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IL LAVORO OFFESO

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IL LAVORO OFFESO
 IL LAVORO OFFESO
Indagine sul difficile percorso per il riconoscimento dei diritti
delle vittime di infortuni sul lavoro nelle costruzioni La prima ricerca realizzata in Italia sul tema del post – infortunio:
il dramma, le difficoltà, le burocrazie
maggio 2009
“Io ancora non so quanto mi daranno di indennità, né quando me la daranno”
(Z. operaio edile di nazionalità rumena) Daniele Di Nunzio
Emanuele Galossi
Ringraziamo tutte le strutture della Fillea e della Cgil che con il loro appoggio e sostegno ci hanno
aiutato nell’attività di ricerca. In particolare Ziani Abdelghani, Diego Alhaique, Walter Fadda,
Daniel Grigoriu, Paola Pedrazzi, Christian Perniciano, Vincenzo Petruzziello e Edmond Velay. Un
ringraziamento particolare anche a Dalia Trasi e Stefano Troni per l’aiuto nella realizzazione delle
interviste e per il prezioso contributo di idee.
2
La realizzazione della ricerca, infine, è stata possibile soprattutto grazie alla disponibilità e al
contributo dei lavoratori e delle loro famiglie che hanno accettato di farsi intervistare. A loro va il
nostro più sentito ringraziamento.
INDICE
Premessa ............................................................................................................................................. 4
IL FENOMENO INFORTUNISTICO ATTRAVERSO L’ANALISI DEI DATI ....................... 9 1. L’andamento delle denunce e degli indennizzi: 1995-2005 ........................................................ 9 1.2 I tempi medi di definizione degli infortuni e delle malattie professionali ......................... 11 1.3 Gli infortuni mortali .............................................................................................................. 15 1.4 I casi non indennizzati ........................................................................................................... 19 1.5 I casi indennizzati ................................................................................................................... 20 1.5.1 L’inabilità temporanea ..................................................................................................... 23 1.5.2 Gli indennizzi in capitale .................................................................................................. 24 1.5.3 Le rendite .......................................................................................................................... 24 1.5.4 Altre prestazioni erogate dall’Inail .................................................................................. 27 2. Il settore delle Costruzioni: denunce e indennizzi .................................................................... 28 2.1 I livelli di rischio nel settore delle Costruzioni .................................................................... 28 2.1.2 I rischi per le classi di età ................................................................................................. 38 2.1.3 I rischi per il contesto regionale ....................................................................................... 40 2.2 La forma di avvenimento e l’agente materiale .................................................................... 44 2.3 L’andamento infortunistico nel settore delle costruzioni: le denunce e gli indennizzi .... 48 2.5 I lavoratori stranieri .............................................................................................................. 53
LA TESTIMONIANZA DEI LAVORATORI INFORTUNATI ................................................ 61 3. Le cause ........................................................................................................................................ 61 3.1 Il sistema delle imprese .......................................................................................................... 61 3.2 Il contratto e le mansioni ....................................................................................................... 68 3.3 Il mancato rispetto delle norme per la tutela della salute e della sicurezza ..................... 71 3.4 La scarsa formazione ............................................................................................................. 75 3.5 La percezione dei rischi nel settore edile ............................................................................. 78 4. L’evento infortunistico ................................................................................................................ 82 4.1 La dinamica dell’infortunio .................................................................................................. 82 4.2 La denuncia ............................................................................................................................ 88 4.3 L’inchiesta............................................................................................................................... 93 5. Le conseguenze ............................................................................................................................. 98 5.1 Le terapie dopo l’infortunio .................................................................................................. 98 5.2 Il reinserimento al lavoro .................................................................................................... 106 5.3 Le ricadute sulla persona infortunata e sulla famiglia ..................................................... 111 5.4 Il comportamento dell’Inail ................................................................................................ 116 5.5 Il ruolo del sindacato ........................................................................................................... 126 5.6 Il comportamento dell’impresa........................................................................................... 129 5.7. Il ruolo della Cassa Edile .................................................................................................... 132
Conclusioni ................................................................................................................................. 136 Bibliografia ................................................................................................................................. 140 3
Premessa
La conoscenza dello stato di salute dei lavoratori e dei fattori causalmente riconducibili
all’insorgere di una malattia professionale ovvero all’accadimento di un infortunio rappresenta
l’obiettivo di numerose ricerche sia nazionali che internazionali. L’insieme di queste ricerche
contribuisce a diffondere e ampliare una “cultura del lavoro e della salute” capace di orientare
l’azione dei singoli individui così come quella delle istituzioni e delle parti sociali. Compito
prioritario dei ricercatori che si occupano di salute e sicurezza dei lavoratori è di evitare una
semplificazione dell’oggetto d’indagine, allo scopo di costruire un”discorso interpretativo” efficace:
un insieme di conoscenze capace di integrarsi per descrivere e spiegare la relazione tra salute e
lavoro.
Nell’immaginario collettivo s’impone una rappresentazione dell’infortunio come un “evento”, come
un avvenimento lesivo che irrompe nella vita di un individuo. L’approccio tipico della gran parte
dei mezzi d’informazione di massa è di privilegiare l’impatto mediatico della notizia, così le
condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori sono raccontate nella cronaca quotidiana
essenzialmente attraverso gli accadimenti più spettacolari: ossia le morti sul lavoro o gli incidenti
più rilevanti per numero di persone coinvolte. La salute del lavoratore è ridotta spesso al “rischio di
morire” e l’infortunio somiglia sempre più a un evento “catastrofico”. La stessa sfera politica e
istituzionale, spesso, sembra agire sulla scia di questa forte emotività, favorendo le soluzioni più
immediate - veicolate da una rappresentazione emergenziale del problema – piuttosto che soluzioni
sistemiche e progetti di ampio raggio. Addirittura, a volte, la stessa comunità scientifica risente di
questa visione riduttiva delle condizioni di lavoro: l’attenzione si focalizza prevalentemente sugli
infortuni e in minor misura sulle malattie professionali, di conseguenza è poco indagato lo stato
complessivo di salute dei lavoratori. Lo stesso tema degli infortuni non è indagato nella sua
globalità, abbiamo a disposizione numerose ricerche sulle cause, sull’andamento infortunistico e
sulla tipologia di danni subiti dai lavoratori, mentre poche approfondiscono cosa accade dopo
l’incidente1.
La presente ricerca, svolta grazie al sostegno e alla collaborazione dalla Fillea Cgil, ha come
oggetto d’indagine i lavoratori edili che hanno subito un infortunio. L’obiettivo, oltre quello di
approfondire la conoscenza delle cause degli infortuni, è quello di comprendere cosa accade in
seguito all’infortunio, quali siano le conseguenze fisiche e psicologiche e quali i vincoli e le
1
In un recente saggio, Carlo Smuraglia pone l’attenzione sull’importante ruolo che hanno gli studiosi e gli operatori nel
contribuire a una corretta interpretazione delle condizioni di salute, suggerendo di evitare di focalizzare l’attenzione sul
solo fenomeno infortunistico per ampliare la conoscenza delle malattie professionali (Smuraglia C., (a cura di), Le
malattie da lavoro. Prevenzione e tutela, Ediesse, Roma 2008). Tale osservazione descrive la tendenza e al tempo stesso
la tensione, per la ricerca, verso una complessificazione dell’oggetto d’indagine, per costruire un corpus di conoscenze
dal forte valore esplicativo, unico strumento valido per diffondere un’efficace cultura della salute e della sicurezza.
4
opportunità che hanno i lavoratori per affermare i propri diritti e perseguire un efficiente percorso di
cura. L’oggetto d’indagine è - per esigenze empiriche - ristretto, focalizzato sul settore edile e sul
solo fenomeno infortunistico, ma l’intento è quello di riflettere approfonditamente su cosa significhi
“subire un infortunio”, concettualizzando quest’ultimo come un’esperienza che coinvolge il
lavoratore nella sua “integrità”, fisica e psicologica. Un’esperienza tragica che si colloca in un
complesso sistema di relazioni sociali, composto da differenti attori: il lavoratore stesso, i colleghi e
i superiori, i familiari, le istituzioni.
La ricerca è stata condotta nella consapevolezza che riflettere sul tema della salute e sicurezza
significa comprendere quale sia il ruolo del lavoro come strumento per la tutela e l’affermazione
degli individui. Il valore della salute si è affermato nel corso della storia grazie a un cambiamento
nella maniera stessa di interpretare il lavoro, ribaltando la subordinazione del lavoratore al processo
produttivo e ridando centralità alla persona umana2. Ripercorrendo le grandi sfide per
l’affermazione dei diritti dei lavoratori, così come l’evoluzione della legislazione europea,
osserviamo dei profondi mutamenti nel modo di considerare la sicurezza sul lavoro in linea con la
crescente importanza attribuita alla complessità delle garanzie per la persona del lavoratore, che
deve essere tutelata in tutte le sue componenti: patrimoniali, affettive e sociali. L’evoluzione degli
interventi in materia di salute, a livello nazionale e internazionale, ha comportato il riconoscimento
degli aspetti non soltanto economici legati all’infortunio e alla malattia sul lavoro ed è stata
accompagnata dalla presa di coscienza che la salute non è semplicemente un bene “misurabile” (una
merce) e nemmeno è, semplicemente, l’assenza della malattia, ma è “la realizzazione per le donne e
gli uomini di tutte le proprie potenzialità fisiche, psichiche e culturali”, come nella definizione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il lavoratore che subisce un infortunio o contrae una
malattia, dunque, vede innanzitutto violato il diritto all’affermazione piena delle proprie
potenzialità, vede tradito il patto che lo lega come cittadino alla comunità, uno dei principi sui quali
si fonda la nostra Repubblica, principio si fonda la nostra Repubblica, come ricorda Carlo
Smuraglia: “Nel nostro sistema costituzionale, un ruolo essenziale è assolto dal forte richiamo al
lavoro come fondamento della Repubblica (art. 1), alla dignità e sicurezza della persona umana
(art. 41), alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo anche ‘nelle formazioni sociali in cui si
svolge la sua personalità’ (art. 2). Insomma, la persona umana è posta al centro dell’ordinato
sistema di garanzie, ed è colta con particolare attenzione nel momento in cui presta l’attività
lavorativa (artt. 1, 35), intesa come esercizio di un fondamentale diritto, anche ai fini della
2
Alhaique D., La “rivoluzione copernicana” per la salute nel lavoro, in “2087”, n.10, Dicembre 2006.
5
elevazione sociale ed economica (artt. 4 e 46)”3. Per questo, è prioritario compito delle istituzioni
quello di garantire a questi lavoratori il diritto di perseguire un efficace percorso di cura e di
affermazione di sé, tutelandoli e supportandoli nel recupero e nell’espressione del massimo delle
proprie potenzialità.
La metodologia della ricerca
Indagare la condizione dei lavoratori edili e delle loro famiglie nel difficile percorso successivo
all’infortunio è un compito piuttosto complesso e delicato che abbiamo deciso di affrontare
utilizzando sia gli strumenti di analisi quantitativa e qualitativa.
L’idea di suddividere l’indagine seguendo due approcci metodologici diversi è dovuta all’esigenza
di conoscere il fenomeno nella sua complessità. Da un lato, infatti, una lettura limitata alle sole fonti
ufficiali ci avrebbe offerto una fotografia parziale della condizione post-infortunistica, dall’altro
appariva ben chiaro che attraverso le sole storie di vita la trattazione dell’argomento non avrebbe
potuto produrre risultati generalizzabili, pur permettendoci di conoscere molti aspetti che una
ricerca di tipo solo quantitativo non avrebbe potuto cogliere. In tale ottica, l'analisi quantitativa ha
utilizzato prioritariamente i dati forniti dall'Inail sugli infortuni e sugli indennizzi, e quelli forniti
dall'Istat sulle forze lavoro, allo scopo di correlare il fenomeno infortunistico al sistema
imprenditoriale e al mercato occupazionale. Sono state consultate sia le pubblicazioni dei due
Istituti che i data-base on line, al fine di effettuare elaborazioni originali dei dati. Le analisi
statistiche, è bene ricordarlo, non forniscono una rappresentazione "reale" dei fenomeni, ma da un
lato sono frutto dell'interpretazione del ricercatore e dall'altro risentono delle modalità di raccolta e
diffusione dei dati4. Pertanto l'analisi qualitativa risulta fondamentale non solo per una migliore
comprensione del dato numerico da parte del ricercatore, ma anche per scoprire i limiti propri della
rilevazione statistica e per contribuire a migliorarla. Al fine di approfondire e focalizzare i temi
della sicurezza, della degenza e della riabilitazione, del risarcimento del danno, dell’eventuale
reinserimento lavorativo, dell’infermità e della morte dovuta all’infortunio sul lavoro, ci è sembrato,
invece, opportuno concentrare la nostra attenzione sulle storie di vita e sulle esperienze dirette.
La scelta di analizzare questo aspetto del mondo del lavoro attraverso un metodo di ricerca empirica
di carattere qualitativo, che ha richiesto un coinvolgimento in prima persona, ha permesso di
raccogliere informazioni più dettagliate del percorso post-infortunistico (sociale e lavorativo)
individuale delle persone intervistate, superando quelli che sono i naturali limiti dei dati forniti dalle
3
Smuragalia C., Quadro normativo ed esperienze attuative in tema sicurezza e igiene del lavoro: nuove prospettive di
coordinamento e di interventi urgenti, in “Rivista Giuridica del Lavoro”, Supplemento al n. 2, Aprile-Giugno 2007, p.
5.
4
Marradi A. (1984), Concetti e metodo per la ricerca sociale, La Giuntina, Firenze. 6
fonti ufficiali. Di là dalla diversa natura dei dati acquisiti un’indagine sul campo comporta un
coinvolgimento che, oltre l’aspetto professionale investe anche, e soprattutto, il lato umano degli
individui che si impegnano in prima persona nella realizzazione delle interviste. In tal senso,
l’interpretazione delle informazioni non può, quindi, prescindere da questo ultimo aspetto che se da
un lato non segue un metodo di elaborazione prettamente statistica, dall’altro consente di riempire
di significato numeri ed informazioni che altrimenti rimarrebbero tali.
L’approccio biografico indica in sociologia una serie di tecniche metodologiche alquanto
diversificate volte alla raccolta e all’analisi di racconti di vita, scritti o orali, sollecitati o
autoprodotti, di soggetti “indicati come rappresentativi di una certa realtà o significativi proprio
per la particolarità del loro percorso esistenziale”5. Normalmente si preferisce parlare di approccio
piuttosto che di metodo poiché sono molti i riferimenti teorici e metodologici degli studiosi che
utilizzano l’approccio biografico.
Tendenzialmente si può affermare che l’approccio biografico può essere utilizzato per valorizzare
gli aspetti soggettivi di una narrazione oppure quelli oggettivi relativi all’analisi del contesto.
Nel nostro caso, l’indagine qualitativa ha cercato di valorizzare entrambi gli aspetti (sia soggettivi
che oggettivi) della narrazione. Le interviste che sono state realizzate hanno intercettato 45 tra
lavoratori e familiari di lavoratori infortunati in diversi contesti territoriali (in particolare nelle città
di Roma, Napoli, Milano, Firenze, e nelle province di Palermo, Catania e Verona) e hanno visto
coinvolti quattro ricercatori6. La tecnica utilizzata per la raccolta dei dati biografici è stata
l’intervista in profondità semi-strutturata, la scelta di questo strumento è dovuta dalla necessità –
vista anche la specificità del tema – di non sconfinare in ambiti che non rientravano nei nostri
interessi di ricerca, nonché nel rischio di scontrarsi con dati poco omogenei.
In questo modo abbiamo cercato di analizzare il materiale reperito seguendo un percorso che
descrivesse il fenomeno dalla sua origine (ovvero in quelle che abbiamo identificato come le cause),
al suo compimento (l’evento infortunistico), fino alle effettive conseguenze (il post-inforunio). Per
fare ciò abbiamo preferito lasciare molto spazio alla diretta voce dei lavoratori e dei loro familiari; il
nostro approccio, infatti, è stato quello di contestualizzare e sistematizzare i temi che sono emersi
nel corso dell’indagine, cercando di valorizzare il più possibile le dirette testimonianze delle
persone intervistate.
5
Elisabetta Siciliano (1998), supplemento metodologico su cd del volume di Melucci A., Verso una sociologia
riflessiva, Bologna, Il Mulino; Macioti M.I. (1995), Oralità e vissuto. L'uso delle storie di vita nelle scienze sociali,
Liguori, Napoli.
6
Le interviste realizzate a Napoli sono a cura di Dalia Trasi, le interviste realizzate in Sicilia sono a cura di Stefano
Troni, le restanti interviste sono a cura di Daniele Di Nunzio ed Emanuele Galossi.
7
Al fine di un’organica comprensione di un fenomeno di così ampia portata, d’altronde, è stato
comunque necessario mantenere salda la correlazione tra dimensione quantitativa e qualitativa
attraverso un rapporto di costante dialettica.
8
IL FENOMENO INFORTUNISTICO ATTRAVERSO L’ANALISI DEI DATI
1. L’andamento delle denunce e degli indennizzi: 1995-2005
La nostra analisi dei dati quantitativi ha l’obiettivo di comprendere quale sia il rapporto tra le
denunce d’infortunio fatte dai lavoratori, la loro definizione da parte dell’Inail e il loro eventuale
indennizzo, analizzando i tempi e i risultati di questo percorso.
In Italia la percentuale dei casi indennizzati sul totale degli infortuni denunciati - considerando gli
indennizzi ottenuti entro l’anno successivo alla denuncia - registra un calo netto e rilevante nel
corso degli anni Novanta: nell’arco di quindici anni si è passati dal 76,1% di casi denunciati e
definiti del 1992 al 66,7% del 2000, percentuale che è rimasta stabile fino al 2005 (figura 1).
Figura 1. Percentuale di infortuni indennizzati sui casi denunciati, entro il 31 Dicembre dell’anno
successivo - Industria e Servizi
80,0
76,1
75,0
73,0
70,0
66,7
66,2 66,4
67,1 67,4
67,3
2000
2001
2003
2005
64,9
65,0
62,5
60,0
55,0
50,0
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2002
Elaborazioni Ires su dati Inail, Serie storiche, 2008
2004
Se confrontiamo il trend di lungo periodo degli infortuni denunciati con quello dei casi indennizzati
entro il 31 Dicembre dell’anno successivo, osserviamo che dal 1991 si registra un calo
generalizzato del fenomeno infortunistico, con dei periodi caratterizzati da un aumento nel numero
d’infortuni tra il 1993 e il 1994, e tra il 1998 e il 2001.
Gli indennizzi, invece, diminuiscono senza eccezioni tra il 1992 e il 1997, riprendendo a seguire
l’andamento infortunistico solo da quell’anno: aumentano coerentemente con l’aumento delle
denunce tra il 1998 e il 2001, e diminuiscono negli anni successivi (figura 2).
9
Figura 2. Numero di infortuni denunciati e infortuni indennizzati, entro il 31 Dicembre dell’anno
successivo - Industria e Servizi, 1991-2005
1000000
950000
900000
850000
800000
750000
denunce
700000
indennizzi
650000
600000
550000
500000
Elaborazioni Ires su dati Inail, Serie storiche, 2008
Se ci soffermiamo ad analizzare la variazione rispetto l’anno precedente degli indennizzi entro un
anno e delle denunce, osserviamo meglio la presenza di alcuni punti critici. Nella prima metà degli
anni Novanta (1993-1994), a un forte aumento degli infortuni, non ha corrisposto un’eguale ripresa
degli indennizzi, provocando un surplus rispetto alla media d’infortuni non definiti. Nel finire degli
anni Novanta gli infortuni indennizzati sono cresciuti in percentuale maggiore rispetto a quelli
denunciati (1997-1999), per fare fronte all’emergenza provocata da una drammatica ascesa di
incidenti sul lavoro. Questo andamento, che aveva portato a un trend di crescita degli indennizzi
maggiore rispetto alle denunce - fattore in sé positivo, poiché nella tragedia degli infortuni consente
che un numero maggiore di pratiche possa chiudersi nell’arco dell’anno successivo – si è invece
stabilizzato nel corso degli anni Duemila. Negli ultimi anni, infatti, i due fenomeni sembrano avere
un andamento simile. Nel 2005, gli infortuni denunciati per Industria e Servizi sono diminuiti del
2,8% rispetto al 2004, mentre gli indennizzi sono diminuiti in misura maggiore degli infortuni (3,0%) (figura 3).
10
Figura 3. Infortuni denunciati e infortuni indennizzati, entro il 31 Dicembre dell’anno successivo,
variazione percentuale rispetto l’anno precedente - Industria e Servizi, 1991-2005
15,0
10,0
5,0
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
‐5,0
1991
0,0
‐10,0
‐15,0
denunce indennizzi
Elaborazioni Ires su dati Inail, Serie storiche, 2008
1.2 I tempi medi di definizione degli infortuni e delle malattie professionali
Per analizzare lo scarto temporale esistente tra il momento della denuncia e quello dell’indennizzo,
prendiamo a riferimento i tempi medi di lavorazione delle pratiche, negli ultimi tre anni.
I tempi medi di apertura delle pratiche sono diminuiti dell’11,7% tra il 2004 e il 2006, con una
stabilizzazione intorno a 9 giorni, confermata anche dai primi dati del 2007. Gli infortuni che hanno
impiegato più di 30 giorni sono 21549 nel 2006, e la loro incidenza sul totale diminuisce rispetto
l’anno precedente (dal 3,12% al 2,07%) (tabella 1; figura 4).
Tempo
medio
(giorni)
2005
2006
10,06
8,88
Tabella 1. Tempi medi apertura infortuni Casi trattati
Casi trattati
Termini Totale casi
entro i
oltre i
(giorni)
(n.)
termini (n.)
termini (n.)
30
30
1.049.465
1.016.722
1.039.491
1.017.942
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
32.743
21.549
Casi trattati
oltre i
termini (%)
3,12
2,07
11
Figura 4. Tempi medi apertura infortuni, in giorni (per il 2007 al 30 Giugno)
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
16,21
10,06
2004
2005
8,88
2006
8,97
2007
Elaborazioni Ires su dati Inail, Bilancio sociale 2005-2006;
Inail, Andamento del processo produttivo e profili finanziari al 30-06-07
Per la definizione delle pratiche i tempi medi sono in diminuzione, con 26 giorni di media nel
2007.
Tabella 2. Tempi medi definizione infortuni
2005
2006
Tempo
medio
(giorni)
Termini
(giorni)
28,71
25,88
30
30
Casi trattati
entro i termini
(n.)
Totale casi
(n.)
Casi trattati
oltre i termini
(n.)
Casi trattati
oltre i termini
(%)
136.206
108.789
25,03
20,21
544.173
407.967
538.187
429.398
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
Figura 5. Tempi medi definizione infortuni, in giorni (per il 2007 al 30 Giugno)
60
50
48,11
40
28,71
30
25,88
20
19,99
10
0
2004
2005
2006
2007
Elaborazioni Ires su dati Inail, Bilancio sociale 2005-2006; Inail,
Andamento del processo produttivo e profili finanziari al 30-06-07
12
Per la costituzione delle rendite i tempi medi sono di 36,52 giorni nel 2006.
Tabella 3. Tempi medi costituzione rendite dirette
2005
2006
Tempo
medio
(giorni)
Termini
(giorni)
48,53
36,52
120
120
Totale
casi (n.)
Casi trattati
entro i termini
(n.)
Casi trattati
oltre i termini
(n.)
6.344
5.872
6.333
5.958
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
Casi trattati
oltre i termini
(%)
472
375
7,44
5,92
I tempi medi di costituzione delle rendite ai superstiti sono di 94,96 giorni nel 2006.
2005
2006
Tabella 4. Tempi medi costituzione rendite ai superstiti
Casi trattati
Casi trattati
Tempo
Termini Totale casi
entro i termini oltre i termini
medio
(giorni)
(n.)
(n.)
(n.)
(giorni)
92,67
120
2.340
1.521
819
94,62
120
1.186
842
344
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
Casi trattati
oltre i termini
(%)
35,0
29,0
Per le malattie professionali i tempi di costituzione di rendite dirette sono molto lunghi: 243 giorni
di media nel 2006. I casi di malattia professionale denunciati all’Inail, per Industria e Servizi, sono
tendenzialmente stabilizzati intorno ai 24.888 casi annuali (media 2004-2006).
Tabella 5. Tempi medi costituzione rendite dirette da malattie professionali
2005
2006
tempo
medio
(giorni)
Termini
(giorni)
270,84
243,07
120
120
Totale
casi (n.)
Casi trattati
entro i termini
(n.)
Casi trattati
oltre i termini
(n.)
876
239
1.124
338
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
637
786
Casi trattati
oltre i termini
(%)
72,72
69,93
I dati forniti precedentemente ci indicano quale è il numero di casi trattato oltre i termini
previsti: nel 2005, 136.206 casi hanno impiegato più di 30 giorni per essere definiti (il 25,0% del
totale); per la costituzione delle rendite 472 casi hanno impiegato più di 120 giorni per essere
riconosciuti (il 7,5% del totale), e questi tempi sono notevolmente superiori nei casi di definizione
di rendite per i famigliari di lavoratori deceduti (819 casi hanno impiegato più di 120 giorni); per le
malattie professionali il 72,0% dei casi supera i 120 giorni per ottenere una definizione (876 casi). È
opportuno comprendere più approfonditamente quanti siano i casi d’infortunio che superano di
molto i tempi medi di indennizzo, poiché ogni infortunio riguarda individui e famiglie che vivono
delle situazioni di difficoltà fisica, psicologica ed economica, ed ogni giorno trascorso senza il
giusto riconoscimento dell’indennizzo aggrava la loro situazione.
13
Prenderemo a riferimento i dati degli ultimi tre anni, considerando le differenze nel numero
d’indennizzi registrate dall’Inail in diversi periodi temporali, e presentati attraverso fonti differenti:
il rapporto annuale, le serie storiche e la banca dati on line. Il numero d’indennizzi definiti per un
determinato anno aumenta nel corso degli anni successivi, in seguito al riconoscimento
dell’indennizzo per le pratiche che erano ancora in corso di definizione (ad Aprile 2007 il 2,5%
delle pratiche del 2006 è ancora in corso di definizione) e per la risoluzione positiva di ricorsi
effettuati7. Considerando i dati del 2004, l’anno più solido (per il tempo maggiore a disposizione
per la definizione delle pratiche), osserviamo che degli 869.439 infortuni denunciati 572.776 casi
sono stati definiti con indennizzo al 30 Aprile 2005, 586.108 casi al 31 Dicembre 2005, 589.749
casi al 30 Aprile 2006, 592.277 casi al 30 Aprile 2007 e 592.813 casi al 31 Ottobre 2007. Dunque,
per i casi denunciati nel 2004, 13.332 casi, hanno impiegato almeno da quattro mesi a un anno per
essere indennizzati; 3.641 casi hanno impiegato da almeno un anno a un anno e quattro mesi per
essere indennizzati; 2.528 casi hanno impiegato da almeno un anno e quattro mesi a due anni e
quattro mesi per essere indennizzarti; 536 casi hanno impiegato da almeno due anni e quattro mesi a
due anni e dieci mesi per essere indennizzati (Figura 6).
Figura 6. Infortuni denunciati nel 2004 e indennizzati gli anni successivi, per classi temporali (val. as.
per anno, e casi in aumento rispetto al periodo immediatamente precedente).
595.000
586.108
(+ 13.332)
590.000
589.749
(+ 3.641)
592.277
(+ 2.528)
592.813
(+ 536)
585.000
580.000
575.000
572.776
570.000
565.000
560.000
al 30‐04‐05 al 31‐12‐05 al 30‐04‐06 al 30‐04‐07 al 31‐10‐07
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007; Inail, data-base on line, 2008
Considerando gli infortuni del 2005 (844.969 denunce di cui 568.622 indennizzate entro un anno),
14.681 casi hanno impiegato almeno da quattro mesi a un anno per essere indennizzati; 3.073 casi
hanno impiegato da almeno un anno a un anno e quattro mesi per essere indennizzati; 1.705 casi
hanno impiegato da almeno un anno e quattro mesi a un anno e dieci mesi per essere indennizzati
(tabella 6).
7
Una parte minore dell’aumento degli indennizzi, inoltre, è dovuta ai ritardi nel sistema di raccolta delle informazioni
sui casi.
14
Tabella 6. Infortuni denunciati e infortuni indennizzati, per classi temporali - Industria e Servizi –
2004-2006 Definiti con indennizzo
Denunce
al 30-04- al 31-12- al 30-04- al 31-12- al 30-04al 31-1005
05
06
06
07
07
2004
869439
572.776
586108
589.749
n.d.
592.277
592.813
2005
844969
553.941
568622
571.695
573.400
2006
836345
n.d.
554062
565.455
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007; Inail, data-base on line, 2008
1.3 Gli infortuni mortali
Nell’analisi degli infortuni mortali utilizzeremo sia i dati forniti dalle serie storiche, sia quelli più
recenti e aggiornati proposti annualmente dall’Inail, in maniera da poter compiere un’analisi in
profondità del fenomeno.
L’Inail eroga una rendita per causa di infortunio mortale solamente se ci sono dei “superstiti” aventi
diritto. I “superstiti” - termine proprio del brutale linguaggio burocratico, che indica i famigliari
della vittima aventi diritto a una rendita - sono: il coniuge, i figli legittimi, naturali o riconosciuti o
riconoscibili e quelli adottivi. Per i figli hanno diritto alla rendita: fino al 18° anno di età, tutti; fino
al 21° anno, chi frequenta la scuola media superiore, vive a carico della famiglia e non svolge
lavoro retribuito; fino al 26° anno di età: chi frequenta un corso normale di laurea, vive a carico
della famiglia e non svolge lavoro retribuito. In mancanza di coniuge e figli hanno diritto alla
rendita i genitori naturali o adottivi, i fratelli e sorelle. La rendita è ripartita tra i famigliari secondo
delle percentuali prestabilite dalla legge.
Nel 2004, su 1.137 denunce d’infortunio mortale, 806 casi sono definiti con indennizzo (e dunque
“con superstiti”) entro l’anno successivo all’accadimento, una percentuale pari al 71,5%, e che
descrive un rapporto abbastanza stabile nel corso degli anni: mediamente dei lavoratori morti tre su
quattro lasciano dei famigliari stretti (coniuge, figli, genitori o sorelle)8 (tabella 7).
8
Gli infortuni mortali si distinguono in infortuni mortali “con superstiti” e “senza superstiti”: questi ultimi non hanno
diritto a una prestazione economica e nelle statistiche Inail sugli infortuni mortali non sono considerati nel conteggio
degli indennizzi.
15
Tabella 7. Infortuni mortali definiti entro l’anno successivo sui casi denunciati nel 2001-2005.
Infortuni definiti
Denunce di infortuni
Senza
mortali (=100%)
Con superstiti
superstiti
% su
Val. Ass.
Val. Ass. denunce
Val. Ass.
2001
1369
921
276
67,3
2002
1287
903
249
70,2
2003
1305
933
268
71,5
2004
1137
806
246
70,9
2005
1124
768
252
68,3
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
Per i casi mortali, analizzando il rapporto tra le denunce e gli indennizzi (considerando solo i casi
definiti “con superstiti”, poiché sono a disposizione le serie storiche), osserviamo che questi due
fenomeni hanno un andamento simile nel lungo periodo, e questa coerenza è maggiore di quella che
caratterizza gli infortuni non mortali (figura 7).
Figura 7. Numero di infortuni mortali denunciati e infortuni mortali indennizzati (con superstiti),
entro il 31 Dicembre dell’anno successivo - Industria e Servizi, 1991-2005
2000
1800
1600
1400
1200
Denunce
1000
800
Indennizzi (con superstiti)
600
400
200
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
0
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
Questa stabilità del rapporto tra le denunce d’infortuni mortali e il loro indennizzo emerge anche se
ci soffermiamo ad analizzare l’andamento rispetto l’anno precedente: al variare del numero di
denunce il loro indennizzo entro l’anno successivo varia conseguentemente. Si registra un accumulo
di ritardi nel 2001, anno tragico per l’aumento elevato del numero dei morti sul lavoro (figura 8). 16
Figura 8. Infortuni mortali denunciati e infortuni indennizzati, entro il 31 Dicembre dell’anno
successivo, variazione percentuale rispetto l’anno precedente - Industria e Servizi, 1991-2005
15,0
10,0
5,0
‐5,0
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
0,0
Denunce
Indennizzi
‐10,0
‐15,0
‐20,0
‐25,0
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
Approfondendo l’analisi dello scarto temporale tra le denunce e gli indennizzi, osserviamo che 66
casi denunciati nel 2004 sono stati definiti tra un minimo di quattro mesi e un massimo di un anno e
quattro mesi dall’avvenimento; ed è un anno nel quale le pratiche di infortuni mortali sembrano
risolversi in tempi più brevi rispetto agli anni seguenti. Difatti, nel 2005, 89 infortuni mortali
impiegano tra almeno quattro mesi e un anno e quattro mesi per essere indennizzati; e 14 infortuni
mortali impiegano da un almeno un anno e quattro mesi a un anno e dieci mesi per essere
indennizzati.
Degli infortuni denunciati nel 2006, 1071 sono definiti al 30 Aprile 2007 (91,6% dei casi), mentre
48 casi sono indennizzati tra il 30 Aprile e il 31 Ottobre del 2007 (tabella 8).
Tabella 8. Infortuni mortali indennizzati, per classi temporali - Industria e Servizi – 2004-2006
Indennizzi
Denunce
al 30-04- al 30-04- al 30-04- al 31-1005
06
07
07
2004
1.137
1.000
1.066
1.066
1.066
2005
1.122
958
1.047
1.061
2006
1.169
1.071
1.119
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007; Inail, data-base on line, 2008
Gli infortuni mortali riguardano per lo più gli uomini, poiché svolgono le mansioni più pericolose e
sono impiegati nei settori più rischio (per quanto riguarda la gravità delle conseguenze degli
infortuni): sui 1.302 infortuni mortali denunciati nel 2006, il 92,3% è a danno di uomini (tabella 9).
17
Tabella 9. Infortuni mortali indennizzati, per classi temporali - Industria e Servizi – 2004-2006
2004
2005
2006
% sul
% sul
% sul
val.as.
val.as.
val.as.
totale
totale
totale
Maschi
1225
1186
1201
92,2
93,1
92,2
Denunce
Femmine
103
88
101
7,8
6,9
7,8
Totale
1328
1274
1302
100,0
100,0
100,0
Indennizzi
Maschi
1148
1108
92,2
93,0
Femmine
97
84
7,8
7,0
Totale
1245
1192
100,0
100,0
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007
1100
92
1192
92,3
7,7
100,0
Non si riscontrano differenze significative nello scarto tra denuncia e indennizzo per il genere
(tabella 10).
Tabella 10. Infortuni mortali definiti entro il 30-04-2007 sui casi denunciati nel 2004-2005-2006 per
sesso, Industria e Servizi.
Maschi
2004
2005
2006
1059
1047
1075
Indennizzi
per
infortuni
mortali
993
976
984
Femmine
2004
2005
2006
78
75
94
73
71
87
Denunce di
infortuni
mortali
%
indennizzi
sulle
denunce
93,8
93,2
91,5
93,6
94,7
92,6
1137
1066
2004
1122
1047
2005
1169
1071
2006
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007
Totale
93,8
93,3
91,6
18
1.4 I casi non indennizzati
I casi che non sono indennizzati, e dunque non presenti nell’analisi precedente, possono essere
definiti come: negativi9, in franchigia10, in corso di definizione, o non aventi diritto a un
indennizzo11.
Al 30 Aprile 2007, i casi ancora in corso di definizione sono lo 0,3% delle denunce effettuate nel
2004, lo 0,8% di quelle del 2005, e il 2,5% di quelle del 2006.
I casi con esito negativo registrano un aumento nell’arco degli ultimi tre anni: sono il 14,5% di
quelli denunciati nel 2004 e definiti nell’arco di tre anni, contro il 15,3% di quelli denunciati nel
2006 e definiti in meno di un anno e quattro mesi. Se anche una parte degli eventuali ricorsi ha esito
positivo, facendo diminuire l’incidenza dei casi negativi, è interessante osservare che gli infortuni
indennizzati diminuiscono, mentre quelli con esito negativo aumentano la loro incidenza.
Le franchigie rappresentano il 15,9% delle denunce nel 2004, e la loro incidenza sul totale è in
leggera diminuzione.
Se analizziamo le differenze di genere, l’incidenza di casi indennizzati è maggiore tra gli uomini,
mentre i casi positivi senza indennizzo e quelli negativi hanno una maggiore incidenza per le donne.
Se per gli infortuni senza indennizzo questo può essere plausibile (le donne hanno una forte
presenza tra i dipendenti pubblici e i servizi e svolgono in genere mansioni meno rischiose) per i
casi negativi non c’è una spiegazione che possa riferirsi alla connotazione di genere (tabella 11).
9
Casi negativi: il caso non possiede i requisiti per essere riconosciuto come infortunio sul lavoro.
Il periodo di franchigia corrisponde a 3 giorni di completa astensione dal lavoro oltre al giorno in cui si è verificato
l'infortunio. Durante tale periodo la retribuzione è a carico del datore di lavoro che è obbligato a pagare per intero la
giornata nella quale è avvenuto l'infortunio ed almeno il 60% della retribuzione (salvo migliori condizioni previste da
contratti collettivi o individuali di lavoro) per i successivi tre giorni.
11
Infortuni regolari “senza indennizzo”: pur trattandosi di eventi riconoscibili come veri e propri infortuni sul lavoro,
INAIL eroga prestazioni economiche in casi particolari: per esempio, ai dipendenti dello Stato che hanno avuto un
infortunio che ha determinato assenza dal lavoro ma non postumi permanenti o la morte (soltanto in questi ultimi due
casi l'INAIL indennizza l'assicurato; se si determina soltanto un periodo di inabilità temporanea l'indennizzo è a carico
dello Stato); anche gli infortuni mortali “senza superstiti”, conteggiati in una voce separata nelle statistiche Inail, non
danno diritto a un indennizzo.
