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Il futuro? Credetemi è a Dubai

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Il futuro? Credetemi è a Dubai
18 CRONACHE
•
IL GIORNO - Il Resto del Carlino - LA NAZIONE
Umbria, iome ne vado
DOMENICA 9 OTTOBRE 2011
«Ho creato un’agenzia di consulenza per dare
assistenza-marketing e commercio alle aziende italiane
E il calcio, la mia passione, mi è servito per integrarmi»
QUELLI CHE... PREFERISCONO L’ESTERO
«Il futuro? Credetemi, è a Dubai»
Gianluca Calì, quattro anni fa la «fuga»: ‘Export, i miei affari crescono alla grande’
C’è chi è attaccato alle
proprie radici e non vuole
assolutamente tagliarle,
neanche per pochi mesi.
C’è chi invece decide di
armarsi di valigie e idee
e andare altrove: una storia
di intraprendenza. Questa.
·DUBAI
LUI È UN GIOVANE perugino doc
che per costruirsi la propria vita
professionale è emigrato a Dubai.
Senza alcun rimpianto, avendo
trovato le condizioni ideali per
non avere nostalgia dell’Italia e
dell’Umbria.
A 44 anni Gianluca Calì si è conquistato il proprio spazio, costruendosi una nuova vita. Quattro anni fa ha lasciato l’Umbria e
gli è andata bene. «Era l’unica possibilità che avevo per coltivare la
mia passione dell’export, che oggi
su può fare solo seguendo la strada dell’internazionalizzazione,
presidiando il territorio — dice
— e quindi ho creato a Dubai
un’agenzia di consulenza per dare
assistenza per il marketing e il
commercio alle aziende italiane
che intendono posizionarsi nel
mercato del Golfo e sono convinto che in questo paese ci sono spa-
UN POSTO AL SOLE
Gianluca Calì: casual e ufficialità negli Emirati
zi importanti anche per le imprese umbre. Bisogna crederci».
E lui, in effetti, ci crede parecchio: «Io mi occupo prevalentemente di materiali da costruzione, ma anche di altri settori, quali
ad esempio i trasporti. Proprio in
questo campo — insiste — sono
riuscito a stringere un importante
accordo con le realtà istituzionali
locali ed è stato un bel passo in
avanti». Rientra in Italia ogni due
mesi e si rifugia soprattutto a San
Marco, dove vivono i suoi genitori. Resta a Perugia pochi giorni,
ma non ha perso il gusto di uscire
con gli amici di un tempo. «Gli
Emirati Arabi sono vicini e questo non mi fa avvertire la nostalgia per l’Italia, anche se il mio futuro è qui all’estero — confessa
— visto che mi sono comprato la
casa e convivo da tempo con una
ragazza siriana che lo scorso luglio è venuta con me in Italia. Certo da giugno a metà settembre c’è
umidità, ma con il passare del
tempo ci si abitua e poi il resto
dell’anno è fantastico, come fosse
sempre primavera». E poi? «Poi
mi diverto con il calcio, che è stata da sempre la mia grande passione, e questo mi fa star bene».
Non nasconde di stare vivendo
un’esperienza affascinante anche
sul piano, diciamo così, turistico.
«Lo stato di Dubai – ammette —
è molto bello ed offre tantissimo,
è molto aperto e multiculturale,
con eventi e manifestazioni praticamente ogni giorno, anche se è
ovvio che uno deve dimenticarsi
delle nostre bellezze naturali in
Italia, perché qui è tutto diverso.
Ogni giorno si ha però la possibilità di conoscere nuove persone,
delle più svariate parti del mondo
e questo ti apre la mente». Chissà
se un giorno tornerà definitiva-
mente in Italia? «Per ora non ci
penso affatto — insiste — anche
se nella vita... mai dire mai».
Per tanti anni Gianluca Calì è stato anche un apprezzato calciatore
dilettante, che ha militato con
squadre quali San Sisto, San Marco, Palazzo, Passignanese e via dicendo. Alla sua età non ha smesso
di correre dietro a un pallone ed è
la «stella» della squadra del Panther Dubai Fc, che ha vinto il
campionato la scorsa stagione ed
è stata promossa nella Seconda divisione della Dubai Amateur.
