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esperienze di laboratorio sul movimento
Provincia autonoma di Trento
Dipartimento Istruzione
esperienze di laboratorio sul movimento
Servizio per lo sviluppo e l’innovazione del sistema scolastico e formativo
un salto, un perché
esperienze di laboratorio sul movimento
Anna Tava - Beatrice Andalò
ITINERARI
Strumenti e riflessioni pedagogiche
Anna Tava - Beatrice Andalò
un salto, un perché
esperienze di laboratorio sul movimento
ITINERARI
Strumenti e riflessioni pedagogiche
TAVA, Anna
Un salto, un perché : esperienze di laboratori sul movimento / Anna Tava, Beatrice Andalò. - Trento. Provincia autonoma di Trento. Giunta, 2008. - 152 p. : fot. ; 24 cm. - (Itinerari :
strumenti e riflessioni pedagogiche)
ISBN 978-88-7702-230-1
1. Bambini - Educazione psicomotoria - Scuola materna Trentino 2. Bambini - Educazione psicomotoria - Asili-nido Trentino I. Andalò, Beatrice
372.21
Referenze fotografiche
Nidi d’infanzia:
Girogirotondo - Canezza di Pergine
Il Trenino - Trento
Crosina Sartori - Trento
Scuole dell’infanzia:
Canazei
Crosina Sartori - Trento
Fai della Paganella
Fucine - Rovereto
Isera
Piedicastello - Trento
Pozza di Fassa
Roveré della Luna
Terlago
San Michele all’Adige-Faedo
Editing
Ufficio di coordinamento pedagogico generale
Stampa
Tipografia Editrice TEMI - Trento
©
2008 - Tutti i diritti riservati
Giunta della Provincia autonoma di Trento
Servizio per lo sviluppo e l’innovazione del sistema scolastico e formativo
Ufficio di coordinamento pedagogico generale
ISBN: 978-88-7702-230-1
SOMMARIO
PRESENTAZIONE
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Prima parte
Introduzione
9
seconda PARTE
Emozioni in movimento - due laboratori psicomotori
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Introduzione
Modelli teorici di riferimento
Elementi psicomotori in laboratorio
Il movimento
Giochi pieni di senso
Schema corporeo e immagine corporea
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23
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TERZA PARTE
Giocamuoviti - laboratorio sul gioco di movimento
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Introduzione
Un approccio psicomotorio “obliquo”
L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
Gli schemi motori di base
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103
118
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E infine un racconto
147
PRESENTAZIONE
Questa pubblicazione racconta e mostra le esperienze tratte da tre laboratori che affrontavano la tematica corpo-movimento, organizzati negli
anni 2005-2007 per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e gli educatori dei servizi educativi per la prima infanzia. Nei laboratori Corpo e fantasia e Corpo e-motivo il lavoro ha riguardato principalmente l’espressività corporea con l’interesse rivolto ad approfondire la conoscenza degli
aspetti emotivi presenti nei giochi; nel laboratorio Giocamuoviti gli obiettivi erano riferiti alla conoscenza dello sviluppo degli schemi motori di base e di modalità operative per l’invenzione di giochi di movimento con
l’uso di materiale povero e il contributo ideativo dei bambini.
Il titolo, “Un salto, un perché”, prende il saltare, azione fisicamente ardita
e ricca di componenti simboliche, come atto rappresentativo della complessità insita nelle attività motorie che il bambino compie e la necessità quindi per l’educatore di disporre di più chiavi di lettura per osservare,
condurre e partecipare ai giochi. Attraverso la presentazione dei percorsi
laboratoriali, si vanno perciò a indicare alcuni bisogni e motivi che stanno nascosti in diversi giochi e azioni: si cercano i “perché” del piacere di
nascondersi, di girare, di catturare nemici, di costruire case e strade, di
scoprire le possibilità e i limiti del proprio corpo...
Nel testo si parla di psicomotricità, illustrando brevemente le varie tipologie e modalità operative oggi presenti nella scuola dell’infanzia, in cui
l’attività motoria è organizzata secondo modi diversi e con obiettivi per
lo sviluppo di competenze corporee e sulla consapevolezza di sé. È proprio la complessità dei vissuti che porta insegnanti e educatori a voler
sondare ancor più le sfaccettature del tema, essendo coscienti che in un
rapporto di relazione sia l’adulto che il bambino esternano parti di sé, arrivando a condividere profondamente ciò che accade.
Così nei laboratori gli educatori si sono messi in gioco, cercando di capire “più a fondo” le sensazioni, per confrontare le proprie conoscenze
con il “sentire”. Tutto ciò ha implicato impegno, ma ha dato anche divertimento, proprio com’è nel fare dei bambini.
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Anche nel libro viene mantenuto l’approccio adottato nei laboratori con
l’abbinamento dei giochi alle riflessioni, sperimentazioni con materiali alternativi a teorie pedagogiche motivanti. Nella lettura si noterà che gli argomenti ricorrono nelle parti in cui il testo si divide, più volte ad esempio
si parla di schema corporeo o di sensorialità, questo permette di poter
cogliere aspetti e di evidenziare anche gli obiettivi didattici percorribili attraverso proposte diversificate.
Nella progettazione dei laboratori sono state previste alcune attività rivolte alle scuole e appuntamenti per i genitori, inseriti nel Progetto Crescere
– scuola e famiglia in formazione, promosso dal Dipartimento Istruzione
attraverso il Servizio per lo sviluppo e l’innovazione del sistema scolastico e formativo della Provincia autonoma di Trento. Ci sono stati perciò incontri per gruppi di bambini di varie età, altri solo per gli adulti e altri ancora che vedevano la presenza di madri, padri e nonni insieme ai
propri bambini. In ogni caso le proposte laboratoriali hanno conquistato grandi e piccoli, andando a rivelare il valore del gioco come esperienza fatta di intelligenza e sentimenti. Le immagini pubblicate sono dunque tratte sia dagli incontri con degli educatori che quelli scolastici e per
le famiglie. Per completare le spiegazioni si sono inoltre utilizzati materiali fotografici di alcune scuole che non hanno partecipato a questi laboratori ma praticano la psicomotricità.
Questo è dunque un volume carico di materiale giocoso e di modalità
operative che prevedono la partecipazione attiva e la capacità di variare, di saper cogliere spunti e rilanciarli con intuizioni azzeccate. E questo
non nasce solo dall’essere più o meno estrosi animatori, ma soprattutto
dalla sensibilità, che si affina con la conoscenza e l’esperienza. Cresce
così la dote dell’empatia, il “sentire con”, che produce sguardi e sorrisi
che danno riconoscimento, forza e aiuto, quando serve. Certo alcune tematiche sono state solo sfiorate, il campo è davvero molto ampio e dunque ci piace pensare che questa pubblicazione possa invogliare ad andare verso altri approfondimenti. Perché un libro che parla di laboratori
vuole essere principalmente uno stimolo a fare e ricercare ancora.
Miriam Pintarelli
Direttore Ufficio di coordinamento pedagogico generale
“Hai visto
che salto?”
9
Introduzione
Introduzione
L’educazione motoria nella scuola dell’infanzia
Nella scuola dell’infanzia si gioca con il corpo e con il corpo si impara.
I bambini si muovono dando forza, misura, sicurezza e coscienza al loro agire e gli insegnanti, sapendo quanto è importante sperimentare con
tutto il corpo, danno forma a proposte variegate, piacevoli, con graduale complessità, rivestite di storie e di spirito di avventura, per scoperte
che perfezionano sempre un po’ di più la percezione e l’idea che i bambini hanno di sé.
I giochi e le attività sono molte e contengono intenzioni educative che si
declinano in termini come “motricità”, “educazione motoria”, “psicomotricità”.
I contenuti sono apparentemente gli stessi: i bambini saltano, corrono,
rotolano, giocano a corpo libero o con i materiali in svariate esperienze,
ma sono gli obiettivi ad essere diversi e così le metodologie per perseguirli. Ci sono, infatti, proposte di tipo motorio-funzionale, per lo sviluppo delle capacità corporee, che si inseriscono in giochi guidati o in sperimentazioni con vari materiali, e attività più creative in cui, attraverso il
movimento, si intende sostenere la costruzione dell’identità, dando voce
anche alla personalità e alle emozioni di ognuno.
Un salto, un perché
Occorre dire che per i bambini della fascia prescolare, il corporeo rappresenta sempre la totalità dell’esperienza e quindi qualsiasi azione motoria è “psico” e “motoria” insieme, pertanto nella scuola dell’infanzia le
attività corporee e di movimento progettate per perseguire obiettivi educativi vengono spesso fatte rientrare nella programmazione didattica come psicomotricità. Solitamente è prevista una rielaborazione dei vissuti
attraverso altri linguaggi – grafici, costruttivi, narrativi – che favoriscono
il passaggio dal corporeo al mentale, è questo uno dei processi di cui si
fa carico la psicomotricità.
Nelle varie esperienze motorie l’ottica educativa pertanto si diversifica.
Quando l’insegnante decide
di creare un contesto di gioco di tipo motorio-funzionale,
in cui, ad esempio, propone
ai bambini giochi sui salti, è
consapevole che la prima infanzia è l’età più sensibile per
lo sviluppo degli schemi motori di base, tra cui appunto
il saltare, e intende aiutare il
bambino a sviluppare questa
competenza. Il suo impegno
è perciò rivolto a predisporre
divertenti attività di salto per
offrire ai bambini esperienze
articolate in cui sviluppare questa capacità. Nel caso del salto, gli obiettivi riguarderanno la capacità di saltare agilmente in vari modi: in alto,
in basso, in movimento, in avanti e all’indietro, su una gamba sola...
L’educatore è attento a creare attività stimolanti, non frustranti rispetto a prestazioni richieste, ma anzi costruite per essere facilmente superabili per poterne ricavare piacevoli sensazioni di successo, come
capita nei semplici percorsi ad ostacoli. C’è quindi attenzione anche
per la dimensione affettiva e relazionale del bambino, ma il punto di vista è soprattutto rivolto allo sviluppo delle potenzialità di un movimento, che diventerà sempre più armonico, economico e quindi funzionale allo scopo.
Quando invece l’adulto decide di proporre giochi di movimento che esplorano l’espressività dei bambini, andando a muovere fattori emotivi, consi-
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Introduzione
dera le attività di movimento come occasioni
per privilegiare la creatività e l’investimento
emotivo, perché l’ottica educativa è di sostenere i processi che
portano all’autonomia,
alla crescita dell’autostima, alla capacità di
iniziativa e alla consapevolezza di sé a vari livelli, fisico ed emotivo. La psicomotricità diventa
quindi una “palestra emotiva” in cui “giocare se stessi”.
Trovandosi di fronte a questo ampio panorama operativo che fa riferimento a varie teorie, nei laboratori per gli insegnanti si è cercato di fare
chiarezza rispetto alle diverse metodologie adottate nella scuola dell’infanzia in ambito psicomotorio, per comprendere meglio la portata educativa e le metodologiche relative ai vari approcci.
Così anche in questo libro le esperienze laboratoriali sono inquadrate
teoricamente, prendendo in considerazione le posizioni sull’argomento
degli autori Pierre Vayer, Andrè Lapierre, Bernard Aucouturier nella prima parte e di Serafino Rossini nella seconda. Ognuno di questi teorici ha
definito una propria proposta che, pur considerando il bambino nella sua
globalità, formula modalità proprie per offrire situazioni di gioco di movimento che rispondano ai bisogni dei bambini e agli scopi educativi relativi alla fascia d’età fino ai sei anni.
Il testo non è certo esaustivo rispetto al variegato mondo della psicomotricità, ma dà una visione sulle scelte metodologiche più adottate nelle
scuole dell’infanzia e, attraverso il racconto delle attività dei laboratori,
può dare indicazioni per successivi approfondimenti mirati.
La psicomotricità in ambito educativo
La psicomotricità educativa si differenzia da quella terapeutica perché non
si pone scopi curativi per problematiche psichiche o psicologiche, ma predispone una situazione di gioco in cui ogni bambino può sviluppare consapevolezza di sé, acquisire capacità motorie e mettere in gioco le proprie
Un salto, un perché
emozioni. In presenza di disagi o handicap la proposta psicomotoria diventa sicuramente una risorsa in quanto è un percorso in cui il bambino può rivelare le proprie difficoltà fisiche o emotive e trovare sostegno nell’affrontarle, rielaborando nel contempo i sentimenti che prova.
È riconosciuto che il periodo di vita fino ai 7 anni è l’età d’oro per la psicomotricità, perché è un tempo in cui il bambino “pensa con il corpo”,
essendo molto legato alle sensazioni e occupato dai processi inconsci
che agiscono sulla personalità. La costruzione dell’Io è perciò il campo
d’azione della psicomotricità, che considera sempre le azioni come un
insieme di aspetti funzionali, intellettivi ed emotivi intrecciati.
L’azione del salto, ad esempio, comprende più fattori: una capacità fisica, fatta di movimenti e gesti coordinati per un’adeguata azione di slancio e caduta, una capacità cognitiva, che permette di valutare distanza e
profondità, e, se l’atto è svolto in gruppo, anche una capacità relazionale che prevede autoregolazione per la condivisione di spazi e progetto di
gioco. Ma, oltre a tutto questo, è fondamentale che il bambino metta in
campo anche una capacità emotiva, perché il salto implica l’atto di staccarsi dal suolo, di sentirsi tanto sicuri da affrontare il vuoto. Saltare perciò
non riguarda solo il pensiero razionale, ma coinvolge il processo inconscio di assunzione di sé e di fiducia, che ha le sue basi nella storia affettiva di ognuno.
12
13
Introduzione
Nella scuola dell’infanzia la psicomotricità cominciò ad affermarsi diffusamente nei primi anni ‘80, portando nella didattica termini nuovi, come
schema corporeo e lateralizzazione, e presentando in vari testi esercizi mirati per aiutare i bambini a rendere più precisi e consapevoli i movimenti del proprio corpo.
Il bagaglio professionale degli insegnanti si arricchì di testi che descrivevano semplici esercizi e giochi per approfondire gli schemi motori di base e schede grafiche per fissare i concetti affrontati; le scuole si fornirono di “carrelli psicomotori” con una dotazione di base utile per costruire
percorsi e giochi motori di vario genere.
Nel passare degli anni è andata sempre più crescendo la considerazione per gli aspetti emotivi che condizionano le azioni e sono state formulate nuove modalità per proporre le attività, riconoscendo il movimento
come canale privilegiato per l’espressione dell’interiorità del bambino. Le
proposte psicomotorie nella scuola dell’infanzia si sono quindi differenziate, dando forma a vari momenti di esperienza nell’ambito della corporeità e del gioco di movimento.
Due tipologie di proposta psicomotoria
Nelle scuole dell’infanzia si possono riconoscere due grandi tipologie di attività psicomotoria, che si distinguono per metodologia e organizzazione,
derivanti dagli obiettivi che l’educatore si propone di perseguire e dall’impostazione del momento di gioco, che assume caratteristiche differenti:
– la psicomotricità con obiettivi funzionali e cognitivi
– la psicomotricità a carattere prevalentemente espressivo.
La psicomotricità con obiettivi cognitivi, si può denominare come “informativa” o “impressiva”, utilizzando i termini già adottati in altri testi di
psicomotricità, perché porta informazioni e impressioni fisico-sensoriali
al corpo e sulla relazione fra questo e la realtà, su cui viene posta l’attenzione perché vengano elaborati e integrati nella coscienza.
Un esempio sono i giochi topologici che permettono di rapportarsi con più
consapevolezza allo spazio, interiorizzando i concetti che lo regolano (alto/basso-lungo/corto, vicino/distante...) o le esperienze sensoriali per focalizzare la specificità dei sensi o delle funzioni delle parti del corpo.
