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19 - La Rivista della Scuola
Da Socrate a Impastato Dall’indagine maieutica della verità gnoseologica alla consapevolezza stoica della fine di ROBERTO SCAGLIONE n geometria si dice “similitudine” una particolare trasformazione geometrica atta a mantenere una relazione di equivalenza nella forma di una corrispondenza biunivoca che intercede tra due o più opportune figure (o grandezze fisiche simili) inserite e costitutive di almeno due sistemi simili nel piano e nello spazio, in cui conserva costantemente i rapporti tra le distanze. La legge, così formulata, lascia intendere la possibilità niente affatto remota di intravedere delle corrispondenze non necessarie ma certamente pervenibili tra grandezze fisiche tra esse distanti, oltre che nello spazio, anche nel tempo. Non si potrebbero altrimenti spiegare le vaghe o certe somiglianze tra membri di una stessa famiglia che si ripresentano sotto forma di cause genetiche, e le affinità caratteriali su basi ideologiche, determinabili tra uomini abitanti scorci di tempo e luoghi del tutto diversi tra loro. Dal rapporto di similitudine occorre dunque muovere per comprendere quanto due uomini possano ricongiungersi, dalla Grecia alla Sicilia, e in particolare da Atene a Cinisi, a distanza di oltre due millenni: si parla del filosofo Socrate e del politico Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino, dalle biografie dei quali si possono a ragione dedurre numerosi parallelismi, se è vero che le trasformazioni di similitudine, pur cambiandone la posizione, la grandezza o l’orientazione, mantengono tuttavia negli oggetti coinvolti la medesima forma, che si ripete in relazione alle vicende biografiche inerenti, nei continui e interpersonali richiami etici, quali principi primi del comportamento che facilita l’accostamento dei personaggi in questione, a partire dal contesto storico che ne vede i rispettivi natali: per Socrate il 469 a.C., che segna la definitiva vittoria dei greci sui persiani in seguito alla battaglia dell’Eurimedonte; per Peppino il 1948, che vuole l’entrata in vigore, dal 1° gennaio del medesimo anno (appena 4 giorni prima della sua nascita), della Costituzione della Repubblica Italiana. L’età dell’oro di Pericle da un lato, la Repubblica Italiana dall’altro, con le annesse capitolazioni storiche che vogliono il declino di Atene in seguito alla sconfitta contro Sparta del 404 a.C. (e successiva instaurazione oligarchica del governo dei Trenta Tiranni) e il periodo italiano di paura instaurato da gruppi terroristici quali le Brigate Rosse che sfociarono, proprio nell’anno di morte di Impastato, nel rapimento e omicidio del politico Aldo Moro. Il cui cadavere venne ritrovato proprio il giorno della morte di Peppino, avvenuta il 9 maggio 1978 per opera della Mafia, organizzazione contro la quale spese e spense la propria esistenza, al pari di un Socrate il quale, “disoccupato” al pari di Peppino, combatté come “oplita” nella battaglia di Potidea e in quelle di Delio e Anfiboli, venendo anche decorato per il coraggio dimostrato, come apprendiamo dal “Simposio” di Platone, per il quale il filosofo rimase al fianco del ferito Alcibiade, riuscendo a salvargli la vita. Come Socrate dimostrò resistenza nelle campagne belliche, così Peppino ne dimostrò altrettanta da quando, ancora ragazzo, fu cacciato di casa dal padre con il quale divergeva, fondando il giornalino “L’idea socialista”, aderendo al PSIUP e partecipandone in seguito attivamente nel ruolo di dirigente militante delle attività dei gruppi di “Nuova Sinistra”, nell’impegno delle quali condusse le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, sorto nel territorio di Cinisi. L’impegno e la lotta contraddistinguono infatti, quali cifre caratteristiche, le personalità di Socrate e Peppino Impastato, uniti oltre che dall’aspetto fisico (che li rassomiglia più a un satiro che ad un uomo) in netta antitesi con la bontà dell’animo, anche dalla comune matrice della ricerca del vero, in ogni sua manifestazione fenomenica, esercitata dal filosofo ateniese nell’intuizione sapiente di quello che Aristotele attribuirà essere il metodo della definizione e induzione, che lo Stagirita considerava fra i pilastri del metodo scientifico. Stessa logica segue Peppino, nell’apertura ampia e libera che smuove le coscienze all’indirizzo pratico di una riflessione pertinente il sociale e fondante una coscienza critica, che Peppino impose quale propria particolare maieutica, inconsciamente mutuando da Socrate quella passione nella dialettica investigativa, che avrebbe portato il siciliano ad indagare sui misteri della mafia e l’ateniese su quelli dell’uomo, sviscerandone entrambi l’animo, secondo i principi di una riflessione sì astratta e razionale, I 19 LA RIVISTA DELLA SCUOLA ma contemporaneamente propedeutica al pragmatico conseguimento del vero empirico, del