1 Salvatore Provino è un artista di grande spessore e di
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1 Salvatore Provino è un artista di grande spessore e di
Salvatore Provino è un artista di grande spessore e di lunga esperienza. La sua recente mostra antologica a Palermo sintetizza magistralmente il suo complesso percorso creativo e testimonia i numerosi e costanti successi EFFETTI COLLATERALI NELLA PITTURA DI SALVATORE PROVINO Intervista di Agostino Bagnato Giungo sulla storica piazza romana di S. Francesco a Ripa, oggi chiamata S. Francesco d’Assisi, una bellissima e fredda mattina di gennaio. Il sole illumina la facciata del palazzo del Seicento, trasformato nell’Ottocento, dove è vissuto il celebre pittore garibaldino Nino Costa. Un altro importante pittore abita quel palazzo dagli anni Settanta del secolo scorso ed è Salvatore Provino, principale esponente dell’astrattismo italiano e internazionale, uno dei più noti artisti del Paese. Mi accoglie con l’amabilità e la simpatia di sempre. Il grande calore umano che promana da Salvatore è un tratto irrinunciabile della sua personalità. E’ appena rientrato dalla Sicilia ed è pienamente soddisfatto del positivo risultato della sua ultima fatica. Infatti, il 19 gennaio scorso si è aperta a Palermo, a Palazzo Sant’Elia, una importantissima mostra antologica, dal titolo molto significativo: Provino. Effetti collaterali. L’enorme afflusso di visitatori ha consigliato gli organizzatori di prorogare al 9 aprile la chiusura della rassegna, per consentire a quanta più gente possibile di godere la straordinaria qualità della pittura del Maestro. Curata da Ezio Pagano per conto della Provincia di Palermo e con la presentazione in catalogo di Giorgio Di Genova, la mostra si raccomanda per il rigore scientifico, l’accurata scelta delle oltre cento opere, l’allestimento che ha realizzato lo stesso artista. Il catalogo, nella semplicità della sua impostazione editoriale, oltre alla perfetta riproduzione delle opere esposte, contiene un lungo apparato critico e una preziosa documentazione fotografica riguardante i momenti più importanti della vita del maestro siciliano. La mostra raccoglie opere risalenti agli ultimi venti anni di attività di Salvatore Provino, compreso le grandi tele, alcune veramente imponenti che richiedono spazi adeguati per essere presentate in maniera adeguata ed essere godute in tutta la loro magica bellezza. I grandi saloni di Palazzo Sant’Elia si prestano perfettamente a questo obiettivo, pienamente conseguito dalla magistrale progettazione di Ezio Pagano e dello stesso Provino. Salvatore Provino è nato a Bagheria nel 1943, ma vive a Roma dall’inizio degli anni Sessanta. Nella capitale d’Italia ha trascorso la sua esistenza di lavoro, 1 tornando spesso in Sicilia anche per insegnare all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Il suo curriculum è smisurato, tanto da restare difficile darne conto in una breve presentazione. L’intervista che ha voluto gentilmente rilasciare è l’occasione per ripercorrere la sua arte e comprendere la passione e nello stesso tempo la ragione del suo dipingere ed essere artista. 1. Si parla della tua pittura come linguaggio legato all’astrattismo plastico, all’astrazione materica e concreta. E’ stato Giorgio Di Genova ad usare queste espressioni. In cosa consistono? Il rapporto con la natura è abbastanza veritiero. Io non disdegno mai di guardare la natura, anche quando sento il bisogno di guardare al cosmo, di vedere lidi sconosciuti, sento sempre il bisogno di guardare la terra. Ogni particolare della realtà mi suscita delle emozioni, come un fiore o un suo frammento, oppure una situazione la più strana possibile. 2. Come sei approdato a questa espressione? E’ stato un rapporto molto lento, basato sulla casualità, anche se poi casuale non è. Il punto di partenza può essere considerato l’incontro con Lucio Lombardo Radice che mi ha fatto capire le geometrie non euclidee. Ricordo che stavo disegnando qualcosa, senza sapere esattamente cosa fosse. Basandosi sulle teorie di Lobačevskij, egli mi ha fatto capire il percorso che avevo imboccato e ch ha caratterizzato una fase importante della mia pittura, basata sulla forma geometrica. Lombardo Radice mi ha detto che quel mio lavoro poteva essere intitolato “Disegno esplicativo delle geometrie non euclidee”. Nella mia vita non ne avevo mai sentito parlare, così ho imparato a guardare dentro le cose e non a guardarle da fuori. 