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S.Francesco di Sales e S.Curato d`Ars

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S.Francesco di Sales e S.Curato d`Ars
San Francesco di Sales e il Santo Curato d’Ars
Possiamo prendere come punto di partenza l’affermazione del papa Giovanni Paolo
II, desunta dall’enciclica Slavorum Apostoli, che l’Europa l’hanno fatta i santi. Anche la
Francia, nonostante ciò che dicono i suoi attuali governanti, è stata fatta dai santi e
perciò ad essi è opportuno ricorrere studiandone la vita e l’esempio, perché tornino ad
essere operanti anche nella nostra epoca e nelle attuali circostanze che presentano
notevoli analogie con quelle da loro vissute.
San Francesco di Sales
Francesco nacque nel
castello di Sales, in Savoia, nel 1567. I genitori erano
due buoni cristiani e impartirono al figlio un’ottima
educazione che non gli permetteva di fare lo
schizzinoso davanti al cibo o di rimanere sordo di
fronte ai bisogni dei poveri. Come esigevano le usanze
del tempo, Francesco imparò anche a cavalcare e a
tirar di scherma. Dalle biografie non compaiono fatti
singolari accaduti nella giovinezza. Iniziò gli studi nei
collegi di La Roche e poi di Annecy. A dieci anni fece
la prima comunione e fu cresimato. L’unica cosa
singolare è che volle ricevere la tonsura, ma non per
scroccare qualche beneficio ecclesiastico, cosa
frequente a quei tempi, ma per un chiaro orientamento
verso lo stato religioso.
Nel 1582, all’età di quindici anni, divenne allievo del collegio parigino di Clermont,
retto dai padri Gesuiti, indubbiamente una delle istituzioni più prestigiose esistenti in
Francia. Imparò greco, latino, ebraico, letterature classiche e moderne, filosofia, col
rigore necessario in un’epoca che apprezzava gli studi umanistici. Verso i diciannove
anni, per qualche tempo, provò il timore di esser destinato a dannarsi, uno scrupolo dal
quale fu liberato un giorno con la recita della nota preghiera diffusa in Europa da san
Bernardo di Chiaravalle: Memorare, o piissima Virgo Maria…
Francesco di Sales non orientò la sua formazione nella direzione della filosofia e
delle dispute, perché non costituivano la parte preponderante dei suoi interessi.
Approfondì, al contrario, gli aspetti teologici e scritturisti del suo sapere. Alla
conclusione degli studi superiori, i genitori vollero che Francesco si laureasse in diritto
civile e canonico, nell’Università di Padova che anche in quell’epoca era molto
rinomata. Il giovane studioso non si fece irretire dai disordini della vita studentesca. Al
contrario, egli formulò un esigente piano di vita sia per quanto riguarda lo studio e il
profitto del tempo, sia per le pratiche religiose scelte con raro equilibrio. Mi sembra
opportuno sottolineare che fin da allora si impose due ore di studio quotidiano della
teologia, perché le cose serie non s’improvvisano. A Padova si pose sotto la direzione
spirituale di Antonio Possevino, un Gesuita notissimo per le sue missioni diplomatiche
in Svezia, Russia e Polonia. Nel 1592 Francesco compì un viaggio-pellegrinaggio a
Loreto e a Roma. Tornato nella casa paterna di Chambery, Francesco non si dedicò
all’avvocatura, bensì fu nominato prevosto del capitolo di Ginevra, con residenza ad
Annecy, perché i cattolici a Ginevra non potevano soggiornare. Era lo sviluppo della
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tonsura giovanile, con promozioni permesse dagli studi che aveva compiuto. Francesco
scorse in questo fatto l’indicazione della volontà di Dio e perciò decise di accettare
l’ordinazione sacerdotale da parte del vescovo De Granier che giudicava adeguata la sua
formazione.
