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1 Salvatore Provino è un artista di grande spessore e di

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1 Salvatore Provino è un artista di grande spessore e di
Salvatore Provino è un artista di grande spessore e di lunga esperienza. La sua
recente mostra antologica a Palermo sintetizza magistralmente il suo
complesso percorso creativo e testimonia i numerosi e costanti successi
EFFETTI COLLATERALI NELLA PITTURA
DI SALVATORE PROVINO
Intervista di Agostino Bagnato
Giungo sulla storica piazza romana
di S. Francesco a Ripa, oggi
chiamata S. Francesco d’Assisi,
una bellissima e fredda mattina di
gennaio. Il sole illumina la facciata
del
palazzo
del
Seicento,
trasformato nell’Ottocento, dove è
vissuto
il
celebre
pittore
garibaldino Nino Costa. Un altro
importante pittore abita quel
palazzo dagli anni Settanta del
secolo scorso ed è Salvatore
Provino,
principale
esponente
dell’astrattismo
italiano
e
internazionale, uno dei più noti artisti del Paese. Mi accoglie con l’amabilità e la
simpatia di sempre. Il grande calore umano che promana da Salvatore è un
tratto irrinunciabile della sua personalità. E’ appena rientrato dalla Sicilia ed è
pienamente soddisfatto del positivo risultato della sua ultima fatica. Infatti, il
19 gennaio scorso si è aperta a Palermo, a Palazzo Sant’Elia, una
importantissima mostra antologica, dal titolo molto significativo: Provino.
Effetti collaterali. L’enorme afflusso di visitatori ha consigliato gli
organizzatori di prorogare al 9 aprile la chiusura della rassegna, per consentire
a quanta più gente possibile di godere la straordinaria qualità della pittura del
Maestro. Curata da Ezio Pagano per conto della Provincia di Palermo e con la
presentazione in catalogo di Giorgio Di Genova, la mostra si raccomanda per il
rigore scientifico, l’accurata scelta delle oltre cento opere, l’allestimento che ha
realizzato lo stesso artista. Il catalogo, nella semplicità della sua impostazione
editoriale, oltre alla perfetta riproduzione delle opere esposte, contiene un
lungo apparato critico e una preziosa documentazione fotografica riguardante i
momenti più importanti della vita del maestro siciliano.
La mostra raccoglie opere risalenti agli ultimi venti anni di attività di Salvatore
Provino, compreso le grandi tele, alcune veramente imponenti che richiedono
spazi adeguati per essere presentate in maniera adeguata ed essere godute in
tutta la loro magica bellezza. I grandi saloni di Palazzo Sant’Elia si prestano
perfettamente a questo obiettivo, pienamente conseguito dalla magistrale
progettazione di Ezio Pagano e dello stesso Provino.
Salvatore Provino è nato a Bagheria nel 1943, ma vive a Roma dall’inizio degli
anni Sessanta. Nella capitale d’Italia ha trascorso la sua esistenza di lavoro,
1
tornando spesso in Sicilia anche per insegnare all’Accademia di Belle Arti di
Palermo. Il suo curriculum è smisurato, tanto da restare difficile darne conto in
una breve presentazione.
L’intervista che ha voluto gentilmente
rilasciare è l’occasione per ripercorrere la
sua arte e comprendere la passione e nello
stesso tempo la ragione del suo dipingere
ed essere artista.
1. Si parla della tua pittura come
linguaggio legato all’astrattismo
plastico, all’astrazione materica
e concreta. E’ stato Giorgio Di
Genova
ad
usare
queste
espressioni. In cosa consistono?
Il rapporto con la natura è abbastanza
veritiero. Io non disdegno mai di guardare
la natura, anche quando sento il bisogno di
guardare al cosmo, di vedere lidi
sconosciuti, sento sempre il bisogno di
guardare la terra. Ogni particolare della
realtà mi suscita delle emozioni, come un
fiore o un suo frammento, oppure una
situazione la più strana possibile.
