causa è la «ragion pratica» del contratto, intesa come
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se ai quali le parti dichiarino di voler scambiare un diritto erga omnes di sfruttamento dell'opera a stampa con l'obbligazione di pubblicarla a spese dell'editore, per essere riconducibili al tipo legale del contratto di edizione, sono integrati
ex lege (ove possibile, o sono comunque assoggettati ad uno scrutinio di validità) a mezzo delle regole inderogabili previste dagli artt. 118-135 l.a. per questo
tipo contrattuale; mentre in mancanza di una volontà espressa in contrario, sono
ulteriormente integrati a mezzo delle regole ivi previste che abbiano carattere
meramente suppletivo.
In questo contesto resta da capire quali effetti discendano dalla stipulazione
di un patto riguardante la pubblicazione a stampa di un'opera dell'ingegno qualora la volontà dei contraenti non abbia abbracciato l'uno, l'altro o entrambi gli
elementi tipologici del contratto di edizione. Queste circostanze rilevano sui due
piani correlati della validità dei contratti atipici ora immaginati e rispettivamente
della possibilità di integrare la volontà dei contraenti mediante il regime tipico
del contratto di edizione.
Un primo caso prevede che i contraenti abbiano espressamente escluso l'assunzione da parte dell'editore di un'obbligazione a stampare e distribuire l'opera
a proprie spese. Qui anzitutto la deviazione rispetto allo schema tipico del contratto di edizione impedisce l'accesso agli effetti derivativo-costitutivi. Occorre
allora verificare se il programma contrattuale condiviso dalle parti mirasse o
meno a generare in capo all'editore un titolo erga omnes di sfruttamento dell'opera. Nel primo caso l'impossibilità di conseguire l’effetto programmato inter
partes comporta ragionevolmente la nullità del contratto per impossibilità
dell’oggetto, sempre che non sia possibile preservarne la validità verificando
che le parti avrebbero comunque accettato (in subordine rispetto all'obiettivo dichiarato) la produzione di un mero effetto obbligatorio, quale precisamente l'assunzione da parte dell'autore dell'obbligo di garantire all'editore uno sfruttamento pacifico dell'opera (53). Nel secondo caso il contratto qui considerato rientrerà nello schema atipico che nella prassi viene denominato «contratto di licenza»
(54). E sarà valido soltanto qualora dal complesso del regolamento stabilito dal_______
l'interesse concreto che il programma condiviso dai contraenti mira a realizzare; per un accoglimento giurisprudenziale di queste impostazioni v. da ultimo Cass. 24 luglio 2007, in Contratti 2008,
241; Cass. 20 dicembre 2007, in Corr. Giur. 2008, 921; in generale per una ricostruzione del divenire della nozione di causa del contratto v. ALPA, La causa e il tipo, in Il contratto in generale2, a cura
di GABRIELLI, cit., 541-574) suggerisce tuttavia di riservare l'analisi dei temi sin qui considerati al
piano differente della definizione del tipo del contratto di edizione.
(53) La conversione ex art. 1424 c.c. del contratto di edizione nullo per mancata previsione
dell’obbligo di pubblicazione dell’opera non sarebbe invece possibile qualora sia accertato che le
parti conoscendone l’invalidità avrebbero comunque voluto gli effetti propri di una compravendita
dei diritti patrimoniali d’autore. In questo caso mancherebbe infatti il necessario rapporto di continenza tra lo schema invalido e quello applicabile in seguito alla conversione, dal momento che il secondo (la compravendita) avrebbe effetti (traslativi) più ampi del primo (il contratto di edizione).
Così Trib. Firenze 12 giugno 1971, in IDA 1973, 31; in dottrina VITT. DE SANCTIS-FABIANI, I contratti di diritto di autore, nel Trattato di diritto civile e commerciale fondato da CICU-M ESSINEO e
continuato da MENGONI, XXXI, t. 1, Giuffré, Milano, 2000, 112, nt. 46.
