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17 novembre Innanzitutto, mi scuso per l`equivoco della settimana

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17 novembre Innanzitutto, mi scuso per l`equivoco della settimana
Università di Bologna
Dipartimento di Filosofia e comunicazione
Comunicazione visiva
a.a. 2014/15 1ª settimana
per le lauree di Scienze della comunicazione (6 cfu), DAMS (6 cfu
integrati, assieme a 6cfu del corso di Analisi della comunicazione
visiva nel corso di Filosofia del linguaggio C.I. di 12 cfu)
August Sander
1876-1964
Il ginnasiale 1926
17 novembre
Innanzitutto, mi scuso per l’equivoco della settimana passata.
Questo corso comincia oggi e finisce il 17 dicembre.
La prima data utile per sostenere l’esame è il 26 gennaio 2015. L’esame
consiste nella redazione di una tesina, su un tema concordato con me,
redatta usando IN MISURA NON MARGINALE testi e materiali del
corso. La tesina mi va inviata entro le 24 del giorno precedente l’appello.
Mano a mano che correggo invio la tesina alla sua autrice, al suo autore,
con osservazioni e proposta di voto. Le norme generali sulle tesine si
trovano a questo indirizzo http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/index.html,
sotto “Avvertenza per l’esame”, mentre i materiali del corso li metto,
settimana dopo settimana, alla stessa pagina nella sezione “comunicazione
visiva”. Nella tesina valuto tutto: l’impostazione grafica, le immagini e la
loro qualità. In comunicazione visiva, tutto questo è importante. La tesina
che mi aspetto è una comunicazione sincretica e il testo che include deve
avere alcune qualità non visive. Inoltre, naturalmente, mi aspetto che sia
ben scritto. In tutti i vostri corsi di laurea la conoscenza dell’italiano è un
punto centrale, quello che il mondo si aspetta da voi, una volta laureati, è
che scriviate e parliate bene. Per scrivere e parlare bene c’è un solo
metodo: scrivere ogni giorno una pagina almeno, e curare quello che si dice,
stare attenti alla propria precisione sintattica e lessicale. Un paper con più di
5 errori di italiano è da riscrivere, cioè passa all’appello successivo.
Prima di lasciare questo tema insisto sull’uso non marginale di testi e
materiali del corso – qualunque tesina non lo faccia non la valuto. L’anno
passato più del 40% delle tesine era da rifare per questa ragione.
2
Vedere e guardare
Gli studenti DAMS per la parte di Filosofia del linguaggio devono vedere il
programma del corso Filosofia del linguaggio (1).
Testi/Bibliografia
Massimo Hachen Scienza della visione (Milano Apogeo 2006).
J. Berger Sul guardare (Milano Bruno Mondadori 2003).
J. Berger E i nostri volti, amore mio, leggeri come i nostri volti, amore mio, leggeri come foto
(Milano Bruno Mondadori 2008).
J. Berger Capire una fotografia (Milano Contrasto 2014).
Ho sostituito con il quarto testo un libro introvabile, il nuovo libro come
quello introvabile sono entrambi di Berger.
Inoltre, i materiali del corso, messi settimanalmente on line.
Orario di ricevimento
Il martedì dalle 3 alle 4 del pomeriggio fino al 16 dicembre. Successivamente,
consultare il mio sito docente:
http://www.unibo.it/SitoWebDocente/[email protected]
Ed ecco il calendario del corso:
17 novembre
18
19
24
25
26
1° dicembre
2
3
8
9
10
15
16
17
Presentazione generale del corso /
Design editoriale, grafica, immagini / Meno inchiostro
Aspetti grafici 2: Giovanni Lussu
Grafica: Edward Tufte
Uno strumento per valutare come verrà vista una comunicazione visiva.
La psicologia della Gestalt 1
La psicologia della Gestalt 2
Cosa mostra una fotografia?
Persone, oggetti, luoghi, eventi
Sguardi
Lezione di Simona Staniscia, Art Director e Graphic Designer
http://www.simonastaniscia.eu/
Vacanza
Identità
Pittura, disegno e fotografia
Persone
Luoghi
Conclusioni
3
Il mio interesse per le immagini ha origini diverse. Per vedere bisogna
imparare a guardare, e non a guardare apposta, e arrivare a farlo
spontaneamente, come facciamo col camminare. S’impara a camminare e si
cammina spontaneamente, e solo in alcuni passaggi difficili ci si muove
consapevoli di molti dettagli, attenti a come si mette un piede a come ci si
piega, ecc. Vedere è un’esperienza diretta come il sentire o il toccare. Se
ciò che vediamo o sentiamo sono parole abbiamo un mezzo giro in più, le
parole sono tracce o sovrasegnali e richiedono di usare la memoria, o
appunto di collocarle individuando cosa ci segnalano in ciò che percepiamo
indipendentemente da esse. La mia ambizione è trasmettervi questo
interesse e aiutarvi a imparare a guardare. Una cosa importantissima è che
impariate ad andare a vedere. Come si dispongono le immagini in una
comunicazione sincretica, visivo-verbale? Beh, una buona idea è cercare,
esempi, sfogliarli, risfogliargli, scegliere quelli che ci colpiscono di più, che
ricordiamo meglio, ecc, e impostare la comunicazione cui lavoriamo, se ha
argomenti simili, in maniera simile e al tempo stesso parzialmente
innovativa.
***
Quanti di voi sanno usare, in Word o in qualunque altro programma, gli
stili? Gli stili sono uno strumento importante per programmare l’aspetto
dei vostri testi. Prima di tornarci su facciamo un lungo giro. Prendiamo la
questione in generale.
Un testo ha un autore. Quando ho un libro, o un paper, in mano voglio
sapere chi l’ha fatto. Un testo tutto vostro, è vostro, non è a vostra cura.
Un vostro testo vi mostra, e come curate la vostra pettinatura, le vostre
unghie, cercate di curare il vostro testo, che possa esprimervi, ricordarvi, a
chi l’ha sul proprio tavolo.