2. Come sei approdato a questa espressione?
E’ stato un rapporto molto lento, basato sulla casualità, anche se poi casuale
non è. Il punto di partenza può essere considerato l’incontro con Lucio
Lombardo Radice che mi ha fatto capire le geometrie non euclidee. Ricordo che
stavo disegnando qualcosa, senza sapere esattamente cosa fosse. Basandosi
sulle teorie di Lobačevskij, egli mi ha fatto capire il percorso che avevo
imboccato e ch ha caratterizzato una fase importante della mia pittura, basata
sulla forma geometrica. Lombardo Radice mi ha detto che quel mio lavoro
poteva essere intitolato “Disegno esplicativo delle geometrie non euclidee”.
Nella mia vita non ne avevo mai sentito parlare, così ho imparato a guardare
dentro le cose e non a guardarle da fuori.
3. Cosa ha lasciato nella tua arte il giovanile legame con Renato
Guttuso?
Mi ha lasciato il bisogno di essere attaccati alla propria terra, a essere legati
alla realtà. Renato era un grande maestro della realtà, dipingeva
esclusivamente immagini del reale. In qualche modo, io l’ho tradito, perché io
sono andato oltre il reale, perché sono andato a vedere cosa c’è dentro la
realtà che ci circonda.
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4. Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Guttuso. Tu lo
hai conosciuto bene. Quali ricordi hai dell’uomo e che giudizio
esprimi sulla sua lunga e discussa
creazione artistica?
L’uomo era straordinario, dotato di grande
gentilezza e generosità. Ha sempre aiutato tutti.
Si può dire che mezzo mondo sia stato aiutato
da Renato Guttuso. La sua pittura credo che
debba essere inquadrata nell’ambito della
politica italiana del lungo periodo in cui egli ha
vissuto. Era un difensore della classa operaia e
dei contadini e quindi si è schierato contro altri
artisti che consideravano l’arte totalmente libera
da schemi e influenze politiche, mentre Renato
ha volontariamente accettato di fare l’arte
realista e figurativa che, in definitiva, voleva
Palmiro Togliatti. La storia dirà chi ha avuto
ragione.
5. Ritieni
che
sia
definitivamente
superata la contrapposizione tra figurativo e astratto che ha
caratterizzato le arti visive degli ultimi 50 anni? E in quale
contesto si colloca il tuo percorso creativo?
No, questa contrapposizione non è stata superata, in quanto oggi vale la
categoria di essere stati uomini del ’68 o di non esserlo stati.
Stiamo ancora pagando sul piano generale questa contrapposizione, da quello
sociale ed economico a quello culturale e politico. Non tutto quello che era
stato preventivato e previsto è stato realizzato, ma molte cose, nonostante
tutto, sono state attuate e hanno contribuito a cambiare il volto della società.
Gli artisti della mia generazione sono stati oscurati da questo modo di vedere
le cose. Non c’è artista che sia stato elevato a livelli superiori. Io continuo a
fare quello che ritengo necessario per affermare la mia personalità, senza
infingimenti o travisamenti. Si tratta di continuare a crescere come persona e
di conseguenza come artista. Io mi rendo conto di questo processo, soprattutto
perché non mi sono mai fermato e ogni giorno reinvento la mia pittura.
6. Il neofigurativo, partito con la Pop art e giunto a forme di
minimalismo o di iperrealismo, può essere visto come uno
sviluppo del tradizionale realismo figurativo?
No, perché sono due cose completamente diverse. Il figurativo praticato negli
anni Cinquanta era legato alla rappresentazione della classe operaia, del
mondo del lavoro e alla società in generale. Il realismo è un’altra cosa: vuol
dire guardare dentro la realtà. La realtà è molto più complessa di come può
apparire e di come viene interpretata da un partito politico piuttosto che da un
altro.