10
19
Tabella 11. Percentuale di infortuni definiti entro il 30-04-2007 sui casi denunciati nel 2004-2005-2006
– Industria e Servizi
Definiti senza indennizzo
In corso di
Totale
ANNI,
Positivi
Indennizzati
definizione denunce
sesso
senza
Negativi
Franchigie
(totale)
indennizzo
Maschi
2004
69,6
1,0
14,0
15,1
0,3
100,0
2005
69,1
1,1
14,8
14,2
0,8
100,0
2006
Femmine
67,6
1,1
14,9
13,9
2,5
100,0
2004
63,6
1,7
15,7
18,6
0,3
100,0
2005
63,4
2,0
16,1
17,6
0,8
100,0
2006
Maschi e
Femmine
62,4
1,9
16,3
17,1
2,4
100,0
2004
68,1
1,2
14,5
15,9
0,3
100,0
2005
67,7
1,3
15,1
15,1
0,8
100,0
2006
66,2
1,3
15,3
Rapporto Inail, 2007
14,7
2,5
100,0
1.5 I casi indennizzati
Per gli eventi fino al 25 Luglio 2000 l’Inail erogava una prestazione economica per i casi
riconosciuti con un grado di inabilità permanente tra l’11% e il 100%. Per questi casi l’Inail
liquidava il valore capitale della rendita quando, in sede di ultima revisione, risultasse un grado di
inabilità compreso tra l’11% ed il 15% (dopo 10 anni dalla data di decorrenza della rendita da
infortunio; o dopo 15 anni dalla data di decorrenza della rendita da malattia professionale).
A decorrere dal 25 Luglio 2000 è entrata in vigore la disciplina del "danno biologico" (art. 13 del
D.Lgs. 38/2000), definito come “lesione all’integrità psicofisica della persona suscettibile di
accertamento medico-legale”, le menomazioni conseguenti vengono indennizzate con una
prestazione che sostituisce la rendita permanente.
Si ha diritto ad una prestazione economica per un grado riconosciuto di "lesione dell'integrità
psicofisica” tra il 6% e il 100%, e il tipo di indennizzo erogato viene stabilito in base al grado di
menomazione:
20
‐ < 6%, nessun indennizzo per danno biologico (è prevista la franchigia) e nessun indennizzo per
conseguenze patrimoniali;
‐ =>6% < 16%, indennizzo del danno biologico in capitale e nessun indennizzo per conseguenze
patrimoniali (i criteri d’indennizzo si differenziano per il sesso)
‐ => 16% indennizzo del danno biologico in rendita in funzione del grado di menomazione;
indennizzo con un’ulteriore quota di rendita per le conseguenze patrimoniali. La rendita vitalizia
è calcolata come attualizzazione dell’indennizzo in capitale.
Per eventi antecedenti il 25 luglio 2000 è considerata la diminuita o perduta attitudine al lavoro
espressa come inabilità permanente se il grado accertato è compreso tra l’11% ed il 100%, e il
lavoratore in questo caso ha diritto alla spettante rendita diretta per inabilità permanente.
Nell’analisi dei dati statistici, dunque, la voce “inabilità permanente” include i casi che fino al 25
Luglio 2000 hanno avuto riconosciuta un’invalidità permanente superiore all’11%; mentre per i casi
successivi include i casi d’indennizzo in capitale (grado di menomazione permanente compreso tra
6% e 15%; compresi i casi di "valutazione provvisoria" con acconto), e i casi d’indennizzo in
rendita (grado di menomazione permanente >= 16%).
Analizzando i casi indennizzati, nel corso di quindici anni è mutata la distribuzione del tipo di
definizione dell’infortunio sul totale degli indennizzi, poiché è diminuito il grado che definisce un
“indennizzo permanente”: diminuisce l’incidenza degli infortuni con indennità “temporanea”,
dunque, e aumentano quelli con indennità “permanente”. Nel 1990 su 100 casi 96,3 erano con
indennità temporanea, mentre nel 2005 sono il 94,5; mentre le indennità “permanenti” passano dal
3,5% dei casi definiti del 1990 al 5,3% dei casi del 2005.
Nel commentare questo trend si consideri che, solo negli ultimi sei anni, mentre il totale degli
infortuni indennizzarti diminuisce (-5,9%) – anche in relazione al minor numero di denunce – gli
infortuni con indennità permanente sono quasi raddoppiati (+44,9%) (tabella 12). 21
Tabella 12. Infortuni denunciati e indennizzati (entro il 31 Dicembre dell’anno successivo) - Industria
e Servizi, variazione percentuale rispetto al 2000
DENUNCE
DEFINIZIONI
Morte
di cui
mortali
n. casi
Temporanea Permanente
Con
superstiti
TOTALE
Con e
senza
superstiti
-
2000
-
-
-
-
-
2001
1,6
11,7
0,7
3,2
8,2
0,0
0,8
2002
-1,3
5,0
-2,5
20,2
6,1
-3,8
-1,7
2003
-2,9
6,4
-3,5
32,3
9,6
0,3
-2,2
2004
-4,1
-7,3
-4,7
44,4
-5,3
-12,1
-3,0
2005
-6,8
-8,3
-7,7
44,9
-9,8
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
-14,8
-5,9
Rispetto alla distribuzione totale, dei 463.195 casi definiti nel 2006, il 95,1% sono indennità
temporanee, il 4,6% indennità permanenti, lo 0,24% infortuni mortali (tabella 13).
Tabella 13. Infortuni denunciati e indennizzati (a tutto il 30 Aprile 2007)
INDENNIZZATI
Permanente
ANNI
Temporanea
Morte
in
in
capitale
rendita
totale
Maschi
Femmine
Totale
Totale
indennizzati
2004
473.913
23.494
6.320
29.814
1.148
504.875
2005
451.584
23.078
6.037
29.115
1.108
481.807
2006
440.601
17.768
3.726
21.494
1.100
463.195
2004
153.423
6.270
906
7.176
97
160.696
2005
154.119
6.323
876
7.199
84
161.402
2006
152.932
4.733
558
5.291
92
158.315
2004
627.336
29.764
7.226
36.990
1.245
665.571
2005
605.703
29.401
6.913
36.314
1.192
643.209
2006
593.533
22.501
4.284
Inail, 2007
26.785
1.192
621.510
22
1.5.1 L’inabilità temporanea
Nei casi d’inabilità che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni, l’Inail paga
un’indennità giornaliera. L’indennità è erogata dal quarto giorno successivo alla data d’infortunio o
manifestazione della malattia professionale fino alla guarigione clinica.
Per un confronto tra il numero dei casi e l’ammontare economico degli stessi, utilizzeremo le tabelle
presenti nel Bilancio Sociale 2005-2006 dell’Inail.
Nel 2006 gli indennizzi per inabilità temporanea registrano un forte aumento rispetto al trend
precedente: aumentano dello 0,12% tra il 2005 e il 2006, contro una diminuzione del 9,61% tra il
2004 e il 2005 (tabella 14).
L’ammontare complessivo delle prestazioni economiche per inabilità temporanea è di 751.073.281
euro nel 2006, con un aumento dell’8,79% rispetto l’anno precedente (tabella 15).
L’ammontare medio per singola prestazione è di 1.154 euro nel 2004; 1.239 euro nel 2005 e 1.346
euro nel 2006.
Tabella 14. Infortuni definiti con l’erogazione dell’indennità per inabilità temporanea assoluta
var.%
var.%
2004
2005
2006
2005/2004 2006/2005
Industria
605878
547917
550824
-9,57
0,53
Agricoltura
56825
51082
48878
-100,11
-4,31
Totale
662703
598999
599702
-9,61
0,12
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
Tabella 15. Spese per inabilità temporanea assoluta (euro)
var.%
2004
2005
2006
2005/2004
Gestione Industria
708541102 688263483 751073281
-2,86
Gestione
Agricoltura
56399135
54040873
56454685
-4,18
Totale
764940237 742304356
807527966
-2,96
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
var.%
2006/2005
9,13
4,47
8,79
23
1.5.2 Gli indennizzi in capitale
Per il grado d’invalidità riconosciuta tra il 6% e il 15% il lavoratore ha diritto a un indennizzo in
capitale (per risarcire il cosiddetto danno biologico).
Gli indennizzi in capitale, per Industria e Servizi, hanno registrato un forte aumento tra il 2004 e il
2005 (+9,49%), che è proseguito con una minore intensità nell’anno successivo (+2,96%) (tabella
16).
Tabella 16. Indennizzi in capitale (per grado di invalidità dal 6% al 15%)
Var. %
Var. %
200520062004
2005
2006 2004
2005
Industria e
Servizi
24.841
27.199
28.005
9,49%
2,96%
Agricoltura
3.479
3.944
3.921 13,37% -0,58%
Totale
28.320
31.143
31.926
9,97%
2,51%
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
1.5.3 Le rendite
Il cambiamento della normativa ha anche cambiato il trend delle rendite spettanti per i casi
indennizzati.
Per i casi antecedenti al 25 Luglio 2000, la rendita diretta è dovuta per un grado di inabilità
permanente compreso tra l’11% ed il 100%, mentre per i casi successivi, la rendita è data per un
grado di menomazione superiore al 16%.
Questo ha comportato una notevole diminuzione dei casi indennizzati con una rendita.
Il settore industriale è stato, da sempre, quello nel quale si sono concentrati i casi di indennizzi con
rendita: il 79,0% del totale, considerando quelle da infortunio.
Nel corso degli anni Novanta le rendite costituite a inabili erano un numero molto elevato, se
consideriamo il solo settore industriale, tra il 1991 e il 2000, si registra una media annuale di 10.516
casi denunciati e definiti nel corso di un singolo anno, con un andamento che si era stabilizzato
intorno a questo valore medio.
Negli anni Duemila si registra un notevole calo di casi indennizzati con una rendita (e definiti nello
stesso anno di avvenimento): una media di 1.202 rendite annuali tra il 2001 e il 2005 (tabella 17;
figura 10).
Confrontando le media osserviamo che, nel solo settore industriale, con l’innalzamento del grado
d’invalidità l’88,6% dei lavoratori non ha avuto più diritto a una rendita che prima avrebbe ottenuto.
24
Tabella 17. Rendite ad inabili costituite al 31 dic 2005 per anno di avvenimento dell'infortunio e anno di costituzione - Gestione Industria – 1990-2005
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
Totale
1990
4703
1991
20502
7931
1992
6460
20960
10770
1993
1539
4217
18569
12098
1994
577
1075
2543
15125
11557
1995
254
389
615
1634
12840
10769
1996
155
240
337
512
1564
12428
10429
1997
102
118
199
255
416
1365
12040
10135
1998
68
84
117
159
285
462
1471
11973
10948
1999
42
81
106
112
213
284
406
1274
12692
11155
2000
408
500
468
397
411
509
542
715
1610
13416
9368
2001
38
48
46
76
82
159
232
297
499
1616
5665
596
2002
23
32
55
69
76
123
196
226
299
511
1531
2990
914
2003
22
34
38
70
72
118
124
202
258
432
617
1232
3400
1371
2004
13
27
33
47
59
84
92
134
188
301
292
320
1074
3618
1527
4703
28433
38190
36423
30877
26501
25665
24630
25567
26365
28344
9354
7045
7990
7809
2005
5
11
9
35
34
55
48
81
128
166
224
124
242
950
3668
1605
7385
Totale
34911
35747
33905
30589
27609
26356
25580
25037
26622
27597
17697
5262
5630
5939
5195
1605
335281
Inail, Notiziario statistico, n. 1-2, 2006
Figura 10. Tavola Rendite ad inabili costituite annualmente - Gestione Industria – 1991-2005
45000
40000
35000
30000
25000
20000
15000
10000
5000
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
0
Elaborazione Ires su dati Inail, Notiziario statistico, n. 1-2, 2006
25
Al 2005 il numero di rendite in vigore, cumulato in tutto il periodo precedente, è di 869.427 casi,
con una diminuzione del 4,85% rispetto l’anno precedente. Il 78,4% dei casi si concentra nei settori
di Industria e Servizi, che registra una diminuzione del 4,85% rispetto l’anno precedente (tabella
18).
Tabella 18. Rendite in vigore per inabilità permanente
Var. % 2005Var. % 20062004
2005
2006
2004
2005
Industria e
Servizi
Agricoltura
Medici
Ambito
domestico
Totale
762.218
184.427
885
738.888
175.402
862
703.061
165.306
836
-3,06%
-4,89%
-2,60%
-4,85%
-5,76%
-3,02%
109
172
224
57,80%
947.639 915.324 869.427
-3,41%
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
30,23%
-5,01%
L’ammontare delle rendite per inabilità permanente nel 2006 è di euro 3.146.307.050, in
diminuzione del 2,43% rispetto l’anno precedente.
Un forte aumento si registra per le liquidazioni in capitale delle rendite (+46,81% tra il 2005 e il
2006).
Gli indennizzi in capitale delle rendite hanno un’incidenza fortemente stabile rispetto
all’ammontare totale, pari al 5,50% della somma totale (media ultimi tre anni).
Confrontando i due dati (numero delle rendite ed ammontare economico), osserviamo che
l’ammontare medio per singola rendita è di 3.401 euro nel 2004, 3.523 euro nel 2005, e 3.619 euro
nel 2006 (tabella 19).
Tabella 19. Prestazioni per danno permanente
Rendite per inabilità
permanente
Quote integrative della
rendita
Quote di integrazione della
rendita per inabilità
permanente
Liquidazioni in capitale
delle rendite
Indennizzi
Totale
Var. %
20052004
Var. %
20062005
3.146.307.050
0,04
-2,43
150.304.736
144.865.472
-0,88
-3,62
27.994
5.742
110,78
-79,49
255.102.279
219.518.928
322.270.142
211.699.815
205.081.197
212.352.964
3.841.687.843 3.799.503.498 3.825.801.370
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
-13,95
-3,13
-1,10
46,81
3,55
0,69
2004
2005
2006
3.223.240.936
3.224.570.643
151.631.532
13.281
26 Stando ai primi dati del 2007 (relativi al 30 Giugno 2007), le rendite costituite in via ordinaria
rappresentano il 79,15% del totale, quelle costituite a seguito di visita collegiale il 10,03%, quelle
costituite a seguito di giudizio il 10,82%12. Come si evince da questi dati, un lavoratore su cinque ha
dovuto aprire un contenzioso con l’Inail per vedere riconosciuti i propri diritti. Questo utilizzo della
pratica che possiamo definire conflittuale-ricorsiva, a cui sono costretti a ricorrere molti lavoratori
per fare valere i propri diritti, crea numerose difficoltà ai lavoratori e viola il diritto che essi hanno
nell’avere una giusta valutazione e definizione dei danni per la salute derivati da un infortunio o da
una malattia (cfr. par. 5.4, d). E’ opportuno precisare, però, che, come riferisce lo stesso Inail, “si
registrano oggettive diversità, e per quantità consistenti, nella tipologia di costituzione delle
rendite (in Lombardia solo il 3,73% sono costituite in giudizio, valore che in Abruzzo raggiunge il
28,75%), fenomeno per il quale sarebbero utili approfondimenti”13.
Per quanto riguarda le rendite in favore di superstiti, nel 2006 si registrano 130.166 casi, di cui
113.461 per Industria e Servizi; l’ammontare complessivo di queste rendite è di 1.144.433.224 euro
(una media di 8.792 euro per singola rendita).
1.5.4 Altre prestazioni erogate dall’Inail
Oltre agli indennizzi e alla costituzione di rendite, l’Inail eroga numerose altre prestazioni di natura
economica e d’assistenza, per chi ha subito un infortunio e per i familiari delle vittime.
Per i cittadini italiani e che non hanno riportato condanne penali di durata superiore ai due anni, che
sono “grandi invalidi” e ai “mutilati” (grado di inabilità permanente tra il 35% e il 59%), l’Inail
eroga delle prestazioni sanitarie curative e riabilitative (Legge finanziaria 2007): 6.503.340
prestazioni che registrano un aumento del 6,25% tra il 2005 e il 2006 (tabella 20).
Tabella 20. Prestazioni sanitarie erogate (numero)
Var. %
2004
2005
2006
20052004
Gestione Industria
5.425.387 5.443.467 5.804.087
0,33%
Gestione Agricoltura
572.801
653.719
671.737 14,13%
Gestione Infortuni
domestici
3.629
23.552
27.516 548,00%
Totale Prestazioni+
6.001.817 6.120.738 6.503.340
1,98%
Inail, Bilancio sociale 2005-2006
Var. %
20062005
6,62%
2,76%
16,83%
6,25%
12
Inail, Andamento del processo produttivo e profili finanziari al 30-06-07 Inail, Commissione Programmazione, Linee di Indirizzo e Verifica, seduta del 16 ottobre 2007, Allegato n. 1 alla
delibera 24/2007, Andamento del processo produttivo e profili finanziari al 31 marzo ed al 30 giugno 2007; punto d).
13
27 2.
Il settore delle Costruzioni: denunce e indennizzi
In questa sezione focalizzeremo l’analisi sul settore delle Costruzioni, attraverso un confronto
costante con i dati degli altri comparti, per descrivere i livelli di rischio cui sono esposti i lavoratori,
i fattori e gli agenti materiali che determinano un infortunio, il rapporto tra le denunce e gli
indennizzi in seguito ai casi d’infortunio.
2.1 I livelli di rischio nel settore delle Costruzioni
Il settore delle Costruzioni si caratterizza per un’elevata rischiosità per la salute e sicurezza dei
lavoratori, non solo per l’alto tasso d’incidenza degli infortuni, ma anche per l’elevata gravità che
caratterizza gli stessi.
La frequenza relativa d’infortunio14 è di 51,85 casi indennizzati ogni 1000 addetti, un tasso molto
elevato non solo rispetto a quello nazionale (31,35), ma anche rispetto a quello dei settori industriali
manifatturieri (38,44). Tra tutti i settori in Italia quello delle costruzioni è il quarto per frequenza
relativa di infortunio, dopo l’Industria dei metalli, quella della trasformazione e quella del legno.
Come frequenza relativa d’infortuni mortali il settore delle costruzioni, con 0,20 morti ogni 1000
addetti, è secondo solo a quello dell’estrazione di minerali (0,22), ed entrambi hanno valori
elevatissimi rispetto a qualsiasi altro settore. Un lavoratore edile o nelle cave rischia di morire più
del doppio rispetto a un lavoratore dei trasporti (che è il terzo settore più rischioso per le
conseguenze mortali degli infortuni), e rispetto alla media di tutti i settori dell’industria
manifatturiera (0,05) il rischio di morire è il quadruplo.
Coerentemente alti valori si registrano per la frequenza relativa di inabilità temporanea: si
registrano 51,16 casi ogni mille addetti contro una media nazionale di 29,78, e le costruzioni sono il
quarto settore per frequenza relativa di inabilità temporanea.
La frequenza relativa di inabilità permanente è di 4,49 casi ogni mille addetti contro una media
nazionale di 1,52; ed è il tasso più elevato tra tutti i settori, ovvero nelle costruzioni si rischia di più
di subire conseguenze gravissime in seguito a un incidente (tabella 21).
14
Frequenza relativa d’infortunio (x 1000 addetti): è il rapporto tra eventi lesivi indennizzati (integrati per tenere conto
dei casi non ancora liquidati) e il numero degli esposti.
28 Tabella 21. Frequenze relative di infortunio per Settore di attività economica e tipo di conseguenza per
1000 addetti (media trienno 2003-2005; comprese aziende non artigiane plurilocalizzate)
Settori di Attività
Economica
A AGRINDUSTRIA
B PESCA
C ESTRAZ.MINERALI
DA IND. ALIMENTARE
DB IND. TESSILE
DC IND. CONCIARIA
DD IND. LEGNO
DE IND. CARTA
DF IND. PETROLIO
DG IND. CHIMICA
DH IND. GOMMA
DI IND.TRASFORMAZ.
DJ IND. METALLI
DK IND. MECCANICA
DL IND. ELETTRICA
DM IND.MEZZI TRAS.
DN ALTRE INDUSTRIE
D TOT.IND.MANIF.
E ELET. GAS ACQUA
F COSTRUZIONI
G COMMERCIO
H ALBERG. E RIST.
I TRASPORTI
J INTERM. FINANZ.
K ATT.IMMOBILIARI
L PUBBLICA AMMIN.
M ISTRUZIONE
N SANITA'
O SERV. PUBBLICI
X ATT. NON DETER.
TOTALE
Tipo di conseguenza
Inabilità
Inabilità
Morte
temporanea permanente
27,16
2,01
0,07
23,14
2,18
28,93
2,65
0,22
35,11
1,62
0,06
18,99
0,77
0,01
17,93
0,75
0,02
52,50
4,13
0,09
23,23
0,93
0,01
11,16
1,12
0,06
15,98
0,63
0,07
46,28
1,65
0,04
56,23
2,96
0,11
59,45
2,62
0,10
39,45
1,22
0,05
18,07
0,62
0,02
44,82
1,20
0,02
38,58
1,87
0,05
36,82
1,57
0,05
17,27
0,93
0,02
51,16
4,49
0,20
24,06
1,09
0,04
36,80
1,12
0,03
34,11
2,01
0,12
2,88
0,21
0,01
19,28
0,80
0,03
16,40
0,73
0,01
9,53
0,42
0,01
24,96
0,75
0,01
25,01
1,20
0,03
39,81
0,91
0,01
29,78
1,52
0,06
Totale
29,24
25,31
31,81
36,79
19,77
18,70
56,71
24,17
12,34
16,67
47,97
59,30
62,18
40,72
18,72
46,04
40,51
38,44
18,22
55,85
25,18
37,95
36,24
3,09
20,11
17,15
9,96
25,72
26,24
40,73
31,35
Inail, data-base on line, 2008
Il maggior tasso infortunistico si registra presso le aziende monolocalizzate (51,83 infortuni ogni
1000 addetti), mentre le plurilocalizzate registrano tassi inferiori (23,78) 15. Questa distribuzione
del rischio differisce molto sia rispetto la media dell’industria manifatturiera, sia rispetto a quella
complessiva di tutti i settori, per cui la differenza tra le due tipologie aziendali non è rilevante
(tabella 22).
15
Le aziende monolocalizzate sono quelle che svolgono l'attività in una sola provincia, quelle plurilocalizzate sono
quelle che svolgono l’attività in più province.
29 Tabella 22. Frequenze relative di infortunio per Settore di attività economica e tipo di conseguenza per
1000 addetti (media trienno 2003-2005), per aziende monolocalizzate e plurilocalizzate
Tipo di conseguenza
Settori di
Attività
Inabilità
Inabilità
Economica temporanea permanente Morte Totale
Ind. Manif.
35,21
1,68
0,05 36,95
47,00
4,63
0,20 51,83
Monolocalizzate Costruzioni
Totale
29,03
1,69
0,06 30,79
34,79
Monolocalizzate Ind. Manif.
Costruzioni
22,59
e
plurilocalizzate Totale
28,30
Inail, data-base on line, 2008
1,65
1,15
1,61
0,05
0,04
0,06
36,50
23,78
29,97
Quantificando le conseguenze in “giornate di lavoro perdute in un anno per ogni singolo addetto
otteniamo quello che l’Inail definisce il rapporto di gravità16 è un indicatore della gravità delle
conseguenze per la salute in seguito agli infortuni.
Tabella 23. Rapporti di gravità d’infortunio in Italia per settore di attività economica e tipo di
conseguenza per addetto (media triennio 2003-2005)
Settori di Attività
Economica
A AGRINDUSTRIA
B PESCA
C ESTRAZ.MINERALI
DA IND. ALIMENTARE
DB IND. TESSILE
DC IND. CONCIARIA
DD IND. LEGNO
DE IND. CARTA
DF IND. PETROLIO
DG IND. CHIMICA
DH IND. GOMMA
DI IND.TRASFORMAZ.
DJ IND. METALLI
DK IND. MECCANICA
DL IND. ELETTRICA
DM IND.MEZZI TRAS.
DN ALTRE INDUSTRIE
D TOT.IND.MANIF.
E ELET. GAS ACQUA
F COSTRUZIONI
G COMMERCIO
Tipo di conseguenza
Inabilità
Inabilità
temporanea
permanente
Morte
0,67
2,22
0,51
0,64
2,61
0,78
3,18
1,67
0,83
1,66
0,44
0,44
0,77
0,11
0,38
0,78
0,14
1,31
4,28
0,66
0,54
1,01
0,11
0,27
1,42
0,46
0,34
0,70
0,52
0,97
1,86
0,28
1,29
3,34
0,84
1,30
2,95
0,76
0,80
1,29
0,41
0,39
0,65
0,19
0,97
1,11
0,18
0,85
1,92
0,40
0,81
1,68
0,41
0,44
1,00
0,17
1,34
5,22
1,51
0,55
1,11
0,27
Totale
3,40
3,25
5,64
2,93
1,32
1,29
6,24
1,65
2,16
1,56
3,10
5,48
5,00
2,50
1,22
2,26
3,17
2,90
1,61
8,07
1,93
16
Rapporto di gravità per addetto: è il rapporto tra le conseguenze degli eventi lesivi indennizzati (integrati per tenere
conto dei casi non ancora liquidati) e il numero degli esposti. Tutte le tipologie di conseguenze sono espresse in
giornate perdute, quantificate sulla base di convenzioni internazionali recepite dall'U.N.I. (Ente Nazionale Italiano di
Unificazione):
- inabilità temporanea: giornate effettivamente perdute, compresi i giorni di carenza;
- inabilità permanente: ogni grado di inabilità equivale a 75 giornate perdute;
- morte: ogni caso equivale a 7500 giornate perdute.
30 H ALBERG. E RIST.
I TRASPORTI
J INTERM. FINANZ.
K ATT.IMMOBILIARI
L PUBBLICA AMMIN.
M ISTRUZIONE
N SANITA'
O SERV. PUBBLICI
X ATT. NON DETER.
TOTALE
0,78
0,95
0,07
0,49
0,40
0,21
0,59
0,62
0,94
0,71
1,04
2,12
0,20
0,83
0,64
0,38
0,61
1,16
0,79
1,62
0,19
0,87
0,04
0,25
0,11
0,07
0,09
0,23
0,10
0,44
2,01
3,94
0,31
1,56
1,15
0,65
1,30
2,01
1,83
2,77
Inail, data-base on line, 2008
Se approfondiamo l’analisi nel settore delle costruzioni per tipologia di azienda Inail, osserviamo
come il rischio di subire un infortunio sia leggermente più elevato per gli addetti delle aziende non
artigiane: si registrano 49,74 infortuni ogni mille addetti per le aziende artigiane, e 57,57 per quelle
non artigiane.
La frequenza d’infortuni tra i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane è davvero molto elevata:
83,73 addetti ogni mille subiscono un infortunio di questo tipo, media che scende a 35,85 lavoratori
autonomi ogni mille.
Le aziende artigiane e quelle non artigiane, inoltre, non si differenziano per la frequenza d’infortuni
che provocano l’inabilità permanente. I lavoratori dipendenti delle imprese artigiane sono quelli che
registrano le frequenze più elevate (6,74 infortuni per 1000 addetti), ma il rischio infortunistico è
molto elevato anche per i lavoratori autonomi (3,59), se confrontato con gli altri settori.
Le aziende non artigiane registrano una maggiore frequenza d’infortuni mortali, e nelle aziende
artigiane i lavoratori dipendenti corrono più rischi di morire sul lavoro rispetto ai lavoratori
autonomi (tabelle 24; 25; 26; 27).
31 Tabella 24. Infortuni mortali. Frequenze relative in Italia per 1000 addetti per settore di attività
economica e tipologia Inail delle aziende (media triennio 2003-2005)
Aziende Artigiane
Settori di Attività
Economica
A AGRINDUSTRIA
B PESCA
C ESTRAZ.MINERALI
DA IND. ALIMENTARE
DB IND. TESSILE
DC IND. CONCIARIA
DD IND. LEGNO
DE IND. CARTA
DF IND. PETROLIO
DG IND. CHIMICA
DH IND. GOMMA
DI IND.TRASFORMAZ.
DJ IND. METALLI
DK IND. MECCANICA
DL IND. ELETTRICA
DM IND.MEZZI TRAS.
DN ALTRE INDUSTRIE
D IND.MANIF.
E ELET. GAS ACQUA
F COSTRUZIONI
G COMMERCIO
H ALBERG. E RIST.
I TRASPORTI
J INTERM. FINANZ.
K ATT.IMMOBILIARI
L PUBBLICA AMMIN.
M ISTRUZIONE
N SANITA'
O SERV. PUBBLICI
X ATT. NON DETER.
TOTALE
Dipendenti
130,6
57,71
38,80
13,02
16,31
72,53
25,72
88,57
38,59
47,29
83,45
75,43
68,92
27,18
87,88
49,61
50,15
83,73
49,49
38,98
66,36
47,38
17,68
59,79
Autonomi
57,71
24,47
16,36
12,92
11,92
46,01
9,80
31,58
10,97
15,85
28,09
32,45
30,53
11,66
27,45
26,27
23,81
35,85
26,45
14,90
33,26
17,84
10,03
0,95
27,28
Totali
66,09
42,59
23,91
12,97
14,26
55,34
16,84
59,46
22,91
33,10
51,10
53,33
48,23
16,65
55,82
35,27
35,07
49,74
31,83
18,83
42,51
25,23
11,08
0,81
37,66
Aziende
non
artigiane
in
complesso
22,49
21,98
26,60
40,35
20,65
18,12
51,77
24,47
10,94
15,72
45,92
56,27
61,55
37,20
18,49
42,05
39,47
36,90
18,45
57,57
22,65
38,03
34,09
2,97
17,94
16,86
9,05
25,31
30,79
40,17
28,39
Totale
26,98
21,98
27,76
34,96
18,32
16,89
53,79
23,25
11,04
15,85
44,46
55,21
59,11
38,41
18,17
42,58
37,96
36,50
18,45
53,12
23,78
37,02
35,36
2,97
18,44
16,86
9,05
25,31
25,62
40,05
29,97
Inail, data-base on line, 2008
32 Tabella 25. Inabilità temporanea. Frequenze relative in Italia per 1000 addetti per settore di attività
economica e tipologia Inail delle aziende (media triennio 2003-2005)
Aziende Artigiane
Settori di Attività
Economica
A AGRINDUSTRIA
B PESCA
C ESTRAZ.MINERALI
DA IND. ALIMENTARE
DB IND. TESSILE
DC IND. CONCIARIA
DD IND. LEGNO
DE IND. CARTA
DF IND. PETROLIO
DG IND. CHIMICA
DH IND. GOMMA
DI IND.TRASFORMAZ.
DJ IND. METALLI
DK IND. MECCANICA
DL IND. ELETTRICA
DM IND.MEZZI TRAS.
DN ALTRE INDUSTRIE
D TOT.IND.MANIF.
E ELET. GAS ACQUA
F COSTRUZIONI
G COMMERCIO
H ALBERG. E RIST.
I TRASPORTI
J INTERM. FINANZ.
K ATT.IMMOBILIARI
L PUBBLICA AMMIN.
M ISTRUZIONE
N SANITA'
O SERV. PUBBLICI
X ATT. NON DETER.
TOTALE
Dipendenti
123,57
60,82
38,79
13,29
17,06
71,48
25,79
62,10
42,63
47,92
82,71
76,88
72,16
28,80
87,83
49,88
50,19
82,18
50,79
38,35
63,44
48,43
17,11
55,40
58,98
Autonomi
54,50
21,59
15,47
12,50
11,21
43,60
9,74
41,07
10,82
14,07
27,35
30,58
29,74
11,21
26,76
24,90
22,62
34,34
25,79
13,18
31,67
17,01
9,51
12,30
26,02
Totali
62,79
42,79
23,29
12,89
14,37
53,35
16,90
49,46
24,67
32,52
50,46
52,99
49,09
16,86
54,91
34,55
34,43
48,21
31,58
17,57
40,44
24,84
10,55
38,53
36,60
Aziende
non
artigiane
in
complesso
22,14
23,14
27,73
40,83
21,67
19,64
51,37
24,39
11,07
15,82
48,07
57,68
62,16
38,31
18,34
44,41
40,81
37,51
17,27
54,95
23,00
37,77
33,01
2,88
18,88
16,40
9,53
24,96
30,27
39,81
28,39
Totale
27,16
23,14
28,93
35,11
18,99
17,93
52,50
23,23
11,16
15,98
46,28
56,23
59,45
39,45
18,07
44,82
38,58
36,82
17,27
51,16
24,06
36,80
34,11
2,88
19,28
16,40
9,53
24,96
25,01
39,81
29,78
Inail, data-base on line, 2008
33 Tabella 26. Inabilità permanente. Frequenze relative in Italia per 1000 addetti per settore di attività
economica e tipologia Inail delle aziende (media triennio 2003-2005) Aziende Artigiane
Settori di Attività
Economica
A AGRINDUSTRIA
B PESCA
C ESTRAZ.MINERALI
DA IND. ALIMENTARE
DB IND. TESSILE
DC IND. CONCIARIA
DD IND. LEGNO
DE IND. CARTA
DF IND. PETROLIO
DG IND. CHIMICA
DH IND. GOMMA
DI IND.TRASFORMAZ.
DJ IND. METALLI
DK IND. MECCANICA
DL IND. ELETTRICA
DM IND.MEZZI TRAS.
DN ALTRE INDUSTRIE
D TOT.IND.MANIF.
E ELET. GAS ACQUA
F COSTRUZIONI
* G TOT. COMMERCIO
H ALBERG. E RIST.
I TRASPORTI
J INTERM. FINANZ.
K ATT.IMMOBILIARI
L PUBBLICA AMMIN.
M ISTRUZIONE
N SANITA'
O SERV. PUBBLICI
X ATT. NON DETER.
TOTALE
Dipendenti
11,65
5,67
2,16
0,50
0,72
5,05
1,32
2,95
2,39
5,29
3,66
3,45
1,01
4,16
2,55
2,58
6,74
2,44
1,96
5,89
2,47
0,92
3,82
3,91
Autonomi
5,85
2,18
1,54
1,10
0,78
5,07
0,75
1,06
1,25
2,53
2,85
2,63
0,97
2,18
2,51
2,20
3,59
2,35
0,82
3,15
1,41
0,83
0,68
2,58
Totali
6,55
4,07
1,75
0,81
0,75
5,07
1,00
1,88
1,87
3,68
3,25
3,00
0,99
3,09
2,52
2,36
4,50
2,37
1,02
3,90
1,67
0,84
2,59
3,00
Aziende non
artigiane
in complesso
1,38
2,18
2,53
1,56
0,75
0,75
2,87
0,91
1,12
0,60
1,63
2,77
2,36
1,01
0,54
1,12
1,51
1,34
0,93
4,48
0,91
1,13
1,68
0,21
0,74
0,73
0,42
0,75
1,33
0,90
1,21
Totale
2,01
2,18
2,65
1,62
0,77
0,75
4,13
0,93
1,12
0,63
1,65
2,96
2,62
1,22
0,62
1,20
1,87
1,57
0,93
4,49
1,09
1,12
2,01
0,21
0,80
0,73
0,42
0,75
1,20
0,91
1,52
Inail, data-base on line, 2008
34 Tabella 27. Infortuni mortali. Frequenze relative in Italia per 1000 addetti per settore di attività
economica e tipologia Inail delle aziende (media triennio 2003-2005)
Aziende Artigiane
Settori di Attività
Economica
A AGRINDUSTRIA
B PESCA
C ESTRAZ.MINERALI
DA IND. ALIMENTARE
DB IND. TESSILE
DC IND. CONCIARIA
DD IND. LEGNO
DE IND. CARTA
DF IND. PETROLIO
DG IND. CHIMICA
DH IND. GOMMA
DI IND.TRASFORMAZ.
DJ IND. METALLI
DK IND. MECCANICA
DL IND. ELETTRICA
DM IND.MEZZI TRAS.
DN ALTRE INDUSTRIE
D TOT.IND.MANIF.
E ELET. GAS ACQUA
F COSTRUZIONI
G COMMERCIO
H ALBERG. E RIST.
I TRASPORTI
J INTERM. FINANZ.
K ATT.IMMOBILIARI
L PUBBLICA AMMIN.
M ISTRUZIONE
N SANITA'
O SERV. PUBBLICI
X ATT. NON DETER.
TOTALE
Dipendenti
1,31
0,63
0,07
0,01
0,01
0,05
0,02
1,84
0,08
0,25
0,17
0,16
0,07
0,08
0,10
0,29
0,08
0,14
0,61
0,12
0,02
0,19
Autonomi
0,24
0,36
0,01
..
0,06
0,01
0,23
0,03
0,12
0,10
0,15
0,03
0,12
0,01
0,05
0,11
0,06
0,05
0,20
0,04
0,01
0,65
0,08
Totali
0,36
0,51
0,03
0,01
0,01
0,06
0,02
0,93
0,06
0,18
0,13
0,15
0,02
0,10
0,04
0,07
0,16
0,06
0,06
0,31
0,06
0,01
0,25
0,11
Aziende
non
artigiane
in
complesso
0,03
0,20
0,07
0,02
0,02
0,13
0,01
0,06
0,05
0,03
0,10
0,09
0,04
0,03
0,02
0,06
0,05
0,02
0,26
0,03
0,02
0,08
0,01
0,03
0,01
0,01
0,01
0,04
0,01
0,05
Totale
0,07
0,22
0,06
0,01
0,02
0,09
0,01
0,06
0,07
0,04
0,11
0,10
0,05
0,02
0,02
0,05
0,05
0,02
0,20
0,04
0,03
0,12
0,01
0,03
0,01
0,01
0,01
0,03
0,01
0,06
Inail, data-base on line, 2008
Per il rapporto di gravità, nelle aziende non artigiane delle costruzioni le conseguenze di un
infortunio sono più gravi rispetto a quelle artigiane. Tra queste ultime, sono i dipendenti i lavoratori
che subiscono gli infortuni più gravi (tabella 28).