Da giovane sacerdote subito si occupò di malati e poveri, prodigandosi nel ministero
della confessione, da sempre la vera palestra per i formatori di anime. Nel 1594 il
vescovo De Granier lo inviò nella regione del Chiablese, rimasta parecchi anni sotto il
controllo di ministri protestanti giunti da Berna che, di fatto, vi avevano cancellato la
presenza della Chiesa cattolica. I protestanti tentarono di fare il vuoto intorno al giovane
prete che cercava di ricostituire dal nulla il culto cattolico a Thonon, suscitando ostilità
di ogni tipo che arrivarono fino al limite dell’attentato fisico. Francesco non si fece
intimorire, iniziando la redazione di scritti molto brevi, di una pagina o due, che
distribuiva in vari punti strategici. Quei fogli non venivano banalmente bruciati o
stracciati dagli avversari, bensì letti e meditati perché apparivano suggeriti non dal
desiderio di rissa e di contesa, bensì risultavano redatti sulla base di solide
argomentazioni. Esse provocarono il ripensamento dei motivi che avevano indotto molti
ad abbandonare la Chiesa cattolica. Le testimonianze del tempo sono concordi
nell’affermare che i protestanti furono conquistati dalla pacatezza, dalle buone maniere,
dal rispetto per gli interlocutori propri del carattere del giovane sacerdote, che appena
sette mesi dopo il suo arrivo cominciò a occuparsi dei nuovi convertiti.
In un’epoca caratterizzata da scontri frontali, sul piano fisico e su quello intellettuale,
il modo di operare di Francesco di Sales, pacato e operoso, ebbe un successo insperato.
Da una relazione inviata a Roma nel 1603 risultava che circa 25.000 protestanti erano
ritornati nella Chiesa cattolica e che la vita religiosa nel Chiablese appariva intensa.
Il vescovo De Granier, ormai anziano e desideroso di averlo come successore, fece i
passi opportuni per promuoverlo all’episcopato: lo inviò a Roma dove fu esaminato dal
papa Clemente VIII (1599). Nel 1602 Francesco di Sales si recò a Parigi per questioni
di giurisdizione episcopale e fu presentato al re Enrico IV che ne riportò un’ottima
impressione. In quell’occasione strinse importanti amicizie col cardinale Pietro de
Bérulle e con madame Acarie, in seguito divenuta monaca. Sempre in quell’anno
avvenne la consacrazione episcopale come vescovo titolare di Ginevra.
Il nuovo vescovo dedicò al suo clero molte cure mediante sinodi annuali e incontri
personali, sempre affabile e mai sfiorato da alterigia che poteva essere giustificata dal
ceto di origine e dalla cultura acquisita. Importanti furono le sue istruzioni sul modo di
confessare e di predicare. Non poté istituire il seminario come prescrivevano i canoni
del Concilio di Trento, ma riuscì ugualmente a creare un clero colto e pio. Tra il 1605 e
il 1608 realizzò la grande visita pastorale in tutte le 450 parrocchie della sua diocesi
montana con prediche, confessioni, catechesi, conferenze del clero, amministrazione dei
sacramenti. Il problema più acuto, sempre riscontrato, era l’ignoranza religiosa. Perciò
volle fondare la Confraternita della Dottrina Cristiana, formata da laici che insegnavano
il catechismo di Roberto Bellarmino. Per primo il vescovo dava l’esempio di come si
istruiscono i bambini. Famosi furono i suoi quaresimali predicati a Digione nel 1604,
dove incontrò per la prima volta Giovanna Francesca di Chantal, vedova con quattro
bambini, che nel 1610 accettò di lasciare tutto per guidare la Congregazione della
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Visitazione di Maria, fondata da Francesco di Sales che, contrariamente alla prassi fin
allora seguita, avrebbe voluto che la nuova congregazione potesse svolgere attività
caritative all’esterno del monastero. La cosa fu possibile solamente più tardi, quando
san Vincenzo de’ Paoli istituì le Suore della Carità.
Anche degli intellettuali si occupò, fondando l’Accademia Florimontana di Annecy,
dove tenne conferenze su argomenti teologici, politici e scientifici in un clima di
operosa tensione culturale. Naturalmente non tutto procedeva sempre in modo idilliaco.
