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NON CI È DATO SAPERLO

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NON CI È DATO SAPERLO
Michele Bardin
NON CI È DATO SAPERLO
Da Bion a Tolstoj.
Speculazioni immaginative
sul funzionamento della mente
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Prefazione
9
PARTE PRIMA: TEORIA METAPSICOLOGICA
13
I. Introduzione
Metapsicologia di riferimento
15
17
II. Elementi costitutivi della mente
O
Elemento β
Elemento α
Funzione α
La barriera di contatto
Inconscio rimosso e inconscio non rimosso
Il conscio
L’apparato mentale: un modello
20
20
23
25
26
28
30
31
32
III. Teoria dello sviluppo della mente
La struttura generatrice
La struttura trasformatrice
La struttura censoria
I magazzini
Il conscio
35
35
37
49
52
52
IV. Sviluppo patologico delle nuove istanze
La struttura generatrice
La struttura trasformatrice
54
54
58
La struttura censoria
I grafici: funzionamento della mente
Approfondimento sulla cesura
V. Cosa rimane della metapsicologia classica
73
76
85
94
PARTE SECONDA: UNO STRANO “CASO CLINICO”
103
VI. Premessa
105
VII. Il paziente
107
VIII. Identificazione a massa, sentimento oceanico
e rapporto con O
110
IX. Sintomo psicopatologico e dolore come cesura
121
X. L’irrompere della Verità
132
XI. Contenitore-contenuto e rêverie
136
XII. Il contatto con O
144
XIII. La guarigione
149
XIV. Paralleli con la psicopatologia
151
Bibliografia
158
Prefazione
Bion ci pone apparentemente di fronte ad un paradosso, quando afferma, attraverso una teoria, che, al fine della psicoanalisi intesa come
sapere e tecnica, sia necessario dimenticare le teorie. Anche la sua andrà pertanto dimenticata, anche se ciò significherà l’averla applicata.
In realtà nulla può realmente essere dimenticato. Se ho fatto esperienza di una certa cosa, se ho letto un determinato libro, se ho visto un
film o se sono stato lasciato dalla fidanzata, qualcosa da qualche parte
sicuramente è stato registrato. Forse il monito di Bion, provocatorio
ed eclatante come spesso è il “tono” dei suoi scritti, va inteso come il
consiglio di non seguire rigorosamente solo una specifica teoria, ma di
fare in modo che più teorie convivano in noi, l’una a fianco dell’altra e
che, da esse, possano nascerne di nuove.
«Tutte le scienze, anche quelle che vengono considerate “esatte”,
posseggono un corpus di teorie, talvolta rivali, in continua evoluzione e revisione, non esenti da contraddizioni e incoerenze, comunque
passibili di abbandono di parte o dell'intero della comunità scientifica.
Hanno quindi carattere provvisorio e probabilistico. Il corpus freudiano è esempio tipico di ricerca incessante, quella che produce per l'appunto la instabilità e la caducità delle teorie, indizio di vitalità.
Storicamente possono essere salvate con aggiustamenti anche in
presenza di evidenze contrastanti, se ritenute di ingente contenuto informativo. Possono anche resistere ad evidenze sperimentali falsificanti, quando sia possibile presumere errori negli esperimenti. Può anche
accadere che teorie rivali siano salvate in quanto ciascuna più idonea
9
delle altre a spiegare e a operare sperimentalmente in determinati,
diversi ambiti. Classico esempio in materia è quello delle geometrie
post-euclidee, le quali, pur diverse dalla geometria euclidea, non ne
hanno decretato il definitivo tramonto, a causa della loro applicabilità
a diversi ambiti spaziali, concreti o astratti» (Alberto Meotti 2013, comunicazione personale).
Se questa “legge” è valida per il mondo fisico, allo stesso modo
lo è per quello psichico e in questo la psicoanalisi, con le rispettive
teorie, non differisce affatto dalle altre scienze. Se “l’inconscio è un
insieme infinito di infinite teorie” (Blanco M.), non c’è da sorprendersi
se anche in psicoanalisi vi siano diverse teorie di riferimento più o
meno utili, al fine della comprensione dell’animo umano, ognuna delle
quali è valida per una specifica area dell’attività psichica osservata.
Così come le scienze esatte non differiscono dalla psicoanalisi, allo
stesso modo l’uomo infinito non differisce dall’infinitamente piccolo
e dall’infinitamente grande della realtà fisica. Il fatto che in psicoanalisi le teorie possano apparire in disaccordo e contraddittorie l’una con
l’altra è spesso dovuto all’errore di considerare l’essere umano come
un oggetto finito, quando in realtà si tratta di un oggetto complesso,
multiforme, pluridimensionale ed infinito.