Un salto, un perché
In questo modello operativo l’adulto, pur tenendo presente gli aspetti
emotivi, progetta le attività per favorire l’acquisizione e lo sviluppo di capacità relative
– allo schema corporeo
– alle sensazioni corporee: tono muscolare, respiro, immobilità/azione
– al rapporto con la realtà: colori, forme, grandezze
– ai concetti spaziali: sopra/sotto, davanti/dietro/, dentro/fuori, destra/
sinistra
– ai concetti temporali: prima/dopo, sequenza ritmica
– al rapporto con gli altri.
Il processo attivato riguarda
la conoscenza e la coscienza
dell’atto, quindi il controllo e
l’intenzionalità di perfezionamento dello stesso.
Le “informazioni” che il corpo
ha ricevuto diventano consapevoli per il soggetto anche
grazie alla rappresentazione
mentale sollecitata da verbalizzazioni, apposite schede e
disegni in cui il bambino è portato a riprodurre i concetti e le
azioni sperimentate.
La psicomotricità a carattere espressivo invece si propone principalmente di offrire ai bambini una situazione spazio temporale molto definita in cui esprimere se stessi con l’opportunità di esternare ed elaborare
emozioni e sentimenti legati alle tappe della crescita nei giochi sensomotori e simbolici inventati e supportati dall’educatore nel loro evolversi.
In questo modello l’adulto si pone fini educativi che riguardano la conquista e la padronanza del proprio corpo in azione, ma anche il dar voce al
mondo interiore in giochi che divengono piccole narrazioni ed esperienze creative cariche di senso. In questo contesto una costruzione chiusa/aperta, ad esempio, non è considerata come un fattore logico su cui
ragionare, ma come una situazione simbolica che rappresenta l’Io che
si definisce, si protegge e si mette in relazione con l’altro da sé, che
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Introduzione
sta, appunto, fuori dallo spazio personale.
Le azioni sono pertanto osservate prevalentemente nel loro
significato di rivelazione e messa in gioco di bisogni, desideri, pensieri che si inseriscono
in attività che si sviluppano in
percorsi carichi di significato.
Naturalmente in ogni caso e in
ogni modello operativo il bambino è totalmente presente come
essere globale, con tutto il suo
bagaglio fisico e psicologico e
quindi le proposte di tipo logico
implicano gli aspetti emotivi e
quelle espressive contengono
concetti logici, ma nelle due situazioni vengono diversamente considerati
e sottolineati dall’insegnante e, in conseguenza, anche dal bambino, che, a
seconda del caso, si dispone ad usare maggiormente il pensiero razionale
o a lasciar correre la propria fantasia con i suoi contenuti inconsci.
L’intervento dell’educatore
In conseguenza agli obiettivi e al modello operativo che l’adulto sceglie,
cambia anche il suo tipo di intervento e di partecipazione al gioco dei
bambini. Infatti, quando egli intende, attraverso una proposta di gioco
motorio, perseguire degli obiettivi specifici dell’area corporea, predispone una situazione strutturata in cui indica ai bambini le regole dei giochi e cosa fare con i materiali; li conduce quindi in un’attività in cui sono
chiari gli scopi e le azioni, dà delle consegne che essi eseguono, per
come sono capaci, in un clima giocoso e solitamente con riferimenti alle
tematiche connesse alla progettazione di scuola. L’insegnante registra i
passi in avanti rispetto alle conoscenze di partenza e induce nei bambini
riflessioni sulle azioni svolte, favorendo il consolidamento delle competenze e la rielaborazione dell’esperienza per integrare le conoscenze.
Un esempio di questa modalità è il percorso con svariati ostacoli, tutti affrontabili e “vincibili”, che i bambini percorrono, come fosse la strada dei
Un salto, un perché
nanetti del bosco, prendendo sempre più sicurezza; altri esempi sono i
giochi sui concetti topologici, ad esempio la costruzione di spazi tondi e
quadrati, piccoli e grandi, in cui entrare, uscire, starci in pochi o tanti, notando questi dati e focalizzandoli in altre proposte.
Nelle attività psicomotorie che prevedono sia l’iniziativa dei bambini che
l’intervento propositivo dell’insegnante i percorsi non sono prestabiliti e
si modificano “in corso d’opera”, portando anche a sviluppi imprevisti. L’insegnante è quindi disponibile a cogliere ciò che emerge nel gioco e a variare le proposte e a volte anche gli obiettivi, utilizzando gli spunti e gli interessi che i bambini agiscono. In questi casi la conduzione dell’attività si
definisce come semi-strutturata o semi-condotta perché si compone di
decisioni prese dall’adulto, in riferimento agli obiettivi didattici che si è prefisso, ma anche alla sua disponibilità a cogliere le variabili del momento.
Ad esempio l’educatore dà le corde ai bambini e, vedendo che essi le
usano per fare i cavalli, li aiuta a dar vita ad un gioco organico con cavalli e cavalieri e, dopo un po’, può proporre di costruire recinti chiusi e aperti, com’era negli obiettivi che s’era prefisso, oppure percorsi con ostacoli,
inerenti alla storia in atto, andando a evidenziare altre capacità da mettere
alla prova. L’educatore stimola i bambini a puntare l’attenzione sui concetti emersi e sottolinea le loro capacità fisiche e ideative, “provoca” sviluppi
nel progetto di gioco con domande e sollecitazioni, accompagna i bambini
nella ricerca di soluzioni e favorisce la socializzazione delle esperienze.
Quando invece la scelta dell’insegnante è di utilizzare la psicomotricità
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17
Introduzione
essenzialmente come “palestra emotiva”, sa che il principale interesse
educativo è rivolto alla sfera emotiva in un momento che si svolge come
gioco libero dentro un contenitore definito, in cui l’esperienza si sviluppa
secondo l’iniziativa dei bambini, dando forma ai loro desideri.
L’adulto si pone “al servizio” del gioco per aiutare i singoli e il gruppo a
giocare bene, nel senso di riuscire a progettare, condividere, far crescere il
gioco. Egli mantiene naturalmente il ruolo di controllore e garante delle regole e si preoccupa di aiutare ognuno a sviluppare le proprie capacità e il
gruppo a collaborare e dare significato al fare, ma si mantiene libero da programmazioni precostituite. Si occupa di dare i materiali richiesti o che ritiene utili per ciò che sta succedendo ed è attento a leggere i bisogni espressi,
in modo da essere di sostegno oppure di stimolo alle azioni e alle intenzioni. Segue lo svilupparsi del gioco e, di appuntamento in appuntamento, sostiene le conquiste, fisiche-emotive-relazionali, di ognuno e aiuta il gruppo
a dar vita a giochi che iniziano, si dipanano e si chiudono, con rielaborazioni che diventano passaggi di consapevolezza. L’insegnante può scegliere,
all’occorrenza, di partecipare al gioco simbolico come personaggio utile allo svolgersi della narrazione messa in atto dai bambini, che, a conoscenza
di questa disponibilità, gli chiedono spesso di farsi carico della rappresentazione del “cattivo”, in modo da poterlo sconfiggere con piacere.
Nei capitoli seguenti verranno approfondite queste diverse modalità di organizzazione e conduzione delle attività psicomotorie nell’intento di riconoscere la diversa portata educativa di ogni tipo di proposta.
E
Anna Tava
mozioni
in movimento
due laboratori psicomotori
ANNA TAVA
Insegnante di scuola dell’infanzia in utilizzo presso l’Ufficio di coordinamento
pedagogico generale – Servizio per lo sviluppo e innovazione del sistema scolastico e formativo, dove si occupa del settore documentazione e di laboratori
didattici per insegnanti e educatori. Ha conseguito l’attestato di psicomotricista
presso la Scuola triennale di psicomotricità CISERPP di Verona e ha seguito
una specifica formazione a carattere pluriennale negli ambiti dell’animazione
teatrale e della “globalità dei linguaggi”.
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Introduzione
INTRODUZIONE
Il bambino nasce una prima volta. Poi è come se
nascesse una seconda volta attraverso una fatica lunga e laboriosa per darsi un’identità, per
darsi il viso, il corpo, il gesto, l’azione, la parola, il pensiero, l’emozione, l’immaginazione, la
fantasia. In breve quel sentimento dell’essere,
della rappresentazione del sé che gli sono assolutamente necessari per autonomizzarsi e distinguersi dagli altri individui e dalle cose coi
quali convive e dalle cui interazioni estrae, poco alla volta, gran parte dei materiali costruttivi della sua identità personale. Per riconoscersi ed essere riconosciuto.
Loris Malaguzzi
Nei laboratori sulla psicomotricità, Corpo e fantasia e Corpo e-motivo, da
cui sono tratte le attività qui presentate, si è cercato, attraverso i giochi di
movimento, le attività sensoriali e la narrazione, di scavare un po’ dentro
le emozioni provate per riuscire ad evidenziare alcune chiavi di lettura
che permettessero di riconoscere significati al giocare dei bambini.
Alcune sperimentazioni fanno riferimento al gioco spontaneo, come il
nascondersi, il costruire torri e case o l’aggredire nemici, altre puntano l’attenzione sulle sensazioni e reazioni personali di chi gioca, in modo da poter approfondire la conoscenza di sé in rapporto al fare da soli e con gli altri.
Nella parte teorica si analizzano sinteticamente i modelli di psicomotricità presenti nelle scuole dell’infanzia: l’approccio di Pierre Vayer, più di tipo conoscitivo-funzionale, e la metodologia improntata da Andrè Lapierre e Bernard Aucouturier, centrata sul gioco creativo dei bambini.
I due autori hanno teorizzato insieme un modello che prevede di organizzare per la proposta psicomotoria un momento con caratteristiche specifiche, ma più avanti nel tempo hanno assunto posizioni diverse riguardo
alla psicomotricità in campo educativo: Lapierre mantenendo nell’attività obiettivi di tipo intellettivo, mentre Aucouturier escludendoli, intendendo strutturare uno spazio privilegiato per l’espressività del bambino, in
cui poter sperimentare liberamente dando anche voce al proprio mondo interiore.
Emozioni in movimento
I giochi dei laboratori e le relative riflessioni, hanno permesso di riconoscere i vari fattori – emotivi e cognitivi – che vengono attivati nelle esperienze corporee e nel gioco dei bambini, mettendo a fuoco quali sono gli
obiettivi perseguibili, considerando come nei diversi metodi si modifica,
nella percezione dei partecipanti, la valenza del gioco.
Queste attività, al di là delle indicazioni teoriche cui si collegano, sono di
per sé complete e divertenti e quindi potranno essere piacevolmente proposte ai bambini come giochi motori anche slegati da progettazioni o contesti particolari. Giocare con il corpo è sempre un’esperienza che implica
più livelli di partecipazione, perché coinvolge l’intero essere, per questo
molto richiede, come attivazione di capacità e voglia di fare, ma molto di
più dà, nel piacere del momento e in ciò che poi lavora “dentro”.
Ci sono giochi che diventano storie che sanno dare voce anche ai segreti e ci sono racconti che regalano spunti per giochi bellissimi, che appaiono nuovi anche se sono antichi. Alcune idee per giocare stanno nelle prossime pagine, insieme ai visi di chi si è messo in gioco con tutto se
stesso, che è il modo più forte per capire, rispondere a qualche domanda e aprirne di nuove.
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Modelli teorici di riferimento
MODELLI TEORICI DI RIFERIMENTO
La psicomotricità di Pierre Vayer
Pierre Vayer ha elaborato una
programmazione molto dettagliata e completa di attività psicomotorie per la scuola dell’infanzia,
attraverso le quali il bambino può
conoscere il proprio corpo e decodificare la realtà in cui agisce.
L’autore le presenta nel testo
Educazione psicomotoria nell’età
prescolastica (1971, Armando
Armando Editore), dove analizza
tutto ciò che il bimbo nella prima
infanzia sviluppa attraverso il gioco motorio, dallo schema corporeo al
rapporto con l’oggetto, dalla relazione con lo spazio-tempo a quella con
le persone. Per prendere coscienza del proprio corpo e riconoscerne capacità e limiti, il bambino deve riuscire a controllarlo e organizzarlo dinamicamente ed ha perciò bisogno di fare molte esperienze in cui mettersi
alla prova in modo graduale e specifico.
I giochi-esercizi che l’autore propone sono precisi e mirati per l’acquisizione delle varie capacità motorie attraverso sperimentazioni che permettono di distinguere e quindi integrare come competenza:
– le parti del corpo e la loro indipendenza segmentale e laterale
– la modulazione tonico-muscolare
– la respirazione
– l’equilibrio
– l’organizzazione percettiva e sensoriale
– l’adattamento spaziale e il controllo degli spostamenti
– l’adattamento temporale
– la coordinazione delle azioni
– l’espressione linguistica
– il controllo delle relazioni con l’altro, il rispetto e la collaborazione.
Per tutte le capacità da affinare Vayer declina proposte motorie e giochi
sensoriali riferiti al livello di maturità della prima infanzia.
Emozioni in movimento
Tocca all’educatore inserirli in contenitori didattici ricchi di motivazioni
che sostengono l’interesse dei bambini, evitando la proposta di freddi
esercizi prettamente funzionali, ma definendo percorsi di ricerca specifici rispetto agli obiettivi individuati, ad esempio sull’equilibrio o sulla differenziazione delle forme.
Secondo Vayer l’educazione motoria deve dare al bambino i mezzi per
facilitare la sperimentazione del corpo in azione, portandolo dentro i percorsi predisposti, a far da sé delle scoperte con la possibilità di condividere con altri le conquiste e il piacere di fare. Questo modello focalizza
maggiormente obiettivi riguardanti la conoscenza e la capacità di controllo; la componente emotiva è presa in considerazione per ciò che riguarda la spinta all’autonomia, l’investimento nella ricerca e il piacere di
riuscire in un percorso che gradualmente si fa più complesso.
Una proposta di gioco psicomotorio secondo Vayer
Per dare un’idea delle proposte di Vayer, si riporta sinteticamente dal testo citato il paragrafo 1 del capitolo
“Il gioco corporeo: esplorazione conoscenza - Prima tappa”.
I bambini sono invitati a
spostarsi nello spazio a
piacere, solo successivamente, l’adulto farà intervenire la regola che porta il bambino allo scopo
individuato: la differenziazione segmentale e il
controllo di sé.
L’insegnante dà l’indicazione e i bambini eseguono:
1. Con i piedi appoggiati
contro il muro scivolare sul dorso, spingere
i piedi più forte che sia
possibile.
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25
Modelli teorici di riferimento
2. Stando sdraiati sul dorso e le gambe ripiegate ad uncino, scivolare
sul dorso stendendo e ripiegando successivamente le gambe.
3. In posizione seduta, le gambe flesse a uncino, scivolare sui glutei, facendo forza sui piedi appoggiati al suolo. Sforzarsi di raddrizzare il
dorso e di non servirsi dell’appoggio delle mani.
4. Sdraiati sul ventre, le mani appoggiate vicino al viso, scivolare facendo forza sulle mani.
Seguono proposte per camminare con le ginocchia, a quattro zampe, a
passi piccoli o grandi, avanti e indietro e lateralmente.
Molti testi didattici sull’educazione motoria, pubblicati negli anni seguenti, hanno preso spunto da queste proposte, suddivise chiaramente rispetto alle capacità su cui lavorare, per formulare altri giochi con relative schede di verifica.
La psicomotricità di André Lapierre e Bernard Aucouturier
Andrè Lapierre e Bernard Aucouturier, riconosciuti fra i padri della psicomotricità, sono stati fra i primi a criticare alla fine degli anni ’70, il modello psicomotorio classico, dichiarandolo troppo cognitivo e funzionale, in quanto la valenza simbolica del gioco non veniva sufficientemente
considerata. Gli autori teorizzarono quindi un modello più attento ai bisogni affettivi e comunicativi del bambino, dando una connotazione più
espressiva alla proposta psicomotoria anche in ambito educativo. I principali obiettivi che questi autori ritengono perseguibili nella scuola sono:
– favorire l’espressione del proprio modo interiore
– favorire lo sviluppo della funzione simbolica attraverso il piacere
dell’azione e del gioco
– favorire lo sviluppo dei processi di rassicurazione attraverso il gioco
e il sostegno e l’empatia dell’adulto
– favorire lo sviluppo dei processi di distanziazione (dal corporeo al
mentale), che porteranno al pensiero operativo.