(54) Il «contratto di licenza» è uno schema socio-economico che può essere costruito secondo
numerose varianti. Nei casi più frequenti prevede una dichiarazione di volontà per mezzo della quale
il titolare del diritto patrimoniale d’autore (e dunque: il licenziante) assume l’obbligazione di far godere l’opera al licenziatario senza contestazioni, o semplicemente di non contestarne per parte sua
l’utilizzazione. A sua volta il licenziatario acquista un diritto (di credito) a pretendere dal licenziante
che il proprio uso della risorsa protetta sia libero da contestazioni sue o anche di terzi. Gli schemi
contrattuali qui esaminati possono poi essere complicati ulteriormente abbinando la mera autorizzazione a sfruttare la risorsa protetta ad un patto di esclusiva. Stipulando un contratto (o, nel caso di
accordi a contenuto più ampio, una clausola) di licenza esclusiva il licenziante si obbliga così a ga-
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le parti emerga la sua idoneità ex art. 1322 c.c. a perseguire interessi meritevoli
di protezione (55). Quando pure sia in grado di superare il test previsto dall'art.
1322 c.c. lo schema negoziale qui considerato presenta differenze notevoli rispetto al tipo del contratto di edizione. Manca infatti di entrambi gli elementi essenziali che caratterizzano questo contratto tipico. E dunque non merita di essere integrato a mezzo della disciplina tipica ex artt. 118ss. l.a.
Un secondo caso prevede che le parti sostituiscano la produzione di effetti
derivativo-costitutivi (e così precisamente: la costituzione in capo all'editore di
un titolo erga omnes di sfruttamento dell'opera) con un consenso alla pubblicazione dell'opera generatore di meri effetti obbligatori (56); e che mantengano
ferma tuttavia l'obbligazione dell'editore a stampare e distribuire l'opera a proprie spese. In questo caso gli elementi tipologici che prevedono lo scambio a fini cooperativi tra un titolo allo sfruttamento dell'opera e l'obbligo di pubblicarla
rimangono presenti, seppure con una variante limitata riguardo alla natura (non
erga omnes) di questo titolo. Mentre gli interessi perseguiti dalle parti sono assai
omogenei rispetto a quelli soddisfatti dallo schema tipico del contratto di edizione. Tanto dovrebbe ragionevolmente bastare per giustificare l'integrazione di
questo schema atipico con la disciplina ex artt. 118ss. l.a. (57).
_______
rantire al licenziatario un godimento (non solo scevro da contestazioni, ma anche) esclusivo
dell’opera: e così tra l’altro si impegna a non utilizzarla per sé, a non autorizzarne l’uso da parte di
terzi ed a reagire tempestivamente contro qualsiasi utilizzazione di soggetti diversi dalla controparte
contrattuale.
(55) Qui sorge il problema se il test previsto dall’art. 1322 c.c. possa essere superato da uno
schema contrattuale nel quale l'editore in cambio del consenso dell'autore ad (e dunque: dell'assunzione dell'obbligazione di garantire) uno sfruttamento dell'opera in forma esclusiva non assuma alcun obbligo (né di pubblicare l’opera, né tanto meno) di pagargli un compenso, oppure assuma
l’obbligazione di versare un compenso puramente simbolico in quanto irrisorio, oppure solo eventuale, perché destinato a maturare solo a seguito della vendita di un numero di esemplari elevatissimo. Nell'ottica qui preferita, in base alla quale l'accertamento ex art. 1322 c.c. si risolve in un giudizio di liceità della causa concreta del contratto e prescinde da qualsiasi sindacato ulteriore di meritevolezza degli interessi negoziali (per questa impostazione v. già G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., 249-255, 406-412; CARUSI, La disciplina della causa, in I contratti in
generale2, a cura di GABRIELLI, cit., 596-601; ma v. anche BIANCA, Diritto civile, cit., 432-433, il
quale pure rileva la necessità che la causa non sia irragionevole o incompatibile con l'utilità sociale)
mi pare che occorra concludere per la liceità degli schemi contrattuali supra considerati. In quest'ottica l'interesse (personale, ma anche patrimoniale) che l'autore può avere a costruirsi una chance di
pubblicazione dell'opera presso un determinato editore giustifica infatti l'attribuzione alla controparte di una licenza esclusiva senza altra contropartita, oppure con un compenso puramente simbolico.