fatto concreto sul quale forgiare il proprio modello di conoscenza, a fondamento della quale (o di ognuna delle quali) verte la conoscenza di se stessi, secondo il celebre detto “Conosci te stesso”, incipit della filosofia socratica e di quell’autocritica di Peppino senza la quale egli stesso non avrebbe potuto intraprendere alcuna utile campagna. Infatti, mentre Socrate ironicamente ostentava la coscienza di non sapere (celebre il motto: “So di non sapere”), Peppino sapeva invece benissimo e conosceva davvero tutto, denunciando la mafia locale (è nota la frase:“La mafia è una montagna di merda”) e gli sporchi traffici del boss compaesano e parente Gaetano Badalamenti, che gestiva un traffico di droga nel territorio circostante. Proprio nella parentela mafiosa ha origine, nell’attentato del 1963 in cui perse la vita lo zio Cesare Manzella, il suo interesse per la lotta a ogni forma di potere e potentati illegali: come in Socrate la figura professionale di levatrice esercitata dalla madre Fenarete rappresentò certamente la base per l’appiglio maieutico della sua scienza, l’insegnamento della quale venne in un certo momento offuscato dal rapido diffondersi dell’insegnamento, seguito con vero entusiasmo, delle dottrine sofiste, portatrici di una radicale confutazione di ogni forma di verità dogmatica e consolidata dalla religione e dalla tradizione. Contro di essi mosse parte della propria polemica Socrate, per il quale la figura del filosofo è da considerarsi radicalmente opposta a quella ambigua del sofista, secondo un principio che concerne la sua concezione di verità che tende continuamente a ricercare, confermandosi spontaneamente ignorante di essa, al contrario dei sofisti che la verità creano e modificano, essendo, per Protagora, “l’uomo misura di tutte le cose”. Infatti, a differenza di questi, Socrate tentava di persuadere l’interlocutore senza il sofistico ricorso di espedienti retorici: questo lo ergeva a pericoloso anticonformista, che individuava nell’omologazione e nel consenso acritico le fondamenta di un pensiero arido, che egli tentava di rimodellare con l’ausilio della ragione dialettica nell’argomentazione dei problemi che scoperchiano la luce del vero: ciò non ricorda forse l’azione sociale di Peppino, nella contestazione alla mafia e alla realtà della quale rimette in discussione ogni tradizionale principio? Come l’omertoso ripiego in se stessi di una comunità serva di un’oligarchia occulta che della macrologia, che diventa “arte del confondere”, fa propri i diritti di dominio sul suolo siciliano che la sola forza della ragione può ancora contrastare, sotto la guida di un maestro il quale, non facendo della propria arte una professione, combatte in prima linea contro il nemico invisibile, indagando, scoprendo ed enunciando la verità tramite il dialogo in strada o effondendola con la costituzione, nel 1975, del gruppo “Musica e cultura”, seguita l’anno successivo dalla fondazione di “Radio Aut”, radio libera autofinanziata, che alimenta il dibattito sul problema mafioso, concernente anche la corruzione di una classe politica naturalmente in combutta con la criminalità. Nell’esercizio di un sofismo moderno di oscuramento della verità gnoseologica, che ricorda il “daimon” socratico, lo spirito interiore che tormenta il filosofo impedendogli di compiere determinate azioni ma fortificandone la coscienza morale, poi adoperata contro i cattivi demoni imperanti in molte anime amorali, forti a loro dire di una cultura ancora orale fondata sulla paura, che Peppino saprà mutuare nella scrittura o nella più potente oralità comunicativa dei mass media, che la sua organizzazione saprà gratuitamente fornire alla cittadinanza, nel socratico intento non di imporre, bensì di far riflettere l’uomo sulla minaccia di quanti la verità non posseggono ancora, forti dello smoderato uso con cui eludono il “conosci te stesso”, inconsapevoli dei propri limiti umani. Limiti che anche Peppino volle benignamente valicare, criticando il radicato sistema educativo, o meglio diseducativo, che la “paideia” della comunità cittadina imponeva, sviscerando e disgregando quell’insieme normativo nella rifondazione e riformulazione di un nuovo “ethos” sociale, un moderno comportamento di vita comunitaria che prescinda dai retrogradi valori mafiosi e che meglio si ponga a fulcro dell’atteggiamento quotidiano di una società che tale voglia appellarsi: cosicché il suo agire diviene non un nuovo agire, ma una volontà di utopico agire che il potere illegale del sofismo mafioso locale tentava ripetutamente di distrarre dal compimento, nell’egoistico tentativo di sopire le coscienze critiche a scopi di sedimentazione personale del potere, che ironicamente Socrate e Peppino combattono, nell’esercizio brachilogico di frasi semplici ma vere, tanto da anticiparne le rispettive e inevitabili rovine. Meglio sbarazzarsi presto di chi tenta di