Lapierre e Aucouturier ritengono inoltre molto importante a livello metodologico che il gioco psicomotorio si svolga in un contesto “protetto” in
cui sia facile per i bambini lasciar emergere le emozioni e sperimentare
liberamente con materiali scelti per quei giochi.
Con il termine setting psicomotorio definiscono quindi la situazione
spazio-temporale in cui si svolge la psicomotricità.
Emozioni in movimento
Qui il bambino troverà i materiali, i riti temporali e le regole che creano
una cornice di senso, potrà inoltre riprendere il gioco della volta precedente, prolungandolo ed elaborando i pensieri che lo hanno determinato, condividendo la ricerca con un gruppo stabile per il tempo previsto.
Gli elementi essenziali che costituiscono il setting sono: il gruppo, il tempo, lo spazio, i rituali, i materiali.
Il gruppo
Il gruppo è preferibilmente
composto da bambini della
stessa età, in tal modo il gioco
si può svolgere secondo bisogni simili. I bambini di tre anni sono, infatti, più interessati
ai giochi di tipo senso-motorio
mentre quelli di cinque anni
sono più portati a giocare sul
versante simbolico.
Un gruppo può comporsi di circa 10-15 bambini e, quando è possibile,
prevedere la presenza di due adulti in modo che uno di loro può partecipare maggiormente ai giochi e l’altro essere più osservatore.
Il mantenimento fisso del gruppo permette di portare avanti una storia
partecipata in cui ognuno è riconosciuto e, dentro questa, di sviluppare
un racconto fantastico significativo.
Il tempo
Programmare l’attività psicomotoria in un tempo definito, che si ripete
settimanalmente in modo esatto, permette al bambino di avere un riferimento temporale prevedibile, che crea attesa e investimento emotivo rispetto ai vissuti di quel momento. Egli sa che in quel giorno succederà
quella cosa, imparerà ad attenderla e la caricherà emotivamente. Anche
i bambini più piccoli, che non padroneggiano i dati temporali cominciano
ad attendere l’appuntamento perché si ripete con regolarità.
Si prevedono solitamente dei cicli di incontri e circa 12 appuntamenti sono considerati un numero adeguato per sviluppare un percorso significativo, dopo questi si può fare una pausa e quindi l’avvio di un altro ciclo.
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Modelli teorici di riferimento
Il tempo previsto per ogni incontro è di circa 50 minuti o un’ora, ma per i
bambini dell’età del nido d’infanzia bastano dai 30 ai 45 minuti. Questo
tempo comprende i rituali d’inizio, il gioco, il richiamo per l’avviso della fine del gioco e le azioni che favoriscono il distanziamento e la rielaborazione, come il momento della verbalizzazione.
Lo spazio
Avere uno spazio per la psicomotricità - una stanza o una
palestrina appositamente arredata allo scopo - è senz’altro una grande opportunità,
ma anche dove questo spazio
non esiste e si deve ricorrere
alla trasformazione di una sala per lo scopo, non c’è problema, se non l’aspetto pratico di
risistemare. L’importante è che il bambino capisca che quello spazio in
quel momento è dedicato all’attività psicomotoria e ciò dipende dai rituali e dalla regolazione data dall’adulto.
È preferibile che la zona scelta per il movimento non sia eccessivamente
grande, perché può risultare dispersiva. Nel caso di una palestra o salone di vaste dimensioni è preferibile dividere l’ambiente in più zone, quella dei rituali di inizio/fine, quella per il gioco e quella della rielaborazione
con il disegno o altro materiale.
Un tavolo per i salti, con un materasso su cui atterrare comodamente,
permette di fare salti anche dove non si hanno strutture ginniche imbottite. È utile avere un tappeto per la zona d’incontro inizio/fine, per ritrovarsi in uno spazio riconosciuto allo scopo, se il luogo è piccolo si può
stendere un telo su cui sedersi che verrà tolto durante il gioco motorio e
ricollocato in finale.
I rituali
È utile adottare un piccolo rituale, un segnale d’inizio, ma anche indossare tutti insieme i calzini antiscivolo diventa un’azione “d’inizio”.
Ogni volta l’insegnante ripete le regole: non farsi male, giocare bene
Emozioni in movimento
rispettando il gioco degli altri e il materiale, corrispondere al richiamo di
fine gioco e di riordino. Questa ripetizione non serve alla memoria ma a
creare un patto che tutti accettano di osservare.
Crea poi il collegamento con l’incontro precedente: “Vi ricordate cosa avete fatto l’altra volta?”, in questo modo i bambini possano riallacciare i fili andando a dar forza ad un progetto mentale che può svilupparsi.
A volte l’insegnante sceglie di iniziare sempre il momento psicomotorio
con il racconto di una breve storia, che fa riferimento alle emozioni che
ha visto emergere negli incontri precedenti o che può essere adatta a fare da stimolo, ma la scelta può anche essere quella di porre il racconto
sul finale in modo che possa essere una specie di cornice in cui inserire
le sensazioni vissute. Le storie di personaggi che affrontano delle piccole avventure sono senz’altro le più adatte allo scopo.
Dopo il gioco è importante avere un posto, sia fisico che mentale, dove fermarsi e poter parlare per rielaborare quanto sperimentato attraverso la verbalizzazione; è il
momento della rappresentazione, dove il gruppo si rilassa, per poter poi dedicarsi con
più tranquillità al momento del
disegno o delle piccole costruzioni dentro cui ognuno può
“riversare” le proprie emozioni più intense.
I materiali
Per costruire spazi, torri, strutture da scalare ci sono in commercio le apposite forme di gommapiuma foderata in vinile, ma se la scuola non ne è
fornita si possono costruire rivestendo grandi blocchi di gommapiuma di
varie misure con fodere fornite di cerniera, così da poterli lavare. Anche
l’uso di scatoloni ben rifiniti è una buona soluzione.
Nel setting è previsto che ci siano dei materiali messi da una parte o
da richiedere all’adulto quando servono: i teli leggeri, i bastoni, le corde
morbide, le palle, alcuni oggetti da casetta come le bambole e le tazzine
per il gioco simbolico, dei peluche.
Il materiale da disegno va tenuto separato e offerto solo nel momento fi-
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Modelli teorici di riferimento
nale e così pure i libretti delle storie che l’educatore intende utilizzare a
fine o inizio attività.
Il gioco libero in questa cornice prevede un uso dei materiali diverso dal
gioco libero in sezione o in altre occasioni, l’essenzialità di ciò che c’è a
disposizione dà indicazioni su un tipo di gioco diverso dal “giocare a casetta” o “ai travestimenti” o “fare costruzioni” perché nasce e si sviluppa
dentro uno spazio limitato nel tempo e anche negli oggetti, in tal modo si
caricano maggiormente di significati simbolici.
Il ruolo dell’adulto
In questo modello è previsto che l’adulto si ponga completamente a
disposizione del gioco dei bambini: egli gioca con loro e osserva attentamente ciò che succede, cogliendo nel loro linguaggio corporeo,
nelle relazioni e nel tipo di gioco le emozioni e le azioni che indicano desideri espressivi legati alle tappe della crescita o alla storia personale.
Tali osservazioni riguardano il rapporto che il bambino ha con il proprio
corpo (tono, tensioni, gestualità, impedimenti, rigidità, capacità, paure),
con lo spazio (lo conquista, sta in un angolo, si muove senza obiettivi…),
con il tempo (ha fretta, non vuole chiudere il gioco, è lento a lasciarsi andare…), con il materiale (lo usa con rispetto o aggressività, ne fa un uso
sensoriale oppure simbolico…).
L’educatore può notare se c’è un lasciarsi andare nel gioco o ipercontrollo, se c’è progettualità e se viene condivisa con altri; nel tempo può osservare l’evolversi di qualche problematica individuale, come il superamento di timori o la capacità di socializzare.
Emozioni in movimento
L’insegnante prepara l’ambiente e i materiali, creando
collegamenti con la volta precedente, ad esempio collocando una torre pronta da abbattere, predispone ciò che
ritiene possa diventare stimolo e aiuta il gruppo a dar forma
alle idee. Fondamentale è la
capacità di provare empatia,
una vicinanza emotiva che silenziosamente dice: “So quel
che provi, lo capisco”, un “essere con” che si mostra con il
sorriso e la disponibilità a fare da specchio rimandando al
bambino le emozioni che sta
provando e così confermandole. L’empatia dà modo di
verbalizzare correttamente
ciò che il bambino prova, dando parole al suo sentire (“Sei arrabbiato per questo…” “Ti piace stare lì
dentro…”) o di cogliere la necessità di entrare nel gioco, offrendosi come
partner con cui poter sviluppare le azioni e le narrazioni agite.
Altri tipi di intervento, di tipo logico e narrativo, sono previsti nel modello
di Lapierre, come spiega il paragrafo che segue.
La metodologia di André Lapierre
André Lapierre, pur condividendo con Aucouturier l’impianto della seduta psicomotoria, nella sua proposta per la scuola, riportata nel testo L’educazione psicomotoria nella scuola materna (1980, Editrice La
Scuola), prevede di mantenere negli incontri anche sollecitazioni di tipo
logico o conoscitivo.
Il libro presenta quindici sedute che mostrano il procedere di un percorso che si sviluppa dagli stimoli ricavati dalla sperimentazione libera dei
bambini con i materiali e dalle sollecitazioni dell’adulto.
Non è intenzione dell’autore proporre questi esempi come lezioni mo-
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Modelli teorici di riferimento
dello, ma porle come indicative del
modo di procedere, invitando gli insegnanti a tener conto, oltre che dei
propri intenti educativi, anche dell’iniziativa e dei pensieri dei bambini, riconoscendo il gioco come contenitore di significati importanti in cui è
opportuno evitare giudizi di valore o
di riuscita. Secondo l’autore, il bambino e l’educatore possono ritrovare nella gioia di scoprire e far progredire insieme il gioco il piacere di
un’espressione libera e personale.
Le attività motorie sono poi rielaborate in classe attraverso attività grafiche o l’uso di altri materiali diversi predisposti dall’adulto, come legnetti,
tappi o fili di lana, che a volte servono per rendere visibili concetti su cui
si è giocato, ad esempio le forme aperte e chiuse.
La proposta di Lapierre si può considerare di tipo semi-strutturato perché la conduzione parte dal gioco libero del bambino, dall’uso che egli fa
degli oggetti o da usi simbolici, per rilanciare al gruppo alcune proposte:
“Guardate come fa Gianni, proviamo tutti”.
Di seduta in seduta l’educatore introduce un materiale: i cerchi, le corde, i mattoni di legno…
Emozioni in movimento
Nell’appuntamento successivo sono ripresi gli spunti del precedente e
solitamente viene introdotto anche un materiale nuovo.
L’adulto prevede, per ogni appuntamento, obiettivi su cui lavorare, ad
esempio se intende rafforzare qualche concetto topologico indirizza il
gioco in tal senso, ma restando però disponibile a variazioni perché è importante far riferimento a ciò che i bambini esprimono e inventano. Pertanto, se il gioco dei bambini fa emergere altre nozioni o qualche forte
emozione, l’educatore si fa carico di sostenere questi nuovi elementi, accogliendoli e cambiando le sue intenzioni.
Una proposta di attività psicomotoria di Lapierre
Sinteticamente, allo scopo di
fornire un’idea del modello, si
riporta una seduta tratta dal libro citato.
L’adulto propone giochi sui
fattori di movimento e di immobilità, fornendo ai bambini
le corde e utilizzando la musica di strumenti a percussione.
I bambini sperimentano liberamente, alcuni danzano insieme con la corda mentre altri
si limitano a muovere soltanto l’oggetto. L’educatore sofferma l’attenzione dei bambini sull’immobilità di una corda
posta come una linea a terra, dicendo: “Ora la corda si riposa, la facciamo dormire”.
I bambini producono spontaneamente con le corde i simboli tipici dell’immobilità: la linea retta, il cerchio, le curve larghe.
L’adulto approfitta della situazione creata da una bambina che si è chiusa nella linea della sua corda per far stabilire un rapporto tra il corpo e
l’oggetto, dicendo: “Dormi con la tua corda, ti corichi con lei”.
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Modelli teorici di riferimento
Poi utilizza la musica come stimolo per differenziare il movimento, proponendo: “La musica risveglia le corde... che
poi si riaddormentano”. Quando la musica è in crescendo, i bambini si alzano e danzano, mentre
quando decresce si calmano e si stendono.
Poi i bambini si mettono a costruire insieme grandi case con le corde: tutti
entrano nella grande forma, poi la demoliscono e riordinano le corde.
L’educatore offre ai bambini un nuovo materiale, dei grandi bastoni, e,
mettendoli fra le gambe, i bambini subito fanno i cavalli con grande agitazione e grida. Presto i bastoni diventano fucili e i bambini giocano alla
guerra e qualcuno “muore”. L’adulto si introduce nella dinamica del gruppo dicendo: “Siete tutti morti...” e i bambini si divertono a sparare e “morire”. L’aggressività si calma, espressa nel fantastico.
I bastoni vengono poi usati per altre attività: costruzioni, una casa. L’adulto dice: “Si cammina nell’interno della casa... senza uscire”.
Alcuni bambini escono per fare il lupo definendo una situazione in cui i
lupi sono fuori e i bambini dentro.
L’incontro termina, dopo aver riposto i bastoni, con la proposta di una
danza a due e, quando la musica tace, riprendendo il gioco precedente, “si fa il morto”.
In classe l’educatore propone poi di fare una casa con un certo numero
di fili di lana e quindi delle figure chiuse (case) con delle steccoline, vengono anche offerti dei tappi (che rappresentano i bambini) da collocare
“dentro” e “fuori”.
Come si vede questa metodologia prevede un momento di gioco libero da cui l’adulto prende spunti per indirizzare l’iniziativa dei bambini per
dare loro la possibilità di giungere, attraverso l’uso creativo dei materiali,
a scoperte sul proprio corpo, su vari concetti della realtà, dando nel contempo spazio all’immaginario. L’educatore osserva il gioco e fa proposte inerenti, attento ai fattori di tipo affettivo e relazionale, alle dinamiche
di gruppo e al benessere di ognuno, ma perseguendo anche gli obiettivi
didattici che si era prefisso. La componente emotiva è senz’altro considerata ed è valorizzata la capacità inventiva del bambino, non c’è forzatura, ma un armonioso sviluppo dell’attività che tiene sempre conto dei
desideri e del mantenimento del piacere.
Emozioni in movimento
La metodologia di Bernard Aucouturier
A un certo punto del suo percorso di ricerca, Aucouturier si allontana dalle posizioni di Lapierre, teorizzando un modello completamente indirizzato a favorire l’emergere delle emozioni profonde. Nel testo
La Pratica Psicomotoria educativa e preventiva (1995, Ed. Franco Angeli) e poi in altri libri, teorizza una pratica psicomotoria tutta incentrata
sul favorire l’espressione di sé, senza interessarsi di obiettivi di tipo intellettivo riguardanti la conoscenza del corpo o della realtà, ritenendoli in queste situazioni impliciti all’azione, mentre ritiene prioritario dare
ai bambini un’occasione privilegiata in cui sperimentare se stessi, rielaborando emozioni, tensioni, conflitti interiori, collegati ai passaggi della crescita.
Aucouturier ritiene che anche nella scuola sia possibile e positivo offrire
una proposta psicomotoria di questo tipo, perché sostiene possa esplicare una funzione preventiva rispetto ai disagi, proprio per l’occasione
data ai bambini di esprimere liberamente i propri sentimenti nella situazione definita del setting.