(56) Qui si pensi ad esempio ad un contratto nel quale l’autore si limiti a dichiarare espressamente di autorizzare l’editore a stampare e distribuire esemplari dell’opera, obbligandosi contestualmente a garantirne il pacifico godimento rispetto a pretese di eventuali terzi, tra i quali anche i
successivi titolari per atto inter vivos del diritto d’autore sull’opera negoziata.
(57) Mi pare che questa conclusione potrebbe essere tenuta ferma indipendentemente dal metodo che si intenda seguire ai fini dell’integrazione ex lege degli effetti dei contratti che presentino
deviazioni rispetto ai tipi legali. In particolare l’applicazione della disciplina ex artt. 118ss. l.a. allo
schema atipico qui considerato, che vede un elemento tipologico del contratto di edizione (l'obbligo
di pubblicazione) sommato ad un elemento atipico (la mera assunzione di un obbligo di garantire il
pacifico godimento dell'opera), potrebbe discendere anzitutto dall’applicazione della tecnica giurisprudenziale dell'«assorbimento» (sulla quale v. per tutti l’analisi con forti accenti critici proposta da
SACCO, in SACCO-DE NOVA, Il contratto, nel Trattato di diritto civile diretto da SACCO, Utet, Torino, 1999, t. 2, 424-430), in ragione della prevalenza del primo elemento (tipico) rispetto al secondo
(atipico) nella caratterizzazione dell'operazione economica voluta dalle parti. Un risultato analogo
mi pare potrebbe d'altro canto discendere applicando il test della natura dell’interesse perseguito dal-
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Un terzo caso vede le parti assegnare al contratto effetti definitivamente traslativi dei diritti patrimoniali sull'opera dell'ingegno. Qualora l'editore assuma
un'obbligazione a pubblicare l'opera a proprie spese questo schema negoziale attua uno scambio a fini cooperativi e persegue interessi sostanzialmente omogenei rispetto a quelli che caratterizzano il tipo del contratto di edizione (58).
_______
le parti (per il quale v. amplius BIANCA, Diritto civile, cit., 449, secondo un'impostazione che valorizza la causa, intesa come interesse concretamente perseguito dai contraenti, anche al fine di ricostruire il tipo contrattuale e la sua area di applicazione), che nel caso qui considerato è ragionevolmente omogeneo rispetto a quello perseguito stipulando il contratto di edizione. Ma questa medesima conclusione mi pare possa discendere anche dall'applicazione del cd. «metodo tipologico» (sul
quale con riferimento alla determinazione dell'area di applicazione della disciplina legale dei contratti tipici v. DE NOVA, Il tipo contrattuale, cit., 142-148), nella prospettiva del quale lo schema negoziale in esame si limiterebbe a presentare una mera attenuazione di intensità dell'elemento distintivo rappresentato dall'attribuzione all'editore di un titolo di sfruttamento dell'opera. Resta peraltro
inteso che procedendo dalle impostazioni metodologiche di Bianca e De Nova da ultimo ricordate –
che immaginano una relazione necessaria tra applicazione della disciplina tipica e riconducibilità del
contratto entro i confini del tipo legale – l'applicabilità degli artt. 118ss. l.a. allo schema contrattuale
qui considerato presupporrebbe a monte una valutazione positiva della sua riconducibilità entro il tipo legale del contratto di edizione, che dovrebbe essere pertanto ridefinito rispetto a quanto sin qui
immaginato nel testo, ed esteso a ricomprendere qualsiasi accordo dal quale discenda lo scambio
cooperativo tra un titolo (anche non erga omnes) di sfruttamento dell'opera e l'obbligo della sua
pubblicazione.