35 Tabella 28. Rapporti di gravità per settore di attività economica e tipologia Inail delle aziende, per
addetto (media triennio 2003-2005)
Aziende Artigiane
Settori di Attività
Economica
A AGRINDUSTRIA
B PESCA
C ESTRAZ.MINERALI
DA IND. ALIMENTARE
DB IND. TESSILE
DC IND. CONCIARIA
DD IND. LEGNO
DE IND. CARTA
DF IND. PETROLIO
DG IND. CHIMICA
DH IND. GOMMA
DI IND.TRASFORMAZ.
DJ IND. METALLI
DK IND. MECCANICA
DL IND. ELETTRICA
DM IND.MEZZI TRAS.
DN ALTRE INDUSTRIE
D TOT.IND.MANIF.
E ELET. GAS ACQUA
F COSTRUZIONI
G COMMERCIO
H ALBERG. E RIST.
I TRASPORTI
J INTERM. FINANZ.
K ATT.IMMOBILIARI
L PUBBLICA AMMIN.
M ISTRUZIONE
N SANITA'
O SERV. PUBBLICI
X ATT. NON DETER.
TOTALE
Dipendenti
21,24
11,68
3,69
0,89
1,11
7,35
2,15
88,63
14,09
4,04
9,44
7,12
6,50
2,19
5,51
4,26
4,71
12,07
4,14
3,94
12,39
5,73
1,69
7,27
Autonomi
8,63
5,16
2,15
1,42
1,22
6,58
1,20
0,73
1,24
2,25
4,07
4,51
4,46
1,47
3,21
3,11
3,18
5,56
3,39
1,73
5,56
2,22
1,08
7,14
3,95
Totali
10,08
8,71
2,67
1,16
1,16
6,85
1,62
43,74
6,80
3,23
6,30
5,78
5,40
1,70
4,29
3,55
3,83
7,44
3,57
2,09
7,47
3,10
1,17
6,15
5,01
Aziende
non
artigiane
in
complesso
2,08
2,55
4,90
2,85
1,36
1,26
5,13
1,78
1,38
1,42
2,91
5,41
4,82
2,20
1,25
2,19
2,89
2,66
1,60
9,19
1,73
2,11
3,38
0,34
1,46
1,18
0,59
1,29
2,29
1,70
2,36
Totale
2,90
2,55
5,17
2,79
1,30
1,23
6,11
1,76
1,47
1,52
2,94
5,59
5,10
2,55
1,33
2,27
3,13
2,93
1,60
8,20
1,95
2,11
3,99
0,34
1,58
1,18
0,59
1,29
2,00
1,72
2,8
Inail, data-base on line, 2008
Analizzando i dati del 2005, osserviamo che dei 91979 infortuni indennizzati il 55,4% avviene nelle
aziende artigiane, tale distribuzione si mantiene sia per i casi di inabilità temporanea sia per quella
permanente. Per i casi mortali, invece, su 289 casi, il 52,6% avviene nelle aziende non artigiane.
La durata media dei giorni di convalescenza per infortunio è di 35 giornate, una media superiore a
quella del settore manifatturiero (27) e a quella complessiva (29).
L’indennizzo medio in euro nelle Costruzioni (riferito all’inabilità temporanea) è di 1263 euro,
superiore alla media complessiva (1160 euro), con un forte divario tra i lavoratori delle aziende
artigiane (1113 euro) e quelle non artigiane (1448), con un vantaggio economico di queste ultime
(tabella 29).
36 Tabella 29. Numero di infortuni per settore di attività economica e tipologia Inail delle aziende, per
addetto (media triennio 2003-2005)
Tipo di conseguenza
Settori di Attività
Economica
Artigiane
Non artigiane
Nel complesso
Inabilità
temporanea
Inabilità
permanente
Morte
Totale
Durata
media
in
giorni
Indennizzo
medio in
Euro
Industrie
manifatturiere
39.845
2.839
71
42.755
30
947
Costruzioni
45.985
4.471
137
50.593
36
1.113
In complesso
111.099
9.565
302
120.966
34
1.035
Industrie
manifatturiere
143.726
6.087
192
150.005
25
1.196
38.100
3.130
152
41.382
34
1.448
In complesso
414.383
21.291
710
436.384
28
1.210
Industrie
manifatturiere
183.638
8.934
263
192.835
27
1.141
84.089
7.601
289
91.979
35
1.263
540.648
31.691
1.061
573.400
29
1.160
Costruzioni
Costruzioni
In complesso
Inail, data-base on line, 2008
37 2.1.2 I rischi per le classi di età
Osservando le classi di età, il maggior numero di infortuni si concentra tra i 18 e i 34 anni (il
43,1%) e tra i 35 e i 49 anni (37,8%). Nelle costruzioni c’è una maggiore incidenza di infortuni
nella classe di età tra i 18 e i 34 anni rispetto alla media dei settori Industria, Commercio e Servizi
(che è del 40,9%) (figura 11).
Figura 11. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2005, distribuzione percentuale
per classi di età (ogni settore=100%)
50,0
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
43,1
40,9
41,1
37,8
16,7 17,0
0,6 1,1
0,6 0,9
Industria, Commercio, Servizi
0,1 0,0
Costruzioni
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
Se osserviamo la distribuzione degli infortuni per ogni classe di età, osserviamo che con
l’aumentare dell’età aumenta la gravità dell’infortunio subito: nelle costruzioni le inabilità
permanenti sono il 5,4% degli infortuni subiti dai lavoratori tra i 18 e i 34 anni, mentre raggiungono
il 13,3% per i lavoratori tra i 50 e i 64 anni, e arrivano al 17,4% per chi ha più di 64 anni. Lo stesso
avviene per le morti, per cui sono lo 0,3% dei casi indennizzati ai lavoratori tra i 18 e i 34 anni, e
raggiungono l’1,3% dei casi per chi ha più di 64 anni.
Un andamento simile si registra anche nel complesso dei settori riferibili a Industria, Commercio e
Servizi, ma per le costruzioni il rapporto tra aumento dell’età aumento della gravità dell’infortunio è
molto più forte (tabella 30).
38 Tabella 30. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2005, distribuzione percentuale
per classi di età (ogni classe di età= 100%)
Tipo di conseguenza
Settore
Classe di Età
Totale
Inabilità
Inabilità
Morte
temporanea permanente
Fino a 17
96,3
3,5
0,2
100,0
18 - 34
94,3
5,4
0,3
100,0
35 - 49
90,6
9,1
0,3
100,0
Costruzioni
50 - 64
86,2
13,3
0,5
100,0
Oltre 64
81,2
17,4
1,3
100,0
Non determinata
76,3
18,4
5,3
100,0
In complesso
91,4
8,3
0,3
100,0
Fino a 17
96,3
3,5
18 - 34
96,2
3,7
35 - 49
94,1
5,7
Industria, Commercio, Servizi 50 - 64
90,5
9,2
Oltre 64
82,6
16,8
Non determinata
82,1
17,4
In complesso
94,3
5,5
Elaborazioni Ires su:, data-base on line, 2008
0,2
0,2
0,2
0,3
0,6
0,5
0,2
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
39 2.1.3 I rischi per il contesto regionale
Le regioni nelle quali si concentra il maggior numero di infortuni nelle costruzioni sono la
Lombardia (il 17,4%), il Veneto (11,3%), l’Emilia Romagna (12,4%) e la Toscana (9,4%), che da
sole raccolgono il 50,4% degli infortuni totali in questo settore (tabella 31).
Tabella 31. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2006, distribuzione percentuale
regione, Costruzioni e Industria, Commercio, Servizi
Costruzioni
Regioni
PIEMONTE
VALLE D'AOSTA
LOMBARDIA
LIGURIA
TRENTINO ALTO ADIGE
VENETO
FRIULI V. G.
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
ABRUZZO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
SICILIA
SARDEGNA
ITALIA
NORD-OVEST
NORD-EST
CENTRO
SUD
ISOLE
Industria, Commercio, Servizi
Tipo di conseguenza
Inabilità
Inabilità
temporanea
permanente
6,9
6,3
0,5
0,3
17,6
15,8
3,7
3,4
4,2
3,1
11,6
8,6
2,9
2,4
12,6
9,7
9,4
9,4
2,7
2,7
4,0
3,8
4,6
6,2
2,9
2,9
0,6
0,7
2,6
5,6
4,3
4,8
0,7
1,3
1,7
3,1
3,9
6,7
2,7
3,4
Morte
Totale
8,3
0,6
18,1
2,9
2,9
7,9
3,2
9,5
6,3
1,3
2,9
7,0
2,9
0,3
4,8
6,3
1,3
3,2
7,3
3,2
6,8
0,4
17,4
3,7
4,1
11,3
2,8
12,4
9,4
2,7
3,9
4,8
2,9
0,6
2,9
4,4
0,8
1,8
4,1
2,8
Tipo di conseguenza
Inabilità
Inabilità
Morte
temporanea
permanente
8,0
6,3
7,8
0,3
0,3
0,4
19,2
16,2
18,8
3,4
3,5
2,8
2,6
2,3
1,9
11,6
9,6
8,8
3,0
2,5
2,4
13,4
11,2
9,4
8,2
9,8
7,1
2,1
2,5
1,7
3,6
3,5
2,7
6,2
7,3
7,7
2,6
2,6
3,0
0,4
0,5
0,5
3,2
5,0
5,6
4,4
4,2
6,7
0,7
1,0
0,5
1,5
2,7
2,7
3,7
6,2
6,9
2,0
2,9
2,6
Totale
7,9
0,3
19,0
3,4
2,6
11,5
3,0
13,3
8,3
2,1
3,6
6,2
2,6
0,4
3,3
4,4
0,7
1,5
3,8
2,1
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
28,6
31,3
20,7
12,8
6,6
25,7
23,8
22,0
18,4
10,1
29,8
23,5
17,5
18,7
10,5
28,4
30,6
20,8
13,3
6,9
30,9
30,6
20,1
12,7
5,7
26,3
25,6
23,1
16,0
9,1
29,8
22,4
19,2
19,1
9,5
30,6
30,4
20,2
12,9
5,9
Inail, data-base on line, 2008
40 Se confrontiamo la distribuzione per regione degli infortuni secondo la gravità delle conseguenze,
osserviamo delle peculiarità che lasciano spazio a molte riflessioni (tabella 32).
In Lombardia ed Emilia Romagna si concentrano la maggior parte degli infortuni,
indipendentemente dal tipo di conseguenza che essi hanno, così come in Valle D’Aosta, in Molise e
in Basilicata se ne concentrano pochi.
In alcune regioni, invece, emerge una differente concentrazione tra gli infortuni che provocano
inabilità temporanea, e quelli che hanno conseguenze più gravi.
Ad esempio, in Sicilia si registra il 3,9% degli infortuni con inabilità temporanea (10 posizione), di
quelli mortali in questa regione ne accadono il 7,3% (5 posizione), di quelli con invalidità
permanente il 6,7% (5 posizione).
In Calabria si registra l’1,7% degli infortuni con inabilità temporanea (17 posizione), ma di quelli
mortali in questa regione ne accadono il 3,2% (11 posizione), di quelli con invalidità permanente il
3,1% (14 posizione).
In Sardegna si registra il 2,7% degli infortuni con inabilità temporanea (14 posizione), ma di quelli
mortali in questa regione ne accadono il 3,2% (10 posizione), di quelli con invalidità permanente il
3,4% (11 posizione).
In Campania si registra il 2,6% degli infortuni con inabilità temporanea (16 posizione), ma di quelli
mortali in questa regione ne accadono il 4,8% (9 posizione), di quelli con invalidità permanente il
5,6% (8 posizione).
In Veneto, Toscana, Piemonte, Lazio e Puglia la concentrazione di infortuni è abbastanza elevata e
la distribuzione per tipo di conseguenza più congruente.
La forte incongruenza che caratterizza regioni come la Sicilia, la Campania, la Calabria e la
Sardegna, deve fare riflettere sulle possibili cause, che, in ipotesi, sono da riferire al vasto fenomeno
della sottodenuncia, ovvero alla mancata denuncia dell’infortunio. Mentre un infortunio può non
essere denunciato - per una posizione di assoggettamento in cui grava il lavoratore rispetto al datore
di lavoro - la morte per infortunio e gli infortuni più gravi, come quelli che provocano un’inabilità
permanente, sono più difficili da occultare. Il fatto che per alcune regioni si registri una
concentrazione d’infortuni bassa rispetto alla distribuzione dei morti e delle invalidità permanenti,
segnala la possibile presenza di una difficoltà nell’emersione delle denunce, e dunque una
conseguente sottostima del fenomeno infortunistico.
41 Tabella 32. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2006, Costruzioni, graduatoria
per concentramento degli infortuni secondo la gravità delle conseguenze.
Graduatoria
Inabilità temporanea
Inabilità permanente
Morte
Totale
1
LOMBARDIA
LOMBARDIA
LOMBARDIA
LOMBARDIA
2
EMILIA ROMAGNA
EMILIA ROMAGNA
EMILIA ROMAGNA
EMILIA ROMAGNA
3
VENETO
TOSCANA
PIEMONTE
VENETO
4
TOSCANA
VENETO
VENETO
TOSCANA
5
PIEMONTE
SICILIA
SICILIA
PIEMONTE
6
LAZIO
PIEMONTE
LAZIO
LAZIO
7
PUGLIA
LAZIO
TOSCANA
PUGLIA
8
TRENTINO A. ADIGE
CAMPANIA
PUGLIA
SICILIA
9
MARCHE
PUGLIA
CAMPANIA
TRENTINO A. ADIGE
10
SICILIA
MARCHE
SARDEGNA
MARCHE
11
LIGURIA
SARDEGNA
CALABRIA
LIGURIA
12
ABRUZZO
LIGURIA
FRIULI V. G.
CAMPANIA
13
FRIULI V. G.
TRENTINO A. ADIGE
MARCHE
ABRUZZO
14
SARDEGNA
CALABRIA
LIGURIA
FRIULI V. G.
15
UMBRIA
ABRUZZO
TRENTINO A. ADIGE
SARDEGNA
16
CAMPANIA
UMBRIA
ABRUZZO
UMBRIA
17
CALABRIA
FRIULI V. G.
UMBRIA
CALABRIA
18
BASILICATA
BASILICATA
BASILICATA
BASILICATA
19
MOLISE
MOLISE
VALLE D'AOSTA
MOLISE
20
VALLE D'AOSTA
VALLE D'AOSTA
MOLISE
VALLE D'AOSTA
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
42 Osservando la durata media dei giorni, nel sud avvengono gli infortuni più gravi, con una assenza
dal lavoro di circa 40 giorni di media, contro i 34 del Centro Italia e del Nord-Ovest, e i 30 del
Nord-Est.
Dal punto di vista economico, gli indennizzi più elevati sono al Sud (1442 euro), seguono il NordOvest (1273), il Centro (1209), il Nord-Est (1137) (tabella 33).
Tabella 33. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2006, Costruzioni, graduatoria
per regioni secondo la durata media dei giorni e l’indennizzo medio
DURATA
INDENNIZZO
REGIONI
MEDIA
REGIONI
MEDIO
(GIORNI)
IN EURO
BASILICATA
47
BASILICATA
1.704
CALABRIA
46
SICILIA
1.688
SICILIA
46
CAMPANIA
1.686
CAMPANIA
44
CALABRIA
1.678
SARDEGNA
43
SARDEGNA
1.589
LAZIO
39
LAZIO
1.415
PUGLIA
37
FRIULI V. G.
1.365
ABRUZZO
36
PUGLIA
1.283
FRIULI V. G.
35
LOMBARDIA
1.281
PIEMONTE
34
ABRUZZO
1.273
LOMBARDIA
34
LIGURIA
1.269
LIGURIA
34
PIEMONTE
1.268
MARCHE
34
ITALIA
1.266
MOLISE
34
MOLISE
1.169
ITALIA
34
TOSCANA
1.164
TOSCANA
33
EMILIA ROMAGNA
1.153
UMBRIA
32
MARCHE
1.145
EMILIA ROMAGNA
31
UMBRIA
1.095
VENETO
29
TRENTINO ALTO ADIGE
1.087
VALLE D'AOSTA
28
VALLE D'AOSTA
1.084
TRENTINO ALTO ADIGE
26
VENETO
1.081
NORD-OVEST
NORD-EST
CENTRO
SUD
34
NORD-OVEST
30
NORD-EST
34
CENTRO
40
SUD
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
1.273
1.137
1.209
1.442
43 2.2 La forma di avvenimento e l’agente materiale
Osservando la forma di avvenimento, il maggior numero di infortuni avviene perché il lavoratore è
stato “colpito da qualcosa” (12,3% dei casi), è “caduto, in piano, su qualcosa” (9,1%), “ha urtato
contro qualcosa” (9,1%), “si è colpito con qualcosa” (5,3%), è “caduto dall’alto” (4,2%), o “è stato
schiacciato da qualcosa” (3,1%) (tabella 34).
Tabella 34. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2005, Costruzioni, graduatoria
per forma di avvenimento.
Forme di Avvenimento
Tipo di conseguenza
Inabilità temporanea
Inabilità permanente
Morte
Totale
% sul complesso
10710
576
13
11299
12,3
CADUTO, IN PIANO, SU...
7362
1012
23
8397
9,1
HA URTATO CONTRO...
7809
540
16
8365
9,1
SI E' COLPITO CON...
4524
376
8
4908
5,3
CADUTO DALL'ALTO...
2951
842
26
3819
4,2
SCHIACCIATO DA...
2652
149
20
2821
3,1
PIEDE IN FALLO
2481
126
2607
2,8
A CONTATTO CON...
1861
79
11
1951
2,1
URTATO DA...
1795
118
5
1918
2,1
SOLLEV. CON SFORZO
1823
58
1881
2,0
INVESTITO DA...
1692
154
19
1865
2,0
INCIDENTE ALLA GUIDA...
1451
97
8
1556
1,7
MOVIMENTO INCOORDIN.
1445
56
-
1501
1,6
SOLLEV. SENZA SFORZO
760
27
-
787
0,9
AFFERRATO DA...
473
54
535
0,6
RIMASTO INCASTRATO...
407
26
-
433
0,5
SI E' PUNTO CON...
206
12
-
218
0,2
IMPIGLIATO/AGGANCIATO
154
39
-
HA INALATO...
122
8
ESPOSTO A...
95
6
HA CALPESTATO...
83
3
MORSO DA...
52
-
PUNTO DA...
43
-
INCIDENTE A BORDO DI...
31
COLPITO DA...
8
193
0,2
131
0,1
-
101
0,1
-
86
0,1
53
0,1
43
0,0
39
0,0
1
7
24
SOMMERSO DA...
24
HA INGERITO...
21
2
CADUTO IN PROFONDITA'...
17
5
33021
3224
84089
7601
IN COMPLESSO
-
1
TRAVOLTO DA...
NON DETERMINATA
-
1
5
-
3
32
0,0
1
25
0,0
1
24
0,0
22
0,0
124
36369
39,5
289
91979
100,0
-
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
44 Gli infortuni più gravi sono quelli dovuti a una caduta, “dall’alto” (61 giornate in media di assenza
dal lavoro) o “in profondità” (56 giornate), seguiti da quelli in cui il lavoratore si è “impigliato o
agganciato” (48 giornate), è stato “travolto” (43), è “caduto in piano” (42), è stato “investito” (40).
Gli indennizzi più elevati si hanno in seguito alle cadute (tabella 35).
Tabella 35. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2005, Costruzioni, graduatoria
per durata media in giorni, con relativo indennizzo medio in euro.
Durata
media Indennizzo
in
medio in
giorni
Euro
CADUTO DALL'ALTO...
61
2132
CADUTO IN PROFONDITA'...
56
2191
IMPIGLIATO/AGGANCIATO...
48
1753
TRAVOLTO DA...
43
1544
CADUTO, IN PIANO, SU...
42
1543
INVESTITO DA...
40
1440
INCIDENTE A BORDO DI...
39
1343
INCIDENTE ALLA GUIDA...
37
1281
AFFERRATO DA...
37
1399
RIMASTO INCASTRATO...
33
1180
HA INGERITO...
33
1027
SI E' COLPITO CON...
32
1160
SCHIACCIATO DA...
32
1205
PIEDE IN FALLO
31
1140
MOVIM. INCOORDINATO
31
1116
HA INALATO...
31
1200
HA URTATO CONTRO...
30
1071
URTATO DA...
29
1089
ESPOSTO A...
27
1030
COLPITO DA...
25
922
SOLLEVANDO CON SFORZO
24
822
SOLLEV. SENZA SFORZO
24
904
SI E' PUNTO CON...
24
847
SOMMERSO DA...
22
766
A CONTATTO CON...
17
639
HA CALPESTATO...
13
450
PUNTO DA...
10
354
MORSO DA...
9
271
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
45 Il maggior numero di infortuni avviene a causa di fattori propri dell’ambiente di lavoro (il 22,9%),
o per l’utilizzo di materiali e sostanze (12,6%).
Gli infortuni mortali sono provocati da fattori propri dell’ambiente di lavoro (69 casi) o dai mezzi di
sollevamento o di trasporto (48) (tabella 36).
Tabella 36. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2005, Costruzioni, graduatoria
per gruppo di agente materiale
% sul
Gruppi di Agente Materiale
Tipo di conseguenza
complesso
Totale
Inabilità
Inabilità
Morte
temporanea
permanente
AMBIENTE DI LAVORO
18349
2610
69
21028
22,9
MATERIALI, SOSTANZE,..
11154
400
8
11562
12,6
ATTREZZI, UTENSILI, ..
6065
277
11
6353
6,9
MEZ. SOLLEV. E TRASP.
5730
525
48
6303
6,9
MACCHINE
4247
355
9
4611
5,0
PARTI MECCANICHE, ...
2404
121
7
2532
2,8
IMP. DI DISTRIBUZIONE
1291
49
6
1346
1,5
SERBATOI, CONTENITORI
607
30
1
638
0,7
PERSONE, ANIMALI, ....
417
21
2
440
0,5
NON DETERMINATO
33825
3213
128
37166
40,4
0,0
IN COMPLESSO
84089
7601
289
91979
100,0
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
Se approfondiamo l’analisi per lo specifico agente materiale dell’infortunio, osserviamo come le
superfici di transito, i mezzi di trasporto e i materiali solidi siano gli agenti più frequenti e
pericolosi. Le scale e le passerelle, seppure non hanno una forte incidenza nel determinare infortuni
mortali, sono causa frequente di inabilità permanenti.
Le attrezzature hanno un alto rischio di provocare infortuni mortali (tabella 37).
46 Tabella 37. Infortuni indennizzati al 31 ottobre 2007 e denunciati nel 2005, Costruzioni, graduatoria
per specifico agente materiale e
Posizione Inabilità temporanea Inabilità permanente
Morte
Totale
SUPERFICI
DI SUPERFICI
DI SUPERFICI
DI SUPERFICI
DI
1 TRANSITO
TRANSITO
TRANSITO
TRANSITO
MEZZI TRASPORTO MEZZI TRASPORTO
2 MATERIALI SOLIDI TERR.
TERR.
MATERIALI SOLIDI
MEZZI TRASPORTO SCALE
E
MEZZI TRASPORTO
3 TERR.
PASSERELLE
ATTREZZATURE
TERR.
PARTI
SCALE
E
4 MECCANICHE
MATERIALI SOLIDI MATERIALI SOLIDI PASSERELLE
MACCHINE
MACCHINE
PARTI
PARTI
5 UTENSILI
UTENSILI
MECCANICHE
MECCANICHE
SCALE
E
MACCHINE
MACCHINE
6 PASSERELLE
ATTREZZATURE
OPERATRICI
UTENSILI
MACCHINE
7 ATTREZZATURE
OPERATRICI
PARTI DI EDIFICI
ATTREZZATURE
IMP.
8 ATTREZZI
PARTI DI EDIFICI
DIS.ELETTRICITA'
ATTREZZI
FRAMMENTI,
PARTI
SCALE
E FRAMMENTI,
9 SCHEGGE
MECCANICHE
PASSERELLE
SCHEGGE
FRAMMENTI,
MACCHINE
10 UTENSILI
SCHEGGE
INFISSI
OPERATRICI
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
47 2.3 L’andamento infortunistico nel settore delle costruzioni: le denunce e gli indennizzi
Nel 2005 nel solo settore industriale si concentra il 36,0% degli infortuni denunciati e il 47,7% degli
infortuni definiti con un indennizzo.
Nel settore delle costruzioni, si concentra l’11,3% delle denunce totali (più di un lavoratore su
dieci), e il 31,4% delle denunce della sola Industria (quasi un lavoratore su tre); i casi definiti con
indennizzo nelle costruzioni rappresentano il 14,3% degli indennizzi totali, e il 31,2% degli
indennizzi della sola Industria.
L’86,2% dei casi denunciati nelle costruzioni si risolve con un indennizzo, valore in linea con la
media Industria (86,7%), e più elevato della media complessiva Industria e Servizi (67,0%).
Negli ultimi cinque anni il numero di denunce nelle costruzioni è andato aumentando: tra il 2000 e
il 2004 gli infortuni denunciati sono aumentati del 7,6%, un dato in controtendenza rispetto la
media complessiva di Industria e Servizi, che nello stesso periodo ha registrato una diminuzione
complessiva del 7,8%.
Tra il 2004 e il 2006 si registra un primo calo nelle denunce: per Industria e Servizi prosegue la
diminuzione del numero d’infortuni, con un meno 2,8% tra il 2004 e il 2005, e un meno 1,0% tra il
2005 e il 2006; per le Costruzioni si registra un meno 3,9% tra il 2004 e il 2005, e un meno 1,9% tra
il 2005 e il 2006 (tabella 38; figura 12). Dunque, sembra che negli ultimi due anni gli infortuni nel
comparto edile stiano invertendo la loro tragica tendenza. Questa inversione di tendenza nel settore
delle Costruzioni ha portato a maturare un recupero rispetto al boom infortunistico dei primi anni
del duemila, anche se il numero di infortuni è ancora molto elevato rispetto agli altri settori.
Tabella 38. Numero di infortuni denunciati e indennizzati nelle Costruzioni, 2002-2006 (al 31-10-2007)
Indennizzi
al 31-10Denunce
08
2002
106057
92.951
2003
110529
96.050
2004
110639
96.225
2005
106372
91.979
2006
104376
89.795
Inail, data-base on line, 2008
48 Figura 12. Numero di infortuni denunciati per Industria-Servizi e Costruzioni, 2000-2006 (2000=100)
110,0
105,0
100,0
95,0
Industria e Servizi
Costruzioni
90,0
85,0
80,0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
Se confrontiamo l’andamento delle denunce con quello degli indennizzi definiti entro l’anno
successivo all’avvenimento, osserviamo delle criticità maggiori per le costruzioni, rispetto a quelle
che caratterizzano l’intero comparto Industria e Servizi (capitolo 1). Tra il 2000 e il 2002 il numero
delle denunce aumenta notevolmente, mentre quello degli indennizzi ha un andamento opposto; dal
2003 gli indennizzi aumentano, conseguentemente al costante aumento del numero di denunce, ma
con un’intensità inferiore a quest’ultime; negli ultimi anni il numero di denunce decresce e così
anche quello degli indennizzi entro un anno, ma senza recuperare il forte divario maturato negli
ultimi anni (figure 13; 14).
Figura 13. Numero di infortuni denunciati e infortuni indennizzati, entro il 31 Dicembre dell’anno
successivo - Costruzioni, 2000-2005
115000
110000
105000
100000
denunce
indennizzi
95000
90000
85000
2000
2001
2002
2003
2004
2005
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
49 Figura 14. Infortuni denunciati e infortuni indennizzati, entro il 31 Dicembre dell’anno successivo,
variazione percentuale rispetto l’anno precedente - Costruzioni, 2000-2005
5,0
4,0
3,0
2,0
1,0
denunce
0,0
‐1,0
2001
2002
2003
2004
2005
indennizzi
‐2,0
‐3,0
‐4,0
‐5,0
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
Per l’analisi approfondita dello scarto temporale tra la denunce e le definizioni di indennizzo,
utilizziamo i dati provenienti dai Rapporti Inail e dal data-base on line. Degli infortuni denunciati
nel 2003, 650 casi trovano una definizione dopo il 30 Aprile dell’anno successivo all’infortunio.
Degli infortuni denunciati nel 2004, 661 casi trovano una definizione dopo il 30 Aprile dell’anno
successivo all’infortunio. Degli infortuni denunciati nel 2005, 209 casi trovano una definizione
dopo il 30 Aprile dell’anno successivo all’infortunio (tabella 39).
Tabella 39. Infortuni mortali indennizzati per classi temporali - Costruzioni – 2002-2006
Indennizzi
Denunce
al 30 04 05 al 30 04 06 al 30 04 07 al 30 10 2008
2003
110529
95.400
96.050
n.d.
n.d.
2004
110639
95.564
96.225
n.d.
n.d.
2005
106372
91.770
91.979
n.d.
n.d.
2006
104376
89.795
n.d.
n.d.
n.d.
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007; Inail, data-base on line, 2008
50 La durata media dei giorni di convalescenza per infortunio (valore correlato alla gravità degli
incidenti) è più elevata nel settore delle Costruzioni rispetto alla media complessiva e anche a quella
della sola industria manifatturiera. Le giornate sono aumentate nel corso della prima metà del
duemila, fino ad arrivare a una media di 35 giornate, per poi diminuire tra il 2005 e il 2006, in linea
con l’andamento degli altri settori dell’industria manifatturiera, ma non con quello degli infortuni
nel complesso, che ha un andamento stabile tra le 28 e le 29 giornate (figura 15).
Figura 15. Infortuni sul lavoro denunciati dalle aziende e indennizzati a tutto il 31-10-2007, durata
media in giorni.
36
34
34
33
32
35
34
34
30
28
28
29
28
26
25
24
29
Costruzioni
27
26
25
29
Industria manifatturiera
26
Nel complesso
22
20
2002
2003
2004
Elaborazioni
2005
2006
Ires su: Inail, data-base on line, 2008
L’indennizzo medio (riferito all’inabilità temporanea) nelle Costruzioni è gradualmente aumentato
tra il 2002 e il 2005, per poi stabilizzarsi nel 2006 intorno ai 1266 euro, con un andamento simile a
quello dei settori manifatturieri, che comunque registrano valori più bassi (figura 16).
Figura 16. Infortuni sul lavoro denunciati dalle aziende e indennizzati a tutto il 31-10-2007, indennizzo
medio in euro.
1300
1263
1266
1250
1208
1200
1100
1050
1000
1160
1155
1150
1122
1175
1109
Costruzioni
1026
950
Industria manifatturiera
Nel complesso
945
900
2002
2003
2004
2005
2006
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
51 2.4 Gli infortuni mortali
Nel 2004, su 311 denunce di infortuni mortali, 248 casi sono indennizzati (dunque “con superstiti)
entro l’anno successivo all’accadimento: una percentuale pari al 79,7%, che è superiore a quella del
complesso industria e servizi (70,9%) (tabella 40).
Tabella 40. Infortuni mortali definiti entro l’anno successivo sui casi denunciati nel 2001-2005.
Denunce
Infortuni definiti
di
infortuni
mortali
(=100%)
Con superstiti
Senza superstiti
% su
Val. Ass.
Val. Ass.
Val. Ass.
denunce
2001
332
259
64
78,0
2002
321
248
51
77,3
2003
344
294
5
85,5
2004
311
248
51
79,7
2005
284
222
60
78,2
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
Tra gli infortuni mortali riconosciuti, nel 2004, l’82,9% dei casi è “con superstiti”, il restante 21,3%
è “senza superstiti”, e questa distribuzione è mediamente stabile nel corso degli anni. L’incidenza
degli infortuni mortali “con superstiti” per le costruzioni è superiore rispetto alla media di tutti i
settori di Industria e Servizi (che è del 76,6% nel 2004) (tabella 41).
Tabella 41. Infortuni mortali definiti entro l’anno successivo sui casi denunciati nel 2001-2005.
Totale infortuni
Con superstiti Senza superstiti mortali definiti
2001
80,2
19,8
100,0
2002
82,9
17,1
100,0
2003
98,3
1,7
100,0
2004
82,9
17,1
100,0
2005
78,7
21,3
100,0
Elaborazioni Ires su: Inail, Serie storiche, 2008
Per approfondire l’analisi del tempo trascorso tra la denuncia e l’indennizzo, possiamo prendere a
riferimento i dati forniti nei Rapporti Annuali Inail del 2005 e del 2006 e la banca dati statistica
Inail, per una analisi comparativa che comunque restituisce solamente informazioni sui ritardi più
gravi, non consentendo di raccogliere informazioni statisticamente utili riguardo agli indennizzi
avvenuti entro un anno e quattro mesi. Nel 2003, 6 infortuni mortali hanno impiegato almeno più di
un anno e quattro mesi per essere indennizzati. Il 2004, come per il complesso Industria e Servizi, si
52 dimostra essere un anno in cui le pratiche si sono risolte in tempi mediamente più brevi. Nel 2005, 9
infortuni hanno impiegato almeno più di un anno e quattro mesi per essere indennizzati. Il 2006,
seppure i dati non siano ancora definitivi, mostra un andamento migliore nei tempi di definizione:
su 318 denunce 315 casi sono stati definiti con indennizzo entro il 31 ottobre 2007 (tabella 42).
Tabella 42. Infortuni mortali indennizzati per classi temporali - Costruzioni – 2002-2006
Indennizzi
Denunce al 30-04- al 30-04- al 30-04- al 31-1005
06
07
07
2002
321
305
n.d.
n.d.
n.d.
2003
344
331
2004
311
n.d.
n.d.
295
n.d.
n.d.
337
295
2005
284
280
289
n.d.
n.d.
2006
318
n.d.
315
n.d.
n.d.
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007; Inail, data-base on line, 2008
2.5 I lavoratori stranieri
Gli infortuni ai lavoratori stranieri seguono una tendenza opposta al dato nazionale, segnando, nel 2006, un
aumento del 3,75% rispetto all’anno precedente, contro una diminuzione dell’1,27% degli infortuni nel
complesso17.
Nel macro-settore “industria e servizi” la differente tendenza dei lavoratori non comunitari dagli altri è
ancora più evidente, difatti mentre per i primi il numero d’infortuni aumenta del 4,0%, per gli italiani e i
comunitari il calo è del 2,6% (figura 17). L’aumento del numero d’infortuni ai danni dei non comunitari pesa
soprattutto su alcuni specifici settori, in particolare rispetto al 2005 abbiamo 866 infortuni in più
nell’Industria dei metalli; 916 infortuni in più nei Trasporti e Comunicazioni; 749 infortuni in più nelle
attività immobiliari e nei servizi alle imprese. Nelle Costruzioni l’aumento di denunce tra il 2005 e il 2006 è
del 2,7% (505 casi in più).
17
Cfr. Bottazzi M. (2007), “Sicurezza nei luoghi di lavoro”, in AA.VV., Immigrazione e contrattazione, Ediesse, Roma,
pp. 39-46; Di Nunzio D., “Salute, sicurezza e cultura del lavoro per i lavoratori stranieri”, in Megale A., Mottura G.,
Galossi E., Immigrazione e sindacato. Discriminazione, precarietà, sicurezza, Roma, Ediesse, 2008, pp. 217-248.
53 Figura 17. Infortuni occorsi a lavoratori non comunitari, 2001-2006 (val. as.)
120.000
100.000
80.000
60.000
Industria e Servizi
40.000
Costruzioni
20.000
0
2001 2002 2003 2004 2005 2006
Elaborazioni
Ires su: Rapporto Inail, 2005-2006-2007; Inail, data-base on line, 2008
Bisogna considerare però che il tasso di sottodenuncia per i migranti è molto elevato.
Nel 2006 gli infortuni mortali occorsi ai lavoratori stranieri sono stati 162 (il 12,4% del totale). Il
confronto della distribuzione degli infortuni e dei casi mortali per settore mostra che i livelli di
sottodenuncia degli infortuni possono essere, in ipotesi, davvero elevati per alcuni specifici settori,
in particolare, proprio per quelli in cui le condizioni di lavoro sono le più difficili.
Mentre un infortunio può non essere denunciato – soprattutto quando non è troppo grave - la morte
di un lavoratore è quasi impossibile che non venga registrata e dunque, come nel caso delle regioni,
il fatto che per alcuni settori si registri una concentrazione d’infortuni bassa rispetto alla
distribuzione dei morti è un campanello di allarme che segnala una possibile difficoltà
nell’emersione delle denunce e una relativa sottostima del fenomeno infortunistico. Nelle
costruzioni questo fenomeno è molto evidente, difatti in questo settore si concentra il 16,4% degli
infortuni e ben il 33,3% delle morti (tabella 43). 54 Tabella 43. Infortuni occorsi a lavoratori non comunitari, 2006 (val. %)
Casi
Infortuni
Mortali
3,8
9,2
Agricoltura
Industria e Servizi
di cui
Industria dei metalli
Costruzioni
Alberghi e ristoranti
Trasporti e Comunicazioni
Servizi alle imprese e pulizie
95,8
90,8
10,4
16,4
4,2
8,4
6,8
6,4
33,3
1,4
14,2
9,9
0,4
0
Dipendenti conto stato
100
100
Totale
Elaborazioni Ires su: Inail, data-base on line, 2008
In generale la percentuale di indennizzi riconosciuti sul totale delle denunce effettuate è
leggermente più bassa per i lavoratori non comunitari, rispetto a quella dei lavoratori italiani e
comunitari: per i primi è stato indennizzato il 64,5% degli infortuni denunciati nel 2005, contro il
68,9% dei non extracomunitari. Per alcuni settori la differenza è anche maggiore, come ad esempio
nell’industria tessile e dell’abbigliamento (80,7% di indennizzi sul totale delle denunce per i
lavoratori non comunitari; 98,2% per gli italiani e i comunitari), l’industria dell’estrazione (83,8%
contro 97,7%), l’industria alimentare (84,8% contro 95,4%), l’industria del legno (86,7% contro
94,7%), le costruzioni (82,8% contro 89,5%) (tabella 44).