Può quindi essere utile adottare la pratica psicomotoria nel nido e nella
scuola dell’infanzia per sostenere i bambini nel delicato periodo dei primi sei anni di vita e in particolar modo chi presenta comportamenti problematici, come i bambini definiti ipercinetici, impulsivi, inibiti, aggressivi. Questi bambini, a causa delle loro difficoltà, non riescono, infatti, ad
integrare le “informazioni” che arrivano loro da attività psicomotorie di tipo cognitivo, mentre nella pratica psicomotoria espressiva possono trovare occasione di elaborare i loro impacci o tensioni derivanti dal mondo emotivo.
Nel testo Maestra, guardami (1992, Edizioni Scientifiche CSIFRA), l’autore, Giuseppe Nicolodi, psicologo e psicomotricista, formatore in percorsi psicomotori per insegnanti e educatori, riporta come esempio la
capacità di saltare un fosso. Agire quest’azione implica diverse capacità da mettere in atto: quella di tipo fisico di articolare un salto, muovendo
adeguatamente gli arti, con la forza necessaria per compiere l’azione,
e quella cognitiva di saper prevedere la lunghezza del fosso e quindi di
quella dello slancio. In questo salto vengono coinvolte componenti corporee e logiche, ma a queste si aggiungono anche quelle emotive: non
aver paura di saltare, essere motivati a farlo, sentirsi in grado di affrontare il vuoto.
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Modelli teorici di riferimento
Si può osservare che i bambini con problematiche di tipo
emozionale sembrano non imparare dall’esercizio, anche se
ripetuto più e più volte, e non
pare essere loro d’aiuto neanche il sostegno e il rinforzo
dato ogni volta dall’insegnante. In questi casi un percorso psicomotorio sull’asse corpo-emozione permette invece
di rielaborare le emozioni inconsce che bloccano l’azione.
Il bambino salterà quel fosso
quando avrà vissuto varie situazioni di sperimentazione libera in cui gradualmente avrà
dato forza al suo Io, all’immagine inconscia che ha di sé,
arrivando a percepirsi sempre
più fiducioso e capace di farcela. Per arrivare a ciò avrà superato ostacoli che egli stesso si è costruito, fatto prove che si è dato, fatto pause in
cui ha sedimentato le percezioni fino ad arrivare ad un sentimento di sicurezza. Solo dopo potrà occuparsi di come muovere al meglio le gambe, a livello più funzionale, per saltare alzandosi “in volo” sopra il vuoto.
I giochi nella pratica psicomotoria di Aucouturier
I giochi che nascono nel tempo della psicomotricità non sono nuovi e
nemmeno devono esserlo, spesso si sono già visti nel gioco libero o in
giardino, ma diventano qui più pregnanti perché il gioco sta in uno spazio-tempo privilegiato in cui c’è un inizio-fine che racchiude l’esperienza,
che può procedere nei successivi incontri.
Da parte dell’insegnante non ci deve essere la preoccupazione di riferire i giochi a temi specifici, dicendo ad esempio: “Questa sembra la nave di Capitan Uncino” perché in quel periodo a scuola si sta parlando di
Peter Pan, ma può essere una scelta dei bambini collegarsi a tematiche
conosciute.
Emozioni in movimento
L’insegnante può scegliere di predisporre l’ambiente perché il gioco riprenda da dove s’era concluso, ad esempio facendo trovare un pezzo
di costruzione, ma lascerà poi che i bambini proseguano come credono,
aiutandoli nel portare avanti il progetto per come lo esprimono.
Non sempre negli incontri prendono però vita giochi ben articolati, specie all’inizio le attività dei bambini appaiono più frazionate; costruire un
progetto di gioco è una capacità che il singolo e il gruppo sviluppano nel
tempo.
Il gruppo di bambini inizia solitamente più giochi con i materiali a disposizione, ci sono bambini che passano da un gioco all’altro, qualcuno fa
un gioco individuale, ma se si crea qualcosa di interessante è facile che
gran parte del gruppo arrivi a partecipare, dando forma a progetti di gioco che sono piccole storie.
Varie tipologie di gioco sono messe in atto liberamente dai bambini nella pratica psicomotoria: se i bambini di due-tre anni restano più sul gioco senso-motorio, che riguarda il piacere del sentire il corpo in azione,
quelli più grandi, dopo un primo momento di attività senso-motoria, tendono a dar vita a sempre più articolate attività simboliche in cui il gioco
diventa progetto e narrazione. Ogni bambino gioca come vuole, con chi
vuole, anche cambiando, può anche creare giochi individuali, di coppia
o di piccolo gruppo, l’importante è che ogni gioco si sviluppi per capacità, per organizzazione e nella relazione con gli altri.
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Elementi psicomotori in laboratorio
ELEMENTI PSICOMOTORI IN LABORATORIO
Nelle attività di laboratorio ogni elemento che costituisce il setting psicomotorio è diventato momento di gioco e di approfondimento, sono stati inoltre analizzati altri fattori relativi al gioco di movimento e ai bisogni
espressivi dei bambini. Sia che si scelga un tipo o un altro di proposta
psicomotoria, queste riflessioni aiutano a riconoscere la portata delle diverse attività, con la possibilità per l’adulto di essere buon partner di gioco e un animatore attento alle variabili che emergono, consapevole del
loro significato.
Il gruppo
La prima considerazione riguarda il gruppo, in quanto le attività psicomotorie si svolgono in una situazione gruppale fissa. Il gruppo è la situazione relazionale in cui i vissuti di ognuno vengono accolti, contenuti, inseriti in una
narrazione comune e rielaborati insieme con i compagni. È quindi importante vedere il gruppo come un organismo che, pur composto da più identità, ne assume una propria, con caratteristiche particolari, riferite a quel
luogo e quel tempo. Ci sono, infatti, gruppi che si connotano come esplosivi, altri più riflessivi o più creativi, gruppi che trovano presto un affiatamento comune, altri che si dividono in sottogruppi, altri in cui l’adulto deve agire
per aiutare, attraverso il gioco, il formarsi di qualche interesse aggregante.
Il gruppo è testimone delle emozioni espresse dai singoli e condivide una
storia in cui ognuno può, nel momento del racconto e della memoria, riconoscere il proprio contributo ai fatti accaduti e ciò che ha avuto dagli altri.
Dentro un gruppo, il singolo è parte di una cosa che lo comprende e anche quando qualcuno è assente, il nominarlo lo rende presente, sempre parte di quell’insieme. Possiamo perciò considerare il gruppo come
un’entità che “prende corpo” quando nasce: come ogni organismo ha un
nome, dato dalla partecipazione a quella data iniziativa, un tempo, uno
spazio, una storia e può avere un’immagine rappresentativa.
“Dare corpo” al gruppo
Un modo per visualizzare il concetto di gruppo come organismo
fatto da tutti coloro che vi appartengono è quello di proporre di disegnarlo come un unico corpo composto da molte parti diverse.
Nasce quindi un personaggio frutto dell’unione di parti che, unite,
Emozioni in movimento
danno forma e sostanza
caratteriale a un personaggio, che esprime qualcosa di ognuno ma diventa soggetto a sé.
Una dopo l’altra, ogni persona disegna liberamente
un pezzo di corpo: chi fa il
contorno del viso, qualcun
altro la bocca, chi il collo, chi la pancia, chi una
gamba… Qualcuno mette
particolari: un orecchino,
un fiore in testa…
Si continua finché nessuno ha più nulla da aggiungere.
Il risultato è sempre un personaggio particolare, che esprime un
proprio carattere. Gli viene quindi dato un nome, che può derivare dalla sua “personalità”, è così che il personaggio “esiste” e può
rappresentare quel gruppo.
Volendo, in un secondo momento si potrà creare per lui una storia, anche prendendo spunto dai racconti-gioco più graditi durante il percorso.
La relazione
L’essere umano sperimenta fin dalla nascita uno stretto rapporto con
la figura che svolge le funzioni materne, con cui inizialmente si sente un tutt’uno. Gradualmente, in conseguenza dello sviluppo cerebrale, il bambino inizia a distinguersi come figura separata dall’altro. Psicologicamente per “separarsi” dalla “simbiosi materna” e dare struttura a
un’identità serena sono importanti le azioni della figura materna e l’intervento della figura paterna che allarga la relazione. Altre persone si inseriscono poi nel mondo del bambino, che diventa sempre più ricco di
presenze, che innestano la loro affettività sulle sicurezze di base che le
figure primarie hanno creato.
Ma per qualcuno la “base sicura” non è sufficientemente buona e questo determina insicurezze che rendono difficile lasciarsi andare a nuove
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Elementi psicomotori in laboratorio
esperienze e sfide, fidandosi degli estranei. Se, ad esempio, un neonato ha avuto una madre afflitta da depressione, che non ha potuto contenerlo con un abbraccio saldo, egli può aver memorizzato una
sensazione che può rivelare con un angoscioso timore di cadere. Lo
psichiatra Julie de Ajuriaguerra, ha individuato nell’interazione tonico-emozionale con la madre la nascita della relazione dei rapporti del
bambino con l’altro da sé e l’ha chiamata “dialogo tonico”. Considerando che tono e motricità si compenetrano con lo sviluppo emozionale del gesto, dell’orientamento e del linguaggio, l’autore ha identificato
delle patologie specifiche che ha chiamato “turbe psicomotorie”. Queste problematiche indicano una difficoltà a regolare le proprie reazioni tonico-emozionali rispetto agli stimoli esterni e alla relazione con l’altro e possono dare origine a forme comportamentali come l’inibizione
e l’aggressività.
Il dialogo tonico riporta ai primi vissuti con chi svolgeva il compito materno perché nella diade madre/figlio intercorre una comunicazione che decodificava senza parole i bisogni e il piacere/dispiacere. Nel contatto con
un’altra persona percepiamo quanto dice con il corpo e quando messaggio verbale e corporeo non coincidono emerge un senso di non verità. Il
tono è dunque un linguaggio che dà espressione alla postura, al tono di
voce, a tutte le esternazioni espressive.
Attraverso i giochi corporei si può sperimentare come la relazione implichi sentimenti di fiducia e un “registrarsi” continuo che costruisce il piacere nel lasciarsi andare e nel trovare accordi.
Gioco del lasciarsi cadere
È un gioco che riguarda il sentimento di fiducia nell’altro, verso cui
lasciarsi andare “ciecamente” senza garanzie.
Una persona si pone al centro di un piccolo gruppo composto da
quattro o cinque compagni e, stando rigida e ad occhi chiusi, si lascia cadere in avanti e indietro secondo le spinte direzionali imposte delicatamente da chi la riceve fra le braccia passandola poi a
quelle di un altro. Si forma un dondolio “a batacchio di campana”
che dura un tempo breve che dipende dal piacere o meno provato dal soggetto al centro.
Il gioco di fiducia si può proporre ai bambini verso i 5 anni, formando un piccolo cerchio in cui il bambino che sta al centro, ad
Emozioni in movimento
occhi aperti, può
fare solo brevi passi. L’esperienza è
quella di lasciarsi
dolcemente spingere da un compagno all’altro, divertendosi nell’essere
accolto e rilanciato. In questo caso
il corpo anziché rigido deve restare
morbido, il bambino che viene mosso non è del tutto passivo perché può guardare
e si mantiene stabile sulle sue gambe, ma la situazione implica un
affidarsi agli altri. I bambini sanno essere attenti ai movimenti e riescono a dosare le piccole spinte e l’insegnante aiuterà chi ha difficoltà a modulare i gesti. Il gioco deve durare poco e dev’esserci
un veloce scambio per chi sta in mezzo, altrimenti emerge il senso di disequilibrio, mentre è importante che si mantenga il piacere
derivante dal movimento involontario.
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Elementi psicomotori in laboratorio
Gioco del silenzioso accordarsi
A coppie, stando corpo
a corpo e senza parlare, ci si muove dapprima
impercettibilmente, poi
con più determinazione.
Ognuno sta attento ai
segnali che arrivano dal
tono muscolare dell’altro
e si adatta nel movimento. In silenzio o sulla base di una musica dolce,
si parte a terra, dalla posizione schiena contro
schiena e le mani unite,
ci si alza e ci si muove
lentamente nello spazio
in sintonia con i fare del
compagno.
Non c’è chi guida, ma
un unisono che crea un
armonico muoversi fatto dapprima di dondolii, (atto che nasce spontaneo nelle azioni
di accudimento affettivo) e diventano poi una danza creativa della coppia.
Anche i bambini amano fare giochi di abbraccio e dondolamento
in coppia per poi lasciarsi andare in balli liberi in cui è bello “perdersi e ritrovarsi”.
Gioco delle camminate in strane coppie
A coppie si cammina per la stanza con l’indicazione di abbinare camminate con caratteristiche opposte, ad esempio: prepotente/remissivo, allegro/triste, ubriaco/sobrio, distratto/super attento,
addormentato/sveglio, frettoloso/lento, spaventato/coraggioso,
annoiato/interessato…
Senza dirsi nulla, i due componenti della coppia devono prendere
subito una o l’altra identità citata dal capogioco, accordandosi con
Emozioni in movimento
l’altro velocemente solo attraverso sguardo e gesti, e quindi proseguono in tal modo nella passeggiata, facendosi carico degli atteggiamenti del compagno. Per gestire il proprio opposto, c‘è chi
usa la delicatezza, chi l’autorità, chi ha più pazienza chi è più brusco, si vedono perciò scene molto spassose.
Le sensazioni di fastidio, fatica o disponibilità, pur nel clima di gioco, evidenziano come nella relazione serve un continuo aggiustamento fra le esigenze spesso non espresse verbalmente, ma rivelate dal linguaggio non verbale.
Anche i bambini di 4 e 5 anni si divertono molto interpretando i
contrari, ma con loro occorre prima far interpretare il personaggio
individualmente per definire la gestualità che lo rappresenta; per il
gioco in coppia è inoltre necessario esplicitare quale parte ognuno si assume, facendo in seguito scambiare i ruoli.
I materiali da costruire
Nelle scuole a volte sono presenti i materiali specifici per la psicomotricità, ma alcune cose si possono anche reperire o costruire con soddisfazione.
Naturalmente la costruzione di questi oggetti li rende meno neutri, perché averci lavorato li riveste in qualche modo di affettività e questo potrebbe condizionare nel loro uso, occorre perciò spiegare a che cosa
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Elementi psicomotori in laboratorio
servirà il materiale prima di iniziare a lavorarci e costruirlo in gruppo in
modo che non risulti personale.
È interessante sapere che esistono riguardo al materiale psicomotorio
posizioni diverse: Bernard Aucouturier raccomanda che il materiale sia
svincolato da investimenti precedenti, perché si possa caricare più facilmente dell’immaginario del bambino, mentre Antonio Neri consiglia
di partire nel progetto psicomotorio proprio dalla costruzione dei materiali, come racconta nel libro Dalla scuola dell’infanzia alla scuola elementare - Educazione psicomotoria e continuità (1994, La Nuova Italia Editrice).
Nel caso si decida di costruire i materiali per la psicomotricità, un certo
tempo sarà previsto per questo scopo e diventerà un periodo dichiaratamente dedito “alla preparazione dei materiali per i giochi che si faranno più avanti”.
È in ogni caso importante tenere questi materiali da parte e nel momento
in cui inizia un percorso psicomotorio, in questo modo si aiutano i bambini a mantenere e sviluppare l’idea messa in essere in quel contesto.
Gli scatoloni
Scegliere scatoloni di una grandezza media (che stiano fra le
braccia di un bambino), uguali o abbastanza simili fra loro,
in modo da poter creare torri che meglio staranno in equilibrio. Occorre che risultino un
po’ pesanti, per dare il piacere
di sperimentare una certa forza nel muoverli, ma non devono esserlo troppo per non essere pericolosi nel caso in cui
cadessero addosso. Pertanto ogni scatolone verrà riempito di carta di giornale appallottolata e così manterrà la forma e avrà una
certa stabilità e peso. Servono almeno una ventina di scatoloni, in modo
che i bambini possano costruire torri più alte di loro, recinti in cui chiudersi e almeno due pareti di una casa.