Senza prestare particolare attenzione ai profili metodologici ora discussi un'opinione radicata in
dottrina e giurisprudenza ritiene peraltro che l'art. 107 l.a., ove corregge il rinvio generale a qualsiasi
modo o forma consentiti dalla legge per trasmettere il diritto d'autore facendo salva l'applicazione
(tra l'altro anche) della disciplina tipica del contratto di edizione, intenderebbe disporre l'applicazione delle regole inderogabili ex artt. 118ss. l.a. anche agli altri contratti (lato sensu) traslativi della
privativa (in questo senso v. VAL. DE SANCTIS, Contratto di edizione, cit., 43-46 e 199; VITT. DE
SANCTIS-FABIANI, I contratti di diritto d'autore, cit., 26-29; ed in giurisprudenza v. ex multis Cass.
7 febbraio 1961, in Riv. dir. ind. 1963, II, 105; Trib. Milano 10 dicembre 1992, in questa Rivista
1993, 170; Trib Firenze 2 febbraio 2007, ivi 2008, 1213; contra invece l'equilibrata Cass. 14 febbraio 1956, in Riv. Dir. ind. 1963, II, 106, secondo la quale le regole inderogabili ex artt. 118ss. l.a.
sono connaturate al modello particolare di contemperamento degli interessi in gioco che viene attuato dal contratto di edizione. Supra alla nota 47 abbiamo visto tuttavia che il riferimento ex art. 107
l.a. alle regole sul contratto di edizione vale soltanto a dichiarare questo schema come inderogabile
per generare l'effetto di acquisto derivativo-costitutivo di diritti di sfruttamento dell'opera a stampa.
Niente impedisce peraltro che singole regole inderogabili dello schema ex artt. 118ss l.a. siano
applicate anche a contratti diversi da quello di edizione ogni volta che questa soluzione sia consentita dall'esistenza delle condizioni per l'analogia legis, secondo un'impostazione che (per quanto possano valere sul piano ermeneutico i lavori preparatori) era già prefigurata al punto 102 della Relazione della Commissione ministeriale sul progetto della legge d'autore del 1941 (leggibile in PIOLA
CASELLI, Codice del diritto di autore, cit., 35) ed è stata poi ben sviluppata da AUTERI, Contratti
traslativi del diritto di autore e principio di indipendenza delle facoltà di utilizzazione, cit., 117-123;
e ripresa da GRECO-VERCELLONE, I diritti sulle opere dell'ingegno, cit., 312-317, ove anche un'analisi puntuale delle regole inderogabili ex artt. 118ss. l.a. che siano suscettibili di applicazione a contratti diversi da quello di edizione (in giurisprudenza per l'applicabilità in via analogica ad altri
schemi negoziali di alcuni tra i profili della disciplina tipica del contratto di edizione v. da ultimo
Trib. Milano, 10 dicembre 2007, in questa Rivista 2008, 1240). In modo analogo mi pare ragioni anche RICOLFI, Il diritto d'autore, cit., 496-497, secondo il quale l'applicazione transtipica delle regole
inderogabili ex artt. 118-136 l.a. deve procedere dalla verifica se esse siano ispirate dall'esigenza di
tutelare l'interesse dell'autore alla divulgazione dell'opera, e per conseguenza siano applicabili ai soli
contratti che (al pari del contratto di edizione) prevedano un obbligo di realizzare questa pubblicazione; oppure se siano ispirate più in generale dall'esigenza di proteggere l'interesse dell'autore quale
contraente debole, e per conseguenza siano suscettibili di applicazione maggiormente ampia.
(58) Secondo VAL. DE SANCTIS, Contratto di edizione, cit., 42, la previsione di un obbligo di
pubblicare l'opera «deve essere sempre presunta, specie nei contratti per opere da creare e nei trasferimenti di diritti in esclusiva, e ciò in quanto l'opera è sempre per l'autore un "messaggio per il pubblico"». Questa impostazione è condivisa da VITT. DE SANCTIS-FABIANI, I contratti di diritto d'autore, cit., 135, specialmente nel caso che l'acquirente i diritti sull'opera eserciti professionalmente un'attività di carattere editoriale. Prima facie questa linea interpretativa potrebbe essere forse praticata immaginando che i contratti non escludenti espressamente un obbligo di pubblicazione siano integrati a mezzo di un uso negoziale ex art. 1340 c.c. E tuttavia nel caso (tipico) di controversie sull'e-
AIDA 2009
Dunque merita ragionevolmente di essere integrato a mezzo delle regole ex artt.