In questo lavoro, quindi, presenterò un contributo teorico sul funzionamento della mente, che è il risultato di una mia personale rielaborazione dei testi psicoanalitici, soprattutto bioniani e post-bioniani,
della mia esperienza come analizzando e di quella con i miei pazienti.
Seguendo il monito di Bion non ho la pretesa che la mia “teoria” sia
esatta, né tantomeno esaustiva. Come tutti sanno, la teoria di Bion è
volutamente insatura e, di conseguenza, diversamente ed infinitamente
interpretabile. Ciò che presento è il modo in cui io la comprendevo nel
momento in cui la scrivevo, e che, come ogni comprensione delle cose,
è in continua evoluzione e trasformazione.
Questo libro è nato in solitudine ed inaspettatamente. Da quando
studio, prima psicologia e poi psicoanalisi, ho sempre dedicato del
tempo alla scrittura, intesa come modo per riordinare pensieri ed idee.
Ho poi pensato di condividere con il mio psicoanalista, per averne un
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parere, il lavoro sulla morte di Ivan Il’Ic (la seconda parte del libro) ed
egli ne era rimasto entusiasta. Volendo avere un’opinione più neutrale
ho deciso di mandarlo poi, “in segreto”, a due autorevoli colleghi, dei
quali conoscevo il lavoro. Mentre attendevo una risposta, ho scritto,
forse grazie anche all’incoraggiamento datomi dal mio analista, quella
che ora è diventata la prima parte del libro (teorica), al termine della
quale ho ricevuto la risposta che attendevo. Entrambi i colleghi contattati valutavano il lavoro ben fatto e degno di una pubblicazione. In
risposta, oltre a ringraziarli, ho inviato loro la prima parte del lavoro,
scritta durante l’attesa, e a quel punto gli stessi colleghi mi hanno suggerito di provare a pubblicare un libro, dati l’interesse e la mole complessiva degli scritti.
Da questa breve nota autobiografica si deduce che il libro è diviso
in due parti, una prima teorica ed una seconda clinica, nate però in senso inverso da come si presentano. Anche sulla base di ciò, è possibile
leggere questo lavoro sia in modo “ordinario”, sia partendo dalla seconda parte. Ho pensato di anteporre la parte teorica poiché credo che
la conoscenza della teoria permetta di comprendere meglio la clinica
anche se, mi rendo conto, è pur vero il contrario, ovvero che dalla praticità clinica si possano evincere e comprendere meglio le speculazioni
teoriche. Suggerisco comunque, per coloro che non hanno una certa
dimestichezza con il pensiero di Bion e con i post-bioniani, di cominciare con la seconda parte, che illustra in modo più concreto, diretto ed
accessibile la complessità teorica della prima.
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PARTE PRIMA
TEORIA METAPSICOLOGICA
I. Introduzione
Tenendo presente che una teoria in campo psicoanalitico non differisce in modo netto da un delirio, se non per il fatto che quest’ultimo
è scevro da dubbio, quello che vorrei proporre in questo lavoro è un
modello metapsicologico della mente.
Una buona scienza basa le sue teorie su fenomeni osservabili e facilmente riconoscibili. Quello che sappiamo dell’essere umano è che
dopo nove mesi di vita intrauterina nasce, cresce, compie delle azioni e
infine muore. Quali ne siano i motivi non ci è dato sapere, tutto quello
che ci è dato sapere è che ciò accade.
Oltre a questo, sappiamo che per sopravvivere l’essere umano ha
bisogno di espletare una serie di funzioni basilari, quali: respirare,
nutrirsi, espletare le funzioni escretorie e dormire. L’impossibilità di
svolgere anche una sola di queste funzioni non è compatibile con la sopravvivenza. Sappiamo inoltre che nel primo periodo della vita extrauterina una di queste funzioni, il nutrimento, può essere svolta solo con
l’aiuto di un’altra persona.
Da un punto di vista prettamente biologico la sopravvivenza dell’essere umano è garantita da queste quattro funzioni basilari. Biologicamente parlando, un essere umano potrebbe non fare altro che compiere
queste quattro attività nel corso di tutta la sua esistenza, fino al giorno
in cui il suo corpo smetta di funzionare adeguatamente, dando origine
a quel fenomeno oscuro ed incomprensibile che chiamiamo morte.