3. Cosa ha lasciato nella tua arte il giovanile legame con Renato Guttuso? Mi ha lasciato il bisogno di essere attaccati alla propria terra, a essere legati alla realtà. Renato era un grande maestro della realtà, dipingeva esclusivamente immagini del reale. In qualche modo, io l’ho tradito, perché io sono andato oltre il reale, perché sono andato a vedere cosa c’è dentro la realtà che ci circonda. 2 4. Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Guttuso. Tu lo hai conosciuto bene. Quali ricordi hai dell’uomo e che giudizio esprimi sulla sua lunga e discussa creazione artistica? L’uomo era straordinario, dotato di grande gentilezza e generosità. Ha sempre aiutato tutti. Si può dire che mezzo mondo sia stato aiutato da Renato Guttuso. La sua pittura credo che debba essere inquadrata nell’ambito della politica italiana del lungo periodo in cui egli ha vissuto. Era un difensore della classa operaia e dei contadini e quindi si è schierato contro altri artisti che consideravano l’arte totalmente libera da schemi e influenze politiche, mentre Renato ha volontariamente accettato di fare l’arte realista e figurativa che, in definitiva, voleva Palmiro Togliatti. La storia dirà chi ha avuto ragione. 5. Ritieni che sia definitivamente superata la contrapposizione tra figurativo e astratto che ha caratterizzato le arti visive degli ultimi 50 anni? E in quale contesto si colloca il tuo percorso creativo? No, questa contrapposizione non è stata superata, in quanto oggi vale la categoria di essere stati uomini del ’68 o di non esserlo stati. Stiamo ancora pagando sul piano generale questa contrapposizione, da quello sociale ed economico a quello culturale e politico. Non tutto quello che era stato preventivato e previsto è stato realizzato, ma molte cose, nonostante tutto, sono state attuate e hanno contribuito a cambiare il volto della società. Gli artisti della mia generazione sono stati oscurati da questo modo di vedere le cose. Non c’è artista che sia stato elevato a livelli superiori. Io continuo a fare quello che ritengo necessario per affermare la mia personalità, senza infingimenti o travisamenti. Si tratta di continuare a crescere come persona e di conseguenza come artista. Io mi rendo conto di questo processo, soprattutto perché non mi sono mai fermato e ogni giorno reinvento la mia pittura. 6. Il neofigurativo, partito con la Pop art e giunto a forme di minimalismo o di iperrealismo, può essere visto come uno sviluppo del tradizionale realismo figurativo? No, perché sono due cose completamente diverse. Il figurativo praticato negli anni Cinquanta era legato alla rappresentazione della classe operaia, del mondo del lavoro e alla società in generale. Il realismo è un’altra cosa: vuol dire guardare dentro la realtà. La realtà è molto più complessa di come può apparire e di come viene interpretata da un partito politico piuttosto che da un altro. 3 7. L’astrattismo ha una lunga storia di maestri e di successi, a cominciare da Kandinskij, Mondrian, Klee, Pollock. In quale contesto si colloca la tua creazione che, per i suoi caratteri analitici, si potrebbe definire astrattismo scientifico. Basti citare il superamento della geometria euclidea e il legame con le teorie di Lobačevskij1 che hai assunto dalla frequentazione con Lucio Lombardo Radice, uno dei maggiori pedagogisti italiani. 1 Nikolaj Ivanovič Lobačevskij nacque a Nižnij Novgorod, Russia, da Ivan Maksimovič Lobačevskij, impiegato in un ufficio del catasto agricolo, e da Praskov'ja Aleksandrovna Lobačevskaja, il 20 novembre 1792. Quando nel 1800 il padre morì, sua madre, rimasta con l'onere di tre figli, decise di trasferirsi a Kazan'. Qui Nikolaj Ivanovič frequentò il ginnasio di Kazan', diplomandosi nel 1807 e successivamente si iscrisse all'Università di Kazan’ che era stata fondata solo tre anni prima. Nei suoi studi universitari egli fu influenzato dal professor Martin Bartels (1769-1833), un matematico con conoscenze enciclopediche amico di Carl Friedrich Gauss; nel 1811, all'età di diciotto anni ottenne la laurea in fisica e matematica. Nel 1814 divenne lettore all' Università di Kazan e nel 1822 ottenne la nomina a professore ordinario. Oltre ai suoi corsi di matematica, egli fu incaricato dei corsi di fisica e di astronomia e ricoprì numerosi incarichi amministrativi quali per