118ss l.a. (59). In caso di mancata assunzione dell'obbligo di pubblicare lo
schema negoziale qui considerato rientra invece nei tipi della compravendita
(nel caso di opera già esistente) o del contratto d'opera intellettuale (nel caso di
opera da creare) ed ove possibile ne viene integrato a mezzo delle relative discipline (60).
Un quarto caso prevede che l’editore assuma l'obbligo di stampare l'opera,
ed eventualmente anche di distribuirla, ma non a proprie spese; oppure con condivisione di spese, profitti e rischi insieme all'autore (61). Anche in queste ipotesi l'assenza di un elemento tipologico quale l'assunzione del rischio della pubblicazione dell'opera da parte dell'editore allontana lo schema atipico qui consi_______
sistenza di questa obbligazione insorte tra autore ed editore resta in campo la limitazione probatoria
ex art. 110 l.a..
In presenza di contratti formulati in modo ambiguo l'assunzione dell'obbligo di pubblicare potrebbe invece discendere da un uso interpretativo ex art. 1368 c.c., qualora fosse possibile dimostrare
che nella prassi editoriale anche in mancanza di previsioni esplicite la cessione dei diritti presuppone
comunque l'obbligazione di circolarizzare l'opera al pubblico. Se peraltro si ritiene (come mi sembra
ragionevole) che l'integrazione ora immaginata della volontà delle parti sia praticabile soltanto per
contratti stipulati tra l'autore ed un imprenditore culturale occorre tener conto del carattere assai atipico di questa fattispecie, dal momento che molto raramente un operatore professionale nel campo
editoriale stipulerà un contratto nel quale non sia stabilito alcunché riguardo ad un profilo tanto rilevante quale l'esistenza o meno di un obbligo di pubblicazione dell'opera.
(59) Anche questa conclusione potrebbe discendere dall'applicazione della tecnica dell'«assorbimento» piuttosto che da quella basata sull'omogeneità degli interessi perseguiti, oppure
dall'operare del cd. «metodo tipologico»: con i medesimi corollari supra ricordati alla nota 57. In astratto lo schema negoziale qui considerato potrebbe essere peraltro rappresentato come una combinazione tra elementi propri del contratto di edizione (l'obbligazione di pubblicare l'opera) e rispettivamente della compravendita (trasferimento definitivo dei diritti patrimoniali su un'opera esistente)
oppure del contratto d'opera intellettuale (nel caso di trasferimento a titolo definitivo dei diritti su un'opera da creare). Tenderei tuttavia ad escludere che in questi casi possa trovare spazio la cd. tecnica della «combinazione» (sulla quale v. per tutti SACCO, in SACCO-DE NOVA, Il contratto, cit., 440441), sulla base della quale si dovrebbe immaginare di integrare il regolamento inter partes attinente
all'obbligo di pubblicazione ricorrendo agli artt. 118ss. l.a., quello riguardante lo scambio tra prezzo
e diritti patrimoniali d'autore sull'opera già esistente utilizzando gli artt. 1470ss. c.c., ed infine quello
relativo allo scambio tra prezzo e diritti patrimoniali sull'opera da creare a mezzo degli artt. 2229ss.
c.c. Mi pare infatti che da un lato gli schemi atipici qui considerati presentino una maggiore omogeneità con il tipo del contratto di edizione rispetto a compravendita e contratto d'opera intellettuale. E
che d'altro canto numerosi elementi di questi schemi atipici (attinenti ad esempio allo scambio tra
prezzo e diritti di sfruttamento economico dell'opera, oppure all'obbligazione dell'autore di creare
opere future) trovino nella disciplina del tipo contrattuale ex artt. 118ss. una regolazione differente
ed incompatibile rispetto a quella prevista per la compravendita o per il contratto d’opera intellettuale, cosicché un'applicazione combinata dell'una e dell'altra non sarebbe possibile. Per l'applicazione
della disciplina ex artt. 118ss. l.a. ad un contratto che prevedeva effetti definitivamente traslativi dei
diritti sull'opera e l'obbligazione per l'editore di provvedere alla sua pubblicazione v. Trib. Firenze 2
febbraio 2007, in questa Rivista 2008, 1213, che non dedica tuttavia spazio all'analisi dei temi sin
qui ricordati.
