Il pentito, l`omicidio e il latitante. Storie di mafia e morte
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Il pentito, l`omicidio e il latitante. Storie di mafia e morte
PROVINCIA "MAFIOSA" Il pentito, l'omicidio e il latitante. Storie di mafia e morte a Camporeale Giovedì 30 Gennaio 2014 - 06:15 di Riccardo Lo Verso Giuseppe Micalizzi ha deciso di vuotare il sacco. Salvatore Lombardo se ne sta tranquillo negli Stati Uniti, nonostante il mandato di arresto. E in provincia di Palermo la mafia uccide ancora con la lupara bianca. PALERMO - Il pentito, l'omicidio e il latitante. Mentre Giuseppe Micalizzi, da mesi, ha deciso di vuotare il sacco, Salvatore Lombardo, classe 1969, se ne sta tranquillo chissà dove negli Stati Uniti, nonostante sul suo capo penda un mandato d'arresto per mafia. Sono le storie simbolo di un'inchiesta giunta al giro di boa della richiesta di rinvio a giudizio. In tutto sono 61 le persone sotto accusa. Micalizzi, 41 anni, era uno che rispondeva signorsì. Faceva parte della manovalanza della cosca mafiosa di Monreale. Interveniva quando c'era da danneggiare il cantiere di qualche imprenditore che non si piegava alla richiesta estorsiva. Poi, si è trovato coinvolto in un omicidio, ha capito di essere stato usato dal clan e soprattutto che rischiava l'ergastolo. Da qui, la scelta di pentirsi arrivata nel giugno scorso. Il collaboratore non ha aggiunto elementi nuovi rispetto a quanto già accertato da magistrati e carabinieri che lo scorso aprile fecero scattare il blitz che azzerò i vertici del super mandamento di Camporeale. Da Micalizzi, però, sarebbe arrivata la conferma della morte di Giuseppe Billitteri. Un caso di lupara bianca. Il neo collaboratore ha condotto i carabinieri del gruppo di Monreale nel punto dove il corpo sarebbe stato seppellito. Neppure gli escavatori sono serviti a riportare alla luce i resti del cadavere. L'ipotesi è che qualcuno abbia spostato il corpo. D'altra parte, nei giorni successivi al delitto, i carabinieri si erano fatti vivi in contrada Serpe a Camporeale. Il pentimento di Micalizzi, factotum di Giuseppe Lucido Libranti, considerato un pezzo grosso della mafia monrealese, salta fuori dalla richiesta di rinvio a giudizio di sessantuno persone coinvolte nell'inchiesta Nuovo Mandamento che svelò gli assetti della mafia di una fetta della provincia palermitana. Una mafia che avrebbe zittito con la lupara bianca i dissidenti. I mandamenti di San Giuseppe Jato e Partinico avevano stretto un'alleanza in nome degli affari e del controllo del territorio. Il centro del potere era diventato Camporeale, dove a tenere in mano le redini sarebbe stato Antonino Sciortino. Ufficialmente faceva l'allevatore. Scarcerato nel 2011, dopo avere scontato una condanna a 12 anni, non avrebbe perso tempo a rientrare nel giro con i gradi di capo. Sarebbe stata sua la decisione di piazzare Vincenzo Madonia al vertice della famiglia di Monreale. Qualcuno aveva storto il naso e avrebbe pagato con la vita il dissenso. Il 23 marzo la moglie di Giuseppe Billitteri, di professione venditore ambulante, si presenta alla caserma dei carabinieri. Denuncia che il marito, il giorno precedente, si è allontanato da casa alla guida di una Toyota Yaris. Nove mesi dopo la macchina viene ritrovata in via degli Astronauti, ad Altofonte, distrutta dalle fiamme. L'incendio è doloso. Ma chi è veramente Giuseppe Billitteri? Il 14 maggio 2012 i carabinieri mostrano la foto dello scomparso al collaboratore di giustizia Fabio Manno: “Non è un uomo d'onore anche se si atteggiava a tale, in più si considerava vicino a Gerlando Alberti (anziano boss di Porta nuova ormai deceduto, ndr). Lo aveva coinvolto nel commercio di una grossa partita di dollari falsi. Mi risulta che è riuscito a cedere 500 mila dollari falsi in Brasile in cambio di numerosi carati. Si occupava di mediare nelle messe a posto per numerosi lavori come è accaduto in zona Brancaccio quando si stavano installando cavi di fibre ottiche”. Billitteri, dunque, non è un semplice ambulante. I carabinieri del gruppo di Monreale, guidati dal colonnello Pietro Solazzo, e del Nucleo investigativo, agli ordini del maggiore Mauro Carrozzo, intuiscono che la sua scomparsa possa essere legata alla faida per il potere