esempio il riordinamento della biblioteca dell'università, precedentemente in un disordine che la rendeva inutilizzabile, e la sistemazione razionale delle collezioni del museo fino allora collocate a caso. Alla morte dello zar Alessandro I nel 1825, fu sostituito il funzionario superiore responsabile della cattiva amministrazione dell'università e Lobačevskij fu sollevato dagli incarichi amministrativi; nel 1827 ottenne la nomina a rettore, carica che mantenne fino al 1846. Nel periodo in cui fu rettore, Lobačevskij, contribuì alla costruzione di nuovi edifici, quali una biblioteca, un osservatorio astronomico e laboratori di chimica e anatomia. Successivamente, Kazan' fu colpita dal colera (1830) e più tardi da un incendio (1842) che in particolare distrusse i nuovi edifici, che furono ricostruiti grazie all'attività di Lobačevskij. Nel 1842 fu eletto membro della Società Scientifica di Gottinga su raccomandazione di Gauss che leggendo le sue opere venne a conoscenza dei contributi di Lobačevskij alla geometria non-euclidea anche se non volle mai riconoscerli in scritti che fossero pubblicati. Nel 1832 sposò Varvara Alekseevna Moiseeva e da lei ebbe sette figli. Nel 1846 si ritirò dall'università, o meglio fu costretto dallo Stato a lasciarla; successivamente la sua salute si deteriorò rapidamente. Pochi anni prima della morte, nel 1855, Lobačevskij in occasione del cinquantesimo anniversario dell'università, presenta il manoscritto della sua Pangeometria, che fu scritto sotto sua dettatura in quanto era diventato cieco. Risultati matematici Il conseguimento principale di Lobačevskij è lo sviluppo (indipendentemente da János Bolyai) della geometria noneuclidea. Prima di lui, i matematici stavano tentando di dedurre il quinto postulato di Euclide dagli altri assiomi. Lobačevskij avrebbe voluto sviluppare invece una geometria nella quale il quinto postulato non fosse vero, o meglio non fosse indispensabile a qualunque geometria coerente. Egli, inoltre, sostenne le sue idee stabilendo un sistema di geometria basato sull'ipotesi dell'angolo acuto, secondo la quale in un piano, per un punto fisso passano due parallele ad una retta. Il 23 febbraio 1826 può essere considerato ufficiosamente come l'inizio della sua geometria in quanto riportò le sue idee e alcuni teoremi caratteristici della nuova disciplina alla sessione del dipartimento di fisica e matematica. La sua ricerca fu pubblicata nel Bulletin of Kazan University (Вестник Казанского университета) nel 1829–1830.In questo modo Lobačevskij abolisce il dogma della "verità" assoluta della geometria euclidea e, per questo, può essere definito il Copernico della geometria, anche se il riconoscimento delle sue idee da parte della comunità matematica fu piuttosto lento in quanto i matematici di quel tempo erano troppo legati alla situazione presente per poterla giudicare in modo più ampio, e quindi dovette continuare a sviluppare le sue idee in solitario isolamento. Tali idee furono accettate pienamente solamente molte decadi dopo la sua morte.Un altro dei conseguimenti di Lobačevskij è lo sviluppo di un metodo per l'approssimazione numerica delle radici di equazioni algebriche. Questo metodo è ora noto come il metodo di Dandelin-Gräffe, chiamato come gli altri due matematici che lo scoprirono indipendentemente. In Russia, è chiamato il metodo di Lobačevskij. Lobačevskij diede la definizione di una funzione come una corrispondenza tra due insiemi di numeri reali (Dirichlet diede indipendentemente presto la stessa definizione dopo Lobačevskij) E’ morto a Kazan’ il 12 febbraio 1856. 4 Ho già fatto riferimento all’incontro con Lucio Lombardo Radice che mi ha fatto comprendere il valore della scienza per capire la realtà e interpretarla. Egli non era soltanto un matematico, ma anche un grande filosofo. Il suo insegnamento per me è stato decisivo per trovare la strada di entrare all’interno della realtà e guardarla con capacità analitica. 8. L’astrattismo si rinnova continuamente senza perdere il suo rapporto con il colore e le sue vibrazione, nonché con la ricerca di una forma che si appalesa comunque. Quale sarà il suo futuro? L’astrattismo continuerà ad esistere, perché è strettamente legato alla rappresentazione e interpretazione della realtà secondo metodi e concezioni che sono in continuo divenire. Per me, sulla base delle evoluzioni e degli sviluppi attuali, avrà un avvenire sicuro. Del resto, basta guardare alla produzione artistica in tutto il mondo per rendersi conto che l’astrattismo continua ad essere un punto di riferimento irrinunciabile delle ricerche più avanzate. La natura è l’animo umano e quindi la sua raffigurazione non può avvenire secondo canoni tradizionali bensì attraverso segni che connotano l’astrattismo. 