Emozioni in movimento
Ogni scatolone sarà chiuso per bene con lo scotch e tutti i bordi saranno rifiniti, in modo che non ci siano aperture o slabbrature: una certa bellezza e cura dell’oggetto inducono nel bambino l’idea che non si tratta di
cose da maltrattare.
Ogni lato sarà foderato di fogli di carta bianca o colorata su cui, all’occorrenza, si può disegnare velocemente la faccia di un “nemico”, orco o mostro che sia, derivato dal gioco simbolico. Naturalmente ciò si farà solo se
lo svolgersi del gioco darà questa occasione, ma, se è capitato una volta,
è facile che i bambini richiedano ancora di “vedere” la faccia del cattivo di
turno. La facciata usata per il disegno può essere poi coperta con dell’altra carta, in modo che il materiale risulti nuovamente neutro per la volta
successiva. Non si tratta però di passare il tempo a disegnare sugli scatoloni, perché questo distoglierebbe molto dal gioco motorio.
Se gli scatoloni nel gioco vengono rotti o schiacciati, vanno eliminati
e sostituiti perché altrimenti il gioco di rompere entrerebbe nelle azioni
prendendo tutta l’energia e questa attività non è prevista con il materiale predisposto. Nel caso si volesse sperimentare un’attività di questo tipo, con scarica, rottura e trasformazione del materiale cartaceo, lo si farà con scatoloni grezzi e in un’altra organizzazione di gioco, mentre nel
setting il materiale fisso viene tutelato.
Non ci dev’essere preoccupazione se casualmente qualcosa si rompesse, ma neanche si permetterà che sia rovinato senza criterio. L’azione di
riporre bene il materiale a fine attività fa parte dei rituali significativi della
pratica psicomotoria e dichiara anche il valore dato agli oggetti.
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Elementi psicomotori in laboratorio
Le stoffe e i foulard
Si possono reperire grandi ritagli di fodera colorata, cui è preferibile cucire i bordi per evitare sfilacciamenti. Preferibilmente devono avere una
misure tale da coprire il bambino, saranno come piccole coperte che potranno trasformarsi all’occasione in abbigliamenti improvvisati: mantelli,
gonne, veli da sposa o in tende per fare le porte delle case.
Una decina di vecchi foulard, raccolti presso le famiglie, sono più che
sufficienti per rappresentare qualche personaggio o per i giochi sensoriali. Anche per i foulard vale la regola che non devono confondersi con
gli accessori dell’angolo dei
travestimenti, ma essere distinti e utilizzati solo per il gioco psicomotorio.
Il materiale non deve mai essere troppo, perché distoglierebbe dal progetto creando
confusione, l’essenzialità degli oggetti presenti determina
un uso più preciso e un investimento maggiore.
I bastoni di giornale
Arrotolando due fogli di carta di un quotidiano in un modo non troppo
stretto, si formano dei bastoni che, foderati con lo scotch di carta, si
mantengono rigidi. Non essendo duri non sono pericolosi e con essi si
può giocare a colpire il “nemico” nei giochi simbolici.
Naturalmente vige la regola
che non si deve mai colpire in
testa o sul volto o troppo forte.
I bastoni di carta risultano utili anche per costruzioni di spazi sul pavimento, case o strade che possono venir fissate
al suolo con lo scotch, mantenendo così stabilità.
Emozioni in movimento
Le piastrelle di giornale
Si preparano piegando in quattro una doppia pagina di un quotidiano e
incerottando bene i bordi, in modo che non si possano aprire e abbiano
una certa solidità: si forma così una piastrella abbastanza resistente con
cui si possono costruire strade su cui camminare e spazi definiti.
Piegando la doppia pagina del giornale ancora una volta si forma una
piastrella più piccola, in tal modo si possono costruire strade più larghe
e più strette, strade “principali” e “secondarie” su cui la camminata sarà
più o meno facile.
La leggerezza del giornale, la sua quotidiana reperibilità e la velocità di
costruzione permette di avere presto a disposizione un innumerevole numero di piastrelle per strade lunghissime che possono raggiungono case o
parcheggi formati con altre piastrelle.
Su una facciata della piastrella si può
incollare un foglio bianco di carta bianca che le rende più gradevoli d’aspetto ma che può servire per disegnarci
sopra qualcosa di utile per i giochi che
si inventano, ad esempio dei simboli per cambiare strada o posizioni del
corpo. Più avanti nel testo si vedrà un
esempio.
Le clavette-bottiglie
Si tratta di semplici bottiglie riempite d’acqua, per avere stabilità e un
certo peso, con il tappo incollato con
una colla resistente e idrorepellente
per non lasciare uscire il contenuto.
Si possono usare per fermare a terra
i teli, per costruire recinti, definire percorsi e per costruire slalom.
Sono inoltre utili per tener fermi i teli o
sorreggere assicelle di legno o asticciole.
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Elementi psicomotori in laboratorio
I grandi palloni di carta
È una proposta di Antonio Neri, che riguarda la creazione di
grandi palloni di circa 80 cm di
diametro, utili per definire uno
spazio di gioco per giochi sia
senso-motori che simbolici.
Per costruirli si usano i grandi
e resistenti sacchi di plastica
nera per i rifiuti, che si riempiono di palle di carta di giornale ben compressa e quindi
si incerottano completamente con lo scotch da pacco.
Occorre circondarli più volte con lo scotch, per renderli più compatti e resistenti alla rottura.
Questi grandi palloni tondi ma
imperfetti, non duri ma resistenti, si possono spingere
e farci scontri, come per una
specie di “autoscontri” in cui
mettere molta energia, si possono accatastare creando torri più o meno sbilenche o montagne da abbattere, ci si può
sdraiare sopra o salirci in piedi
cercando un equilibrio, come
si fa sui grandi palloni ginnici.
Si possono anche trasformare
in nemici da picchiare in giochi
narrativi, ad esempio un lungo
serpentone mostruoso.
Essendo molto grandi implicano movimenti ampi che il bambino percepisce su vaste aree
Emozioni in movimento
del corpo, ricavandone sensazioni di forza o di rilassamento, secondo
l’immaginario attivato.
Il rapporto con l’oggetto
Il primo oggetto per il bimbo
è il corpo della madre, i suoi
capelli, il naso, la collana sono un tutt’uno con lei. Poi l’oggetto si differenzia e si connota
come materiale manipolabile che dà piacere perché trasmette sensazioni molto varie
che permettono di conoscere le qualità della realtà. Successivamente l’oggetto assume funzioni di utilità al gioco:
serve per costruire e inventare, viene scelto e trasformato
secondo le necessità.
Più gli oggetti sono neutri più
permettono di diventare altro,
assumendo la funzione che
suggerisce la fantasia, caricata delle proiezioni personali che aggiungono senso all’azione. Un grande pallone può, infatti, essere usato come
tale per lanci e spinte, ma se il bambino ci si sdraia sopra e si accoccola
in un dondolio l’oggetto-pallone diventa altro perché assume aspetti materni; anche quando viene individuato come nemico i calci dati sono diversi, non più indirizzati a giocare una partita, ma a scaricare la rabbia
che quel personaggio provoca.
L’oggetto è detto transizionale quando permette di mantenere presente “l’oggetto d’amore” assente (genitore), è una cosa (orsetto, pupazzo,
fazzoletto) solitamente morbida, che odora “di casa” e che garantisce la
permanenza del legame affettivo.
L’oggetto svolge poi funzione di mediatore quando entra nella relazione
favorendo contatti con il corpo dell’altro: spesso attraverso l’uso di qualche materiale si possono toccare e contattare emotivamente persone
non abituate al rapporto fisico ravvicinato.
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Elementi psicomotori in laboratorio
Gioco con tre oggetti di carta di giornale
La carta di giornale è una grande risorsa per i giochi perché è di facile accumulo, permette di costruire varie cose e, volendo, di distruggerle senza problemi. Come già spiegato, si possono inoltre costruire
materiali di gioco permanenti come i bastoni, le piastrelle e le palle.
Questa proposta di gioco parte proprio dalla costruzione di questi tre
diversi oggetti, che per la loro forma stimolano varie idee. Ogni componente del gioco costruisce, usando un quotidiano e lo scotch, una
palla, un bastone e una piastrella; si costituiscono poi dei gruppi di
persone ai quali si propone di costruire una casa usando i tre materiali. Ecco che gli oggetti diventano, tetto, porta, elementi decorativi per
lo spazio-casa costruito sul pavimento come un disegno. Il conduttore offre quindi altre piastrelle per le strade fra le case che servono per
andare a farsi visita. Si fanno quindi degli inviti, espressi secondo la
modalità scelta, in silenzio o con l’uso di segnali, ad esempio lo sventolio di foulard. Infine si può proporre di disfare le case e di costruirne
una unica, con più locali: cucina, studio, soffitta, garage, balconi e tutto ciò che si vuole. Ognuno poi si sistema nella parte della casa che
preferisce e mima un’azione attinente al luogo. Nasceranno situazioni e piccole storie dentro un clima di invenzione che dà il piacere di
vedere le cose trasformarsi rapidamente in tutt’altro.
Emozioni in movimento
Lo sguardo
Il bambino cresce sotto gli sguardi degli adulti che continuamente gli
danno conferme e limiti; lo sguardo trasmette pensieri, ordini, comunicando emozioni prima delle parole.
Tutti i bambini hanno bisogno di sguardi che dicono quanto “bello e buono e importante” è ciò che stanno facendo: un bel salto è un salto importante se confermato dallo sguardo di approvazione dell’adulto, il timore
passa subito se il bambino non ne trova ombra negli occhi della maestra. Lo sguardo, ha quindi funzione di sostegno, di rassicurazione, di
contenimento e di specchio perché il bambino ha bisogno di sentire che
le emozioni che percepisce sono confermate dalla figura cui è affettivamente legato e quindi anch’egli le riconosce come vere. A volte il bambino, cadendo, guarda l’adulto come chiedere “dimmi ciò che sento” ed è
l’espressione dell’adulto che dà gravità o leggerezza all’accaduto. E, in
conseguenza, il bambino può piangere forte o lasciar correre “sentendo”
che “non è successo nulla di grave”.
Ci sono bambini che richiamano continuamente l’attenzione e altri che
si eclissano: entrambi dimostrano il bisogno di essere “più visti”, dimostrando di non avere ancora un Io ben strutturato, che permette di giocare per un po’ di tempo serenamente in autonomia.
I bambini vivaci spesso rubano tutti gli sguardi e tutte le energie, con loro è utile dare degli “incarichi” per fare piccole cose da soli, con la garanzia di “andare da loro dopo un po’”, ad esempio: “Fai tu questo muro che
fra un momento lo vengo a vedere”. Gradualmente, questo andare via e
tornare, amplierà nel bambino la capacità di attesa, che si fonda su basi di fiducia, che sostengono i momenti di distanza con pensieri e frasi di
garanzia della permanenza affettiva.
I bambini “troppo tranquilli” possono essere inibiti nell’esprimere le proprie emozioni. Non si tratta di chi gioca tranquillamente da solo, ma di
chi mostra tensione interiore che si nota nel tono muscolare, nel modo di
guardarsi in giro o di cincischiare un oggetto, nello stare al margine del
gioco. Lo sguardo dell’adulto, prima ancora che la sua azione propositiva o di sostegno, può far arrivare comprensione e stimolo.
A volte invece lo sguardo dell’insegnante può essere involontariamente
indagatore, succede quando egli attende insistentemente una risposta
durante una verbalizzazione o un gioco, perciò a volte abbassare gli occhi pur mantenendo la relazione con le parole o il tocco, può rilassare il
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Elementi psicomotori in laboratorio
bambino e creare aperture. I giochi con lo sguardo permettono di riflettere sul bisogno di essere riconosciuti, apprezzati, protetti e di rendersi più
consapevoli dei vari modi di guardare.
Gioco dello sguardo che “tiene”
In questo gioco lo sguardo è come una calamita che trattiene e
vincola la relazione. A coppie, camminando liberamente nello
spazio, si cerca di mantenere il contatto visivo con un compagno
scelto: è come ci fosse un invisibile filo fra i due che cerca presto
di ricollegarsi quando il passaggio delle altre persone lo rompe. Il
conduttore dà indicazioni sulla velocità da tenere, che complica il
compito di tenere il contatto.
Variazione: su richiesta, un componente della coppia si nasconde fra le persone e l’altro lo cerca velocemente utilizzando solo lo
sguardo per ritrovarsi.
Camminando poi con lo sguardo a terra, ci si può concentrare sul
sentimento di solitudine e sul mantenimento dell’“oggetto-affettivo” come immagine mentale, l’esperienza fa emergere sensazioni riguardanti la separazione e la permanenza nel pensiero delle
figure di riferimento. Il gioco si può proporre ai bambini di 5 anni
come una piacevole attività di “calamita visiva”, senza eccedere
nella durata perché richiede impegno.
Emozioni in movimento
Lo spazio
Il primo concetto di spazio nasce quando il bimbo esce dalla sensazione
di fusione con la figura materna e la riconosce come altro da sé, con lo
sviluppo fisico può poi allontanarsi per conquistare lo spazio, investendo piacere in questa azione che è presenza attiva nel mondo. Il bambino, crescendo, diventa quindi sempre più curioso rispetto agli aspetti
che regolano la realtà, arrivando ad interessarsi ai vari concetti topologici che la descrivono: su/giù, alto/basso, vicino/lontano… Ma per arrivare
a questo servono desiderio e coraggio: lo spazio, infatti, può essere percepito come molto grande oppure come soffocante, al di là dell’oggettività della situazione.
Il bambino insicuro tende a stare nel raggio d’azione dell’insegnante,
spesso anche mantenendo un contatto fisico, per lui servono graduali esperienze di autonomia e di allontanamento sostenute da azioni di
senso. La costruzione di una casa personale, ad esempio, rappresenta l’“Io” e il “Tu”, che comunicano, ma sono separati. Entrare e uscire da
uno spazio proprio rinforza la percezione di sé e predispone ad altri passaggi e sfide.
Si chiama prossemica la disciplina che studia lo spazio e le distanze
percepite dall’uomo all’interno di una comunicazione affettiva e sociale. Edward T. Hall nel libro La dimensione nascosta (1999, Bompiani) ha
osservato che la distanza relazionale tra le persone corrisponde ad una
presa di distanza fisica, che egli ha misurato andando a definire quattro “zone”:
– la distanza intima: 0-45 cm, è adottata in rapporti stretti, affettivi
– la distanza personale: 45-120 cm, si rivela nell’interazione tra amici
– la distanza sociale: 1,2-3,5 metri, è usata nella comunicazione tra conoscenti o nel rapporto insegnante-allievo
– la distanza pubblica: oltre i 3,5 metri, si nota nelle pubbliche relazioni.
Questi fattori subiscono però variazioni derivanti dalla cultura d’appartenenza, infatti un italiano, un norvegese o un giapponese hanno percezioni ed emozioni molto diverse rispetto allo spazio e alla vicinanza dei
corpi, che derivano dal tipo di relazione espressa nella propria cultura di
appartenenza.
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Elementi psicomotori in laboratorio
Ma anche in un’analisi individuale i parametri possono variare: c’è chi
tende a creare distanze intime anche nel rapporto fra amici e chi preferisce “mantenere le distanze”. Cercare i propri “limiti di gradimento” nella vicinanza con l’altro e riconoscere la propria modalità di entrata negli
spazi personali dell’altro, aiuta ad avere più consapevolezza delle variabili che ogni individuo pone nella relazione che implica contatti fisici.
Gioco con lo spazio-coperta
Si inizia stando fuori dalla stanza, ognuno con una coperta a disposizione. Uno alla volta si entra silenziosamente nella sala sistemandosi in una zona preferita: di lato, in un angolo, al centro...