Ci furono sospetti, invidie, incomprensioni, lotte. Numerosi furono i suoi viaggi, i
pellegrinaggi, le fatiche fisiche per realizzare il suo programma pastorale. Nel 1622
Francesco di Sales accompagnò i duchi di Savoia ad Avignone, per far visita ai sovrani
di Francia. Da lì proseguì per Lione dove fu colto da apoplessia, morendo il 28
dicembre.
Francesco di Sales fu beatificato nel 1661 e canonizzato nel 1665 dal papa
Alessandro VII. Più tardi fu proclamato Dottore della Chiesa da Pio IX e Patrono della
stampa da Pio XI. La sua festa si celebra il 29 gennaio.
Qual è il segreto della personalità di san Francesco di Sales? Fu l’uomo della
dolcezza, dell’amabilità, dell’ottimismo. Ebbe contatti con tutti, ricchi e poveri, giovani
e vecchi, amici e nemici, esercitando su di sé un eroico controllo, avendo per natura un
carattere forte. Fu sempre portato a considerare maggiormente i lati buoni piuttosto che
quelli malvagi presenti in ogni uomo. Fu soprattutto una persona lineare dal carattere
fermo e volitivo, lucido nel perseguire gli obiettivi irrinunciabili, transigendo su tutto il
resto. L’amore soprannaturale fu vissuto da lui fino in fondo, fondato su una pietà
eucaristica molto innovativa, perché raccomandava la comunione settimanale o almeno
mensile in una società ridotta alla comunione annuale, da compiere nel tempo pasquale.
La base della sua vita interiore era un’ora di orazione al giorno, due di studio della
teologia, la recita attenta del Breviario, la confessione frequente, gli esami di coscienza,
le giaculatorie, udienze, direzione spirituale, predicazione, visite ai malati, ai poveri, ai
carcerati.
La fondazione della Congregazione della Visitazione fu la sua iniziativa più
importante per le donne. Doveva essere una congregazione di vita attiva, ma a quel
tempo non si riteneva possibile permettere alle monache di uscire dal monastero per
visitare poveri e malati nelle loro abitazioni. Seppe ispirare alle sue monache una
profonda interiorità inducendole a proporsi grandi mete e subito la Congregazione ebbe
notevole diffusione in vari Stati europei, specialmente tra i ceti più elevati che anche
con quel mezzo furono ricondotti nella Chiesa cattolica.
Tuttavia l’ambito più specifico dell’apostolato di san Francesco di Sales furono gli
scritti, letti in ogni epoca da numerosi fedeli. In primo luogo le Controversie che ci
riportano all’ambiente delle conversioni del Chiablese; Difesa dello stendardo della
Croce, ossia la difesa del culto tributato alla Croce di Cristo, ricordando i Padri della
Chiesa e altri antichi scrittori che hanno parlato di quel tema; Filocalia o introduzione
alla vita devota , un libro che conta numerose edizioni e traduzioni in almeno quindici
lingue; Teotimo ovvero trattato dell’amore di Dio , il capolavoro, vera summa della
mistica di questo autore che esamina il cammino ascetico e mistico da compiere in
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compagnia della Sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa, in particolare sant’Agostino, dei
teologi più sicuri come san Tommaso d’Aquino, delle sante mistiche come Angela da
Foligno, Caterina da Siena, Teresa di Gesù. Le Conferenze spirituali e i Discorsi
comprendono numerosi volumi, al pari delle Lettere che formano un lascito imponente.
Dopo la sua morte, Giovanna Francesca di Chantal raccolse molte istruzioni e lettere del
santo che confluirono nel Direttore spirituale, un libro quanto mai importante per
coloro che devono guidare le anime nel cammino verso la santità. L’importanza storicoreligiosa di san Francesco di Sales è enorme: basterebbe ricordare che fu l’ispiratore più
ascoltato di san Giovanni Bosco. Infatti, egli poté dimostrare che il Vangelo poteva
incarnarsi concretamente nella vita quotidiana del XVII secolo come in quella del XIX
o del XX. La santità si può conseguire nelle faccende ordinarie, conservando la propria
peculiare personalità, purché si voglia lottare per fare bene le piccole cose di ogni
giorno, per assolvere fino in fondo i propri doveri, mantenendo una costante unione con
Dio, anche per strada o in mezzo al turbine di un mercato.