55 Tabella 44. Infortuni a lavoratori stranieri – 2005, Industria e Servizi, al 30 Aprile 2007.
Settore
Non comunitari
Italiani e comunitari
% indennizzi su
denunce
Italiani e
Stranieri
comunitari
Denunce
Indennizzi
Denunce
Indennizzi
372
312
4290
3409
83,9
79,5
5
5
395
433
100,0
109,6
179
150
1547
1512
83,8
97,7
Industria alimentare
2434
2065
16180
15441
84,8
95,4
Industria tessile e abbigliamento
1388
1120
8606
8449
80,7
98,2
855
707
2948
2552
82,7
86,6
Industria del legno
1497
1298
8520
8072
86,7
94,7
Industria della carta
799
682
8401
7374
85,4
87,8
Industria del petrolio
17
13
368
320
76,5
87,0
482
402
5594
4986
83,4
89,1
Industria della gomma e plastica
2029
1712
9232
8255
84,4
89,4
Industria lav. minerali non metalliferi
2597
2238
12942
12029
86,2
92,9
Industria dei metalli
11261
9607
47719
42485
85,3
89,0
Industria meccanica
3651
3064
26865
23740
83,9
88,4
Industria macchine elettriche
1005
842
10480
8818
83,8
84,1
Industria fabbricazione mezzi di trasporto
1735
1438
14822
12292
82,9
82,9
Altre industrie
2055
1713
11211
10025
83,4
89,4
31805
26901
183888
164838
84,6
89,6
93
81
4998
4531
87,1
90,7
Costruzioni
18552
15363
85342
76407
82,8
89,5
Industria
51006
42812
280460
251130
83,9
89,5
Totale commercio
4723
3859
72045
62003
81,7
86,1
Alberghi e ristoranti
4863
3896
27562
24014
80,1
87,1
Trasporti e comunicazioni
8855
7312
60985
53046
82,6
87,0
115
86
6820
4360
74,8
63,9
7164
5755
47223
35089
80,3
74,3
Pubblica Amministrazione
424
304
26240
20234
71,7
77,1
Istruzione
427
187
5984
2372
43,8
39,6
Sanità e servizi sociali
2634
1975
32541
23659
75,0
72,7
Altri servizi pubblici
1775
1417
28763
23285
79,8
81,0
Personale domestico
1514
1155
1253
844
76,3
67,4
32494
25946
309416
248906
79,8
80,4
23590
336
139400
2565
1,4
1,8
107090
69094
729276
502601
64,5
68,9
Agrindustria
Pesca
Estrazione di minerali
Industria del cuoio, pelle e similari
Industria chimica
Totale Industrie manifatturiere
Elettricità, gas, acqua
Intermediazione finanziaria
Attività immobiliari e servizi alle imprese
(N.B.)
SERVIZI
Non determinato (*)
Industria e Servizi
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
56 Nel 2006 gli indennizzi per i lavoratori migranti sono 74.130, in aumento rispetto l’anno precedente
del 2,0%, in relazione all’aumento del numero di infortuni denunciati (tabella 45).
Tabella 45. Indennizzi per lavoratori non comunitari e italiani e comunitari– 2005, Industria e Servizi,
30 Aprile 2007.
Permanente
Temporanea
Totale
Morte
Totale
in
in
capitale rendita
2004
554853
27018
6472
33490
1085 589428
Italiani e
2005
536450
26829
6215
33044
1054 570548
comunitari
2006
522117
20359
3841
24200
1063 547380
Non comunitari
2004
2005
2006
72483
2746
754
3500
69253
2572
698
3270
71416
2142
443
2585
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
160
138
129
76143
72661
74130
Le indennità temporanee spettanti ai lavoratori migranti rappresentano l’11,6% del totale delle
indennità temporanee nel 2004, e il 12,0% nel 2006, dunque l’incidenza delle indennità temporanee
riconosciute agli stranieri, sul totale delle indennità temporanee riconosciute, è in aumento.
Le indennità permanenti riconosciute a lavoratori stranieri sono circa il 10% del totale, e la loro
incidenza è più stabile (tabella 46).
Tabella 46 . Indennizzi per lavoratori non comunitari– 2005, Industria e Servizi, 30 Aprile 2007,
percentuale sul totale
Permanente
Temporanea
Totale
Morte
Totale
in
in
capitale rendita
2004
11,6
9,2
10,4
9,5
12,9
11,4
2005
11,4
8,7
10,1
9,0
11,6
11,3
2006
12,0
9,5
10,3
9,7
10,8
11,9
Lavoratori nel
complesso
100,0
100,0
100,0
100,0
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
100,0
100,0
57 Se confrontiamo i casi definiti per i lavoratori non comunitari con quelli dei lavoratori italiani e
comunitari, osserviamo che per i primi le indennità temporanee hanno un’incidenza maggiore sul
totale dei casi indennizzati, mentre è minore l’incidenza di casi d’indennità per inabilità
permanente, sia in capitale che in rendita (tabella 47).
Tabella 47. Indennizzi per lavoratori non comunitari e italiani e comunitari– 2005, Industria e Servizi,
30 Aprile 2007 (val. %).
Permanente
Temporanea
Totale
Morte
Totale
in
in
capitale rendita
2004
94,13
4,58
1,10
5,68
0,18
100,00
Italiani e
2005
94,02
4,70
1,09
5,79
0,18
100,00
comunitari
2006
95,38
3,72
0,70
4,42
0,19
100,00
Non comunitari
2004
2005
2006
95,19
3,61
0,99
4,60
95,31
3,54
0,96
4,50
96,34
2,89
0,60
3,49
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
0,21
0,19
0,17
100,00
100,00
100,00
58 Tabella 48. Infortuni denunciati dai lavoratori stranieri e nel complesso, variazione 2005-2006, valori percentuale e assoluti, Industria e Servizi
Lavoratori non comunitari
Agrindustria
Pesca
Estrazione di minerali
Industria alimentare
Industria tessile e abbigliamento
Industria conciaria
Industria del legno
Industria della carta
Industria del petrolio
Industria chimica
Industria della gomma e plastica
Industria lav. minerali non metalliferi
Industria dei metalli
Industria meccanica
Industria macchine elettriche
Industria fabbricazione mezzi di trasporto
Altre industrie
Totale Industrie manifatturiere
Elettricità, gas, acqua
Costruzioni
Industria
Totale commercio
Servizi
Non determinato
Totale
Lavoratori Non
extracomunitari
% sul totale
% sul totale
2004
349
3
2005
372
5
2006
394
7
2004
3.951
442
2005
4.079
478
2006
4.268
393
Non-comunitari
0,4
0,0
Italiani e comunitari
0,6
0,1
172
2.385
1.545
1.004
1.696
784
16
572
2.156
2.881
12.100
4.009
1.107
1.819
2.343
34.417
75
19.241
54.257
179
2.434
1.388
855
1.497
799
17
482
2.029
2.597
11.261
3.651
1.005
1.735
2.055
31.805
93
18.552
51.006
181
2.356
1.324
898
1.529
755
15
531
2.021
2.512
12.127
3.788
1.073
1.843
2.087
32.859
93
19.057
52.591
1.651
18.012
10.752
3.286
9.589
9.063
433
6.092
10.143
14.704
51.039
29.462
11.246
14.903
12.521
201.245
5.316
91.398
304.003
1.674
17.536
9.628
2.968
9.002
8.789
380
5.809
9.381
13.407
47.925
27.175
10.381
14.625
11.403
188.409
5.315
87.884
287.839
1.545
16.258
8.670
2.905
8.488
8.445
370
5.545
9.240
13.027
46.853
26.728
10.412
14.714
11.179
182.834
4.998
84.837
278.875
0,2
2,1
1,2
0,8
1,4
0,7
0,0
0,5
1,8
2,3
10,9
3,4
1,0
1,7
1,9
29,5
0,1
17,1
47,2
0,2
2,2
1,2
0,4
1,2
1,2
0,1
0,8
1,3
1,8
6,5
3,7
1,4
2,0
1,5
25,2
0,7
11,7
38,5
4.807
4.723
4.705
74.390
73.144
72.063
4,2
9,9
32.457
32.494
34.689
307.351
308.853
307.221
31,1
42,4
25.220
111.934
23.590
107.090
24.097
111.377
146.151
757.505
141.169
737.861
138.893
724.989
21,6
100,0
19,2
100,0
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
59 L’analisi del rapporto tra denunce e indennizzi mostra che i due fenomeni seguono andamenti molto
simili, e la percentuale di indennizzi sul totale delle denunce rimane stabile negli anni (tabella 49;
figure 18; 19).
Tabella 49. Non comunitari, denunce e indennizzi al 30 Aprile dell’anno successivo - Industria e
Servizi e Costruzioni (2002-2005)
2002
2003
2004
2005
denunce
88.613
104.801
111.934
107.090
Industria e indennizzi
57.367
67.766
71.895
69.094
Servizi
% indennizzi su
denunce
64,74
64,66
64,23
64,52
denunce
12.510
17.764
19241
10.301
14.612
15.900
Costruzioni indennizzi
% indennizzi su
denunce
82,3
82,3
82,6
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
18552
15.363
82,8
Figura 18. Non comunitari, denunce e indennizzi al 30 Aprile dell’anno successivo - Industria e Servizi
e (2002-2005)
120.000
110.000
100.000
90.000
80.000
denunce
70.000
indennizzi
60.000
50.000
40.000
2002
2003
2004
2005
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
Figura 19. Non comunitari, denunce e indennizzi al 30 Aprile dell’anno successivo - Costruzioni (20022005)
25.000
20.000
15.000
denunce
10.000
indennizzi
5.000
0
2002
2003
2004
2005
Elaborazioni Ires su: Rapporto Inail, 2007
60 LA TESTIMONIANZA DEI LAVORATORI INFORTUNATI
3. Le cause
3.1 Il sistema delle imprese
Il rapporto annuale Istat 200718 ha misurato la crescita dei diversi settori produttivi italiani nel
periodo 2001-2006 e i due che sono cresciuti in misura maggiore sono il settore delle costruzioni
(2% in media annuo) e quello dei servizi alle imprese (1,8%). In tal senso è interessante riflettere
sulla struttura produttiva Italiana: le imprese con meno di 10 addetti (microimprese) sono circa 4,2
milioni (pari al 94,9% del totale) e occupano quasi 8 milioni di addetti (il 46,9% del totale), le
dimensioni medie, di conseguenza, sono tra le più basse in Europa: nel complesso 3,8 addetti per
impresa (contro 6,6 della media UE); nel particolare 9,1 addetti nell’industria in senso stretto, 3,1
nelle costruzioni, 2,7 nel commercio e 3,4 negli altri servizi.
Per quanto riguarda il settore delle costruzioni nel 2005 oltre 554 mila imprese erano definibili
“micro” su un totale di circa 584 mila (ovvero circa il 95%) e occupavano oltre un milione di
addetti (circa il 65% del totale). L’interpretazione di questo tipo di struttura è facilmente spiegabile
con due indicatori di performance: il fatturato per addetto e i costi di produzione. Considerando il
primo indicatore, quello delle microimprese delle costruzioni è il più basso rispetto a tutti gli altri
settori, come sono sensibilmente più bassi i costi intermedi19 e il costo del lavoro (vedi tab.50).
18
È possibile scaricare l’intero rapporto su www.istat.it
Include i costi per acquisti di materie prime e di servizi, altri oneri di gestione al netto degli altri proventi non inclusi
nel fatturato e delle variazioni delle scorte in magazzino, il tutto in rapporto agli addetti medi.
19
61 Tabella 50. Principali indicatori economici per macrosettore e classe di addetti (migliaia di euro 2005)
Attività
Micro
economiche imprese
Piccole e
Grandi
medie
imprese
Totale
imprese
Fatturato per addetto
Industria
86,3
201,0
401,2
218,9
Costruzioni
85,0
142,6
267,5
108,9
Servizi
100,2
219,1
179,9
145,1
Totale
95,8
202,8
263,9
162,6
Intensità dei costi intermedi
Industria
60,8
153,1
323,3
169,9
Costruzioni
58,4
101,9
211,9
76,9
Servizi
73,4
177,2
129,8
110,2
Totale
69,3
158,3
203,3
123,8
Costo del lavoro per dipendente
Industria
21,1
31,8
44,2
33,7
Costruzioni
20,5
29,6
46,3
26,3
Servizi
21,1
28,8
33,5
28,1
Totale
21,0
30,3
37,7
30,0
Fonte: Istat, Rilevazione sulle piccole e medie imprese;
Rilevazione sul sistema dei conti delle imprese su Istat “Rapporto annuale 2007”
Tra le microimprese, dunque, quelle che risultano essere più competitive sono proprio quelle delle
costruzioni. In un quadro di perdita generalizzata di competitività, gli unici segnali “positivi” si
scorgono nel comparto delle costruzioni, ma non nel suo complesso quanto esclusivamente tra le
aziende “micro” con una variazione percentuale nel periodo 2001-2005 di circa 7 punti. (vedi
tab.51).
Crediamo che questa breve introduzione possa essere utile nella lettura del rapporto di ricerca e ci
indichi una chiave per poter interpretare i fatti emersi nel corso della nostra indagine.
62 Tabella 51. Indicatore di competitività di costo20 per macrosettore e classe di addetti. Anni 2001-2005
(valori e variazioni percentuali)
Attività
Microimprese
Piccole e medie
economiche
Grandi imprese
Totale
imprese
2005
Variazione
2005
2001-2005
Variazione
2005
2001-2005
Variazione
2005
2001-2005
Variazione
2001-2005
Industria
121,0
-8,9
150,7
-5,4
176,5
-0,6
146,3
-4,5
Costruzioni
129,4
6,8
137,4
-6,4
120,1
-11,5
121,8
-0,5
Servizi
126,8
-1,7
145,6
-5,0
149,5
-6,9
124,5
-2,5
Totale
126,4
-1,7
146,7
-9,2
160,7
-4,5
129,6
-3,8
Fonte: Istat, Rilevazione sulle piccole e medie imprese;
Rilevazione sul sistema dei conti delle imprese su Istat “Rapporto annuale 2007”
Nella nostra indagine abbiamo incontrato lavoratori e familiari di lavoratori che hanno subito
infortuni in tutti i tipi di impresa. Da quelle più grandi e strutturate impegnate a realizzare appalti
pubblici a microimprese in subappalto che operano in piccoli cantieri. Ovviamente, la percentuale
di lavoratori intervistati appartenenti a imprese medie, ma soprattutto piccole o piccolissime è
maggioritaria, ma questo non significa che il “rischio” si annidi esclusivamente tra queste. Dalle
interviste quello che emerge chiaramente è innanzitutto la differenza “formale” sulla prevenzione
degli incidenti. Le imprese medie e grandi attivano molto più spesso corsi di formazione sulla
sicurezza (tema che verrà approfondito in seguito cfr. par. 3.4), hanno un’incidenza ridotta di
lavoratori in nero e la presenza sui cantieri dei responsabili per la sicurezza. Il primo problema
nasce quando accanto all’impresa appaltante lavorano, magari sullo stesso cantiere, numerose ditte
subappaltanti.
“Avevamo tutti un contratto a tempo indeterminato, eravamo in regola. Io lavoravo con l’azienda
madre ma l’operaio che ha subito l’infortunio lavorava in subappalto. Noi ditta madre cercavamo
di mettere tutti coloro che lavoravano in subappalto al nostro livello in termini di sicurezza. Però i
subappalti quando fanno le gare d’appalto vincono sul ribasso. Il ribasso avviene incidendo sulla
sicurezza. La legge invece dice che il ribasso avviene solo sulla quota del lavoro, la sicurezza
invece dovrebbe essere rispettata al 100%. Quando andiamo sui luoghi di lavoro tra noi ditta
madre e loro si vedono le differenze. Noi però cerchiamo di dar fastidio alla ditta madre affinché
trattino noi operai allo stesso modo mettendo in uno stato di sicurezza anche loro”.
(E., muratore, nazionalità italiana – Napoli)
20
L’indicatore è dato dal rapporto tra valore aggiunto per addetto e costo del lavoro per dipendente
63 Inoltre pare che non sempre le condizioni “sulla carta” migliori corrispondano ad un effettivo
rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro. C’è infatti la sensazione che la normativa sia
maltollerata da molte imprese e che le norme siano applicate parzialmente e non siano ancora
divenute “patrimonio culturale” del lavoro edile sia tra gli imprenditori che, purtroppo, tra gli stessi
operai. In sintesi, spesso non è tanto la percezione del rischio a favorire l’applicazione della
normativa da parte delle imprese, quanto la paura per la possibile sanzione.
“La sicurezza dipende anche dall’impresa, dipende dal capocantiere…è vero che con il tempo si
abbassa la guardia. Magari ci sono scadenze e nella fretta si fa meno attenzione alla sicurezza. Se
poi si fa male qualcuno o succede qualcosa improvvisamente si riprende l’attenzione e di nuovo si
seguono le regole per la sicurezza. È un po’ un su e giù di attenzione. Anche a me da fastidio
portare il casco o mettere la cintura, perché ti limitano nei movimenti e quindi ci metti di più a fare
le cose”.
(S., gruista, nazionalità italiana – Roma)
“Nelle grandi aziende di solito si può lavorare più tranquilli. A volte dipende pure dagli operai, ci
sono quelli che entrano in competizione, che fanno le sfide a chi produce di più […]. Comunque,
chi quando lavora fa rispettare i suoi diritti o è meno disponibile a lavorare oltre l’orario viene
trattato più freddamente dall’impresa. Il lavoratore quindi per accaparrarsi la simpatia della ditta
lavora di più e passa sopra a situazioni che potrebbero generare pericolo, noi non abbiamo il posto
fisso e quindi avere una buona considerazione da parte della ditta è importante per garantirci il
futuro”.
(L., carpentiere, nazionalità italiana – Roma)
Quanto detto finora, si aggrava ulteriormente nelle imprese piccole o piccolissime, dove le norme
sulla sicurezza vengono quasi totalmente disattese. Non solo: turni di lavoro di 10/12 ore, forte
ricattabilità soprattutto verso i lavoratori stranieri, lavoro quasi mai regolare (che traccia tutte le
sfumature del grigio fino ad arrivare al nero più assoluto), precarietà, sono alcuni tra i
condizionamenti costanti che subiscono i lavoratori edili. Nel corso della nostra indagine è apparsa
chiara la politica imprenditoriale delle microimprese: comprimere il più possibile i costi (dai salari,
ai contributi, alle norme per la sicurezza, ai materiali, ecc…) per essere competitivi e permettere
alle imprese aggiudicatarie degli appalti di poter lavorare al massimo ribasso. E in tal senso, appare
evidente come la responsabilità sia spesso da condividere con la aziende “madri” che pur
64 mantenendo al loro interno standard di qualità più elevati utilizzano il subappalto per ottenere il
massimo risparmio.
“Lavoravo in una ditta piccole dimensioni (erano 4 operai ndr) che si occupa di scavi, fognature
per palazzi. Lavora sempre in subappalto. Il contratto di lavoro mi è stato fatto dopo l’incidente.
Avevo iniziato a lavorare per quella azienda quasi un anno prima”.
(Z., operaio, nazionalità rumena – Roma)
“Lui era sotto ricatto permanente. Gli dicevano «se non ti piace questo lavoro te ne vai a casa».
Ora siccome per la legge Bossi-Fini se non hai un contratto di lavoro non hai il permesso di
soggiorno la cantilena era «se non ti piace… la porta è questa e vai»”.
(F., nazionalità italiana, compagna di H. lavoratore egiziano morto sul lavoro a 28 anni - Milano).
A conferma di quanto evidenziato finora, utilizziamo i dati emersi da una recente indagine di
prossima pubblicazione realizzata dall’Ires in collaborazione con la Fillea tesa ad analizzare le
condizioni socio-lavorative dei lavoratori edili21.
21
Ires, “Le condizioni socio-lavorative dei lavoratori edili”, rapporto di ricerca, in fase di pubblicazione. In particolare
l’Ires ha realizzato una survey sulle condizioni di lavoro nel comparto edile. L’indagine, che mira a conoscere ed
analizzare la situazione socio-occupazionale dei lavoratori edili, si è articolata su tutto il territorio nazionale e ha
coinvolto 450 lavoratori (la maggior parte dei quali iscritti alla Cgil) che hanno compilato un questionario riguardante i
seguenti argomenti: posizione lavorativa; lavoro e condizioni di lavoro; orari, salari e condizione sociale; salari e spese
familiari; stabilità, futuro del lavoro e pensioni; salute e sicurezza sul lavoro; sindacato e domande di tutela; alcune
questioni sociali e politiche. Nell’ambito del presente documento, la nostra analisi si concentrerà sulla sezione dedicata
a “salute e sicurezza sul lavoro” con particolare attenzione alle questioni legate agli infortuni e alle dinamiche del postinfortunio. 65 Figura 20. Rispetto delle norme di sicurezza in azienda per numero di addetti
100%
80%
60%
40%
20%
0%
fino a 5
da 6 a 9
da 10 a 15
sempre rispettate
da 16 a 19
da 20 a 49
rispettate qualche volta
da 50 a 99
rispettate raramente
da 100 a 249
oltre 250
mai rispettate
Fonte: indagine Ires 2008
In particolare la figura 20 evidenzia come nelle piccole imprese le norme di sicurezza siano meno
rispettate che in quelle medio-grandi con differenze percentuali piuttosto evidenti. Infatti, se per le
imprese con meno di 10 dipendenti la percentuale delle imprese che rispettano “sempre” le misure
di sicurezza non arriva al 20%, per quelle con oltre 50 dipendenti la media percentuale supera
abbondantemente il 50%. Un altro aspetto interessante emerso dall’indagine riguarda la propensione
a denunciare l’infortunio a seconda del numero di addetti dell’azienda in cui avviene l’incidente.
Anche in questo caso i dati espressi dai lavoratori impiegati in piccole imprese mostrano una
differenza significativa con quelli occupati in imprese medio-grandi.
66 Figura 21. Denuncia dell’infortunio per numero di addetti
100%
80%
60%
40%
20%
0%
fino a 5
da 6 a 9
da 10 a 15
da 16 a 19
non denunciato
da 20 a 49
da 50 a 99
da 100 a 249
oltre 250
sempre denunciato
Fonte: indagine Ires 2008
Quasi il 60% dei lavoratori che hanno subito un infortunio nelle imprese con meno di 10 dipendenti
non hanno denunciato l’infortunio, rispetto al 20% scarso di coloro che lo hanno subito in imprese
con oltre 50 dipendenti.
67 3.2 Il contratto e le mansioni
Come abbiamo precedentemente accennato la posizione contrattuale del lavoratore edile è
strettamente correlata alla struttura aziendale. Le figure professionali più richieste nel comparto
sono i muratori e i manovali o comunque personale non qualificato (vedi fig.22). Le imprese che
ricercano queste figure sono nel 90% dei casi, aziende con meno di 50 dipendenti, disposte - in
circa il 60% dei casi - ad assumere persone senza alcuna esperienza specifica22.
Figura 22. Distribuzione percentuale delle assunzioni di figure high skill e low skill previste per il 2007,
sulla base del settore economico di appartenenza delle imprese
100,0
92,4
90,0
85,2
81,9
81,0
79,7
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
18,1
20,3
19,0
14,8
7,6
10,0
0,0
Totale economia
Industria
di cui: industria in di cui: costruzioni
senso stretto
High skill
Servizi
low skill
Fonte: Unioncamere – Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2007
Da numerose indagini23, inoltre, emerge che i lavoratori non comunitari svolgono le mansioni più
dequalificate e usuranti; che il loro reddito spesso è inferiore a quello dei colleghi italiani; che il
rischio di infortuni risulta essere notevolmente più elevato e che hanno maggiore possibilità di
22
Unioncamere, Rapporto Excelsior 2007.
Cfr. tra gli altri: IRPPS , Il lavoro immigrato a Roma: condizioni socio lavorative e politiche realizzabili
dell’amministrazione comunale, Osservatorio comunale sull’occupazione e le condizioni del lavoro a Roma, Comune di
Roma, 2003; Galossi E., Mora M., Il lavoro degli immigrati nel settore edile, in Bernardotti M.A., Megale A., Mottura
G. Immigrazione e sindacato. Stesse opportunità, stessi diritti. IV rapporto Ires, Ediesse, Roma 2006.
23
68 essere impiegati in nero. A tutto ciò si deve aggiungere la mancanza di controlli nei cantieri e la
diffusione della pratica del caporalato, anch’essi fattori che contribuiscono a fare del lavoro edile
uno dei settori con più alti livelli di sfruttamento e di impiego di lavoro nero.
“H. era stato assunto tramite un caporaletto che faceva da «passamano» per cui la sua era una
situazione ai limiti della regolarità, inoltre lui aveva una qualifica da operaio ma gli era stato
chiesto, a lui senza patente di guida, di manovrare un dumper, per movimentare la ghiaia. Per cui
dopo poche ore gli era stato chiesto di movimentare un cumulo di ghiaia, ha inserito male la
retromarcia e si è ribaltato […]. Io conservo ancora la sua lettera di assunzione della ditta, c’è
scritto: mansione «operaio», inoltre loro dichiaravano che era un lavoratore part time ma lui
lavorava oltre 10 ore alla settimana da lunedì al sabato. Succedeva che lui diceva il numero delle
ore ad un intermediario che parlava arabo, poi la ditta pagava 10 euro all’ora, ma l’intermediario
se ne prendeva tre”.
(F., nazionalità italiana, compagna di H. lavoratore egiziano morto sul lavoro a 28 anni - Milano).
“Al momento dell’incidente avevo un contratto a tempo indeterminato ed ero inquadrato al I livello.
Più o meno guadagnavo 1.200 euro. Anche se avevo il contratto mi capitava di lavorare in nero.
Lavoravo il sabato e ogni giorno facevo almeno 10 ore. Sul contratto c’era scritta una cosa ma in
realtà la situazione era diversa”.
(M., ferraiolo, nazionalità marocchina – Legnago, Verona)
“Prima avevo la partita IVA e svolgevo dei lavori in subappalto all’interno dell’azienda stessa […]
dopo mi hanno assunto con un contratto a tempo determinato di 3 mesi e poi ho ottenuto
l’assunzione a tempo indeterminato […]. Ero operaio semplice anche se svolgevo mansioni
superiori […].”
(C., operaio, nazionalità italiana – Catania)
Come appare chiaro da alcuni stralci delle interviste che abbiamo realizzato nel corso dell’indagine,
la situazione contrattuale dei lavoratori edili che hanno subito un infortunio è risultata molto spesso
irregolare. Oltre a numerosi casi di lavoratori completamente in nero, infatti, quasi tutti coloro che
abbiamo intercettato hanno evidenziato come il contratto non fosse veritiero sulla reale attività
lavorativa. Le irregolarità più consuete riguardano:
•
l’orario di lavoro (se per un operaio edile è “normale” lavorare qualche ora in più rispetto a
quanto scritto sul contratto, ci sono numerosi casi in cui i lavoratori sono impiegati uno o due giorni
69 in più a settimana rispetto a quanto concordato; inoltre, va evidenziato come ultimamente si è
riscontrato un forte ricorso a contratti part time24 chiaramente fasulli);
•
le mansioni attribuite (sono rari i casi in cui il lavoratore svolga esclusivamente la mansione
attribuita dal contratto. Solitamente – a meno che non si tratti di lavoratori con molta esperienza e
una particolare specializzazione – le attività svolte nel cantiere sono le più varie e spesso non hanno
alcun nesso con le esperienze precedentemente maturate o con le professionalità acquisite, ciò
comporta evidentemente gravi rischi per loro e per i loro colleghi);
•
il sottoinquadramento (a definire quanto detto sopra sulle mansioni attribuite, va segnalato
come attività per cui sarebbero richiesti alti livelli di inquadramento contrattuale siano in realtà
svolte da operai di I e II livello che sono dunque sottopagati).
“Svolgevo tutte le attività che mi chiedevano di fare. Ogni giorno poteva cambiare. È normale che
quando ogni giorno fai una cosa diversa è più facile farsi male. Magari fai anche tre lavori diversi
durante una giornata”.
(Z., operaio, nazionalità rumena – Roma)
Ci sono, inoltre, alcuni casi sconcertanti di operai che svolgevano attività del tutto estranee al lavoro
per cui erano stati assunti che crediamo valgano la pena essere riportate.
“Ho iniziato a lavorare subito con il fratello del capo della ditta dove mi sono infortunato. Era un
«motor show». Per quel lavoro ho girato l’Italia. Facevo un numero strano come uomo torcia però
non mi pagavano in più. Io ero vestito da benzinaio e facevo il pieno alle macchine che passavano,
poi dopo l’ultima macchina arrivava un altro ragazzo con una torcia e mi dava fuoco. Io avevo il
costume dei piloti di formula uno. Era pericoloso e l’ho fatto tutte le sere per quattro mesi. Quindi
di giorno montavo il palco e le attrezzature e la sera durante lo spettacolo facevo la torcia umana.
Il tutto per 640 euro al mese”.
(A., manovale, nazionalità rumena – Milano)
24
Dagli ultimi dati messi a disposizione dalla CNCE emerge che circa il 18% delle imprese ricorre al part time per una
percentuale complessiva di circa il 9% dei lavoratori iscritti alla Cassa Edile.
70 3.3 Il mancato rispetto delle norme per la tutela della salute e della sicurezza
Il mancato rispetto della normativa sulla salute e sicurezza è una pratica diffusa in quasi tutte le
aziende in cui i lavoratori hanno subito l’infortunio. La normativa stessa agisce in un contesto
aziendale dove spesso sono disattese non solo le norme per la salute e sicurezza, ma molti dei diritti
fondamentali di un lavoratore, a cominciare dall’essere assunto con un contratto e dal rispetto di
questo (come abbiamo visto nel precedente paragrafo). In questo deficit di tutele, le norme per la
sicurezza hanno un ristrettissimo margine di agibilità, e spesso sono applicate a livello formale,
come un adempimento burocratico per evitare problemi con le istituzioni. Si arriva al paradosso di
adottare le dovute misure di sicurezza solamente a infortunio avvenuto, per evitare che l’azienda
abbia degli ulteriori problemi con la legge.
“Certe misure di prevenzione si adottano solo dopo che è successo un incidente. Finché non
succede un incidente nel nostro settore non si fa niente”.
(E., operaio II livello, nazionalità italiana - Modica)
Questo deficit di legalità riguarda sia le procedure di sicurezza più complesse che le azioni più
semplici, come il rilascio al lavoratore dei dispositivi di protezione individuali (dpi) 25. In alcuni
contesti di lavoro, anche i dpi più “banali”, come i caschi o le scarpe, sono considerati come un
optional e sono rilasciati pro-forma, come un oggetto che deve essere presente nel cantiere, e non
sono visti come uno strumento indispensabile per la tutela della salute del singolo.
“[Il datore di lavoro] il casco me lo ha dato però su 20 addetti lui portava 10 caschi [..] Poi non
c’erano le cinture per legarci.. non mi dava le scarpe.. le scarpe avevo quelle mie personali.. ai
muratori gliele dava ma a noi carpentieri no!”
(G., aiuto carpentiere, nazionalità italiana - Palermo)
Così i lavoratori per primi non sono messi nelle condizioni di rispettare la normativa, e di indossare
i dpi previsti. Questo avviene anche per i lavoratori più scolarizzati e attenti alla propria incolumità
come, ad esempio, per i restauratori.
25
Vengono definiti “dispositivi di protezione individuale” tutti i dispositivi finalizzati a salvaguardare la persona che li
indossa dai rischi per la salute nell’ambito di qualsiasi situazione lavorativa che metta in contatto i lavoratori con agenti
fisici , chimici, biologici o eventi che possono produrre effetti dannosi. I principali dpi utilizzati in edilizia sono
riferibili a protezioni per la testa, gli occhi, le mani, le braccia e il tronco, dei piedi, delle vie respiratorie, dell’udito,
contro le cadute dall’alto, contro le intemperie, per eventi particolari (come ad esempio i giubbotti con le strisce
riflettenti per lavorare in condizioni di scarsa visibilità o gli scafandri per lavorazioni altamente pericolose).
71 “Noi [restauratori] dovremmo avere dei dispositivi di sicurezza personale che non sempre le
imprese forniscono, come: la maschera per i solventi e per la polvere, i guanti, le scarpe antiinfortunistica. Quasi nessuno ti dà questa attrezzatura, nemmeno le tute.. devi comprarle tu.”
(I., restauratrice, nazionalità italiana - Napoli)
L’applicazione della norma è vissuta dagli imprenditori talmente come un atto amministrativo che a
volte ci si limita alla sola compilazione dei documenti necessari, senza che questi davvero si
accompagnino a delle azioni concrete. In tale senso, l’evasione dalla norma si connatura come una
vera e propria frode ai danni del lavoratore e dello Stato, dalla quale chi subisce un infortunio è
addirittura costretto a difendersi attraverso una causa.
“A me i carabinieri, mentre ero in ospedale, mi portarono un foglio con tutti gli attrezzi per la
protezione che il titolare mi avrebbe consegnato, ma quella firma non era la mia e quel foglio era
falso”.
(G., aiuto carpentiere, nazionalità italiana - Palermo)
In tal senso è interessante verificare che nell’indagine realizzata dall’Ires sulla condizione dei
lavoratori edili solo il 25% degli intervistati afferma che le norme sulla sicurezza sono sempre
rispettate dalle aziende in cui sono impiegati; inoltre, solo il 16% dichiara che il documento per la
valutazione dei rischi è compilato in modo rigoroso (in tal caso va peraltro evidenziato come circa il
49% non abbia alcuna opinione in merito e come oltre il 22% lo ritenga come un puro adempimento
burocratico). Un altro dato interessante, riguarda la presenza del RLS nelle aziende: nel 45% dei
casi non esiste e circa il 13% dei lavoratori intervistati non sa se nell’impresa dove lavora c’è questa
figura. Per quanto riguarda il suo operato il 60% afferma che il RLS riesce a svolgere il suo ruolo di
tutela seppur con molte difficoltà, mentre circa il 24% dichiara che non riesce a farlo.
Come abbiamo detto, è il contesto stesso che neutralizza la normativa sulla sicurezza: il processo
produttivo estremamente frammentato, dove più aziende lavorano alla stessa opera e dove la catena
di appalti e subappalti è molto lunga, certamente non facilita il rispetto della legalità. La tendenza
generale è quella di “esternalizzare” i rischi e le responsabilità, per cui i lavoratori assunti da
aziende esterne o in appalto sono solitamente esposti a un maggior numero di pericoli rispetto a
quelli dell’azienda madre26.
26
La diseguale distribuzione dei rischi lungo la filiera produttiva è alimentata dagli attuali processi di ristrutturazione
aziendale, sia a livello nazionale che internazionale; cfr. Di Nunzio D., Hohnen P., Hasle P., Torvatn H, Øyum L., 2008,
72 “Quando andiamo nei luoghi di lavoro tra noi ditta madre e loro si vedono le differenze”
(E., operaio edile, nazionalità italiana - Napoli)
“Ogni 3-4-6 mesi si facevano corsi per la sicurezza, ma tutto ciò che facevamo nei corsi sulla
sicurezza non veniva rispettato, non da noi ditte madri ma dai subappaltatori che subentravano nel
giro di lavoro”.
(A., edile, nazionalità italiana - Napoli)
La lunga catena di appalti crea una situazione di lavoro molto differenziata nel rispetto delle norme,
e può capitare che, lavorando più ditte nello stesso luogo, le inefficienze di una costituiscano un
danno per i lavoratori dell’altra. Dunque, la lunga catena di appalti e la frammentazione del
processo di lavoro rappresenta un serio limite per la tutela collettiva di tutti i lavoratori.
La mancata applicazione delle norme è adottata dalle imprese anche perché le ispezioni nei cantieri
sono poco frequenti e a volte sono fatte con superficialità. Il sistema dei controlli sembra incapace
di fare fronte alla diffusa evasione dalle norme propria delle imprese italiane, manca di
programmazione degli interventi e di un effettivo coordinamento27.
Inoltre, abbiamo raccolto delle testimonianze riguardo alla presenza di alcuni episodi di poca
trasparenza sull’attività di alcuni ispettori.
“Il lavoratore ha detto: «se arriva la Asl come facciamo?» [rispetto al mancato adempimento della
legge sulla sicurezza], e il datore ha detto: «non ti preoccupare, quando viene l’ispettore gli diamo
i soldi e tutto è a posto!»(...) loro fanno così...”
(P., vedova di un lavoratore morto, Milano)
L’oggettiva difficoltà di chi ha funzioni di controllo a svolgere il suo ruolo e la possibilità di trovare
degli ispettori compiacenti alimenta la sensazione che il datore di lavoro possa agire senza un reale
controllo, in tal modo alcune aziende si sentono deresponsabilizzate e autorizzate a non ottemperare
a tutti gli obblighi di legge.
Per quanto riguarda l’atteggiamento dei lavoratori rispetto alle azioni di vigilanza da parte degli
organismi pubblici crediamo sia utile riportare quanto emerso dalla già citata indagine Ires sulle
Impact of restructuring on health and safety and quality of work life. Psychosocial risks, Works Project, Higher
Institute of Labour Studies, K.U.Leuven, 2008, www.worksproject.be.
27
Smuraglia C., “Quadro normativo ed esperienze attuative in tema di sicurezza e igiene del lavoro: nuove prospettive
di coordinamento e interventi urgenti”, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro, supplemento al n.2, Aprile-Giugno 2008, p. 11.
73 condizioni dei lavoratori edili. In questo caso oltre il 70% degli intervistati ritiene che tali azioni
siano per nulla o scarsamente efficaci.
Figura 23. Efficacia delle azioni di vigilanza da parte degli organismi pubblici di controllo
molto efficaci
6%
abbastanza efficaci
20%
per nulla efficaci
32%
scarsamente
efficaci
42%
Fonte: indagine Ires 2008
74 3.4 La scarsa formazione
La formazione è un elemento essenziale all’interno del sistema di gestione della sicurezza
aziendale, come disciplinato dal D. Lgs. 626/94 che prevede, tra le norme generali di tutela,
l’obbligo di “informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei
loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro”28.
Eppure, la maggior parte dei lavoratori intervistati non ha mai svolto un corso di formazione sulla
salute e sicurezza.