corrompere i giovani insegnando dottrine che mirano al disordine sociale e che inoltre e ancor peggio non crede negli dei della città, tentando di introdurne di nuovi e contestando l’ascendenza sacra delle leggi. Meglio eliminare senza scrupoli chi insegna ai giovani cinisari (o cinisensi) a riflettere e a discostarsi dalla religione imperante della mafia e dagli dei che la impongono, le cui leggi sono, più che divine, proprio disumane. Come Anito e Licone scatenano il processo contro Socrate, così Tano Badalamenti, boss locale, ordina di eliminare il pericoloso Peppino, icona della lotta alla mafia e pericoloso sovversivo che corrompe i giovani che un giorno, come Crizia e Alcibiade, potrebbero rivoltarsi contro le leggi dal “sistema” imposte. Così si avvicina la fine: nel 399 a.C. inizia il processo a Socrate, nel 1978 Peppino appare candidato nella lista di “Democrazia Proletaria” alle elezioni comunali di Cinisi. Socrate si difende dalle accuse di empietà e ateismo, addirittura propone ai giudici di essere mantenuto a spese della collettività nel Pritaneo, in quanto benefattore della città. Peppino continua la propria campagna elettorale, solo contro gli dei, che presto lo condanneranno. Nessuno dei due sceglie la fuga o l’esilio, perché qualora attuato, riferisce Socrate,“Mi ritroverò a rivivere la stessa situazione che mi ha portato alla condanna: qualcuno dei parenti dei miei giovani discepoli si irriterà della mia ricerca della verità e mi accuserà”, accettando quindi di bere la cicuta. Mentre anni dopo, la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, Peppino Impastato viene assassinato con una carica di tritolo rinvenuta sotto il corpo disteso sui binari della ferrovia, che dimostrano ineluttabilmente il segno tangibile della sua presenza, contrariamente a quanto di Socrate pensò lo studioso Olof Gigon, che nel 1947 ne pose in dubbio la stessa esistenza. Entrambi amati dalla comunità che li ha protetti (pochi giorni dopo la propria morte, Peppino verrà simbolicamente eletto al consiglio comunale), entrambi fuorviati nella loro opera dialettica (Socrate accusato di empietà e ateismo) e nelle cause della loro morte, che stampa, forze dell’ordine e magistratura italiana vollero originariamente, riguardo Peppino, dovute ad un atto terroristico, addirittura vagliando l’ipotesi di suicidio, che solo grazie all’interesse del fratello Giovanni e della madre verrà ufficialmente smentita previa individuazione della matrice mafiosa di un delitto obbrobrioso scaturito nel processo per direttissima che le assurde “leggi sacre” del momento ritennero opportuno vagliare. L’impegno che li contraddistingue fino all’ultimo conferisce dunque alla loro effige un ruolo determinante nell’attività futura dei propri ideali discepoli, che da essi ereditano tuttora il metodo: come Peppino lanciò un messaggio fondante influenzando le future generazioni di giovani siciliani aperti nella lotta alla mafia (attualità riscontrabile nella tangibilità delle annuali manifestazioni antimafia e di commemorazione alla sua persona), così Socrate lasciò una serie di discepoli che, Platone e Aristotele su tutti, giunsero alla corte di Alessandro Magno (lo stesso Aristotele quale precettore di questi, oltre a Diogene di Sinope) e diramarono nelle correnti del Cinismo con Antistene, nello Stoicismo con Zenone di Cizio e nell’edonistica sperimentazione del piacere che, indotta da Aristippo, proseguì formidabilmente con Epicuro, riflettendo la loro volontà di illimitata conoscenza nella perseveranza antifascista e antimafiosa di Peppino e antisofistica e anticonformista di Socrate; che l’un l’altro si specchiano nei rispettivi comportamenti, nella costituzione di una comune e indivisibile etica di lavoro i cui riflessi, speculari, ovvero simili ma non esattamente uguali, conducono alla riflessione semantica, vera speculazione sul riflesso semantico dell’immagine etica di un verosimile significato, prodotta dall’osservazione morale dei due “ethos”, cause altresì imprescindibili di due tragiche morti, che traspaiono in toni evidenti la chiara consapevolezza stoica della fine da parte di entrambi, prosecutori imperterriti nella conduzione personale dell’opera estenuante, sempiterna e identica, dall’incipit all’explicit, che la storia ricorda nei nomi di Socrate e Peppino Impastato, gli uomini che ponevano sempre domande e non si stancavano mai di ricavarne le risposte… Chiuso in tipografia alle ore 19 di lunedì 14 novembre 2011 LA RIVISTA Girgenti Editore DELLA SCUOLA XXXIII/3-4 Anno XXXIII, nov-dic. 2011, n.3/4 MENSILE DI CULTURA E DI INFORMAZIONI LEGISLATIVE Direzione, Amministrazione, Redazione e Pubblicità: Viale Andrea Doria 10 - 20124 Milano Tel. 02 669.2195 - Fax 02 6698.3333 - ccp 13554209 - Abbonamento annuo: Italia: € 38,00; Europa e Bacino Mediterraneo: € 69,00 (per via ordinaria). 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