a Monreale. Fino a quando il 21 marzo Lucido Libranti convoca Francesco Vassallo e Giuseppe Micalizzi a Montelepre. Quindi Lombardo viene intercettato mentre si trova nella sua masseria in zona Suvarelli. È agitato. Dice al suo operaio rumeno: “Pigliami due, tre lacci... due tre lacci puliti prendimi... mi servono che minchia ti interessa". Poi rivolgendosi al padre parla di un incontro avvenuto poco prima. “Io stavo uscendo e lui arriva”. Il riferimento sarebbe a Lucido Libranti. Infine, pronuncia una frase considerata inquietante: “Cominciò la guerra”. E il padre: “Attento con questo a stringere, che struppia”. Lombardo prende le corde, sale sul fuoristrada, arriva alla circonvallazione di Monreale dove lo attende Lucido Libranti. Insieme raggiungono un capannone di via Altofonte. Nel frattempo una telecamera piazzata poco distante dalla masseria di Vassallo registra il passaggio dello stesso Vassallo e di Giuseppe Micalizzi. Billitteri esce di casa. Alla moglie dice che sta andando a rinnovare la tessera sanitaria e invece la sua posizione viene localizzata in via Altofonte. Libranti e Lombardo sono nervosi. Temono che qualcuno possa prendere la targa della macchina: “Chi minchia è questo? Ha segnato il numero di targa questo... minchia se viene qualcuno vedi che noialtri ci consumiamo compà”. Qualche minuto dopo le telecamere li inquadrano all'ingresso del capannone, mentre parlano con un uomo. Chi è il loro interlocutore? Si tratta, secondo i carabinieri, di Billitteri il cui telefono, in quei minuti, aggancia la cella della zona. Alle 10,38 una Yaris dello stesso modello di quello della vittima viene vista arrivare nei pressi dell'abitazione di Vassallo, dove viene registrata la frase di Libranti: “Isamulu pè riverso”. Sarebbe la prova dell'omicidio. Stanno alzando, secondo l'accusa, il corpo senza vita di Billitteri per trasportarlo in un terreno di contrada Serpe. E così Giuseppe Libranti Lucido, Giuseppe Lombardo, Giuseppe Antonio Vassallo, Giuseppe Micalizzi, e Francesco Lo Cascio finiscono sotto accusa per omcidio. Nella stessa inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri Francesco Del Bene e Sergio Demontis, finiscono complessivamente 61 persone che ora rischiano il processo: Antonino Sciortino, Salvatore Mulè, Giuseppe Speciale, Giuseppe Lucido Libranti, Francesco Lo Cascio, Giuseppe Lo Voi, Giuseppe Lombardo, Giuseppe Marfia, Francesco Matranga, Giuseppe Micalizzi, Francesco Vassallo, Giuseppe Antonio Vassallo, Salvatore Tocco, Vincenzo Madonia, Christian Madonia, Antonio Badagliacca, Davide Buffa, Francesco Sorrentino, Salvatore Romano, Santo Porpora, Domenico Billeci, Carmelo La Ciura, Onofrio Buzzetta, Vincenzo La Corte, Ignazio Grimaudo, Giovanni Rusticano, Salvatore Lombardo (classe 1922), Salvatore Lombardo (classe 1969), Giacomo Maniaci, Giuseppe Abbate, Antonino Giambrone, Angelo Cangialosi, Giacomo Tinervia (ex sindaco di Montelepre accusato di concussione), Sergio Damiani, Calogero Caruso, Antonino Lombardo, Santo Abbate, Francesco Abbate, Vincenzo Giuseppe Cucchiara, Vito Donato, Salvatore De Simone, Salvatore Prestigiacomo, Raimondo Liotta, Rosario Parrino, Valica Buzila, Giovanni Lomgo, Sebastiano Bussa, Francesco Gallo, Giovanni Gerardo Ramacca, Giovanni Battaglia, Vincenzo Battaglia, Giovanni Cannella, Baldassarre Di Maggio, Pietro Ficarrotta, Gaspare Lo Cascio, Salvatore Voi, Giuseppe Mulè, Vincenzo Mulè, Antonino Parrino, Demetrio Schirò, Sebastiano Spica. Ramacca e Gallo sono due militari che avrebbero “graziato” Lucido Libranti, fermato e non multato nonostante guidasse uno scooter senza patente. Nell'elenco c'è anche il nome di Salvatore Lombardo, classe 1969. È lui il latitante. Avrebbe fatto parte della famiglia mafiosa di Montelepre con un compito delicato: tenere i rapporti fra i boss americani e quelli siciliani. Negli Stati Uniti non basta la "generica" accusa di associazione mafiosa per arrestare una persona. È necessaria la contestazione dei cosiddetti "reati fine" cioè di reati specifici che vengono commessi in nome e per conto di Cosa nostra. E così Lombardo per l'Italia è ufficialmente un latitante. Solo che le manette, allo stato attuale, per lui potranno scattare solo se decidesse di rimettere piede nel Belpaese.