Via via che le persone arrivano e si dispongono possono scegliere di stare vicini a qualcuno o lontano da tutti, appartati o meno,
con le spalle coperte o no. Si può anche cambiare posto se l’arrivo degli altri ha cambiato la percezione dello spazio o ha fatto crescere la voglia di vicinanza o di distanza.
Appena ci si è sistemati sulla propria coperta, ci si rende conto
che essa viene percepita come “casa”, perché prima ancora che
una costruzione, la casa è uno spazio personale.
Emozioni in movimento
Il conduttore invita poi a comunicare senza il linguaggio verbale,
ma con quello del corpo e delle espressioni del viso: si formulano
così inviti che danno il via a movimenti e cambiamenti.
Solitamente si arriva a unire le coperte e si formano due o tre
grandi abitazioni comuni oppure un’unica grande casa per tutti:
cosa che dà gioia. Spesso in queste case si mimano situazioni
del dormire e mangiare. Naturalmente la diversa creatività di ogni
gruppo determina silenziosamente gli sviluppi.
Il gioco è apprezzato anche dai bambini che sperimentano nel silenzio il piacere di trovare un proprio posto, invitarsi, creare case multiple...
Una proposta aggiuntiva è inserire la comunicazione grafica: si distribuiscono dei foglietti su cui le persone scrivono brevi messaggi con parole o disegnini, e poi le lanciano alla persona di cui hanno attirato l’attenzione, ma sempre rimanendo in silenzio. Il foglio
si può piegare, appallottolare, fare ad aeroplanino perché arrivi a
destinazione dall’amico desiderato, ma se si trovasse troppo lontano si può chiedere, a gesti, a chi sta più vicino di passare il pezzo di carta.
Per i messaggi che non arrivano si può inserire la figura del “postino”, che si può muovere fra le postazioni, cercando di capire,
senza parlare, dove deve portare la lettera. Si produce presto un
via vai di messaggi e di gesti che esprimono i saluti e i ringraziamenti. Si può proporre di scrivere il proprio nome o di fare semplici forme, come un cuore o un fiore, ma non disegni complessi che
necessiterebbero di tempo e in questo caso l’obiettivo non è analizzare l’uso di simboli, ma solo di stare nel piacere della comunicazione. Qualora si intendesse, invece, porre l’interesse sui simboli grafici comunicativi
si deve essere consapevoli che si entra in un’attività più di tipo cognitivo, che abbassa il livello
emotivo dell’esperienza.
Alla fine si può decidere
di tenere i messaggi o di
buttarli tutti in aria come
una pioggia festosa.
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Elementi psicomotori in laboratorio
Gioco dello spazio che si restringe
Il conduttore invita le persone a muoversi occupando tutto la stanza, prepara poi con una lunga corda uno spazio dentro cui invita
a camminare lentamente, normalmente, in vari modi (zoppicando,
saltellando...) e quindi a correre.
Restringe poi lo spazio-corda in modo che i partecipanti si ritrovano a muoversi sempre più appiccicati. Quando poi toglie il confine, il corpo riconquista
ampiezza di gesti e il piacere di riavere spazio.
Con i bambini più grandi e in un clima gioioso si
può giocare a spingersi
fuori, utilizzando una sola
parte del corpo per volta:
mani, sedere, schiena...
Il tempo
Il tempo in psicomotricità è definito dalle routine dell’incontro psicomotorio dentro cui c’è quel tempo, riempito di giochi che si aprono, si realizzano e si chiudono.
Ma il tempo è una dimensione personale prima che sociale. Ogni persona ha un tempo interiore che si è costruito nella relazione primaria,
passando dal tempo biologico (ritmo del respiro, battito cardiaco, ritmo
sonno-veglia) a quello legato alla soddisfazione dei bisogni, nel rapporto con i genitori che soddisfano i desideri e pian piano li spostano un po’
più in là, riempiendo lo spazio dell’attesa con parole e garanzie di affetto che permane.
Il tempo è quindi percezione del ritmo assenza/presenza su cui si fondano le impressioni sensoriali.
È importante tener conto del tempo di ognuno durante i giochi: ci sono
bambini impulsivi che si lanciano nelle cose e altri che hanno bisogno
di rassicurarsi osservando per un po’ l’azione. Se un bambino non entra
nel gioco l’adulto può farlo sentire partecipe costruendogli un luogo da
cui guardare o un ruolo nel gioco simbolico (“Tu fai la guardia che controlla”), in modo da farlo stare comunque dentro il gioco.
Emozioni in movimento
Giocare a conoscere i propri ritmi e a crearne altri
Sdraiati a terra su una coperta ad occhi chiusi si cerca di percepire il battito del proprio cuore e il ritmo del respiro. Dopo che questi
fattori sono stati percepiti, il conduttore invita a fare una corsa velocissima, quindi ci si sdraia nuovamente sulla coperta per sentire
com’è cambiato il battito e respiro.
Utilizzando un pennarello e un piatto di plastica si crea un semplice ma efficace tamburo e con questo i bambini possono giocare a
riprodurre il battito del proprio cuore: lento e veloce.
Si cammina e si corre quindi “al battito del
cuore”, battendo il ritmo sul finto tamburello.
Adeguare il passo ad
un ritmo non è facile
per un bambino, ma
ciò che conta nel gioco è cimentarsi individuando tempi diversi,
cercando di “tenerli” anche con il movimento.
La voce
La voce riempie lo spazio della distanza, confermando l’esistenza dell’altro nella sua assenza visiva.
Parlare, gridare, sussurrare, non è solo una competenza linguistica, ma
anche una possibilità espressiva che si collega ai sentimenti: gridare
di gioia, parlare piano intimamente, presentarsi con tono chiaro, sono
espressioni emotive quanto il muoversi.
I bambini inibiti non usano il corpo e neppure la voce, i bambini irrequieti possono urlare senza ragione, solo per il bisogno di sentirsi. Stare in silenzio implica uno “stare con se stessi” che gli ansiosi non reggono.
La voce è fatta di tono, timbro, pause, trasmette l’emozione prima che il
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Elementi psicomotori in laboratorio
messaggio, giocare con la voce è quindi importante per percepire la portata emotiva dei suoni e delle parole. Scoprire le diverse vibrazioni dei
suoni, cogliere l’energia delle vocali e delle consonanti, sono sperimentazioni divertenti per “lasciar andare” voce ed emozioni e indagare, divertendosi, le caratteristiche del linguaggio verbale.
Il nome proprio
La parola più importante che
ci accompagna solitamente
per sempre è il nostro nome.
Nel nome proprio sta un’essenza dell’identità, l’immaginario di chi ha dato la vita, a
volte un pezzo di storia di famiglia, spesso un augurio.
I diminutivi rivelano l’affetto che esiste nella relazione,
“amore, tesoro, cicci, piccino” sono parole che trasmettono il legame amoroso, sono le parole della mamma e
del papà, a volte anche delle maestre.
Ma queste parole riportano all’essere piccoli perciò Aucouturier raccomanda agli insegnanti di non usare il termine “amore” per chiamare i
bambini, spiegando che è una parola che appartiene ai genitori, mentre
l’educatore è una figura del sociale che, pur dentro una forte relazione
affettiva, rappresenta un passaggio verso l’autonomia.
Occorre anche stare attenti a quanto si usano i diminutivi fuori dal momento delle coccole perché possono intrappolare nel rimanere piccoli e
risultano contraddittori rispetto alle varie richieste che implicano invece
di “sentirsi grandi”.
Il nome racchiude molte suggestioni, se qualcuno sussurra il nome ad
una persona in posizione di rilassamento evoca in lei molteplici ricordi e
desideri; minime variazioni di tono, di timbro, di rapidità o lentezza nella
pronuncia, scatenano sensazioni che riportano indietro nel tempo.
Giocare con i nomi propri, valorizzandoli, rendendoli, oltre che scrittura,
disegno, gioco di suoni e danza è molto interessante.
Emozioni in movimento
Il linguaggio verbale
Il linguaggio segue uno sviluppo collegato alla maturazione psico-fisica
ma anche ad aspetti psicologici, la produzione dei fonemi implica, infatti,
oltre ad un adeguato apparato vocale, anche un’intenzione comunicativa che si collega alle emozioni e si inserisce nella relazione.
Il primo pianto alla nascita contiene, oltre a vocali, anche consonanti gutturali, frutto dell’aria che esce dalla gola; le labiali invece riportano a vissuti di suzione, mentre le dentali si formano più avanti, vicino al
periodo della dentizione e dello svezzamento. La produzione di queste
consonanti necessita di una certa dose di aggressività per uscire, esprimono forza e si connettono al desiderio che il bambino prova di fare autonomamente, dimostrando così anche il procedere nel percorso di costruzione di sé.
Dare l’opportunità di sperimentare la vocalità in vari modi è un gioco di
scoperta che può anche liberare tensioni e rafforzare la volontà. Molti bambini non sanno urlare, neanche in un gioco che lo prevede, non
per educazione ma per timore delle emozioni forti, allora gridare contro un nemico di fantasia o urlare il proprio nome in un divertente gioco, permetterà di lasciarsi andare in un’azione positiva che dà sicurezza.
Giocare con i suoni delle lettere
Che sensazioni e immagini trasmettono i suoni delle vocali?
Stefania Guerra Lisi propone nel libro Il racconto del corpo (1992, Edizioni Borla) un “albero dei suoni” con le vocali collocate in diversi punti del corpo, associate a suoni, note, colori ed emozioni. Secondo il metodo della globalità dei linguaggi, elaborato dall’autrice, ogni aspetto
dell’umana esperienza si collega ad un altro, per un reciproco sviluppo.
Le attività creative che uniscono voce e gesto permettono di porre attenzione sul proprio apparato vocale e di sviluppare l’immaginazione in una
ricerca che è sensoriale, linguistica, gestuale, cognitiva ed emotiva, in
cui i sensi si mettono in relazione con l’immaginario.
Esprimendo le vocali per un lungo momento, gridando, cantando, vocalizzando, si può cercare di percepire in quale parte del corpo si sentono delle vibrazioni, il colore che fanno immaginare, le idee che suggeriscono.
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Elementi psicomotori in laboratorio
Si può così scoprire che:
– la I porta solitamente ad alzare il corpo verso l’alto e rimanda a immagini di eccitazione e a colori chiari
– la vocale E, esiste anche come È, porta spesso o a movimenti di disequilibrio
– la vocale A invita a movimenti di apertura con immagini e parole inerenti, come aria e amore
– la vocale O, nelle sue due forme aperta e chiusa, induce a movenze
tonde e relative figure
– la vocale U fa abbassare il corpo e il tono vocale e dà immagini di
buio, timore e chiusura (non a caso molte parole di paura la contengono, ad esempio lupo, urlo).
Nel gioco di ricerca sonora, la
pronuncia di fonemi consente di riconoscere l’azione della bocca e della lingua nel produrli, di percepire le vibrazioni
nel naso o in gola, di differenziare le particolari caratteristiche sonore e di immaginare una gestualità che viene da
associare ad esse.
Le consonanti si dividono in
Gutturali (con azione della gola).....G + A O U H (o altra consonante)
. ....C + A O U H (o altra consonante)
. ....Q
labiali (con azione delle labbra):......P B M F V
dentali (con azione dei denti):..........T D S N Z
linguali (con azione della lingua):....R L
palatali (con azione sul palato):.......GL + I
. ....SC + E o + I
Altre divisioni:
nasali: . .......................................M N GN
sibilanti: . .......................................S V Z
Le consonanti labiali sono le più facili, le più difficili sono la R, la F, la Z.
Emozioni in movimento
Giocare con linguaggi fantasiosi
È molto divertente parlare a vanvera, inventando dialoghi che tolgono tensione al linguaggio escludendo il senso logico e ciò può rilassare chi ha qualche problema con la produzione del linguaggio
verbale. Si sceglie una consonante come iniziale delle parole che
poi s’inventeranno, quindi si cammina nello spazio instaurando dialoghi con chi si incontra. Lasciandosi andare, si scopriranno onomatopee e rapporti gesto-suono, con conversazioni di questo tipo:
“Tu tu ti toto ta! “talarello taattatatà” “Ti?” “To to!”, “Zizuzaza zenizà”
“Zi zi zazzzerrunno” “Zaaaaaaaaaaa!”, “Babibene” “Bubuno” “Banniffatto babollan”... È bello inventare personaggi che parlano tutti in z o in s e che si possono muovere con gesti che si associano
alle sonorità. Così i personaggi F parleranno come viene dicendo
“fiffi fofa faa fi fo feffufu” ed i personaggi Z “zu zu zazazza ziziziziiz…” Inconsapevolmente anche i gesti si adatteranno e diventeranno spezzettati o morbidi come i suoni. La z darà vita a movimenti
zigzaganti, la s a movenze sinuose, la t a marcette...
Gioco del nome-gesto-suono
Si tratta di presentarsi
al gruppo abbinando un
suono delle lettere o delle sillabe del nome ad un
gesto, che può essere
collegato alle sensazioni
date dalla sonorità delle
sillabe e ad aspetti della
personalità del soggetto.
Ogni lettera può trasmettere un’idea che può tradursi in un movimento.
La proposta è di scegliere dei movimenti per
comporre il proprio nome in riferimento ai fonemi, in questo modo, stan-
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Elementi psicomotori in laboratorio
do al centro del cerchio, ci si presenta al gruppo che ripeterà in
coro azioni e sillabe. Quindi si cambia posto con un’altra persona.
Alla fine delle presentazioni, uno alla volta ci si pone la centro del
cerchio e si fa il gesto di qualcun altro chiamandolo in questo modo e il chiamato va quindi al centro al suo posto.
Appresi i nomi-gesto si possono creare delle danze silenziose fra
due persone che si sono chiamate, sono improvvisazioni molto
gradevoli.
Ecco alcuni esempi di presentazioni inventate con i gesti abbinati a suoni.
Donatella
DO movimento di un braccio,
come a dare qualcosa
NA braccia allargate
TE blocco del movimento,
battito del piede a terra
LLA danza volteggiante
Marco
MA braccia in alto
R rotazione
CO salto
Ugo
U movimento verso il basso
GO auto-abbraccio
Lisa
LI indicare in alto
SA piroetta
Gioco della voce potente
Il racconto del “Guerriero di mille passi” ( 2006, L. Dal Cin, Franco
Panini Editore) offre una bella possibilità di giocare con l’espressività vocale. La storia narra di un animale che ha preso possesso
della tana della lepre e questa, vedendo delle impronte all’ingresso, chiede a chi è dentro chi mai sia. Le risponde un vocione: “Sono il guerriero dai mille passi, sotto i miei piedi metto…”. La lepre
spaventata chiede allora aiuto a molti animali più grossi di lei, ma
nonostante intervengano bestie sempre più grandi tutti prendono
paura sentendo una voce così possente. Infine l’animale uscirà e
si rivela essere… solo un bruco!
Il gioco prevede che il protagonista si nasconda sotto un telo e
faccia la voce più grossa che può, mentre chi è fuori interpreta gli
Emozioni in movimento
altri animali impauriti. Chi sta tutto solo sotto il telo può dare carica alla propria forza espressiva ed essere stimolato a tirare fuori maggiormente la voce, sentendo le esclamazioni di timore dei
compagni e dell’insegnante. Il gioco-racconto potrà essere uno
stimolo per chi magari solitamente non utilizza appieno la propria
energia tonico-vocale. Per aiutare i bambini più timidi l’insegnante potrà condividere la postazione sotto il telo, trasmettendo il piacere di “far paura” agli altri.
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Il movimento
IL MOVIMENTO
Il movimento è sempre investito di una componente emotiva che induce
ad andare verso lo spazio e verso l’altro.
Il movimento nasce quindi dal desiderio di andare verso le cose e le persone per incontrare e compiere azioni che hanno un senso emotivo, prima ancora che pratico.