(60) Sull'impossibilità di ricondurre entro il tipo del contratto di edizione uno schema negoziale
che nel prevedere il trasferimento all'editore dei diritti di sfruttamento economico dell'opera non lo
grava di alcun obbligo di pubblicazione v. ad esempio Trib. Torino, 5 novembre 1997, in questa Rivista 1999, 600.
(61) Una variante arcaica degli schemi contrattuali ora ricordati era rappresentata dal cd. «contratto di associazione libraria», per mezzo del quale l’editore, l’autore oppure entrambi condividevano il rischio della pubblicazione di opere (specialmente se) di grandi dimensioni con finanziatori associati a mezzo di pubblica sottoscrizione. Su questo schema negoziale v. AMAR, Dei diritti degli
autori di opere dell’ingegno, cit., 288-295.
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derato dal contratto d'edizione ed impedisce la sua integrazione con la disciplina
ex artt. 118ss. l.a. Nella prima tra le fattispecie ora immaginate (riguardante i cd.
contratti «di stampa» e rispettivamente «librario») è ragionevolmente applicabile la regolazione tipica dell'appalto. Mentre nella seconda troverà applicazione
la disciplina tipica dell'associazione in partecipazione (62).
Un quinto caso prevede che la controparte dell'autore assuma l'obbligo di
sfruttare economicamente l'opera secondo modalità diverse dalla sua pubblicazione a stampa, pur intesa in senso lato a ricomprendere anche le produzioni
dell'editoria elettronica (63). In luogo della disciplina del contratto di edizione
troveranno anzitutto applicazione gli schemi tipici del contratto di rappresentazione ed esecuzione ogni volta che le parti abbiano pattuito l'una o l'altra tra
queste utilizzazioni economiche dell'opera. Per ogni altra forma di sfruttamento
economico (così ad esempio: la registrazione audiovisiva, la trasmissione radiotelevisiva, e così via) la differenza sul piano delle prestazioni rese dall’editore
rende gli schemi atipici qui considerati abbastanza eterogenei rispetto al contratto di edizione. E mi pare pertanto sconsigliarne l'integrazione con la disciplina
ex artt. 118ss. l.a.
Resta da capire se questa integrazione possa invece aver luogo quando le
parti predispongano un regolamento negoziale complesso, che contempli tutti
gli elementi tipologici dello schema previsto dall'art. 118 l.a. e ne aggiunga altri.
La soluzione positiva potrebbe trovare ragionevolmente applicazione quando il
programma contrattuale predisposto dall'autonomia privata miri comunque a
perseguire principalmente l’interesse delle parti ad uno scambio a fini cooperativi tra un titolo erga omnes di sfruttamento economico dell’opera e
l’obbligazione di pubblicarla per le stampe (64). Tanto accade anzitutto nel caso
_______
(62) In questo senso v. peraltro il Code de la propriété intellectuelle francese dell'1 luglio 1992,
che dopo aver stabilito all'art. L. 132-1 una definizione normativa del contratto di edizione analoga a
quella prevista dall'art. 118 l.a. menziona i due schemi contrattuali ora ricordati, qualificati come
«contrat à compte d'auteur» (v. l'art. L. 132-2) e rispettivamente come «contrat de compte à demi»
(cfr. l'art. L. 132-3), per dichiararne l'estraneità al tipo del «contrat d'édition» e per qualificarli come
«louage d'ouvrage» e «société en participation».