La prima ragione di questa mancato adempimento dell’obbligo legislativo è da rinvenire nel
generalizzato stato d’irregolarità in cui operano molti dei lavoratori, per cui non è solamente la
formazione che viene a mancare, ma anche molti altri diritti.
Anche quando la tutela contrattuale è presente, è raro che i lavoratori possano usufruire della
formazione, e questo non è un comportamento ascrivibile a una singola azienda, ma è una pratica
diffusa all’interno del nostro sistema imprenditoriale, tanto che può accadere che anche un
lavoratore in regola, specializzato, con decenni di lavoro nel settore, svolto per numerose ditte
differenti anche molto grandi, può affermare di non avere mai svolto un corso di formazione.
“Non ho mai fatto un corso di formazione, nemmeno con la nuova azienda. Avevo un contratto a
tempo indeterminato in regola e lavoravo con loro da più di sette anni.
(V., ferraiolo specializzato, nazionalità italiana - Napoli).
“Da circa 17 anni lavoro nell’edilizia [...] non ho mai fatto corsi di formazione [...] nemmeno
quando lavoravo per altre ditte.”
(E., operaio di II livello, nazionalità italiana - Modica).
Spesso, la formazione è svolta “on the job” attraverso l’esperienza quotidiana e, come molte altre
questioni che riguardano la sicurezza, diviene un dovere assegnato al singolo lavoratore che si fa
carico di imparare tutto se non vuole rischiare di subire un infortunio. Tale obbligo di autoformazione, che diviene di auto-conservazione, inizia in alcuni casi sin dai primi passi nel cantiere,
quando si devono apprendere le basi del mestiere.
28
D. Lgs. 626/94, Titolo I, art. 3, comma 1, lettera s.
75 “In quest’impresa per quello che ho visto non si facevano corsi di formazione. Se c’era qualcuno
che arrivava come apprendista faceva direttamente formazione sul campo”.
(I., muratore, sindacalista, nazionalità italiana - Napoli)
La formazione, quando è fatta, è svolta sempre in aziende medio-grandi, ed è specificatamente
rivolta ai lavoratori dipendenti di quell’azienda, anche quando questa appalta le commesse a ditte
esterne. I pareri rispetto alla qualità dei corsi sono diversi, ma solitamente quelli più positivi sono
dati dai rappresentanti per la sicurezza, che seguono percorsi formativi migliori e più approfonditi.
“Ho fatto un corso nel 2003 per diventare delegato per la sicurezza. Era una volta a settimana per
due mesi. Il corso era molto efficace”.
(M., edile, delegato per la sicurezza, nazionalità italiana - Firenze)
“Io sono Rls e ho fatto un corso più approfondito [degli altri ndr]. I corsi servono, impari molte
cose..”
(S., gruista, nazionalità italiana - Roma)
Nel complesso però, la formazione sembra essere più un adempimento formale che uno strumento
utile per migliorare i livelli di tutela, e i problemi maggiori riguardo ai corsi sono tre: i corsi sono
pochi, sono distanti dalla realtà e sono troppo generici.
L’esiguità dei corsi è evidente, pochi lavoratori hanno la possibilità di seguirli e pochissimi hanno la
possibilità di ripeterli nel corso della propria carriera.
“Il corso era molto efficace ma dovrebbero essere più frequenti. Ci dovrebbero essere degli
aggiornamenti, perché solo una volta – anche se è stato un bel corso – non basta”.
(M., edile, delegato per la sicurezza, nazionalità italiana - Firenze)
La formazione come evento “spot” avviene anche nelle aziende più grandi, come riscontrato, ad
esempio, in una ditta con 60 dipendenti.
“Ho fatto un corso diversi anni fa ma non ho avuto l’occasione di ripeterlo”.
(D., montatore di capannoni, nazionalità italiana - Comiso)
76 Lo scarto tra la formazione e la realtà è un fattore messo in luce da molti intervistati, per i quali
molte delle nozioni apprese sono poi difficili da applicare concretamente nella quotidianità
dell’attività di lavoro.
“In quella impresa avevo fatto dei corsi di formazione, sembravano essere utili, davano delle
istruzioni importanti. Nella realtà però le norme non le applicavamo sempre”.
(A., operaio falegname, nazionalità italiana - Napoli)
C’è dunque una distanza tra la teoria e la pratica, anche perché i programmi formativi sono molto
generici, per adattarsi a tutte le professionalità che operano nel cantiere, e le specificità proprie delle
mansioni non sono considerate: in pochissime ore si spiega tutto e per tutti.
“Il problema è che una cosa è spiegare la sicurezza e tutt’altra è metterla in pratica. Ogni operaio
dovrebbe fare un corso rispetto all’opera che sta realizzando in quel momento. Il nostro lavoro
infatti è estremamente frammentato, le nostre opere sono molto diverse. Nell’ambito della stessa
categoria ci sono molte differenze”.
(E., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
A conferma di quanto emerso dalle interviste qualitative, intervengono i dati della survey realizzata
dall’Ires sulle condizioni di lavoro. Circa il 57% dei 450 lavoratori interpellati, infatti, hanno
dichiarato di non aver mai avuto una formazione specifica sui rischi e sulle misure di protezione
della salute. È altresì importante sottolineare come tra i lavoratori che hanno potuto usufruire dei
corsi di formazione previsti dalla legge 626/94 circa il 60% li abbia giudicati come sufficienti o più
che sufficienti.
C’è da augurarsi che la novità introdotta nel T.U. sulla sicurezza, che istituisce 16 ore di formazione
obbligatoria preventiva a carico delle scuole edili, sia in grado di garantire una reale possibilità di
formazione per tutti i lavoratori edili.
77 3.5 La percezione dei rischi nel settore edile
Numerose ricerche testimoniano che la tutela della propria salute è considerata un valore secondario
nel momento in cui il lavoratore ha come prima esigenza quella di soddisfare nell’immediato dei
bisogni più urgenti, quali quelli economici, per riuscire a trarre dal proprio lavoro il sostentamento
necessario per sé e la famiglia29.
Nel settore edile, la difficoltà nell’ottenere un impiego e la scarsa remunerazione di questo, porta il
lavoratore ad abbassare la propria soglia di allarme nei confronti dei pericoli, poiché altri eventi
sono percepiti come più dannosi, in primis quello di perdere il posto di lavoro. Possiamo affermare
che lo stato di precarietà costante in cui operano i lavoratori edili si accompagna a una costante, e
coercitiva, sottovalutazione dei rischi sul lavoro.
“In cantiere il primo rischio che si percepisce è di non essere pagati”
(I., carpentiere e sindacalista, nazionalità italiana - Napoli)
In alcuni casi il rischio di infortunarsi, o morire, deve necessariamente essere messo in secondo
piano, anche quando è altamente probabile, perché è meglio non fare obiezioni e non creare
problemi.
“Noi non possiamo dire niente sulle condizioni di lavoro altrimenti mi dicono che già ci sono
pronte altre tre persone per prendere il mio posto. Anche se sei in regola, ma sei straniero, non
puoi dire niente”
(Z., manovale, nazionalità rumena - Roma)
Il legame tra la percezione dei rischi del lavoratore e il contesto aziendale emerge con forza in
molte interviste, in particolare per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro30. L’organizzazione
del lavoro promossa dalle aziende edili sembra essere improntata più sulla fretta di finire l’opera,
per rispettare i tempi di consegna e abbassare i costi, piuttosto che da un’attenta valutazione dei
29
Battaglini E. (a cura di), Salute, sicurezza e tutele nel lavoro, Rapporto di ricerca IRES-INCA, Giugno 2006,
www.ires.it; IRES-INAIL, I rischi da agenti chimici nel settore sanitario, Rapporto di ricerca, Maggio 2008,
www.inail.it, www.ires.it.
30
Per un’analisi del rapporto tra percezione individuale dei rischi e contesto socio-culturale, si può fare riferimento a:
Douglas M., Risk and Blame: Essays in Cultural Theory, Routledge, London, 1992 (trad. it. Rischio e colpa, II Mulino,
Bologna, 1996); Gherardi S., Nicolini D., Odella F., "La cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro", in Sviluppo e
Organizzazione, n. 162, Luglio/Agosto 1997, pp. 15-30; Turner B.A., “The Sociology of Safety”, in Blockey D. (eds),
Engineering Safety, Mc Graw Hill, London, 1992.
78 tempi e delle modalità di lavoro. La fretta, messa dai superiori, spinge immancabilmente il
lavoratore ad avere una percezione più bassa dei rischi che corre, poiché in quel momento il rischio
più grande è quello di essere giudicati come lavoratori poco utili o di perdere il posto di lavoro.
“Magari ci sono delle scadenze e nella fretta si fa meno attenzione alla sicurezza [...]. Anche a me
da fastidio portare il casco o mettere la cintura, perché ti limitano nei movimenti e quindi ci metti
di più a fare le cose”.
(S., gruista, nazionalità italiana – Roma)
L’importanza attribuita alla salute è dunque strettamente legata alla possibilità che ha il lavoratore
di potere effettivamente tutelarsi, e dunque pesano non solo le differenze aziendali ma anche, più in
generale, quelle territoriali. Ovvero, la percezione dei rischi si correla anche all’applicazione delle
norme e al livello di tutele presente nelle aziende. Ad esempio, generalizzando, i lavoratori stessi
riscontrano una differenza nella percezione dei rischi tra Sud e Nord Italia.
“Purtroppo è l’organizzazione della Campania che non funziona. Io sono stato 16 anni fuori casa e
ho visto la differenza. Negli anni Ottanta lavoravo a Firenze... quando qui [a Napoli, ndr] non
sapevano nemmeno l’impalcatura che cos’era lì già avevano le impalcature a norma di sicurezza.
Quando mi trovai in quel cantiere dissi: «ma dove sono qui, in un altro pianeta?»”
(A., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
Oltre al contesto in cui opera il lavoratore, che comunque è l’elemento centrale, un altro fattore che
determina la percezione dei rischi è quello della conoscenza individuale: più sia ha conoscenza della
propria professione e dei rischi che si corrono, maggiore sarà il livello di attenzione31. Eppure, come
visto, la formazione è scarsa, e il lavoratore edile è spesso lasciato solo nell’apprendere i rischi del
mestiere.
“Le informazioni si acquisiscono col tempo, e si riesce molto di più a capire l’importanza della
sicurezza sul lavoro”
(F., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
31
Per un’analisi del rapporto tra la posizione del lavoratore nei processi di lavoro, la conoscenza dei fattori di rischio e
la percezione dei rischi, cfr. Di Nunzio D., “La cultura della sicurezza e la diseguale distribuzione dei rischi nei processi
di lavoro: evidenze da una ricerca in ambito ospedaliero”, Prisma - Economia, società e lavoro, n.1/2009, di prossima
pubblicazione.
79 “Non ho mai fatto corsi di formazione sulla sicurezza prima dell’infortunio. Per quel che mi
riguarda la sicurezza l’ho costruita sul campo, con l’esperienza”
(B., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
La conoscenza stessa, e in particolare i codici di sicurezza e le pratiche di lavoro in sicurezza, non
sono veicolati solamente dal rapporto che il lavoratore singolarmente intesse con le proprie
mansioni, ma anche dalle relazioni con gli altri, dall’implementazione delle conoscenze, degli
scambi di informazioni e di diffusione di buone pratiche, che avvengono nei gruppi di lavoro. Il
lavoro edile si caratterizza per una forte variabilità del gruppo di lavoro e dunque rende ancora più
difficile perseguire un percorso continuato di acquisizione delle conoscenze.
Nel complesso è presente, nel settore edile, un diffuso fenomeno d’individualizzazione dei rischi32.
Da un lato, il lavoratore è costretto ad assumere tutti i rischi del mestiere, perché l’azienda, per
esigenza di rapidità o per volontà di mantenere i costi bassi non lo tutela. Dall’altro lato, egli è
lasciato solo nell’acquisire ogni conoscenza, e il supporto fornito dall’azienda è scarso.
“Se ad esempio devi salire sugli spalti, non devi ascoltare quello che ti dice il padrone, il
capocantiere, il geometra, l’architetto. Devi essere tu che in prima persona devi pensare alla tua
sicurezza. Loro ti dicono: «fai presto, ce ne dobbiamo andare, dobbiamo finire»”.
(E., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
Il lavoratore edile deve dunque costruirsi una personalità forte, capace di valutare i rischi e resistere
alle pressioni quotidiane subite nel cantiere.
Questa individualizzazione dei rischi, oltre a comportare un evidente aumento delle possibilità di
subire un infortunio, contribuisce all’introiezione di un’errata cultura della salute: il lavoratore,
abituandosi, giorno dopo giorno, a non considerare come prioritaria la propria salute, assimila una
concezione errata dei rischi, e tende a sottovalutarli.
“La migliore sicurezza è quella che ti crei tu. Le norme sulla sicurezza sono rispettate non perché
te le fanno rispettare, ma perché le rispetti tu per istinto. Solo che poi, prendendo confidenza con il
lavoro, con i macchinari, con gli arnesi, credi di essere sicuro e la troppa sicurezza ti porta a
sbagliare”.
(I., carpentiere e sindacalista, nazionalità italiana - Napoli)
32
Beck U., (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma.
80 L’attenzione ai rischi è anche data da altri fattori, come il livello di scolarizzazione. Difatti, tra i
restauratori, normalmente più istruiti, emerge un’alta percezione dei rischi. I restauratori hanno una
maggiore consapevolezza dei rischi ma anche una maggiore paura mentre svolgono il lavoro,
perché non hanno una conoscenza approfondita del cantiere in cui operano e perché per loro è
evidente lo scarto tra le scarse misure di sicurezza e i molti pericoli presenti.
“Diciamo che noi restauratori rispetto agli operai abbiamo una sensibilità più spiccata rispetto a
queste problematiche e cerchiamo di stare più attenti, ma non ci fanno dei corsi sulla sicurezza. Le
norme si rispettano per quello che si può”.
(I., restauratrice, nazionalità italiana - Napoli)
81 4. L’evento infortunistico
4.1 La dinamica dell’infortunio
L’estrema frammentazione del processo di lavoro in edilizia, insieme alla scarsa sicurezza, rende
molto arduo applicare l’art.5 del D. Lgs. 626, che prevede che “ciascun lavoratore deve prendersi
cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo
di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua
formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”33.
La sicurezza di un lavoratore non è data semplicemente dal suo comportamento, ma è il frutto di un
insieme di rapporti (con gli altri lavoratori, con la propria azienda, con le altre aziende), e di un
insieme di pratiche di lavoro consequenziali e interrelate. L’infortunio dunque, nella quasi totalità
dei casi analizzati, è la spia che segnala l’esistenza di problemi nell’insieme del contesto di lavoro e
nella gestione della sicurezza.
Le cause principali degli infortuni, che emergono con maggiore chiarezza dai casi analizzati, sono:
a) la mancata osservanza della normativa da parte dell’azienda; b) la scarsa formazione; c) la
frammentazione del processo di lavoro, per cui il comportamento di alcune aziende e lavoratori può
ridurre la sicurezza complessiva del luogo di lavoro; d) l’organizzazione del lavoro; e) errori
attribuibili al singolo lavoratore, che a volte sono comunque dovuti a delle difficoltà
nell’organizzazione dei tempi e nelle modalità di lavoro; e) infine, raramente, a cause totalmente
esterne al luogo di lavoro.
Abbiamo già visto come la mancata osservanza delle norme sia diffusa nei casi analizzati.
L’assenza di misure di protezione può facilmente comportare un incidente, e molte delle cadute
dall’alto si potevano evitare, o anche risolversi con delle conseguenze più lievi, se vi fossero state le
opportune precauzioni.
Le cadute dall’alto, spesso presenti nelle statistiche ufficiali, possono nascondere, come abbiamo
visto, casi preoccupanti di sfruttamento dei lavoratori. Può capitare, come abbiamo riscontrato, che
si dia una scala al lavoratore e gli si dica di salire su un tetto a lavorare, senza alcuna protezione e
senza alcuna formazione.
33
D. Lgs. 626/94, Titolo I, art. 5, comma 1.
82 “Ero sul tetto a mettere i pannelli [senza protezioni, ndr], sono scivolato... sotto non c’erano i
ponteggi.. sono caduto da tre metri su un mucchio di calcinacci e mi sono rotto la gamba e la
caviglia”
(M., aiutante carpentiere, nazionalità kosovara - Roma)
A volte l’inosservanza delle norme riguarda il livello di sicurezza degli strumenti e dei macchinari
usati, che non sono adeguati rispetto al lavoro da svolgere o non sono aggiornati per favorire
l’implementazione dei livelli di sicurezza. Questi macchinari, non a norma o non aggiornati, oltre a
esporre i lavoratori al rischio d’infortunio, favoriscono anche la possibilità di un errore umano.
“L’incidente è avvenuto a causa di un autogrù. Ci sono delle autogrù tralicciate le quali non hanno
il telescopico, non hanno cioè il braccio che rientra in automatico ma questo viene appoggiato
sulla cabina. Queste macchine sono cingolate, hanno il braccio tralicciato ( se ad esempio devo
salire a 20 metri devo montare un braccio di 20 metri) e vanno montate e smontate a inizio e fine
lavoro. Il collega che ha subito l’incidente stava smontando questa macchina la quale si smonta
con degli spinotti. Gli spinotti però dopo 2-3-4-5 mesi fanno dei punti di ruggine e si fa fatica a
farli uscire fuori. Poiché degli spinotti non venivano fuori, il mio collega pensò di mettere a tiro il
varicello ossia la corda che scende per far salire e scendere i pezzi. Prese il borsello e lo mise a
tiro sotto al gancio tenendo fermi tutti i corpi del braccio. Riuscì a togliere gli spinotti superiori ma
non riusciva a far venir via quelli di sotto. Pertanto decise di rimettere gli spinotti superiori per
togliere quelli inferiori. Purtroppo però sia lui che il gruista che era dentro la macchina
dimenticarono di avere il varicello in tiro. Di conseguenza dopo aver tolto i due spinotti, il gruista
mollò la corda che teneva fermo il braccio. Si aprì il braccio, cadde e lui rimase bloccato sotto al
braccio. Noi eravamo a 20 metri, stavamo facendo la stessa cosa, c’erano 4 macchine. Proprio io
con la mia macchina accorsi. Lui era ancora vivo al momento, ma dopo un quarto d’ora non ha più
resistito, sono venuti meno gli organi vitali.”
(E., gruista, nazionalità italiana - Napoli)
“Assistendo a degli scavi con degli scavatori si ruppe una punta del martello e volarono delle
schegge di ferro. Ne ho ancora una nella spalla e con determinate condizioni meteorologiche fa
male, il dolore si sente, non me la possono togliere. E ho subito un infortunio simile nel 2003,
sempre una scheggia.”
(A., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
83 La sicurezza è data dal comportamento complessivo degli attori coinvolti nel processo di lavoro, e
accade che lavoratori che “fortunatamente” operano in aziende in cui i livelli di sicurezza sono alti,
o che semplicemente prendono più precauzioni, possono subire un infortunio per il comportamento
scorretto di lavoratori o di altre aziende che operano nel medesimo luogo di lavoro.
“Ho assistito a questo infortunio lavorando per un’impresa edile all’interno della quale c’erano
anche dei restauratori. Ho assistito all’incidente subito da una ragazza di Ercolano. Le tavole di
ponte non erano montate bene ed è caduta con la gamba tra due tavole. Questa era un’impresa
edile che aveva assunto al suo interno dei restauratori”
(I., restauratrice, nazionalità italiana - Napoli)
L’organizzazione del lavoro, come visto nei paragrafi 3.1 e 3.2, è un fattore chiave nel determinare
il livello di sicurezza in cui operano i lavoratori. La necessità di chiudere in fretta i lavori, per
abbassare i costi, fa sì che in questo settore il soddisfacimento dei ritmi di lavoro imposti, e delle
modalità di lavoro più veloci, comporti seri pericoli. Questo è tanto più vero quanto più la politica
aziendale è improntata non tanto sulla qualità del lavoro ma sull’abbassamento dei costi, e dunque
sono spesso i lavoratori in aziende in appalto e subappalto a essere costretti a lavorare a ritmi
serrati.
“Stavamo facendo un monolite e c’erano delle impalcature. C’era un’altra impresa subappaltatrice
e sempre per la fretta di fare presto hanno messo gli operai nella condizione di mettere due
tavoloni su cui camminare quando invece ne servivano 5. Era abbastanza alto, 15- 16 metri. Loro
dovevano camminare su questi tavoloni portando ferro. Si sono spezzate le tavole, sono andati sotto
due operai, uno con trauma cranico, l’altro con braccio rotto. Noi impresa madre siamo stati
autorizzati dall’azienda a cacciare questa impresa e non ha lavorato più nel nostro cantiere.”
(A., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
L’organizzazione del lavoro è percepita come una delle prime fonti di pericolo per la maggior parte
degli intervistati, e ritornano spesso frasi come questa:
“Il problema è che nelle imprese corrono, corrono, corrono! La responsabilità non è attribuibile a
lui che è caduto [un collega, ndr] ma all’impresa”.
(I., carpentiere e sindacalista, nazionalità italiana - Napoli)
84 Il settore edile è estremamente frammentato, fino all’estrema atomizzazione del lavoro autonomo.
Spesso i lavoratori vivono in uno stato di continua precarietà, e cercano di lavorare con varie ditte o
anche di procacciarsi lavori “in proprio”. Questo comporta, come visto, un’individualizzazione dei
rischi, e un’assunzione totale della responsabilità e dei pericoli, che il singolo lavoratore accetta per
fare fronte alla necessità di avere un reddito. L’incubo di non avere un reddito spinge i lavoratori a
rischiare, a caricarsi di lavoro cercando di svolgerlo in fretta e con gli strumenti che si hanno a
disposizione.
“Mio marito faceva il muratore [senza contratto, ndr] e fu chiamato da un altro per fare dei lavori
in un vecchio mulino. Di fatto non c’era un’impresa. La società immobiliare incaricò la persona
per cui lavorava mio marito ad abbattere tutto, tranne le pareti esterne, perché doveva fare un
albergo. Questa società però non si affidò a un’impresa strutturata attraverso una gara d’appalto
ma a una persona, il capo cantiere, che contattò mio marito e un altro operaio per fare questi
lavori di ristrutturazione. [...] I vecchi solai erano fatti con delle lame di ferro messe una dopo
l’altra. [...] Mio marito stava tagliando queste lame e si trovava, senza ponteggio, sul muro
laterale. Tagliava da punta a punta queste lame che crollavano a terra. Ad un certo punto i portanti
laterali si sono chiusi, crollando anch’essi, perché le lame di ferro li tenevano dritti e mio marito
insieme al collega sono finiti schiacciati”
(F., moglie di un muratore morto sul lavoro, nazionalità italiana - Catania)
In un caso, addirittura, l’infortunio è avvenuto per un fattore totalmente esterno al contesto di
lavoro: un “disastro ambientale”.
“Lavoravamo sotto la muraglia di una ferrovia, all’improvviso cadde un muro alto circa 7 metri. È
caduto giù, straripato proprio. Rimanemmo là sotto in quattro. Tre sono morti, e io sono l’unico
superstite. [...] L’inchiesta è durata otto anni. La responsabilità non è stata data all’azienda,
perché la causa è stata un disastro ambientale. Una scarpata di terra ha ceduto per un’infiltrazione
di acqua, perché in quella settimana aveva piovuto molto, quasi tutta la settimana, e il muro ha
ceduto. Non è stato uno sbaglio di qualche operaio. Le cause erano esterne a quelle che erano le
responsabilità dell’azienda”
(V., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
85 Infine, si osserva che in alcuni casi le conseguenze di un infortunio potrebbero essere state minori
se i lavoratori avessero avuto un’adeguata formazione in merito alle procedure di pronto soccorso e
se l’azienda fosse stata attrezzata per fornire questo tipo di assistenza.
“Dopo l’infortunio noi tutti siamo stati colpiti dai carabinieri perché non dovevamo togliere il
corpo da lì. Ma in realtà il corpo era ancora vivo, lui respirava ancora, si lamentava,
l’autoambulanza è arrivata dopo 20 minuti e loro stessi hanno attestato che era ancora vivo.
Abbiamo ricevuto una denuncia proprio perché non potevamo muovere il corpo”
(E., gruista, nazionalità italiana - Napoli)
“Dopo avere subito l’infortunio, nell’azienda dove lavoravo c’era il reparto infermeria in cantiere.
Purtroppo loro hanno dichiarato che non era compito loro, che non avevano l’attrezzatura”
(A., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
⇒
La biografia infortunistica
I lavoratori edili sono esposti, nel corso della propria carriera, a un notevole numero di pericoli. La
biografia dei lavoratori edili descrive una continua esposizione ai pericoli, e più la biografia è
frammentata e in contesti altamente rischiosi (lavori in nero, in aziende piccolissime, in subappalto,
ecc.) più cresce il numero di incidenti, più o meno gravi, che il lavoratore ha subito.
Si ha dunque un’alta probabilità (non riportata nelle statistiche ufficiali dell’Inail) di una ripetizione
del fenomeno infortunistico per determinati gruppi di soggetti.
“1) Stavamo sopra una soletta, parliamo di tre o quattro anni fa, si ruppe una tavola. Andando a
finire giù urtai su dei ferri, feci una torsione col ginocchio, andò tutto il peso sul ginocchio. [...] Ho
avuto il ginocchio gonfio. Dopo l’infortunio sono stato mandato a lavorare. Il ginocchio però
faceva ancora male. Ho fatto delle tac per conto mio e si è visto che c’era una cisti sul legamento,
molto probabilmente legata all’incidente. Poi mi sono operato due anni fa per togliere questa cisti
che era grande quanto una nocciolina.
2) Un altro infortunio mi è capitato mentre stavamo scaricando delle barre di ferro. Saltò il
morsetto dove stavamo agganciati, mi colpì qui, sopra al braccio. [...] Mi ingessarono il braccio
per quaranta giorni. [...]
3) Un’altra volta ebbi un infortunio sotto una “spezzaferro”. S’inceppò, partì da sola, mi spinse il
dito vicino al ferro, ebbi 5 punti. Affrontai la fase di infortunistica e dopo ricominciai il lavoro.”
(A., operaio di II livello, nazionalità italiana - Napoli)
86 ⇒
L’evento infortunistico come esperienza traumatica
L’infortunio, oltre ad essere un evento che “irrompe” nella vita di un lavoratore, è anche una
esperienza, ovvero un evento che il lavoratore vive e che contribuisce, come ogni esperienza, alla
formazione della sua personalità. I danni non sono solo fisici, dunque, ma anche psicologici. Il
cantiere stesso, con il continuo verificarsi d’incidenti, è un contesto che mina fortemente la salute
psicologica dei lavoratori, e la biografia di un edile è costellata di eventi traumatici, che vanno dal
subire un infortunio al perdere un amico sul posto di lavoro.
“Durante un getto di magrone, lavoravamo sotto una muraglia di una ferrovia, all’improvviso
cadde un muro alto circa 7 metri e lungo 60 metri. È caduto giù, straripato proprio. Rimanemmo lì
sotto quattro persone. Tre morti e io l’unico superstite. [...]Poi ho fatto 4-5 anni all’igiene mentale
perché non stavo tanto bene mentalmente, sono rimasto 45 minuti sotto quattro metri di macerie,
vivo, cosciente. Non lo so come mi sono salvato, è stato un miracolo penso, gli altri tre miei
colleghi sono stati tirati fuori dalle macerie che erano morti.”
(A., ferraiolo specializzato, nazionalità italiana - Napoli)
87 4.2 La denuncia
Per facilitare la lettura dell’indagine e contestualizzare l’ambito su cui ci concentriamo in questo
paragrafo, crediamo sia opportuno riportare una breve sintesi degli obblighi e delle procedure per la
denuncia di infortunio riprese dal manuale dell’Inca “Infortuni e malattie professionali” a cura di
Marco Bottazzi e Tiziana Tramontano.
Il lavoratore (o chi per lui in caso di lesione grave che determini impedimento): deve dare
immediata notizia dell’infortunio al datore di lavoro. Si tenga presente che è utile provvedere a ciò
anche se la lesione è di lievissima entità potendo essere al momento non evidente quali conseguenze
in futuro possano manifestarsi.
Il datore di lavoro (anche titolare di impresa artigiana e il committente): ha l’obbligo di presentare
all’istituto assicuratore (Inail) la denuncia di ogni infortunio di cui abbia avuto notizia, occorso ai
lavoratori dipendenti della sua impresa (o a lui stesso in caso di titolare di impresa artigiana).
La denuncia di infortunio deve contenere:
•
le generalità del lavoratore infortunato;
•
il luogo in cui è stato eventualmente ricoverato;
•
la descrizione dettagliata delle cause e delle circostanze che hanno determinato l’evento;
•
l’ora e il giorno in cui si è verificato l’infortunio;
•
gli elementi salariali relativi al guadagno degli ultimi 15 giorni precedenti la data
dell’infortunio;
•
le eventuali deficienze di misure di igiene e di prevenzione;
•
i testimoni presenti all’evento;
•
la natura e la sede delle lesioni.
Il manuale, inoltre, consiglia il delegato sindacale di controllare le modalità di accadimento degli
infortuni e le conseguenze degli stessi, nonché di verificare che l’impresa non ometta di fornire
descrizioni veritiere allo scopo di eludere sue eventuali responsabilità nell’aver determinato
l’infortunio (ad esempio: carenze nell’ambiente di lavoro, nei dispositivi di sicurezza delle
macchine, nell’organizzazione del lavoro, ecc…). La verifica dei dati salariali, invece, è
determinate per la sollecita erogazione delle prestazioni economiche, anzitutto dell’indennità
giornaliera per inabilità assoluta al lavoro, specialmente quando la medesima debba essere
corrisposta dall’Inail non essendo prevista, nel rapporto con l’impresa, che quest’ultima sia tenuta
ad anticipare l’indennità (art. 70 T.U. 1124/65).
Tali suggerimenti appaiono quanto mai importanti alla luce da quanto emerso dalla nostra indagine.
88 In primo luogo, infatti, va evidenziato come siano numerosi i casi in cui l’azienda propone al
lavoratore di evitare la denuncia (magari proponendo in cambio un assegno di qualche migliaio di
euro) spingendolo a mettersi in malattia. In questi casi non è raro che il lavoratore accetti, da un lato
perché timoroso di inimicarsi il datore di lavoro e dall’altro perché sa che per il periodo della
malattia potrà contare su uno stipendio “pieno”.
“Prima dell’infortunio mi avevano detto che sarei stato assunto a tempo indeterminato, poi mi
hanno detto che non mi potevano rinnovare il contratto perché c’era poco lavoro. Io mi trovavo
bene con loro, ma il titolare ha rosicato [testuale, ndr] che ho denunciato l’infortunio. Dopo che mi
ero fatto male ho parlato con loro e gli ho chiesto che fare, loro mi hanno detto di mettermi in
malattia però non mi volevano pagare per i denti. Io ho provato a fare un accordo, però mi hanno
girato le spalle e a quel punto ho denunciato l’infortunio all’Inail”.
(F., operaio, nazionalità rumena – Roma)
In tal senso è interessante verificare quanto emerso dalla già citata survey realizzata dall’Ires. Circa
il 36% dei lavoratori intervistati che hanno subito un infortunio non hanno denunciato l’evento
all’Inail. Le motivazioni, come accennato, sono soprattutto legate alla volontà dell’azienda di
evitare la denuncia.
Figura 24. Motivazioni della mancata denuncia dell’infortunio
altro
11%
per avere subito
soldi
11%
me lo ha chiesto il
datore di lavoro
51%
se non l'avessi fatto
avrei perso il lavoro
27%
Fonte: indagine Ires 2008
89 Un altro aspetto importante riguarda la modalità della denuncia, come paventato nel manuale
dell’Inca, infatti, abbiamo riscontrato casi in cui le denuncie di infortunio fatte dalle imprese non
erano veritiere con grave danno per i lavoratori vittime degli incidenti.
“Sulla denuncia c’era scritto che sono caduto mentre scendevo le scale, inciampando. Mia moglie
allora, perché io ero in ospedale, è andata all’Inail per chiedere spiegazioni e gli hanno detto che il
titolare aveva fatto questa denuncia. Mia moglie quindi andò dai carabinieri e si risolse la
situazione scrivendo la verità, che ero volato dal 6° piano […]. C’era anche scritto che
guadagnavo 40 euro al giorno, mentre in realtà erano 60.”
(G., aiuto carpentiere, nazionalità italiana – Palermo)
“L’infortunio l’ho denunciato solo dopo alcuni mesi perché l’azienda non voleva…in quei mesi mi
ha dato i soldi l’azienda. Poi mi sono rivolto al sindacato è [Fillea Roma Centro, ndr] che mi ha
detto di andare al Patronato [INCA, ndr] per attivare la procedura”.
(Z., operaio, nazionalità rumena – Roma)
L’ultimo stralcio ci aiuta ad introdurre il tema del sostegno sindacale nell’attivazione delle
procedure di denuncia di infortunio. Emerge con chiarezza la condizione di estrema vulnerabilità
dei lavoratori all’indomani dell’infortunio subito. Il comportamento spesso non “collaborativo”
delle imprese (quando addirittura intimidatorio), la mancata conoscenza dei propri diritti
(soprattutto nel caso dei lavoratori stranieri), la difficoltà ad intraprendere le giuste procedure e la
“solitudine istituzionale” (questo tema sarà approfondito nella descrizione del post-infortunio par.5)
in cui si ritrova il lavoratore, sono elementi che inducono chi subisce un infortunio a ricercare
l’appoggio del sindacato e del patronato in particolare.
“Io conoscevo il sindacato prima di infortunarmi, però c’erano tante persone nel cantiere dove
lavoravo che non lo conoscevano. E non erano solo rumeni, c’erano lavoratori di tutti i tipi. Dopo
l’infortunio il sindacato mi è stato davvero utile perché se non sai quello che devi fare e dove devi
andare è tutto complicato”.
(F., operaio, nazionalità rumena – Roma)
“All’ospedale ho conosciuto una persona di nome T. che mi ha detto di chiamare il sindacato per
vedere se si poteva fare qualcosa […]. All’inizio non ho potuto denunciare l’infortunio. Poi come
dicevo abbiamo chiamato il sindacato è venuta qui la signora P. [della Fillea di Milano ndr] con
90 un altro sindacalista: mi hanno chiesto come erano andate le cose, e mi hanno detto di non
preoccuparmi. Poi abbiamo denunciato l’infortunio.
(A., manovale, nazionalità rumena – Milano)
Chiaramente i casi da noi intercettati attraverso le interviste restituiscono solo una minima parte di
quanto accade ogni giorno ad ogni nuovo lavoratore infortunato, quindi - come abbiamo già
evidenziato in sede di presentazione della ricerca - non è nostra intenzione poter generalizzare
atteggiamenti e comportamenti. Detto questo, però, è apparso evidente da ognuna delle
quarantacinque interviste fatte, che l’attivazione delle procedure burocratiche successive
all’infortunio rappresenta per i lavoratori ed i familiari il faticoso inizio di un percorso di
“appropriamento” dei diritti che non sempre si è in grado di fare da soli. Come vedremo anche in
seguito, il ruolo del sindacato (con tutti i limiti in un contesto di polverizzazione delle aziende e di
difficile sindacalizzazione dei lavoratori) diventa fondamentale per avviare e accompagnare in
questo percorso delle persone vulnerabili altrimenti lasciati sole.
Un altro aspetto importante rispetto alla procedura di denuncia dell’infortunio riguarda il certificato
medico di accompagnamento alla denuncia stessa.
Infatti, delle tre copie del modello di denuncia, due devono essere accompagnate dal referto del
medico che ha prestato la prima assistenza. Se si tratta di un medico non chiamato dal datore di
lavoro (ad esempio può trattarsi del medico di famiglia o di un medico di pronto soccorso), a lui
stesso incombe l’obbligo sia di inoltrare all’Inail il certificato, sia di notificare all’impresa che si è
provveduto a farlo.
Non sempre, purtroppo, il referto medico risulta essere attendibile e questo può provocare notevoli
problemi al lavoratore infortunato.
“Sono andato all’ospedale, ho seguito la procedura del pronto soccorso: radiografie e battibecchi
vari perché qui a Napoli funziona un po’ così […]. Ad esempio rispetto a queste schegge che ho nel
braccio, andando al pronto soccorso dei portantini dissero al medico che mi doveva assistere:
«Vabbè ha una scheggia nel braccio, lo possiamo mandare a casa, non è grave» […]. Dopo due
giorni andai dal mio medico curante che mi disse che lì per lì con una sondina, sarebbero riusciti a
toglierla. Però dopo due giorni la ferita si era cominciata a cicatrizzare e non si è potuto fare più
niente […]. L’Inail dopo 15 giorni mi ha mandato a lavoro perché mi hanno considerato idoneo, e
tu ci vai non è che non ci vai. Per la cicatrice 15 giorni erano sufficienti, ma non per la lussazione
alla spalla”.
(A., carpentiere, nazionalità italiana – Napoli)
91 “Dopo essere stato ricoverato in ospedale, i primi giorni me li ha dati il mio medico curante, poi
mi ha chiamato l’Inail. Ho dovuto fornire tutta la documentazione che avevo. Sinceramente sono
rimasto sconcertato che l’Inail che è una struttura così grande deve avere da me la documentazione
e non fa lei stessa le dovute indagini”.
(F., manovale, nazionalità italiana – Napoli).
Infine è utile segnalare che – viste le problematicità che possono sorgere nel momento della
denuncia di infortunio – i patronati hanno ottenuto che, su richiesta, il lavoratore (o nel caso il
patronato che lo tutela) abbia diritto ad avere dall’Inail una copia della denuncia compilata
dall’impresa e può quindi formulare le precisazioni che ritiene utili qualora sotto certi aspetti la
denuncia risulti reticente o non veritiera.
92 4.3 L’inchiesta
Come nel caso della denuncia di infortunio anche in questo paragrafo cercheremo di definire il
concetto di “inchiesta infortunio” e di riassumere sinteticamente le procedure e i fini dell’inchiesta.