Il testo è un oggetto feticcio e questo feticcio mi desidera. Il testo mi sceglie,
attraverso tutta una disposizione di schermi invisibili, di cavilli selettivi: il
vocabolario, i riferimenti, la leggibilità, ecc.; e, perduto in mezzo al testo (non
dietro, quasi un dio da macchinario), c’è sempre l’altro, l’autore. Come
istituzione l’autore è morto: la sua persona civile, passionale, biografica, è
scomparsa: spossessata, essa non esercita più sulla sua opera la paternità
4
formidabile di cui la storia letteraria, l’insegnamento, l’opinione, avevano il
compito di rinnovare il racconto; ma nel testo, in qualche modo, desidero
l’autore: ho bisogno della sua figura (che non è né la sua rappresentazione né la
sua proiezione) come lui ha bisogno della mia (salvo ‘balbettare’). (Roland
Barthes)
Quando realizzate un testo lasciate che gli altri abbiano con lui un
rapporto autonomo. Che lo guardino quando vogliono, che lo considerino
prezioso o ne facciano degli aereoplanini, a loro gusto.
Ero arrivato nel suo ufficio con un giubbotto da motociclista di cuoio nero e
un sacchetto di plastica pieno di manoscritti (… ). Misi sulla scrivania di Segal i
tre manoscritti che mi ero portato in moto e dissi: ‘Signor Segal, mi piacerebbe
che lei leggesse questi romanzi’, e dopo una pausa aggiunsi: ‘Adesso’. David
Segal (…) cominciò a leggere, esaminò attentamente due o tre pagine e poi
disse: ‘Signor Gardner, non posso leggere la sua narrativa mentre mi guarda’
(…). Al mattino dopo, alle dieci, mi disse che avrebbe preso tutti e tre i
romanzi … . (John Gardner Il mestiere dello scrittore)
Un testo è un oggetto visivo – ha un aspetto, e i caratteri con cui è scritto
hanno un corpo. Notate la terminologia. I caratteri, un corpo. ‘Carattere”
si usa per le persone, oltre che per la tipografia. Il carattere di una persona
sono i tratti fisici, morali e comportamentali che la distinguono. Faranno lo
stesso col vostro testo, e saranno considerate tracce vostre, come il tavolo
della vostra cucina, o i vestiti sulla sedia in camera da letto. A differenza di
questi luoghi, non saranno una questione privata, ma qualcosa di mostrato
al pubblico, magari a un pubblico molto circoscritto. Non potrete, in ogni
modo, chiudere la porta.
Che aspetto ha la vostra pagina? Consideriamo innanzitutto una pagina
senza immagini.
Aggredito dal persona] computer o dal word processor il dattiloscritto resta
pur sempre, quantitativamente, il supporto più importante e diffuso di un testo
destinato alla stampa (il manoscritto resta confinato nella bottiglia). Si prega di
organizzare il testo dattiloscritto in modo che risulti chiaro e leggibile,
condizione prima per favorirne quanto meno la prima lettura -la più desiderata
- da parte dell’editore. Quindi, evitare le pagine troppo fitte e con scarsi, risicati
margini bianchi: è un segno sgradevole, spesso, di avidità e di furberia. Non più
di trenta righi, di 62-65 battute per rigo quando si usino caratteri medi (corpo
12), con interlinea uno e mezzo o due. Si ricordi che, oltre alla persona che
dovrà darne il giudizio ai fini della pubblicazione, i dattiloscritti hanno anche
per destinatari il o i redattori incaricati della messa a punto (editing) nonché,
alla fine di un percorso fortunato, il tipografo o il compositore. Un
dattiloscritto leggibile è segno di rispetto per questi ultimi due.
5
Alla voce (che è voce dotta e viene dal greco charasso, cioè io incido) il
dizionario riporta: “Ciascuna delle rappresentazioni grafiche delle lettere
dell’alfabeto, disegnate secondo le stesse regole in un determinato stile”. Ma,
subito appresso, registra anche: “Insieme dei tratti fisici, morali e
comportamentali di una persona, che la distingue dalle altre”. Dunque, il
carattere tipografico dà impronta, incide e distingue il libro cosi come il
carattere morale individua e distingue ciascun uomo dagli altri.
Non è significativo, e bellissimo? Fare il libro è operazione che prende corpo
- non solo metaforicamente - con il corpo tipografico, quello che viene scelto
come il più adeguato in rapporto sia agli altri elementi fisici costitutivi del libro
(la carta, il formato, ecc.) sia al testo stesso, alla scrittura. è il carattere
tipografico, insomma che dà il carattere al libro e al testo che vi è stato
translitterato. E, come in morale, anche di un libro si potrà dire che “non ha
carattere”, è un brutto libro, un libro anonimo. Così sentiamo ripetere a più
voci.
La pagina immagina è una cartella giornalistica classica. 30 righe a 65-70
battute a riga (si chiamavano battute quando si usava la macchina da
scrivere, per la quale, come in una tastiera di computer si battevano i tasi.
Possiamo continuare a chiamarle ‘battute’.) La scelta è utile per un
dattiloscritto – un libro è una cosa diversa, un power point un’altra cosa
ancora. Se preparate un power point, ricordatevi che i caratteri devono essere
minimo in un’aula come questa di corpo 20, ma 28-32 è meglio.
Oggi, il libro si costituisce come un testo che è però - come dire - avvolto da
un certo numero di altri elementi, verbali o non verbali (nome d’autore, titolo,
prefazione, illustrazioni, ecc.) che hanno la funzione, divenuta essenziale, di
presentare il testo; questi elementi, e i supporti su cui essi si inseriscono
(copertina, controcopertina, fascette, frontespizio, ecc.), fanno da intermediari
verso il mondo esterno, quello dei fruitori, dei lettori, di cui il libro non può
fare assolutamente a meno. Il complesso di tali produzioni e supporti, ormai
oggetto di una analisi estremamente sofisticata e di altissimo livello di
complessità scientifica, ha persino un suo nome, una sua definizione, specifica:
è il paratesto.