Del movimento fanno parte la postura, cioè la posizione del corpo, sostenuta dal tono muscolare e caricata del significato emotivo, e il gesto,
l’azione che persegue l’obiettivo mettendo in campo le capacità che danno forza, precisione, armonia. Il movimento si presenta alla nascita come riflessi e si sviluppa grazie al processo di maturazione neurologica
che si completa nei primi anni di vita, ma è dentro la relazione che il bambino via via si percepisce come un essere che agisce e si muove secondo una progettualità sempre più consapevole.
Il movimento fusionale
È il movimento che il neonato sperimenta quando viene
abbracciato, contenuto, cullato, in un’azione dolce, senza brusche variazioni. Il tono
muscolare dell’adulto produce
modulazioni di tensione e distensione che il bambino percepisce come un movimento
che crea benessere.
Il ritmo è lento, l’azione ondulatoria. Madre e bambino sono un tutt’uno che si muove armoniosamente in un dialogo tonico che fonde i due soggetti. Il neonato non sapendosi separato dalla madre sente questo movimento come fosse proprio
e, attraverso questa esperienza, incorpora senso di presenza, calore, sicurezza.
Le sensazioni profonde, labirintiche e vestibolari, e quelle tattili sono stimolate in un continuum che dà benessere e sono accompagnate solitamente da una voce adulta che modula suoni delicati, come sono le nenie.
Emozioni in movimento
Ciò crea sentimenti di unità che sono fondamentali per la strutturazione
dell’Io. Rimangono tracce di questo “Nirvana” nei balli lenti di coppia, nelle cantilenanti ninne nanne, negli abbracci degli innamorati.
I bambini che hanno problemi psichici possono mostrare movimenti ondulatori solitari e ripetitivi, che stimolano la sensorialità profonda e danno loro una percezione di sé.
Il processo di separazione-individuazione
Margharet Mahler teorizzò con il nome di “processo di identificazione-separazione” (1978, La nascita psicologica del bambino, Bollati Brenghieri
Editori), il percorso evolutivo a tappe che porta il bambino a “tagliare il cordone ombelicale” con la madre o chi svolge la funzione materna e, anche
con l’aiuto del padre, a diventare sempre più un soggetto cosciente di sé.
Mahler e i suoi collaboratori sostennero che alcune problematiche psicotiche sono riconducibili a rapporti simbiotici non superati per cui alcuni bambini il percorso di individuazione può risultare lungo e difficoltoso.
Inizialmente il bambino “non è”, non ha identità, è un tutt’uno con il corpo
della madre di cui già nella vita uterina partecipava a sensazioni ed emozioni, anche dopo la nascita questa percezione fusionale permane a lungo. Il percorso che porta alla costruzione di un Io cosciente e separato occupa, secondo molti autori, i primi tre anni di vita e continua poi in modo
più sottile. È un percorso a tappe, con andate e ritorni, fermate, passi indietro per “ricaricarsi di mamma”, e comprende anche quei momenti in cui
il bambino vive piccoli “deliri di onnipotenza”, in cui si sente senza limiti.
Per riuscire a lasciare il corpo della madre e passare a rapporti che utilizzano anche altri linguaggi più astratti, il bambino deve rendere le figure affettive immagini mentali, che assicurano l’appartenenza.
La separazione inconscia intesa come definizione di sé quale soggetto unico che riesce a stare solo (rispetto all’età) e con gli altri, è un atto naturale, insieme fisico e simbolico, che ognuno elabora rispetto alla possibilità di aver goduto di sentimenti di stabilità e fiducia. In questo
processo il bambino incontra vari ostacoli che possono anche dare vita a pensieri fantasmatici, che egli riversa nel gioco affrontandoli in modo inconsapevole. Nel gioco psicomotorio può ripercorre i sentimenti e le
sensazioni fisico-psichiche che lo coinvolgono in questo processo, molto pregnante nell’età della scuola dell’infanzia, trovando beneficio e possibilità di elaborazione.
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Il movimento
Gioco della separazione
Questa esperienza pone l’attenzione sulle emozioni legate alla
separazione. A coppie, seduti a terra, due persone rivestono i ruoli di madre e di bambino.
Si cerca dapprima di creare un movimento fusionale, un dialogo tonico attento alle vibrazioni dell’altro, che sia piacevole per
entrambe le persone. Ognuno nell’abbraccio cerca una posizione che gli sia gradevole, un dondolio lieve muove l’unità formata dai due soggetti, non si usano parole, ma solo il linguaggio del
corpo.
Arriva poi l’indicazione verbale di separarsi, ognuno con i propri
tempi. Allora occorre mettere attenzione nella percezione tonica
dell’altro ed accompagnarlo nell’atto di separarsi.
L’esperienza può essere ripetuta più volte, rendendola più complessa attraverso la rappresentazione di modalità diverse, che
vengono indicate, e scambiandosi in un secondo tempo i ruoli.
Nel primo caso il soggetto “madre” trattiene
il soggetto “bambino”
che vuole andare via
e deve agire un’aggressività positiva per
separarsi.
Nel secondo caso
il soggetto “madre”
allontana il soggetto “bambino” senza rispettarne i tempi, mettendogli fretta
e producendo movimenti di brusco allontanamento.
Emozioni in movimento
Nell’ultimo caso invece si sperimenta l’armonia del dialogo tonico attraverso cui i due sentono e trasmettono i desideri al
partner: “bimbo” e “madre” riconoscono e accettano gli stimoli
che ricevono e quindi trovano un tempo e un accordo che permette una separazione morbida. Il piccolo vuole andare, ma
può avere dei ripensamenti e quindi dei ritorni che vengono
accettati ma non come assoluti, la “madre” vuole che il bambino vada ed accetta di “soffrire” un po’ nel lasciarlo, consapevole che lo sta aiutando a crescere bene. Il soggetto “bambino”
accetta di lasciare la “madre” sopportando il dispiacere che si
mescola al piacere dell’andare.
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Il movimento
Il movimento senso motorio
È il contrario del movimento fusionale, perché si basa sul piacere di
un’azione fatta di rotture e brusche variazioni, che dà al bambino il piacere di sentirsi, di riconoscersi “intero” dopo essersi percepito “perso” o
“frammentato”.
È il gioco del saltare, cadere, girare su se stessi, dondolare, scivolare, riempire/svuotare… Sono tutti quei movimenti che danno uno scarto al corpo e l’emozione di percepire forte e intero il proprio corpo. Sono azioni che investono gli apparati che sovrintendono all’equilibrio e
strutturano il movimento intorno all’asse corporeo, inoltre riconducono a
pulsioni e bisogni inconsci che riguardano le fasi della crescita, ad esempio l’azione di riempire e svuotare può riferirsi allo svuotamento degli
sfinteri, alla sensazione di pieno e vuoto che il neonato ha percepito e
all’impegno investito per il controllo.
Nei luna park i giochi con grandi cadute e scossoni riproducono, anche
per gli adulti, il piacere di queste sensazioni.
I giochi senso-motori esplorano il piacere sensoriale e danno la percezione del corpo in azione, con sensazioni opposte di equilibrio/disequilibrio, fermo/movimento, percezione di interezza dopo la “perdita del corpo” nel salto, nello scivolare o nel girare forte.
Emozioni in movimento
Giochi di trascinamento nella coperta
Due compagni trascinano la coperta su cui è sdraiata una persona, che
sta ad occhi chiusi. Il movimento di traino da lento e morbido si fa via
via più forte, con scatti che il corpo sdraiato percepisce come brusche
variazioni. In questo gioco, che può essere chiamato simpaticamente
“andare in carrozza”, sono interessanti le sensazioni sensoriali percepite. Si può poi sollevare il compagno da terra, e lo si dondola dolcemente come in una culla. A differenza del movimento appena sperimentato con il trascinamento, che attiva una “presenza” percettiva,
quest’altro è molto diverso essendo investito l’apparato dell’equilibrio.
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Il movimento
Il movimento pre-simbolico e simbolico
Nel gioco di finzione i movimenti si caricano di significati affettivi: il bambino imita gli adulti, ad esempio fa l’azione di pulire o guidare. È un gioco imitativo che diventa sempre più simbolico, trasformando gli oggetti e gli spazi in altro e si carica dei bisogni espressivi collegati al mondo
interiore. Il bastone diventa cavallo, un telo mantello, un muro castello
e il bambino si trasforma nel personaggio che ha voglia di essere cambiando gestualità, voce, passo, movimenti, secondo il sentimento che
mette in scena.
Oltre alla scelta del gioco, il tono muscolare, la mimica e le parole usate
tramettono sentimenti che l’insegnante può accogliere.
È un gioco di storie e personaggi, situazioni in cui il bambino mette significati: giochi di ruolo, costruzioni, aggressioni, liberazioni, relazioni che
danno vita a piccoli racconti. Il dato di realtà viene superato con l’atto
fantastico, così, passare sopra un ponte non sarà più solo il piacere di
percepire il corpo in equilibrio, ma un’azione dentro un’avventura di coraggio e sfida.
Emozioni in movimento
Gioco di trasformazione del bastone
Tutte le persone hanno
in mano un bastone e,
uno alla volta, ognuno
dice che cosa esso può
diventare e quindi tutti
useranno il proprio bastone in tal senso.
Ad esempio: “Il mio bastone è un ombrello”
e tutti fingono di avere
l’ombrello; “Il mio bastone è una scopa” e tutti spazzeranno; “Il mio
bastone è un telescopio” e allora tutti a guardare le stelle… Quindi il
conduttore, osservando
una modalità d’uso interessante può sollecitare: “Facciamo tutti come Lucia!” e così gli altri riprodurranno l’azione indicata.
Lo stesso gioco si può fare con la piastrella di giornale o con qualunque oggetto informale. “La mia piastrella è uno zerbino” è via
tutti a pulirsi le scarpe; “La mia piastrella è un vassoio” e allora si
porta in giro come tale…
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Il movimento
Gioco con i teli leggeri e colorati
Ognuno ha un telo di nylon o raso con cui inventa
ciò che vuole: il telo diventa vestito,
letto, bandiera…
Individualmente si
provano più variabili, poi ci si avvicina silenziosamente a un compagno
con cui si improvvisa un’azione che cerca sintonia senza parole. Si
vanno così a formare piccole rappresentazioni: una damigella con
il paggetto che regge il velo, un balletto, uno spolvero... Il gioco si
può allargare riunendo più persone in un racconto che si snoda
spontaneamente: la principessa va sulla barca, chi dorme si sveglia e si mette a danzare, invitato dai ballerini… Stupisce sempre
vedere come da pochi oggetti prendano vita simpatiche storie, grazie al “lasciarsi andare” al gioco che libera l’immaginario.
Emozioni in movimento
GIOCHI PIENI DI SENSO
Alcuni giochi hanno un senso profondo per la crescita del bambino perché permettono di rielaborare sentimenti e tensioni legate a passaggi
fondamentali del rapporto con le figure genitoriali, con la fatica del diventare grandi, entrare in società, affrontare nuove relazioni con i pari e con gli adulti, assumere regole e sentirsi parte delle cose che accadono.
Riconoscere la valenza emotiva profonda di questi giochi, permette di riconoscerli nelle loro varie forme nel gioco libero e di crearne di simili come proposta, anche ricavandoli dai racconti più graditi dai bambini.
Nascondimento e rivelazione
Nascondersi è “non esserci” e poter essere voluti, cercati, desiderati.
Nascondesi è stare soli con se stessi e”sentirsi” di più, dà il piacere di rivelarsi e rinascere e rientrare nella realtà affettiva.
Il gioco di nascondersi fa parte di quei giochi che il bambino mette spontaneamente in atto con i genitori, quando inizia ad allontanarsi e sperimenta l’autonomia nei movimenti e nelle intenzioni, percependosi come
un soggetto. Questo importante passaggio della costruzione dell’identità è riconoscibile nel “gioco del cu-cu”, che verso l’anno di età il bambino mette in atto assecondato dai genitori. Nascondersi, essere cercato e
ricomparire è per il bambino un momento di grande soddisfazione emotiva che permette il formarsi di
un’immagine mentale permanente delle amate figure di riferimento. La tappa del gioco
del “gioco del cu cu” è quindi
un indicatore del processo inconscio attivato.
I bambini con una struttura fragile dell’identità possono aver
bisogno di ripetere questo tipo
di gioco per rinforzare la sensazione di “non esserci/esserci”, confermata poi dall’abbraccio che accoglie.
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Giochi pieni di senso
Gioco delle talpe
Con un grande telo provvisto di un’apertura (che può essere anche un tratto lasciato scucito fra due lenzuola unite) si gioca con
più persone che si muovono in ginocchio sotto la stoffa mentre gli
altri la tengono a terra. Dall’esterno qualcuno dice: “Vorrei vedere
Giulia!” e Giulia allora mostra la testa uscendo dalla fenditura. Un
bel complimento e poi Giulia torna sotto. Si può anche muovere il
telo in tondo attorno a lei cantando una canzoncina: “Ma che bella
talpina, ma che bella bambina, la vogliamo vedere!”
Si possono anche chiamare due nomi e i bambini nominati si faranno
vedere insieme. Oppure
si può giocare agli indovinelli: “Vogliamo vedere
una talpina con gli occhi
e i capelli castani”. Ci sono altre richieste che rendono il gioco divertente:
“Vogliamo vedere un piede”… “Vogliamo vedere la testa” … “Vogliamo
vedere un dito”…
È un gioco spassoso anche perché chi sta sotto
il telo si muove in poco
spazio e per riuscire a
mettere in vista le parti richieste i movimenti si intralciano. Anche
dall’esterno veder sbucare due teste o piedi e
gomiti dà ilarità.
Si possono dare indicazioni diverse alle due
persone nascoste: emergeranno quindi dal buco, con più fatica, un
dito di Lucia e la testa di Marco, un gomito e un ginocchio, un orecchio e un piede…
Il gioco deve durare poco perché può diventare opprimente stare
sotto il telo e si fanno quindi cambi veloci.
Emozioni in movimento
Gioco del tunnel di stoffa
Con un telo lungo si può giocare a percorrere un tunnel.
È un gioco molto interessante come esperienza sensoriale e come vissuto di “rinascita” e accoglienza.
Il telo è tenuto aderente al pavimento alle estremità da due persone e lungo i lati da altre. Un giocatore passa nel tunnel e viene accarezzato dai compagni. Infine sbuca ed è accolto con un
“benvenuto” dalla persona che sta in fondo, che lo chiama per nome e gli fa dei complimenti: “Ma che bella bambina! Ciao, Elena,
ben arrivata!”.
Riemergere è sempre un’emozione che riporta alla sensazione di
essere voluti e apprezzati, è quindi un gioco sull’identità e l’autostima.
Usando teli di raso o nylon il passaggio è morbido, mentre con
una tela di cotone c’è da mettere più forza nell’avanzare, sono
sensazioni diverse che si possono sperimentare, ma il finale è
sempre di benvenuto.
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Giochi pieni di senso
La casa
I bambini di tutto il mondo giocano a “far casa”, è questo uno
dei giochi simbolici più significativi. La casa è simbolo del
corpo perché divide lo spazio
in un “dentro” e un “fuori” che
si riconduce all’identità, che si
struttura appunto sulla definizione di un Io e di un Non Io.
Il gioco della casa rende simbolicamente questa divisione e
quindi l’emozione di “sentirsi”,
“difendersi”, relazionare con
“l’altro da sé”.
La casa nel gioco viene fatta,
o percepita come tale, utilizzando qualsiasi materiale: una
corda posta in terra, dei cubi
messi a recinto, un telo che fa
da tetto su uno spazio…
Ma la casa può avere porte per entrare e uscire e finestre per comunicare, è perciò un luogo che si apre alla relazione con l’amico, ma è anche
posto in cui ci si chiude per salvarsi da un’aggressione nemica.