Alcune pionieristiche osservazioni hanno però dimostrato come
queste quattro funzioni, in realtà, non siano sufficienti a garantire la
sopravvivenza dell’essere umano. Spitz (Spitz R.A., Il primo anno di
vita: Studio psicoanalitico sullo sviluppo delle relazioni oggettuali,
Roma, Armando, 1973) ha dimostrato che anche l’assenza di “cure”,
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nella prima fase dello sviluppo, è incompatibile con la sopravvivenza.
I bambini osservati nei suoi studi, nonostante avessero la possibilità di
svolgere le quattro funzioni biologiche basilari, andavano infatti incontro alla morte qualora non fossero state garantite loro cure da parte di
figure di accudimento. Dagli studi di Spitz si deduce quindi che, oltre
alle quattro funzioni basilari, esistono altre funzioni necessarie alla sopravvivenza che, come il nutrimento nella prima fase dello sviluppo,
dipendono da persone esterne. Ne risulta quindi che l’interazione con
gli altri è – al pari di nutrimento, funzioni escretorie, dormire e respirare – una necessità intrinseca alla sopravvivenza.
La psicologia nasce sulla base dell’osservazione che l’essere umano
ha bisogno degli altri esseri umani al fine di sopravvivere, al di là delle
necessità biologiche primarie. Per potersi sviluppare, il piccolo di essere umano ha bisogno di interagire con gli altri e da queste interazioni
dipende la sua modalità di sviluppo.
Affrontare il tema della metapsicologia oggi è un compito arduo.
Lo sviluppo della tecnologia che ha permesso l’ampliamento delle conoscenze sul funzionamento strutturale e sullo sviluppo del sistema
nervoso centrale, producendo una mole impressionante di dati; le conoscenze delle scienze cognitive, della neuropsicologia, della neurologia, delle brain imaging hanno dato molti contributi che possono essere
utili. Ciò nonostante, le lacune circa la conoscenza del funzionamento
della mente sono ancora molte.
Dalla metapsicologia che si evince dagli scritti di Freud sono passati circa cento anni. Numerosi studi e numerosi scritti sono stati spesi al fine di comprendere in quale modo la mente umana funzioni. In
questo lavoro vorrei cercare di presentare una sistematica descrizione
dell’apparato mentale, così come può essere dedotto dagli scritti che
hanno seguito quelli del padre della psicoanalisi. In particolar modo,
prenderò in considerazione gli scritti di Bion e di quelli che vengono
denominati i post-bioniani. Tale scelta deriva dal fatto che questo autore e i suoi successori sembrano aver sviluppato una metapsicologia che
in parte si discosta, pur comprendendola, dalla metapsicologia classica
freudiana.
Non ho la pretesa che questo lavoro sia esaustivo, ma spero che possa contribuire ad accrescere le attuali conoscenze sul funzionamento
della mente.
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Metapsicologia di riferimento
Con metapsicologia si intende un modello descrittivo astratto del
funzionamento della mente. Il metodo attraverso il quale si costruisce
un modello astratto è lo stesso che da secoli si utilizza nella costruzione
di teorie in campo scientifico. Il primo passo è quello dell’osservazione
dei fenomeni, alla quale si cerca di dare una coerenza, attraverso la
costruzione di un modello interpretativo. Come per le scienze esatte,
anche per quanto concerne la psicoanalisi l’osservazione dei fenomeni
è strettamente correlata e condizionata dagli strumenti utilizzati per
l’osservazione.
I tre elementi – strumento, osservazione, teoria –, così come nelle
scienze esatte, anche in psicoanalisi innescano un ciclo virtuoso che
porta ad ampliare il campo della conoscenza circa un determinato ambito di sapere. Per fare un esempio, l’osservazione del moto degli astri
“ad occhio nudo” ha dato la possibilità di registrare una serie di osservazioni, che a loro volta sono state accorpate in una teoria che permettesse di dare ordine e comprensione alle osservazioni stesse. La nascita
di nuovi e sempre più sofisticati strumenti, come il telescopio, ha permesso una serie di nuove osservazioni e, di conseguenza, la necessità
di nuovi e sempre più sofisticati modelli teorici esplicativi. Le teorie
non sono stabili, ma soggette a continue modificazioni, in seguito allo
sviluppo di sempre nuovi strumenti di osservazione. Questo discorso
vale anche per la scienza psicoanalitica.