Per fare ciò utilizzeremo la descrizione degli articoli 56 e seguenti del T.U. 1124/65 – d.lgs. 51 del
12 febbraio 1998, così come riportati nel già citato manuale dell’Inca “Infortuni e malattie
professionali”.
Nei casi di morte o di inabilità di durata complessiva superiore a 30 giorni, in seguito ad infortunio
o a malattia professionale, l’autorità di pubblica sicurezza (questore, commissario, sindaco), appena
ricevuta la denuncia che il datore di lavoro deve sempre inviargli, ne trasmette copia alle Direzioni
provinciali del lavoro nella cui circoscrizione è avvenuto l’infortunio. Entro quattro giorni dal
ricevimento della denuncia, si deve procedere ad un’inchiesta per accertare eventuali responsabilità
relativamente alle cause e alle circostanze che hanno determinato l’infortunio o la malattia
professionale. L’inchiesta può essere sollecitata con domanda, da parte dell’infortunato o dei suoi
familiari o dalla stessa Inail. L’inchiesta deve essere altresì completata non oltre 10 giorni da
quando è pervenuta la denuncia.
I fini dell’inchiesta, stabiliti per legge, sono di accertare:
•
la natura del lavoro al quale era addetto l’infortunato;
•
le circostanze in cui è avvenuto l’infortunio;
•
le cause e la natura dell’infortunio anche in riferimento ad eventuali deficienze di misure di
igiene e di prevenzione;
•
la natura e l’entità delle lesioni;
•
lo stato dell’infortunato;
•
la retribuzione.
In caso di infortunio mortale:
•
le condizioni della famiglia;
•
i superstiti aventi diritto alla rendita.
L’inchiesta si conclude con l’invio del processo verbale all’Inail e alle parti interessate. Qualora si
configurino ipotesi di reato il processo verbale dovrà essere trasmesso, ai sensi dell’art. 331 del
codice di procedura civile, alla competente Procura della Repubblica circondariale. Il lavoratore o i
suoi familiari possono costituirsi nel procedimento penale avverso il responsabile dell’infortunio e
93 se il processo si conclude con una sentenza di condanna, chiedere il risarcimento in sede civile per
quella parte dei danni che non vengono indennizzati dall’Inail.
Come visto, dunque, l’inchiesta per infortunio si attiva solamente nei casi più gravi e può essere
seguita da una causa civile e/o penale. Nelle interviste che abbiamo realizzato per l’indagine,
purtroppo, non sono stati infrequenti i casi in cui abbiamo parlato con lavoratori che hanno subito
gravi incidenti o con familiari di vittime sul lavoro che hanno dovuto avviare una causa. Come nel
caso della denuncia, il primo aspetto che vale la pena sottolineare riguarda l’attendibilità delle
dichiarazioni delle imprese successivamente all’infortunio.
“La cosa incredibile è che dopo l’infortunio l’azienda per cui lavoravo ha detto che ero caduto dal
ponteggio [che in realtà non c’era, M. lavorava su un tetto senza alcuna protezione, ndr] perché
stavo “giocando” con un mio collega a farmi dei “gavettoni” [giochi con l’acqua, ndr]. Per questo
adesso stiamo pensando [con la Fillea di Roma est, ndr] a una causa, ma purtroppo le possibilità
di vincere sono poche perché l’azienda ha convinto gli altri lavoratori a testimoniare in questo
senso.”
(M., aiutante carpentiere, nazionalità kossovara – Roma)
“Loro, i capi e i lavoratori, tutti albanesi, hanno cominciato a dire che per loro si era suicidato.
Cosa che io, conoscendo mio marito, escludo a priori. Loro non lo conoscevano, non potevano
pensare questo perché non c’erano motivi. Hanno inventato delle cose, tipo che eravamo pieni di
debiti ma io debiti non ne ho…che lui beveva. Vabbè beveva il sabato sera quando andava al bar
ma non era un alcolizzato sennò non andava a lavorare la mattina alle sette”.
(P., nazionalità italiana, vedova di L. piastrellista nazionalità italiana morto sul lavoro a circa 55
anni - Milano)
“Sono state omesse tante cose. Il datore di lavoro ha corrotto gli operai che erano presenti al
lavoro durante l’incidente; prima erano dalla parte di mio marito e gli dicevano di non
preoccuparsi ma poi è cambiato tutto e nelle udienze hanno cambiato versione non so cosa il
datore gli abbia detto o promesso”.
(A., nazionalità italiana, moglie di G. operaio edile infortunato - Gela)
In tal senso va chiarito che l’Inail riconosce l’indennità in base al guadagno del lavoratore e che il
danno differenziale lo paga l’azienda, quindi, in caso di negligenza del lavoratore l’Inail non paga.
94 Inoltre, l’art 10 del T.U. 1124/65 dichiara che l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro esonera
il datore di lavoro dall’obbligo di risarcire i danni in sede civile nei confronti dei lavoratori che
hanno subito un infortunio. Tale esonero, però, non vige se si verificano queste ipotesi:
•
condanna penale del datore di lavoro per il fatto dal quale è derivato l’infortunio;
•
sentenza penale che stabilisce che l’infortunio sia avvenuto per fatti imputabili ad uno dei
sorveglianti o altri dipendenti;
•
estinzione del reato;
•
infortuni non soggetti all’obbligo dell’assicurazione;
•
provvedimento di archiviazione, non essendo stata promossa l’azione penale nei confronti
del datore di lavoro o di un suo dipendente. In tal caso l’accertamento del fatto può essere
compiuto dal giudice civile.
In questi casi il lavoratore può promuovere una causa civile per ottenere il risarcimento da parte del
datore di lavoro. La determinazione dell’ammontare di tale risarcimento si basa sulla valutazione
globale del danno subito.
Peraltro con il nuovo sistema indennitario dei danni di origine lavorativa introdotto dall’art. 13 del
d. lgs. 38/2000 (il cosiddetto “danno biologico”) l’azione del risarcimento in sede civile da parte del
lavoratore risulta più limitata.
È tuttavia utile ricordare che pur essendo comune l’oggetto (danno biologico) e pur in presenza di
alcune analogie tra il sistema indennitario delineato dall’art.13 e il sistema risarcitorio-civilistico,
differenze significative derivano dalla diversa finalità dei due sistemi e dalla conseguente diversa
strutturazione del meccanismo di ristoro del danno. Mentre l’indennizzo Inail è infatti finalizzato a
garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore e le condizioni di salute del danneggiato
sono oggetto di valutazione nel tempo, il sistema risarcitorio è finalizzato a risarcire il danno nella
esatta misura in cui si è verificato, per mezzo di una erogazione in capitale omnicomprensivo, che
chiude definitivamente il rapporto34.
34
Cfr. anche Anmil, II rapporto Anmil sulla tutela delle vittime del lavoro, 2008 pp.13-14 (www.anmil.it): “Senza
entrare nel merito del dibattito sulle tipologie di danno risarcibile ed indennizzabile, nell'ordinamento coesistono ormai
due sistemi concorrenti di tutela del danno subito dal lavoratore in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di una
malattia professionale: quello risarcitorio, regolato dal diritto comune, e quello indennitario, regolato dall'assicurazione
obbligatoria.
Il primo è preordinato a ristorare in modo integrale il danno subito dal lavoratore vittima di un atto illecito. Condizione
per l’operatività di tale tutela è la rigorosa prova, a carico del lavoratore, del danno subito e dell’illecito in tutti i suoi
elementi fondamentali (condotta, imputabilità, colpevolezza).
Il secondo, che assolve ad una funzione sociale ed è finalizzato a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del
lavoratore, in base all’art. 38 della Costituzione opera automaticamente al verificarsi dell’evento generatore di bisogno,
indipendentemente da ogni valutazione circa la natura e l’imputabilità del fatto generatore del bisogno.
Nell’ambito del sistema di responsabilità civile, pur fra contrasti si è affermato un assetto “bipolare” della tutela
risarcitoria con, il danno patrimoniale propriamente detto da un lato, e dall’altro, il danno non patrimoniale, ove
95 Per quanto riguarda il caso del processo penale, invece, questo può essere attivato sia per lesioni
poco gravi attraverso una querela dell’interessato, ovvero nel caso di lesioni gravi o gravissime
viene attivato di ufficio. Ci sono in questo caso alcuni aspetti che abbiamo approfondito con un
avvocato penalista che collabora con la Fillea di Roma il quale ha sottolineato una serie di difficoltà
che incontrano i lavoratori nella percorso processuale.
In primo luogo il processo che prevede il risarcimento del danno subisce gli stessi endemici ritardi
che subiscono gli altri processi. Al tribunale di Roma ad esempio passano anche 3 o 4 anni prima
della sentenza. In secondo luogo va detto che spessissimo coloro che subiscono l’infortunio non
ottengono la solidarietà dei loro colleghi di lavoro, ovvero – come abbiamo avuto modo di vedere
precedentemente – quando vengono sentiti come testi dalla polizia dalla procura o dagli ispettorati
del lavoro preferiscono non testimoniare o testimoniano il falso.
In tal senso è opportuno sottolineare che nel processo penale è obbligo dell’accusa dimostrare la
mancata attuazione delle norme infortunistiche da parte del datore di lavoro (mentre, semplificando,
si può dire che nel processo civile c’è un’inversione dell’onere della prova) e ciò chiaramente causa
delle difficoltà in più.
Inoltre, l’attività investigativa nei casi di incidenti sul lavoro non sembra poter disporre di strumenti
particolarmente efficaci per riuscire ad accertare la verità, anche perché non sono rari i casi in cui le
imprese riescono a modificare la scena dell’infortunio o cercano di contattare il lavoratore o i
parenti per evitare che l’incidente possa sfociare in una inchiesta, magari di tipo penale.
In definitiva la sensazione è che il ricorso all’intervento giudiziale sia sostanzialmente lontano dalla
cultura dei lavoratori.
“Una parte infinitesimale di lavoratori si rivolge al sindacato per danni subiti a causa della
mancata applicazione delle norme di sicurezza. In sei anni a Roma est non ci sono praticamente
querele da parte dei lavoratori e noi abbiamo intercettato giusto una decina di casi […]. Il
problema fondamentale è che non c’è la cultura per cui la sicurezza sul lavoro possa essere
tutelata anche attraverso l’intervento giudiziale. Le rare volte che viene attivato poi i tempi sono
lunghi e i risultati sono molto incerti. Inoltre per il ristoro dei danni bisogna attendere che il
processo sia finito, almeno in una prima parte e verificare che il ristoro sia immediato in attesa del
confluiscono tutti i danni di natura non patrimoniale derivanti da lesione di valori inerenti alla persona: il danno morale
soggettivo, inteso come temporaneo turbamento dello stato d’animo della vittima; il danno biologico in senso stretto,
inteso come lesione dell’interesse all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico;
infine il danno (spesso definito in dottrina e giurisprudenza come esistenziale) da lesione di (altri) interessi di rango
costituzionale inerenti alla persona.
Nei rapporti fra i due "mondi” - civilistico e pubblicistico - se responsabile dell’evento è il datore di lavoro, vale la
regola dell’esonero da responsabilità civile del datore di lavoro di cui all’art. 10 del T.U., per effetto della quale questi è
esonerato dalla responsabilità civile, a meno che non sia accertato che l’evento sia avvenuto per un fatto costituente
reato perseguibile d’ufficio, commesso dal datore di lavoro o da un lavoratore suo dipendente”.
96 giudizio definitivo. L’altra follia è che nelle rare volte in cui si riesce ad arrivare alla fine del
processo, la società imputata spesso si è sciolta e non ci può più rivalere contro di essa”.
(S., Avvocato – Roma)
“È stata la magistratura ad individuare questi personaggi anche tramite l’ispettorato del lavoro. Le
indagini sono state proficue, è il risultato che ci ha deluso. La sentenza di 1° grado doveva essere
depositata entro 90 giorni ed invece è stata depositata dopo 2 anni. E poi non ho avuto niente né
come risarcimento morale con l’arresto né come risarcimento materiale[…]. Dopo 8 anni di
processo, in primo grado sono stati condannati i 3 imputati ad 1 anno e 6 mesi per omicidio
colposo, sentenza confermata in appello. Gli imputati sono stati condannati anche al pagamento di
una provvisionale, per le due famiglie, di € 75.000 ciascuna. Nessuno però ha mai pagato. Né col
carcere né col denaro. Io dalla morte di mio marito non ho ottenuto un centesimo dai responsabili.
Uno risulta nullatenente ed è anche pregiudicato; gli altri due che erano titolari dell’immobiliare
un mese dopo l’incidente hanno venduto l’area […] che adesso ha fatto palazzi per uffici, un
grande complesso immobiliare. Io mi chiedo: perché il magistrato non ha fatto sequestrare l’area
in modo da ricavare il risarcimento dalla vendita successiva? Perché non sono stati bloccati dei
soldi da quella vendita per il risarcimento?”
(F., nazionalità italiana, vedova di C. operaio morto sul lavoro a 31 anni - Catania)
“C’è ancora un’inchiesta in corso. Le indagini sono state fatte però la causa è ancora ferma in
tribunale. Sono quasi due anni che è avvenuto l’infortunio. Hanno appena deciso chi sono le
persone inquisite. Ma il processo penale non è ancora iniziato”.
(F., nazionalità rumena, fratello di G. muratore morto sul lavoro a 28 anni - Legnago).
97 5. Le conseguenze
5.1 Le terapie dopo l’infortunio
Il lavoratore che subisce un infortunio attraversa un percorso di cura, e questo determina la
possibilità che ha di limitare i danni e di migliorare le proprie condizioni di salute. Secondo la
legge, le cure sono fornite in maniera gratuita al lavoratore dal Servizio Sanitario Nazionale e dagli
ambulatori dell’Inail attivati da apposite convenzioni con le Regioni.
Avere l’opportunità di accedere alle cure è un fattore chiave per la tutela della salute ma la
possibilità di ottenere una cura corretta non è una certezza, e l’analisi dei casi mostra alcune
difficoltà, in particolare: a) il deficit d’informazioni non consente di orientarsi correttamente
all’interno del sistema sanitario e esistono molti ostacoli dovuti alla burocrazia; b) le opportunità
terapeutiche sono scarse e i lavoratori devono affrontare delle spese; c) il livello di cure erogate non
è uniforme; d) manca il sostegno psicologico.
Il primo contatto post-infortunio è, nella quasi totalità dei casi, con la struttura ospedaliera. Questo
passaggio è immediato e non sembra porre degli ostacoli ai lavoratori. I problemi in ospedale
sopraggiungono, in alcuni casi, quando s’incontrano strutture non attrezzate e personale poco
preparato, anche se nel complesso il giudizio complessivo verso le prime cure ospedaliere è
positivo.
La sensazione più diffusa tra i lavoratori che hanno subito un incidente è quella di sentirsi in balia
degli eventi. La scarsità d’informazioni e di comunicazione, unita al peso del problema
infortunistico, pone i lavoratori in uno stato di subalternità rispetto al percorso di cura. Il sistema
sanitario sembra poco accogliente verso questi individui che, dopo avere subito l’incidente, sono
particolarmente fragili e smarriti, e così il percorso di cura - in molti casi - invece di essere una
soluzione si trasforma in un problema.
“Successivamente [dopo la degenza in ospedale ndr] quando cominci a capire e riprendi a
camminare.. e io sono stato un mese in coma.. ti imbatti nella cosa più brutta, che è lo scontro con i
vari enti e con le varie istituzioni. Se non ti ha ammazzato l’infortunio ti ammazzano le istituzioni.
E’ come una via crucis. Ogni ente ti sbarra la strada. Ogni ufficio ti dice vai dall’altra parte; nella
sanità ogni medico ti dice vai dall’altro. Io sono stato sfortunato. Per fortuna però non è sempre
così: ho trovato anche una parte di medici che mi ha aiutato”
(B., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
98 “Le cliniche, i dottori, li devi trovare da solo”
(M., compagna di S., gruista, nazionalità rumena - Roma)
L’infortunio è un evento non previsto nella vita di un individuo, e dunque il lavoratore è totalmente
impreparato ad affrontarne le conseguenze. Il deficit d’informazioni e comunicazioni è dunque un
ostacolo per il conseguimento di un adeguato percorso di cura, e può inficiare la guarigione del
malato. A questo si deve aggiungere che l’infortunio, essendo un evento strettamente regolamentato
perché coinvolge l’individuo, le istituzioni e le parti datoriali, è costellato di continui passaggi
burocratici, anche per la definizione del percorso di cura. La burocrazia è dunque un ulteriore
ostacolo, per due ragioni: a) il lavoratore che ha subito un infortunio è certamente poco interessato a
svolgere le pratiche burocratiche necessarie, poiché è concentrato sui problemi psicologici, fisici e
materiali per sé e la sua famiglia; b) la burocrazia è particolarmente complessa e non esistono
adeguate azioni di supporto.
La solitudine è uno dei primi problemi che il malato affronta. I lavoratori hanno la sensazione di
essere da soli nell’affrontare un problema, e i canali informali, l’aiuto di famigliari, amici e altri
medici particolarmente motivati, sono quelli che più riescono a facilitare la costruzione di un
percorso di cura. Questo comporta dei seri problemi per chi ha scarsa familiarità con il sistema
sanitario nazionale e una ristretta rete di supporto informale, come, ad esempio, i lavoratori
immigrati.
“Non conoscevo nessuno, e dopo che S. [il lavoratore che ha subito l’infortunio, ndr] è uscito
dall’ospedale la situazione era critica. Fortunatamente grazie ad un infermiere e ad un medico
specialista, che mi hanno presentata, siamo riusciti a venire qui [in una clinica specializzata, ndr].
Grazie a questo dottore ho potuto parlare con il primario.”
(M., compagna di S., gruista infortunato, nazionalità rumena - Roma)
Le terapie post-infortunistiche sono fondamentali per migliorare le condizioni dei lavoratori ed è
necessario che siano praticate con tempestività e continuità. Invece i percorsi di cura sono
estremamente frammentati, e periodi in cui il lavoratore segue delle terapie si alternano
frequentemente a periodi in cui egli non le riceve. L’Inail, attraverso la gestione diretta di alcuni
centri e attraverso delle convenzioni, garantisce alcune prestazioni, ma sono numericamente
insufficienti e di difficile accesso. Eppure, i lavoratori che hanno usufruito di queste convenzioni,
sono particolarmente soddisfatti ed hanno notevolmente migliorato le proprie condizioni di salute.
Basti pensare a quanto è basilare fare fisioterapia per recuperare l’attività motoria in seguito a un
99 danno che inficia il corretto uso degli arti. Un percorso di cura scorretto, al contrario, può
danneggiare la salute di un lavoratore per sempre.
“[Il lavoratore è sulla sedia a rotelle ed ha difficoltà ad esprimersi, ndr] Faccio soprattutto
fisioterapie con le macchine [in una clinica convenzionata, gratuitamente, ndr], mi hanno anche
messo in piedi. [Interviene la compagna] Lo hanno anche fatto camminare.. era così contento. Qui
ci sono i macchinari e la fisioterapia è di due ore al giorno. Ci sono dei progressi. La fisioterapia
qui funziona. Invece quando venivano i medici a casa potevano fare solo i massaggi e per
mezz’ora. [Il lavoratore infortunato, era precedentemente stato curato da una clinica in
convenzione, ma la convenzione prevedeva che la terapia durasse al massimo due mesi, superati i
quali è dovuto tornare a casa. La sua abitazione era al quarto piano senza ascensore, e lui è su una
carrozzina perché non può camminare. A casa la sua salute, fisica e psicologica è peggiorata, e la
compagna si è dovuta muovere autonomamente per cercare di farlo accedere ad un’altra clinica
convenzionata, ndr]. Siamo stati da un medico per un controllo. Lui ha visto le sue condizioni e mi
ha detto di venire qui. Ho provato anche ad andare all’«Ospedale Centrale» ma mi hanno detto che
avrei dovuto aspettare altri tre mesi, ma stare tutto questo tempo senza fisioterapia sarebbe stato
un disastro. Invece questo medico è stato una grande persona. Ci siamo arrivati grazie a delle
amicizie. I medici dell’Inail sono venuti solo per darci il punteggio dell’invalidità.”
(S., gruista, nazionalità rumena e la sua compagna M. - Roma)
La terapia è indispensabile, e in molti casi il lavoratore è costretto a pagarla perché non riesce ad
accedere a cure convenzionate, e addirittura alcuni farmaci sono a pagamento.
“Alcuni tipi di riabilitazione li passa l’Inail, altri no. La riabilitazione quindi l’ho dovuta fare a
spese mie perché il tipo di fisioterapia che mi serviva l’Inail non la copriva rispetto all’accordo che
c’è con l’Asl”
(V., muratore, nazionalità italiana - Napoli)
“Io ho fatto fisioterapia per quasi sei mesi [...] non ho pagato niente. [...] I farmaci che ho preso
dopo li ho pagati da solo”
(Z., operaio, nazionalità rumena - Roma)
100 “Io sono stato in ospedale per tre mesi e ho fatto quattro interventi alla mano, però alla fine mi
hanno dovuto amputare il dito. Ho fatto solo un mese di fisioterapia, poi me la sono dovuta pagare
da solo”
(F., muratore, nazionalità rumena - Roma)
“Io ho bisogno di farmaci che purtroppo sono a pagamento e sono necessari però. Io ho chiesto
all’Inail ma mi hanno detto che non ci possono fare niente... non sono rimborsabili.”
(D., montatore di capannoni, nazionalità italiana - Comiso)
“La fisioterapia che devo fare io non la passa la mutua e la devo pagare. La laserterapia l’ho
dovuta pagare io. Un po’ è servita.. però ho continuato ad avere dei problemi.. anzi, col tempo,
peggioro. Adesso comunque ho smesso di fare fisioterapia.. perché costa troppo.. cento euro per
dieci giorni. Io sono qui in Italia da solo, vivo ad Ostia con degli amici e pago 230 euro un posto
letto [più della pensione di invalidità che prende, pari a 205 euro, ndr] [...] Fino ad ora ho fatto tre
operazioni. Non ce la faccio a lavorare nelle condizioni in cui sono ora [le sue condizioni fisiche
stanno via via peggiorando, ndr]”
(M., operaio, nazionalità kossovara - Roma)
I lavoratori in alcuni casi sono costretti a perseguire la propria guarigione da soli, anche facendo
fronte a spese notevoli, per inadempienze proprie del sistema sanitario che rischiano di rendere le
conseguenze dell’infortunio ancora più gravi.
“Io ho dovuto fare un intervento, qualche mese dopo l’ospedalizzazione immediata all’incidente,
che ho dovuto pagare e mi è costato 2.350 € perché io avevo un problema anche al tendine di
achille che si era ritratto cosi tanto e non potevo aspettare la lista d’attesa di 8 mesi per poter fare
l’intervento perché da qui ad 8 mesi mi sarei ridotto con un piede che si sarebbe contorto da solo,
per cui ho preferito pagarlo per non andare incontro ad altri problemi ed aggravare ancora di più
la situazione.”
(C, operaio, nazionalità italiana - Catania)
I casi positivi, in cui la terapia ha funzionato ed è stata gratuita, sono quelli raccontati da lavoratori
che hanno già subito un’esperienza simile, o avuto accesso a un maggior numero di informazioni e
di supporto.
101 “La riabilitazione che ho fatto l’ha pagata tutta l’Inail. Le strutture dove ho fatto terapia erano
buone e tutto è andato per il meglio. Il problema è che capita che ci sono operai che non conoscono
fino in fondo come muoversi e quindi rischiano di perdere tanto tempo e di non ottenere tutto
quanto gli spetta. Per me, ad esempio, è stata molto utile l’esperienza di mio fratello che si era
infortunato prima di me”
(S. gruista, nazionalità italiana - Roma)
Anche l’Inail, che ha il ruolo di definire i giorni di assenza per infortunio o malattia, sembra in
alcuni casi avere, come obiettivo, la riduzione delle giornate di assenza piuttosto che la tutela della
salute dei lavoratori, e questo ha comportato, per molti di loro, la compromissione della salute e, in
alcuni casi, la presenza di nuovi danni.
“Con l’Inail la pratica è partita quasi subito: mi hanno dato 15 giorni. Ho fatto visite, ‘contro
visite’, perché loro si volevano assicurare. Infatti dopo 15 giorni mi hanno mandato al lavoro
perché mi hanno considerato idoneo, e tu ci vai non è che non ci vai. Per la cicatrice 15 giorni
erano sufficienti, ma per la lussazione alla spalla no. Avevo bisogno delle terapie e di altre cure
che non mi hanno fatto fare, e sono rimasto col braccio che più di tanto non lo posso alzare. Dopo
non ho fatto fisioterapie… perché per loro ero guarito. Se volevo farle dovevo farle fuori
dall’orario di lavoro, e a pagamento. E io chiaramente ho detto no. Purtroppo se non lavori, a casa
cosa porti? Si fanno anche tante cose per non metterti contro l’impresa.”
(A., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
“L’Inail mi ha pagato soltanto i tempi in cui sono stato fermo dal lavoro. Poi sono tornato a lavoro
con fastidi vari . Mi sono dovuto mettere in malattia. Ho provato a dire all’Inail che c’era stato un
aggravamento a seguito dell’infortunio, ma l’impiegato mi mandava avanti e indietro senza farmi
capire bene com’era il meccanismo. Dopo mi è stato spiegato il meccanismo da altre persone ma
dopo aver fatto l’intervento e tutto il resto ho detto: «vabbè lasciamo stare ormai ho fatto».
L’Inail non mi aveva detto niente. Dopo un po’ di tempo sono andato a fare una tac per conto mio
e si è visto che c’era questa cisti sul legamento. Ho tirato avanti finché potevo perché questa cisti si
metteva in una posizione in cui dava fastidio. Poi ho dovuto fare delle visite ortopediche e si è visto
che questa cisti dava fastidio alle funzioni del ginocchio. Mi hanno detto di decidere cosa fare, se
tenerla o toglierla. Ho deciso di toglierla e ho fatto l’intervento. Dopo l’intervento le fisioterapie le
ho fatte per conto mio. Era passato un anno dall’infortunio, mi sono dovuto mettere in malattia. Ho
102 fatto due tre visite con due tre ortopedici per vedere la situazione com’era, mi hanno confermato il
fatto e ho scelto l’ospedale dove mi sono messo in lista per l’intervento.”
(A., muratore, nazionalità italiana - Napoli)
“Eravamo sul ponte, dovevo mettere delle travi sul tetto e sono caduto da un’altezza di dodici metri
[..] La botta è stata forte perché ho sbattuto violentemente la testa sul cemento. [...] Il danno
dell’incidente è stato un trauma cranico con edema cerebrale, diverse fratture al viso e un
problema all’occhio. [Il lavoratore è stato in ospedale 16 giorni dopo l’incidente, ndr]. Ho chiesto
più volte di fare terapie riabilitative ma non me le hanno fatte fare. Mi hanno detto, all’ospedale
dove mi ha mandato l’Inail, che il trauma che ho avuto non necessita terapie, il dolore andrà via
col tempo e per il momento devo conviverci. […] Ho ancora un mal di testa esagerato, ma sono
tornato a lavorare. Perché i medici dell’Inail mi hanno detto che devono chiudere la pratica. [...]
Mi hanno detto che eventualmente con il medico legale facciamo ricorso se assegnano un
punteggio basso. [Il lavoratore ha nuovamente ripreso a lavorare tre giorni prima dell’intervista,
dopo quattro mesi in cui era stato senza lavoro, ndr] Questi tre giorni sono stati duri, è un tipo di
lavoro in cui ci si abbassa ed alza in continuazione e queste oscillazioni della testa sono tremende
soprattutto sotto il sole”
(E., operaio di II livello, nazionalità italiana - Modica)
Il percorso è talmente difficile che dopo l’infortunio inizia una vera e propria battaglia per il
lavoratore, e le istituzioni più che sembrare un supporto diventano un avversario con cui
confrontarsi.
“Dopo l’incidente ci sono delle cose tanto semplici per aiutare le persone anche con minori spese
che però non si fanno. Devi fare guerra a tutti per far valere una parte dei tuoi diritti.”
(B., operaio, nazionalità italiana - Salerno)
I dati statistici dell’Inail, a disposizione nelle banche dati on line e nei rapporti pubblicati, non
rendono giustizia del difficoltoso percorso terapeutico che un lavoratore infortunato deve seguire.
Spesso i dati ci parlano di “traumi”, “contusioni”, “fratture”, come casi singoli. Nella realtà gli
infortuni comportano un insieme di conseguenze negative, e più danni possono essere subiti da un
singolo lavoratore. Così come i problemi più immediati generati dall’incidente possono avere delle
ulteriori conseguenze negative, più o meno prevedibili, e ci sono dunque effetti a breve e a lungo
termine.
103 “I danni subiti dall’incidente, sono stati: trauma cranico, tre costole rotte, emorragie interne,
l’omero è uscito col tendine rotto e la gamba spappolata, poi.. mentre mi operavo.. ho avuto un
infarto. Poi siccome mi hanno ingessato la gamba con ancora la ferita dopo qualche giorno nel
gesso si formò una macchia ed una puzza incredibile perché la gamba stava andando in cancrena e
mi hanno fatto più di 25 lavaggi. Io, ancora oggi, ho la ferita aperta..”
(G., aiuto carpentiere, nazionalità italiana - Palermo)
“A me l’incidente ha comportato: trauma cranico, la rottura della rocca petrosa, lo spappolamento
dell’udito.. un fruscio continuo.. la perdita dell’equilibrio, due tre interventi alla cervicale, il
facciale completamente spostato..”
(B., operaio, nazionalità italiana - Salerno)
Tra le conseguenze dell’infortunio, come abbiamo visto, ci sono i danni psicologici, provocati dal
trauma dell’incidente e dalle difficoltà di una condizione di vita che cambia in maniera immediata:
il lavoratore si deve confrontare con le difficoltà economiche, con la perdita del lavoro, con la
propria malattia e in alcuni casi con delle conseguenze permanenti.
Alcuni lavoratori, proprio per questo, attraversano un percorso di cura psicologico, ma non è una
pratica diffusa e questi percorsi risultano insufficienti.
A questi fattori, bisogna aggiungere il confronto con il percorso di cura, che si dimostra inadeguato
nell’offrire un sostegno psicologico e in molti casi, per le difficoltà prima analizzate, non fa che
peggiorare la situazione emotiva. È quindi molto facile che un lavoratore cada nella depressione,
così come che si senta estremamente pieno di rabbia e al tempo stesso impotente e solo.
“[Subito dopo l’incidente, ndr] i giorni non passavano mai: era un incubo. […] Sono stati i 40
giorni più brutti della mia vita. Tentavo di farmi forza con quello che mi dicevano gli altri, e cioè
che sarebbe potuta andare peggio.. ma non mi consolava.. pensavo che da quello stato non sarei
uscito mai più. [alla domanda: «avresti avuto bisogno di un sostegno psicologico?», l’intervistato
risponde come segue] Si, ne avrei avuto bisogno.. ma non l’ho chiesto.. nessuno mi ha consigliato..
non so neanche se ne ho la possibilità. All’ospedale non mi hanno detto niente..”
(E., operaio II livello, nazionalità italiana - Modica)
104 “La depressione è dovuta proprio a questa serie di circostanze, nel momento in cui ti vedi
abbandonato da tutti. La questione poi si ripercuote in ambito familiare. Io ad esempio ho due figli
a casa. Una sono riuscita con tantissime difficoltà a mandarla a scuola, l’altra no. Io ringrazio Dio
di avere una famiglia che mi ha aiutato e mi aiuta, altrimenti non ce la fai.”
(B., operaio, nazionalità italiana - Napoli)
105 5.2 Il reinserimento al lavoro
Per quanto concerne il reinserimento post-infortunio la normativa sul diritto al lavoro delle persone
disabili (L.68/99), contiene delle specifiche per quello che attiene al ricollocamento e la
riqualificazione degli infortunati sul lavoro35. In tal senso l’obiettivo del legislatore era quello di
garantire a questa particolare categoria di lavoratori disabili un trattamento che tenesse conto che
prima dell’evento infortunistico, questi fossero già integrati nel mondo del lavoro.
“A fronte di questo chiaro orientamento legislativo volto a riservare un trattamento privilegiato o
comunque specifico agli invalidi del lavoro, la disciplina regolamentare non ne ha colto appieno il
senso, puntando piuttosto a superare l’indirizzo stesso per un generico riferimento al complesso dei
soggetti portatori di invalidità. Un segnale, forse, di divaricazione fra le scelte legislative e l'azione
amministrativa frutto di un "comune sentire" volto a privilegiare la situazione di bisogno piuttosto
che i fattori che ne sono la causa, con l'aggravante di attrarre in questo modo verso il basso i livelli
di situazioni particolari piuttosto che di attrarre verso l'alto la generalità delle tutele” (ANMIL
2008).
Quanto previsto dalle norme, però, viene troppo spesso disatteso. Una delle maggiori problematicità
che abbiamo riscontrato nell’ambito della nostra indagine, infatti, riguarda la difficoltà che hanno i
lavoratori infortunati di poter rientrare al proprio posto di lavoro o quanto meno nel mercato del
lavoro. Un fattore molto importante riguarda peraltro la peculiarità del settore oggetto dell’analisi. Il
lavoro edile, infatti, richiede una capacità fisica piuttosto elevata e inabilità contrassegnate dall’Inail
con percentuali di invalidità non molto alte, possono essere in realtà completamente invalidanti per
un lavoratore edile.
35
Art. 1. (Collocamento dei disabili). Comma 7. “I datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a garantire la
conservazione del posto di lavoro a quei soggetti che, non essendo disabili al momento dell'assunzione, abbiano
acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali disabilità”. Art. 4. (Criteri di computo della quota
di riserva). Comma 4. “I lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di
infortunio o malattia non possono essere computati nella quota di riserva di cui all'articolo 3 se hanno subito una
riduzione della capacità lavorativa inferiore al 60 per cento o, comunque, se sono divenuti inabili a causa
dell'inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza
ed igiene del lavoro. Per i predetti lavoratori l'infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di
licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni
inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni inferiori essi hanno diritto alla conservazione del più favorevole
trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Qualora per i predetti lavoratori non sia possibile
l'assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all'articolo 6,
comma 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza inserimento nella
graduatoria di cui all'articolo 8”.
106 “Molti dicono che col mio infortunio sarò agevolato nella ricerca di un lavoro per le quote agli
invalidi, ma io non ci credo. Anzi, credo che sarà un limite enorme nella ricerca di un lavoro…”
(C., operaio edile, nazionalità italiana – Catania)
“Dopo l’infortunio non ho più ripreso a lavorare. Dopo due anni dall’infortunio mi sono iscrtto
nella categoria protetti ma non sono mai riuscito ad entrare. E mi sono stancato di andare a
chiedere l’elemosina. Non sapevo e non conoscevo le trappole che ci sono negli enti pubblici. Dopo
5 anni scopro all’interno della struttura categoria protetti di Avellino che per andare a lavorare
devi dare la disponibilità. Ma io ero disoccupato, più disponibile di me non c’era nessuno. Mi
dissero che ogni volta che esponevano fuori il manifesto dovevo stare attento e dovevo presentare
la mia domanda. Allora a furia di andarci ti stanchi, ti spezzano man mano. Io non ho avuto
l’onore di potermi inserire”.
(B., manovratore, nazionalità italiana – Napoli)
“Adesso non lavoro, prendo 249 euro al mese [indennità mensile dovuta ad una invalidità del 21%,
ndr] e resisto solo perché c’è mia sorella con il marito che mi aiuta e mi paga tutto…sono
fortunato che c’è mia sorella. Se non c’erano loro dovevo per forza tornare in Marocco. Io sono
sposato ma da quando ho avuto l’infortunio non sono più potuto andare a casa. Mia moglie è
rimasta in Marocco. Adesso potrei fare al massimo il magazziniere, non ce la faccio nemmeno a
guidare. C’è il capo-cantiere che è come un fratello e mi aiuterebbe però adesso c’è poco lavoro
per tutti. Dopo l’infortunio il proprietario mi ha chiamato solo una volta. Poi hanno chiuso la ditta
per cui lavoravo e ne hanno riaperta un’altra con un nome diverso”.
(O., manovale, nazionalità marocchina - Firenze)
“Mi hanno dato il 16% di invalidità e come pensione avevo 153 euro. Poi mi sono messo in
malattia. Adesso prendo 205 Euro di pensione e mi hanno riconosciuto altri 4 punti di invalidità
perché sono peggiorato […]. Non ce la faccio lavorare nelle condizioni in cui sono ora. Non riesco
a stare troppo tempo in piedi perché mi si gonfia la gamba e poi ho problemi alla schiena. La cosa
che mi preoccupa di più è il mio futuro…”
(M., manovale, nazionalità rumena – Roma)
Il tema del reinserimento, è probabilmente uno degli aspetti maggiormente sensibili nella fase del
post-infortunio. A parte i casi in cui gli incidenti sono di lieve entità e pochi casi in cui le imprese
hanno cercato di favorire il reintegro lavorativo con sensibilità e un intervento sull’organizzazione
107 del lavoro, nella maggior parte delle situazioni abbiamo verificato che il destino del lavoratore
infortunato è particolarmente difficoltoso. Da un lato, infatti, le imprese tendono a “dimenticarsi”
dei lavoratori infortunati che da preziose risorse diventano inutili intralci, dall’altro i lavoratori
stessi subiscono una doppia violenza: la menomazione fisica e la sensazione di incapacità al lavoro.
Dal punto di vista psicologico, prima ancora che economico, l’effetto di un infortunio e di un
mancato reinserimento lavorativo è un trauma che in molti dei lavoratori intervistati ha lasciato
delle tracce molto profonde. Un operaio edile che ha passato la sua vita lavorativa in cantiere ed ha
acquisito una forte professionalità difficilmente riesce a trovare una collocazione nel mercato del
lavoro che gli consenta di poter valorizzare le sue competenze e che gli permetta di mantenere i
livelli di qualifica e quindi di reddito acquisiti. Per chi invece ha subito un infortunio invalidante
ancora giovane è evidente che le ricadute lavorative, sociali e psicologiche siano ancor più
devastanti. Tanto più quando si tratta di lavoratori immigrati che sono costretti a interrompere il
loro progetto migratorio e che mancando dei diritti di cittadinanza risultano essere maggiormente
vulnerabili.