Il Santo Curato d’Ars
In Giovanni Maria
Vianney troviamo una personalità con caratteristiche
che appaiono opposte a quelle di san Francesco di
Sales, una prova in più che i santi non sono fatti in
serie. Giovanni Maria Vianney nacque da pii
genitori, umili contadini, nel 1786 a Dardilly nei
pressi di Lione, proprio mentre si stava preparando
la tempesta rivoluzionaria, seguita dal turbinoso
periodo napoleonico durato fino al 1815.
Nella sua povera famiglia, che tuttavia non
mancava di accogliere chi era ancora più povero,
imparò a vivere un cristianesimo pratico, per
esempio quando la madre gli insegnò a “benedire le
ore”ai rintocchi dell’orologio della torre. Nel 1799,
nel corso di una Messa clandestina celebrata da un
prete refrattario, ricevette la Prima comunione.
Non sapeva leggere e scrivere perché a Dardilly non c’erano scuole: un istitutore arrivò
solamente nel 1803 quando Giovanni Maria aveva diciassette anni. Nel corso di alcuni
inverni, quando non si lavora nei campi, poté imparare a leggere e scrivere, ma per tutta
la vita il santo affermò che non riusciva a ritenere ciò che aveva studiato, una
limitazione che a giudici superficiali sembrava stupidità.
Nel 1807 giunse ad Écully, un paese posto accanto a Dardilly, don Carlo Balley, già
maestro dei novizi di Sainte-Géneviève di Parigi, in possesso di una buona biblioteca di
libri ecclesiastici. Fu una delle poche persone che abbiano creduto alla possibilità per
Giovanni Maria di accedere al sacerdozio. Erano tempi turbinosi, mancavano sacerdoti,
i seminari erano stati chiusi, il patrimonio ecclesiastico necessario per ripristinarli era
stato confiscato. L’arcivescovo di Lione, il cardinal Fesch, zio materno di Napoleone,
aveva potuto erigere un seminario di fortuna che con appena due anni di studio
conduceva fino all’ordinazione un piccolo numero di candidati, ma occorreva imparare
il latino, un problema quasi insolubile per Giovanni Maria (i manuali di quel tempo
erano scritti in latino). Fu determinante l’aiuto di don Carlo Balley che, sotto la propria
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responsabilità, fece conoscere al Vianney le discipline ecclesiastiche impiegando libri
francesi. Con molta buona volontà le difficoltà furono superate e il maturo seminarista
poté essere ordinato sacerdote dal vescovo di Grenoble nell’agosto 1815. Don Vianney
fu affidato al suo maestro per il tirocinio sacerdotale. I biografi accennano alle gare di
penitenza tra allievo e maestro, ciascuno dei quali ricorreva all’autorità del vescovo
perché ordinasse all’altro di mangiare di più. Nel 1817 don Balley morì e poche
settimane dopo don Vianney fu destinato a reggere la cappellania di Ars nelle Dombes,
nella diocesi di Belley.
Il vicario si mise all’opera e per dieci anni poté compiere quelle che in seguito definì
“follie di gioventù”, ossia sottoporsi a pratiche di penitenza che difficilmente riusciamo
a concepire. Cuoceva una pentola di patate una volta la settimana e attingeva tre o
quattro patate ogni due giorni, mandate giù con un sorso d’acqua e nient’altro. Le
ultime finivano per ammuffire, ma il santo sosteneva che bastava togliere la muffa e che
il resto si poteva mandare giù. Quando proprio non ne poteva più per la fame, si
preparava uno o due matefaim, ossia farina intrisa d’acqua e cotta in padella, ma senza
altri condimenti. Solamente dopo il 1828, quando accanto alla parrocchia sorse la “Casa
della Provvidenza” che curava l’istruzione di alcune ragazze povere poste sotto la
direzione di Caterina Lasagne, fu possibile obbligare l’asceta a prendere un poco di latte
ogni giorno, un evento che gli faceva l’impressione d’esser divenuto un sibarita.