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7. L’astrattismo ha una lunga storia di maestri e di successi, a
cominciare da Kandinskij, Mondrian, Klee, Pollock. In quale
contesto si colloca la tua creazione che, per i suoi caratteri
analitici, si potrebbe definire astrattismo scientifico. Basti citare
il superamento della geometria euclidea e il legame con le teorie
di Lobačevskij1 che hai assunto dalla frequentazione con Lucio
Lombardo Radice, uno dei maggiori pedagogisti italiani.
1
Nikolaj Ivanovič Lobačevskij nacque a Nižnij Novgorod, Russia, da Ivan Maksimovič Lobačevskij, impiegato in un
ufficio del catasto agricolo, e da Praskov'ja Aleksandrovna Lobačevskaja, il 20 novembre 1792. Quando nel 1800 il
padre morì, sua madre, rimasta con l'onere di tre figli, decise di trasferirsi a Kazan'. Qui Nikolaj Ivanovič frequentò il
ginnasio di Kazan', diplomandosi nel 1807 e successivamente si iscrisse all'Università di Kazan’ che era stata fondata
solo tre anni prima. Nei suoi studi universitari egli fu influenzato dal professor Martin Bartels (1769-1833), un
matematico con conoscenze enciclopediche amico di Carl Friedrich Gauss; nel 1811, all'età di diciotto anni ottenne la
laurea in fisica e matematica. Nel 1814 divenne lettore all' Università di Kazan e nel 1822 ottenne la nomina a
professore ordinario. Oltre ai suoi corsi di matematica, egli fu incaricato dei corsi di fisica e di astronomia e ricoprì
numerosi incarichi amministrativi quali per esempio il riordinamento della biblioteca dell'università, precedentemente
in un disordine che la rendeva inutilizzabile, e la sistemazione razionale delle collezioni del museo fino allora collocate
a caso.
Alla morte dello zar Alessandro I nel 1825, fu sostituito il funzionario superiore responsabile della cattiva
amministrazione dell'università e Lobačevskij fu sollevato dagli incarichi amministrativi; nel 1827 ottenne la nomina a
rettore, carica che mantenne fino al 1846. Nel periodo in cui fu rettore, Lobačevskij, contribuì alla costruzione di nuovi
edifici, quali una biblioteca, un osservatorio astronomico e laboratori di chimica e anatomia. Successivamente, Kazan'
fu colpita dal colera (1830) e più tardi da un incendio (1842) che in particolare distrusse i nuovi edifici, che furono
ricostruiti grazie all'attività di Lobačevskij. Nel 1842 fu eletto membro della Società Scientifica di Gottinga su
raccomandazione di Gauss che leggendo le sue opere venne a conoscenza dei contributi di Lobačevskij alla geometria
non-euclidea anche se non volle mai riconoscerli in scritti che fossero pubblicati. Nel 1832 sposò Varvara Alekseevna
Moiseeva e da lei ebbe sette figli. Nel 1846 si ritirò dall'università, o meglio fu costretto dallo Stato a lasciarla;
successivamente la sua salute si deteriorò rapidamente. Pochi anni prima della morte, nel 1855, Lobačevskij in
occasione del cinquantesimo anniversario dell'università, presenta il manoscritto della sua Pangeometria, che fu scritto
sotto sua dettatura in quanto era diventato cieco.
Risultati matematici
Il conseguimento principale di Lobačevskij è lo sviluppo (indipendentemente da János Bolyai) della geometria noneuclidea. Prima di lui, i matematici stavano tentando di dedurre il quinto postulato di Euclide dagli altri assiomi.