(63) Il testo delle disposizioni dedicate al contratto di edizione ed il sistema normativo che ne
deriva non mi paiono impedire (e l'evoluzione tecnologica recente delle tecniche di sfruttamento delle opere dell'ingegno mi sembra semmai suggerire) di ricomprendere nell'area di applicazione degli
artt. 118ss. l.a. le forme di pubblicazione delle creazioni intellettuale realizzate dalla cd. editoria elettronica. Così ad esempio mi sembra che possano considerarsi preordinati alla «pubblicazione dell'opera per le stampe» i contratti per mezzo dei quali le parti prevedono lo scambio cooperativo tra
costituzione del diritto ed assunzione dell'obbligazione di realizzare una distribuzione dell'opera (anche, o soltanto) in formato elettronico, o addirittura la sua messa a disposizione all'interno di un sito
collegato ad una rete telematica: e qui si pensi in particolare ad un contratto mediante il quale l'editore si obblighi a distribuire su supporto elettronico oppure a mettere a disposizione on-line in
Internet esemplari dell'opera in formato digitale che l'acquirente possa leggere e stampare mediante
un computer. Né mi pare si potrebbe obiettare che in questi casi la stampa dell'opera sia solo eventuale e venga realizzata (non dall'editore, ma) dall'utente finale. A ben vedere il riferimento letterale
ex art. 118 l.a. alla «edizione per le stampe» è infatti pertinente anche in queste ipotesi, se è vero che
la veste editoriale dell'opera viene predisposta dall'impresa culturale, che cura anche la distribuzione
(o, nel caso di uploading in un sito web, la comunicazione) degli esemplari al pubblico, mentre resta
estranea alla sua attività la mera fase esecutiva della fissazione del testo sulla carta, che nella società
dell'informazione è attività facilmente realizzabile dall'utente finale con costi irrisori. I problemi
marginali (e risolvibili in via ermeneutica) di adattamento di alcune regole secondarie della disciplina tipica del contratto di edizione non mi paiono per contro sufficienti per sconsigliare la linea interpretativa qui proposta, che sul piano politico-giuridico ha tra l'altro l'effetto (a mio modo di vedere
irrinunciabile) di estendere anche al campo dell'editoria elettronica l'ampia serie di garanzie degli interessi dell'autore codificata dalla disciplina tipica del contratto di edizione.
(64) In generale sull'applicabilità della disciplina del contratto tipico ogni volta che l'aggiunta
di elementi extratipici generi (non un'alterazione dello schema legale tipico, ma) un mero sottotipo
AIDA 2009
che lo schema tipico del contratto di edizione sia arricchito con un'obbligazione
a carico dell'autore di acquistare un quantitativo predeterminato di copie dell'opera a titolo di contributo per la sua pubblicazione (65). Un discorso analogo
potrebbe poi valere qualora accanto alla pubblicazione a stampa dell'opera le
parti disciplinino la costituzione per un periodo di tempo determinato o la cessione a titolo definitivo all'editore di alcuni diritti di sfruttamento economico
dell'opera non inerenti a questa pubblicazione ma ad essa in qualche modo ancillari, quali ad esempio il diritto di fare una traduzione in altra lingua dell'opera
letteraria, di elaborarla per farne un adattamento cinematografico, di inciderla e
distribuirla su supporto discografico.
Resta infine da stabilire se questa soluzione possa valere anche per lo schema negoziale ormai socialmente tipico (e tuttavia mai disciplinato sul piano
normativo) che prende il nome di «contratto di edizione musicale», mediante il
quale le parti regolano la costituzione del diritto e dell'obbligazione di pubblicare a stampa l'opera musicale o drammatico-musicale quali elementi accessori di
un contratto più ampio, che sul piano economico mira principalmente a far conseguire al cd. «editore musicale» (in genere coincidente con un produttore fonografico) l'acquisto a titolo definitivo dei diritti esclusivi di sfruttamento dell'opera sul mercato discografico (66). Qualora mai si volesse ammettere la soluzione
positiva mi pare tuttavia che l'integrazione di questo schema negoziale atipico
con la disciplina ex artt. 118ss. l.a. dovrebbe essere limitata alla porzione del re_______
v. GABRIELLI, Il contratto e le sue classificazioni, cit., 52-58.