9. La grande mostra antologica di Palermo è un ulteriore riconoscimento della tua arte e nello stesso tempo un impegno a proseguire sul cammino tracciato. E’ così? Questa mostra è un ritorno ancora una volta alla mia Sicilia. Io sono siciliano fin nell’intimo di ogni fibra e quindi ogni volta che mi trovo in Sicilia è come stare a casa mia, perché quella è la mia casa. La sua storia, la cultura, il suo straordinario fascino, la sua gente ne fanno qualcosa di irripetibile. Certo ci sono anche cose che non vanno e che non fanno onore. Mi riferisco alla mafia. 10. Come giudichi il tuo insegnamento nelle Accademie di Belle Arti? Si può parlare di una tua scuola e di allievi che ti seguono nella ricerca artistica? Non ho mai voluto creare una scuola riferita alla mia attività, allo stile della mia pittura, al mio insegnamento. Al contrario, ho sempre cercato di lasciare liberi gli studenti di esprimersi liberamente nel proprio linguaggio, che ho sempre cercato di assecondare. Mi sono sforzato di insegnare loro che la realtà esterna o interiore dovesse essere rappresentata per come loro la sentono, la vivono, appunto con il proprio linguaggio e non utilizzando stilemi riferiti al loro professore. Credo di essere stato apprezzato per questo mio modo d’insegnare. 11. Qual è il tuo rapporto con la Sicilia, la sua storia, il territorio, la cultura? 5 La storia della Sicilia è plurimillenaria e come tale non finisce mai di presentare nuovi aspetti, parti non ancora svelate, aspetti sconosciuti. Di conseguenza mi dà moltissimo sul piano della creatività e degli stimoli. Io dico sempre che la Sicilia è un libro in cui, sfogliandolo, ciascuno ritrova la sua personalità e riesce a spiegarla. Su una pagina ci sono gli antenati della preistoria, poi i fenici, i greci, i romani, e poi i bizantini e gli arabi, i francesi, gli aragonesi e gli spagnoli e infine i Borboni. Pensa che per un breve periodo ci sono stati anche gli austriaci. Da appena 150 anni l’isola fa parte dell’Italia, ma nonostante la sua fierezza autonomista, è sempre stata parte di questo straordinario Paese.Questo groviglio di culture ha creato un impasto in cui ciascuno di noi attinge e ritrova le ragioni costitutive del proprio essere. Non so quale altra terra potrebbe presentare una simile ricchezza di valori e di testimonianze. Di conseguenza, il mio rapporto con la Sicilia e con Bagheria, il paese dove sono nato, è molto stretto e quando ritorno è come abbeverarsi alla fonte della verità. 12. Il tuo legame con il cinema passa attraverso la conoscenza di Giuseppe Tornatore o c’è qualcosa di più profondo, di costitutivo della tua visione delle cose? Non ho un legame particolare con il cinema in quanto linguaggio espressivo. Conosco la sua storia, ma è stato Giuseppe Tornatore che chiedendomi di partecipare al suo ultimo film Baarìa, con una particina, mi ha fatto scoprire la complessità del linguaggio cinematografico. Mi sono prestato volentieri, perché ho molta stima di questo regista, nato a Bagheria come me. Del resto Baarìa è la pronuncia locale del nome della nostra città. 13. E come si presenta il tuo rapporto con la narrativa e la poesia? Chi sono gli autori che hanno lasciato un segno nella tua formazione, tenuto conto che la tua generazione, come la mia, si sono abbeverate alla letteratura impegnata, intrisa di pessimismo esistenzialista da un lato e di slanci rivoluzionari dall’altro di matrice marxiana e movimentista? Per tutti gli uomini della mia generazione, la narrativa è molto importante. Sarebbe lungo stare a raccontare quali letture ho fatto. Continuo a seguire la narrativa come espressione artistica, al pari della poesia, in quanto sono espressioni artistiche e creative come la pittura e la scultura. 14. La musica è un linguaggio che senti come sublimazione della realtà o è una catapulta dei sentimenti? La musica mi ha sempre attratto, perché riesce a creare un’atmosfera particolare quando l’ascolto. Prediligo i compositori della grande stagione romantica, ma anche il periodo post-romantico riesce a darmi forti emozioni. Un autore che preferisco in particolare è Sergej Rachmaninov. 