Lobačevskij avrebbe voluto sviluppare invece una geometria nella quale il quinto postulato non fosse vero, o meglio
non fosse indispensabile a qualunque geometria coerente. Egli, inoltre, sostenne le sue idee stabilendo un sistema di
geometria basato sull'ipotesi dell'angolo acuto, secondo la quale in un piano, per un punto fisso passano due parallele ad
una retta. Il 23 febbraio 1826 può essere considerato ufficiosamente come l'inizio della sua geometria in quanto riportò
le sue idee e alcuni teoremi caratteristici della nuova disciplina alla sessione del dipartimento di fisica e matematica. La
sua ricerca fu pubblicata nel Bulletin of Kazan University (Вестник Казанского университета) nel 1829–1830.In
questo modo Lobačevskij abolisce il dogma della "verità" assoluta della geometria euclidea e, per questo, può essere
definito il Copernico della geometria, anche se il riconoscimento delle sue idee da parte della comunità matematica fu
piuttosto lento in quanto i matematici di quel tempo erano troppo legati alla situazione presente per poterla giudicare in
modo più ampio, e quindi dovette continuare a sviluppare le sue idee in solitario isolamento. Tali idee furono accettate
pienamente solamente molte decadi dopo la sua morte.Un altro dei conseguimenti di Lobačevskij è lo sviluppo di un
metodo per l'approssimazione numerica delle radici di equazioni algebriche. Questo metodo è ora noto come il metodo
di Dandelin-Gräffe, chiamato come gli altri due matematici che lo scoprirono indipendentemente. In Russia, è chiamato
il metodo di Lobačevskij. Lobačevskij diede la definizione di una funzione come una corrispondenza tra due insiemi di
numeri reali (Dirichlet diede indipendentemente presto la stessa definizione dopo Lobačevskij)
E’ morto a Kazan’ il 12 febbraio 1856.
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Ho già fatto riferimento all’incontro con
Lucio Lombardo Radice che mi ha fatto
comprendere il valore della scienza per
capire la realtà e interpretarla. Egli non
era soltanto un matematico, ma anche un
grande filosofo. Il suo insegnamento per
me è stato decisivo per trovare la strada
di entrare all’interno della realtà e
guardarla con capacità analitica.
8. L’astrattismo
si
rinnova
continuamente senza perdere il suo rapporto con il colore e le
sue vibrazione, nonché con la ricerca di una forma che si
appalesa comunque. Quale sarà il suo futuro?
L’astrattismo continuerà ad esistere, perché è strettamente legato alla
rappresentazione e interpretazione della realtà secondo metodi e concezioni
che sono in continuo divenire. Per me, sulla base delle evoluzioni e degli
sviluppi attuali, avrà un avvenire sicuro. Del resto, basta guardare alla
produzione artistica in tutto il mondo per rendersi conto che l’astrattismo
continua ad essere un punto di riferimento irrinunciabile delle ricerche più
avanzate. La natura è l’animo umano e quindi la sua raffigurazione non può
avvenire secondo canoni tradizionali bensì attraverso segni che connotano
l’astrattismo.
9. La grande mostra antologica di Palermo è un ulteriore
riconoscimento della tua arte e nello stesso tempo un impegno a
proseguire sul cammino tracciato. E’ così?
Questa mostra è un ritorno ancora una volta alla mia Sicilia. Io sono siciliano
fin nell’intimo di ogni fibra e quindi ogni volta che mi trovo in Sicilia è come
stare a casa mia, perché quella è la mia casa. La sua storia, la cultura, il suo
straordinario fascino, la sua gente ne fanno qualcosa di irripetibile. Certo ci
sono anche cose che non vanno e che non fanno onore. Mi riferisco alla mafia.
10. Come giudichi il tuo insegnamento nelle Accademie di Belle Arti?
Si può parlare di una tua scuola e di allievi che ti seguono nella
ricerca artistica?
Non ho mai voluto creare una scuola riferita alla mia attività, allo stile della mia
pittura, al mio insegnamento. Al contrario, ho sempre cercato di lasciare liberi
gli studenti di esprimersi liberamente nel proprio linguaggio, che ho sempre
cercato di assecondare. Mi sono sforzato di insegnare loro che la realtà esterna
o interiore dovesse essere rappresentata per come loro la sentono, la vivono,
appunto con il proprio linguaggio e non utilizzando stilemi riferiti al loro
professore. Credo di essere stato apprezzato per questo mio modo d’insegnare.
11. Qual è il tuo rapporto con la Sicilia, la sua storia, il territorio, la
cultura?
