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Quanto piangeremo su quel latte versato?

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Quanto piangeremo su quel latte versato?
Anno LX - N. 4 - 29 febbraio 2012 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Panorama
www.edit.hr/panorama
Quanto piangeremo
su quel latte versato?
Silenzi in cui le cose s’abbandonano
U
na prospettiva particolare sull’arte contemporanea in Italia e sulla
relativa scena performativa sono stati i temi della mostra Silenzi in cui le
cose s’abbandonano allestita presso il Museo di Arte contemporanea
di Zagabria dall’Istituto Italiano di
Cultura, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Ambasciata d’Italia a Zagabria.
L’evento è stato sostenuto dal Ministero della Cultura della Repubblica
2 Panorama
di Croazia, dall’Ufficio Municipale di
Zagabria per l’Istruzione, la Cultura e
lo Sport e dalla Regione Veneto - Direzione attività culturali e spettacolo.
La mostra ha presentato le opere di
undici artisti italiani e Christian Frosi e Diego Perrone in cooperazione
con gli studenti della Scuola di Arti
Applicate e Design di Zagabria hanno realizzato una performance video
che è stata proiettata per tutta la durata della mostra.
In primo piano
Le inquietanti sfaccettature di una protesta durata due settimane
Quanto piangeremo su quel latte?
di Mario Simonovich
E
ra cominciata come tante volte prima. Con l’annuncio del
blocco conseguente allo scontento per i prezzi di prelievo, i trattori
che pian piano venivano istradati sulle viabili, i bivacchi, le dichiarazioni
dei “portavoce”, l’intervento del ministro e... il caso era chiuso.
Questa volta la protesta del mondo della campagna, rappresentata per
l’occasione dai produttori di latte, oltre che per la durata - è arrivata a quasi quindici giorni - ha mostrato caratteristiche nuove su cui sicuramente
avremo l’opportunità di tornare a riflettere quando, secondo un processo
inevitabile, si ripeteranno manifestazioni del genere.
Uno degli elementi che si è imposto maggiormente è l’atteggiamento
assunto progressivamente dalle tre
parti in causa. Gli allevatori in primo luogo, che si sono ostinati - sulla base di affermazioni di cui il pubblico non ha comprove - da una parte a sostenere che il prezzo offerto
era inaccettabile e dall’altra ad insistere con sempre maggior vigore nel
considerare quale primo se non unico interlocutore il governo. Con il
passare dei giorni tale atteggiamento è stato caratterizzato da un oltranzismo sempre più marcato, segnato
dalla pressante richiesta di essere ricevuti dal premier (il che avrebbe
significato l’implicito scavalcamento del competente ministro) ed anche dal capo dello stato, che, se da
un parte ha accondisceso alla richiesta, dall’altra ha liquidato l’incontro con le usuali parole di circostanza che usa pronunciare chi di solito
“regna ma non governa”.
Per quanto riguarda il governo, si
può facilmente comprendere quanto di malavoglia si sia accinto ad affrontare una questione imprevista, e
sicuramente non d’importanza tale
da convogliare qui mezzi ed energie
di cui c’è una spasmodica necessità
se si vuole recuperare ancora il poco
tempo a disposizione per far ripartire
l’economia nazionale.
L’esecutivo si è mosso su due piani. Da una parte facendo capire che i
soldi sono quelli che sono e che pertanto, fosse in perdita o meno, la produzione di latte non poteva assolutamente fruire di quei contributi che i
dimostranti chiedevano a gran voce.
In questo contesto si poneva anche la
riottosità del premier ad incontrare i
produttori. Allo stesso tempo però ed è questo un aspetto particolarmente significativo - ha assunto una posizione che di fatto costitutiva anche
una copertura per l’industria di lavorazione. Per giorni è sembrato che lo
scontro fosse segnato da una bipolarità che di fatto negava la reale “triangolazione” dello scontro. Per capirci
meglio: se il pezzo pagato ai produttori è basso, perché le megalatterie non
si sono fatte avanti ad offrire di più?
È solo compito del governo quello di
offrire e negoziare? Decisamente no:
le latterie sono tutt’altro che governative. Eppure l’Esecutivo si è esposto
ed ha affrontato in pieno il malcontento e questo atteggiamento induce
all’inevitabile conclusione che, fossero di destra fossero di sinistra, i governi devono fare i conti con un liberismo inconcepibile che delega loro
oneri e conflitti riservando ai “signori
del denaro” gli utili, forse non enormi, ma in questo come in altri settori,
palesemente non trascurabili.
Sarà forse per tale motivo che (ci
avete fatto caso?) gli industriali della lavorazione del latte, sempre pronti ad “apparire e comparire” quando
possono appuntarsi al petto qualche
merito, stavolta si sono rintanati nei
loro uffici rinunciando del tutto alla
visibility.
Un’ultima considerazione: da
non dimenticare che quel latte versato nelle strade accanto ai trattori (ma quanti soldi ci vogliono per
comprare ‘sti mostri?) ci farà ancora
piangere. Siamo stati infatti testimoni di un’escalation che sicuramente
darà vita a più duri e preoccupanti
confronti che, come già intravvisto,
potrebbero spostarsi con inaspettata
facilità dal piano economico a quello politico. ●
Costume
e scostume
La caccia
al posto barca
Ai tempi della federativa, si
ricorderà, i lamenti sulla scarsa correttezza dei “ricchi” che
non andavano mai per il sottile
quando si trattava di guadagnare
a danno dei sottosviluppati e dei
“terzomondisti” di cui allora faceva parte anche Belgrado. Ammorbidita, ma non troppo, questa posizione si è ampiamente
mantenuta in Croazia dopo l’avvento del pluripartitismo rafforzandosi anzi negli ultimi tempi con l’intensificarsi delle (più
che giustificate) invettive contro
i “signori del denaro”. Un’invidiabile posizione di principio, si
direbbe, se non fosse per la reazione di cui siamo stati testimoni
in questi giorni, dopo l’annuncio
delle grosse maggiorazioni che
l’Italia intende applicare per le
barche di lusso. Alla TV di stato
abbiamo assistito ad una serie di
serrati ragionamenti volti a valutare due soli elementi: quante
di queste “barchette” italiane potrebbero trovare riparo nei nostri
marina e quali potrebbero essere
gli utili. Uno degli “esperti” addirittura ha prospettato (nel marina di Ragusa) una nuova diga
del costo di svariati milioni. Chi
conosce il fisco italiano sa bene
quanto sia talvolta ingiusto e sbilanciato. Ci si chiede però: che
direbbero le nostre autorità se
dall’altra parte si optasse per una
mossa simile? Ma se proprio vogliamo “catturare” i megayacht
italiani, visto che i nostri soldi
non bastano, perché non chiedere stanziamenti Ue? Nel caso poi
che essa risponda picche, perché
non chiedere magari all’Italia di
appoggiarci?
Panorama 3
Panorama
www.edit.hr/panorama
Ente giornalistico-editoriale
ED IT
Rijeka - Fiume
Direttore
Silvio Forza
PANORAMA
Redattore capo responsabile
Mario Simonovich
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Nerea Bulva, Diana Pirjavec
Rameša, Mario Simonovich,
Ardea Velikonja
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an­nuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa);
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Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00 una
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Versamenti: per la Croazia sul cc.
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PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della
Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno
del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (FiumeCapodistria) e l’Università Popolare di
Trieste
EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a
[email protected]
La distribuzione nelle scuole italiane di Croazia e Slovenia avviene all’interno del progetto
“L’EDIT nelle scuole III”, sostenuto dall’Unione Italiana di Fiume, realizzato con il tramite
dell’Università Popolare di Trieste e finanziato dal Governo italiano (Ministero degli Affari
Esteri - Direzione Generale per l’Unione Europea) ai sensi della Legge 193/04, Convenzione
MAE-UPT.
Consiglio di amministrazione: Roberto Battelli (presidente), Fabrizio Radin (vicepresidente), Maria Grazia Frank Franco Palma, Ilaria
Rocchi, Marianna Jelicich Buić, Livia Kinkela.
44Panorama
Panorama
Panorama testi
N. 4 - 29 febbraio 2012
Sommario
IN PRIMO PIANO
Le inquietanti sfaccettature di una protesta che perdura da giorni
QUANTO PIANGEREMO
SU QUEL LATTE?........................... 3
di Mario Simonovich
ATTUALITÀ
Il governo croato in gravi difficoltà cerca di tenere a bada il debito pubblico
PRIORITÀ: SOVRANITÀ ECONOMICA, CONTROLLO DEI CONTI... 6
L’accordo commerciale preso in esame
dalla Corte di Giustizia
ACTA: LE PROTESTE FERMANO
LA RATIFICA DEL DOCUMENTO... 8
di Diana Pirjavec Rameša
ETNIA
Tantissimi i ragazzi che si sono contesi
l’ambito riconoscimento
PREMIATI A ROVIGNO GLI SPORTIVI DELL’ANNO DELLA CNI... 10
a cura di Ardea Velikonja
PERSONAGGI
Florinda Klevisser, geografo, giramondo, scrittrice: Barcellona città ideale,
l’esagerazione delle megalopoli, sviluppo e qualità di vita, la sua Fiume
DOPO LO SCEMPIO
IN CITTAVECCHIA SALVARE
IL DELTA, MLAKA, IL PORTO... 12
di Bruno Bontempo
LA STORIA OGGI
Una proposta del Circolo “Istria” avanzata in concomitanza con il trentennale
UNA VISIONE TRANSFRONTALIERA
DELLE VICENDE NAZIONALI... 16
di Fulvio Salimbeni
PSICOLOGIA
Quando siamo in tanti ad assistere ad
un atto di violenza, il soccorso è di regola tardivo e inadeguato
PERCHÉ NESSUNO AIUTÒ LA
DONNA PRESA A COLTELLATE
NEL CENTRO CITTADINO?....... 18
di Denis Stefan
FESTA DELLA DONNA
FESTA DELL’8 MARZO? DOVREBBE ESSERE UNA COSA SERIA...... 20
a cura di Nerea Bulva
La flautista udinese Luisa Sello sul ruolo del
gentil sesso nella storia dell’arte dei suoni
NOMI DIMENTICATI, PARTITURE DISPERSE, CARRIERE SPEZZATE....... 22
di Bruno Bontempo
CINEMA E DINTORNI
Film a confronto: “The Iron Lady” di Phyllida Lloyd e “Shame” di Steve McQueen
SESSO SENZA LIMITI, INESAUSTA BANALITÀ DEL MALE....... 24
di Gianfranco Sodomaco
REPORTAGE
Il Kenya d’oggi, stretto fra retaggio coloniale e problemi dimensione globale
HIC SUNT LEONES... NONCHÉ
IL MUCCHIO DI TURISTI CHE
VUOL VEDERLI DA VICINO...... 26
di Nataša Stuper
LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA
“DIGHELO COLA POI∫IA (DIGLIELO CON LA POESIA)”................. 34
di Lino Capolicchio
ANNIVERSARI
Bicentenario della nascita di Dickens:
dure le sue osservazioni sull’Italia
PAESE DI MISERIE E INGIUSTIZIE... 38
ITALIANI NEL MONDO
Rispetto allo scorso anno i censiti sono
risultati pari a 93.742 unità in più
AUMENTATO IL NUMERO DEI
CONNAZIONALI ALL’ESTERO... 40
a cura di Ardea Velikonja
MADE IN ITALY
La sesta edizione di Olio Capitale
A TRIESTE LA PRODUZIONE
OLIVICOLA................................... 42
a cura di Ardea Velikonja
MUSICA
Storia degli strumenti che compongono un’orchestra sinfonica (7)
PER LA FURTIVA LACRIMA È D’OBBLIGO IL CONTROFAGOTTO........ 44
SANREMO: IL FESTIVAL
DELLE POLEMICHE.................... 46
a cura di Ardea Velikonja
SPORT
I vertici federali con le spalle al muro.
L’imprenditore ligure Gabriele Volpi
salva Fiume dalla bancarotta
CALCIO MESSO ALLA FRUSTA, MA
IL RIJEKA SI CHIAMA FUORI........ 48
di Bruno Bontempo
TRA CUCINA E GUSTO
SULLE TAVOLE DEI ROMANI
IL FORMAGGIO ERA UN RE...... 50
di Sostene Schena
MULTIMEDIA
Invece di Facebook c’è chi preferisce
cinguettare conTwitter
MICROBLOGGING: NUOVO MEDIA... 52
a cura di Igor Kramarsich
RUBRICHE.................................. 54
a cura di Nerea Bulva
IN COPERTINA: la protesta dei produttori di latte
Agenda
Aggiornata a data ancora da definire la quinta sessione ordinaria dell’Assemblea
L’Unione Italiana ha chiuso il 2011 in positivo
A
ssorbita in buona parte da interrogazioni, interpellanze e mozioni, la quinta sessione ordinaria
dell’Assemblea di Unione Italiana è
stata aggiornata a data ancora da definire. Infatti, nella riunione di lunedì scorso, alla Comunità degli Italiani “Fulvio Tomizza” di Umago, sono
stati evasi appena due dei complessivamente dieci punti (varie incluse)
all’ordine del giorno.
Approvati i Bilanci consuntivi 2011 per le due sedi dell’UI, ossia Fiume e Capodistria. L’UI di Fiu-
me ha chiuso l’anno precedente con
un attivo di 804.158,18 kune, mentre l’ufficio capodistriano ha riportato un sufficit di 41.181,81 euro. Promosso pure il Programma di lavoro
e Piano finanziario per il 2012, compresa la Programmazione delle attività e degli interventi da finanziarsi
con i mezzi delle Leggi 191/2009 e
25/ e il Fondo per la valorizzazione
delle attività artistiche-culturali italiane delle Comunità degli Italiani e
per la diffusione e la promozione della lingua e cultura italiana. Da rileva-
re che nella programmazione l’UI ha
tenuto conto delle esigenze dell’Università Popolare di Trieste, che si trova in una difficile situazione finanziaria, destinando al suo partner storico 150mila euro.●
Dopo vent’anni Mladen Ćulić Dalbello lascia le redini della Comunità degli Italiani
Damiano Cosimo D’Ambra a capo della CI di Spalato
L
a Comunità degli Italiani di Spalato, dopo
vent’anni ha cambiato
presidente. Mladen Ćulić
Dalbello ha lasciato le
redini, dopo le elezioni, a
Damiano Cosimo D’Ambra (nella foto). Il neoeletto presidente è cittadino italiano (nato a Canosa di Puglia in provincia
di Bari) ed uno dei primi
violini dell’orchestra del
Teatro di Spalato.
E subito si è messo al
lavoro: infatti alla CI si
stanno catalogando i li-
bri e si procede a riordinare il tutto, in attesa del
progetto di ristrutturazione dei vani. Ricorderemo
che la sede della Comunità degli Italiani si trova tra
le antiche mura del Palazzo di Diocleziano.
“Stiamo inoltre lavorando a un nuovo Statuto e poi potremo procedere con l’elezione delle
altre cariche che ci mancano, tra cui anche quella
del Consigliere di Spalato all’Assemblea dell’UI.
Ricorderemo che oltre
alla Giunta (formata da
quattro membri tra cui
il presidente della CI) è
operativa anche l’Assemblea che conta 7 persone. Inoltre abbiamo pure
il Comitato dei garanti.
Comunque abbiamo eletto Mladen Ćulić Dalbello
a presidente onorario della CI”. ●
Lucio Toth ha rassegnato le dimissioni per ragioni di salute
Rodolfo Ziberna nuovo presidente dell’ANVGD
R
odolfo Ziberna (nella foto) è
il nuovo presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia
e Dalmazia (Anvgd). È subentrato
al senatore Lucio Toth (Zara, 1934)
che ha rinunciato all’incarico in seguito a motivi di salute. Nel presentare le dimissioni, Toth ha ribadito che gli impegni oggi richiesti
per rappresentare un’Associazione
così diffusa ed accreditata, vanno
oltre il suo stato fisico e meritano
l’impegno di forze più giovani.
L’Anvgd riunisce gli italiani esuli e i discendenti da Istria, Fiume e
Dalmazia. Rodolfo Ziberna, cin-
quantenne goriziano, è anche presidente da dieci anni del Comitato provinciale di Gorizia dell’ANVGD, dopo esserne stato per quasi
20 anni vice presidente. Ziberna è
anche presidente della Lega Nazionale di Gorizia, oltre che presidente del Consorzio universitario goriziano.
Ziberna ha espresso parole di
grande apprezzamento per l’opera
svolta da Toth in tanti anni di dedizione all’associazione. ●
Panorama 5
Attualità
Il governo croato
Le priorità: so
di Diana Pirjavec Rameša
A
L’ambasciatrice D’Alessandro
ha incontrato il ministro Grčić
L’
ambasciatrice italiana a Zagabria, Emanuela D’Alessandro, è stata ricevuta in visita di presentazione dal vice presidente del governo croato nonché ministro per lo sviluppo e i fondi Ue, Branko Grčić. L’ambasciatrice D’Alessandro si è congratulata con il vice premier per la velocità con cui è stata accolta la Finanziaria e per le direttrici e le priorità che
questo documento fondamentale prevede, soprattutto in quel segmento che
riguarda le prospettive di sviluppo. Durante l’incontro è stato fatto il punto sui progetti che sino ad oggi sono stati cofinanziati dai fondi europei.
Inoltre sono stati individuati campi d’intervento entro cui queste iniziative
possono venir implementate. Inoltre c’è grande interesse per la visita del
ministro italiano per la coesione territoriale Fabrizio Barca “assieme a cui
si potranno condividere le esperienze acquisite ma soprattutto ottenere un
sostegno e indicazioni su come fruire al meglio dei fondi Ue, strutturali e
di coesione” ha piegato il Grčić. Il vice premier ha poi ringraziato l’Italia
per il sostegno che sta dando alla Croazia lungo il non semplice percorso
di completa integrazione nell’Unione Europea e ha auspicato un ulteriore
rafforzamento della cooperazione in ambito economico, in primo luogo nel
settore energetico, nel trasporto turismo e agricoltura.
Di recente l’ambasciatrice D’Alessandro ha incontrato pure il presidente della Regione Istriana, Ivan Jakovčić. Presenti all’incontro il console
generale d’Italia a Fiume, Renato Cianfarani, e Viviana Benussi e Oriano
Otočan in rappresentanza delle autorità regionali.
“Abbiamo avuto un incontro aperto, amichevole, costruttivo - ha dichiarato Jakovčić - e vorrei ringraziare l’ambasciatrice per il sostegno dato
a tutti i progetti istriani nel campo dell’istruzione, della sanità e dell’economia. Per l’Istria, la collaborazione con l’Italia è di importanza strategica ed ogni incontro è occasione per approfondire l’amicizia e la collaborazione”. Ha rilevato pure quanto sia importante quello che l’Italia fa per la
componente italiana in Istria: “Assieme all’Unione Italiana abbiamo dato
vita a importanti programmi. Confermo che la Regione sosterrà anche in
futuro i progetti dell’UI”. Piuttosto soddisfatta l’ambasciatrice italiana ha
rilevato: “Sono in Croazia da quattro mesi ed è la seconda volta che vengo
in Istria, a testimonianza dell’interesse nei confronti della Regione e della
molteplicità dei temi trattati. Questa è una Regione attiva, non solo a livello centrale, ma anche per la collaborazione con varie Regioni italiane. A
seguito dell’entrata della Croazia nell’Ue la collaborazione sarà maggiormente intensificata. Con Jakovčić abbiamo trattato temi tra i più disparati,
a 360 gradi, e ribadisco la disponibilità del Consolato, dell’Ambasciata e
mio personale affinché i rapporti si intensifichino”.●
6 Panorama
umento dell’Iva dal 23 al 25
per cento, un ritocco alle aliquote fiscali sul reddito che
dovrebbe favorire la classe media e
penalizzare i più ricchi, una tassa sui
dividendi, licenziamenti nel settore pubblico e tagli delle tredicesime,
nuove privatizzazioni e meno sussidi pubblici all’agricoltura e all’economia in generale. Sono queste le
principali misure di austerità che il
nuovo governo croato di centro-sinistra, in carica da due mesi, introduce dal primo marzo per diminuire il
deficit dei conti pubblici dal 4,4 per
cento nel 2011 al 2,8 per cento, stabilizzare le finanze pubbliche e tentare di prevenire un declassamento del
debito sovrano della Croazia allo status di spazzatura (junk). Questa sarà
la prima volta in più di dieci anni che
lo Stato croato cercherà di spendere meno rispetto all’anno precedente. Infatti, la legge finanziaria prevede spese nel 2012 per 15,7 miliardi di
euro, una diminuzione di 610 milioni
rispetto al 2011, mentre sono previsti
14,5 miliardi di entrate, con un deficit
di 1,2 miliardi.
“La Croazia non è un Paese povero, ma per mantenere il nostro tenore di vita dobbiamo cambiare la politica economica, essere fiscalmente
più responsabili”, ha detto in Parlamento il primo ministro Zoran Milanovic. “Il nostro obiettivo è mantenere la sovranità economica, essere un Paese che non dovrà chiedere
aiuto agli altri, perché solo quando si
ha il controllo delle proprie casse si è
veramente indipendenti”, ha spiegato il premier, riferendosi alle critiche
secondo cui le misure di austerità sarebbero dettate dalle agenzie di rating
internazionali che stanno aspettando
di valutare l’effetto delle nuove norme sull’economia in generale prima
di rivedere lo status del debito sovrano della Croazia, ora a BBB-, un punto sopra lo status di spazzatura.
Un declassamento renderebbe
estremamente costoso l’indebitamento estero necessario per finanziare il
Attualità
in gravi difficoltà cerca di tenere a bada il debito pubblico dello stato
o vranità economica, controllo dei conti
Il vice premier Slavko Linić e il premier Zoran Milanović
deficit, con il rischio di dover introdurre misure di risparmio molto più
drastiche. Per questo il pacchetto proposto dal governo non prevede licenziamenti di massa nel settore pubblico, ma la cancellazione dei contratti a
tempo determinato, che riguarderebbe circa 4 mila persone su 200 mila
impiegati pubblici. Non sono previsti
tagli agli stipendi base, ma una riduzione di alcuni benefici come le tredicesime, il lavoro notturno e gli straordinari, i buoni per i figli a carico, forse anche l’abolizione di due o tre
festività nazionali.