(65) Mi pare che questa conclusione debba essere comunque subordinata alla verifica che a)
l’autore abbia un interesse effettivo ad acquisire una determinata quantità di copie dell’opera, per
soddisfare ad esempio un suo interesse alla loro circolazione gratuita all’interno di determinati circuiti culturali (come accade spesso per le pubblicazioni di carattere scientifico); e che d’altro canto
b) l’entità del suo contributo non sia tanto elevata da (comportare una condivisione del rischio editoriale, e dunque da) trasformare lo schema negoziale da contratto di edizione in una associazione in
partecipazione, o addirittura (nel caso di acquisto dell’intera tiratura) in un contratto d'appalto. Per
un caveat in parte analogo v. AULETTA-M ANGINI, Del marchio. Del diritto d'autore sulle opere dell'ingegno letterarie e artistiche, cit., 203-204.
(66) In particolare qui resta da capire se l’aggiunta degli elementi extratipici che differenziano
il contratto di edizione musicale generi un mero sottotipo dello schema contrattuale ex artt. 118ss.
l.a., oppure dia corso ad un vero e proprio stravolgimento dell’operazione economica normalmente
sottesa al tipo del contratto di edizione. In questo scenario non si può peraltro dimenticare che nell'economia del contratto di edizione musicale lo scambio cooperativo tra diritto ed obbligazione di
pubblicare l'opera per le stampe è un elemento assolutamente secondario rispetto alle altre previsioni
inter partes, che mirano piuttosto a far conseguire all'editore musicale/casa discografica a) l'acquisto
in via definitiva del diritto d'autore b) su una forma di sfruttamento dell'opera (precisamente: quella
discografica) che per richiedere una mediazione interpretativa è ontologicamente diversa dall'edizione a stampa. Proprio facendo leva su questi profili differenziali un’opinione abbastanza sedimentata
esclude l'applicabilità in via diretta degli artt. 118ss. l.a. al contratto di edizione musicale (in questo
senso v. per tutti RESCIGNO, Edizioni musicali e durata del contratto, in Riv. dir. civ., 1989, I, 423427; JAEGER, Trasferimento di diritti di autore, contratto di edizione e contratto di riproduzione fonografica, in IDA 1991, 84; in giurisprudenza v. Cass. 25 giugno 1998, in questa Rivista 2000, 653;
App. Roma, 20 giugno 1995, ivi 1996, 395). Per una diversa impostazione v. invece VAL DE SANCTIS, Contratto di edizione, cit., 76-78, il quale procedendo da una rilettura qui non condivisa dell'art. 119 l.a. sostiene che tra gli altri «diritti che spettano all'autore nel caso dell'edizione» ivi menzionati sarebbero ricompresi tutti quelli mirati allo sfruttamento dell'opera per incorporazione in un
prodotto lato sensu «editoriale» destinato a circolare presso il pubblico. Per corollario di questa impostazione De Sanctis ammette così l'applicazione diretta degli artt. 118ss l.a. anche al contratto di
edizione musicale.
M ICHELE BERTANI
golamento contrattuale che disciplina la pubblicazione a stampa dello spartito.
Mentre alla porzione residua del rapporto negoziale inter partes dovrebbero essere applicate le sole regole generali del tipo qui considerato che in base alle peculiarità del singolo caso si rivelino suscettibili di applicazione analogica (67)
_______
(67) Così tra l'altro sull'inapplicabilità al contratto di edizione fonografica del limite di durata
ventennale ex art. 122 l.a., v. ex multis Cass. 23 giugno 1998, in questa Rivista 2000, 653;Trib. Milano, 25 novembre 1992, ivi 1993, 168; App. Milano, 5 dicembre 1995, nel repertorio di questa Rivista 1997, voce I.19; Trib. Roma, 11 dicembre 2000, in questa Rivista 2001, 793, sulla base della
constatazione che la porzione dello schema negoziale qui considerato diversa dallo scambio cooperativo tra diritto ed obbligazione di pubblicare l'opera a stampa non genera (a differenza di quello ex
art. 118ss. l.a.) un rapporto di durata, ma si limita a produrre l'effetto istantaneo del trasferimento definitivo all'editore musicale dei diritti di sfruttamento fonografico dell'opera.
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