«È attraverso il paratesto che il resto diventa libro e in quanto tale si propone
ai suoi lettori e, in genere, al pubblico. Più che di un limite o di una frontiera
assoluta, si tratta di una soglia o - nelle parole di Borges a proposito di una
prefazione - di un ‘vestibolo’ che offre a tutti la possibilità di entrare o di
tornare sui propri passi. ‘Zona indecisa’ tra il dentro e il fuori, essa stessa senza
limiti rigorosi né verso l’interno (il testo) né verso l’esterno (il discorso delle
persone sul testo), margine o, come diceva Philippe Lejeune, ‘frangia del testo
stampato che, in realtà, dirige tutta la lettura.’» (Gérard Genette)
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Quanto qui si dice del libro può essere adattato a qualunque testo. Come
presentare il proprio testo? Quale soglia usare? Per una tesina: Un
frontespizio (una pagina intera, per titolo autore corso per cui si è scritta la
tesina? Scrivere nel frontespizio che è una tesina?) o quattro righe e subito il
testo? Siccome la tesina per me è di comunicazione visiva, cominciare con
un’immagine? Un’immagine che appartiene al testo o
un’immagine/copertina? Dare un titolo? Indicare il proprio nome (e
cognome nome o nome cognome?
Dare un titolo. Il titolo lo si dà sempre, almeno in un testo scritto per altri
(cioè, forse lo si omette nelle note che scriviamo per noi stessi). Il titolo ha
due volti. Vuole attirare il lettore e vuole indirizzarlo sul punto centrale del
testo. Da questo secondo punto di vista meno parole si usano, più si
mostra il raffinamento del testo – che si tratta di un testo che ha un fuoco
preciso. Titolo con sottotitolo, o un titolo composto di due sintagmi può
cercare con la prima parte di svolgere la prima funzione, e con la seconda
parte di svolgere la seconda funzione.
[Il titolo è] il luogo deputato dove si incontrano le strategie (altri ha parlato di
“seduzioni “) dell’autore e dell’editore o di altri comprimari, cioè gli attori
apparenti della vicenda editoriale. Sulla scelta dcl titolo preme anche con una
sua propria strategia, meno immediata ma di grande importanza, il pubblico dci
potenziali lettori. La complessità delle avventure del titolo ha fatto nascere una
scienza indiziaria che si chiama, appunto, litologia, ricca a sua volta di titoli (in
tutti i sensi).
I titoli possono essere descrittivi o connotativi, semplici o doppi, composti o
complessi (come quando si presenta la sequenza titolo/sottotitolo/indicazione
generica); combinazioni dei vari clementi si hanno in titoli celebri, come ad es.
Iperione, o l’eremita in Grecia, di Hölderlin; Ognuno, il dramma della morte
del riccio, di Hoffmansthal; o infine 1 Promessi Sposi, Storia milanese del
secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Possono variare nel
passaggio dalla copertina al frontespizio o al dorso, ecc.
In generale, e in linea di principio, il titolo dovrebbe assolvere a funzioni
precise, a partire da quella primaria di designazione/indicazione del testo, o del
libro, cui si riferisce. Questo, in uno schema semplificato e che non sempre
viene rispettato. Sulla scelta premono infatti, non sempre in modo convergente,
l’autore come l’editore (o chi per lui). Ma né l’autore né l’editore rispondono a
stimoli omogenei e chiari. In verità, dietro di loro si avverte la pressione,
oscura ma sensibile, del pubblico. U pubblico è - possiamo dire - una
aspettativa, un desiderio che prende corpo in una immagine arbitrariamente
materializzata e proiettata all’esterno. Da questo momento, il pubblico diventa
soggetto esigente e impietoso. Il titolo è dunque il tramite di una seduzione,
come hanno detto, rivolta verso una assenza desiderata e prefigurata, con più o
meno abilità e candore (c’è un elemento di candore che è fascinoso, perché
indiziario di aspetti riposti della psicologia dell’autore).
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All’ambiguità di nascita si aggiunga l’ambiguità aggiunta della realizzazione
tipografica. Il designer, il grafico, a volte lo stesso tipografo possono diventare
coautori vistosi della progettazione di questo elemento del peritesto editoriale.
Se vi sono pessimi libri che incontrano un buon successo in grazia del titolo, o
della sua realizzazione grafica, un buon libro, con un buon titolo, può essere
rovinato (e non solo sul piano commerciale ma della sua identità specifica) da
una grafica inappropriata.
Testo o immagini, testo e immagini. La maggior parte dei libri non
contiene alcuna illustrazione – un tempo neppure in copertina se ne
trovavano se non elementi ornamentali o il logo dell’editore. Ci sono libri
illustrati, come molti testi scientifici, a cominciare dagli atlanti anatomici del
Rinascimento, fino ai libri d’arte figurativa o di architettura (molti libri
d’arte hanno cattive immagini!). Lì le immagini sono strumenti di
apprendimento, e fanno più di una funzione vicaria, perché ad esempio
mostrano e nominano a un tempo più “strati” di un corpo umano, oppure
mostrano appunto l’oggetto la cui storia e la cui analisi costituisce il testo.
Costruire però una narrazione fatta di immagini e testo è difficile. Le
immagini spesso servono a rilassare il lettore – affiancano, alleggeriscono,
ornano il testo. Si possono raccontare storie solo per immagini? Non
fatevi ingannare dai film, che, quelli muti a parte, hanno testo e immagini.
Una delle cause della crisi del libro d’oggi non sarà forse anche da attribuire
ad una rottura del rapporto intercorrente tra libro e immagine, più grave forse
a causa dell’incertezza dei ruoli che assale sia il testo che l’immagine? Il libro,
infine, non è più l’insostituibile supporto dell’immagine; questa ha media nuovi
e diversi per diffondersi capillarmente e mobilmente, mentre vede forse
affievolirsi lo stretto rapporto tra l’antica razionalità e la propria funzione
iconica.
La difficoltà di costruire un testo con immagini può suggerire
un’osservazione come la seguente:
Non stupisca dunque se il consiglio migliore è di rinunciare all’illustrazione.
Fare un libro è operazione già di per sé difficile, la scelta dell’immagine può
dare risultati deludenti, o difformi da quelli desiderati, riducendo l’illustrazione
a un ‘discorso’ aggiuntivo al testo, con un percorso parallelo che non
necessariamente si integra con questo.
Si impari comunque, prioritariamente, a distinguere tra i due termini,
illustrazione e immagine, che non sono perfettamente coincidenti tra loro.