Per ora non si sa cosa il governo
intenda fare per rilanciare la crescita dell’economia, stimata allo 0,8 per
cento nel 2012, contro lo 0,4 per cento nel 2011, dopo tre anni consecutivi di declino. Contro le previsioni del
governo, la Banca mondiale ha stimato una diminuzione del Pil dell’uno
per cento nel 2012. Il pacchetto di
riforme fiscali prevede la tassazione
con un’aliquota del 12 per cento dei
dividendi superiori ai 1600 euro riscossi dalle azioni, la completa abolizione di qualsiasi imposta sul capitale reinvestito, e una diminuzione del
due per cento dell’imposta per l’assicurazione sanitaria dei lavoratori dipendenti. È stato annunciato anche
un rilancio degli investimenti pubblici nell’economia reale, ma senza un
piano preciso, mentre una forte diminuzione dell’Iva nel settore del turismo, promessa in campagna elettorale, è stata rimandata all’anno prossimo. Infine, entro l’anno il governo
di Zagabria intende privatizzare le
ultime due aziende del settore finanziario ancora di proprietà dello Stato: la Croatia Osiguranje, la maggiore società assicurativa, e la Hrvatska
Poštanska Banka (HPB), il cui valore insieme è stimato a 270 milioni di
euro. Per quanto il governo manterrà una quota del 25 per cento di azioni nelle due società, gli esperti sono
molto critici verso questa decisione,
sostenendo che lo Stato rinuncerà totalmente alla possibilità di influire
sul sistema finanziario nazionale, cedendolo alle banche europee, in questo periodo esposte a rischi della crisi
dell’euro. Infatti ad essere interessata
a rilevare circa il 30 per cento della
proprietà è proprio la EBRD (Banca
europea per lo sviluppo e il rinnovamento) che ha già avviato le trattative
con il governo croato. Non si conosce
ancora con precisione il modello in
base a cui verrà privatizzata una delle ultime banche che erano rimaste di
proprietà croata ma è chiaro che anche questo istituto di credito verrà ceduto... al miglior offerente.
In questi giorni l’amara e drammatica pubblicazione dei dati relati-
vi all’evasione fiscale in Croazia ha
allarmato il governo e l’authority fiscale. Stando ai dati pubblicati, infatti, gli evasori sarebbero 1.385.000
(persone fisiche) a cui vanno aggiunte 131.000 persone giuridiche e altre
261.000 dipendenti autonomi. Detto
in modo piuttosto sintetico ogni terzo cittadino maggiorenne ha un debito nei confronti del fisco. Lo Stato
croato non è stato in grado di incamerare a titolo di tasse ben 42 miliardi di kune... che ora creano grandi problemi di liquidità all’economia
nazionale.
A denunciare pubblicamente il
problema è stato il ministro delle Finanze, Slavko Linić, il quale ha deciso pure di rendere pubblici i nomi
delle persone che sono in difetto...
ovvero che hanno evaso il fisco.
Le misure che il governo propone
onde ovviare questo grande problema sono due: il pagamento del debito senza il computo degli interessi
di mora entro 30 giorni oppure il rifinanziamento del debito in 36 mesi
con gli interessi di mora. Nel caso in
cui lo Stato non riuscisse a mettere
in riga i morosi verrà avviato il processo fallimentare.
Inoltre il ministero dell’Economia ha approvato l’aumento del
prezzo dei derivati della nafta. L’ennesimo rincaro del prezzo del carburante rischia di avere gravi ripercussioni sul bilancio delle famiglie. Per
tale motivo il governo è già sul chi
vive. “L’Esecutivo si accosterà molto seriamente al problema del prezzo
della benzina”, ha dichiarato il ministro Slavko Linić, aggiungendo che
“l’allarme scatterà quando il prezzo
di vendita raggiungerà le 12 kune,
perché ciò rappresenterà un grosso
problema sia per i cittadini sia per
l’economia. Il governo discuterà dei
modelli da applicare per contenere
aumenti superiori a tale soglia”. Il
ministro ha poi rilevato che la soglia
di 10 kune, superata già due mesi fa,
“costituisce un allarme sufficiente
per rendersi conto che i problemi legati approvigionamento del gasolio
sono molto gravi”. ●
Panorama 7
Attualità
L’accordo commerciale sarà preso in esame dalla Corte di Giustizia per
ACTA: le proteste fermano la ratifica d
a cura di Diana Pirjavec Rameša
l commissario al commercio
dell’Unione europea, Karel De
Gucht, ha annunciato che il documento ACTA sarà analizzato dalla Corte di Giustizia europea che dovrà stabilire se il trattato anticontraffazione metta a rischio i diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione.
La Commissione europea, tramite il commissario, ha annunciato di
aver interpellato la Corte di giustizia dell’Unione per esprimersi sulla
validità del documento. In una nota
apparsa sul sito ufficiale della Commissione europea, si afferma che la
Corte si pronuncerà sulla legittimità
del documento ACTA verificando se
la versione attuale possa costituire un
limite alla libertà di espressione e di
informazione. In seguito al rifiuto da
parte di diversi Paesi, tra cui anche la
Germania, di ratificare l’accordo sottoscritto a Tokyo lo scorso 26 gennaio, la Commissione europea ha inizialmente difeso la validità di ACTA.
I
Tuttavia l’incrementare delle polemiche e l’approssimarsi della data
di ratifica dell’accordo prevista per
il prossimo 11 giugno, hanno indotto
la Commissione europea a rivolgersi alla Corte di Giustizia, nell’auspicio che sia l’Alta Corte a legittimare
il documento.
Il commissario De Gucht ha affermato che “il rinvio consentirà alla Corte di Giustizia di chiarire in modo indipendente la legalità
di questo accordo” e ha poi aggiunto di condividere in parte le perplessità esposte dall’opinione pubblica.
Nel frattempo continua ad infuriare
il dibattito su ACTA: i promotori del
documento ribadiscono la necessità
di modificare le norme che regolano il diritto di proprietà intellettuale,
mentre la maggior parte del mondo
del web si è schierato apertamente
contro l’accordo.
Il trattato mondiale ACTA, vorrebbe imporre un controllo legale
sui diritti di proprietà intellettuale
in rete. Il termine “internet” non è menzionato nemmeno una volta in
tutto il trattato.
L’obiettivo dell’accordo ACTA tra
l’Unione europea, gli Stati Uniti, l’Australia, il Canada, il Messico, il Marocco, la Nuova Zelanda, Singapore,
la Corea del Sud e la Svizzera, è quello di rafforzare i diritti sulla proprietà
intellettuale - anche quelli on line - e
sostenere la lotta alla contraffazione e
alla pirateria dei beni (abiti, musica e
film), ma ci sono in tanti che non la
pensano così e in Europa ci sono state
nelle scorse settimana parecchie manifestazioni di protesta come quella
dell’11 febbraio.
Una mobilitazione rumorosa, anche se poco seguita dai media, ma che
nonostante ciò è riuscita nel suo intento: costringere i politici europei a rimboccarsi le maniche e prendere seriamente in esame un “accordo commerciale” che secondo alcuni potrebbe
calare l’ultima scure sulla Rete come
la conosciamo oggi. A quanto pare le
proteste hanno già avuto effetto e in
alcuni paesi, Germania in primis, la
Pare che il governo sia fermamente intenzionato a chiudere
Il crollo annunciato di un gra
l “Vjesnik”, la più vecchia e, in passato, la più prestigiosa testata giornalistica croata, tra breve potrebbe dichiarare la bancarotta per le perdite e
debiti generati in più di vent’anni di
cattiva gestione.
“Per i troppi debiti accumulati e
le vendite ridotte al minimo, il ‘Vjesnik’ dovrà chiudere”, ha annunciato
il vice-premier croato, Radimir Čačić,
come rappresentante del governo, unico proprietario della testata.
“Decine di milioni di euro di soldi pubblici sono stati elargiti al giornale negli ultimi vent’anni per coprire le
perdite di un prodotto che non acquistava quasi nessuno e che non ha più
giustificazione sul mercato”, ha spiegato il vice premier con delega per
l’economia.
I
La decisione definitiva sulla chiusura della testata alla politica, visto
che questo giornale è stato da sempre in funzione della politica più
che del mercato...
8 Panorama
Solo nel 2011 lo Stato ha cancellato i debiti della società verso l’erario e concesso un sussidio di 3 milioni di euro. Nonostante gli sforzi
finanziari profusi la testata non è riuscita a vendere più di 2000-3000
mila copie al giorno, contro le circa
70 mila vendute dai maggiori quotidiani come per esempio “Večernji
List” o “Jutarnji List”.
Il giornale è stato fondato nel
1940 ed è una delle testate più longeve presenti sul mercato croato.
Negli anni Sessanta divenne uno dei
principali quotidiani nella ex Jugoslavia, con picchi di vendite fino a
150 mila copie, specialmente nei periodi in ha dimostrato un considerevole livello di critica verso il regime
comunista.
Attualità
vedere se viola le libertà
el documento
firma dell’accordo non è più così certa.
Nella giornata di venerdì 10 febbraio,
alle soglie di una manifestazione che si
preannunciava significativa (soprattutto considerando che fino ad ora questo
genere di proteste ha avuto una cornice meramente digitale), il governo di
Angela Merkel ha annunciato di aver
rimandato la firma dell’accordo anticontraffazione. In particolare, il ministro della Giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger ha annunciato che
il provvedimento necessita un’attenta analisi prima di essere sottoscritto e
che in ogni caso la firma tedesca non
verrà siglata prima della discussione al
Parlamento Europeo, prevista per giugno. Nel frattempo, in coda alle dichiarazioni del governo sono arrivate le
parole di un altro tedesco, il socialdemocratico Martin Schulz, attuale Presidente del Consiglio Europeo: “Così
com’è l’accordo non va bene.” Va rilevato che le proteste hanno cominciato
a generare risonanze.
In Ungheria, dove poco più di 1000
persone hanno sfilato per le strade di
Sono numerosi i gruppi che contestano la sottoscrizione dell’accordo
commerciale ACTA, tra questi in prima fila c’è Anonymous
Budapest, Anonymous ha lanciato un
attacco hacker all’Hungarian Intellectual Property Office. A Sofia, in Bulgaria, membri del governo e delle autorità
che vigilano sul copyright hanno aperto un tavolo di discussione per ragionare su ACTA e su futuro della proprietà
intellettuale. Si è poi registrato il passo
indietro del governo polacco (tra i più
colpiti dalle proteste hacker) e dell’ambasciatrice slovena in Giappone, che si
è addirittura scusata per la leggerezza
con cui ha sottoscritto l’accordo. Interessante inoltre notare come in Spagna
la Corte Suprema abbia acconsentito a
valutare la richiesta di sospensione di
un provvedimento a lungo contestato, chiamato Ley Sinde, che secondo
gli attivisti spagnoli rischierebbe di
dare alla Commissione per la Proprietà Intellettuale poteri simili a quelli di
un’Autorità Giudiziaria, e quindi di minare seriamente la libertà di espressione in Rete. In Croazia i navigatori della
rete hanno avuto un vivace confronto
online con il presidente Ivo Josipović il
quale si era espresso a favore di ACTA,
ma il governo presieduto da Milanović
pare non abbia intenzione di affrontare l’argomento visto che di problemi al
momento ne ha sin troppi. Tutto rimandato a tempi meno.. complicati.●
il quotidiano. A protestare sono in molti, tra cui la Federazione Europea dei giornalisti
nde impero mediatico. Vjesnik, ultimo atto
Dopo l’indipendenza della Croazia, raggiunta nel 1991, il giornale non venne privatizzato, come successo con le altre testate, ma divenne di fatto un quotidiano pubblico e
filogovernativo supportando le scelte dell’allora establishment politico dell’HDZ con il testa il presidente
Franjo Tuđman. Dopo la democratizzazione del Paese iniziata nel 2000, il
“Vjesnik” ha continuato ad essere il
portavoce del governo, anche se l’allora esecutivo guidato da Ivica Račan
(SDP) avrebbe voluto disfarsene visti
gli alti costi di gestione e la costante perdita di tiratura e di immagine. E
così è stato pure in questi ultimi anni
in cui la proprietà è stata tramessa
all’azienda Narodne Novine (Gazzetta Pubblica), ma solo la testata non la tipografia, e il giornale ha continuato
a dedicare le prime pagine con titoli a
favore dell’operato dei governi conservatori guidati da Ivo Sanader prima e da Jadranka Kosor poi.
Il “Vjesnik” ha potenziato da sempre la rubrica culturale cosa che invece
gli altri editori hanno ridotto al minimo, soprattutto negli ultimi dieci anni,
puntando più sul valore della cronaca,
in primo luogo di quella nera e della
cronaca giudiziaria. Ha dato ampio
spazio, anche se con grandi difficoltà, alla rubrica di politica estera (negli anni Settanta e Ottanta ha avuto
un’invidiabile rete di corrispondenti
dall’estero), ma ciò non è stato sufficiente a salvare la tiratura e a far tornare i conti. Lo sfacelo del grande impero editoriale del “Vjesnik”, che dagli
inizi degli anni Novanta ha chiuso parecchie testate, ha favorito l’affermazione sul mercato di altri editori di
giornali, come l’Europapress Holding
(Jutarnji, Globus) o il gruppo Styria.
Sul caso “Vjesnik” si sono mobilitate le organizzazioni sindacali e
la Federazione europea della stampa con un comunicato in cui si condanna il tentativo di chiudere una testata
che è considerata tutt’oggi una grande
istituzione culturale. L’EFJ ha invitato
il governo croato a fare qualche passo
indietro e a non aprire il procedimento
fallimentare da cui poi dovrebbe scaturire la decisione di chiudere. Ma la
decisione definitiva spetta alla politica, visto che questo giornale è stato da
sempre in funzione della politica più
che del mercato...●
Panorama 9
Etnia
Tantissimi i ragazzi che si sono contesi l’ambito riconoscimento nelle
Premiati a Rovigno gli sportivi dell’an
a cura di Ardea Velikonja
foto di G. Žiković
È
stata la Comunità degli Italiani
di Rovigno quest’anno ad ospitare la premiazione dei migliori sportivi per l’anno 2011 della Comunità nazionale Italiana di Croazia
e Slovenia. La manifestazione è stata organizzata dall’Unione Italiana,
dall’Università Popolare di Trieste,
dal CONI del Friuli Venezia Giulia,
con la collaborazione della Comunità Italiana di Rovigno, della Città di
Rovigno, della Società turistico-alberghiera Maistra di Rovigno e della
TV Capodistria.
Ospiti d’onore quest’anno il noto
calciatore italiano Giancarlo Antognoni e il cronista amato da tutta Italia Bruno Pizzul. Tra gli esponenti di spicco da rilevare la presenza
dell’ambasciatrice d’Italia a Zagabria
Emanuela D’Alessandro, il console
generale a Fiume Renato Cianfarani nonché il sindaco e il vicesindaco
do Rovigno rispettivamente Giovanni Sponza e Marino Budicin, i rappresentanti del CONI del Friuli Venezia Giulia, Emuilio Felluga, Giorgio Brandolin e Francesco Cipolla, e
il presidente dell’Associazione spor-
I vincitori
GIOVANI PROMESSE
Antonio Vitasović, Dignano, tennis
Igor Savatović, Verteneglio, calcio
RAGAZZE/RAGAZZI
Miglior sportiva 2011
Petra Šunjić. Fiume, nuoto
Sportiva esemplare 2011
Alessia Švagelj, Isola, pallamano
Miglior sportivo 2011
Paolo Grgorinić, Pola, vela optimist
Sportivo esemplare 2011
Moreno Emanuelle Pinter, Cittanova, karate
CADETTE/CADETTI
Miglior sportiva 2011
Mia Šestan, Fiume, nuoto sincronizzato
10 Panorama
Il gruppo dei premiati per la tradizionale foto
tivi sloveni in Italia Giorgio Kufersin.
Presenti pure il presidente dell’Unione Italiana, Furio Radin e della Giunta
Maurizio Tremul nonché Silvio Delbello presidente e Alessandro Rossit e
direttore generale dell’Università popolare di Trieste.
La manifestazione è iniziata
con l’esibizione del coro della SAC
“Marco Garbin” di Rovigno diretto
da Giorgio Sugar a cui sono seguiti i
discorsi di circostanza. Quindi la presentazione degli ospiti d’onore: Giancarlo Antognoni noto giocatore di
calcio e il cronista sportivo amato da
tutta Italia Bruno Pizzul. La TV Capodistria ha pure preparato un breve
Sportiva esemplare 2011
Katja Tonković, Fiume, nuoto
Miglior sportivo 2011
Kevin Bozic, Isola, bocce
Sportivo esemplare 2011
Kristian Brkić, Fiume, karate
ALLIEVE/ALLIEVI
Miglior sportivo 2011
Sara Calderara, Fiume, nuoto
Sportiva esemplare 2011
Francesca Bulian, Fiume, tiro a segno
Miglior sportivo 2011
Marco Opšivač, valle, kick boxing
Sportivo esemplare 2011
Filip Ušić, Pola, judo
JUNIORES FEMMINE/MASCHI
Miglior sportiva 2011
Dunja Štokan, Fiume, calcio femminile
Il presidente dell’UI, Furio Radin,
con una delle ragazze premiate
filmato sulla carriera calcistica di Antognoni. Ha chiuso la parte non ufficiale della manifestazione il duo KriSportiva esemplare 2011
Rebecca Pellizzer, Rovigno corsa
campestre
Miglior sportivo 2011
Antonio Poretti, Rovigno, vela laser 4.7
Sportivo esemplare 2011
Sandro Venier, Rovigno, pallavolo
SENIORES FEMMINE/MASCHI
Miglior sportiva 2011
Stella Zambelli, Fiume, equitazione
Miglior sportivo 2011
Giovanni Cernogoraz, Cittanova,
trap (tiro a volo)
SQUADRE
CI di Fiume, squadra calcetto Over 30
OPERATORI SPORTIVI
Fredi Rajdojkovič, Isola, allenatore Cimos Koper - squadra di pallamano
Etnia
specialità più svariate
no della CNI
stian Terzić e Marko Ramljak che
si sono esibiti al pianoforte e rispettivamente al violino in tre composizioni. Quindi il momento solenne della premiazione in cui ai due
sportivi dell’anno il premio è stato
consegnato proprio dal giocatore
italiano. Giovanni Cernogoraz, definito il miglior sportivo dell’anno
2011 della CNI ha così realizzato
il sogno di ogni sportivo: arrivare
alle Olimpiadi. Il cecchino di Cittanova, come viene amorevolmente
chiamato avrà così la possibilità di
inseguire ai Giochi di Londra non
più un sogno ma un bel risultato nel
trap o tiro a volo.
Nella categoria donne, la miglior
sportiva dell’anno 2011 è risultata
essere Stella Zambelli, già più volte
premiata. La sua specialità è il salto
con gli ostacoli in sella al suo cavallo. La ragazza quest’anno ha avuto
risultati eccellenti sia a livello croato che internazionale.●
Alla simpatica manifestazione hanno presenziato pure l’ambasciatrice
d’Italia a Zagabria, Emanuela d’Alessandro (prima da sinistra), ed il
console a Fiume, Renato Cianfarani
Silvio Delbello direttore dell’UPT
con una delle premiate
Il mitico calciatore italiano Giancarlo Antognoni ha consegnato la
coppa sia a Giovanni Cernogoraz...
...che a Stella Zambelli
La signora Mariella Radojković, moglie dell’allenatore dello Cimos Koper ha ritirato il premio per il marito premiato come miglior operatore sportivo
Foto ricordo dei vertici UI con Bruno Pizzul e Giancarlo Antognoni
Il collega Andrea Marsanich (Radio Fiume) ha preso dalle mani di Bruno Pizzul il premio per la miglior
squadra di calcio Over 30 (ma anche 40) della CNI o
meglio della CI di Fiume
Panorama 11
Personaggi
L
a connazionale Florinda
Klevisser, di Fiume, dottore
di ricerca in geografia, specializzatasi in geografia urbana e
sistemi informativi territoriali, nella sua tesi di laurea aveva trattato
la rivitalizzazione della Tramontana (la zona nord-est dell’isola di
Cherso) secondo i principi dello
sviluppo sostenibile. “Mi sono divertita tantissimo durante il lavoro
di ricerca, che mi ha obbligato a
trascorrere molto tempo sul campo, in un posto bellissimo - ricorda Florinda -. Ho collaborato con
i membri del centro ecologico Caput insulae di Caisole (Beli) e di
altre organizzazioni locali, soprattutto la Tramuntana. L’obiettivo
comune era di operare in funzione
di una possibile ripopolazione dei
villaggi dell’isola, molti dei quali sono quasi o completamente abbandonati”.
Florinda
ha
insegnato
all’Università degli studi di
Trieste e quella del Litorale a
Capodistria, oltre che a numerosi Master e corsi post laurea,
ha scritto articoli sia d’evasione sia specialistici e contributi
scientifici a livello internazionale. Recentemente l’Edit ha pubblicato il suo libro “Viaggia con
me” nel quale descrive, attraverso racconti e aneddoti, un piccolo giro del mondo in tre mesi
che l’ha portata dall’Europa
all’Asia, in Oceania e in America: “Il viaggio è la scoperta di
me stessa e del mondo. Quando
parto apro la mente e aguzzo i
sensi. Incontrare persone, conoscere i luoghi, affrontare le piccole e grandi sfide quotidiane
fanno parte del piacere di prepararsi a partire, diventano parte del mio mondo e lo ampliano, mi fanno scoprire cose nuove e vedere alcune di quelle che
avevo sotto gli occhi da sempre
ma non avevo mai notato prima.
Ecco, viaggiare ci aiuta ad aprire gli occhi, ci permette di vivere pienamente ogni attimo, liberi e in armonia con il mondo,
in un equilibrio che, altrimenti,
nella vita è difficile da raggiungere e mantenere”.
Florinda Klevisser, geografo, giramondo, scrittrice: Barcell
Dopo lo scempio in Cittav
di Bruno Bontempo
Il lavoro del geografo consiste nello studiare le caratteristiche
dell’ambiente in cui viviamo, nello scavare dentro l’identità di un
luogo, nell’andare alla scoperta del
territorio attraverso la storia, la
cultura e tutti gli altri aspetti, nel
confrontare queste espressioni con
il presente e spiegare la nuova realtà. Da dove nasce la tua passione
per questa materia, che si colloca a
metà strada tra il mestiere e la vocazione?