«Abbiamo vinto nella Terza divisione — dice — che corrisponde
un po’ alla Prima categoria in Italia. Nella mia squadra ci sono egiziani, marocchini, siriani, libanesi, inglesi e francesi, con il livello
che è medio alto, in quanto i giocatori sono quasi tutti stranieri
che lavorano e vivono come me
negli Emirati Arabi. Alcuni sono
addirittura professionisti che, in
attesa di trovare una sistemazione
nei club blasonati del Paese, si allenano e giocano in questo campionato. E tra loro ce ne sono alcuni fortissimi». Un grande spettacolo... «In realtà mancano i portieri e per questo in molte partite si
vedono tanti gol. Il calcio è il gioco più bello a livello planetario e a
me è servito quando mi sono trasferito anche per integrarmi non
solo sul piano del lavoro».
Antonello Menconi
LA SCELTA STEFANO MONELLINI HA DETTO ADDIO A CASA E LAVORO: «VOLEVO ALTRO»
«Io, migrante senza necessità, ora vivo in Messico
Ci sono valori, gioia e speranza che l’Italia ha perduto»
· ENSENADA
LONTANO
E FELICE
Stefano
Monellini in
Messico con la
sua famiglia e
qui davanti
alla sua casa di
Ensenada
MEZZANOTTE a Perugia, le tre del pomeriggio ad Ensenada, Messico, alla
frontiera con gli Stati Uniti. Da qui, diecimila chilometri a ovest delle sue origini perugine, Stefano Monellini racconta via skype la sua nuova vita, iniziata
con la sua famiglia nel 2009.
Lo si può considerare un migrante dei
tempi moderni, Stefano. Anche lui ha
trovato l’America, ma parecchi meridiani più in giù rispetto a chi cercava fortuna nel nuovo mondo un secolo fa. Il perché dello «spostamento»? Sta nel concetto di ‘cercare fortuna’: «La mia priorità era far crescere i miei figli in un posto in cui ci fossero ancora dei valori forti. Quel posto l’ho trovato qui».
A Perugia, Stefano aveva tutto: «una posizione rispettabile in una cooperativa
sociale», molti amici, una casa di proprietà in cui viveva con la moglie Martha e i figli Esteban, che allora aveva 7
anni, e David, appena arrivato. Perché
andarsene, allora?
«A Ensenada c’è la famiglia di Marta —
spiega Stefano —, una rete di affetti forte: ma questo spiega perché siamo qui e
non perché siamo partiti. In Italia ave-
vamo tutto e non eravamo felici. Da
noi, dove non manca nulla, manca la
speranza, la gioia di vivere, i rapporti
spontanei che fanno il benessere vero».
Non che sia un Paese facile, il Messico.
«Incarna il meglio e il peggio dell’Occidente – spiega il «nuovo messicano». –
Ensenada stessa, un paradiso tra oceano e deserto, si trova a 100 km da Tijuana, una delle centrali del narcotraffico
LE RADICI
«Dell’Umbria mi mancano
il verde, la storia e l’architettura
Ma Perugia è una trappola...»
sudamericano». Tante contraddizioni,
però, sono una buona «scuola»: «Ricordarsi che quasi tutti qui si svegliano al
mattino senza sapere cosa mangeranno
ti riporta con i piedi per terra — fa notare Stefano —. Mio figlio la povertà vera
l’ha vista qui per la prima volta: ha avuto quasi una crisi isterica. Ho dovuto
spiegargli che i poveri ci sono anche in
Italia, ma ‘ce li nascondono’. Può sem-
brare crudo, ma oggi sono contento di
avere dei figli più consapevoli».
Volare dal primo al cosiddetto terzo
mondo è un colpo di testa, dettato da
una qualche modaiola voglia di evasione? Tutt’altro. «Qui a Ensenada finalmente sono tornato a lavorare per la
gente. Mi occupo di life coaching, un
approccio che punta al benessere completo – fisico, mentale, emozionale e spirituale – attraverso counseling, sport e
meditazione. Ho anche clienti negli Stati Uniti: con alcuni di loro facciamo sedute di meditazione anche via skype».
Una certa nostalgia rimane, ma sullo
sfondo: «Sono ancora perugino, certo.
Dell’Umbria mi manca il verde, la storia e l’architettura: mi dispiace che i
miei figli non crescano nella bellezza di
ciò che l’uomo ha costruito – spiega –.
Ma so anche che Perugia è una trappola. Non ti fa mancare nulla, ti vizia, e va
a finire che non ti muovi mai». E i vecchi amici? La lontananza è solo apparente. «Noi perugini siamo tutti presi
dai nostri impegni, ed erano tantissimi
gli amici che non riuscivo a vedere neanche una volta l’anno. Ora tra skype, il
telefono e facebook, ci sentiamo ogni
giorno».
Micol Pieretti
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