Sinteticamente, diremo che l’illustrazione ha finito con l’assorbire entro i
propri confini l’immagine in senso forte, vale a dire l’arte figurativa: pittorica e
grafica. L’arte figurativa, in cui la qualità artigianale, la tecnica, la manualità, è
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stata da sempre la prima salvaguardia di certi valori istituzionali e costitutivi del
suo essere arte, è slittata quasi senza residui nella sfera della pura e semplice
illustrazione; in connessione probabilmente, oltre che con la fotografia, con la
pratica libraria e la sua omologazione tecnica, per certi aspetti non lontana da
quella fotografica. I surrealisti furono eccellenti grafici e stampatori, con una
produzione libraria e, in generale, segnica, di grande importanza nella storia
dell’editoria (e del gusto); insieme, furono ottimi illustratori; ma pessimi pittori,
con scarso o nullo interesse per lo specifico (tecnico e semantico) della pittura.
(Qualcosa sui surrealisti, Dalì e Magritte?)
“Basta, col vile abuso delle pagine dipinte! L’occhio sarà ormai tutto, e lingua
e orecchio nulla? Dio ci guardi dal cader cosi in basso!” William Wordsworth
Inserire le date? Quando avete scritto il pezzo, quando avete scritto uno
dei racconti? Quando avete scattato la foto, dove?
Nel retrofrontespizio troveremo il titolo originario dell’opera (se tradotta, o se
il titolo è stato mutato), la data della prima edizione e delle successive,
l’indicazione dei diversi editori, il copyright; quindi, ancora, vi saranno registrati
i nomi dei traduttori, dei redattori, degli autori delle illustrazioni, del grafico, i
ringraziamenti per quanti hanno collaborato alla buona riuscita del libro. Il
colophon (o ‘finito di stampare’) dovrebbe contenere alcuni clementi fissi, che
però non vengono sempre inseriti. Basti pensare alla data e luogo di stampa: s.d.
(senza data), è indizio di un oscuro imbroglio, fa sospettare.
Il colophon (o ‘finito di stampare’) dovrebbe contenere alcuni clementi fissi, che
però non vengono sempre inseriti.
Tutte le citazioni di questa parte sono da Farsi un libro di Angiolo
Bandinelli, Giovanni Lussu e Roberto Iacobelli Stampa alternativa Roma
1990.
9
18 novembre
Non mi ricordo se ieri l’ho detto, né se l’ho detto abbastanza bene. Le
prime due settimane del corso saranno dedicate ad alcuni elementi di
fondo della comunicazione visiva, a farvi osservare alcune cose, come il
fatto che un testo scritto è esso stesso un oggetto visivo. Oggi
parleremo di caratteri, seguendo Giovanni Lussu, e cercando di capire
alcune scelte, alcuni piccoli problemi e correggendo alcune imperfezioni.
E faremo una micro lezione sui programmi di scrittura. Domani
discuteremo di grafici.
Dell’aspetto visivo di un testo con o senza immagini fanno parte la
scelta del carattere, qualità e corpo, la spaziatura, i rientri, il rapporto più
in generale fra spazi bianchi e spazi colorati (neri, o neri e a colori, o a
colori), tutto ciò che fa la pagina, compreso il colore della carta. Indicare
il proprio nome e cognome, e la propria affiliazione. Numerare le pagine.
Molte di queste cose in un programma di scrittura si controllano usando
gli stili.
Attenzione ai caratteri. I caratteri a bastoncino vanno bene per manifesti,
internet, titoli; i caratteri con grazia per i testi. Fare attenzione al colore
dei caratteri, all’uso di corsivi, grassetti, sottolineato. Un testo che si
suppone sia letto per intero non contiene grassetti. Un testo con
grassetti consente una lettura diciamo sommaria. Attenti a come
disporre il titolo, come disporre un titoletto. Una tesina non è una tesi e
non è un libro, e perciò non contiene capitoli, ma solo paragrafi.
Il vostro deve essere un testo con immagini. Perché aggiungere
un’immagine a un testo? (Perché aggiungere un testo a un’immagine?) Ci
sono due tipi di immagini, e un numero infinito di tipi misti più o meno
vicini a uno di quei due tipi: ci sono immagini indicatrici – nel giornale
c’è un articolo che parla di Giorgio Napolitano, e c’è una foto d’archivio
del Presidente che accompagna, ovvero segnala, che c’è un articolo che
lo riguarda. Ci sono immagini che narrano. C’è stata un’alluvione in
Sardegna. Foto del disastro e dei disagi, foto che testimoniano a chi non
è in Sardegna cosa è successo. Le immagini dei tipi misti indicano e
accennano a qualcosa. Una foto di Napolitano che presenzia all’evento
di cui si narra.
Come disporre le immagini in un testo. Mettere o non mettere una
didascalia. Idealmente le immagini sono motivate e si trovano dove si
hanno da guardare. (Come i saluti, che si fanno all’inizio e alla fine di un
incontro, o come le storie che si introducono e si commentano.)
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La qualità di un’immagine. Non si presenta un’immagine di bassa qualità
se non c’è un motivo visivo per farlo.
Esempi di libri con immagini: Castello 25 sgg, Doucet 79 sgg,
Questi sono i due libri di Tufte da cui traggo i materiali che vediamo oggi.
Edward R. Tufte Envisioning Information (Cheshire CO Graphics Press 1990).
Edward R. Tufte Visual Explanations (Cheshire CO Graphics Press 1997).
Tufte esamina molto a lungo due casi che non presenterò qui: gli schemi
attraverso i quali il dottor John Snow comprese cosa aveva originato a
Londra nel 1854 l’ultima epidemia di colera e il naufragio della navicella
spaziale Challenger il 28 gennaio 1986 (l’anno di Chernobyl).
Per Tufte un buon grafico deve sfruttare elementi visivi di processazione
automatica: direzione, forma, dimensioni e colore. Il grafico deve essere
organizzato per esplorare una correlazione ritenuta rilevante e far vedere
se c’è o non c’è. Deve correlare un numero di dati significativo
(superiore a 20). Allora consentirà, come nessun altro sistema di
rappresentazione, di cogliere dati e correlazioni in un colpo d’occhio,
senza dover ricorrere a memoria e controlli incrociati, su pagine diverse e
in momenti diversi. Inoltre consentirà di discutere i dati esplorandoli
tutti insieme, con un colpo d’occhio, esattamente come si può discutere
una stessa scena guardandola insieme. Il grafico diventa così uno stesso
oggetto manipolabile pubblicamente da persone diverse.
Il processare automaticamente un grafico, perché oggetto visivo – che è
uno dei suoi pregi – fa sì che risulti difficile mettere in questione le
evidenze che ci propone.