“Fare il geografo potrebbe dirsi
piuttosto una vocazione che un mestiere, anche se forse è entrambe le
cose. Il geografo studia e scopre il territorio considerandolo nei suoi aspetti più vari, nella sua complessità. Ci
sono poi varie specializzazioni. Qualcuno concentra la sua attenzione sugli
aspetti morfogenetici legati alla natura fisica del territorio e altri su quelli
socio-economici, geopolitici, geostorici o, come nel mio caso, sugli aspetti urbani che coniugano tutti questi
elementi. Essere un geografo urbano
permette di comprendere le dinamiche che avvengono in una città. Ad
esempio, si analizzano gli elementi
che agiscono da trasformatori e cata-
lizzatori, si studia cosa va valorizzato
e in che modo, quali sono le opportunità sfruttabili localmente tenendo
conto dei nuovi trend dell’economia
e in ambito sociale, quali sono i rischi
che si corrono con determinati interventi oppure ignorando completamente alcune problematiche. La mia
curiosità mi ha sempre spinto a cercare di capire quello che succede intorno a me e questa attitudine si riflette
ora nella mie scelte professionali”.
La tua specializzazione riguarda la geografia urbana, che si occupa dello studio delle aree urbane
in termini di concentrazione, infrastrutture, economia e impatti ambientali, con i quali ci confrontiamo quasi giornalmente. A fronte di
tale realtà, è possibile un giudizio di
confronto tra Fiume e Trieste, a noi
più vicine, con altre grandi città del
mondo che hai avuto occasione di
conoscere?
“Volendo fare un discorso proprio
terra a terra, la prima cosa che noto
a Fiume è il disagio che si incontra
nell’usare la macchina per andare in
centro a sbrigare delle commissioni
a causa della scarsità di parcheggi. A
Trieste questo problema sussiste soltanto per chi vuole parcheggiare gratuitamente, ma a pagamento si trova
Fiume, Filodrammatica, bell’esempio di edilizia del periodo Secessione
12 Panorama
Personaggi
ona città ideale, l’esagerazione delle megalopoli, sviluppo e qualità di vita, la sua Fiume
ecchia salvare il Delta, Mlaka, il porto
(quasi) sempre posto con relativa facilità. Nelle grandi città che ho visitato la situazione varia di caso in caso.
Singapore e Hong Kong non sono
pensate per essere girate in auto per
cui i trasporti pubblici sono molto efficienti ed economici. Stesso discorso
per i taxi. Un altro aspetto che ho notato a Fiume è il mortorio nel quale la
città piomba già durante le ore del tardo pomeriggio. A Trieste ero abituata
a vedere le strade piene di gente e i locali stracolmi anche dopo l’orario di
chiusura degli uffici e dei negozi, per
l’oramai tradizionale aperitivo. Una
vivacità simile, peraltro, l’ho ritrovata
in quasi tutte le città visitate nel corso del viaggio narrato nel mio libro.
Ecco, sono principalmente questi i
motivi che frenano il desiderio di fare
un giro per il Corso, ciò che in passato era un’abitudine molto in voga a
Fiume, soprattutto tra i giovani”.
Quali sono i contrasti più evidenti che emergono dal punto di vista propriamente urbanistico?
“Lo scempio fatto nella Cittavecchia, che avrebbe potuto essere valorizzata decisamente meglio, anche se
alcuni progetti di recupero hanno ridato dignità a diversi edifici. Tuttavia,
ancora molti palazzi di Fiume hanno estremo e urgente bisogno di in-
La simpatica e intraprendente Florinda nelle strade di Bangkok
terventi di manutenzione o ristrutturazione. Qualcosa è stato fatto e ciò fa
ben sperare che si continuerà in questa direzione, anche se so bene che è
un problema di elevata complessità,
di cui tutti sono consci, ma la sua soluzione richiede grandi risorse tecniche, finanziarie e umane. Dovremmo
prendere esempio dagli americani,
che si sono resi conto del valore del
Singapore, una delle principali città cosmopolite del mondo
passato, anche in termini economici.
L’antico attira molti visitatori e loro
hanno ricostruito interi centri storici
soprattutto in funzione del turismo”.
C’è qualche dettaglio positivo
che hai riscontrato nell’assetto organizzativo di Fiume?
“Sì, ad esempio la possibilità di
usufruire gratuitamente di Internet in
tutto il centro e in alcune zone periferiche, tra cui quella della splendida piscina di Costabella, con spiaggia annessa. E su questo piano Fiume è all’avanguardia anche rispetto a
Trieste. Tuttavia, non capisco in quale direzione intende svilupparsi il capoluogo quarnerino. Si fa tanta promozione per il turismo, ma i collegamenti aerei e ferroviari sono carenti
e i contenuti per i turisti scarsi. Ogni
volta che nomino all’estero il nostro
Carnevale, che a noi sembra famosissimo, la gente mi guarda stupita e
perfino a Trieste pochissimi lo conoscono o comunque non immaginano
quali possano essere le sue proporzioni e la sua rilevanza. Il ruolo di città industriale è oramai tramontato e il
commercio non è certo fiorente. Fiume gode di una posizione geostrategica privilegiata ed ha tante possibilità
da sfruttare, ma bisogna avere le idee
Panorama 13
Personaggi
chiare e la pazienza di vedere realizzati i cambiamenti, che non avvengono dal giorno alla notte”.
Quali sono le tendenze della pianificazione urbana a livello mondiale e dove possiamo collocare Fiume
in questo contesto?
“Le tendenze emerse a livello globale negli ultimi trent’anni hanno richiesto un approccio integrato, ossia
di considerazione degli aspetti economico, ambientale e sociale. Come risultato di questo approccio, è diventata fondamentale la sostenibilità urbana a livello teorico, mentre su quello
pratico nasce il piano strategico, uno
strumento urbanistico usato sempre
di più nella pianificazione, con l’idea
di promuovere lo sviluppo della città
con efficienza distributiva. Pensando
«Il luogo che ricordo con
più affetto del viaggio raccontato nel mio libro è Samoa, non solo per la bellezza delle sue spiagge incontaminate, ma soprattutto per
la semplicità e il calore della sua gente. La vita a Samoa
è ricca di quegli elementi di
spontaneità che sono oramai
quasi completamente scomparsi nella società occidentale. Ogni tanto la rivedo nei
miei sogni».
a Fiume, la prima cosa che mi viene
in mente parlando di pianificazione
urbana è la zona del Delta. La riqualificazione dell’area rientra nel trend
globale di valorizzazione del patrimonio industriale e di trasformazione di
alcune zone del centro, tra quelle utilizzate per magazzini e aree di produzione, in splendidi quartieri residenziali e commerciali. Questa tendenza vede i primi esempi a Londra e in
alcuni agglomerati urbani statunitensi, per poi riflettersi nuovamente sulle
città europee. Spero che il progetto si
attui al più presto perché la nostra città aspetta di veder utilizzato al meglio
lo spazio che si affaccia sul mare, per
mettere fine alla situazione di degrado, di disuso e di completo abbandono, come è successo negli ultimi anni.
Questo trend potrebbe interessare anche la zona della Raffineria del petrolio e dei suoi derivati in Mlaka. Non
voglio entrare in discorsi legati all’inquinamento o alle valenze economiche e sociali, ma dal punto di vista urbanistico lo spazio che essa occupa ha
delle potenzialità enormi. Spero che si
porti a termine il progetto di costruzione della marina e che il centro città
possa arricchire e diversificare il più
possibile l’offerta di contenuti quanto più diversificati. Inoltre, nelle grandi città del mondo ho riscontrato una
generale tendenza a rivolgere sempre
maggiori attenzioni alla qualità della vita e al rispetto degli spazi verdi,
che a Fiume invece scarseggiano e comunque non sono utilizzati in modo
La nostra viaggiatrice a Sydney. Sullo sfondo la celeberrima Opera House
14 Panorama
Nelle strade di Hong Kong
attivo. Da quanto posso capire, Fiume
segue i principali trend mondiali per
quel che riguarda le idee, ma è in ritardo nella loro applicazione pratica”.
Esiste la “città ideale”?
“È il sogno di tutti gli urbanisti.
Ogni città, in realtà, è lo specchio della sua posizione geopolitica attuale e
di quella storica. Le aspettative delle
persone che vi abitano cambiano nel
tempo e cambia anche quella che viene percepita come esigenza lecita da
chi è al governo. Un esempio spesso
citato nella storia urbanistica mondiale come tentativo di creare una città
ideale è Palmanova, con la sua struttura radiocentrica (è chiamata la città stellata per la sua pianta poligonale
a stella con 9 punte, nda). Nella società contemporanea è diventato fondamentale il concetto di benessere e
qualità della vita - idee che condivido pienamente - e, in questa ottica una
che si avvicina all’immagine di città ideale è certamente Barcellona. La
maggior parte dei suoi spazi abitativi
sono comodi, luminosi e soleggiati;
le zone verdi e le aree pedonali, generalmente alberate, sono numerose;
la spiaggia è fornita sia per il giorno sdraio, massaggi, bagnini, attrezzature per il fitness...- sia per la sera - bar,
ristoranti, discoteche, panchine. I trasporti pubblici del capoluogo catalano
sono molto ben organizzati e relativamente economici; ogni rione cittadino
ha un suo centro e funziona in modo
autonomo. L’architettura e gli elementi della cultura locale sono valorizzati appieno, ogni zona offre degli
Personaggi
All’Edit progetti per e-book, e-pub, iPad...
A
qualche mese dall’uscita del suo libro, Florinda
Klevisser è impegnata intensamente nella campagna di promozione e nella realizzazione di alcuni
progetti per l’Edit, che coinvolgono l’uso dei nuovi
media: ”Si stanno facendo piccoli ma importanti passi in questa direzione. Il volume è già stato distribuito in alcune librerie in Italia e spero che presto saranno ancora più numerosi i punti vendita. Stiamo realizzando l’e-book, il primo libro elettronico dell’Edit, sia
come e-pub sia in formato per iPad. Si parla anche di
una possibile traduzione in lingua inglese. Sono molto soddisfatta dell’impegno che l’Edit ha investito nel
mio libro, assieme ai vari collaboratori. Credo moltissimo in questo progetto”.
“Questo è un momento molto particolare della mia
vita - ha confessato Florinda -. Sono tornata a Fiume dopo molti anni durante i quali mi sono dedicata
all’insegnamento, soprattutto all’Università di Trieste.
Ho avuto e continuo ad avere molte soddisfazioni sul
piano professionale. La cosa che mi rende più felice,
comunque, è vedere i miei studenti crescere e maturare, stimolati anche dai miei insegnamenti. Questo è
uno dei motivi che mi ha spinto a condividere con gli
altri, su questo libro, l’esperienza del mio viaggio. Attraverso il racconto della realizzazione del mio sogno,
spero di dare un piccolo impulso anche agli altri perché, come ha detto un antico saggio, mai ci è dato un
desiderio senza che ci sia dato anche il potere di realizzarlo. Quindi, tutto è possibile”.
A leggerla, tutto sembra fin troppo facile. Ma chiaramente sono poche le persone che, come Florinda,
elementi di riconoscibilità, che si differenziano per atmosfera, contenuti,
funzione, un’offerta tanto diversificata che riesce a non annoiare mai. Pur
trattandosi di un’area urbana molto
ampia, tutto ciò la rende decisamente
accogliente e vivibile. Servita da varie
stazioni dei treni e da due aeroporti, è
ben collegata al resto del mondo, elemento da non sottovalutare in un’epoca che vede sempre più persone muoversi giornalmente per lavoro con la
necessità di arrivare a destinazione in
tempi stretti”.
Dalla città ideale alle megalopoli: quale futuro prevedi per questi
maxiagglomerati, quali limiti potranno raggiungere?
“Penso che abbiamo ampiamente
esagerato. Mi viene subito in mente
Bangkok che, come risulta da fonti ufficiose, durante il giorno raggiunge i
13 milioni di abitanti. L’aria è terribilmente inquinata e il traffico è sempre
congestionato. Questa è la situazione
Florinda Klevisser con il suo libro Viaggia con me
hanno un’indole tendenzialmente avventurosa e una
personalità così forte, contraddistinta da comunicabilità, simpatia, sicurezza, facilità nel muoversi, padronanza delle lingue...●
di molte città, che occupano aree tanto
vaste da sembrare infinite. Molti dei
loro abitanti non hanno mai oltrepassato la soglia del loro quartiere residenziale, non conoscono minimamente il resto dell’area urbana dove vivono e dove molti sono nati, e non sentono nemmeno il bisogno di farlo. In
effetti, la maggior parte dei rioni semcentrali e soprattutto di quelli periferici, sono uno la copia dell’altro, nella migliore delle ipotesi costituiti da
anonimi caseggiati ma non mancano
gli assembramenti più o meno vasti
di autentiche baraccopoli. Le precarie
condizioni di vita e di emarginazione
di questi quartieri poveri, sono la causa di fenomeni sociali allarmanti, soprattutto delinquenza e droga. Tutto
ciò è impensabile per me che amo i
luoghi dove la gente si saluta per strada, ricchi di verde, con un’intensa vita
sociale e culturale. Mentre l’agglomerato urbano dovrebbe svolgere una
funzione di contesto civico capace di
mettere a proprio agio gli abitanti e
creare le condizioni per offrire un’alta qualità di vita a tutti i cittadini, con
le megalopoli assistiamo al fenomeno
opposto, quello che favorisce l’alienazione del singolo”.
Qual è il ruolo degli urbanisti e
dell’urbanistica?
“Gli urbanisti non godono della
dovuta considerazione e spesso sono
visti come dei semplici surrogati degli architetti. Sarebbe indispensabile
dare il giusto valore a questa importantissima professione e distinguerla da quella dagli architetti, in quanto hanno funzioni diverse. Penso che
una proficua collaborazione tra geografo urbano, urbanista e architetto
sarebbe l’ideale per costruire il territorio tenendo conto di tutti gli elementi della sua complessità. Ognuno
di loro può offrire una visione diversa del progetto, sono profili di esperti
che non si escludono, anzi, si integrano perfettamente”.●
Panorama 15
La storia oggi
Una proposta del Circolo «Istria» avanzata in concomitanza
Una visione transfrontaliera de
di Fulvio Salimbeni
L
ivio Dorigo, intervistato dalla
“Voce del Popolo” (10 gennaio) in occasione del trentennale
della fondazione del Circolo di cultura
istro-veneta “Istria”, da lui presieduto,
dopo aver ricordato quanto finora compiuto - che non è poco, l’entusiasmo
dei soci avendo sempre supplito alla
scarsezza di fondi -, ha indicato come
prioritario tra i prossimi impegni quello sul versante scolastico, poiché è nelle istituzioni educative che si plasmano i futuri cittadini, cui è doveroso fornire un’adeguata formazione, che sia
non semplice istruzione bensì seria formazione etico-politica. Come suo costume, avendo fatto seguire i fatti alle
parole, il 14 febbraio il Circolo, d’intesa con il Laboratorio per la ricerca e
la didattica della storia dell’Università
di Udine, ha organizzato a Trieste una
Tavola Rotonda - con la partecipazione del suo presidente, di Chiara Vigini,
Gaetano Bencic e dell’estensore di queste note, oltre all’intervento dal pubblico di Monica Rebeschini, tutti a vario
titolo impegnati sul versante universitario o delle scuole secondarie - sull’insegnamento della storia in una regione
di frontiera come la Venezia Giulia.
16 Panorama
Tale iniziativa s’è richiamata
esplicitamente al suggerimento della
Commissione mista storico-culturale
italo-slovena, che, nel 2000 concludendo i propri lavori, raccomandava ai rispettivi governi di diffondere in primo luogo la relazione finale
nelle scuole, come, del resto, previsto nell’atto istitutivo, onde superare
le vecchie impostazioni nazionalistiche, aprendo il discorso a nuove e più
moderne prospettive metodologiche
e storiografiche, che, dopo tutto, si rifanno alle indicazioni che già sul finire degli anni Quaranta dello scorso
secolo l’UNESCO aveva formulato
a proposito dell’insegnamento d’una
disciplina cruciale come la storia, facilmente manipolabile in senso politico e ideologicamente strumentalizzabile, invitando i paesi già in conflitto tra loro a istituire commissioni
miste di storici che rileggessero insieme le rispettive storie, mettendone
a confronto le interpretazioni e narrazioni, così da giungere a ricostruzioni
comuni, che abituassero i cittadini e
ancor più gli studenti a trascendere la
dimensione nazionale, fino allora privilegiata, per prendere atto pure dei
punti di vista dell’Altro, dei vicini e
confinanti e delle loro ragioni e incominciare a pensare in termini soprannazionali, europei.
Da qui le esperienze delle commissioni franco-tedesche, di recente
giunte perfino alla stesura congiunta d’uno stesso manuale, bilingue,
adottato nelle scuole di qua e di là dal
Reno, che propone una lettura condivisa dei rapporti tra i due popoli, ma
anche di quella italo-austriaca negli
anni Sessanta dopo la crisi alto-atesina, che ha portato alla pubblicazione
del lavoro congiunto di Silvio Furlani
e Adam Wandruszka, Austria e Italia:
storia a due voci, uscito nel 1974 e riedito, con aggiornamenti, nel 2002,
senza trascurare quelle di altri paesi
dell’area centro-europea, a suo tempo
in conflitto con la Germania o tra loro.
Del resto, negli anni Sessanta era già
stata attiva, in tale ambito, anche una
commissione mista italo-jugoslava,
composta da alcuni dei più prestigiosi
nomi delle rispettive storiografie (per
la parte italiana, tra gli altri, Leo Valiani, Giorgio Spini, Franco Valsecchi, Franco Venturi), che aveva dato
alle stampe una serie di tesi sulle vicende intercorse tra 1848 e 1920, indirizzate in primo luogo alla scuola e
di recente riproposte proprio dal Circolo “Istria” come qualificato punto
di partenza per i suoi meritori progetti in materia (Le tesi italo-jugoslave
per i testi di storia, 1960-64, 2011).
L’esperienza
di Stefan Zweig
L’ispirazione ideale di tutto ciò, incluso l’incontro triestino, si trova nelle
preveggenti considerazioni di Stefan
Zweig, formulate in numerosi scritti e
discorsi del ventennio tra i due conflitti mondiali, ora raccolti nel volume La
patria comune del cuore (Frassinelli,
1993), che è l’Europa, in cui lo scrittore austriaco, dopo la tragica esperienza
della Grande Guerra, da lui a ragione
definita “suicidio dell’Europa”, s’impegnò a fondo per un nuovo e diverso insegnamento della storia, che nella versione fino allora dominante aveva contribuito a forgiare una mentalità nazionalistica, d’avversione tra stati
e popoli, contribuendo alla catastrofe
bellica. Per ovviare a ciò bisognava ridimensionare l’attenzione alla storia
politica e militare, comunque imprescindibile nelle vicende umane, per
privilegiare quella della civiltà, accantonando “ciò che divide” e ponendo in
primo piano “ciò che unisce”, ovvero
i valori spirituali e culturali, condivisi
in tutto il continente, così da educare
i giovani a ragionare e a muoversi in
una dimensione europea e non più angustamente nazionale.
Oggi poi, che la Slovenia è
nell’Unione Europea, mentre la Croazia v’entrerà il 1° luglio 2013 e la Serbia e il Montenegro sono in lista d’attesa, tale discorso è ancor più attuale e
urgente, favorito, altresì, dai gesti simbolici, di rilevante spessore, del concerto della riconciliazione di Riccardo
Muti in piazza Unità d’Italia a Trieste
il 13 luglio 2010, presenti i presiden-
La storia oggi
con il trentennale della fondazione
lle vicende nazionali
ti delle repubbliche d’Italia, Slovenia
e Croazia, e di quello di Pola il 3 settembre 2011, con la partecipazione dei
presidenti Napolitano e Josipović. Di
là, però, da tali iniziative istituzionali,
pur importanti, essenziale è affrontare
il tema alla radice sul versante educativo, che è quello assolutamente prioritario, concentrando gli sforzi in particolare sull’insegnamento della storia
secondo le nuove modalità in precedenza indicate. In tale ottica diventa di
primaria importanza promuovere convegni e seminari pluridisciplinari internazionali di formazione per giovani
studiosi, come l’Università estiva per
la pace che ha avuto luogo a Tarcento dal 16 al 28 agosto 2009, promossa
dal Centro interdipartimentale di ricerca sulla pace “Irene” dell’Università di
Udine e cui hanno partecipato docenti
e studenti italiani, sloveni e austriaci,
impegnati proprio su tali fondamentali
questioni. Oltre a ciò, vanno ripensati
strumenti tradizionali di lavoro come
i manuali, e a questo riguardo non si
possono non citare Istria nel tempo.
Manuale di storia regionale dell’Istria
con riferimenti alla città di Fiume,
curato da Egidio Ivetic (Centro di ricerche storiche di Rovigno, 2006), e
Istria, Quarnero, Dalmazia. Storia di
una regione contesa dal 1796 alla fine
del XX secolo, a cura di Marco Cuz-
zi, Guido Rumici e Roberto Spazzali (IRCI, 2009), riusciti tentativi
di ripensare la storia d’una regione
di frontiera tenendo conto delle sue
diverse componenti etniche e della
complessità culturale della sua storia, già rilevata da Ernesto Sestan
nel classico saggio, del 1947, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia
etnica e culturale, titolo per se stesso
metodologicamente emblematico.
Storie convergenti
non più parallele
D’altro canto, l’istituzione della
Giornata del Ricordo il 10 febbraio
è servita pure a promuovere, da parte degli organi degli esuli, in primo
luogo l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e l’Associazione delle Comunità Istriane, corsi
d’aggiornamento per insegnanti delle scuole secondarie sul tema delle
foibe e dell’esodo, intelligentemente
sganciandolo da una dimensione meramente celebrativa e localistica e situandolo in un contesto geograficamente più ampio, quello dell’Europa
centro-orientale, nel Novecento segnato in profondità da analoghe, e quantitativamente molto maggiori, tragedie,
e in una prospettiva cronologica di più
ampio respiro, prendente avvio dalla
svolta del 1848, l’anno “mirabile delle
rivoluzioni” e della “primavera dei popoli”, superando la dimensione puramente politica e allargando il discorso
a quella culturale e sociale.