Sono passati circa cento anni da quando Freud ha inventato, lentamente costruito, ed ampliato un nuovo strumento di osservazione della mente umana. Non credo di essere lontano dal vero nell’affermare
che uno dei più importanti contributi che il padre della psicoanalisi ha
lasciato in eredità all’umanità è per l’appunto lo strumento di osservazione che ha inventato: il setting psicoanalitico. È stato attraverso
questo strumento che si è sviluppata, in seconda battuta, la mole di
speculazioni teoriche circa l’apparato mentale. Esattamente come la
nascita del telescopio ha dato la possibilità di osservare nuovi fenomeni degli astri e di trarre delle leggi sull’Universo, allo stesso modo
la situazione psicoanalitica ha permesso l’osservazione di fenomeni
fino a quel momento passati inosservati, oltre al conseguente sviluppo
ed al proliferare di teorie esplicative. Ciò nonostante, non è corretto
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pensare che lo sviluppo dello strumento psicoanalitico si sia compiuto,
giungendo a termine.
La psicoanalisi è l’unica disciplina che ha come strumento lo stesso
oggetto che indaga. Questa sovrapposizione fra osservatore ed osservato dà origine ad un fenomeno circolare. Che la mente e la teoria
implicita dell’analista influenzino il paziente e la sua osservazione è un
fatto noto da tempo in ambito psicoanalitico. Quindi, in una circolarità
presumibilmente senza fine, ogni acquisizione teorica che entri a far
parte del bagaglio collettivo analitico ne modificherà lo strumento di
osservazione e, di conseguenza, le osservazioni stesse.
Come è possibile allora che, nonostante circa cento anni di ampliamento teorico psicoanalitico, la metapsicologia condivisa dalla collettività degli analisti sia rimasta ancorata al modello freudiano?
In questo lavoro prenderò come punto di riferimento gli scritti bioniani e post-bioniani per un motivo ben specifico. A differenza di tutti
gli altri autori psicoanalitici, mi sembra che solo in Bion si possano
intravedere profonde modifiche al modello metapsicologico freudiano.
Se da un lato Bion resta fedele a tutto il sapere analitico freudiano e
kleiniano, dall’altro sviluppa una serie di ipotesi speculative che amplificano inesorabilmente, e altrettanto inesorabilmente modificano, il
modello metapsicologico preesistente, tanto da indurre alcuni analisti
a considerarlo il fondatore di una nuova scuola.
A conferma di tale osservazione, che mi auguro possa esser condivisa, posso riferire una breve nota autobiografica inerente, che in parte
spiega perché ritengo utile presentare un nuovo modello metapsicologico basato sull’opera di Bion.
Durante la mia analisi di training, situazione unica nel suo genere
dato che il paziente ha l’intenzione di divenire egli stesso analista, ho
avuto modo di sperimentare fenomeni psichici per i quali il modello
metapsicologico classico mi risultava soggettivamente inadeguato.
Non credo sia importante, ai fini di una cura analitica, che il paziente abbia una comprensione teorica circa il funzionamento della mente,
però, per quanto mi concerne, l’interesse teorico ha da sempre accompagnato l’interesse per la cura. Non potendo fare a meno, nella situazione analitica come paziente, di osservare e cercare una comprensione
teorica ai fenomeni che mi accadevano, mi sono accorto che tutto ciò
che avevo appreso dagli studi non era in grado di darmi un quadro
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chiaro. Es, Super-Io ed Io; inconscio, preconscio e conscio; scissione,
proiezione, identificazione proiettiva, rimozione, negazione… erano
tutti concetti studiati ed utili, ma avevo l’impressione che, pur riconoscendone l’importanza, quel che sperimentavo non potesse essere
circoscritto e compreso dal mio rudimentale modello teorico implicito
sul funzionamento della mente.
Prima ancora di iniziare la mia analisi personale avevo già avuto
modo di leggere qualche lavoro di Bion, con il risultato che non ne
avevo capito praticamente niente. Fu sorprendente constatare l’effetto
che invece mi fece la lettura delle sue opere in un momento di maturità
analitica differente. Nonostante le difficoltà, mai del tutto superate e
superabili, nella comprensione dei testi bioniani, mi apparve evidente
che un certo modello teorico metapsicologico che si intravedeva nei
suoi scritti fosse più idoneo a descrivere e spiegare fenomeni psichici
che non ero in grado di comprendere ma che, allo stesso tempo, sperimentavo direttamente. Leggendo ed approfondendo gli scritti bioniani,
mi accorsi che un modello teorico metapsicologico si andava formando
nella mia mente e che tale modello, risultato della mia lettura dell’opera bioniana e della mia esperienza personale come paziente, era più
idoneo a descrivere fenomeni altrimenti destinati a rimanere incomunicabili, se obbligati ad essere compresi attraverso la metapsicologia
classica.
L’abbozzo di metapsicologia che presento in questo lavoro rappresenta quindi la mia personale interpretazione dei testi bioniani e postbioniani. Rielaborazione basata sulla mia esperienza come analizzato e
successivamente sull’osservazione dei miei pazienti.
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