La popolazione del piccolo villaggio (meno di trecento abitanti) si trasformò con
l’esempio di un simile pastore e il santo poté dire un giorno che “Ars non è più Ars”
perché ormai la pratica religiosa era generale, non c’erano più balli in piazza, l’osteria
era frequentata da avventori che non si ubriacavano e non bestemmiavano, ma che
soprattutto chiudeva nelle ore della Messa e della Benedizione eucaristica, perché anche
l’oste voleva frequentare la chiesa. Vianney è famoso per la dedizione eroica al
ministero della Confessione, tanto che un poco alla volta arrivarono ad Ars pellegrini da
tutta la Francia per farsi assolvere dal santo intorno al quale fiorivano i miracoli. Egli li
attribuiva alla “piccola Santa”, una presunta santa Filomena che gli archeologi
ritenevano d’aver scoperto in una catacomba romana. Subito fiorì il culto popolare
intorno alla supposta martire, che da qualche tempo è stata tolta dal martirologio e dal
catalogo dei santi per insufficiente o errata interpretazione di un frammento di epigrafe.
Ad Ars tuttavia, santa Filomena servì per stornare l’attenzione dei fedeli dal Vianney
che affermava di essere unicamente il notaio delle suppliche da sottoporre
all’intercessione della santa. Le sedute in confessionale duravano dalle tre del mattino
fino alla tarda serata e hanno qualcosa di incredibile, se le testimonianze non fossero
così numerose e ben fondate. Al tempo di Napoleone III fu concessa al Vianney
l’onorificenza della Legion d’onore con relativa medaglia d’oro, prontamente venduta
per provvedere ai poveri. La motivazione appare singolare: il santo aveva
poderosamente incrementato i servizi di trasporto pubblico in tutta la regione e perciò
meritava quell’alta onorificenza.
Sono famosi i tentativi compiuti dal Vianney per comporre l’omelia domenicale e
impararla a memoria. Spesso si trattava di scampoli ricavati da prediche famose (la
Francia possiede una tradizione di eloquenza sacra di tutto rispetto), ma al momento
giusto il santo rivolgeva ai fedeli qualche parola sull’amor di Dio cominciando a
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piangere e tutta l’assemblea lo seguiva. Eppure, i testimoni dicono che quelle prediche
erano più fruttuose di tanti altri sermoni sapientemente elaborati.
Per tutta la vita il Vianney si dichiarò incapace di far fronte ai doveri di un parroco e
per due volte compì il tentativo di farsi esonerare dall’incarico, arrivando a fuggire di
nascosto da Ars per poter “piangere un poco sulla sua vita” prima di morire. Entrambe
le volte tornò ad Ars in seguito alla pressante richiesta del vescovo e dei fedeli che da
allora praticarono turni di guardia per non perdere il loro pastore. Ottenne un
coadiutore, ma finì per mettersi ai suoi ordini invece di esser liberato da compiti
gravosi. Più tardi nella parrocchia di Ars fu insediato un gruppo di missionari che
avevano il compito di regolare l’afflusso di pellegrini e assisterli nelle pratiche religiose.
La morte arrivò nell’agosto 1859, causata da una febbre che si manifestò la sera di
un giorno particolarmente afoso. Fu sepolto nella sua chiesa dopo aver ricevuto funerali
che furono una specie di canonizzazione popolare. Nel momento di più acuto conflitto
tra la Chiesa e lo Stato francese, nel 1905 il papa Pio X proclamò il Curato d’Ars
patrono dei parroci francesi. Il papa Pio XI lo canonizzò nel 1928, proclamandolo
patrono dei curati di Roma e del mondo intero. Nel 1959 il papa Giovanni XXIII
pubblicò una splendida enciclica, Nostri sacerdotii primitias . È difficile rimanere
insensibili alla lettura della bella biografia scritta da Francesco Trochu, Il Santo Curato
d’Ars, che dal 1928 rimane uno dei libri più amati dai fedeli in grado di comprendere
l’importanza della lettura spirituale.
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