Questo positivo orientamento ha
trovato, del resto, concreta attuazione negli annuali seminari nazionali
d’aggiornamento per gli insegnanti
su Le vicende del confine orientale
ed il mondo della scuola, promossi
dal Ministero dell’Istruzione, il terzo
dei quali, dedicato al Contributo dei
Giuliano-Dalmati alla storia e alla
cultura nazionale, svoltosi a Trieste
il 22-23 febbraio scorso e seguito da
più di cento iscritti, provenienti da
tutta Italia, vedrà gli atti dei lavori
pubblicati, come quelli precedenti,
negli “Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione”.
Solo proseguendo su tale valida
linea, organizzando altri convegni
come quello capodistriano dello scorso ottobre sulle storiografie di confine, di cui s’è riferito in questa sede,
attuando scambi di esperienze e confronti operativi tra studiosi e docenti italiani, austriaci, sloveni e croati sulle complesse vicende di quelle
che furono le provincie meridionali
della monarchia asburgica, mettendo
in cantiere guide didattiche alla storia contemporanea regionale - questo
è un progetto Interreg che vede coinvolti gli atenei di Udine, Trieste, Capodistria e Nova Gorica e che si spera venga approvato dalle competenti
autorità -, dando corso a quelle storie “incrociate”, “convergenti”, non
più “parallele”, giustamente auspicate da una studiosa sensibile e competente in materia quale Marta Verginella, sarà possibile giungere a un insegnamento comune della storia transfrontaliera, capace di liquidare quei
confini mentali assai più persistenti
di quelli amministrativi, che possono
essere facilmente cancellati con un
tratto di penna. Per tali ragioni particolarmente meritevole è, dunque, la
proposta del Circolo “Istria” di porre
a filone principale della sua programmazione quello della storia transfrontaliera e del suo insegnamento.●
Panorama 17
Psicologia
Lo stemperamento della responsabilità, ovvero quando siamo in tanti ad
Perché nessuno aiutò la donna pre
di Denis Stefan
E
ra il 13 marzo 1964. Mancavano ancora alcune ore al sorgere
del sole. Catherine Genovese,
detta Kitty, aveva appena parcheggiato la sua autovettura e si stava accingendo a percorrere quei pochi metri
che la separavano dal portone di casa
sua, ai Kew Gardens di New York. Il
tempo di percorrere pochi passi ed un
uomo, tale Winston Moseley, le venne
addosso colpendola con due coltellate
alla schiena. Le sue urla
ed il pianto richiamarono
l’attenzione di un vicino
che si affacciò alla finestra ed intimò all’aggressore di lasciar stare quella ragazza. Moseley, vistosi scoperto, tornò alla
sua macchina e scappò,
salvo tornare, dieci minuti più tardi, sul luogo
dell’aggressione. Niente
polizia, niente ambulanze, niente di niente. Kitty Genovese era ancora
lì: aveva percorso solo
pochi metri dal luogo in
cui le erano state inferte
le prime due coltellate.
Moseley si avventò nuovamente su di lei dapprima colpendola ripetutamente con il coltello,
poi tentando di stuprarla mentre giaceva priva di coscienza, quindi
infliggendole altre coltellate, per lasciarla infine morire dissanguata sull’asfalto. L’attacco
durò, nella sua interezza, circa 30 minuti. 38 persone avevano assistito, o comunque percepito
l’aggressione a Kitty Genovese, senza
tuttavia intervenire o limitarsi a chiamare almeno la polizia. La giovane fu
assassinata nell’indifferenza di chi la
circondava.
L’ignoranza pluralistica
Fatti di cronaca come questo ci lasciano sconcertati e danno luogo a di-
18 Panorama
scussioni sui media, e nei luoghi di lavoro e di ritrovo della gente. Il modo in
cui sono avvenuti, in particolare, ci lascia un certo amaro in bocca: critci ed
opinionisti immediatamente sparano a
zero sull’alienazione e la disumanità
della società moderna. Si rinvangano i
tanti episodi, in cui una persona in difficoltà, magari in pieno centro cittadino, viene notata da moltissimi, come
accaduto nella nostra città di recente,
ma nessuno intraprende alcunché per
aiutarla. Siamo veramente disumani
ed alienati, egoisti e preoccupati solo
di sé stessi? L’omicidio di Kitty Genovese ha dato il via a studi scientifici sui
motivi per cui in certi casi la gente non
reagisce.
Che cosa aveva dunque resi passivi i numerosi spettatori del delitto? Gli
psicologi Latane e Darley notarono che
l’eventuale azione o non azione viene
sempre preceduta da una seria di passaggi mentali, illustrati nel riquadro, e
che l’inibizione dell’azione si può avere in ciascuno di questi passaggi. Per
poter porgere aiuto si deve innanzitutto registrare l’avvenimento, ovvero
la persona in pericolo. Chi si muove
affrettandosi nella ressa e nel rumore
urbano, preoccupato dei propri affari,
spesso neppure nota gli altri, dove poi i
loro problemi.
In questa fase si può manifestare
il fenomeno dell’ignoranza pluralistica, ovvero quando non sappiamo bene
cosa stia succedendo, stiamo a guardare cosa fanno gli altri, ma
al contempo essi fanno
lo stesso e già questo può
bastare a omettere il soccorso o fargli superare
tempi ragionevoli. Appena avremo registrato che
la persona è in pericolo,
ci domanderemo quanto sia reale la minaccia e
se ha veramente bisogno
di aiuto. La valutazione
della pericolosità della
situazione dipende dallo
stato notato, o anche solo
immaginato o stimato,
dalle caratteristiche della vittima (uomo, donna,
anziano, bambino, ecc.)
dalla situazione e dalle
caratteristiche del potenziale soccorritore, in primis dall’autovalutazione
della propria capacità di
porgere aiuto. Ad esempio, qualcuno può stare
disteso in mezzo alla via
perché è ubriaco, ma forse anche perché svenuto
o colpito ad es. da infarto. Se l’osservatore conclude che la persona è ubriaca, e non
malata, è minore la probabilità che gli
porga aiuto. Perché? Perché la decisione non dipende soltanto dalla misura
in cui una persona è minacciata, ma
anche dalla valutazione dell’opportunità dell’azione e dalla valutazione di
quanto qualcuno “meriti” tale aiuto. Se
gli viene attribuita la colpa per la situazione che si è creata (“si è ubriacato”),
questo può venire a mancare.
Psicologia
assistere ad un atto di violenza, il soccorso è di regola tardivo e inadeguato
sa a coltellate nel centro cittadino?
Maggiori i presenti
più ridotto l’intervento
Un ruolo importante spetta anche al
comportamento delle altre persone presenti. Se uno dei presenti si accinge ad
aiutare, il suo comportamento diventa un modello di comportamento adeguato in una simile situazione. Inoltre,
con un comportamento simile, avverte
che il pericolo esiste veramente e che
è necessario l’aiuto. Ciò vorrebbe dire
che un maggior numero di presenti dà
una maggiore sicurezza alla persona
in difficoltà ed aumenta la probabilità
che l’aiuto sarà dato? Le ricerche sperimentali sul comportamento prosociale mostrano l’esatto contrario. È stato
notato il cosiddetto effetto del testimone o dell’osservatore passivo: quanto
è maggiore il numero dei testimoni e
potenziali soccorritori presenti, minore è la prontezza dei singoli ad aiutare e più si allungano i tempi dell’azione. Come si può spiegare il fatto che la
presenza di altre persone fa abbassare
la prontezza ad aiutare?
Quando entra in gioco
il disimpegno morale
Quando è presente una sola persona, la sensazione di responsabilità
e di obbligo a intraprendere qualcosa
aumenta: se non si fa nulla, la persona minacciata continuerà a soffrire e
forse perderà la vita, per cui ci sentiremo in colpa. Se vi sono altri presenti, il singolo non si sente l’unico responsabile del destino di chi è in pericolo: la responsabilità si divide tra
più singoli. Il singolo non è più l’unico che dovrebbe aiutare, ma anche gli
altri dovrebbero fare qualcosa ed egli
pensa che comunque si troverà qualcuno che aiuterà se necessario, o pensa che forse si è già intrapreso qualcosa (hanno chiamato la polizia o il
pronto soccorso). Quando è presente
un maggior numero di potenziali aiutanti si manifesta una diffusione della responsabilità. Questo fenomeno
venne studiato con esperimenti simili a quello del 1968 che illustrerò e che diede inizio agli studi stu-
di sperimentali sulla diffusione della
responsabilità.
Una persona veniva invitata, insieme ad altri partecipanti, a raccontare la
propria esperienza di vita. Per garantire l’anonimato, ognuno avrebbe dovuto parlare tramite interfono dall’interno di una cabina e, per garantire
l’ordine, avrebbe avuto a disposizione
due minuti di tempo per parlare, mentre gli altri avevano l’interfono disattivato sino al proprio turno successivo. Il trucco sta nel fatto che in realtà i
soggetti partecipavano all’esperimento uno per volta, mentre tutti gli altri
erano solo voci registrate. Durante la
registrazione, uno dei finti partecipanti
raccontava delle sue crisi epilettiche e
in seguito fingeva di averne una piuttosto grave. “Stranamente” la percentuale di persone che intervenivano in suo
aiuto variava drasticamente in base al
presunto numero di altri partecipanti.
Ecco i risultati:
Quando ai soggetti veniva detto
di essere soli col ragazzo che stava
male: interveniva l’85%.
Quando gli veniva detto che, oltre
alla vittima, ci fosse un’altra persona: interveniva il 62%.
Quando gli veniva detto che vi fossero ulteriori 4 persone: interveniva
solo il 31%.
Vediamo quindi in una situazione sperimentale
che la disponibilità ad intervenire cala progressivamente quanto
è maggiore il numero dei presenti. Da queste osservazioni risulta
che non è che siamo tutti disumani,
alienati, insensibili verso il prossimo, bensì soggetti a meccanismi
mentali (di disimpegno morale o di
autoassoluzione) che mettiamo in atto
quando le nostre azioni od omissioni
vanno contro i nostri principi morali,
e che vengono adottati anche da per-
sone capacissime di ragionamenti morali elevati.
Il disimpegno morale è un costrutto proposto dallo psicologo canadese
Albert Bandura (1986) nel contesto
della teoria social-cognitiva della condotta aggressiva. Egli adotta una prospettiva interazionista secondo la quale l’azione morale può essere compresa attraverso una prospettiva integrata
in cui la persona, il suo comportamento
e l’ambiente sono tre fattori reciprocamente dipendenti.
La costruzione delle strutture cognitive di autoregolazione della condotta,
o per semplificare, dei principi morali
individuali, sono fortemente influenzate dall’interazione di questi fattori.
Il costrutto di disimpegno morale rappresenta l’insieme dei dispositivi cognitivi interni all’individuo, socialmente appresi e costruiti, che liberano l’individuo dai sentimenti di auto-biasimo
e sensi di colpa, lesivi per l’autostima,
nel momento in cui viene meno il rispetto delle norme morali universalmente accettate e condivise.
Negli interventi successivi vedrò
di prendere in esame altri meccanismi di disimpegno morale ed illustrare di come essi siano stati innanzitutto osservati e poi studiati in modo
sperimentale.
Concludendo, se vi capitasse un malore per strada è meglio che non sia una
strada affollata. Meno gente vi vede…
maggiore è la possibilità che qualcuno
vi porga aiuto!!!:-)●
Panorama 19
Giornata della Donna
La festa dell’8 marzo? Dovrebbe
a cura di Nerea Bulva
T
ra una mimosa ed un sentito
augurio, l’8 marzo ormai da
più di cent’anni rappresenta
una data speciale per l’altra metà del
cielo: la ricorrenza, infatti, è quella
della “Giornata internazionale della
donna”, più comumenete conosciuta come la “Festa della donna”. Una
data che vuole ricordare e celebrare
sia le conquiste sociali, politiche ed
economiche dell’universo femminile sia le discriminazioni e le violenze
cui le donne sono ancora fatte oggetto in molte zone del mondo.
Sempre la tradizione ha legato l’8
marzo al ricordo di un evento drammatico: erano i primi giorni di marzo
del 1908, quando un gruppo di operaie della fabbrica tessile Triangle di
New York iniziò a scioperare in segno di protesta contro le terribili condizioni lavorative. Lo sciopero proseguì per diverse giornate. Secondo
la tradizione, l’8 marzo il proprietario dell’azienda bloccò le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie
di uscire. Poi allo stabilimento venne
appiccato il fuoco (alcune fonti parlano di incendio accidentale). Le 129
Cleopatra è la più famosa dei sovrani egiziani, pur non avendo di
fatto mai regnato da sola (ha affiancato il padre, il fratello, il fratello/marito ed il figlio). È stata
l’ultima regnante della dinastia tolemaica. Viene ricordata anche per
le sue storie sentimentali con Giulio
Cesare e Marco Antonio
20 Panorama
operaie prigioniere all’interno non
ebbero scampo. Questa storia è un
falso storico accertato, che fu elaborato dalla propaganda comunista ai
tempi della guerra fredda: l’incendio della Triangle Shirtwaist Factory di New York fu tragedia vera
e immane, ma non fu riconducibile
né a scioperi né a serrate, fece vitti-
Ipazia d’Egitto viene considerata la prima grande scienziata vittima del fondamentalismo religioso. Pagana, dedita alla matematica, astronomia e filosofia neo-platonica, è stata uccisa da una folla
di cristiani e l’evento l’ha fatta diventare una martire della libertà
di pensiero.
me anche fra gli uomini e oltretutto
avvenne nel 1911, un anno dopo il
supposto “proclama”.
L’idea di istituire una giornata
internazionale della donna fu invece per la prima volta presa in considerazione all’inizio del 20° secolo
quando la rapida industrializzazione e l’espansione economica portò
Elisabetta I Tudor, insediatasi
all’età di 25 anni, è considerata
la più grande regina che l’Inghilterra abbia mai avuto. Nei suoi
45 anni di regno il paese, all’inizio pieno di problemi, dalla bancarotta alle discordie religiose, è
progredito tanto da diventare una
potenza mondiale
Giornata della Donna
essere una cosa seria
a molteplici proteste sulle condizioni di lavoro.
Nel 1910 si tenne la prima conferenza internazionale delle donne
nell’ambito della seconda internazionale socialista a Copenaghen. Qui più
di 100 donne rappresentanti di 17 paesi scelsero di istituire una festa per
onorare la lotta femminile per l’ottenimento dell’uguaglianza sociale, chiamata Giornata internazionale
della Donna.
L’anno seguente, la giornata mondiale della donna segnò oltre un milione di manifestanti in Austria, Danimarca, Germania e Svizzera. L’incendio della fabbrica Triangle accese ancora di più l’attenzione sul tema
della sicurezza sul lavoro, tema molto caro alle giornate internazionali
della donna degli anni seguenti.
Le donne russe si ritrovarono a
manifestare il 23 febbraio 1917 (l’8
marzo del calendario giuliano) per
la morte di circa 2 milioni di soldati russi morti in guerra. Le proteste
continuarono per vari giorni fintanto che lo Zar fu costretto ad abdicare ed il governo dovette concedere il
diritto al voto anche alle donne. Da
quell’anno la festa viene celebrata
in una data fissa, mentre precedentemente era festeggiata l’ultima domenica di febbraio.
In Italia, nel secondo dopoguerra, la giornata internazionale della donna fu ripresa e rilanciata
dall’UDI (Unione Donne Italiane)
associando nel contempo alla data
dell’8 marzo l’ormai tradizionale
fiore della mimosa.
Il 1975 fu designato come l’Anno
Internazionale delle Donne dalle Nazioni Unite e nel dicembre 1977, l’assemblea generale delle Nazioni Unite
adottò una risoluzione proclamando
una “giornata delle nazioni unite per
i diritti della donna e la pace internazionale” da osservare in un qualsiasi giorno dell’anno dagli stati membri
in accordo con le tradizioni storiche e
nazionali di ogni stato.
La Festa della donna è diventato
dunque il simbolo di celebrazione per
le conquiste sociali, politiche ed economiche della condizione femminile
ed è una festività internazionale celebrata in diversi paesi del mondo occidentale. Il tulipano è il simbolo mondiale di questa festa.
Oggi, l’8 marzo è giorno festivo
in Afghanistan, Armenia, Azerbaijan,
Belarus, Burkina Faso, Cambogia,
Cina, Cuba, Georgia, Guinea-Bissau, Eritrea, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Laos, Madagascar, Moldova,
Mongolia, Montenegro, Nepal, Russia, Tajikistan, Turkmenistan, Uganda, Ukraina, Uzbekistan, Vietnam
e Zambia. In Nepal, Madagascar
e Cina, è giorno festivo solo per le
donne, mentre gli uomini sono tenuti
a lavorare come in un giorno feriale.
Curiosamente, non è un giorno festivo in Germania, nel resto dell’Europa occidentale, negli Stati Uniti,
benché esse siano state le culle della
Giornata internazionale della donna.
Dei grandi Paesi coinvolti nelle primissime fasi del movimento femminista, solo in Russia uffici, scuole e
negozi restano chiusi.●
Le grandi figure femminili nella storia
S
George Sand è considerata una
delle scrittrici più innovatrici
dell’800 ed una delle autrici più
prolifiche della storia della letteratura. Ha promosso i diritti di
uguaglianza del mondo femminile
ribellandosi alle imposizioni sociali che consideravano la donna inferiore all’uomo
Marie Curie, geniale ricercatrice,
primo professore donna in Francia, ha dedicato la sua vita all’isolamento ed alla concentrazione del
radio e del polonio. È stata Premio
Nobel per la fisica nel 1903, insieme al marito Pierre Curie e ad Antoine Henri Becquerel, e nel 1911
Premio Nobel per la chimica
ono tante le donne che, con le loro
idee, opere e studi, hanno segnato
la storia di tutti i tempi. Che si sono
battute per la conquista di diritti importanti o sono giunte a scoperte determinanti in vari ambiti, dalla fisica
alla medicina, dalla politica al sociale. Donne che hanno saputo affrontare l’ostilità del mondo che le circondava, dimostrando di non essere inferiori
agli uomini, ma di avere qualcosa da
dire e da fare e smentendo le tesi che
compito di una donna è solo quello di
stare a casa e di occuparsi della famiglia. Ecco quindi un sintetico percorso tra i secoli per rievocare i tratti salienti di donne che hanno influito sulla
storia dell’umanità e che pertanto oggi
sono ricordate e conosciute per il valore delle loro idee ed opere. ●
Panorama 21
Giornata della Donna
Riflessioni con la flautista udinese Luisa Sello sul ruolo del gentil sesso nell
Nomi dimenticati, partiture disperse, ca
di Bruno Bontempo
L
a musica è prodotta dalla mente, dall’animo, è così astratta
che può essere pensata da qualunque persona. L’ascoltatore non dovrebbe porsi il quesito se essa sia stata
pensata da un uomo o da una donna.
Tuttavia, assistendo a vari concerti, più
volte mi sono chiesto perché tra quelle
eseguite, non ci sono mai composizioni di autori-donne e se esiste un modo
femminile di fare musica.
Proprio ripensando al significato
della Giornata della Donna, istituita
per ricordare sia le conquiste sociali,
politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono state fatte oggetto (e
lo sono ancora) in molti campi e in
molte parti del mondo, ho girato la
domanda alla musicista udinese Luisa Sello, prestigiosa flautista di fama
internazionale e sensibile poetessa,
diplomata giovanissima al conservatorio del capoluogo friulano. Ha
proseguendo gli studi all’Accademia
Chigiana di Siena con Severino Gazzelloni e all’Accademia Internazionale di Nizza con Alain Marion ed a
Parigi per approfondire il repertorio
solistico più importante della letteratura per flauto. Artista eclettica ed innovativa, con un’intensa attività solistica in Europa, Estremo Oriente,
Fanny Mendelssohn
22 Panorama
Luisa Sello
Usa e Sud America, si distingue per
fraseggio e qualità del suono. Dopo
una breve esperienza con l’orchestra
della Scala diretta da Riccardo Muti,
è ospite di orchestre quali i Wiener
Symphoniker, la Salzburger Kammerorchester, la Miami Great Symphony Orchestra, I Virtuosi Italiani.
Abbiamo avuto occasione di apprezzarla nelle nostre CI ed a Fiume, anche come solista con l’orchestra del
Teatro Nazionale Zajc. Titolare della cattedra di flauto al Conservatorio
Tartini di Trieste, professore ospite all’Università di Graz, docente ai
Summerkurse fur musik di St. Paul
im Lavanttal in Austria, tiene Master
Class e corsi di perfezionamento alle
Università di Vienna, Colonia, Graz,
Mosca, Pechino, Tokyo, Buenos Aires e Madrid. Ideatrice di spettacoli
estremamente originali e nuovi, propone repertori classici e programmi
riscoperti in un personale percorso
aperto a diverse forme d’arte, come
interprete musicale, autrice di testi e
regista. Ambasciatrice della musica
italiana nel mondo, laureata in Lingue per la Comunicazione Internazionale ed in Letterature Moderne,
ha pubblicato saggi comparativi su
letteratura e musica ed ha vinto diversi premi letterari di poesia. Incide
per Stradivarius, una delle eccellenze discografiche europee.
Ispiratrice più che non musicista, questo lo stereotipo che si porta attaccato addosso. Qual è stato
il vero ruolo della donna nella storia della musica?
“Ispiratrici, compagne di vita e
dedicatarie, questo è il ruolo che più
emerge da una prima lettura del percorso femminile attraverso i secoli.
Eppure la presenza di talenti femminili nella storia della musica è stata
ed è particolarmente significativa,
ma gli approfondimenti in proposito
risultano ancora deboli. Ricostruire
l’itinerario del loro contributo non è
facile e spesso ci imbattiamo in donne che, non solo sono state musiciste
virtuose, ma hanno anche ricoperto il
ruolo silenzioso di muse e compagne
musicali. È un universo che ci riserva
ancora molte sorprese e nel quale si
procede tra nomi dimenticati, partiture disperse e carriere spezzate”.
Infatti, quello delle sette note,
dietro alla sua maschera di tolleranza e apertura, è stato un mondo
in cui le donne sono state confinate
quasi sempre a un ruolo minore.