Vediamo adesso alcuni grafici. I primi grafici sono, storicamente, le carte
geografiche, le mappe. Ve ne mostro due, una di mille anni fa. Non
solo per dirvi quanto antichi sono i grafici, ma anche per mostrarvi
quanto erano bravi gli antichi senza aerei nel rendersi conto delle forme
del territorio.
11
Yu ji tu (I sentieri di Yu)
Costa della Cina, carta del National Geographics
Sopra due mappe fatte a mille anni di distanza l’una dall’altra.
12
13
Questo grafico sarebbe perfetto se anziché presentarci i morti da cancro in
cifre assolute per contea, ce li presentasse in tot su mille, perché allora
terrebbe conto del fatto che alcune contee sono più abitate di altre, fatto
che può rendere un certo numero assoluto di morti proporzionalmente
pochi rispetto ai decessi di contee assai meno popolose.
Un grafico simile, con un dbbio simile sulla mumerosità degli abitanti er
comune.:
Cislaghi & Nimis, Lichens, air pollution and lung cancer,
Nature. 1997 May 29;387(6632):463-4
Quest’altro diagramma, dovuto a Charles Minard rappresenta l’itinerario e
il numero dei soldati dell’Armata francese che invase la Russia nel 1812-13.
Riporta, inoltre la temperatura. Il colore chiaro indica il percorso di andata,
dal confine polacco a Mosca, e quello in nero il percorso di ritorno. Nel
grafico, in basso, sono indicate anche le temperature registrate in alcune
località durante la ritirata.
14
Il terzo diagramma invece mostra l’inquinamento a Los Angeles e
dintorni dovuto a diversi agenti in diversi momenti del giorno e della
notte. Si tratta di un grafico realizzato col computer con
rappresentazione 3d. (Più di 28 mila dati.)
Il quinto grafico è di E.J. Marey che, nel 1885, rappresenta la tabella di
marcia dei treni sulla Parigi-Lione e sulla Lione-Parigi. Nel grafico
successivo è stato aggiunto il TGV Parigi-Lione. Il grafico rende sia le
soste che la velocità.
15
Questo grafico invece riassume la metereologia di New York per l’anno
1980. Temperature, pioggia, umidità. E la confronta con le medie
stagionali. (Più di 21 mila dati.)
16
Ecco infine alcuni grafici scorretti. Il primo mostra l’andamento per il
1976 e 1977 e primi sei mesi del 1978 del turismo via agenzie di
viaggio, com’è scritto in piccolo sulle prime tre barre. Ma il punto è
che si tratta di un confronto mal impostato che suggerisce una crisi che
non c’è – naturalmente in sei mesi si incassa meno che in un anno, cioè
accade così a meno di situazioni eccezionali.
17
Anche questo grafico mente. Le dimensioni relative di un grafico devono
rispettare le dimensioni relative dei dati che riporta. Qui un aumento del
708% è rappresentato con un aumento di area del 6700%.
Se mostrate oggetti le cui misure non sono note, potete farlo con successo
mostrandoli tutti insieme nella stessa scala, come in questo catalogo di
opere di Giacometti (realizzato da Herbert Matter). Il catalogo funziona
molto bene perché sullo sfondo c’è una griglia che indica le grandezze reali,
in pollici, delle diverse opere. Dato questo riportato anche inutilmente nel
testo. (La prima scultura a sinistra, per esempio, è alta circa 45 cm, la
scultura più alta, Uomo che cammina, è di circa 178 cm. (In realtà, qui c’è
anche un regolo per misurare l’altezza al centro della figura.)
18
Questo effetto c’è anche nel murale di Lichtenstein che mostra, in
proporzioni corrette rispetto alla grandezza del murale, una scala con un
uomo (che finisce il murale stesso) oltre alla finestra.
Roy Lichtenstein Mural with Blue Brushstroke
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L’esempio che segue mostra sempre una quantità, o una proporzione, in
un’immagine. La cosa interessante è che mostra l’ampiezza di scala
musicale dei diversi strumenti musicali, cioè traspone visivamente un
elemento acustico. Qui la scala di raffronto è offerta dalla tastiera del
pianoforte, in basso.
John R. Pierce The science of musical sound
Adesso vorrei soffermarmi su un’altra forma di raddoppiamento, anzi di
triplicazione, che integra foto, disegno e testo (didascalia) risolvendo in
maniera efficacissima la costruzione di una mappa prima e di una legenda
poi che consenta di individuare ciascuno dei personaggi fotografati (146
20
persone!). Certo, ci si poteva servire solo di una didascalia che, riga per riga,
elencasse le persone ritratte, partendo da sinistra a destra. Ma chi guarda
avrebbe quasi sempre dovuto contare personalmente le diverse posizioni e i
diversi nomi elencati per ricuperare il nome della persona che lo interessava
o, viceversa, il suo volto.
Il disegno interposto fra foto e didascalia risolve il problema riproducendo
le sagome dei volti e inserendo un numero all’interno del volto cui
nell’elenco della didascalia fa corrispondere il nome della persona. Il
disegno è costruito come una mappa non solo perché selezione dalla realtà
della foto solo la reciproca disposizione dei volti, ma perché semplifica iol
problema della corrispondenza fra foto e disegno indicando alcuni volti che
spiccano di più nella foto aggiungendo al disegno della sagoma del volto il
disegno dell’elemento che fa notare meglio quel volto. Un cappello, la
sagoma dei capelli, il pizzetto, ecc. (guardate, per esempio, 7, 47, 91, 135).
21
Le prossime due immagini sono l’originale di How to look at Things through a
Wineglass di Adrein Hardt e un suo rifacimento dello stesso Tufte. Il
confronto mostra non solo come riprodurre con tratti di matita il colore
può in certi casi sporcare un effetto, renderlo opaco, ma soprattutto come
l’aggiunta delle cornici appesantisca l’immagine. Le cornici occupano il
40% dello spazio che occupano le immagini che riquadrano, stancando
l’occhio, avvicinano le immagini, non aggiungono informazione e rendono
più uniformi i diversi punti di vista che Hardt vuole presentare con i suoi
diversi bicchieri, quasi tutti nello stile di qualche artista figurativo famoso.