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La storia della Sicilia è plurimillenaria e come tale non finisce mai di presentare
nuovi aspetti, parti non ancora svelate, aspetti sconosciuti. Di conseguenza mi
dà moltissimo sul piano della creatività e degli stimoli. Io dico sempre che la
Sicilia è un libro in cui, sfogliandolo, ciascuno ritrova la sua personalità e riesce
a spiegarla. Su una pagina ci sono gli antenati della preistoria, poi i fenici, i
greci, i romani, e poi i bizantini e gli arabi, i francesi, gli aragonesi e gli
spagnoli e infine i Borboni. Pensa che per un breve periodo ci sono stati anche
gli austriaci. Da appena 150 anni l’isola fa parte dell’Italia, ma nonostante la
sua fierezza autonomista, è sempre stata parte di questo straordinario
Paese.Questo groviglio di culture ha creato un impasto in cui ciascuno di noi
attinge e ritrova le ragioni costitutive del proprio essere. Non so quale altra
terra potrebbe presentare una simile ricchezza di valori e di testimonianze.
Di conseguenza, il mio rapporto con la Sicilia e con Bagheria, il paese dove
sono nato, è molto stretto e quando ritorno è come abbeverarsi alla fonte della
verità.
12. Il tuo legame con il cinema passa attraverso la conoscenza di
Giuseppe Tornatore o c’è qualcosa di più profondo, di costitutivo
della tua visione delle cose?
Non ho un legame particolare con il cinema in quanto linguaggio espressivo.
Conosco la sua storia, ma è stato Giuseppe Tornatore che chiedendomi di
partecipare al suo ultimo film Baarìa, con una particina, mi ha fatto scoprire
la complessità del linguaggio cinematografico. Mi sono prestato volentieri,
perché ho molta stima di questo regista, nato a Bagheria come me. Del
resto Baarìa è la pronuncia locale del nome della nostra città.
13. E come si presenta il tuo rapporto con la narrativa e la poesia?
Chi sono gli autori che hanno lasciato un segno nella tua
formazione, tenuto conto che la tua generazione, come la mia, si
sono abbeverate alla letteratura impegnata, intrisa di
pessimismo esistenzialista da un lato e di slanci rivoluzionari
dall’altro di matrice marxiana e movimentista?
Per tutti gli uomini della mia generazione, la narrativa è molto importante.
Sarebbe lungo stare a raccontare quali letture ho fatto. Continuo a seguire
la narrativa come espressione artistica, al pari della poesia, in quanto sono
espressioni artistiche e creative come la pittura e la scultura.
14. La musica è un linguaggio che senti come sublimazione della
realtà o è una catapulta dei sentimenti?
La musica mi ha sempre attratto, perché riesce a creare un’atmosfera
particolare quando l’ascolto. Prediligo i compositori della grande stagione
romantica, ma anche il periodo post-romantico riesce a darmi forti emozioni.
Un autore che preferisco in particolare è Sergej Rachmaninov.
15. Cosa pensi dell’Italia di oggi? Come vedi il suo futuro?
Non posso esprimere una valutazione positiva sullo stato del nostro Paese. C’è
molta confusione e il calo di tensione etica e morale mi preoccupa molto. Il
futuro dell’Italia è legato al comportamento dei suoi abitanti, in primo luogo, e
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quindi alla responsabilità di ciascuno di noi; in secondo luogo, è strettamente
connesso con quello dell’Europa unita.
16. Come giudichi lo svolgimento delle celebrazioni per il 150°
anniversario dell’Unità d’Italia?
Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia è stato celebrato perché l’ha voluto con
tutte le sue forze il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; la sua
energia e l’autorevolezza del suo ruolo hanno creato le condizioni perché le
celebrazioni fossero un successo. E così è stato. C’è stata una grande
partecipazione di popolo, in ogni località del Paese e questo è un segno
positivo di vitalità e di volontà di andare avanti. Quindi le celebrazioni sono
state un grande successo. Il popolo italiano ha dato un grande consenso e il
Paese si è sentito unito, anche se c’è gente che cerca di dividerlo. Ma sono
convinto che non ci riuscirà.