“Sì, è proprio questo che è accaduto. Basti pensare alla musica di Vivaldi, molto spesso di dubbia attribuzione
proprio perché alcune composizioni
sembrano essere state scritte dalle putte
veneziane della Chiesa della Pietà ove
egli era maestro d’armonia. L’esempio più eclatante è comunque quello di
Fanny Mendelssohn, le cui composizioni - circa 400 - furono firmate dal
fratello Felix. Ci sono poi i casi felici, come quello di Clara Schumann,
che fu esortata dal padre e dal marito Robert a pubblicare sue composizioni firmate dalla vera maternità. Ma
la maggior parte del repertorio femminile, è andato dimenticato nell’oblio a
causa di rigidi principi del tempo e restrizioni familiari. Solo nel XX secolo sono state riscoperte partiture femminili sconosciute, ma di grande valore; mi riferisco, ad esempio, ad Anna
Bon, veneziana e virtuosa di corte nel
palazzo reale di Federico il Grande Re
di Prussia già a 16 anni”.
Giornata della Donna
a storia dell’arte dei suoni
rriere spezzate
Oggi la loro musica viene eseguita raramente, per quanto ne so...
“Certo la reperibilità del materiale
non è facilissima. Io stessa ho fatto delle ricerche che mi hanno portato nelle
biblioteche americane e a manoscritti che giacciono ancora lì aspettando
una nobile collocazione. Le fondazioni che si occupano di questa materia
sono sempre più numerose, e quindi
esorto i musicisti a cercare il contatto
che, oggi, è sicuramente reso più facile
dalla comunicazione telematica”.
Robert e Clara Schumann
Quando c’è stata la svolta?
“Il vero cambiamento si attuò con
l’opera, quando in Italia si affermò il
fenomeno della lirica e la figura della
cantante assunse il ruolo di prima donna. Si pensi che già alla fine dell’800
la soprano Adelina Patti, madre di 8
figli, chiedeva per contratto un treno
personale per viaggiare nelle lunghe
tournèe americane, alle quali si univano anche i figlioli più piccoli, che lei
spesso allattava tra un concerto e l’altro. Da quel momento la donna entrò
in modo prepotente e indiscusso nella storia dell’interpretazione musicale,
e quindi del palcoscenico. La seguirono, nel 1900, le figure delle compositrici. Germaine Tailleferre ebbe notorietà anche per esser stata l’unica donna che entrò a far parte del famosissimo Gruppo dei sei a Parigi. Ma già
agli inizi del XX secolo, Lilì Boulanger, poco più che diciannovenne, vinse
La flautista Sello con la Filarmonica di Fiume diretta da Nada Matošević
il celebre Prix de Rome, traguardo maschile per eccellenza. Purtroppo visse
troppo poco - morì a vent’anni - ma
la sua figura si impose nel panorama
compositivo, aprendo la strada a tantissime altre musiciste. Certo, ci sono
poi le eccezioni anche nell’ottocento,
quando la giovanissima Cecile Chaminade viene scoperta da Bizet e mandata a studiare composizione al Conservatorio di Parigi, formazione che
terminò nell’arco di 3 anni, contro il
percorso decennale usuale”.
Oggi la situazione è decisamente
cambiata in meglio, la parità dei diritti credo sia ampiamente raggiunta, anche se non mancano casi limite di ostruzionismo, come la Filarmonica di Vienna che ha rinviato a
lungo la decisione prima di accogliere una donna tra le sue file, mentre
i Berliner, mi sembra, non l’hanno
ancora fatto...
“Certo, l’episodio di Karajan e di
Sabine Mayer con in Wiener Symphoniker ha fatto storia. Non dobbiamo
comunque dimenticare che l’ostruzionismo arriva anche in seguito alla
mancanza di spazio politico-sociale
della donna. Basti ricordare che in Italia la donna ottenne il permesso di votare appena nel 1946”.
Tuttavia oggi neanche le donne
direttore d’orchestra destano più
scalpore. A Fiume c’è il maestro
Nada Matošević che, dopo esser stata direttore dell’Opera, è addirittura al secondo mandato di sovrintendente del Teatro nazionale di Fiume.
Lei ha avuto occasione di suonare
con la Filarmonica fiumana, che impressione ne ha ricavato?
“Ho conosciuto Nada Matošević
sia come artista alla direzione
dell’Orchestra, con cui ho avuto il
piacere di suonare, sia come sovrintendente per la collaborazione di alcuni progetti musicali a Fiume e a
Udine. Mi ha colpito la sua determinazione, affiancata da una grande competenza di direzione e talento musicale. Potrei affermare che per
raggiungere questi ruoli, una donna
deve dimostrare il doppio, o quasi,
del talento normalmente richiesto e,
una volta ottenuto il consenso, deve
lavorare ancora più alacremente e
con energia per poter dimostrare di
averlo meritato. Con Nada questo è
stato superato, credo, perché la sua
autorevolezza e la sua preparazione sono al di sopra dei canoni. Sarebbe bello che altre donne sviluppassero questa capacità, dimostrassero la stessa energia, e prendessero
ad esempio la sua figura. Dal punto
di vista personale ho un’ottima considerazione e stima della vostra direttrice e sovrintendente, e, per certi
aspetti, mi sento vicina nel temperamento, nelle scelte e nell’energia”.
Quale ruolo assumo oggi le donne che si dedicano alla composizione e quante occasioni hanno di veder eseguita la loro musica?
“La musica contemporanea occupa, purtroppo, un ruolo poco visitato, in generale, non solo nel campo femminile. L’ispirazione commerciale ha devastato il mercato colto, e
non sempre le rassegne uniscono linguaggi classici a quelli dell’espressione dell’oggi. Si uniscono quindi due
campi di minoranza. Beh! Si potrebbe sperare in una simbiosi che rendesse loro merito, perché no? Come dice
lo scrittore italiano Carlo Sgorlon, la
musica è donna”.●
Panorama 23
Cinema e dintorni
Due film a confronto: The Iron Lady di Phyllida Lloyd e Shame di
Sesso senza limiti, inesausta banal
di Gianfranco Sodomaco
ue film a confronto. Il primo:
spettacolare, grandioso, storico, incentrato su un personaggio famoso e dunque sulla interpretazione di una grande diva (per forza di
cosa “hollywoodiana”), Meryl Streep.
Sì, l’avete capito, si tratta di The Iron
Lady (La signora di ferro), che racconta la vita di Margaret Thatcher, la famosa primo ministro inglese dal 1979
al 1990,nel pieno degli anni ‘80, gli
anni della “reazione”, della “controrivoluzione”, della fine dell’utopia sessantottina, dell’esplosione consumistica. In Italia gli anni di Craxi, degli ultimi, disperati colpi d’ala del terrorismo,
in cui il signor Berlusconi comincia ad
“affilare le armi”. E “la signora di ferro”, conservatrice all’ennesima potenza, a menare fendenti di qua e di là in
nome di un capitalismo selvaggio, di
un “mercato senza pietà”, di un liberismo senza condizioni, individualista e
prepotente, che manda a ramengo tutta
la tradizione “labour”, del partito socialista inglese, culla della storia del movimento operaio europeo. E, negli stessi anni, negli Stati Uniti, il suo degno
“compagno di viaggio”, il presidente
repubblicano Ronald Reagan, a darle man forte su tutta la linea. Una bella
coppia, non c’è che dire..., “anni favolosi”, non c’è che dire...
D
24 Panorama
Phyllida Lloyd, regista de “La Lady di Ferro”,assieme a Meryl Streep
nei panni di Margaret Thatcher
Il film, furbetto (la regista, Phyllida Lloyd, è quella di “Mamma Mia!”,
capita l’antifona?), si apre e si chiude
sulla “povera donna” ormai vecchia,
in pensione, che angosciosamente ha
vuoti di memoria, un corpo per forza
di cose appesantito che trascina da una
stanza all’altra del suo appartamento, e
che vede (o almeno la regista ce li fa
vedere) i fantasmi del marito (Jim Broadbent) e del padre (Iain Glen). E tutti
e due a tormentarla (anche le donne di
ferro hanno un’anima!), a farle venir i
sensi di colpa per la famiglia, i figli che
ha trascurato. Potrebbe venire quasi da
piangere a vedere questa “virago”, ma
con le sue fragilità, essere letteralmente
plagiata da papà che, ferocemente conservatore, quando la “poverina” va a
studiare... a Oxford, le dice: “Non mi
deludere!”. E allora, tutto ciò che vediamo durante il film, la sua ascesa al
potere, prima come segretario del partito “tory” poi come primo ministro, la
sua durissima repressione dei moti operai quando decide la chiusura di molte miniere (è finita l’epoca del carbone,
avanza l’uranio!), quando addirittura, in
nome dell’antico patriottismo/colonialismo inglese, dichiara guerra all’Argentina che reclama il possedimento
di due isolotti sperduti nell’Atlantico,
i filmati dell’epoca che vediamo e che
vorrebbero quasi in contrapposizione
dialettica testimoniare la realtà viva di
quegli anni, in realtà rimangono “sepa-
Cinema e dintorni
Steve McQueen
ità del male
rati”, come se le due storie, quella individuale di Margaret e quella collettiva
del “suo popolo”, fossero cose diverse.
Insomma, la scelta iniziale di sceneggiatura (un’altra donna, Aby Morgan) e regia, non da buttar via ma da
sviluppare con ben altra profondità,
condizionano tutto il film e si resta,
quando si esce dalla sala, con una sensazione negativa di prodotto non finito,
di occasione perduta: l’idea era buona
ma “scivolosa”, e le tre donne (Meryl,
Phillyda ed Aby) sono cadute nel buco
della mediocrità. Anche la stessa Meryl Streep, secondo me grandissima in
tanti altri film, qui viene come “ridotta”, vanificata dall’atmosfera generale
del film. Peccato, ma bisogna andarci
piano con le biografie, soprattutto con
certi “eroi negativi” che si vuole, in
qualche modo, rivalutare.
Due film a confronto: il secondo,
Shame, una piccola, privata, niente af-
fatto spettacolare, storia di un uomo
qualunque, o quasi, che ha un problema solo suo, tutto suo e che cerca, per
quanto gli è possibile, di tenerlo per sé:
è ossessionato dal sesso, soffre, come
si dice, di una “sex-addiction” e non
ne viene fuori. L’attore anglo-tedesco
che interpreta il personaggio, Michael Fassbender, e il regista, Steve McQueen (omonimo dell’indimenticabile attore scomparso), hanno trovato
un equilibrio perfetto nel far emergere,
dalla inevitabile nudità dell’uomo, la
quotidianità del vivere, la “banalità del
male”, un male, una dipendenza che
non ha particolari, drammatiche, origi-
Il protagonista Brandon (Michael Fassbender) sul set con Steve McQueen, regista di “Shame”
ni; una delle poche battute significative del film (il resto è un tristissimo silenzio) è pronunciata dalla sorella, una
cantante fallita e dunque in crisi anche
nel rapporto col fratello, la quale dice:
“Noi non siamo brutta gente, veniamo
solo da un brutto posto”. Che dice tutto
e niente, sta di fatto che non sappiamo e
non sapremo nulla di Brandon, un “affascinante” uomo di media età, scapolo con un buon lavoro, un appartamento elegante e dunque, apparentemente, senza
difficoltà a piacere alle donne. E questo perché, appunto, il regista vuole dirci che
questa non è una storia eccezionale ma anzi, in qualche
modo è la norma. Basti pensare a cosa abbia significato
la diffusione dei siti pornografici su Internet e a come
resista, a livello mondiale, il
fenomeno antico della prostituzione. Sicché nel film
noi questo vediamo, la ricerca continua, la ripetitività, solo il tentativo dell’”originalità”, mai di quello
della via d’uscita.
Da qui l’impressione, in un primo
momento, del film noioso, inconcludente, ecc. No, la capacità del regista,
utilizzando toni e musiche e inquadrature “normali”, ottiene l’effetto opposto: quella di mostrarci, invece, la sofferenza, alla fin fine “shame”, la vergogna, un senso di colpa che potrebbe appartenere a tutti, sotteso, soffuso,
ma senza una particolare drammaticità.
Vale davvero la pena sentire la voce del
regista, intervistato da “la Repubblica” (12 gennaio): “È un disturbo gra-
ve, una dipendenza simile all’alcolismo. E ne soffre un sacco di gente... Il
tema è tutt’altro che divertente perché
questo bisogno, contrariamente a quanto si possa pensare, finisce per condizionare ogni aspetto della quotidianità.
Una routine che ti costringe a chiuderti in te stesso. E allora cerchi di evitare ogni rapporto emotivo, tenere tutto
sotto controllo. Un uomo mi ha spiegato che il problema di lasciarsi andare ti
impedisce di avere un rapporto normale. Un altro mi ha raccontato che ha una
bella moglie, che ama, ma che... preferisce andare a letto con qualsiasi altra
donna, tranne lei: una tragedia... In tanti, raccontandomi la loro esperienza,
continuavano a ripetere che, consumato il rapporto, ciò che resta, soprattutto,
è la vergogna: ho capito che il titolo del
film sarebbe stato quello....”
Sappiamo, dalla cronaca gossipara americana, che celebri attori come
Warren Beatty, David Duchovny, Michael Douglas, ecc., sono finiti, per disintossicarsi, in clinica. Per non parlare delle abitudini sessuali, riandando
con la memoria, del presidente americano John Kennedy. Fenomeno solo
americano, fenomeno solo “maschile”? No, ma come al solito, come altri
mille fatti di costume ecc., molti “accidenti” nascono negli States, per la pazzesca esplosione tecnologica e consumistica che questa società sta vivendo
da molto tempo e che ha mandato in
tilt la “normalità” dei rapporti umani.
Inutile dire che, tra i due film, i
miei favori vanno di gran lunga a
“Shame”, un film che fa pensare,
mentre “La Signora di Ferro”, nel migliore dei casi, fa solo “incaz.....”.●
Panorama 25
Reportage
Impressioni di viaggio nel Kenya d’oggi, stretto fra il retaggio coloni
Hic sunt leones... nonché il mucchio
testo e foto di Nataša Stuper
S
ono profondamente attaccata alle bellezze paesaggistiche del territorio in cui vivo: l’Istria. E da naturalista ho saputo esplorare e
studiare a fondo la penisola istriana - in ogni sua parte: dagli ecosistemi dell’entroterra a quelli costieri. Queste zone sanno ancora regalare
una natura selvaggia e vergine che riesce a dominare incontrastata e libera dalla presenza umana.
Queste sensazioni mi hanno spinto a tornare in Africa. Sono passati
quattro anni precisi dal mio anno trascorso in Tanzania. Nel 2008 ero partita come educatrice ambientale a Zanzibar, piccola isola poco distante
dalle coste del Tanzania. E ben presto quello che mi ha circondato per un
anno intero ha saputo segnare profondamente la mia personalità e l’approccio verso quello che mi circonda, regalandomi sensazioni nuove che
vanno assaporate più lentamente. Da quel momento, l’Africa ha saputo
entrare sotto la mia pelle e insediarsi in ogni centimetro del mio corpo.
Ed io ho accettato la sua presenza senza esitazioni.
E ora rieccomi. Scelto con cura,
il percorso prevede l’attraversamento del sudovest del Kenya, dalla metropoli di Nairobi entro il Parco nazionale dello Tsavo (nessun dilemma
sull’articolo, l’uso corrente è questo!),
sino alla costa trascurando le agenzie
e spostandosi con i mezzi locali. Un
viaggio pensato nei minimi dettagli da
parecchio tempo, nella cui organizzazione le mie due compagne di viaggio
si sono fidate completamente. In Kenya, ex colonia britannica, la guida è a
sinistra ma il pessimo stato delle strade impone più che altro frequenti zig
zag da un pezzo di asfalto all’altro.
Scesa dall’aereo dopo dieci ore di
volo, eccomi sommersa da un’aria calda e umida che si infila immediatamente nei miei vestiti. Siamo a Nairobi. Superato il controllo passaporti e ottenuto il visto d’ingresso, all’uscita c’è ad
aspettarci Leonard, il nostro tassista,
un uomo corpulento e alto, che con un
sorriso timido e sventolando in mano
un foglio di carta con i nostri nomi, ci
invita a seguirlo fino alla macchina.
Superiamo le vie caotiche e affollate di Nairobi e dopo circa un’ora entriamo in una stradina sterrata e buia
che conduce all’hotel. Le diverse guide sul Kenya, che si possono trovare
in giro, definiscono Nairobi una città
piuttosto pericolosa. In effetti lo è. Per
capirlo è sufficiente osservare l’asset-
26 Panorama
to di molte case e hotel, più chiusi e
controllati di un carcere: guardie semi
armate al cancello, rete elettrica di recinzione o muro con filo spinato.
Due colpi di clacson davanti al portone fanno balzare in piedi le guardie
che si precipitano ad aprire. Un piccolo e umile hotel ci accoglie per la
prima notte. Le mura arancione sono
invase da piante tropicali rampicanti
e piccoli alberi di papaya. Lasciamo i
dati alla reception, ci rifugiamo finalmente in camera. Distrutta dal viaggio,
ma con l’adrenalina che scorre ancora
nelle vene e un fastidioso ronzio delle
zanzare che cercano di infilarsi sotto
la zanzariera che avvolge il mio letto,
faccio fatica ad addormentarmi.
L’indomani ci svegliamo presto:
abbiamo a disposizione solo mezza
giornata prima di dirigerci verso la costa. Leonard è già di fronte all’hotel e,
dopo aver concordato il prezzo, decidiamo dove andare.
Si chiama Rothschild
ma è a rischio d’estinzione
Dopo qualche chilometro ci fermiamo al Giraffe Centre AFEW,
(African Fund for Endangered Wildlife Kenya), situato a Nairobi nella zona di Langata. Il centro rappresenta un’imperdibile sosta naturalistica. Fondato nel 1974, dà la possi-
bilità di osservare da vicino la giraffa
di Rothschild (Giraffa camelopardalis rothschildi), seconda sottospecie di
giraffa più minacciata del continente.
Le poche centinaia di esemplari rimaste vivono in aree protette del Kenya e
dell’Uganda. La particolarità di questa
giraffa, è che è l’unica sottospecie che
nasce con cinque “corna”. Con i suoi
sei metri d’altezza è inoltre più alta di
molte altre. Il centro offre programmi
per la conservazione di questi esemplari e l’espansione del pool genetico.
Ci spostiamo verso il centro di Nairobi. Il traffico è immenso e trovare
un parcheggio (sicuro) è difficile. Leonard fa il giro dell’isolato un paio di
volte e sembra rinunciarci dicendo di
voler cambiare zona. Alfine un uomo
in uniforme blu ci fa segno di fermarci. Leonard inizia a discutere con lui
in swahili; io cerco di ascoltarli percependo solo il senso del discorso. Si
discute del prezzo. Leonard contratta
per arrivare a una cifra ragionevole. A
un certo punto si gira verso di me dicendo: “Mia tatu”. Sono trecento scellini, circa tre euro. Sperando di lasciare macchina e bagagli in mani sicure,
proseguiamo a piedi verso il centro.
Questa metropoli ha preso il peggio delle città occidentali: inquinamento, traffico e criminalità. Ciò che
dà più fastidio sono però le contraddizioni. Mentre nel centro si vive all’oc-
Reportage
ale ed i problemi che tanto spesso assumono una dimensione globale
di turisti che vuol vederli da vicino
cidentale - non mancano acqua, elettricità e centri commerciali - a pochi
chilometri milioni di persone sono stipate nelle baraccopoli (slum) di lamiera, cartone e nel fango. Le slum, prive
ovviamente di corrente e reti fognarie,
occupano circa l’80 p.c. dell’area urbana e accolgono oltre la metà dei suoi
quattro milioni di abitanti. Per avere
di che mangiare si vive di espedienti. le ragazze si prostituiscono, i maschi sniffano droga e delinquono. Vista l’alta criminalità, bisogna essere
sempre cauti: cercare di non apparire
troppo spaesati, camminare con passo sicuro e non vestire in modo appariscente o con accessori di valore. Siamo però le uniche bianche per strada,
sicché non passiamo inosservate. La
presenza di Leonard probabilmente
intimorisce gli altri dandoci un’innegabile sicurezza.
Sentendo i morsi della fame entriamo in un piccolo locale. Il cameriere ci
viene incontro invitandoci a prendere in
mano il menù. Dò una fugace occhiata
e mi rivolgo a Leonard: “Prendo quello che prendi tu”. Sorride compiaciuto:
“Il Kenya ha diversi piatti, che variano
a seconda delle comunità, le loro culture e abitudini. La pietanza di base in
tutte è l’ugali, a base di farina di mais
e acqua, simile alla polenta. Nella zona
costiera, in cui è avvertibile l’influenza
del Medio Oriente e dell’immigrazione indiana, sono presenti piatti di tipo
orientale: il curry, il chapati o pane indiano, il riso pilaf e la samosa”. Finito di mangiare ordino il masala chai,
un tè particolare molto bevuto in Kenya anche se tipico del Sud dell’India. È
un mix di spezie, di cui non mancano
cardamonio, cannella, zenzero, chiodi
di garofano, anice e pepe.
Per la sigaretta
peggio che in Europa
All’uscita sto per accendere una sigaretta ma Leonard mi ferma: “A Nairobi è vietato fumare per strada. Si rischiano pesanti multe o addirittura
l’arresto”. Da qualche anno, c’è il divieto di fumo nelle aree pubbliche di
tutto il paese. Il divieto è però quasi
I bambini, un elemento che non manca nel continente.
Nell’altra pagina, gli sforzi del paese nel campo dell’istruzione
inesistente lungo la costa, visto l’enorme flusso di turisti che hanno reso i
luoghi più “europei”. In varie zone di
Nairobi si trovano aree fumatori: piccoli gabbiotti di lamiera in cui gli uomini si concedono qualche minuto per
una sigaretta.
Ore diciotto. È tempo di farci accompagnare alla stazione e salutare
Leonard. Alla biglietteria mi avvertono che si partirà in ritardo, non specificando quanto. Ma come per ogni treno africano che si rispetti, i ritardi sono
più che possibili. E poi è quasi inutile dirlo: qui bisogna avere una grossa allergia agli orologi. La stazione è
grande e pulita, con parecchi viaggiatori in attesa del treno per Mombasa.