22
Ad Reinhardt How to look at things through a wine glass 1946
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Rifacimento di Bornie Scranton e Edward Tufte
Infine, ecco una mappa delle correnti di musica rock e della quota
(complessiva) di vendite sul mercato discografico negli anni dal 1955 al
1974, mi pare. Le diverse correnti sono separate da contorni più marcate.
I cantanti e i complessi più importanti sono in neretto e la loro rilevanza è
enfatizzata dallo spazio che occupano nella corrente di questo fiume
musicale dalla portata crescente, robusto e impetuoso. Si notino gli
elementi quantitativi (anno e percentuale del mercato dei dischi), oltre agli
elementi quantitativi simbolici (contorni e neretti) e agli elementi più
imprecisamente simbolici (portata del cantante o del gruppo) si noti inoltre
la fine di singole “scuole” e la nascita di altre. Infine, non si perda
l’elemento metaforico del fiume, che ha la direzione del tempo e che, per la
scala verticale della percentuale di mercato (la scala ha come massimo
l’85%) arriva ad assumere la forza di un fiume in piena che travolge tutto il
resto non lasciando emergere alla fine quasi niente altro.
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Ecco alcuni principî, suggeriti da Tufte, per la realizzazione di grafici e
diagrammi.
Minimizzare distinzioni visive, ma curare che siano chiare ed efficaci.
I multipli rappresentano naturalmente un confronto, l’essenza del pensiero
statistico.
I multipli danno profondità visiva.
I multipli aiutano ad analizzare, confrontare, differenziare, decidere.
I multipli rappresentano sequenze di movimenti.
I multipli intensificano il significato delle immagini.
L’eccellenza grafica è
+ mostrare i dati
+ indurre chi vede a pensare alla sostanza del problema e non a
elementi o metodi grafici
+ non distorcere ciò che i dati dicono
+ presentare molti numeri in uno spazio limitato
+ rendere coerenti grandi insiemi di dati
+ incoraggiare il confronto visivo fra dati
+ rivelare diversi livelli nei dati, da quelli generali a quelli di dettaglio
+ descrivere, esplorare, mettere in tabella i dati
+ integrare il materiale con descrizioni statistiche e verbali.
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L’eccellenza grafica è:
- la presentazione ben progettata di dati interessanti – una questione
di sostanza, statistica e progettazione;
- idee complesse comunicate con chiarezza, precisione e
efficacemente;
- dare a chi guarda il maggior numero di idee nel più breve tempo
possibile con un minimo di inchiostro e occupando meno spazio
possibile;
- sempre multivariata;
- dire la verità sui dati.
Il numero delle dimensioni che trasmettono informazione non deve essere
maggiore del numero delle dimensioni dei dati.
Non citare dati fuori contesto.
La rappresentazione di numeri, misurati sul grafico, dovrebbe essere
proporzionale alle quantità rappresentate.
Etichette chiare, dettagliate e complete dovrebbero evitare distorsioni e
ambiguità. Aggiungere spiegazioni al grafico e etichettare elementi
importanti all’interno della presentazione.
Mostrare variazioni nei dati non del progetto grafico.
Quando si parla di denaro, usare unità deflazionate e standardizzate e non
unità nominali.
Proporzione dell’inchiostro: inchiostro usato per illustrare i dati
-------------------------------------------inchiostro totale usato nel grafico
Soprattutto mostrare i dati.
Massimizzare la proporzione di inchiostro che illustra i dati, non senza
rifletterci su.
Eliminare inchiostro che non riguarda i dati, non senza rifletterci su.
Eliminare inchiostro ridondante nell’illustrare i dati.
Rivedere e correggere.
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Due casi esemplari trattati da Tufte.
1
Il primo riguarda un’epidemia di colera a Londra, nel 1854. All’epoca,
ogni giorno qualcuno a Londra moriva di colera, una malattia che ha
origine da acqua infetta per lo più per un cattivo sistema fognario. Il colera
scoppiò in un quartiere della città il 31 agosto. Ciò vuol dire che il numero
di morti da colera si discostarono dalla media subito dopo quella data con
diagnosi di malattia fatte appunto il 31 agosto. Il 1° settembre i decessi
furono più di ottanta, il 2 circa 130, il 3 quasi 80, e via a decrescere. Si veda
questo istogramma.
Il Dottor John Snow, che stava facendo degli studi sulla diffusione del
colera, intervenne il 7 settembre al Consiglio della parrocchia di St. James
che doveva prendere delle decisioni in relazione all’epidemia. Nella
settimana intercorsa dallo scoppio dell’epidemia circa il 75% della
popolazione aveva lasciato il quartiere, riducendo evidentemente contagi e
decessi. Inoltre, la stessa fonte infetta aveva probabilmente ridotta la
propria pericolosità. Ma la mappatura dei decessi da colera e il
ragionamento sulla mappa consentì al Dottor Snow di formulare una
congettura che, per diversi motivi, possiamo considerare esatta. Una
congettura che non sarebbe stata formulabile senza una descrizione
ordinata dei fatti, ragionando per esempio su un diagramma come quello
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che vi ho appena mostrato. Perché un diagramma sia utile bisogna che
mostri la giusta relazione causa-effetto. Il diagramma che vi appena
mostrato indica che prima del 1° settembre è successo qualcosa, ma non dà
informazioni né sul cosa né sul dove.
Il Dottor Snow raccolse tutti i dati disponibili sugli indirizzi delle persone
decedute, e li riportò su una mappa ampliata del quartiere di St. James, una
mappa in cui erano contrassegnate anche le pompe d’acqua. Snow indicò i
decessi come tacche all’indirizzo in cui abitava il deceduto. (Grafico a punti
su sfondo topografico.) Già questo passo mostra una concentrazioni di
decessi intorno alla pompa di Broad Street. Ma il Dottor Snow fece anche
alcune indagini per spiegare come mai si fossero dati decessi di persone che
non abitavano vicino a Broad Street e come mai non ci fossero stati decessi
laddove c’erano alte concentrazioni di persone vicino a Broad Street come
all’ospizio (workhouse, circa 550 persone, solo cinque decessi) e alla fabbrica
di birra (brewery, nessun decesso in quest’ultima). Risultò allora che erano
morte persone che andavano fino a Broad Street a prendere l’acqua perché
di sapore migliore, o che avevano occasionalmente presa acqua a quella
pompa o che avevano bevuta acqua presa a quella pompa andando a
trovare altre persone che a quella pompa l’avevano presa. Che nella
fabbrica
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di birra si beveva birra e non acqua. All’ospizio c’era una pompa interna.