17. L’Europa Unita può aiutare il processo d’internazionalizzazione
dell’arte? Non mi riferisco al mercato, ma ai valori della
comprensione dei linguaggi moderni e delle stesse tradizioni di
ciascun popolo.
L’arte ha già un linguaggio internazionale. Ogni popolo ha gli occhi per
vedere. Lo strumento dell’arte deve andare dappertutto, perché ciascuno, a
modo proprio, è in grado di capire e di apprezzare quello che l’artista
intende dire. Ogni popolo ha la sua storia e la cultura è parte integrante del
cammino di ciascuno. L’arte ha le sue specificità, ma ciascuno è in grado di
capirla.
18. C’è un tema enorme oggi nel mondo che sovrasta le coscienze, di
cui non si prende atto a sufficienza: quello dei diritti umani.
Razzismo, migranti, lavoro minorile, schiavismo, carceri, pena di
morte, discriminazioni razziali e religiose, violenza sulle donne:
cosa può fare l’arte per richiamare l’attenzione dell’opinione
pubblica?
L’arte fa tutti i giorni qualcosa contro questo stato di cose, in quanto chi
dipinge lo fa anche perché sente il bisogno di esprimere un concetto,
testimoniare un’idea, denunciare una condizione infelice o negativa. Ciascuno
di noi ha di fronte una dura realtà con cui fare i conti, anche scontrandosi. Chi
si isola da tale contesto, nella ricerca di valori sconosciuti, nega la realtà e in
definitiva se stesso.
Ma dobbiamo tenere presente che questo stato di cose è determinato dalla
moderna economia, dal sistema produttivo
odierno che portano allo
sfruttamento e alla sopraffazione. Se non si cambierà questa concezione
dell’economia, e quindi non si creerà un nuovo ordine fondato sulla giustizia e
sul rispetto della persona umana, la situazione non cambierà facilmente. L’arte
quindi può fare molto e fa già tanto per fare capire come stanno le cose.
19. Qual è il tuo rapporto con il mercato dell’arte? Cosa pensi
dell’organizzazione del mercato in quanto tale, in carenza di
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norme che identifichino la professione dell’artista sul piano
fiscale e previdenziale?
Il mio rapporto con il mercato non passa attraverso le strutture che fanno
dell’arte un grande business. Sono molto lontano da un mercato che è
diventato una multinazionale. Anzi, ci sono società di capitali che investono
una piccola parte dei loro utili per sostenere questo o quell’altro artista,
selezionato di critici assoldati per l’occasione. Così, un giovane che ha qualche
talento viene lanciato in tutto il mondo e le quotazioni delle sue opere vanno
alle stelle, perché così quella società multinazionale ci guadagna. Questo non è
mecenatismo, come sarebbe necessario, ma speculazione a danno dell’arte e
degli artisti autentici, oltre che del pubblico.
Un artista deve essere giudicato dal cosiddetto mercato per quello che vale sul
piano della creatività e della qualità della propria opera e non per quello che ha
stabilito la galleria di riferimento nel mondo, magari attraverso qualche asta di
comodo.
20. Ritieni che una normativa chiara per quanto riguarda la
professione artistica, possa migliorare il rapporto dell’artista con
il pubblico?
Sarebbe opportuna, ma una normativa
non potrà stabilire se un artista è valido
o meno. Identifica la professione, ma
non crea e non certifica l’artista. Quali
canoni saranno alla base per decidere se
quell’artista è valido, oggi che tutti i
canoni sono azzerati? Qualcuno risponde
che è il mercato a giudicare, qualche
altro che il giudizio lo darà la storia. E
allora, come fa il Parlamento ad
approvare una legge in questo senso? Si
potrà creare un albo, come quello di altre
professioni, ma non è detto che essere farne parte vuol dire essere importante.
Un bravo architetto o un avvocato valente sono scelti per quello che
progettano e realizzano e per quante cause vincono. Se il metro è quello del
valore commerciale, allora è meglio non fare nulla.