“Mi ritrovo con una pensione di 392 euro al mese e basta. Avrei preferito avere le mie gambe e un
lavoro. Io con questa somma non ci faccio niente, a stento mi pago le sigarette. Ma quello che io
preferirei risolvere non è tanto il lato economico della faccenda che peraltro non mi soddisfa, ma
la possibilità di un lavoro e di uno stipendio”.
(C., operaio edile, nazionalità italiana – Catania)
“Dopo l’incidente non potevo lavorare, non avevo la capacità di lavorare, fisicamente non ce la
facevo: la perdita quasi di una mano, non mi permetteva di fare niente. Aspettavo qualche notizia
dall’ufficio invalidi ma là stanno a dormire, sono passati anni e stanno ancora dormendo […].
Dopo qualche anno sono stato assunto, ma poco tempo fà mi hanno licenziato anche da quest’altra
azienda. Mi avevano assunto come invalido, categoria protetta, ma non hanno rispettato il mio
contratto. Mi hanno fatto fare delle cose al di fuori del normale. Non ero un invalido praticamente.
Era un’azienda edile. Sulla carta dovevo fare il carpentiere. E quello svolgevo. Non ho mai preso
posizione dicendo: «guarda sono invalido, questo non lo posso fare». Per guardarmi il posto di
lavoro un pizzico di sforzo l’ho fatto. Ma poi mi hanno licenziato. Io sono stato assunto come
invalido e mi hanno licenziato, la motivazione era riduzione di personale […]. Adesso sono di
nuovo disoccupato con la rendita dell’Inail. Per ora riusciamo ad andare avanti, ma una volta
finita la disoccupazione siamo punto e a capo”.
(V., carpentiere, nazionalità italiana – Napoli)
108 “Prima lavoravo in nero, poi al momento in cui ho subito l’infortunio mi hanno fatto firmare il
contratto e insieme la lettera di dimissioni […]. Adesso non mi prende nessuno a lavorare. Aspetto
che si chiuda la pratica e poi torno in Romania, almeno anche se non trovo lavoro lì forse mi posso
mantenere”.
(Z., manovale, nazionalità rumena – Roma)
Come dicevamo però ci sono anche dei casi in cui il reinserimento al lavoro è stato possibile. In
queste occasioni la sensazione è che oltre al fatto che il lavoratore sia effettivamente in grado di
poter lavorare (anche se non necessariamente nello stesso ruolo), sia importante il rapporto che si è
instaurato con il datore di lavoro nel corso del tempo (quindi un fattore soggettivo di conoscenza e
fiducia tra imprenditore e lavoratore) e soprattutto il senso di responsabilità dell’impresa che non
“abbandona” il lavoratore dopo l’infortunio (in questo caso è un fattore oggettivo di buona gestione
del personale), ma che considera l’incidente come una eventualità che può incidere sulle attività
lavorative ma non sul rapporto di lavoro (a meno, chiaramente, di gravi menomazioni che rendano
impossibile il reintegro nell’azienda).
“Per me il reinserimento è stato facilitato dal fatto che lavoravo nella stessa ditta da tanti anni. Io
mi sono subito accorto che non potevo continuare a fare lo stesso lavoro che facevo prima e così
visto che serviva un autista per un camion ho chiesto di essere spostato. Un giorno mi hanno fatto
fare una prova. La cosa è andata bene e così ho iniziato a lavorare prima come autista e poi come
gruista”.
(S., gruista, nazionalità italiana – Roma)
“Per me dopo l’infortunio non c’è stato nessun problema per rientrare a lavoro. I danni che ho
subito sono ustioni che non hanno pregiudicato la mia capacità lavorativa. Poi lì in quella azienda
lavoravo da tanti anni e così sono rientrato senza problemi”.
(L., carpentiere, nazionalità italiana – Roma)
“Quando sono tornato a lavoro al momento non svolgevo esattamente le stesse mansioni che
svolgevo prima dell’incidente perché dovevano far riabilitare un po’ il ginocchio. Mi hanno messo
a fare un’altra cosa più leggera, non a spostare certa roba. Noi infatti lavoriamo all’estremità
della barca e dobbiamo allestire questa barca. Io non potevo alzare e fare dei movimenti pesanti.
Infatti mi hanno messo a guidare dei macchinari e non dovevo né alzare né sollevare roba pesante.
Questo per un certo periodo di tempo, 2-3 mesi. Poi hanno fatto una prova per capire se ce la
109 facevo o se non ce la facevo al 100%. Loro ti vengono vicino e vedono se lo puoi fare quel lavoro,
se ce la fai fisicamente. Io ad un certo momento ce la facevo e sono tornato a svolgere le mie
precedenti mansioni”.
(A., operaio falegname nazionalità italiana – Napoli)
“Adesso sto dentro gli uffici nel senso che siccome adesso l’impresa produce da sé il calcestruzzo,
tale impianto è informatizzato e sono stato formato per la gestione computerizzata dell’impianto
insieme ad altri 2 dipendenti. In effetti, non posso stare in piedi più di 1 ora perché mi fa male la
colonna vertebrale, devo necessariamente stare seduto. Ho provato, ad esempio, a tinteggiare una
parete ma dopo mezz’ora di lavoro devo tornare a sedermi perché non resisto”.
(D., manovale, nazionalità italiana – Comiso)
110 5.3 Le ricadute sulla persona infortunata e sulla famiglia
Un ulteriore tema di forte interesse della nostra indagine riguarda la ricaduta dell’infortunio sulla
vita delle persone che hanno subito tale evento e delle loro famiglie. Il nostro commento cercherà di
riportare a sintesi le dichiarazioni dei lavoratori o dei familiari intervistati con il necessario distacco
dovuto dalle esigenze di redigere un testo di analisi e ricerca per quanto la drammaticità di alcune
testimonianze rendano questo compito tutt’altro che agevole.
In particolare la nostra intenzione è di soffermarci su alcuni aspetti particolari delle conseguenze
dell’infortunio, da un lato cercando di approfondire quelle che sono le difficoltà economiche nella
gestione di un periodo così difficile nella vita di un lavoratore, dall’altro cercando di descrivere il
terribile impatto psicologico all’indomani dell’evento traumatico. Molto spesso, peraltro, la
combinazione di questi due elementi, ovvero la difficoltà a poter mantenere sé stessi e la propria
famiglia coniugata al percorso di accettazione ed elaborazione di una disabilità fisica, producono
nel lavoratore vittima di infortunio uno stato di umiliazione, frustrazione e impotenza che lascia
degli inevitabili strascichi sulla possibilità di recuperare una modalità di vita “normale”.
Nel paragrafo successivo avremo modo di descrivere le procedure di indennizzo del danno definite
dall’Inail e valutare la loro efficacia, per il momento ci limitiamo a riportare come nella maggior
parte dei casi individuati attraverso le interviste, il post-infortunio sia vissuto dai lavoratori e dalle
famiglie come un periodo di estrema difficoltà economica in cui il sostegno di parenti ed amici è
determinante per affrontare anche le spese quotidiane.
“Non arrivavamo a pagare tutte le spese, lavoro solo io in famiglia, e l’aspetto economico è stato
pesante da affrontare. Ma soprattutto con 2 bimbi piccoli c’era l’esigenza di non trascurare la loro
cura…insomma tante difficoltà (…). Per fortuna la mia famiglia e quella di mia moglie ci sono stati
vicini e ci hanno aiutato”.
(E., operaio edile, nazionalità italiana – Modica)
“Ho tre figlie, due si erano sposate da poco e avevo delle finanziarie aperte. Non ho potuto più
pagare. Gli comunicammo alle finanziarie la situazione ma se ne fregarono e ora non solo devo
pagarle per regolarizzarmi ma non posso usufruire più di nessuna finanziaria perché sono diffidato
(…). Dopo l’infortunio mia moglie è stata 3 mesi notte e giorno con me. Lavorava part-time e ha
dovuto lasciare degli uffici che puliva, per stare appresso a me. Quindi anche quella entrata è
venuto meno. Mia moglie ha fatto una vita in quei mesi veramente pesante. Poi i problemi
111 economici sono stati seri con le finanziarie che non sapevamo come pagarle, c’erano momenti che
non avevamo soldi nel borsellino”.
(G., aiuto carpentiere, nazionalità italiana – Palermo)
Ovviamente i problemi economici valgono anche per i familiari dei lavoratori deceduti, che oltre a
dover convivere con il dolore della perdita sono costretti a confrontarsi con le difficoltà contingenti.
“Dall’incidente di mio marito [dicembre 2007, ndr] fino ad aprile gli unici soldi che ho avuto sono
stati quelli della Cassa Edile. Mi sono arrangiata da sola. Dopo circa un mese un amico di famiglia
mi ha detto «se ti serve vieni nel mio negozio a fare qualche ora come commessa o a fare le
pulizie» almeno per mangiare, per comprare un pacchetto di sigarette. Poi mi hanno aiutato un po’
i miei figli, però non ho altri redditi […]. Adesso vivo da sola, i miei figli mi vengono a trovare tutti
i giorni, però vivo da sola…io e il mio cane”.
(P., nazionalità italiana, vedova di L. piastrellista nazionalità italiana morto sul lavoro a circa 55
anni)
Nel caso di questa donna, va inoltre sottolineato come non possa beneficiare della pensione di
reversibilità. Molti lavoratori, infatti, nonostante abbiano lavorato per tanti anni non sono riusciti a
maturare il minimo pensionistico a causa del frequente ricorso al lavoro nero da parte delle aziende.
“Mio marito non aveva raggiunto il minimo per la pensione, quindi i contributi pagati sono andati
persi. Non aveva raggiunto nemmeno i vent’anni perché spesso lavorava in nero. Lui aveva
lavorato più di 40 anni. È venuto qui da ragazzino dalla Calabria e ha iniziato col suo mastro in
regola poi ha cominciato a lavorare in nero perché «sei giovane e ti servono i soldi…» poi quando
ci siamo sposati ha cominciato a lavorare un po’ in nero un po’ in regola. Lui diceva l’importante è
raggiungere il minimo…è assurdo, comunque, perdere tutti questi contributi…ma se le leggi sono
così”.
(P., nazionalità italiana, vedova di L. piastrellista nazionalità italiana morto sul lavoro a circa 55
anni)
Il riconoscimento della rendita, per quanto sia fondamentale per supportare la difficile situazione
economica delle famiglie colpite da questi eventi, assume un valore particolare che va al là del
semplice risarcimento economico. Il fatto di essere riconosciuti come invalidi del lavoro sembra
essere importante anche dal punto di vista psicologico.
112 “Prima di Natale ho chiesto all’Inail quando sarebbe arrivata la pensione e mi hanno detto che
sarebbe arrivata entro febbraio ma ancora non è arrivata (l’intervista è stata fatta il 13 febbraio
ndr). Adesso da novembre non arrivano più soldi. L’azienda non ci paga più e l’Inail aspetta di
mandarci la rendita e non sappiamo ancora a quanto ammonterà. Ma per me l’importante è che
lui si riprenda. I soldi sono l’ultima cosa anche se sono importanti e soprattutto sono un suo
diritto”.
(M., nazionalità rumena, compagna di S. gruista di nazionalità rumena rimasto invalido al 100% a
44 anni - Roma)
“La cosa più brutta che ho affrontato è stato quando in quel periodo l’Inail non mi riconosceva il
danno che avevo. E’ stata una cosa bruttissima perché subentrava un fatto psicologico ancora
maggiore, mi danneggiava di più, non riuscivo a dormire, quando andavo in terapia il dottore mi
dava dei farmaci per tranquillizzarmi, dei sedativi per dormire, la mia vita era quasi distrutta:
l’Inail che non ti riconosce, il posto di lavoro perso, allora ero sposato ed avevo già una bambina,
economicamente era complicata la cosa”.
(V., operaio specializzato, nazionalità italiana – Napoli)
L’incidente sul lavoro è spesso considerato, dai lavoratori che lo subiscono, un lutto, dovuto dalla
perdita di un benessere psico-fisico, delle proprio competenze fisiche, del lavoro, dal chiudersi di
una prospettiva, fino al fatto estremo della morte di una persona. Dallo stato psicologico di dolore
che ne consegue inevitabilmente si esce attraverso un processo di elaborazione psichica che richiede
un certo tempo e l’assistenza di uno specialista.
“I giorni non passavano mai, era un incubo. Ho avuto per 40 giorni di seguito un mal di testa
incredibile, notte e giorno, e per 40 giorni ho dormito nel divano, seduto, perché non potevo
appoggiare la testa sul cuscino. Sono stati i 40 giorni più brutti della mia vita. Tentavo di farmi
forza con quello che mi dicevano gli altri e cioè che sarebbe potuto andare peggio ma non mi
consolava, pensavo che da quello stato non ne sarei uscito mai più”.
( E., operaio edile, nazionalità italiana -Modica)
Dalle interviste emerge una richiesta sia esplicita che implicita di sostegno ed aiuto professionale
che purtroppo nessun ente si prende in carico.
113 “…ci sono stati in questi mesi tanti momenti di sconforto, di pensieri negativi. Ancora adesso
quando sento una notizia al telegiornale di un incidente sul lavoro sto male, mi ritorna una strana
sensazione, mi deprimo e devo stare attento a non farmi vedere da mia moglie o mio figlio. Ecco un
sostegno in questo senso l’avrei voluto, uno psicologo che ti aiuti a superare questi momenti di
depressione”.
(D., manovale, nazionalità italiana - Comiso)
L’assistenza, non fornita, rappresenta un’evidente necessità per il lavoratore infortunato e per i
familiari
“All’inizio abbiamo dovuto sostenere noi tutte le cure, io l’ho assistito, ed anche le spese per lo
psicologo ma era economicamente insostenibile. Adesso è in cura presso il centro di igiene
mentale, una struttura pubblica. All’inizio è stato un po’ duro perché in questo centro c’erano delle
persone in condizioni terribili, con patologie gravi, e portare mio marito tra di loro era molto
difficile – mi faceva ammalare vederlo con quelle persone, seduto ad aspettare – anche per i miei
figli non sarebbe facile e tuttora non sanno che va in questo centro, dallo psicologo […]. All’inizio
mi sono stancata tanto, anch’io avrei bisogno di uno psicologo, di un sostegno. Era un’assistenza
continua: cura a casa, assistenza in ospedale, e poi le visite, da uno ospedale da un altro, siamo
stati anche in un centro specializzato del nord Italia. È stato molto faticoso, pesante”.
(A., nazionalità italiana, moglie di G. operaio edile infortunato - Gela)
La richiesta di assistenza è solo sottaciuta dai familiari dei lavoratori morti sul lavoro. Infatti,
esplicitando l’inadeguatezza sia a comunicare l’evento morte che a gestire l’elaborazione del lutto,
specificamente dei figli, manifestano la necessità del sostegno.
“È stato terribile soprattutto per il bimbo piccolo che aveva 4 anni. Quando sono andata da mio
marito, dopo l’incidente, avevo il bambino in braccio ed ho visto mio marito morto. Io pensavo che
era troppo piccolo per ricordare invece no, ricorda tutto. Io gli dissi dopo un po’ di tempo che
papà era morto a Milano in un incidente stradale. Un giorno siamo passati in macchina dal
vecchio mulino, dove avvenne l’incidente, e lui disse «qua è morto papà, mi ricordo che tu
piangevi». E l’ha tenuta questa cosa dentro per 2 anni, senza dire niente. Mi ha fatto impressione
questa cosa. Poi lui disegnava me, mio marito e lui ed alla cuginetta diceva «Lusy guarda a me
manca tanto mio papà, non glielo dire a mia mamma però, perché altrimenti piange!».”
(F., nazionalità italiana, vedova di C. operaio morto sul lavoro a 31 anni - Catania)
114 “Al grande [4 anni, ndr] l’ho detto subito e poi piangeva… il piccolo non c’era, ero incinta quando
mio marito è morto. Mi chiedo – al grande é venuto difficile immaginiamoci al piccolo che ora ha
due anni e mezzo come sarà spiegarlo – il grande lo ha capito, ne parla sempre del padre però non
con quel dispiacere dei grandi, forse è più tranquillo perché ci sono io però è sempre una figura
che manca, all’inizio diceva «mamma perchè papà non c'è più ma perché cosa gli é successo»…«a
scuola i papà vengono a prendere i figli»; adesso si è rassegnato. Ma il problema si pone
crescendo perché magari adesso si sente protetto da me, ma quando diventerà giovanotto alcune
domande ritorneranno si porranno, sperò non sarà troppo difficile”
(B., nazionalità italiana, vedova di G. saldatore morto sul lavoro a 34 anni – Gela)
115 5.4 Il comportamento dell’Inail
In questa sezione analizzeremo il ruolo dell’Inail, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli
Infortuni sul Lavoro, che ha come scopo quello di migliorare le condizioni di sicurezza e di offrire
le tutele alle lavoratrici e ai lavoratori che subiscono un infortunio o contraggono una malattia
professionale. Le nostre riflessioni critiche sul ruolo dell’Inail sono mosse dalla volontà, e dalla
necessità, di fornire un supporto all’Istituto perché, come è nel suo spirito, possa soddisfare al
meglio il difficile e indispensabile ruolo che ha36.
In quasi tutti i casi analizzati emergono delle notevoli difficoltà nel percorso di riconoscimento,
risarcimento e reinserimento al lavoro. Dalla nostra indagine emerge che l’Inail, sia per il
comportamento di alcuni dipendenti sia, nel complesso, per alcuni elementi di debolezza nella sua
struttura e nella sua organizzazione, non riesce a perseguire appieno la tutela dei lavoratori che
hanno subito un infortunio.
Il filo rosso che lega le critiche che abbiamo raccolto è il seguente: molte volte il comportamento
dell’Inail sembra mosso da una razionalità burocratica che pone in secondo piano gli interessi dei
lavoratori, favorendo invece quelli dell’Istituto, attraverso il rispetto formale delle procedure e il
contenimento dei costi. Tale logica è abbastanza pervasiva, e arriva ad influenzare anche il
comportamento del singolo addetto o del singolo medico, alimentata da un’organizzazione del
lavoro e da una strategia istituzionale che non favorisce una giusta definizione dell’infortunio. In
tale maniera si struttura all’interno dell’Istituto una cultura del lavoro che si discosta, spesso, dalla
mission di tutela e dai valori di solidarietà che dovrebbero orientarla.
Siamo consapevoli che quella che proponiamo è un’interpretazione parziale, ricavata soprattutto
dalle interviste realizzate a individui in condizioni di forte vulnerabilità e, magari, particolarmente
propensi a sottolineare le inefficienze delle istituzioni; ma è pur vero che questa rappresentazione
dell’Istituto appartiene a quasi tutti i soggetti intervistati, non solo ai lavoratori ma anche agli stessi
operatori, quali sindacalisti e avvocati.
“Per quanto mi riguarda, ogni volta che l’Inail definisce il grado d’invalidità dell’infortunio,
chiedo sempre al nostro perito di verificare se quanto è stato disposto dall’ente è congruente con la
realtà”
(D., sindacalista, nazionalità rumena - Roma)
36
Il Decreto legislativo 38/2000 assegna all'INAIL un ruolo di soggetto attivo nel sistema di protezione sociale, un
ruolo volto alla tutela globale della salute dei lavoratori, con competenze esclusive per gli interventi indennitari e con
compiti di partecipazione qualificata agli interventi sanitari, di prevenzione e riabilitazione.
116 In seguito alla denuncia d’infortunio, il lavoratore può sostenersi economicamente attraverso i soldi
dati dall’azienda, nei primi quattro giorni di lavoro, e da quelli dati dall’Inail per i successivi.
Precisamente, il datore di lavoro deve pagare: a) per intero la giornata in cui è avvenuto l'infortunio
o si è manifestata la malattia professionale, se quest'ultima ha causato astensione dal lavoro; b) il
60% della retribuzione, più l'eventuale migliore trattamento previsto dal contratto di lavoro
(integrazione al 100% della retribuzione giornaliera) per i successivi 3 giorni. L'Inail deve pagare:
a) dal quarto giorno successivo a quello in cui è avvenuto l'infortunio o si è manifestata la malattia
professionale fino alla guarigione clinica (senza limite di tempo); fino al 90° giorno un'indennità
giornaliera pari al 60% della retribuzione media giornaliera percepita negli ultimi 15 giorni
precedenti l'evento e dal 91° giorno la stessa indennità aumentata al 75%.
Dopo la guarigione clinica, l'Inail invita il lavoratore infortunato, o affetto da malattia professionale,
a sottoporsi a visita medico-legale per accertare se dall'infortunio o dalla malattia sia derivata
inabilità permanente ed eventualmente quantificarne il grado.
Per gli infortuni avvenuti e le malattie professionali denunciate fino al 24 Luglio 2000, se il grado di
inabilità accertato è compreso fra l'11% e il 100%, in favore del lavoratore viene costituita una
rendita che è proporzionale al grado di inabilità e rapportata alla retribuzione percepita nell'anno
precedente l'evento. Se il grado di inabilità accertato è inferiore all'11%, il lavoratore non ha diritto
alla rendita. Per gli infortuni avvenuti e le malattie professionali denunciate dopo al 24 Luglio 2000.
L'INAIL corrisponde un Indennizzo in rendita se il grado di inabilità accertato è compreso fra il
16% ed il 100%. La rendita è costituita da una quota di indennizzo del danno biologico, calcolata
sulla base della specifica tabella, e da una quota di indennizzo per le conseguenze patrimoniali della
menomazione, calcolata sulla base della retribuzione e della tabella dei coefficienti.
In caso di successivo aggravamento, però, il lavoratore può richiedere alla sede Inail di
appartenenza il riesame del grado di inabilità.
È proprio questo processo di definizione del grado d’inabilità, dalla prima valutazione fino quelle
successive, quello maggiormente soggetto a critiche da parte dei lavoratori.
Le critiche nei confronti dell’Inail sono principalmente le seguenti: a) i tempi sono molto lunghi; b)
le rendite sono basse; c) l’informazione è scarsa e la comunicazione difficile; d) le valutazioni
dell’Inail sottovalutano spesso le reali condizioni dei lavoratori; e) non c’è un sostegno al disagio
psicologico
a)
I tempi di definizione
I tempi di riconoscimento dell’invalidità e dunque di elargizione dell’indennizzo possono essere
molto lunghi (in alcuni casi superano un anno).
117 “I soldi dell’indennizzo non mi sono ancora arrivati. La pratica si è chiusa solo un mese fa
[l’infortunio è avvenuto otto mesi prima, ndr]”.
(Z., muratore, nazionalità rumena - Roma)
“Il diritto alla rendita mi è stato riconosciuto 14 mesi dopo l’incidente”
(G. aiuto carpentiere, nazionalità italiana - Palermo)
“L’Inail mi ha pagato l’infortunio dopo tanto tempo. Parecchio tempo.”
(A., operaio falegname, nazionalità italiana - Napoli)
Questi tempi, come vedremo, si allungano ulteriormente nel caso, frequente, di una valutazione che
il lavoratore ritiene ingiusta e contro la quale fa ricorso.
b)
L’insufficienza del reddito
L’ammontare economico è generalmente insufficiente: perché gli stipendi degli edili sono molto
bassi; perché c’è una elevata presenza di lavoro grigio che riduce l’ammontare registrato nelle buste
paga e di lavoro autonomo (che spesso è solamente tale nelle formalità contrattuali); perché gli
indennizzi per danno biologico sono rapportati al grado di invalidità e questo a volte è sottovalutato;
perché spesso l’infortunio comporta l’assenza dal lavoro e anche la perdita del lavoro stesso, e
anche un infortunio che in altre professioni consentirebbe di lavorare, nel settore edile comporta la
fuoriuscita dal mercato.
“Ricevo una rendita di 250 euro per 10 anni [il lavoratore ha subito un incidente nel marzo del
2006, ndr] I danni subiti sono stati: trauma cranico, tre costole rotte, emorragie interne, l’omero è
uscito col tendine rotto e la gamba spappolata, poi.. mentre mi operavo.. ho avuto un infarto. [il
lavoratore ha rischiato di perdere una gamba per la cancrena. Attualmente le ferite alla gamba
sono ancora aperte, dunque, non può lavorare, ndr]. L’Inail mi ha riconosciuto 22 punti, ma
faremo ricorso perché il medico del sindacato mi ha riconosciuto 35 punti. Nella relazione
dell’Inail compare come danno solo quello riportato alla gamba, tutto il resto non è stato
considerato.”
(G. aiuto carpentiere, nazionalità italiana - Palermo)
“Adesso non lavoro. Prendo 249 euro al mese e resisto solo perché c’è mia sorella con il marito
che mi aiuta e mi paga tutto..”
118 (M., edile e delegato per la sicurezza, nazionalità italiana - Firenze)
“Lavoravo con un contratto a tempo indeterminato, anche se poi lavoravo otto ore al giorno ma me
ne venivano conteggiate solo cinque [...] I primi mesi dopo l’infortunio il datore di lavoro mi dava
la paga, ma molto ridotta, circa 400-500 euro [...] L’Inail mi ha dato 700-800 euro per circa 400
giorni. Mi hanno dato il 16% di invalidità e come pensione avevo 153 euro. Poi mi sono messo in
malattia. Adesso prendo 205 euro di pensione e mi hanno riconosciuto altri 4 punti di invalidità
perché sono peggiorato. [...] Fino ad ora ho subito tre operazioni alla gamba. Non ce la faccio a
lavorare nelle condizioni in cui sono ora. Non riesco a stare troppo tempo in piedi perché mi si
gonfia la gamba”
(M., edile, nazionalità kosovara - Roma)
Il basso ammontare della rendita e il ritardo nei pagamenti spingono, in alcuni casi, a denunciare
l’infortunio come malattia, per ottenere più facilmente i soldi.
Come è evidente, l’esiguità del reddito degli infortunati insieme alla lunghezza dei tempi, pone i
lavoratori in serie difficoltà di sopravvivenza. In questi casi, la pratica di usufruire degli acconti, che
possono essere richiesti in caso di prolungata assenza dal lavoro, è giudicata come un buon
palliativo, anche se, ovviamente, non risolve il problema complessivo di un reddito scarso.
“Le procedure dell’Inail sono molto lente. Già non si naviga nell’oro e se non si lavora le cose
diventano preoccupanti. Io aspettavo l’indennizzo o che mi chiamassero a visita, ma non mi hanno
mai chiamato. Quando sono andato a reclamare, mi hanno detto che non c’era la documentazione..
allora ho dovuto ricominciare, sono tornato in ditta ho preso gli incartamenti, li ho riportati, e alla
fine sono passati circa otto o nove mesi. Sono stato senza lavorare per quasi quattro mesi. Mi
pagava la ditta una parte dello stipendio, meno della metà.. Un’altra volta che mi sono infortunato
l’Inail mi ha dato un acconto. Credo che questo sia l’unico modo per permettere alle persone di
superare il momento del post-infortunio in cui non si può lavorare”
(S., gruista, nazionalità italiana - Roma)
Ci si dovrebbe interrogare, inoltre, sul rapporto tra l’invalidità e la perdita del lavoro, per valutare
attentamente quali siano le conseguenze economiche reali di chi subisce un infortunio. In un
“mercato delle braccia”, come quello edile, la condizione di salute fisica – in particolare la
possibilità di fare sforzi fisici e operazioni che richiedono un’intensa manualità e una completa
capacità motoria – è lo strumento primario per accedere al lavoro. L’invalidità dunque mina
119 fortemente la possibilità di accedere a un lavoro, e dunque il danno economico solitamente non può
essere limitato alle mansioni che l’individuo non potrà più svolgere, ma è esteso all’intera
opportunità di ottenere un impiego.
c)
Informazione e supporto
Il lavoratore che ha subito l’infortunio deve affrontare un percorso di riconoscimento complicato sia
dal punto di vista emotivo che da quello pratico. Le procedure burocratiche sono molto complesse e
le informazioni e il sostegno di cui un individuo può disporre determinano il grado di successo del
percorso.
In generale i lavoratori denunciano una scarsità d’informazioni, che li pone in uno stato di attesa e li
estromette da una partecipazione attiva e consapevole rispetto al proprio percorso di valutazione:
non sanno quali saranno i tempi e dunque quando avranno le risposte dall’Inail; non sanno bene
quali sono le procedure per una corretta valutazione dei rischi; e soprattutto, non essendo dei medici
non sanno quali siano le analisi e le visite mediche più opportune per fornire una conoscenza
completa del danno. Il sostegno fornito dall’Inail sembra essere molto limitato, e i lavoratori sono
costretti a cercare supporto presso il sindacato, presso altre associazioni o anche attraverso canali
informali, come gli amici e i familiari. L’insufficiente supporto fornito dall’Inail pone il lavoratore
in uno stato di continua attesa, di smarrimento e di ansia, che erode la sua personalità.
“Io ancora non so quanto mi daranno di invalidità, e quando me la daranno”
(Z., edile, nazionalità rumena - Roma)
d)
Il processo di definizione
L’iter di riconoscimento e definizione dell’invalidità non è facile per i lavoratori, da una parte per la
carenza d’informazioni e di sostegno, dall’altra per le difficoltà che i lavoratori incontrano
nell’affermare una corretta valutazione della propria situazione.
Alcuni problemi potrebbero essere risolti con una maggiore informatizzazione delle procedure, e
una messa in rete dei documenti che il lavoratore e l’azienda forniscono all’Istituto. Altri problemi
sono invece strutturali, dipendono dall’organizzazione dell’istituto, dalla disciplina in materia, dal
comportamento stesso degli operatori, in particolare dei medici, evidentemente inseriti in
un’organizzazione del lavoro che non consente a loro stessi di agire con la dovuta attenzione verso
gli infortunati.
Le valutazioni fatte dai medici legali dell’Inail ai nostri intervistati spesso sono state giudicate
incomplete e hanno sottostimato i danni subiti dal lavoratore. Questo avviene perché le visite sono
120 lacunose e in alcuni casi superficiali, e sono dunque incapaci di cogliere la reale entità del danno
subito dal lavoratore.
“L’Inail non mi ha dato niente e sto facendo ricorso proprio perché il mio infortunio è stato
abbastanza gravoso e non mi è stata fatta nemmeno una visita fatta bene. Mi ha visto solo
l’ortopedico, non mi ha neanche visitato e mi hanno dato solo il danno biologico”
(F., muratore, nazionalità italiana - Napoli)
Questo genera un malcontento del lavoratore che va spesso a ripercuotersi sui singoli soggetti,
medici o operatori dell’Inail, verso i quali emergono giudizi a volte nettamente negativi.
“I dottori che stanno dentro l’Inail si approfittano delle persone, comportandosi con arroganza e
maleducazione”
(O., edile e delegato per la sicurezza, nazionalità marocchina - Firenze)
In queste condizioni, il lavoratore è costretto a mobilitarsi in prima persona per ottenere il giusto
riconoscimento, ma per farlo ha bisogno del sostegno del sindacato, di altre associazioni e dei
familiari, e di una forte capacità individuale di azione.
“All’Inail non sono riusciti a farmi fare tutti gli accertamenti di cui avevo bisogno. Molte cose io le
ho fatte perché avvertivo io la necessità di farle, ma non venivo però investito di una informazione;
ad esempio, un medico legale dovrebbe, a secondo del tuo problema, dirti tutto quello che devi fare,
accertamenti, esami, indagini. Ecco, l’Inail non è stata una guida per capire il tipo di esami che
avrei dovuto fare, tant’è che sono stato costretto a ricorrere ad un medico legale privato che mi ha
fatto fare delle visite specialistiche e da lì sono uscite fuori tante altre cose che prima non sapevo e
che non avrei mai saputo se fossi rimasto alle indicazioni dell’Inail”
(C., operaio, nazionalità italiana - Catania)
Nei casi in cui l’Inail non riconosca l’infortunio o la malattia professionale, l’assicurato ha sessanta
giorni di tempo per fare ricorso, presentando una documentazione dalla quale emergano i motivi per
i quali non ritiene giusto il provvedimento dell’istituto e precisando, nei casi di inabilità
permanente, l’indennità che ritiene dovuta. In caso di mancato riconoscimento da parte dell'Istituto,
sia per l'indennità temporanea che per la permanente, è possibile richiedere allo stesso visita
collegiale. In tale visita l’infortunato può essere assistito da un medico personale che proporrà la
121 propria lettura del caso all’attenzione del medico legale dell’Inail. Se l'Inail rigetta la domanda o
continua il disaccordo, l'assicurato potrà tutelare i propri diritti dinanzi all'Autorità Giudiziaria
competente, ossia il Giudice del Lavoro. In questo caso sarà questa “parte terza” che deciderà la
definizione dell’infortunio o della malattia professionale, confrontandosi con i medici legali e gli
avvocati del lavoratore e dell’Inail.
L’iter per il riconoscimento dell’invalidità è, dunque, un percorso fatto di continui esami,
valutazioni, ricorsi, visite mediche e raccolte di documenti, secondo una logica simile a quella di un
tribunale, che a volte fa sentire il lavoratore come implicato in un processo contro un potere
impersonale, contro la collettività tramutata in burocrazia.
Questo iter comporta delle spese per il lavoratore e per l’Inail, che devono pagare sia i medici che le
spese legali nel caso in cui si perda la causa davanti all’Autorità Giudiziaria.
Dunque per il lavoratore, oltre alle difficoltà economiche e psicologiche, si aggiunge anche il peso
di una spesa economica, per eseguire privatamente alcune visite mediche da utilizzare in fase di
riconoscimento, e quello delle spese legali per affrontare eventuali ricorsi.
“Dall’Inail ho avuto la batosta più grande.. Ora sto cercando di avviare un’altra causa contro
l’Inail. [...] Rispetto ad esempio alle mie problematiche - il facciale spostato, tre interventi alla
cervicale, perdita dell’udito, il trauma cranico, la perdita dell’equilibrio, un braccio che non
funziona, un occhio che non si chiude bene - per dimostrare tutte queste cose all’Inail ho dovuto
presentare le relazioni dei medici legali. Queste relazioni però hanno un costo. Questo perché
l’Inail nelle sue visite non mi aveva riconosciuto tutte queste cose. Sta ai medici dell’Inail loro dire
che cosa ho...”
(B., muratore, nazionalità italiana - Napoli)
La definizione del danno biologico, inoltre, presenta ulteriori difficoltà per i lavoratori nel momento
in cui devono sottoporsi a una revisione del grado d’indennità. L’ammontare della rendita può
essere riveduta su domanda del titolare o per disposizione dell'Inail in caso di miglioramento o
peggioramento delle condizioni dell'assicurato. La rendita può anche essere soppressa nel caso di
recupero dell'integrità psicofisica nei limiti del minimo indennizzabile in rendita; in tale caso,
qualora il grado di menomazione accertato sia compreso nel limite indennizzabile in capitale, è
corrisposto l'indennizzo in capitale calcolato con riferimento all'età dell'assicurato al momento della
soppressione della rendita (D.Lgs. 38/2000).
Se si registra un miglioramento delle condizioni di salute, la rendita, come disciplinato, diminuisce.
Nel caso in cui la fuoriuscita dal mercato del lavoro a causa dell’infortunio ha comportato per il
122 lavoratore la perdita di un lavoro stabile, la diminuzione della rendita va a pesare notevolmente
sulla difficile situazione economica dell’infortunato. In queste situazioni la revisione dell’inabilità,
per un miglioramento della salute, è un processo drammatico che tramuta la guarigione
sopravvenuta in un problema di sopravvivenza economica.
“La rendita è subentrata sei mesi dopo l’infortunio, avevo il 60% [...] La prima visita l’ho avuta
dopo un anno, e mi hanno ridotto la rendita.. non ero d’accordo.. Con la riduzione al 47% sono
sceso a 700 mila lire al mese, ed ero disoccupato in quel periodo.. Ho fatto quattro anni di
disoccupazione. Poi ho avuto un’altra visita e mi hanno danneggiato economicamente ancora di
più. Tuttora sto in causa.. Ho vinto una prima udienza e mi hanno rialzato al 55%, in termini
economici sono 850 euro al mese.. Però ho perso 5 punti perché all’inizio ne avevo 60”
(V., edile, nazionalità italiana - Napoli)
“A parte i vari contenziosi con l’Inail per arrivare a farti riconoscere una parte di quello che hai,
questi signori dopo 10 anni ti richiamano per una visita definitiva e guardandoti in faccia ti
dicono: “puoi andare, stai bene”. Ovviamente io in apparenza stavo bene. Dopo un mese ti dicono
hai migliorato del 20% di quello che avevi. Prima stavo nella fascia grandi invalidi che era l’80%.
Poi ti richiamano, ti dicono che stai bene e ti tolgono il 20% che in termini economici è tantissimo,
ancor di più per uno come me che era uscito dal mondo del lavoro.”
(B., edile, nazionalità italiana - Napoli)
e)
La perdita dell’identità e le conseguenze psicologiche
Complessivamente, sembra che i bassi redditi e l’impossibilità di un lavoro siano una morsa che
trascina l’individuo al di sotto della soglia di povertà, oltre che un danno per l’affermazione di sé
stessi come persona.
“Mi ritrovo con una pensione di 392 euro al mese e basta [...]. Io con questa somma non ci faccio
niente [...] Quello che io preferire, non è tanto il lato economico della faccenda, che peraltro non
mi soddisfa, ma la possibilità di avere un lavoro e uno stipendio”
(C, operaio, nazionalità italiana - Catania)
L’assenza d’informazione e la difficoltà dell’iter per il riconoscimento dell’invalidità, unita alla
paura di vedere sottostimato il proprio danno, espongono il lavoratore a uno stress psicologico
notevole, che può tradursi in stati più o meno profondi di depressione.