Il “Kenya Railways”, che ha preso il
posto della vecchia ferrovia, copre circa duemila chilometri tra la costa del
Kenya e l’Uganda. Seguendo la linea
Nairobi-Mombasa, passa in mezzo al
parco nazionale dello Tsavo orientale
e dello Tsavo occidentale. Una ferrovia famosa anche perché ha fatto da
sfondo a una delle più affascinanti leggende africane, quella dei Mangiatori
di Uomini. Durante la costruzione di
un ponte sul fiume Tsavo, che avrebbe dovuto unire il porto di Mombasa
all’entroterra ugandese, nel 1898, due
grossi leoni attaccarono e divorarono
135 operai. Dal 1924, i due felini sono
esposti al Field Museum di Chicago.
Alle 22 30 si parte. Abbiamo scelto
la prima classe: uno scompartimento
di due cuccette con lavandino e guardaroba. Peccato che non c’è acqua e la
corrente elettrica se ne va spesso. Le
condizioni dei binari rendono il viaggio molto simile a un giro in giostra in
un luna park; il treno sobbalza continuamente sulle rotaie facendoci schizzare via ogni cosa tenuta in mano. Non
meno difficile è prendere sonno. Quat-
Panorama 27
Reportage
tro ore dopo guardo dal finestrino: la
leggera nebbia mattutina nasconde il
sole che sta per sorgere e avvolge gli
alberi di acacia, numerosi in mezzo alle
steppe della savana. Che cosa cela? Lo
scopro poco dopo, quando i primi raggi tingono il paesaggio d’arancio.
Alle otto, con il tasso d’umidità che
sale veloce più ci avviciniamo alla costa. fa già un caldo insopportabile, I
ventilatori non funzionano ed anche i
finestrini aperti non aiutano. La mattina scorre lenta, il treno sosta diverse
volte nei villaggi dove i bambini, in attesa da ore, si precipitano a piedi nudi
sulla rotaie per chiedere qualche caramella o un regalino. Dal treno si vedono così volare magliette, penne, quaderni e dolci, che i bimbi più agili afferra per correre via e mostrare ai genitori il “guadagno quotidiano”.
Stiamo per arrivare a Mombasa, il
caldo è insostenibile, i miei vestiti umidi sono tutt’uno con la pelle. Dopo diciannove ore di viaggio sento il bisogno di una doccia e di vestiti puliti. Da
qui proseguiamo in macchina per Malindi, una piccola colonia italiana: negozi, ristoranti, discoteche… ogni insegna è in italiano e tutti lo parlano,
anche i kenioti, che hanno avuto modo
di conoscere magari solo il peggio del
Made in Italy - il turista grezzo e maleducato, in cerca di qualche fugace avventura sessuale.
Dopo una sosta di qualche giorno,
è tempo d’attivarsi con modalità Na-
tional Geographic: macchina fotografica, binocolo, videocamera digitale,
spirito di osservazione e tanta pazienza. Ho saputo affidarmi a un gruppo di
guide esperte: Massimo Vallarin e Davide Gremmo dell’AIEA (Associazione Italiana Esperti d’Africa) per un safari vecchio stile,, ossia un’esperienza
dal significato puramente esplorativo,
legato all’avventura, al senso di libertà
e all’emozione che si può provare ad
osservare gli animali. L’AIEA, nata da
un gruppo di esperti e appassionati del
l’Africa da anni coinvolge i viaggiatori in varie missioni naturalistiche, volte alla salvaguardia delle specie a rischio di estinzione e alla lotta al bracconaggio, fenomeno molto diffuso.
Ci dirigiamo verso lo Tsavo che,
con un’area complessiva di 22 000
km², è il più grande parco naturale del
paese, e offre diverse tipologie di habitat. Dalle zone pianeggianti e steppose dello Tsavo East, dominate dagli erbivori, quali la gazzella di Grant,
l’alcefalo di Coke (detto anche kongoni), l’orice beisa, decine di zebre, elefanti e giraffe, si può risalire verso il
più grande plateau lavico del mondo,
sull’altipiano di Yatta, con un’estensione di centonovanta chilometri. La regione è un paradiso per gli appassionati del birdwatching, con la possibilità
di avvistare numerose specie di uccelli,
tra cui rapaci, uccelli acquatici, insettivori, marabù africani e avvoltoi. Come
tutti i parchi del Kenya, è amministrato
Nel Kenya anche il pitone è un “animale domestico”. Nell’altra foto, secondo un costume diffuso su scala generale, una giovane donna posa volentieri dinanzi all’obiettivo del fotografo
28 Panorama
e monitorato dal KWS (Kenya Wildilife Service), l’ente per la protezione
della natura del Kenya, che combatte
in prima linea il bracconaggio.
Sta calando l’oscurità ed è ora di
rientrare nelle tende. Alle cinque del
mattino dopo siamo già svegli e pronti ad affrontare l’obiettivo: esplorare
lo Tsavo occidentale, caratterizzato da una grande varietà di paesaggi,
dalle paludi ai picchi rocciosi e vulcani spenti. Appena finita la stagione
delle piogge, la savana coperta dalla
fitta vegetazione in cui pascolano decine di zebre, kongoni e gazzelle. È
un paradiso. A un certo punto il pasto degli animali viene disturbato dal
rumore della jeep; sollevano la testa,
drizzano le orecchie e, continuando a
masticare, ci osservano per qualche
minuto. Non percependo probabilmente alcun odore di pericolo, si rimettono a strappare i germogli d’erba
fresca da terra.
Dopo un paio di chilometri, Massimo fa segno di fermarsi. Restiamo
immobili, quand’ecco comparire un
elefante femmina. È la matriarca, distinguibile per le dimensioni e le rughe sul corpo, chiaro segno di anzianità, e rispettata all’interno del clan.
Lascito dell’epoca coloniale britannica, seppur lenta
ed obsoleta, in Kenya la ferrovia conserva a tutt’oggi
un ruolo insostituibile nello
spostamento della popolazione locale. Oltre a contribuire al mantenimento dei
posti di lavoro, essa si pone
anche come specifico punto di socializzazione: lungo
il percorso i bambini attendono pazientemente per ore
l’arrivo dei convogli per affiancarsi ad essi nella corsa
ed afferrare i piccoli oggetti
che vengono loro gettati dai
passeggeri
Panorama 29
30 Panorama
Panorama 31
Passato e presente s’intrecciano
nel Kenya a creare complessi legami. Così, la moderna tecnologia
aeroportuale fa da contraltare alle
piste in terra battuta e le stazioni
diventano luoghi d’incontro nei
viaggi verso i minuscoli nuclei abitati ontani. Anche l’abbigliamento
denuncia il connubio fra il pittoresco “mondo che fu” e la praticità
imposta dalla cosiddetta “civiltà”
32 Panorama
Reportage
Non ci vede e non riesce a percepire il nostro odore. Seguita da alcuni
giovani maschi e un paio di cuccioli, si muove lenta tenendo il gruppo
sempre coeso, fermandosi dove la
vegetazione abbonda. Dietro ad un
cespuglio si vede un altro cucciolo avrà pochi mesi - e la guida ci fa segno di rispettare il silenzio: il branco è a duecento metri e ogni minimo
rumore potrebbe disturbarlo. Se non
hanno motivo di caricare, gli animali
sono tranquilli, ma se ci si avvicina
troppo, specie in presenza di cuccioli, c’è il rischio di reazioni.
Ci spostiamo a nord, parecchi
chilometri lontano da qualsiasi fonte d’acqua e lo si nota dalla vegetazione. Costeggiamo il fiume Galana,
che scorre attraverso il parco dello
Tsavo orientale. Il paesaggio è arido. Qui un tempo vivevano molte
tribù, tra cui i Masai e i Kamba, i cui
villaggi vennero spostati quando fu
istituito il parco. Oggi talune di queste comunità vivono in riserve naturali e fattorie ai suoi margini.
Cambi, il nostro tracciatore con
un’esperienza pluriennale nel parco,
osserva il suolo in silenzio, per rilevare la pista lasciata da qualche animale. Ogni tanto scende, fa alcuni metri
a piedi e risale sulla jeep. Dopo alcuni
tentativi, ci siamo. Massimo controlla
l’area circostante, prende il fucile e ci
invita a scendere in silenzio. Cambi ci
dirige verso le impronte. Sono ancora
fresche… ed enormi: qualche ora prima saranno passati alcuni leoni maschi molto grossi. Chiediamo a Massimo se possiamo continuare a piedi.
Si guarda attorno, ci dà alcune raccomandazioni e proseguiamo. Le impronte sono molte e segnano il passaggio di gazzelle, zebre e facoceri. Ecco
altre impronte feline: questa volta si
tratta di un leopardo. Massimo ci fa
cenno di salire: è ora di andare avanti. Pochi metri e troviamo la carcassa
sfigurata di un elefante adulto. Il corpo è in decomposizione, le zanne viaggiano già di sicuro su qualche nave diretta in Cina o Giappone, sicché troveremo l’avorio offerto a cifre molto
alte nelle vetrine di Pechino, Tokyo
o Shangai. Ma è questo il prezzo che
devono pagare questi poveri animali, dettato dall’ignoranza umana? Il
2011 ad esempio è stato un anno particolarmente triste per il rinoceronte, i
cui esemplari hanno subito un drasti-
Prodotti dell’artigianato locale,
un’attività che fa conto sulla consistenza delle presenze turistiche
co calo. I dati dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura
(IUCN) dicono che in Africa occidentale il rinoceronte nero è estinto, mentre quello bianco è sull’orlo dell’estinzione nelle zone dell’Africa centrale.
Quale la causa principale? Circa mille
anni fa ampiamente presente in Cina,
è stato sterminato per il loro corno con
cui la medicina tradizionale cinese
cura la febbre e altre malattie, anche se
la scienza medica non ne ha mai dimostrato l’efficacia.
Una piccola folla
per vedere i leoni
Grazie al TRAFFIC (Trade Records Analysis of Flora and Fauna in
Commerce), specifico programma
del WWF e dell’IUCN che controlla
il commercio di animali e piante selvatici, si cerca di fermare il commercio dei corni di rinoceronte e avorio in
Cina, Corea del Sud e Taiwan, ossia i
mercati principali. Si offre assistenza
ai governi negli sforzi per proteggere
le specie contro il bracconaggio e preservare ciò che resta del loro habitat,
la riproduzione in cattività, e la pressione sui paesi perché vietino qualsiasi commercio, prima che la situazione
si aggravi. Anche il premier cinese da
Wen Jiabao ha proposto un’azione internazionale per fermare il massacro.
“Il bracconaggio di rinoceronti ed elefanti in Africa ha raggiunto livelli senza precedenti”, si legge sul sito www.
change.org. “La maggior parte delle
specie di rinoceronte in tutto il mondo sono ad alto rischio di estinzione e
l’incremento del bracconaggio è dovuto in gran parte dalla crescente domanda di corni di rinoceronte in Cina”.
Proseguiamo verso il prossimo
obiettivo: avvistare i leoni. Ci si ferma
un paio di volte, Massimo osserva attentamente con il binocolo e si riparte.
Dopo qualche chilometro raggiungiamo alcune jeep ferme in mezzo a una
stradina. C’è una folla notevole. Massimo si ferma, prende tra le mani il binocolo e lo indirizza verso un albero
di acacia, circondato da tronchi secchi.
“Eccoli!”, esclama. Mi passa il binocolo e mi indica il punto da osservare. Un gruppo di avvoltoi sono radunati attorno alla carcassa di qualche
erbivoro appena ucciso. Spostando
di poco lo sguardo, vedo due enormi
code muoversi sinuosamente all’ombra di una grossa acacia. Si tratta di
due leoni. Avranno appena pranzato
e se ne stanno all’ombra dell’albero a
digerire il loro pasto.
Lasciamo il parco dello Tsavo e rientriamo sulla costa. Salutiamo le nostre guide e ci sistemiamo in hotel. La
sera faccio due calcoli dei giorni trascorsi e quelli che mancano prima di
rientrare a casa. Siamo solo agli inizi e sono già sommersa da montagne
di appunti, foto e video da sistemare.
Riguardo i miei scatti chiedendomi
cosa mi piace e cosa non va, provando
emozione nel rivedere tutti quegli animali, la maggior parte dei quali supplica aiuto: si tratta di un problema serio
che mette a rischio la biodiversità di
questi luoghi.
Lo sapevo già, ancor prima di ripartire: avrei ripreso a viaggiare attraverso questo continente assorbendo come
una spugna tutte le conoscenza che mi
avrebbe potuto dare. E documentando
la realtà, per rendere la gente più consapevole, nella speranza di poter cambiare qualcosa. ●
Panorama 33
Letture
L
o scorso luglio sono stati attribuiti i Premi della
XLIII edizione del concorso Istria Nobilissima, che
hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi
del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire
il maggior numero di lettori, nelle pagine riservate alle
letture “Panorama” propone le opere a cui siano stati
attribuiti premi o menzioni.
Nella categoria “Letteratura - Premio Osvaldo Ramous” alla sezione “Poesia in uno dei dialetti CNI” la
giuria ha assegnato la menzione onorevole a LINO CAPOLICCHIO di Gallesano per la sua raccolta di poesie
dal titolo “Dighelo cola poi∫ia” (Diglielo con la poesia).
«Dighelo cola poi∫ia»
(«Diglielo con la poesia»)
Al’Istria
Anco dormindo
me ‘nsogni de tio
Istria meja,
cor mejo.
Tè sen bela
tè segni la più bela
de dute le province,
te segni como la più bela
del ca∫in,
la più calda,
duti te vol!
Duti te ‘nbrama.
Tè segni sempro ∫ota,
sempro ∫ota!!
Como la putana.
Prima i romani,
poi?
Per trede∫e secoli
piun paroni,
poi i venesiani
i austriachi i taliani
la Jugo∫lavia
deso la Croasia.
E mi?
Che dele volte
segni ‘n sognador
’nbramaravi
che la storia
tornarao ‘ndrio
’n tò ‘l tempo
del re Epulone
e de i sò Istri
che viveva soli e contenti,
però questo nò se pol
perché la storia
∫e como ‘l refolo del vento
34 Panorama
che quando ‘l ven, ‘l riva,
’l pasa, ‘l và via
e no ‘l torna piun
’ndrio.
E lora mì
carego de sono
de tristesa e malinconico
giri la suca
de l’altra banda
del cusin
e vardi de dormì ‘n po’
prima che vegna
’l ciaro dela mitina
a tirame
∫ò de ‘l leto
ALL’ISTRIA
Anche dormendo/ io sogno te/ Istria mia/ cuore mio./ Sei
bella/ sei la più bella/ di tutte le province,/ sei come la più
bella/ del bordello/ la più calda,/ tutti ti vogliono!/ Tutti ti desiderano/ sei sempre sotto,/ sempre sotto/ come la
prostituta./ Prima i romani,/ poi?/ Per tredici secoli/ vari
padroni,/ poi i veneziani/ gli austriaci, gli italiani/ la Jugoslavia/ adesso la Croazia./ Ed io?/ Che alle volte/ sono
un sognatore/ desidererei/ che la storia/ tornasse indietro/
nel tempo/ del re Epulone/ e dei suoi istriani/ che vivevano soli e contenti,/ purtroppo questo non è possibile/ perché la storia/ è come il refolo del vento/ che quando viene,
arriva,/ passa e va via/ e non torna più/ indietro./ E allora io/ pieno di sonno/ di tristezza e malinconia/ giro la testa/ dall’altra parte/ del guanciale/ e cerco di dormire un
poco/ prima che venga/ il chiarore mattutino/ a tirarmi/
giù dal letto./
Letture
Sè fuso,.... Sè sarao
SE FOSSE SE SAREBBE
Sè fuso,... Sè sarao
como ‘na volta,
como n´tol tempo antico;
como ‘ntoi dì che ∫idi lon∫i.
Quando che i gali∫ane∫i
se comandeva soli
e quando che i confini
del comun de Gali∫an
i ∫eva dela banda de ∫ora
del castel del Conte Cornede
e i Carsi grandi fina Buran
e de la ∫ò per i carpi
e Val Comuna fina San Silvestro
e poi ∫ò, ∫ò per le contrade
dei Demori e dei Pianela
quatro∫ento etari ton toco solo
e ∫o ancora ‘n Siana duto tere
dei Leonardeli; e de là fina
l’Arena e Port’aora e
Prà grando duto tere dei
Simonei, Capolichio, Teser
e Delcaro e poi treso fina
Fi∫ela e Scojo dei frati
de me cu∫in Nane Ciarel
e Scojo olii dele fameje Teser
e de là de Valelonga sun
fina ‘n Val de naga altri
du∫ento etari ton toco solo
dele fameje Pianela.
E a sanca fina Ponti∫ela
e Prà del gorgo ‘ncoi Bi Vilage
duto tere dei Teser,
Delmoro, Capolichio e Tofeti
e poi sun de novo fina
Vi∫an e Ca∫al Major
tere dei Castelichio,
Pastrovichio e Delmoro e
’ncora sun per Carignan
tere dei Valente e De Petre
e ancora sun, sun per
Canagroto e Ti∫on duto
Comun de Gali∫an.
E se parleva ‘n dialeto solo
e se doreva solo ‘n Cristo ‘n cro∫e.
E i veci Gali∫ane∫i che sà
stà roba quando che i pensa
ghe ven ‘l maro ‘n boca.
Però l’acqua pasada
nò ma∫ena piun!...
Ahi se solo fuso; sè sarao
como ‘na volta
como ‘n tol tempo antico
e como ‘n toi dì che ∫idi lon∫i.
Se fosse, se sarebbe/ come una volta,/ come nei tempi
antichi;/ come nei giorni lontani./ Quando i gallesanesi/ erano autonomi/ e i confini/ del loro comune/ andavano da settentrione/ dal castello del Conte Cornede/ ed
i Carsi grandi fino in bosco Buran/ e da lì giù per i carpi/ e Val Comuna fino a San Silvestro/ e poi giù, giù per
le contrade/ dei Demori e dei Pianella/ quattrocento ettari tutti d’un pezzo/ e giù ancora in Siana tutto terreni/
dei Leonardelli; e di là fino/ all’arena e Port’aurea e/ Pra
grande tutto terreni dei/ Simonelli, Capolicchio, Tesser e
Delcaro/ e il confine meridionale da Pra grande a Fisela/ e Scoglio dei frati/ di mio cugino Giovanni Ciarel,/ e
Scoglio olivi delle famiglie Tesser/ e di là sù per Vallelunga/ fino a Val de naga altri/ duecento ettari in un pezzo
unico/ delle famiglie Pianella./ E a sinistra fino Puntisella/ e Pra` del gorgo oggi chiamato Bi Village/ tutto terreni dei Tesser,/ Delmoro, Capolicchio e Toffetti/ e poi su
di nuovo fino a/ Visan e a Casal major/ terreni dei Castelicchio,/ Pastrovicchio e Delmoro e/ ancora su per Carignano/ terreni dei Valente e dei De petre/ e ancora su, su
per/ Canalgroto e Tison tutto/ comune di Gallesano./ E si
parlava una lingua sola/ e si adorava un solo Cristo in
croce./ I vecchi gallesanesi che sanno/ queste cose quando le pensano/ viene a loro l’amaro in bocca./ Purtroppo
l’acqua passata/ non macina più.../ Ah! Se solo fosse; se
sarebbe/come una volta/ come nei tempi antichi/ come nei
giorni lontani./
Panorama 35
Letture
Storia gali∫ane∫a
Ca∫ai gali∫ane∫i
Como fio picio
me bordivi senpro sula cal
e ‘l vecio Vitorio Calan
dito Toni me di∫eva sempro:
te sé che noi signemo calabre∫i?
Rivadi sà ‘n tol secondo secolo?
Si Toni ghe rispondevi
perché anco me nono
me la conta sempro così
e anco me barba Mengo Tofo
e ‘l vecio Toni Tilin
e ‘l vecio Spadin
e duti sti altri veci.
I dì sempro che signemo rivadi
sun per la cal de Fa∫ana
col sinbolo ‘n man
e con le pive ‘n spala
e col subioto ‘n scarselin
como servi dei Patrisi romani
a vardaghe le pegore
e laoraghe le vide e i olii.
A la je sintuda tante volte Toni.
Duti i gali∫ane∫i de sà de Carignan
fina ‘n San Pano∫ jera servi dei Patrisi
fora che le fameje Durin,
Deghenghi, Demori, Pianela
e Leonardeli
che i jera paroni de tere
a la sé,
a la sé si Toni.
Perché questa ∫è
la nostra storia.
Ca∫ai gali∫ane∫i
duti sparnisadi
’ntorno ‘l pae∫
como i polastri
’ntorno la cioca
ola signè?
Ola signè finidi?
Solo grumasi,
∫e restà de voi.
Ola ∫è la vostra ∫ento,
ola?
Tio Paderno
te segni muto
como ‘l peso.
E voi?
San Mauro e San Silvestro
njente no me di∫è?
E voialtri
Ca∫al de mur e Toro
anco voi ve perso
la favela.
E tio Ca∫al major
’l piun grando de duti
njanco tio no ti faveli piun,
no se sento piun i to fioi
che siga.
E questo val
anco per voi
Vi∫an e Carignan.
I doj piun pici signè
e anco voi ta∫è
e ste là duti ‘ngrumasadi.
Ma a sto mondo
duto pasa
e va via
e njente
no torna piun...
como prima.