Di conseguenza, conta molto l’educazione del pubblico. I criteri di valutazione
dell’arte contemporanea debbono passare attraverso la capacità del pubblico di
distinguere e di capire. Oggi la situazione è desolante. E anche la critica d’arte
ha le sue responsabilità. Faccio un esempio: Guernica non viene guardato dal
pubblico e non viene spiegato per quello che rappresenta, per la guerra di
Spagna, per il bombardamento e la distruzione della città basca, ma per
quanto costa e perché il dipinto è protetto da un vetro antiproiettile. Gli storici
e i critici dell’arte non spiegano il contesto in cui nasce l’opera d’arte
contemporanea, ma di come la interpretano loro. Di conseguenza, non aiutano
il pubblico a capire.
Un altre esempio: un dipinto di Van Gogh non è bello perché costa molto, ma
perché è la rappresentazione della grande sofferenza dell’autore, della cultura
del suo tempo, di un modo d’intendere la vita.
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In definitiva, insisto sul concetto che l’arte va giudicata per quello che è e non
per quanto vale.
21. Da ultimo, nel mondo dell’effimero, dell’apparire, della velocità
degli scambi, dell’avere, l’artista deve vivere il proprio tempo in
solitudine o cercare aggregazioni? Mi da profondamente fastidio
quando leggo che l’artista XY fa parte della scuderia del
gallerista Alfa o del critico Beta. Cosa pensi al riguardo?
Io non sono un cavallo né un’automobile, perché non ho voluto fare parte di
nessuna consorteria, non ho voluto legarmi a nessuna struttura di mercato.
Ritorna il concetto di mercato dell’arte e la critica alla sua struttura. Quando
vado all’estero sono apprezzato e stimato per il messaggio che porto, per la
novità della mia pittura, per il mio modo di essere e non per quanto costano o
debbano costare le mie opere. Lo stesso vale per l’Italia, anche se qui il
discorso è più complesso perché manca proprio la cultura del mercato basato
sui valori artistici e non monetari.
22. Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Farò mostre in giro per il mondo, da Giacarta al Vietnam a Singapore e altri
paesi. Queste mostre mi daranno, sul piano personale, molte cose, perché
andando in giro per il mondo c’è sempre molto da imparare, si ricevono stimoli
continui e quindi è l’intero pianeta che costituisce l’orizzonte della creatività.
23.
Quando visiti un paese lontano ricevi nuovi stimoli creativi,
dunque!
Quella è la linfa vitale di cui ciascuno di noi ha bisogno: il nuovo, il diverso, lo
sconosciuto. Il mondo non è soltanto la giornata che ciascuno di noi vive, ma
bisogna sapere che c’è una realtà assai più complessa che attende di essere
scoperta e conosciuta. Inoltre, è necessario tenere conto di problemi che sono
più generali, planetari. Faccio un esempio: quando mi lavo i denti, penso
all’acqua che si spreca, mentre nel mondo ci sono contemporaneamente
bambini che muoiono di fame e di sete. Sento la responsabilità di fare qualcosa,
ma avverto nello stesso tempo tutta la mia impotenza per l’immane rilevanza
che ha tale problema. Posso dire che con la mia pittura cerco di sensibilizzare
l’opinione pubblica per la difesa del nostro pianeta. Sarò un visionario
velleitario, ma io penso fermamente che tutelare l’ambiente è salvaguardare
l’umanità.
24.
Il tuo modo di vedere le cose si può riassumere con la frase:
Non guardarsi la punta dei piedi, ma l’orizzonte lontano?
Non guardarsi la punta dei piedi è un’espressione in cui mi posso riconoscere,
ma l’orizzonte lontano è un tema molto arduo. Sì, anche questa espressione mi
trova d’accordo, perché può essere una sintesi, ma voglio ricordare che
l’orizzonte non è mai dritto. Io lo vedo concavo o convesso e quindi sarà
sempre una dura battaglia.
Grazie
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