15. Cosa pensi dell’Italia di oggi? Come vedi il suo futuro? Non posso esprimere una valutazione positiva sullo stato del nostro Paese. C’è molta confusione e il calo di tensione etica e morale mi preoccupa molto. Il futuro dell’Italia è legato al comportamento dei suoi abitanti, in primo luogo, e 6 quindi alla responsabilità di ciascuno di noi; in secondo luogo, è strettamente connesso con quello dell’Europa unita. 16. Come giudichi lo svolgimento delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia? Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia è stato celebrato perché l’ha voluto con tutte le sue forze il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; la sua energia e l’autorevolezza del suo ruolo hanno creato le condizioni perché le celebrazioni fossero un successo. E così è stato. C’è stata una grande partecipazione di popolo, in ogni località del Paese e questo è un segno positivo di vitalità e di volontà di andare avanti. Quindi le celebrazioni sono state un grande successo. Il popolo italiano ha dato un grande consenso e il Paese si è sentito unito, anche se c’è gente che cerca di dividerlo. Ma sono convinto che non ci riuscirà. 17. L’Europa Unita può aiutare il processo d’internazionalizzazione dell’arte? Non mi riferisco al mercato, ma ai valori della comprensione dei linguaggi moderni e delle stesse tradizioni di ciascun popolo. L’arte ha già un linguaggio internazionale. Ogni popolo ha gli occhi per vedere. Lo strumento dell’arte deve andare dappertutto, perché ciascuno, a modo proprio, è in grado di capire e di apprezzare quello che l’artista intende dire. Ogni popolo ha la sua storia e la cultura è parte integrante del cammino di ciascuno. L’arte ha le sue specificità, ma ciascuno è in grado di capirla. 18. C’è un tema enorme oggi nel mondo che sovrasta le coscienze, di cui non si prende atto a sufficienza: quello dei diritti umani. Razzismo, migranti, lavoro minorile, schiavismo, carceri, pena di morte, discriminazioni razziali e religiose, violenza sulle donne: cosa può fare l’arte per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica? L’arte fa tutti i giorni qualcosa contro questo stato di cose, in quanto chi dipinge lo fa anche perché sente il bisogno di esprimere un concetto, testimoniare un’idea, denunciare una condizione infelice o negativa. Ciascuno di noi ha di fronte una dura realtà con cui fare i conti, anche scontrandosi. Chi si isola da tale contesto, nella ricerca di valori sconosciuti, nega la realtà e in definitiva se stesso. Ma dobbiamo tenere presente che questo stato di cose è determinato dalla moderna economia, dal sistema produttivo odierno che portano allo sfruttamento e alla sopraffazione. Se non si cambierà questa concezione dell’economia, e quindi non si creerà un nuovo ordine fondato sulla giustizia e sul rispetto della persona umana, la situazione non cambierà facilmente. L’arte quindi può fare molto e fa già tanto per fare capire come stanno le cose. 19. Qual è il tuo rapporto con il mercato dell’arte? Cosa pensi dell’organizzazione del mercato in quanto tale, in carenza di 7 norme che identifichino la professione dell’artista sul piano fiscale e previdenziale? Il mio rapporto con il mercato non passa attraverso le strutture che fanno dell’arte un grande business. Sono molto lontano da un mercato che è diventato una multinazionale. Anzi, ci sono società di capitali che investono una piccola parte dei loro utili per sostenere questo o quell’altro artista, selezionato di critici assoldati per l’occasione. Così, un giovane che ha qualche talento viene lanciato in tutto il mondo e le quotazioni delle sue opere vanno alle stelle, perché così quella società multinazionale ci guadagna. Questo non è mecenatismo, come sarebbe necessario, ma speculazione a danno dell’arte e degli artisti autentici, oltre che del pubblico. Un artista deve essere giudicato dal cosiddetto mercato per quello che vale sul piano della creatività e della qualità della propria opera e non per quello che ha stabilito la galleria di riferimento nel mondo, magari attraverso qualche asta di comodo. 