STORIA GALLESANESA
Come bambino piccolo/ giocavo sempre sulla strada/ ed il
vecchio Ghiraldo Vittorio/ detto Toni mi diceva sempre:/ lo
sai che noi siamo calabresi?/ Arrivati quì nel secondo secolo?/ Sì Toni gli rispondevo/ perché anche mio nonno/ me
la racconta sempre così/ ed anche mio zio Domenico Detoffi/ ed il vecchio Antonio Tilin/ ed il vecchio Valente/ e
tutti ‘sti altri vecchi./ Dicono sempre che siamo arrivati/ su
per la strada di Fasana/ con il cembalo in mano/ e la zampogna in spalla/ e lo zufolo nel taschino/ come servi dei Patrizi romani/ a pascolare le loro pecore/ e lavorare nei loro
vigneti e uliveti./ L’ho sentita molte volte Toni./ Tutti i gallesanesi da Carignano/ fino in San Panos erano servi dei
Patrizi/ fuori che le famiglie Durin,/ Deghenghi, Demori,
Pianella/ e Leonardelli/ che erano padroni terrieri/ e lo so,/
lo so Toni/ perché questa è/ la nostra storia./
36 Panorama
CASALI GALLESANESI
Casali gallesanesi/ tutti sparpagliati/ intorno il paese/
come i pulcini/ intorno alla chioccia/ dove siete?/ Dove
siete finiti?/ Solo cumuli,/ sono rimasti di voi./ Dov’è la
vostra gente,/ dov’è?/ Tu Paderno/ tu sei muto/ come il
pesce./ E voi?/ San Mauro e San Silvestro/ niente non
mi dite?/ E voi altri/ Casale de mur e Toro/ anche voi
avete perduto/ la parola./ E tu Casal major/ il più grande di tutti/ nemmeno tu mi parli più,/ non sento più i tuoi
figlioli/ che gridano./ E questo vale/ anche per voi/ Visan e Carignan/ i due più piccoli siete/ e anche voi tacete/ e state lì tutti in un cumulo./ Ma a questo mondo/ tutto passa/ e va via/ e niente/ torna più.../come prima./
Letture
Tempi pasadi
Se tornarao
’l tempo pasà
quando che i Castropola
torneva de sera
’ndrio del sò
Castel de Momoran
treso Buran e Paderno
fina Gali∫an
ò dei sò poderi
’n tè le contrade
de Savicenti e Bocordi
e li ciapeva la noto
e ‘l scur pela cal,
o ‘l caligo
e le medole de ‘l inverno
alora i se fermeva
a senà e a dormì
a ca∫a meja
e ‘l mè antenato;
’l vecio Pasqualin Capolichio
’l mandeva presto ‘l servo
a menà i cavai
pieni de spiuma e de sudor
’n stala, ‘n Lumel,
e li forbiva e li sugheva
e ‘l ghe ‘npiniva
la magnadora de biava.
O sè tornarao ‘l tempo
quando che la ∫ento
dei ca∫ai gali∫ane∫i
se menteva ‘n senbro
e i formeva la piasa
squa∫i a quadrato;
de la banda de ∫ota
i Capolichio, de ∫ora
i Deghenghi, de un
fianco Leonardeli e
Delmoro e de
quel’altro i Valente.
O sè tornarao
’l tempo del sijesento
quando ché i me veci
se veva batun
a Pola coi genove∫i
e i veva perso
e lori i ne veva
bru∫à la ca∫a che jera
sul pial
de cità vecia.
Ma ‘l tempo pasà, no torna
mai ‘ndrio
e forsi ∫e mejo cusì.
TEMPI PASSATI
Se tornasse/ il tempo passato/ quando che i Castropola/
tornavano alla sera/ indietro dal proprio/ Castello di Momorano/ attraverso bosco Burano e Paderno/ fino a Gallesano/ o dai propri poderi/ nelle contrade/ di Sanvincenti
e Bocordi/ e li sorpendeva la notte/ e l’oscuro per la strada/ o la nebbia/ o le bufere invernali/ allora si fermavano/ a cena e a dormire/ a casa mia/ ed il mio antenato,/
il vecchio Pasquale Capolicchio/ mandava presto il servo/ a portare i cavalli/ colmi di schiuma e di sudore/ nella
stalla in Lumel/ e li asciugava/ e riempiva/ la mangiatoia
di biada./O se tornasse il tempo/ quando che la gente/ dei
casali gallesanesi/ si assenbrava/ e si formava la piazza/
quasi a quadrato;/ dal meridione i Capolicchio/ da settentrione i Deghenghi/ dal lato orientale i Leonardelli e
Delmoro/ e dal lato occidentale i Valente./ O se tornasse/ il tempo del seicento/ quando i miei antenati/ avevano
combattuto/ a Pola contro i genovesi/ e avevano perso/ e
loro ci avevano/ bruciato la casa che si trovava/ sul pendio/ di cittavecchia./ Ma i tempi passati, non tornano/ mai
indietro/ e forse è meglio così./
Panorama 37
Anniversari
Bicentenario della nascita di Dickens: dure le sue osservazioni sull’Italia
Un paese di miserie e ingiustizie
È stato definito uno dei maggiori autori inglesi del proprio
secolo nonché “fondatore” del
romanzo sociale: a 200 anni
dalla nascita, Charles Dickens
viene ricordato non solo in Gran
Bretagna - che gli dedica tutto
l’anno -, ma ovunque nel mondo. Non molti però sanno che
soggiornò anche in Italia traendone dettagliate impressioni.
I
n luglio Genova “appariva bella dalla nave, ma da vicino doveva essere la regina tra tutte le città dimenticate da Dio”. Scriveva così
Charles Dickens nelle sue Impressioni d’Italia, all’inizio del suo viaggio
nella penisola che, bella o brutta che
fosse, lo “trattenne”
per due
anni (1844-1845)
facendolo a tratti
partecipe anche
di vicende del
tutto impreviste. Nella decisione di venirci, afferma su
“La Stampa” Richard
Newbury richiamandosi
a Becoming Dickens, la biografia
più recente scritta da Robert
Douglas Fairhurst, c’è tanto un misto
“dickensiano” di giornalismo investigativo sullo “stato della nazione” italiana quanto, nel contempo, l’aspirazione sociale del nuovo ricco che ora a
Londra può vivere in un palazzo.
Questa, scriveva Dickens, era la sua
prima vacanza dall’età di 12 anni: prima neppure sapeva cosa significasse
essere pigri. Eppure un bel diversivo
se l’era preso dal gennaio al giugno di
due anni prima: un viaggio negli Usa,
con moglie e cameriera, che fra l’altro
lo portò nei luoghi in cui viveva Edgar
Allan Poe, che tuttavia non incontrò.
Osannato fin dallo sbarco, in un primo
38 Panorama
momento fu ben contento di queste attenzioni, ma ben presto se ne stancò. In
una lettera a un amico si lamentò di non
poter fare né andare come e dove voleva: ovunque era seguito dalla folla.
Si mostrò critico tanto su temi capitali quali la stampa o le condizioni sanitarie delle città quanto su questioni “di
folclore” come l’abitudine americana
largamente diffusa di masticare tyabacco e poi sputarlo in pubblico. La stessa capitale, notò con acredine, poteva
essere chiamata “il quartier
generale della saliva tinta di tabacco”. Il giudizio
finale sugli Usa,
condito da parole
particolarmente
dure sulla schiavitù, fu sferzante.
Era questa una
nazione “volgare, grossolana e meschina”, alla cui testa
non vi erano altri che “un
branco di mascalzoni”.
In Italia, associò, come detto, Genova alle altre città italiane, “ammuffite, tristi, sonnolente, sporche, pigre,
malmesse. Sembrava di essere arrivati alla fine di tutto”. Tuttavia, proprio
come gli esuli italiani nella nebbiosa
Londra - non erano passati vent’anni dalla morte di Foscolo, avvenuta
proprio in questa città, mentre qualche anno dopo, nel 1833, a Londra era
sbarcato Giuseppe Mazzini - si sistemò
relativamente presto, “aiutato” dal fatto che a Genova aveva preso alloggio
a Palazzo Peschiere, nel cuore della città, si era fatto le prime amicizie e aveva
preso un palco all’opera. Nel gennaio
successivo, passando per Pisa e Siena,
si recò con la moglie a Roma - e il giudizio non fu meno duro rispetto a Genova. La trovò infatti “degradata e
decaduta” giacente “addormentata sotto il sole
tra un cumulo di rovine”. Sul percorso
scoprì però anche
qualcosa di valido,
come la strada costiera fra Genova e La Spezia:
“Non c’è niente di più bello al mondo”
dirà. E Pisa?
La sua torre “è troppo
piccola”, fu il lapidario giudizio lenito peraltro da
una considerazione personale: “Sarà forse dovuto al
fatto che è
uno di quei
soggetti che si
collegano nelle
loro prime associazioni con i libri di scuola”.
L’uso letterario
del soggiorno italiano fu inevitabile.
Il suo nuovo libro Le
campane inizia proprio
con un tour pickwickiano
in diligenza fra Piacenza,
Parma, Modena, Bologna
e Ferrara. “Che strano dormive- glia, mezzo triste e mezzo delizioso, è il passaggio attraverso questi
luoghi addormentati che si crogiolano
al sole! Ognuno, di volta in volta, appare il luogo del mondo più ammuffito,
triste, dimenticato da Dio!”. Fu colpito, però, mentre proseguiva, dalle “piacevoli” Verona, Mantova e Milano,
fino al Sempione. Non poteva manca-
Anniversari
Un ritratto di Dickens fra una copertina di quell’”Oliver Twist” che fece
piangere generazioni di adolescenti e lo storico “Racconto di Natale” in cui
compare Scrooge, l’antesignano di Paperon de Paperoni. Nell’altra pagina: sono state parecchie le edizioni delle sue “Impressioni dall’Italia”
re Napoli, dove l’eccentrico inglese arrivò con la famiglia proprio nelle prime
fasi di un’eruzione sul Vesuvio. Fedele - non si sa quanto coscientemente al detto “vedi Napoli e poi muori” insistette a voler guardare oltre il bordo del
cratere. Conclusione: tornò indietro con
gli abiti in fiamme e due delle sue guide
scomparirono per sempre nella discesa
sul ghiaccio.
Lasciò l’Italia attraverso il San Gottardo dopo essere passato per Firenze
dove “sopravvive la parte imperitura
della mente umana”. Indicativo il giudizio finale: “Lasciate che ci congediamo dall’Italia, con tutte le sue miserie
e le ingiustizie, affettuosamente, con
la nostra ammirazione per le bellezze,
naturali e artificiali, di cui è piena fino
a traboccare, e con la nostra tenerezza verso un popolo, naturalmente ben
disposto, paziente e di temperamento
mite”. “Anni di abbandono, oppressione e malgoverno hanno operato per
cambiare la sua natura e fiaccare il suo
spirito; gelosie miserabili... sono state
il cancro alla radice della nazionalità...
ma il bene che era in esso c’è ancora, e
un popolo nobile può, un giorno, risorgere dalle ceneri. Coltiviamo la speranza”.
La sua vita
il primo romanzo
L’infanzia e l’adolescenza di Charles John Huffam Dickens (Portsea, vicino a Portsmouth, 7 febbraio 1812)
furono segnate dall’impriginonamento del padre per debiti contratti al gioco, sicché il figlio, a soli nove anni do-
vette lavorare in una fabbrica di lucido
da scarpe. A quindici si impiegò presso un avvocato e poi divenne stenografo in tribunale. Nel 1833 scrisse per un
giornale i primi vivaci bozzetti di vita
londinese che ebbero tanto successo
che gli fu offerto di scrivere storie per
una serie di disegni destinati a rappresentare umoristicamente il londinese
tipo. Così nacque Il circolo Pickwick,
uscito a puntate mensili tra il 1836 e il
1837. Il successo (dalle iniziali 400 la
tiratura raggiunse le 40.000 copie) portò al giovane autore (aveva 24 anni) e
alla moglie, sposata nel 1836, l’agiatezza economica e la fama.
In due anni pubblicò sulla “Bentley’s Miscellany”, la rivista letteraria da lui diretta, altri due romanzi
Oliver Twist: or, the parish boy’s progress (Oliver Twist, 1838) e The life
and adventures of Nicholas Nickleby
(Nicholas Nickleby, 1839). Dopo A
Christmas carol (Racconto di Natale,
1843) e Dombey and son (Dombey e
figlio, 1846-48) lavorò al suo romanzo più popolare, The personal history, adventures, experiences and observations of David Copperfield (David
Copperfield, 1850) e fondò varie riviste ed anche due settimanali, “Household Words” e “All the Year Round”,
in cui riversò tutta la sua poliedrica
creatività con 129 brani e... 181 pezzi
scritti assieme ad altri. Direttore invadente e incontentabile metteva, infatti, spesso le mani sugli articoli dei collaboratori, pubblicati tutti senza firma
ma su pagine rigorosamente marchiate
sotto l’egida di “Charles Dickens the
Conductor”. Il volitivo “conduttore”,
faceva opera estensiva di editing, aggiungeva tocchi dickensiani, spesso di
colore ma non solo, al punto da ridurre
le bozze, con mille cancellazioni e aggiunte, a “inky fishing nets” (intricate
reti di inchiostro).
La separazione dalla moglie, da
cui aveva da cui aveva avuto dieci figli, avvenuta nel 1858, segnò l’avvio
ad una maturità maturità tormentata e
inquieta, riflessa nei grandi romanzi:
Bleak house (Casa desolata, 1853),
Hard times (Tempi difficili, 1854),
Little Dorritt (La piccola Dorritt,
1857) e Great expectations (Grandi
speranze, 1860-61). Il lavoro sempre
più gravoso, tra cui le lezioni pubbliche ne minarono la salute: la morte lo
colse a Londra, il 9 giugno 1870, a
soli 58 anni, mentre scriveva un romanzo in cui sperimentava il genere
poliziesco. Fu sepolto nell’Abbazia
di Westminster.
Erede della grande tradizione del
romanzo del ‘700, egli sfruttò a fondo la forte carica patetica del suo tempo. A questo si aggiunga una genialità istintiva, non ravvivata da una cultura razionalizzata o influenzata da
un pensiero politico definito che forse gli avrebbe fatto arrivare meglio a
capire il nesso tra politica e potere e
la condizione sociale delle masse. Caratteristica principale dei suoi scritti,
che conquistarono sempre il pubblico,
ma molto meno la critica, fu la capacità di cogliere con arguzia ed ironia gli
aspetti più profondi della società vittoriana, opulenta e perbenista, caratteristiche che, a ben vedere, troviamo intorno a noi anche oggi. ●
Panorama 39
Italiani nel mondo
Rispetto allo scorso anno i censiti sono risultati pari a 93.742 unità in più, dim
Aumentato il numero dei connazion
a cura di Ardea Velikonja
A
l 31 dicembre 2011 erano
4.208.977 gli italiani residenti all’estero. È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio, il decreto dei Ministeri
dell’Interno e degli Esteri che ogni
anno – così come previsto dalla Legge Tremaglia – sancisce il numero
dei connazionali residenti nelle quattro ripartizioni della circoscrizione
Estero.
Nel dettaglio sono 2.307.683 i
residenti in Europa; 1.283.078 in
America Meridionale; 388.904 in
America Settentrionale e Centrale e
229.312 in Africa, Asia, Oceania e
Antartide.
Rispetto al 2010, i residenti
all’estero sono aumentati di 93.742
unità: erano 4.115.235 i connazionali “censiti” dal decreto 2010. Dei
nuovi espatriati, in 43.266 risiedono
in Europa, 38.655 in Sud America,
5.165 in Nord America e 6.656 in
Africa Asia e Oceania.
La Commissione Affari Esteri del Senato ha esaminato in sede
consultiva il decreto sulle liberalizzazioni varato dal Consiglio dei Ministri che quindi è passata all’esame
della Commissione Industria. L’esame della Commissione, in particolare, si è concentrato sull’articolo 40
che – in tema di semplificazioni burocratiche per i cittadini – prevede
il rilascio di un codice fiscale ai residenti all’estero. Relatore del provvedimento il senatore Alfredo Mantica (Pdl) che, da ex sottosegretario
agli esteri con delega per gli italiani nel mondo, ha ribadito ancora una
volta la necessità di riformare l’Aire.
A margine del dibattito, alla presenza del sottosegretario De Mistura,la
Commissione ha dato mandato al
relatore di redigere parere non ostativo al decreto.
Il decreto sulle liberalizzazioni,
ha spiegato Mantica, “si inserisce in
una strategia complessiva del Governo per affrontare la crisi finanziaria internazionale, introducendo
misure di liberalizzazione per sostenere lo sviluppo e la crescita economica. Le valutazioni delle istituzioni
economiche internazionali (OCSE,
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale) hanno evidenziato per l’Italia la precisa necessità
di sostegno all’iniziativa economica
privata. I settori dell’economia italiana che risentono meno della con-
correnza internazionale sono tutti quelli diversi dal manifatturiero,
e che rappresentano più della metà
del valore complessivo. In tali ambiti (commercio, trasporti, credito e
assicurazioni, costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti, professioni) è intenzione del Governo
eliminare barriere all’entrata o limitazioni all’esercizio per favorirne lo
sviluppo”. Secondo Mantica è quindi “indispensabile avviare un’approfondita riflessione sull’assetto e
sulle opportunità offerte dal mercato unico europeo. All’interno dello
stesso, infatti, sussistono differenti
gradi di liberalizzazione in particolare dei servizi.
Quindi, una comparazione tra la
situazione italiana e quella dei principali partner europei costituisce
una premessa indispensabile per valutare il livello di liberalizzazione
che deve essere introdotto anche in
Italia, onde individuare il punto di
equilibrio per garantire l’ingresso
del mercato di nuovi operatori che
si traduca in una crescita competitiva”. Passando ai profili di competenza della Commissione Esteri,
Mantica ha richiamato l’articolo 40, recante disposizioni in mate-
Organizzati dal Calcif di Milano, tre settimane a luglio e agosto sul Lago di Garda
60 borse studio per partecipare ai corsi estivi
S
ono 60 le borse di studio messe a disposizione per
i corsi estivi internazionali di lingua e cultura italiana curati dal Centro d’ateneo per la promozione
della lingua e della cultura italiana Feltrinelli (Calcif)
di Milano sul Lago di Garda.
I corsi, in programma nei mesi di luglio e agosto, si
svolgeranno presso la nella sede di Gargnano del Garda
(Palazzo Feltrinelli) e avranno una durata di 3 settimane. La borsa di studio copre i costi del corso, del vitto
e dell’alloggio. Il bando – in italiano ed in inglese – è
consultabile al sito: www.calcif.unimi.it.
Ai corsi internazionali del Calcif hanno già partecipato finora circa mille studenti stranieri provenienti da
tutto il mondo. In misura crescente, oltre a studenti provenienti da paesi che hanno una lunga tradizione di studio della lingua e cultura italiana, vi hanno partecipato
40 Panorama
studenti che costituiscono un pubblico nuovo ed emergente per lo studio dell’italiano all’estero, provenienti
da paesi come l’Angola, Camerun, Kazakstan, Mozambico, Nuova Zelanda, Sudan,Thailandia.
Si tratta di una delle numerose iniziative messe
in campo dal Calcif, istituito nel 2004, per la promozione dell’insegnamento e dell’apprendimento della lingua italiana. Tra esse, vi è anche la realizzazione della rivista semestrale elettronica gratuita “Italiano LinguaDue”, liberamente consultabile all’indirizzo: www.italianolinguadue.unimi.it. La rivista svolge
un’importante azione di informazione e aggiornamento per i docenti e per quanti amano la lingua e la cultura italiana.
L’iniziativa è segnalata dal portale dei Lombardi nel
Mondo (www.lombardinelmondo.org). (Inform)
Italiani nel mondo
oranti soprattuto in Europa
ali all’estero
ria di carta di identità e in materia
di anagrafe della popolazione residente all’estero. Secondo l’articolo,
ha spiegato, “l’amministrazione finanziaria attribuirà d’ufficio il codice fiscale ai cittadini italiani iscritti
all’Aire, ai quali non risulta già attribuito, previo allineamento dei dati
anagrafici in possesso degli uffici
consolari e delle Aire comunali.
Voglio ricordare ancora una volta che la problematica fondamentale in materia di Aire è il suo mancato aggiornamento. Poiché la comunicazione delle variazione di
indirizzo all’estero non comporta
alcuna conseguenza né operativa né
sanzionatoria, si verifica l’esistenza
di una preoccupante quota di cittadini italiani non più in alcun modo
rintracciabili. Ciò – ha concluso –
determina particolari difficoltà per
il corretto espletamento delle operazioni di voto per corrispondenza in occasione delle consultazioni
elettorali”.
È quindi intervenuto il senatore Claudio Micheloni (Pd) secondo cui “sarebbe necessario procedere ad una riforma complessiva
dell’Aire. L’obiettivo, infatti, di un
suo aggiornamento preciso, al di là
della problematica dell’allineamento dei dati con le anagrafi comunali,
è di difficile conseguimento”. Per
Micheloni si potrebbe istituire “una
distinta anagrafe degli elettori residenti all’estero quale base di riferimento per individuare l’elettorato
attivo per i parlamentari della circoscrizione Estero”.
Nella sua replica, De Mistura ha
osservato come “il disposto di cui
all’articolo 40 del decreto-legge in
materia di attribuzione automatica
del codice fiscale ai cittadini italiani
iscritti all’Aire, ai quali non risulta
già attribuito, costituisca una misura
di semplificazione che andrà valutata in concreto nella fase attuativa”.
La Commissione ha infine conferito al relatore il mandato a redigere un parere non ostativo con le
osservazioni emerse nel corso del
dibattito. (aise)
La sede del Ministero agli Affari esteri
Accordo Nexta-Dante Alighieri
N
uove sinergie per l’arte e la cultura italiana: Nexta e Società
Dante Alighieri uniscono competenze, strategie e network con
l’obiettivo di migliorare e accrescere la diffusione e la fruizione del
patrimonio nazionale in Italia e nel mondo.
Nexta, la media company del Gruppo Itedi/La Stampa, che un anno
fa ha lanciato Arte.it, il primo motore di ricerca semantico e tematico
dedicato all’arte, ha annunciato nei giorni scorsi l’accordo stipulato
con la Società Dante Alighieri, che include anche la gamma di servizi
legati ad Art Wireless. Quest’ultima ha, a sua volta, siglato una convenzione con la Dante per la realizzazione di attività ed eventi finalizzati alla diffusione dell’arte, della cultura e dello spettacolo.
L’accordo Dante-Nexta mira a una collaborazione nella programmazione di eventi culturali, artistici e letterari, nello scambio di visibilità attraverso i rispettivi siti Internet, nell’ideazione, realizzazione,
produzione e promozione di festival, rassegne, premi, fiere, mostre ed
esposizioni, stabili e itineranti, finalizzati alla diffusione della lingua
e della cultura italiana, in particolare nei confronti dei giovani e dei
settori di popolazione particolarmente svantaggiati.
”La missione di Arte.it”, spiega Piero Muscarà, socio fondatore e
amministratore delegato di Nexta, “è quella di facilitare questo processo, creando strumenti e mettendo a disposizione un approccio di
innovazione tecnologica che semplifichi il passaggio al mondo digitale e la costruzione di reti per far emergere e convergere i beni culturali e gli eventi d’arte italiani. L’accordo tra Nexta e Società Dante
Alighieri”, conclude Muscarà, “è un passo ulteriore in questa direzione, che siamo certi darà slancio a nuovi progetti e a forme di collaborazione votate a raggiungere risultati concreti e apprezzabili per la
valorizzazione e la diffusione della cultura e dell’arte italiana in Italia
e nel mondo”.