La mappa e l’argomentazione di Snow convinsero il Consiglio di St. James a
chiudere immediatamente la pompa di Broad Street. E l’epidemia finì. Pur
restando incerto il contributo della chiusura della pompa alla fine
dell’epidemia – le morti erano in calo dopo il 2 settembre con una curva
che non conosce sbalzi dopo l’8 settembre; in effetti molta gente avendo
abbandonato il quartiere non era più a rischio; l’infezione della pompa
poteva essersi naturalmente ridotta – in generale a Snow venne
riconosciuto il merito di aver fermato l’epidemia. Già prima dell’agosto
1854, Snow sospettava che il colera si diffondesse via acque infette, teoria
stabilita solo 32 anni dopo, quando venne isolato il vibrione della colera, e
riconosciuta ufficialmente l’eziologia della malattia.
L’argomentazione che conduce a produrre un grafico e lo accompagna è
essenziale alla sua credibilità. Come è essenziale un accorpamento corretto
dei dati, che altrimenti potrebbero essere distorti. Per esempio, alcuni
accorpamenti dei dati di Snow possono esaltare, o nascondere, o eliminare
l’evidenza.
29
30
Tufte fa dell’ironia su come un giornale o la TV presenterebbero
graficamente la questione.
In ogni modo, quella del 1854 fu l’ultima epidemia di colera in Gran
Bretagna, che da allora introdusse norme precise per la regolazione delle
acque.
La mappa di Snow ha questo pregio: tiene traccia di circa 200 decessi per
luogo di abitazione del deceduto. Mette questi luoghi in relazione l’uno
all’altro, mette i luoghi dei decessi in relazione alla distribuzione delle
pompe d’acqua pubbliche del quartiere. In una sola occhiata riusciamo a
raccogliere tutte queste informazioni, che ci avrebbero impegnati per
diverse pagine. In questo senso la mappa costituisce una buona
argomentazione mette in relazione chiaramente una causa possibile – la
pompa d’acqua in Broad Street – con gli effetti – i decessi per colera.
2
Un caso opposto sono i grafici esibiti dalla ditta costruttrice dei razzi, la
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Morton Thiokol, che dovevano mettere in orbita il Challenger perche la
NASA valutasse l’opportunità del lancio dello space shuttle il 28 gennaio 1986,
a una temperatura assai bassa, meno di 20° fahrenheit. (Circa -6,7°
centigradi.) Alla fine il lancio venne deciso. La Thiokol aveva allertato la
NASA, aveva fornito gli elementi perché questa valutasse, e il girono prima
del lancio si era detta d’accordo perché questo avvenisse. 73 secondi dopo
il lancio la navicella scoppiò per un incendio originatosi dal
malfunzionamento di una guarnizione del razzo di destra. Sette astronauti
morirono nell’incidente.
Naturalmente, ci sono molte questioni di organizzazione del lavoro, di
rapporto cliente-committente, di organizzazione burocratica e militare, di
immagine politica, ecc., che hanno contribuito al disastro. Ma un elemento
importante, secondo Tufte, è stato il modo in cui le informazioni sono state
presentate per valutare il da farsi.
Qual era il problema. Il problema fu la mancanza di elasticità, per bassa
temperatura, di due anelli di gomma che dovevano sigillare il serbatoio del
razzo di destra dei due razzi che dovevano portare in orbita lo shuttle
assieme al serbatoio vero e proprio.
La Thiokol, come ho detto, avvisò la NASA che era meglio rimandare il
lancio per problemi di temperatura. LA NASA richiese dati per valutare il
da farsi. Per fax, la Thiokol inviò dati che riguardavano i lanci precedenti e
le prove a terra.
I diagrammi e le tavole trasmessi dalla Morton Thiokol alla NASA. La
prima pagina.
32
La seconda pagina.
Il secondo foglio presenta dati frammentari, con 6 diversi tipi di danno
possibile, nessun dato che riassuma il danno complessivo. Ci sono altri due
fogli che non cambiano la situazione. Le carte hanno anche alcuni difetti
non grafici – in particolare non sono firmate, e non essendo mandate da un
singolo, non si sa a chi esattamente rivolgersi per avere una lettura ufficiale
di esse, né per avere spiegazioni a lato. Inoltre, le carte non essendo firmate,
non si sa se chi le ha redatte è persona di ottima fama o meno.
Il 27 gennaio, la Thiokol in ogni modo diede il suo ok al lancio, e il 28 la
Nasa effettuò il lancio. Come in ogni incidente, ci fu un’inchiesta. Se fu
gravissimo non avere dei dati ben organizzati per valutare il da farsi prima
del lancio, un’attenuante poteva essere indicata, ma non trovata, nel poco
tempo concesso per la argomentazione del caso. Questa attenuante non
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poteva essere neppure suggerita per l’inchiesta che seguì. Anche qui i
grafici, seppure più “giornalistici”, erano del tutto difettosi, perché non
mettevano a fuoco quella che tutti sospettavano essere la causa
dell’incidente, e cioè l’effetto della bassa temperatura sugli anelli di gomma
che dovevano sigillare i serbatoi dei razzi di lancio. Si presentò una tabella
così congegnata, con tanti razzetti che la rendono assai poco leggibile, e che
sono irrilevanti perché tutti sanno che si discute di razzi e guarnizioni in
gomma di razzi.
History of O-Ring Damage in Field Joints (Cont)
Questa è la seconda tavola, e la legenda, che sulla prima c’è, è scomparsa.
Quindi i simboletti sui vari razzi sono leggibili solo cercando la prima tavola
e andando a vedere cosa vogliono dire, non guardando la tavola stessa. La
tavola poi non accorpa i problemi intorno a un danno complessivo o a un
singolo tipo di danno, ma in successione temporale. La successione
temporale ha raramente senso, e nella problematica in esame avrebbe senso
se corrispondesse a un cambio nel tipo di prodotto, nell’équipe produttrice o
in quella di lancio. Ma non c’è neppure il più lontano sospetto che qualcosa
del genere c’entri con l’incidente, ed in effetti i lavori della Commissione
concludono accertando quello che si sapeva fin da prima dell’incidente, e
cioè che il problema era la temperatura al momento del lancio, troppo bassa.