20. Ritieni che una normativa chiara per quanto riguarda la professione artistica, possa migliorare il rapporto dell’artista con il pubblico? Sarebbe opportuna, ma una normativa non potrà stabilire se un artista è valido o meno. Identifica la professione, ma non crea e non certifica l’artista. Quali canoni saranno alla base per decidere se quell’artista è valido, oggi che tutti i canoni sono azzerati? Qualcuno risponde che è il mercato a giudicare, qualche altro che il giudizio lo darà la storia. E allora, come fa il Parlamento ad approvare una legge in questo senso? Si potrà creare un albo, come quello di altre professioni, ma non è detto che essere farne parte vuol dire essere importante. Un bravo architetto o un avvocato valente sono scelti per quello che progettano e realizzano e per quante cause vincono. Se il metro è quello del valore commerciale, allora è meglio non fare nulla. Di conseguenza, conta molto l’educazione del pubblico. I criteri di valutazione dell’arte contemporanea debbono passare attraverso la capacità del pubblico di distinguere e di capire. Oggi la situazione è desolante. E anche la critica d’arte ha le sue responsabilità. Faccio un esempio: Guernica non viene guardato dal pubblico e non viene spiegato per quello che rappresenta, per la guerra di Spagna, per il bombardamento e la distruzione della città basca, ma per quanto costa e perché il dipinto è protetto da un vetro antiproiettile. Gli storici e i critici dell’arte non spiegano il contesto in cui nasce l’opera d’arte contemporanea, ma di come la interpretano loro. Di conseguenza, non aiutano il pubblico a capire. Un altre esempio: un dipinto di Van Gogh non è bello perché costa molto, ma perché è la rappresentazione della grande sofferenza dell’autore, della cultura del suo tempo, di un modo d’intendere la vita. 8 In definitiva, insisto sul concetto che l’arte va giudicata per quello che è e non per quanto vale. 21. Da ultimo, nel mondo dell’effimero, dell’apparire, della velocità degli scambi, dell’avere, l’artista deve vivere il proprio tempo in solitudine o cercare aggregazioni? Mi da profondamente fastidio quando leggo che l’artista XY fa parte della scuderia del gallerista Alfa o del critico Beta. Cosa pensi al riguardo? Io non sono un cavallo né un’automobile, perché non ho voluto fare parte di nessuna consorteria, non ho voluto legarmi a nessuna struttura di mercato. Ritorna il concetto di mercato dell’arte e la critica alla sua struttura. Quando vado all’estero sono apprezzato e stimato per il messaggio che porto, per la novità della mia pittura, per il mio modo di essere e non per quanto costano o debbano costare le mie opere. Lo stesso vale per l’Italia, anche se qui il discorso è più complesso perché manca proprio la cultura del mercato basato sui valori artistici e non monetari. 22. Quali sono i tuoi programmi per il futuro? Farò mostre in giro per il mondo, da Giacarta al Vietnam a Singapore e altri paesi. Queste mostre mi daranno, sul piano personale, molte cose, perché andando in giro per il mondo c’è sempre molto da imparare, si ricevono stimoli continui e quindi è l’intero pianeta che costituisce l’orizzonte della creatività. 23. Quando visiti un paese lontano ricevi nuovi stimoli creativi, dunque! Quella è la linfa vitale di cui ciascuno di noi ha bisogno: il nuovo, il diverso, lo sconosciuto. Il mondo non è soltanto la giornata che ciascuno di noi vive, ma bisogna sapere che c’è una realtà assai più complessa che attende di essere scoperta e conosciuta. Inoltre, è necessario tenere conto di problemi che sono più generali, planetari. Faccio un esempio: quando mi lavo i denti, penso all’acqua che si spreca, mentre nel mondo ci sono contemporaneamente bambini che muoiono di fame e di sete. Sento la responsabilità di fare qualcosa, ma avverto nello stesso tempo tutta la mia impotenza per l’immane rilevanza che ha tale problema. Posso dire che con la mia pittura cerco di sensibilizzare l’opinione pubblica per la difesa del nostro pianeta. Sarò un visionario velleitario, ma io penso fermamente che tutelare l’ambiente è salvaguardare l’umanità. 24. Il tuo modo di vedere le cose si può riassumere con la frase: Non guardarsi la punta dei piedi, ma l’orizzonte lontano? Non guardarsi la punta dei piedi è un’espressione in cui mi posso riconoscere, ma l’orizzonte lontano è un tema molto arduo. Sì, anche questa espressione mi trova d’accordo, perché può essere una sintesi, ma voglio ricordare che l’orizzonte non è mai dritto. Io lo vedo concavo o convesso e quindi sarà sempre una dura battaglia. Grazie 9