(aise)
Panorama 41
Made in Italy
La sesta edizione di Olio Capitale in programma dal 2 al 5 marzo
A Trieste la produzione olivicola
a cura di Ardea Velikonja
I
migliori oli d’oliva? Saranno in
mostra a Trieste, dal 2 al 5 marzo, per essere scoperti, degustati
e, perché no, anche acquistati a Olio
Capitale, la prima e unica fiera interamente dedicata all’extra vergine
d’oliva. Un evento specializzato, in
forte crescita, che presenta il meglio
della produzione olivicola italiana e
non solo, tornato per la sesta edizione sotto la regia organizzativa di Aries, Azienda Speciale della Camera di
Commercio di Trieste.
Eventi per il grande pubblico, con
la Scuola di cucina di Olio Capitale
e le degustazioni dell’Oil Bar, e altri dedicati agli operatori del settore,
con gli incontri d’affari tra espositori
e buyer, il prestigioso Concorso Olio
Capitale e gli approfondimenti tematici sui trend del settore: è la formula
vincente che anno dopo anno ha visto crescere costantemente il numero
di espositori e di visitatori, e che ha
condotto quest’anno a una superficie
espositiva ampliata ulteriormente, su
42 Panorama
4 padiglioni e oltre 200 produttori in
fiera. Olio Capitale ha scelto di puntare coraggiosamente solo sull’extra
vergine, senza altri prodotti food di
contorno come spesso accade in appuntamenti fieristici analoghi.”Siamo
assolutamente convinti che qualità e tipicità siano gli asset strategici per
rilanciare l’olivicoltura - ha detto Antonio Paoletti presidente della camera di Commercio di Trieste - Io posso
dire che la sesta edizione di Olio Capitale sarà ancora più ricca, fiorente e
fruttuosa”.
Già confermata la presenza di tutte le regioni produttrici italiane, dai
grandi produttori a quelli di nicchia,
con Abruzzo, Basilicata, Calabria,
Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria,
Lombardia, Marche, Molise, Puglia,
Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino
Alto Adige, Umbria, Veneto. Oltre
il meglio della produzione italiana,
confermata anche la presenza di produttori stranieri, in primis dalle vicine Slovenia e Croazia.
Oltre all’esposizione mini-corsi guidati d’assaggio all’ormai rinomato Oil Bar, con la presenza di
assaggiatori professionisti che permetteranno ai visitatori di imparare
a riconoscere le caratteristiche organolettiche degli oli presenti (cen-
tinaia le etichette) consigliando i
corretti abbinamenti tra oli e pietanze.
Nella “Scuola di Cucina di Olio
Capitale”, dove ai fornelli si susseguiranno noti chef, ottimi interpreti
della cucina italiana, si terranno delle
vere lezioni di cucina per il pubblico,
proponendo numerosi piatti spaziando dalla cucina moderna, antica e tradizionale.
Evento di spicco della tre-giorni il Concorso Olio Capitale, unico
nel suo genere in Italia e riproposto
anche quest’anno, alla luce del gradimento riscosso nelle passate edizioni. Dopo la preselezione dei campioni da parte di un panel professionale, gli oli vengono valutati da tre
differenti giurie: una di assaggiatori
professionisti, una costituita dai fruitori professionali del prodotto, ovvero cuochi e ristoratori, e una di
consumatori. Si è voluto rappresentare così uno spaccato del mercato
dell’olio d’oliva, delle diverse sensibilità e dei gusti di questi tre diversi
fruitori del prodotto. Saranno, infatti,
i loro tre punti di vista a concorrere a
proclamare i vincitori delle tre categorie ammesse: fruttato leggero, medio, intenso, valorizzando così gli oli
extra vergine di oliva tipici e di qualità dell’area mediterranea.●
Made in Italy
A Pordenone dal 3 all’11 marzo anche il primo Festival dei giardini
Lo spettacolo della primavera
L’
appuntamento che segna ormai da 33 anni l’arrivo della
primavera alla Fiera di Pordenone torna anche quest’anno: Ortogiardino, il Salone dell’ortoflorovivaismo in programma nel quartiere
fieristico pordenonese da sabato 3 a
domenica 11 marzo 2012. Dove germogliano le idee migliori per i professionisti e soprattutto per gli appassionati del verde. Piante da giardino,
da appartamento, ornamentali e tropicali. I fiori più colorati e ricercati.
Tante idee per un giardino ogni giorno più bello e più ricco.
Questa edizione di Ortogiardino –
farà da cornice ad un concorso nazionale davvero particolare, denominato
I° Festival dei Giardini, interamente
dedicato a “I colori in giardino”.
I 15 progetti selezionati lo scorso
16 gennaio tra oltre 40 proposte originali saranno visibili dal pubblico
all’interno dei padiglioni fieristici.
I progetti si sono distinti per la
loro creatività e per aver proposto soluzioni particolari, che non mancheranno di stupire ed ispirare i visitatori. Tutti i progetti sono accomunati, nella progettazione e nella realizzazione, dalla particolare attenzione
all’uso dei colori.
Il concetto del giardino o spazio
verde ora di grande attualità è diventato un virtuoso fenomeno di costume. La vera innovazione e cuore pul-
sante del concorso è la sfida di realizzare un giardino di dimensioni ridotte utilizzando piante di bellezza che
sappiano soddisfare sia la valenza
funzionale, sia quella estetica.
Per i progettisti si tratta di un’opportunità unica: disporre di una vetrina prestigiosa come Ortogiardino,
sia in termini di visibilità di pubblico,
sia in termini di risonanza mediatica,
grazie alla presenza di più di 70.000
visitatori provenienti anche dalla vicina Slovenia e Croazia. Un’occasione davvero imperdibile, considerando che la totalità dei partecipanti
è costituita sia da giovani progettisti
che da progettisti già affermati, formati da professionalità diverse (vivaisti, architetti, periti agrari ed agronomi) e provenienti, oltre che da tutta
Italia, anche dalla Spagna.
La Fiera Ortogiardino sarà aperta nei nei giorni feriali dalle 14.30
alle19.30 e nei festivi dalle 9.30 alle
19.30. Biglietto d’ingresso: 8 euro.●
Panorama 43
Musica
Storia degli strumenti a corda, legni, ottoni e percu
Per la furtiva lacrima è d ’
a cura di Ardea Velikonja
I
l fagotto è uno strumento musicale a fiato ad ancia doppia appartenente al gruppo dei legni,
di cui costituisce il basso. Il nome
fagotto deriva dalla forma che esso
aveva in origine, simile a quella di
un mantice a soffietto che immetteva l’aria in due tubi affiancati. Il musicista che lo suona va sotto il nome
di fagottista
Struttura
È composto da un tubo conico lungo circa 2,60 m ripiegato su se stesso
a “U”, e ricavato in tre diversi segmenti e un padiglione, da altrettanti
masselli di legno (pero, acero, palissandro, ebano ecc.): i segmenti esterni sono innestati su quello mediano,
detto “piede” o “stivale”, costituito da un blocco a sezione ovale nel
quale sono ricavati due tratti di tubo
paralleli, uno ascendente e l’altro discendente, congiunti da un accordo a
gomito (culatta) all’estremità inferiore. Ha l’imboccatura ad ancia doppia
e un sistema di chiavi e 5 fori. L’ancia è inserita su un cannello metallico
ritorto inserito nel segmento iniziale
Il controfagotto
Il fagotto
44 Panorama
chiamato “esse”. I fori sono scavati
con andamento obliquo, in modo da
raggiungere la colonna d’aria contenuta nel tubo in punti tra loro più distanziati di quanto non siano le aperture esterne, adeguate all’estensione
delle dita di una mano.
Il controfagotto è un parente stretto del fagotto ed è dotato di una canna lunga il doppio del fagotto (la colonna d’aria) e un registro più grave
di un’ottava, quindi produce note più
basse.
Storia
L’evoluzione tecnica dello strumento si deve soprattutto alla casa
produttrice tedesca Heckel, che lo
arricchisce con chiavette e fori non
presenti fino alla metà del XIX secolo. Le sue origini sono da riferire alla dulciana, strumento rinascimentale esistente in una famiglia che
comprendeva dal soprano al basso. Il
basso ebbe particolare fortuna e venne usato anche in funzione solista in
grandi e piccole formazioni durante
tutto il XVII secolo. La dulciana si
evolve e diviene fagotto grazie alle
sperimentazioni che avvengono soprattutto in Francia.
Il controfagotto è uno strumento traspositore all’ottava inferiore
Musica
ssioni che compongono un’orchestra sinfonica (7)
’obbligo il controfagotto
In ogni orchestra sinfonica ci sono 2 fagotti e un controfagotto
Si possono definire due tipi fondamentali di fagotto fino alla metà
dell’800, il fagotto barocco e il fagotto classico. Dalla fine dell’800 si delineano due tendenze di costruzione
essenziali: il sistema tedesco Heckel,
utilizzato ormai in tutto il mondo, ed
il sistema francese Buffet Crampon,
oggi utilizzato solamente nell’orchestra dell’Opera di Parigi e raramente
nel resto del mondo.
Il fagotto è l’unico strumento dei
legni ad avere configurazioni di strumento basso, quindi resta quasi imprescindibile nella scrittura orchestrale fino alla metà del 900.
Utilizzo
Il suo timbro particolare, pieno e
scuro, è dato dall’ancia doppia e dalla
lunghezza e corposità del legno che
lo compone. Molti compositori lo utilizzano in orchestra sia per concerti
sinfonici che per opere liriche. È uno
strumento fondamentale in orchestra sia come basso che come solista. Strumento dalle notevoli capacità musicali, in grado di estendersi per
tre ottave e mezzo, il fagotto fu utilizzato dal periodo barocco,
Vivaldi compose ben 39 concerti per fagotto. Il periodo classico fu
contrassegnato da un forte utilizzo del fagotto come strumento solista, da autori quali Mozart, Hummel, Franz Danzi, Johann Baptist
Vanhal, solo per citarne alcuni. Weber, Saint-Saëns ed Edward Elgar lo
utilizzano in periodo romantico per
sonate e romanze.
Celebri sono i passi della sinfonia
n. 4 di Beethoven, della sinfonia n. 8
di Schubert, di Sheherazade di Rimskij-Korsakov, della sinfonia n. 4 di
Čajkovskij, di Pierino e il lupo di Prokof’ev, de L’apprenti sorcier di Paul
Dukas, del Bolero di Ravel e della
Sagra della Primavera di Stravinskij.
In ambito operistico apprezziamo invece il fagotto nella celebre aria “Una
furtiva lagrima” dell’Elisir d’Amore
di Gaetano Donizetti, ma anche nelle
Nozze di Figaro di Mozart.
Registro d’organo
Il registro di fagotto è molto antico: lo si riscontra già in strumenti (tedeschi e olandesi per lo più) del XVII
secolo. Ha timbro dolce, morbido e
pastoso. Esiste di diverse misure: 32,
16, 8, 4 e, talvolta, 64 piedi. Le cronache tramandano che fosse uno dei
registri più amati da Bach.
Il contrafagotto è uno strumento
musicale ad ancia doppia che rappresenta la tessitura contrabbassa dell’intera famiglia.
Il controfagotto
Deriva dal fagotto, di cui è, in un
certo senso, un ampliamento e ne condivide l’intero sistema di chiavi e di
posizioni, tanto che a suonare questo
strumento sono solitamente i fagottisti. Lo strumento è traspositore d’ottava verso il basso, vale a dire che le
Beethoven lo usò mirabilmente nel
finale della Nona sinfonia, per ottenere l’effetto denominato alla turca
note scritte suonano d’effetto un’ottava sotto. Prima degli inizi del XX
secolo, a causa di alcune imperfezioni costruttive, al controfagotto veniva
preferito il sarrusofono, pur rimanendo il termine “controfagotto” scritto
in partitura. Ma dalla fine del XIX secolo in poi il suo posto in orchestra è
stabile ed indispensabile per coprire
il registro 32’ della famiglia dei legni.
Anche se già Beethoven lo usò mirabilmente nel finale della Nona sinfonia, per ottenere l’effetto denominato
alla turca, il controfagotto si distingue
in orchestra, anche in assolo, a partire dalla fine del XIX secolo, come nel
celebre Apprendista stregone di Paul
Dukas dove il suo lugubre timbro, pigro e cavernoso, lo rende inconfondibile. Altri compositori che usarono il
controfagotto nelle loro partiture furono Giuseppe Verdi nel Don Carlos
e Maurice Ravel in Ma Mère l’Oye
(episodio Les Entretiens de la Belle
et de la Bête).
Estensione
Il controfagotto è uno strumento
traspositore, le note realmente prodotte suonano un’ottava sotto. Le
note più gravi in nero sono di difficile
emissione e intonazione; le note acute
sopra il Sib sarebbero eseguibili solo
con l’uso di ance speciali che, però,
renderebbero difficile l’emissione dei
suoni gravi, cioè proprio quelli che
rendono timbricamente prezioso questo strumento.●
Panorama 45
Sport
I vertici federali con le spa
Calcio messo
di Bruno Bontempo
L
Darijo Šimić e Vlatko Marković. L’ex giocatore di Dinamo, Inter, Milan
e Monaco e della nazionale croata, potrebbe diventare il traghettatore
di compromesso della nuova Federcalcio croata
Gabriele Volpi con il sindaco di Fiume, Vojko Obersnel, alla firma
dell’accordo tra Social Sport e Rijeka (foto Ivor Hreljanović)
Damir Mišković, Gabriele Volpi e Predrag Sloboda (foto Goran Žiković)
48 Panorama
a corruzione è parte costituente
dei campionati di calcio. Questa
amarissima (ma non proprio sorprendente) considerazione non è stata
estrapolata dalle motivazioni di qualche sentenza, come quella che in Italia ha portato alla condanna di Luciano Moggi nel processo per Calciopoli.
E nemmeno dalle indiscrezioni relative all’interrogatorio dell’ex barese Andrea Masiello, secondo le quali l’intero
campionato italiano di Serie A 2010-11
sarebbe stato falsato causa scommesse,
oppure - per scavalcare il confine e trasferirci in Croazia - dall’interrogatorio
del general manager dello Split, Nenad
Pralija. L’ex centrocampista di Hajduk,
Espanol, Reggina e della nazionale croata, era stato arrestato nei primi giorni
dell’anno nell’ambito della maxinchiesta su un giro di gare truccate che ha
già decapitato i vertici dell’organizzazione arbitrale e della Lega calcio (tangenti per arbitraggi favorevoli sia in seconda divisione, sia nel massimo campionato croato).
Ebbene, quell’amaro, bruciante riscontro sul marcio che imperversa
nello sport più popolare, emerge dal
Libro Nero del Calcio Est Europeo,
risultato di un’indagine cominciata due anni fa e condotta da una task
force allestita dal Sindacato mondiale
dei calciatori professionisti, con sede
in Olanda. Obiettivo dell’inchiesta
era mettere in luce il mancato rispetto dei diritti dei calciatori professionisti dell’est Europa, studiare le conseguenze sul piano della regolarità dei
campionati, e stabilire infine se il sistema di licenze messo in atto dalla
Fifa, e amministrato dalle federazioni
nazionali, sia sufficiente a proteggere i
diritti dei calciatori.
A seguito di una riunione dei sindacati nazionali dei calciatori di Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Grecia,
Ungheria, Kazakhstan, Montenegro,
Polonia, Russia, Serbia, Slovenia e
Ucraina, è stato redatto un questionario, alle cui domande hanno risposto,
ottenendo di rimanere anonimi, oltre
3400 calciatori professionisti di que-
Sport
lle al muro. L’imprenditore ligure Gabriele Volpi salva Fiume dalla bancarotta
alla frusta, ma il Rijeka si chiama fuori
sti campionati. I risultati sono impietosi: un quarto dei calciatori intervistati ha ammesso di essere a conoscenza
che nel proprio campionato le partite
sono falsate e i risultati decisi in anticipo; in Russia, dove verranno disputati i mondiali del 2018, i giocatori che
hanno diretta conoscenza che le partite sono truccate sono addirittura il 44
per cento. Inoltre, più del 10 p.c. degli
intervistati ha ammesso di essere stato
contattato personalmente da membri
di organizzazioni criminali per aggiustare i risultati di partite della propria
squadra, percentuale che in Grecia supera il 30 per cento.
La corruzione sarebbe direttamente proporzionale al mancato pagamento degli emolumenti dovuti ai calciatori da parte delle società. I giocatori
spesso non sono pagati entro i termini stabiliti, o non sono pagati del tutto e diventano più vulnerabili quando
poi sono avvicinati dalle organizzazioni criminali. Se il 90 per cento dei calciatori intervistati è consapevole che
la sua squadra versa in serie difficoltà
economiche, almeno un terzo ha raccontato di avere subito pressioni da
parte del club di appartenenza per rinnovare o rescindere il contratto, molti
sono stati vittime di violenza psicologica o fisica, tramite vessazioni o episodi di bullismo che possono essere
addebitati alle società.
Una situazione che riguarda molto da vicino la Croazia, dove però il
nuovo governo, in carica da tre mesi,
non sta con le mani in mano. Il ministro dello sport, il fiumano Željko
Jovanović, ha già promosso una serie
di iniziative per costruire un nuovo testo di legge in materia di sport, in attesa del quale si procederà al varo di decreti attuativi per la legge attualmente
in vigore per fronteggiare corruzione,
evasione fiscale e violenza negli stadi.
Considerato che tutto ciò riguarda in
primis il calcio, il ministro ha mandato dei segnali eloquenti ai vertici della Federazione, anunciando l’invio di
ispettori del fisco anche nelle società sportive (si potrebbe partire dalla
Dinamo del padre-padrone Zdravko
Mamić) e chiedendo l’esclusione dei
consiglieri indagati per vari reati e ancora ai loro posti. Il ministro ha parlato
a quattr’occhi, con il presidente Vlatko Marković (in carica ormai da 14
anni!?) e collaboratori più stretti, affermando senza mezzi termini che la
sua squadra non gode più della fiducia di questo Ministero. Jovanović ha
chiesto che vengano prese delle misure concrete per la lotta alla corruzione oppure, in caso contrario, che gli
attuali dirigenti convochino un’assemblea straordinaria della federcalcio e
mettano a disposizione i loro mandati.
Il presidente Vlatko Marković (in carica ormai da 14 anni) e il segretario Zorislav Srebrić, rispettivamente 75 e 72
anni appena compiuti, non hanno fatto
una piega e, imperterriti, hanno lasciato capire che non hanno nessuna intenzione di dimettersi. Non sappiamo che
titolo dare a gente che, con un’impenetrabile faccia di bronzo, non si arrende neanche di fronte all’evidenza dei
fatti: degrado morale dilagante, società sottoposte a procedura fallimentare per debiti nei confronti del fisco ma
anche dei giocatori, comportamento a
sfondo razzista - vittima anche l’attaccante camerunense dell’Istra di Pola,
Belle - e di omofobia da parte dello
stesso presidente Marković, che poi si
era scusato... “Stiamo faccendo tutto
quello che ci è stato chiesto dalla Fifa”
si sono limitati a dire, rimandando per
ora la convocazione dell’Assemblea a
dopo gli Europei di giugno.
Anche il Rijeka ha corso il rischio
di finire nella spirale dei processi fallimentari, avendo accumulato debiti complessivi per circa 3,1 milioni
di kune, tra pendenze nei confronti
dei giocatori e dello stato, fisco, tasse
processuali di cause perse per termini contrattuali non rispettati... E, poi,
oplà, gli è capitato di trovare una presa, quanto basta a gridare al miracolo.
L’imprenditore ligure Gabriele Volpi
ha firmato, a nome della sua fondazione Social Sport, un accordo triennale
con il quale si impegna a investire subito 1.8 milioni di euro e complessivamente circa 7 milioni nella società
di Cantrida, per divenire tra breve il
proprietario di maggioranza (la Città
di Fiume conserverà il 25-30 p.c. con
diritto di prelazione in caso di scissione del contratto). Gabriele Volpi guida in Nigeria un impero della logistica
petrolifera che fattura due miliardi di
dollari l’anno, il 2 p.c. dei quali vanno nella fondazione Social Sport con
sede in Olanda, attraverso la quale sostiene finanziariamente un’accademia
calcistica in Nigeria, lo Spezia calcio
(che dalla serie D sta portando in B),
ha comprato l’amatissima Pro Recco
(nella quale aveva giocato a pallanuoto da ragazzo) che, da allora, ha messo in bacheca sei scudetti, tre coppe
dei campioni, sei coppe Italia e quattro
Supercoppe, tanto che lo accusano di
mettere sotto contratto i migliori giocatori pur di sottrarli alla concorrenza
e di ammazzare il campionato sotto il
peso dei soldi. Due anni fa ha allungato i suoi “tentacoli” sul Primorje di
Fiume, diventato squadra satellite della plurititolata Recco ed affidato alle
cure di Predrag Sloboda, che ora è anche presidente della Federpallanuoto croata. Sloboda è uno dei due fiumani che lavorano con Volpi in Nigeria da decenni e che sono diventati i
suoi uomini di fiducia. L’altro è Damir
Mišković, portiere di calcio negli anni
giovanili, al quale Volpi ha affidato
ora la presidenza del Rijeka, per questa operazione sinergica che ha avuto il beneplacito della Città di Fiume.
Un partenariato in affari, l’amore per
la Croazia, che ha conosciuto soprattutto da bordo del suo yacht, hanno finito per far prevalere l’idea di sbarcare a Fiume invece di andare a Malaga.
Gli obiettivi? Rilanciare il Rijeka, consolidare le strutture societarie prima di
pensare ai risultati sportivi, con la graduale scalata verso i vertici del calcio
croato prima di tentare qualche avventura in Europa. Volpi non ha promesso mari e monti, dice di voler lavorare in piena trasparenza, soprattutto per
i giovani: “Lo sport deve essere fatica, deve imparare alla disciplina, al rispetto di arbitri e avversari, deve essere una scuola di vita”. Se queste sono
le credenziali con le quali si è presentato a Fiume, non possono che destare
ottimismo. ●
Panorama 49
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