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Naturalmente c’erano altri modi, migliori, di presentare i dati. Sarebbe
bastata una matrice come la seguente.
Ma meglio ancora sarebbe stato un grafico a punti come questo.
O, volendo proprio usare i razzetti, questa tavola organizzata sulle
temperature, in cui come nel grafico precedente si evidenziava il
dislocamento estremo della temperatura del 28 gennaio 1986 nella località
del lancio.
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I lavori della Commissione furono decisi dall’intervento di Richard
Feynman, uno dei più grandi fisici del secondo ’900. Feynman fece in
Commissione un’esperienza a effetto. Quando fu il suo turno a parlare si
fece dare un bicchiere d’acqua e del ghiaccio, poi tirò fuori un morsetto e
un pezzo di gomma ricavato da una guarnizione dello stesso tipo di quella
sotto processo. Schiacciò ad angolo il pezzo di gomma tenendolo fermo
con il morsetto, lo immerse nel bicchiere con acqua e ghiaccio e dopo
qualche minuto lo estrasse, tolse il morsetto e fece vedere a tutti come la
gomma non riprendesse la struttura iniziale, ma restasse piegata: aveva
perso in elasticità. Tufte critica l’esperienza ad effetto come poco
scientifica. La critica a mio avviso non è pertinente. Anche se non c’era
controprova, la tecnica di Feynman corrispondeva al principio newtoniano
dell’unum experimentum – un esperimento ben fatto basta. Un impianto
scolastico con controprove avrebbe avuto assai meno impatto. Feynman
mostrava un risultato, e mostrava come era stato prodotto. Ecco Feynman
in azione.
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Un buon grafico deve sfruttare elementi visivi di processazione
automatica: direzione, forma, dimensioni e colore. Il grafico deve essere
organizzato per esplorare una correlazione ritenuta rilevante e vedere se c’è
o meno, o mostrare che c’è o meno. Deve correlare un numero di dati
significativo (superiore a 20). Allora esso consentirà, come nessun altro
sistema di rappresentazione, di cogliere dati e correlazioni in un colpo
d’occhio, senza dover ricorrere a memoria e controlli incrociati, su pagine
diverse e in momenti diversi. Inoltre consentirà di discutere i dati
esplorandoli insieme, esattamente come si può discutere una stessa scena
guardandola insieme. Esso cioè diventerà un oggetto unico manipolabile
pubblicamente da parte di ciascuno.
Il processare automaticamente un grafico, perché oggetto visivo – che è
uno dei suoi pregi – fa sì che risulti difficile mettere in questione le evidenze
che ci propone e richiede un’esperienza da grafico per ristrutturarlo,
esperienza che ovviamente pochi hanno. Insomma, la naturalità di un
diagramma come ci facilita ci può ingannare.
Sulla grafica di un testo qualunque.
Se guardo la maggior parte dei testi che mi arrivano – da colleghi, da uffici,
da studenti – sono spesso visivamente brutti. Quelli degli studenti meno di
quelli degli altri. Cioè qualche studente cura quello che fa. I docenti poco.
Gli uffici quasi mai.
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Come cercherò di mostrarvi con l’annuncio di Fontana Arte, che vi
proporrò fra poco, l’impostazione grafica di una pagina è importante,
perché la lettura costa fatica. Non solo, come è certo il caso per questo
annuncio, può essere che qualcuno o molti lettori non leggano tutto, ma la
lettura va guidata, in modo che ciò che ci sembra saliente lo sia anche per
chi legge, e perché il compito di questi sia piacevole.
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39
Ecco alcuni esempi di manifesti.
Quasi perfetto, o perfetto. Caratteri senza grazia, ma morbidi perché
arrotondati, ottimo contrasto, ben colorato, 3 livelli di lettura. Evento,
artisti, chi quando. Ma dove? Si tratta di un manifesto o di una
cartolina? Comunque, dove?
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Qui i caratteri con grazia non permettono una buona lettura. Il testo a
destra “balla”.
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Troppe cose per un manifesto solo. Si legge solo se ci si ferma davanti
per almeno un minuto. Perché sopra il giorno e l’ora e sotto il luogo.
Caratteri con grazia, ahi. DI suo “ingresso libero” si leggerebbe bene ma
è sovrastato dal rosso di ‘K.I.T.E.’.
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I due terzi superiori vanno bene. Sotto è confuso e si legge male.
Caratteri con grazia, ahi!
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Perfetto – il non manifesto.
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Troppo pieno, non si legge tutto, “Rifondazione” torna tre volte (logo
compreso). ‘Diversi davvero’ “balla” perché i caratteri non sono bene in
riga. Il logo è confuso perché parla di troppe identità. Il partito
comunista, la sua rifondazione, la sinistra europea, l’Italia (ci sono i colori
della bandiera).
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Mah. I caratteri scelti fra i peggiori. Un manifesto troppo vuoto.
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Per metà, ottimo. Mostra però Vendola scomposto (per l’effetto
fotografico del manone) e in una posa di resa. Logo confuso.
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L’eccesso di disegno obbliga a contornare di bianco l’esclamazione ?Ora
vivono nelle riserve!’ Il logo mostra l’usura dei loghi, perché mette
insieme Alberto da Giussano, simbolo leghista, la rosa celtica, il nome
‘Padania’ il nome ‘Bossi’. Per nessun movimento o istituzione è bene
bruciare così rapidamente i propri simboli.
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Leggo “Oasi di Bellezza nel mese di ottbre”. Se tiro gli occhi, leggo
abbastanza del resto. Ma faccio fatica, perché ci sono caratteri con grazia,
troppo piccoli o con un contrasto troppo limitato. L’unica cosa che
ricordo davvero sono gli occhi, soprattutto quello velato che compare
nel secondo raddoppio sulla destra.
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Perfetto, logo a parte, cui si aggiunge fuori ‘con Bersani Presidente’.
50
Manifesto personalizzato. Renata (Polverini – il cognome non c’è!) e il
lettore (‘con te’) e poi insieme ‘facciamo’.
51
Questa è la copertina di un libro, che però non sembra affatto mostrare
un manifesto, ma al massimo una vignetta.
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