123 “La cosa più brutta che una persona subisce, e soffre molto, è la depressione. Io, a distanza di
anni, la depressione la sto ancora attraversando. La causa maggiore della mia depressione è stata
l’Inail”
(B., muratore, nazionalità italiana - Napoli)
Il lavoratore che ha subito un infortunio affronta un processo di lacerazione della propria identità, e
deve reagire cercando di ricostruirla. Questo processo è tanto più drammatico quanto più i danni e
le conseguenze dell’infortunio sono maggiori. Il problema fisico e/o la patologia che sono
conseguenza dell’infortunio impongono all’individuo di ridefinire la propria identità in relazione
alla perdita della propria salute e delle proprie capacità. A questo fattore si aggiungono dei danni
collaterali, come la perdita del lavoro e le difficoltà economiche che portano a uno smarrimento del
proprio ruolo sociale. Lo stesso ruolo familiare si lacera, nel momento in cui l’individuo non può
più adempiere al sostegno economico della famiglia e si sente, inoltre, menomato nel proprio ruolo
di marito e di padre. La quotidianità deve rimodularsi attorno ai nuovi limiti, cercando di trovare
nuove pratiche di affermazione della personalità e definendo nuove abitudini.
“Non posso uscire come prima, la mia vita oggi la vivo prevalentemente in casa.. devo riposare la
schiena per tre o quattro ore. Posso stare in piedi massimo un’ora perché devo sdraiarmi subito.
Non posso fare più i lavori, anche domestici, che facevo prima.. neanche i tappi riesco a svitare.. E
penso che più vado avanti, invecchiando, e più sarà peggio”
(D., montatore di capannoni, nazionalità italiana - Comiso)
Le relazioni dell’individuo devono ricostruirsi intorno al danno subito, anche, ad esempio, quelle
con i propri amici.
“Il lavoratore ha subito un infortunio ed è rimasto paralizzato, non può muoversi e parla con
difficoltà. Parliamo di calcio e lui scoppia a piangere: il ricordo delle partite con gli amici e i
colleghi è troppo doloroso per lui”
(Intervista a E., edile, nazionalità rumena – Roma)
Le istituzioni sembrano incapaci di supportare questo processo di affermazione individuale e di
ricostruzione della propria identità e anzi, al contrario, mettendo degli ostacoli lungo il cammino lo
rendono ancora più complicato. Il lavoratore dovrebbe percepire il proprio “ruolo” d’infortunato
come un ruolo riconosciuto dalla società, un ruolo che impone dei doveri ma che dà anche accesso a
124 tutti i diritti necessari perché sia garantita la possibilità di partecipare alla vita collettiva. Al
contrario, l’assenza del sostegno istituzionale fa accrescere ancora di più la sensazione di essere
persi, di non avere più un proprio ruolo, un proprio spazio, delle possibilità reali di affermarsi come
individuo.
Il risultato è che questo processo di valutazione del danno, molto difficoltoso e in alcuni casi
ingiusto, mosso da una logica estremamente economicistica e burocratica, in cui le informazioni e il
sostegno sono scarsi, erode giorno dopo giorno la personalità del lavoratore, fino a farlo precipitare
in un senso profondo di abbandono e di solitudine.
“Io sono stato presente quando hanno trattato il mio caso in giudizio. Sono rimasto colpito perché
tutto avveniva in una stanzetta come questa. Non era possibile che lì si valutasse la vita di una
persona in quel modo. C’era un giudice con delle carte che gli passavano da tutte la parti, fin
sopra la testa, e addirittura mentre si discuteva si apriva la porta ed entrava una persona che lo
chiamava e gli diceva: «vienimi a firmare questa carta». Alla fine il giudice decide senza aver
capito niente. Allora io dissi all’avvocato che non si potevano trattare dei casi di giudizio così, che
si trattava di esseri umani.”
(F., muratore, nazionalità italiana - Napoli)
“Mi sono sentito solo.. Da solo ho dovuto sbrigare tutte le pratiche senza avere le competenze
specifiche perché non mi era mai capitato. Mi aspettavo un maggiore sostegno.”
(C, operaio, nazionalità italiana - Catania)
“Dopo l’infortunio resti solo un numero. La cosa più grave è che ti abbandonano tutti. Non servi
più.. quando lavori servi a qualcosa, ma quando non lavori ti abbandonano tutti”
(B., muratore, nazionalità italiana - Napoli)
“Chi va all’Inail non è solo un numero di matricola ma è una persona che ha subito un infortunio,
e ci vorrebbe anche un minimo di sensibilità oltre che di competenza”
(M., edile, nazionalità italiana, Firenze)
125 5.5 Il ruolo del sindacato
In un contesto in cui nella fase del post-infortunio i lavoratori intervistati e le loro famiglie hanno
lamentato una totale assenza da parte delle istituzioni, il ruolo del sindacato, e più in generale dei
patronati e delle casse edili, appare di grande importanza. Prima di addentrarci nell’analisi di quanto
emerso nel corso delle interviste, è opportuno segnalare che buona parte di questi incontri sono stati
realizzati grazie all’aiuto delle strutture sindacali territoriali (ovvero con lavoratori che sono
comunque entrati in contatto con il sindacato) e questo, inevitabilmente, può incidere sulla
percezione del lavoratore intervistato.
In tal senso, più che parlare dell’esperienza del lavoratore nel suo rapporto con le strutture sindacali
– che dalle interviste appare essere particolarmente positiva – crediamo sia più interessante
descrivere il ruolo che sindacato, patronato e casse edili possono svolgere per accompagnare il
lavoratore in questo difficile percorso.
Per prima cosa bisogna distinguere tra chi si è avvicinato al sindacato solo dopo l’infortunio e tra
chi, invece, era già iscritto.
Nel primo caso, spesso, il lavoratore viene convinto da qualche suo collega o conoscente a
rivolgersi al sindacato sia per riuscire a tutelare i propri diritti che, soprattutto, per avere un aiuto
nell’attivazione delle procedure richieste dall’Inail per gli indennizzi. Insomma sia per l’eventuale
vertenza che per i servizi. In altri casi, soprattutto dopo gli infortuni più gravi, è lo stesso
sindacalista che venuto a conoscenza dell’evento si rivolge al lavoratore infortunato o alla sua
famiglia per offrire l’apporto dell’organizzazione sindacale.
“L’unico che ci ha aiutato è Daniel [delegato Fillea, ndr], ci ha spiegato le cose che dovevamo
fare. Lui è andato sul cantiere dopo l’infortunio e ha lasciato il suo numero ad un collega di E. e
così ci siamo incontrati”.
(M., nazionalità rumena, compagna di S. gruista di nazionalità rumena rimasto invalido al 100% a
44 anni - Roma)
“Sono venuta in contatto con il sindacato dopo l’incidente di mio marito. Sono venuta qui [alla
CGIL, ndr], perché quando sono andata sul luogo dell’incidente i poliziotti prima di andare via mi
hanno detto «signora si cerchi un buon avvocato», allora ho capito che la cosa era complicata.
Allora ho chiesto informazioni a mio cognato che so che è iscritto a tutte le cose immaginabili e che
frequenta molto questa camera del lavoro [CdL Milano, ndr], e mi ha detto «vai alla camera del
lavoro che ti aiutano»… e così è stato. Un giorno sono venuta con i miei figli ho conosciuto il
signor G. che mi ha indicato l’avvocato penale che ho ancora, poi mi hanno fatto riempire queste
126 domanda per avere gli assegni della cassa edile. Io mi sono affidata anche perché non capivo cosa
stava succedendo. Sentivo le sigle Inca, Cgil…all’Inca non sono andata pensavano a tutto loro…”.
(P., nazionalità italiana, vedova di L. piastrellista nazionalità italiana morto sul lavoro a circa 55
anni)
In particolare, il ricorso al sindacato dopo l’infortunio sembra essere di particolare aiuto ai
lavoratori stranieri, che mancando spesso di una “rete” di sostegno e della conoscenza su come far
valere i propri diritti si affidano quasi completamente alle organizzazioni sindacali.
“Se vieni da un altro paese quando ti capita un infortunio non sai quello che devi fare. Per fortuna
ci ha aiutato il sindacato. Anche perché c’è il rischio che rivolgendosi ad associazioni di immigrati
ci si possa imbattere in personaggi che cercano di trarre profitto da queste situazioni, chiedendo
soldi al lavoratore”.
(F., manovale, nazionalità rumena – Roma)
Per quanto riguarda i lavoratori già iscritti, invece, il passaggio al sindacato - e quindi al patronato dopo l’infortunio, appare quasi scontato, anche se in alcuni casi è stato interessante verificare come
sia cambiata la percezione del ruolo stesso del sindacato.
“Ero iscritto al sindacato già prima dell’infortunio, ma devo dire che solo dopo ho capito meglio
l’utilità del sindacato”.
(S., gruista, nazionalità italiana – Roma)
“Io conoscevo il sindacato prima di infortunarmi, però c’erano 40/50 persone nella scuola dove
lavoravo che non lo conoscevano non erano solo rumeni, c’erano lavoratori di tutti i tipi. Dopo
l’infortunio il sindacato mi è stato davvero utile perché se non sai quello che devi fare e dove devi
andare è tutto complicato”.
(F., operaio, nazionalità rumena – Roma)
Ovviamente, non per tutti l’esperienza con il sindacato si è rivelata completamente soddisfacente.
La critica più frequente riguarda la difficoltà a “contrastare” le decisioni dell’Inail, mentre in alcuni
casi il clima di solitudine istituzionale che si crea intorno al lavoratore infortunato comprende le
stesse organizzazioni sindacali.
127 “Dopo l’infortunio il sostegno in gran parte me l’ha fornito il sindacato. Però devo dire che
potrebbero fare un po’ di più. Se da un lato c’è uno staff di medici e legali, dall’altro dovrebbero
attrezzarsi un po’ di più per combattere questo colosso Inail. Non mi permetto di dire come perchè
penso si tratti di una questione economica. Secondo me però non ci vuole troppo. L’ Inail a parer
mio la si può battere in modo semplice, leggendo tutto quello che dice e controbattendo punto per
punto. Non ci vuole tanto, ci vuole un minimo di attenzione in più”.
(B., manovratore, nazionalità italiana – Napoli)
“I primi mesi tutti mi dicevano vai al sindacato che ti dà una buona direzione. In verità io ci sono
andato […] ma non ho ricevuto alcun sostegno. Io sono iscritto ai sindacati anche se il mio datore
di lavoro non vorrebbe ma io ho confermato l’adesione però non ho avuto mai bisogno di loro e
per fortuna. Ho chiesto se è possibile fare la terapia termale a spese dell’Inail ma non mi hanno
dato una risposta”.
(D., manovale, nazionalità italiana – Comiso)
128 5.6 Il comportamento dell’impresa
Una delle note maggiormente dolenti nell’ambito della nostra indagine – a parte alcuni casi isolati –
risulta essere, purtroppo, il comportamento delle imprese dopo l’infortunio. In quasi tutte le oltre
quaranta interviste effettuate, infatti, emerge chiaramente il senso di amarezza e frustrazione che i
lavoratori esprimono nei confronti dell’azienda per cui hanno lavorato e per cui si sono infortunati.
A volte questo sentimento è esplicito e diretto, altre volte emerge da un piccolo accenno o da una
semplice espressione del volto. La sensazione che maggiormente ferisce il lavoratore, al di là
dell’irresponsabilità di alcune imprese nell’attuare le norme anti-infortunistiche o nel cercare di
addossare al lavoratore tutta la colpa dell’infortunio, si ritrova nel senso di distanza e abbandono.
In molti casi alla domanda “cos’è la cosa che più ti ha ferito della tua vicenda?”, la risposta dei
lavoratori è stata “essere stato abbandonato dalla mia azienda”, e questo non soltanto dal punto di
vista professionale ma anche dal punto di vista umano.
Purtroppo, le testimonianze in questo senso sono davvero molte, in questa occasione quindi
cercheremo di riportare quei casi che ci sono sembrati maggiormente significativi.
Per descrivere la sensazione di “tradimento” che prova un lavoratore nel momento in cui resta
infortunato e si accorge che l’azienda gli volta le spalle utilizziamo le parole e gli sguardi di S. e
della sua compagna M.
S. è un gruista di nazionalità rumena ed ha subito un grave infortunio che lo costringe sulla sedia a
rotelle, dopo mesi di fisioterapia riesce a muovere un po’ gli arti e ad articolare qualche parola. Per
questo la nostra intervista può essere realizzata solo grazie all’aiuto della sua compagna. S.
nonostante la grave invalidità ha un carattere forte e orgoglioso, ci spiega qual è il suo lavoro, le
condizioni in cui lo effettuava, le sua percezioni sulle misure di sicurezza. Ci racconta del suo
infortunio e del coma, della lenta ripresa, della fisioterapia e delle difficoltà economiche e
burocratiche. C’è un unico momento in cui gli si rompe la voce e non trattiene le lacrime, è quando
M. ci descrive il trattamento che ha ricevuto dalla sua azienda.
“Prima dell’infortunio il capo sembrava una brava persona, lui [S., ndr] era molto considerato
perché faceva tutto quello che gli chiedevano. Dopo l’infortunio è cambiato tutto. Il capo lo è
venuto a trovare una volta quando era in coma per 5 minuti. Poi è venuto dopo altri tre mesi per
altri 5 minuti […]. La cosa che ci ha fatto più male è stato il comportamento della ditta…ci ha
lasciato completamente da soli…”
Ci sono poi dei casi in cui le aziende, pur di evitare di essere individuate come responsabili
dell’infortunio sono capaci di inventare le storie più inverosimili. Il problema, però è che queste
129 “storie” vengono spesso validate da testimonianze di altri lavoratori troppo deboli e ricattabili per
poter dire no al proprio datore di lavoro.
Per tutte, descriviamo le storie di M. – giovane operaio kossovaro – e di P. – vedova di L.
piastrellista morto sul lavoro a circa 55 anni –.
Nel primo caso ecco come W. sindacalista della Fillea ci racconta l’accaduto.
“L’infortunio di M. è avvenuto mentre lavorava su un tetto in un complesso residenziale in cui
stavano costruendo delle villette in località Infernetto. È scivolato ed è caduto a terra da più di tre
metri. La cosa incredibile è che dopo l’infortunio l’azienda per cui lavorava ha detto che è caduto
dal ponteggio [che in realtà non c’era, ndr] perché stava “giocando” con un suo collega a farsi
dei “gavettoni”. Per questo adesso stiamo pensando a una causa, ma purtroppo le possibilità di
vincere sono poche perché l’azienda ha convinto [costretto?] altri lavoratori a testimoniare in
questo senso. L’Inail gli ha riconosciuto l’infortunio, ma in questo modo non può prendere
l’indennizzo da parte dell’azienda. C’è poi da dire che l’Inail riconosce l’indennità in base al
guadagno del lavoratore. Perché il danno differenziale lo paga l’azienda e quindi l’Inail, in caso di
negligenza del lavoratore non paga. Il suo sostentamento è di 205 euro al mese. Il nostro avvocato
penalista ci ha fatto notare che se andiamo in causa rischiamo di perdere perché ci sono queste
testimonianze contrarie. Noi per superare questa difficoltà abbiamo chiesta la visione satellitare
per verificare se effettivamente c’erano i ponteggi. È chiaro che se possiamo dimostrare che i
ponteggi non ci sono diventa possibile vincere la causa. È altrettanto chiaro che è molto difficile
riuscire ad avere queste prove”.
Il secondo caso ce lo descrive direttamente P.
“Loro, i capi e i lavoratori, tutti albanesi, hanno cominciato a dire che per loro si era suicidato.
Cosa che io, conoscendo mio marito, escludo a priori. Loro non lo conoscevano, non potevano
pensare questo perché non c’erano motivi. Hanno inventato delle cose, tipo che eravamo pieni di
debiti ma io debiti non ne ho.. che lui beveva, va be’.. beveva il sabato sera quando andava al bar
ma non era un alcolizzato sennò non andava a lavorare la mattina alle sette. […]. Fino alle 7 e 30
pare che fossero tutti insieme al bar, quindi una volta usciti è evidente che siano andati tutti al
cantiere. Loro dicono, invece, che non sanno niente e che non hanno visto niente. Anzi dicevano che
non si spiegavano perché fosse salito visto che là non doveva fare niente. Non capisco perché una
persona che decide di suicidarsi parcheggia la macchina con gli specchietti piegati e si è portato
da casa due panini col prosciutto… comunque loro tengono questa versione […]. Io sono sicura
che i suoi colleghi di lavoro hanno dovuto raccontare delle cose obbligati. Io li ho visti c’erano due
o tre che piangevano veramente con dolore, però quando mio figlio ha chiesto «ma voi c’eravate?
130 Non sapete niente perché mio papà era su?» si sono induriti, raffreddati «no, no…non sappiamo
niente». Forse perché avevano paura di perdere il posto, forse si sono intimoriti…hanno ragione
anche loro, vengono dall’Albania trovano un lavoro, per loro è il massimo della fortuna”.
In definitiva è plausibile che queste due cause vengano chiuse con un incidente dovuto alla
negligenza di un lavoratore che si lancia dei “gavettoni” da sopra un tetto, e da un suicidio!
Ovviamente, questi che abbiamo descritto sono due casi limite, ma è indubbio che molte, troppe
aziende in cui lavoravano le persone che abbiamo intervistato fossero imprese irresponsabili37.
“Non capisco l’accanimento dei datori di lavoro verso chi subisce un infortunio…capita spesso che
se c’è un incidente in un cantiere al lavoratore viene proposto di mettersi in malattia, il perché è da
ritrovarsi nel fatto che se viene denunciato l’infortunio, il cantiere viene immediatamente
controllato”.
(L,. carpentiere, nazionalità italiana – Roma)
“L’impresa ti abbandona. Per l’impresa sei solo un numero di matricola. Essendo un numero di
matricola se ti fai male o se sfortunatamente muore un operaio, dicono: «vabbè quello è un numero
di matricola, è successo, diamo le condoglianze alla famiglia, arrivederci e grazie». Purtroppo è
così”.
(A., carpentiere, nazionalità italiana – Napoli)
“Leggevo sull’Unità a proposito della presentazione della mostra fotografica sulla Thyssen e mi ha
colpito quello che ha detto la moglie di una di queste persone «quello che manca è il vero senso di
giustizia» non è il risarcimento, lei diceva «non sono i soldi è il senso della vera giustizia».
Secondo me in una società, seria, civile, eticamente corretta queste aziende dovrebbero essere
interdette dall’attività...nemmeno la galera… chi se ne importa…non devono più guadagnare un
soldo. Basta! È sulla legge del profitto che li devi colpire”.
(F. nazionalità italiana compagna di H. lavoratore egiziano morto sul lavoro a 28 anni - Milano).
37
Per Luciano Gallino esistono alcuni indicatori per definire l’impresa irresponsabile, tra cui: “l’elusione e l’evasione
delle imposte (…) («anche in maniere aggressiva») (…) la produzione socio-economica mediante la precarizzazione del
rapporto di lavoro e la moltiplicazione del lavoro informale (…) l’adozione di pratiche ostili alle organizzazioni
sindacali e ai diritti dei lavoratori”. Come abbiamo visto nel corso della nostra indagine, è stata spesso riscontrata la
presenza di questi fattori. Cfr. Gallino L., L’impresa irresponsabile, Einaudi, Torino 2005, pp. 151-153
131 5.7. Il ruolo della Cassa Edile
Un ruolo molto importante è quello della Cassa Edile. Ovviamente, in questa sede, ci occuperemo
solo delle prestazioni – contrattuali e extra-contrattuali - che l’ente bilaterale offre in caso di
infortunio o morte sul lavoro del lavoratore edile. Un ulteriore aspetto da ricordare è che le
prestazioni della Cassa Edile sono appannaggio degli iscritti all’ente. Questa puntualizzazione in un
settore come quello che stiamo descrivendo è doverosa, visto l’alto numero di lavoratori impiegati
in nero che dunque non sono iscritti alla Cassa Edile.
I regolamenti delle Casse Edili sono definiti a livello provinciale, per questo motivo pur esistendo
una certa uniformità tra le prestazioni elargite, esistono differenze da territorio a territorio. Nella
descrizione delle prestazioni di cui hanno usufruito i lavoratori intervistati faremo riferimento ad
alcune Casse Edili dei territori in cui abbiamo realizzato la nostra indagine.
Ad esempio, il regolamento della Cassa Edile di Roma e Provincia, inserisce tra le prestazioni
ordinarie erogate l’integrazione all’indennità di infortunio o malattia professionale e tra quelle
straordinarie una copertura assicurativa per gli infortuni professionali sul lavoro e un assegno
funerario.
Integrazione alla indennità di infortunio o malattia professionale (prestazione ordinaria)
Durante l’assenza dal lavoro per infortunio o malattia professionale, l’impresa, entro i limiti della
conservazione del posto di cui all’art. 28, è tenuta ad erogare all’operaio non in prova un
trattamento economico giornaliero pari all’importo che risulta moltiplicando la quote orarie
sottoindicate della retribuzione costituita dal minimo di paga base, dall’indennità territoriale di
settore e dall’indennità di contingenza, per il numero di ore corrispondente alla divisione per sette
dell’orario contrattuale settimanale in vigore nella circoscrizione durante l’assenza per infortunio o
malattia professionale.
Le quote orarie di cui al comma precedente sono calcolate applicando alla retribuzione oraria come
sopra specificata i seguenti coefficienti:
1) in vigore dal 1° ottobre 2000 al 31 ottobre 2004
a) dal 4° al 90° giorno di assenza 0,2538 di cui: 0,234 a carico Cassa Edile e 0,0198 a carico
Impresa.
b) dal 91° giorno di assenza in poi 0,0574 di cui: 0,045 a carico Cassa Edile e 0,0124 a carico
Impresa.
132 2) in vigore dal 1° novembre 2004
Per gli infortuni e le malattie professionali verificatesi dal 1° novembre 2004 è dovuto ai lavoratori
il trattamento economico anche per i primi tre giorni di assenza dal lavoro. Pertanto, per gli eventi
iniziati da tale data, si dovranno applicare alla quote orarie indicate al comma precedente, i seguenti
coefficienti:
a) dal 4° al 90° giorno di assenza 0,2538 di cui: 0,234 a carico Cassa Edile e 0,0198 a carico
Impresa.
b) dal 91° giorno di assenza in poi 0,0574 di cui: 0,045 a carico Cassa Edile e 0,0124 a carico
Impresa.
Il trattamento economico giornaliero come sopra determinato è corrisposto dall’impresa all’operaio
per tutte le giornate indennizzate dall’Inail comprese le domeniche e le festività. Per quanto attiene
l’accantonamento da parte dell’impresa alla Cassa Edile della percentuale per ferie e gratifica
natalizia resta fermo quanto disposto dalla normativa vigente.
Infortuni professionali sul lavoro (prestazioni straordinarie)
La copertura assicurativa è fornita a favore dei lavoratori dipendenti da imprese regolarmente
iscritte alla Cassa Edile di Roma e Provincia al momento dell’evento infortunistico.
Per il lavoratore che ha subito un infortunio sul lavoro, anche “in itinere” riconosciuto dall’Inail in
prima istanza, con l’assegnazione di un punteggio per l’inabilità permanente, la garanzia
assicurativa prevede i seguenti capitali massimali:
1) € 46.481,00 massimo per il caso di invalidità permanente. Le percentuali di invalidità
permanente sono riconosciute in prima istanza dall’Inail; franchigia assoluta 3% per invalidità
inferiore al 12%;
2) € 51.646,00 per i casi di morte;
3) € 67,00 per ogni giorno di ricovero a seguito di infortunio per un massimo di 90 giorni (escluso il
giorno di dimissione) nell’arco dell’anno solare;
4) € 1.937,00 per rimborso spese sanitarie a seguito dell’infortunio.
Assegno funerario
La Cassa Edile di Roma e Provincia in caso di decesso del lavoratore, del proprio coniuge o
convivente o di un figlio a carico eroga per una sola volta, al lavoratore iscritto o al familiare del
lavoratore deceduto un importo di € 1.549,00
133 La Cassa Edile di Milano e provincia, invece, assicura al lavoratore iscritto una prestazione per
abbandono del settore a causa di grave infortunio. In particolare, all'operaio, al quale, a seguito di
grave infortunio sul lavoro, l’INAIL abbia riconosciuto un’invalidità permanente di grado compreso
tra il 40% ed il 66% e che, in conseguenza dell’invalidità, non possa più proseguire l’attività nel
settore
edile,
la
Cassa
Edile
eroga
un
importo
una
tantum
di
€
25.000,00.
La Cassa Edile definisce le modalità per l’accertamento dell’effettivo abbandono del settore edile
da parte dell’operaio, nonché quelle per l’erogazione della prestazione.
Queste sono alcune delle prestazioni che prevedono le Casse Edili di Roma e Milano nei confronti
dei lavoratori infortunati. Come abbiamo visto anche in precedenti stralci di intervista tali
prestazioni sono risultate essere molto utili per alcuni dei lavoratori o dei familiari intervistati.
“Il sindacato è stato l’unico ente che ci ha aiutato, anche con le carte per la Cassa Edile. C’erano
dei fondi alla Cassa Edile che ci hanno dato, ammontava a circa 2.500 euro”.
(F., nazionalità rumena, fratello di G. muratore morto sul lavoro a 28 anni - Legnago).
“Io ho ricevuto un assegno di 6.000 euro dalla cassa edile come “assegno funerario”, dall’Inail
dopo un po’ di mesi 1.700 euro sempre come “assegno funerario”. Di queste cose però io non ne
so molto. Non so nemmeno a chi chiederle”.
(P., nazionalità italiana, vedova di L. piastrellista nazionalità italiana morto sul lavoro a circa 55
anni)
Ma va anche sottolineato come in alcuni casi il rapporto con le Casse Edili non ha prodotto per i
lavoratori i benefici sperati.
“La Cassa Edile mi ha dato 1.100 € e basta. Ci avevano detto che li davano ogni mese ma invece fu
una tantum”.
(G., aiuto carpentiere, nazionalità italiana – Palermo)
“No, la cassa edile non prevedeva alcuna assistenza e cura in caso di infortunio; l’unico sostegno
economico che abbiamo ricevuto è l’Inail”.
(A., nazionalità italiana, moglie di G. operaio edile infortunato - Gela)
“La Cassa Edile ci ha versato una somma irrisoria che non arrivava ai 200 euro. Sempre per il
fatto che la ditta dichiarava poco…ho anche chiamato l’impiegata che aveva bisogno di alcuni
134 documenti per versare una quota parte della spesa funeraria e le ho chiesto «scusate, una curiosità
lei vede al computer tutti questi nomi stranieri che guarda caso non arrivano alla soglia
minima…ma non le viene un dubbio?» Lei dice «si lo sappiamo ma non possiamo fare niente» cioè
tutti quelli che hanno dei nomi «stravaganti» com’è che non arrivano alla quota minima per avere
la contribuzione?”.
L’ultima testimonianza chiarisce in maniera quanto mai netta il limite delle prestazioni erogate dalla
Cassa Edile, ovvero: innanzitutto la necessità di essere dipendenti di imprese regolarmente iscritte;
inoltre per alcune prestazioni di aver raggiunto un numero minimo di ore lavorate, e - come già
evidenziato - è determinate per il riconoscimento dell’integrazione dell’indennità la prova del
trattamento economico giornaliero. Purtroppo, però, come abbiamo segnalato in precedenza, l’alta
percentuale di edili che lavorano in nero o in grigio38 mortifica le possibilità di accedere a tali
prestazioni per molti lavoratori.
38
Il comportamento illegale delle imprese, per quanto riguarda il lavoro grigio, si presenta principalmente secondo due
modalità che hanno una diretta conseguenza sulle prestazioni erogate dalla Cassa Edile: il lavoratore è iscritto alla Cassa
Edile ma è registrata solamente una parte delle ore effettivamente lavorate; le imprese non versano l’ammontare dovuto
alla Cassa Edile. 135 Conclusioni
Proposte per migliorare l’analisi statistica
La dialettica costante tra la ricerca quantitativa e quella qualitativa ci ha consentito di approfondire
l’informazione statistica, di fornire una più corretta interpretazione del fenomeno riconducendo
l’astrazione del dato numerico alla realtà delle esperienze vissute dagli individui. I dati sono
informazioni “condizionate”, perché ciò che descrivono è profondamente influenzato - oltre che
dall’interpretazione del ricercatore - dalle modalità con cui i dati stessi sono raccolti, prodotti e
diffusi. Il processo di produzione di statistiche su un determinato fenomeno parte dall’analisi delle
possibili fonti dei dati e si conclude con la pubblicazione delle informazioni, e necessariamente
questo processo è vincolato dal bagaglio di conoscenze di cui dispone il ricercatore, nonché dalla
tipologia di dati e dagli strumenti di acceso ad essi. La nostra esperienza di ricerca ci ha consentito
di mettere in luce i limiti del dato numerico e di proporre delle possibili soluzioni.
L’approccio statistico: facilitare l’analisi della relazione tra l’infortunio, il contesto di lavoro e la
biografia individuale.
La prima critica che possiamo muovere è quella relativa all’approccio generale con il quale i dati
sono diffusi: l’attenzione è del tutto concentrata sull’infortunio, e si perde di vista il legame tra
questo, il contesto di lavoro e l’individuo, come se l’infortunio fosse un fenomeno astratto. È molto
difficile, dai data-base on line, considerare alcune variabili chiave proprie del contesto di lavoro o
della biografia individuale in maniera tale da ottenere degli incroci significativi. Ad esempio non si
può interrogare il data-base considerando la relazione tra la dimensione occupazionale, la tipologia
contrattuale, l’età o la nazionalità, tutte informazioni che invece sono raccolte dall’Istituto. Diversa
invece la situazione per la variabile di sesso, che ha un data-base a parte di facile lettura, ma dove
non è possibile per il ricercatore effettuare interrogazioni in autonomia, poiché le tabelle sono già
precostituite. Nel data-base al femminile, inoltre, i dati riguardano solo il genere femminile e
dunque la mancata comparazione riduce di molto la comprensione del fenomeno.
Ogni analisi statistica è sicuramente una semplificazione della realtà, ma avere degli strumenti di
lettura complessi è certamente utile per chiarire il fenomeno.
-
Per questo, i data-base dovrebbero facilitare l’autonomia analitica del ricercatore, favorendo
l’interrogazione delle variabili che egli considera rilevanti. I data-base dovrebbero diventare
sempre più interattivi (sul modello Eurostat) invece che proporre letture già codificate del
fenomeno. Questo processo, oltre che fornire un utile strumento di comprensione,
136 implementerebbe anche il “contesto della scoperta”, ovvero il momento della ricerca che ha
come obiettivo quello di scoprire nuovi nessi causali.
La molteplicità degli infortuni nella vita individuale
La biografia individuale, ossia l’insieme di esperienze e caratteristiche proprie di ciascun individuo,
è un fattore determinante nel definire la sua maggiore o minore esposizione al rischio infortunistico
e/o tecnopatico: sappiamo che rischi maggiori d’infortunio sono propri di alcuni settori e mansioni;
sappiamo che nelle fase giovanile della vita si è maggiormente esposti al rischio infortunistico,
mentre il rischio di subire un infortunio mortale è alto tra i più anziani; sappiamo che il possesso o
meno della cittadinanza italiana e dei diritti che ne conseguono determina delle conseguenze per la
salute; sappiamo che cambiare spesso professione o gruppo di lavoro espone a maggiori rischi
infortunistici; sappiamo che le lavoratrici corrono maggiori rischi di contrarre determinate malattie;
sappiamo che esistono molti altri fattori che determinano la probabilità per un lavoratore di subire
un infortunio, di contrarre una malattia, così come la sua capacità di riuscire a denunciarli e ottenere
un indennizzo.
Esistono dunque, biografie più o meno a rischio, e l’analisi statistica potrebbe favorire la
comprensione di queste attraverso una migliore raccolta dei dati.
-
In particolare, come abbiamo visto (par. 4.1) nella vita un lavoratore può subire più di un
infortunio, così come contrarre più di una malattia professionale, così come subire entrambe
le tipologie di danno. È necessario che l’analisi statistica consenta di individuare questi
individui particolarmente a rischio, che smetta di considerare infortuni e malattie come
fenomeni astratti ma li incarni nella vita degli individui. Questo consentirebbe di identificare
quali sono le biografie più o meno a rischio, attraverso l’analisi della reiterazione del
fenomeno infortunistico e tecnopatico.
La complessità della dinamica infortunistica
Abbiamo osservato (par. 4.1) come l’infortunio sia la spia di una molteplicità di cose che non vanno
nel luogo di lavoro, eppure le statistiche tendono a ridurre l’importanza di questa multicausalità,
favorendo l’interpretazione monocausale: gli infortuni accadono perché il lavoratore è stato “colpito
da qualcosa” o è “caduto dall’alto” o ha “urtato”.
-
È necessario che l’Inail costruisca delle schede di analisi più dettagliate della dinamica degli
infortuni, almeno di quelli più gravi, in maniera che si possano comprendere meglio le
cause.
137 La molteplicità delle conseguenze
Come osservato nel par. 5.1, “i dati statistici dell’Inail, a disposizione nelle banche dati on line e nei
rapporti pubblicati, non rendono giustizia del difficoltoso percorso terapeutico che un lavoratore
infortunato deve seguire. I dati ci parlano di “traumi”, “contusioni”, “fratture”, come casi singoli.
Nella realtà gli infortuni comportano un insieme di conseguenze negative, e più danni possono
essere subiti da un singolo lavoratore. Così come i problemi più immediati generati dall’incidente
possono avere delle ulteriori conseguenze negative, più o meno prevedibili, e ci sono dunque effetti
a breve e a lungo termine.”
-
L’Inail deve consentire di rapportare gli infortuni all’individuo: il centro dell’analisi non è la
“frattura” ma è l’individuo e dunque deve essere possibile comprendere l’insieme di
conseguenze che l’infortunio ha su di lui. In tale maniera sarà possibile attivare convenzioni
con il sistema sanitario con un approccio integrato e costruire percorsi terapeutici adeguati.
Per implementare il ruolo delle istituzioni
La totale assenza degli enti istituzionali (locali e governativi) nell’assistenza finanziaria e
psicologica del lavoratore è descritta in modo unanime da tutti le persone intervistate. La stessa
possibilità di poter essere reintegrati al lavoro o di accedere alle cosiddette quote di riserva per i
lavoratori invalidi, non è sufficientemente sostenuta dalle strutture di accesso al mercato del lavoro.
Il rapporto con l’Inail, peraltro, è vissuto – come abbiamo precedentemente descritto – in maniera
controversa. Da un lato è l’ente che eroga servizi e indennità finanziarie, dall’altro, però, le
difficoltà procedurali e burocratiche, i ritardi e il costante rischio di veder sottostimato il danno
subito, rendono il rapporto con l’istituto più conflittuale che collaborativo.
Alcune onlus (come ad esempio l’Anmil) e le organizzazioni sindacali provano – pur con i limiti
descritti - a colmare una parte dell’evidente vuoto lasciato dalle istituzioni. Appare evidente, però,
che il senso di abbandono e di solitudine in cui si trova il cittadino che ha subito un infortunio
nell’esercizio della sua attività lavorativa, non trova adeguata risposta.
-
Per scardinare i comportamenti burocratici (cfr. par. 5.4) in un’organizzazione è necessario
che si cambino le pratiche organizzative e dunque si persegua una diversa strategia
organizzativa. Questo processo è prioritario seppure sia difficile e impegnativo.
-
Un’iniziativa a breve termine, seppure di corto raggio, potrebbe essere quella di attivare, in
collaborazione con le associazioni sindacali, una campagna di informazione e formazione
per gli addetti ai lavori del sistema di gestione della salute e sicurezza: i lavoratori dell’Inail,
138 i medici e i consulenti, gli operatori delle Asl e delle strutture sanitarie. Tale campagna
dovrebbe essere di tipo “culturale”, ossia avere come obiettivo quello di diffondere la
comprensione di cosa è il sistema sanitario, di quale sia il ruolo svolto da ciascun ente e di
quale sia il mandato che la collettività dà a questi attori sociali.
-
Come abbiamo visto (capp. 4, 5) sono molte le conseguenze psicologiche per i lavoratori
che subiscono un infortunio sul lavoro, così come per i famigliari delle vittime d’infortuni
mortali o molto gravi. L’Inail dovrebbe attivare delle attività di sostegno e supporto per la
tutela della salute psicologica, così come dovrebbe considerare questo aspetto nella
valutazione dell’infortunio, considerando ogni volta nella definizione dell’invalidità anche le
conseguenze per la salute mentale.
-
Il percorso di definizione dell’infortunio, di cura e di reinserimento è un percorso nel quale
il lavoratore è lasciato solo dalle istituzioni (parr. 5.1, 5.2). È dunque necessario migliorare
le attività d’informazione e di supporto, in maniera che il lavoratore sappia orientarsi e
attuare strategie adeguate di tutela.
-
La possibilità di perseguire un percorso di cura è fondamentale per garantire una corretta
guarigione, eppure le convenzioni attivate dall’Inail con le strutture sanitarie sono
insufficienti e molti lavoratori sono costretti a pagare delle terapie private o, ancor peggio, a
rinunciare alla propria guarigione. È necessario aumentare le convenzioni, e costruire un
sistema di “percorsi terapeutici” che sia coerente rispetto la richiesta.
-
Le possibilità di reinserimento al lavoro nel caso di infortuni invalidanti sono pochissime, e
in questa fase il lavoratore procede soprattutto attraverso conoscenze personali. Il lavoratore
è orientato a rientrare nell’edilizia soprattutto se sono molti anni che lavora nel comparto e
se ha maturato una buona esperienza e professionalità e perché ritiene comunque più facile
rientrare nel mercato del lavoro sfruttando le proprie reti informali. Nelle pratiche di
reinserimento il supporto fornito dalle istituzioni è sostanzialmente assente e le imprese
tendono a emarginare il lavoratore infortunato fino ad arrivare al licenziamento. È
necessario da una parte migliorare il sistema di collocamento per gli invalidi, dall’altra
accompagnare questo da una formazione mirata allo scopo di individuare le nuove
professionalità che il lavoratore è in grado di svolgere. In questo senso si potrebbero
implementare le convenzioni tra l’Inail e le specifiche associazioni che si occupano di
formazione al lavoro per invalidi e del loro reinserimento. 139 Bibliografia
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