Il bambino che mostra insicurezze può essere aiutato nel prendere coscienza di Sé proponendo di costruire con lui un luogo-casa in cui percepirsi fuori dalla con-fusione (fusione con), accompagnandolo a mettere
in atto gradualmente azioni autonome. Un semplice gioco dell’insegnante che dice a un bambino, chiuso in uno spazio-casa:
“Toc toc… c’è qualcuno?” gli
dà modo di rispondere: “Matteo.” così dirà un bambino che
non usa ancora la terza persona; mentre l‘uso del pronome “io” è uno degli indicatori
di un’identità più strutturata.
Emozioni in movimento
Il gioco poi può continuare con entrate/uscite, andate/ritorni e difese,
inserite nel divertimento del gioco simbolico. La casa dà protezione e
va protetta. Ogni attacco alla casa è qualcosa che colpisce l’identità,
quindi fare casa, aprirla agli amici, chiuderla ai nemici, riprenderla se
conquistata dai cattivi, sono giochi che portano in sé emozioni importanti da poter giocare.
Gioco delle case silenziose
Il gioco si basa sull’uso del linguaggio non verbale.
Con il materiale presente nello spazio (nel laboratorio le sedie) e
utilizzando le coperte e le stoffe, ognuno costruisce creativamente una casa per sé. Poi, sempre senza parlare, ci si accorda con
qualcuno per abitare una casa comune e le abitazioni quindi possono subire modifiche: allargamenti, terrazzamenti, nuove aperture… Con gesti ed espressioni del viso e utilizzando gli oggetti
come mediatori comunicativi per mandare dei segnali, gli abitanti delle case si invitano, si fanno visita e dentro le abitazioni inventano situazioni. Si costruiscono poi le strade con i fogli di giornale, un fiume con un telo azzurro e forse un “posto pericoloso” dove
abiterà un nemico... Molte storie simpatiche nascono da queste
improvvisazioni silenziose, anche con i bambini.
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Giochi pieni di senso
Gioco della strega ruba-casette
È un gioco organizzato in forma di racconto in cui si gioca con un
personaggio negativo,
ad esempio una strega,
che, mentre i giocatori
fingono di dormire, porta via la loro casa, coperta o corda che sia. Al
momento del risveglio,
i derubati, aiutati dagli
amici, andranno nel posto dove abita la strega,
che sarà a sua volta addormentata, e ci sarà la riconquista dei
materiali. In queste lotte la strega è aggressiva ma sempre perdente e infine sarà legata o incarcerata… Naturalmente nel gioco
con i bambini la parte della strega la fa sempre l’insegnante che si
dispone a fare una brutta fine!
Il gioco si può fare anche utilizzando una base musicale: quando c’è musica i bambini passeggiano e la strega-maestra ruba un
cerchio-casa, il bambino derubato verrà ospitato da altri fino ad un
numero limite per cerchio, deciso precedentemente. Nel procedere del gioco, mancando molti cerchi, chi si ritrova senza casa sarà rincorso e catturato dalla strega per essere “mangiato più tardi”; così fino all’ultimo bambino che ruberà la chiave della prigione
alla strega, in un momento di apposita “distrazione”, così libererà
tutti e sarà poi lei a finire legata e sbeffeggiata.
L’aggressività giocata
Nell’attività psicomotoria il bambino trova lo spazio ideale per esprimere
nel gioco simbolico le proprie paure, tensioni e blocchi attraverso l’azione e giochi fantasiosi in cui può vincere, salvarsi, eliminare il nemico,
rappresentato in figure che appartengono all’immaginario collettivo: orchi, streghe, draghi. Il gioco si sviluppa fino alla vittoria e si chiude nel
momento ritualizzato della rielaborazione attraverso altri linguaggi, come il disegno.
Emozioni in movimento
Nel gioco simbolico in psicomotricità l’aggressività non è
solo sfogo, ma un’azione di
senso dentro un progetto-storia, che inizia e finisce e riprende in più appuntamenti, fino a
che non si esaurisce l’interesse dei bambini.
Nel setting della pratica psicomotoria i bastoni sono presenti insieme alla regola che non
si può farsi male e i bambini
stanno molto attenti a simulare l’azione delle loro spade o
fucili perché tutti sanno che “si
fa per finta”.
Anche quando si gioca all’interno di un gioco-storia proposto dall’adulto la situazione ha
un suo procedere, che inquadra gli attacchi al nemico - lupo, orco, bandito o strega che
sia - in un gioco che prevede
un crescendo, ma anche una
chiusura, in cui c’è il tempo di
parlare e di godere del piacere
condiviso.
Ci sono adulti che ritengono
questi giochi ispiratori di sentimenti e comportamenti negativi, ma è invece vero il contrario, perché il bambino ha
bisogno di trovare occasioni in
cui elaborare pulsioni ed emozioni, senza sentirsi colpevole per ciò che esprime. I buoni
vincono, i cattivi perdono sempre e questo dà serenità.
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Giochi pieni di senso
I personaggi immaginari servono a rappresentare le figure genitoriali,
vissute a volte come “cattive” nel normale processo di crescita, oppure
la naturale paura del mondo esterno e dell’ignoto, poter proiettare tutto
questo nel gioco simbolico dà sollievo e piacere.
Anche l’oggetto-arma è usato a livello simbolico, che non è confuso con
la realtà, dove i comportamenti ritenuti buoni sono condivisi da adulti e
bambini, l’amicizia e la pace sono valori apprezzati da tutti.
Nel gioco il linguaggio corporeo e il contesto dichiarano che si sta facendo per finta, se ciò non fosse chiaro il bambino si spaventerebbe davvero e non sarebbe più un bel gioco. In un gruppo chi colpisce e chi “muore” sono uniti nel piano simbolico, chi spara è nella sua parte e chi è
aggredito “ci sta”, tutti si stanno divertendo.
Un adulto disposto a giocare la parte del cattivo con i bambini, lasciandosi “linciare” e poi, quando giace “morto stecchito”, apre un occhio e
sorride, per far vedere che ha fatto una gran bella morte, ma finta, fa un
gran regalo ai suoi bambini.
Il bambino vuole sempre difendersi dal nemico fantastico e se è senza
oggetti-arma gli spara con il dito indice oppure gli lancia qualcosa, scappa per nascondersi o inventa trappole.
Se invece rimane impotente, ci si può chiedere cosa c’è che lo blocca. I bambini troppo timidi e impacciati nascondono spesso una carica aggressiva che tengono a bada con gran dispendio di energia e
conflitto interiore. Aiutarli ad incanalare questa forza in un gioco-storia, che abbia senso per loro, può essere importante
per conquistare la voglia di
lasciar emergere le proprie
emozioni più vere.
I bambini che sparano non sono cattivi, è bene non addossare giudizi negativi al gioco,
riconoscendolo come una narrazione dentro cui tutti sono
attenti a non farsi male e vogliono divertirsi insieme. Infatti, se il gioco degenera, l’adulto riconduce i bambini alle
regole per “giocare bene”.
Emozioni in movimento
Gioco dell’orco col bastone
Una persona impersona un orco cattivo, fornito di un bastone morbido, che può essere di
quelli carnevaleschi oppure un bastone fatto di
carta di giornale arrotolata o anche un rotolo di
carta crespa.
Con voce potente l’orco dice una frase aggressiva, del tipo: “Sono l’orco col bastone, se
vi prendo faccio un minestrone!”, a cui i bambini rispondono “Tu non
ci prenderai mai mai!”,
con piglio sfrontato, e
poi scappano e lui li insegue dando delle bastonate, ma, attenzione, può colpire solo sul sedere, sulle gambe o la schiena. Chi è
toccato cade a terra e lì rimane come ostacolo alla corsa degli altri. L’ultimo che rimane, non essendo stato colpito, vince la partita
e sarà l’orco successivo.
Occorre fare in modo che tutti coloro che lo desiderano possano
interpretare l’orco, quindi l’insegnante aiuterà chi non riesce a toccare i compagni così che tutti possano sperimentare con piacere
una parte forte e “cattiva” in un clima di generale divertimento.
Giocare a picchiare i “palloni”
I grandi “palloni” fatti con i sacchi neri di plastica riempiti di carta
di giornale, presentati precedentemente, fra le svariate occasioni di gioco possono rappresentare anche nemici fantastici che si
possono picchiare con i bastoni fatti con il rotolo di carta di giornale.
Quando la storia inventata nel gioco lo richiede, è bello avere un
nemico brutto-pericoloso-terribile-mostruoso, che incarna tutte le
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Giochi pieni di senso
paure messe in gioco in quel caso, contro cui scatenarsi tutti insieme.
È questo che scoprono gli adulti quando provano un’azione così
distante dalla loro esperienza: dopo aver dato gran bastonate ciò
che provano è un senso di gioia. Non cresce la rabbia o altri sentimenti negativi, ma invece si sciolgono per trasformarsi in “vittoria” e quindi piacere, dilatato dal fatto di condividerlo con gli amici,
che mostrano le stesse emozioni. Niente di cattivo, i visi seri previsti dall’interpretazione del personaggio si fanno allegri, escono
frasi esagerate e si ride. E poi sale un rilassamento che non è solo
stanchezza per la forza esternata ma un senso di soddisfazione.
E se un bambino si lasciasse coinvolgere troppo dall’azione aggressiva?
Forse si è immerso eccessivamente nel fantastico e allora è necessario un contenimento che lo riporti all’azione che sta svolgendo, con le parole: “Stai davvero dando dei gran colpi, Luigi!”, o
con il corpo: cercando il suo sguardo o toccandogli semplicemente un braccio.
L’adulto controlla il tempo degli accadimenti e quindi decreta anche la “fine” del nemico: “Bene bene, l’avete proprio sistemato!”
e nella verbalizzazione aiuta a trovare le parole per le emozioni provate, che rendono i vissuti memoria comune oltre che personale.
Emozioni in movimento
Il gioco di costruire e abbattere una torre
Spesso i bambini costruiscono con i cubi torri molto alte che poi
decidono di abbattere: è un gioco di potenza, di sfida, di trasformazione.
L’insegnante per rendere l’atto ancor più impegnativo si pone dietro la torre o il muro per rendere più difficile il buttarle giù, così i
bambini provano e riprovano la propria forza e anche i più titubanti
prendono coraggio nell’iniziativa di agire con tutto il corpo un’azione potente, per alcuni mai sperimentata.
Velocemente le torri vengono ricostruite più e più volte e spesso
occorre fare dei turni per far partecipare tutti coloro che vogliono
provare.
Abbattere per gioco, senza pericolo, muri e torri di gommapiuma
dà al bambino un rimando di capacità fisica ed emotiva, che gli
permette di conoscere il proprio corpo in un’azione forte e buona.
L’Io si rafforza in questi atti audaci in cui l’esperienza di costruire,
rompere e ricreare dà spazio a naturali pulsioni che trovano nel
gioco una via espressiva di senso.
Nella seduta successiva l’educatore può decidere di trovare una
torre già costruita, che i bambini potranno abbattere subito, riprendendo il gioco.
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Giochi pieni di senso
Intrappolamento e liberazione
L’esperienza di essere intrappolati, impediti nell’azione e quindi nel proprio “essere”, crea una frustrazione che viene superata nell’atto della liberazione, che necessita dell’attivare intenzionalmente tutta la propria
forza. Agire un’energia liberatoria è agire un’aggressività positiva, quella
forza vitale che fa essere propositivi verso la realtà.
Il tema appare spesso dentro le storie in cui i cattivi intrappolano i buoni
e i buoni infine immobilizzano i cattivi, rendendoli innocui. I bambini amano molto mettere in scena queste situazioni e trovano molto divertenti i
giochi che le propongono.
Gioco della mummia
Si mette in scena una piccola interpretazione in cui un personaggio negativo cattura e lega un “buono”. Si utilizza un rotolo di carta igienica che viene srotolato girando intorno al corpo del compagno.
È divertente accentuare la situazione con esternazioni come: “Ah,
credevi di scappare, eh! E invece ti ho preso!” e altre frasi che
vanno a rinforzare le sensazioni: “Adesso ti lego così forte che
non scappi più!”, “Ah, non
ce la farai mai a scappare!” e, dalla parte opposta,
risposte del tipo: “No no, io
scapperò, vedrai!”.
In realtà la fasciatura di carta igienica non è per nulla
stretta e il catturato partecipa all’azione lasciandosi legare, imbavagliare, imprigionare e infine con un atto
di forza rompe la carta in
mille pezzi.
È un’azione che non richiede
grande energia, ma che viene comunque percepita come tale perché l’emozione
Emozioni in movimento
che accompagna la volontà di liberarsi carica le sensazioni e alimenta un piacere che accresce l’autostima.
Le strade
Costruire strade è partire per
conquistare lo spazio, è andare lontano, è separarsi ma anche poter tornare.
Strada è andare da-a, dirittostorto, ma anche creare collegamenti per recarsi dagli amici.
La strada è incontro di qualcun
altro sulla propria strada, quindi saluti, evitamenti, abbracci,
sfioramenti...
La strada è scelta perché l’incrocio prevede di decidere dove andare.
Costruire strade è quindi esperienza del corpo, dell’intelletto
e dell’emozione.
Gioco delle vie
Utilizzando le piastrelle di giornale si costruiscono le strade che
vanno in più direzioni e si incrociano.
Su alcune delle piastrelle si disegnano degli omini stilizzati, in posizioni diverse.
I partecipanti camminano sui percorsi e quando si incontrano devono cambiare direzione o superarsi senza uscire dal sentiero; allo stop del capogioco, chi si trova sulla casella con l’omino ne deve assumere la posizione.
Sulle piastrelle si può decidere di disegnare o incollare immagini varie: un gelato, un letto, un gatto, un serpente, qualsiasi cosa. Le piastrelle verranno disposte alternate fra quelle vuote e allo
stop chi si trova sulla piastrella illustrata mimerà un’azione relativa all’immagine.
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Giochi pieni di senso
Si possono così costruire anche diverse vie: “Via della paura”,
“Via golosa”, “Via affettuosa”, “Via dei vestiti”, “Via del riposo” ecc.
Così, camminando camminando, si giocherà con il corpo e la fantasia.
Emozioni in movimento
SCHEMA CORPOREO E IMMAGINE CORPOREA
Lo schema corporeo è la rappresentazione del proprio corpo, sia come
interezza che nelle sue parti. La coscienza che la persona ha del proprio corpo e la conoscenza della collocazione degli arti si sviluppa fino a
14 anni, grazie alla maturazione cerebrale e alle esperienze motorie fatte dal soggetto. La conoscenza dello schema corporeo si forma attraverso le azioni, le sensazioni, il movimento e dipende anche dai vissuti affettivi che hanno dato contenimento, sicurezza e stimolo. La molteplicità
delle esperienze corporee permette di acquisire sempre maggior conoscenza e padronanza perché il soggetto può integrare gli stimoli provenienti dall’esterno con le proprie sensazioni interne.
Con il termine immagine corporea si intende invece l’idea che una persona ha di sé e questa percezione può essere anche diversa dall’oggettiva realtà, una persona può, infatti, ritenersi e vedersi grassa quando
non lo è affatto, al di là della verità visibile, può sentirsi bella o sgradevole, piacente o non amabile. Ciò dipende dalla valenza data al corpo,
che deriva in gran parte dai vissuti affettivi, specie nei primi anni di vita,
dalla relazione avuta con le figure genitoriali, dal piacere avuto o negato a livello di accudimento, nutrizione e coccole, dalle esperienze positive o negative vissute.
Schema corporeo e immagine corporea si compenetrano nella mente andando a costituire in ognuno una mappa e una consapevolezza del proprio corpo in azione e in rapporto con gli altri, che nel tempo si muta anche per le modifiche che avvengono con l’età, la gravidanza, le malattie.
Gioco della sagoma fantastica
La proposta va ad aggiungersi alle attività sulla sagoma fatte a
scuola per dare ai bambini una percezione della propria forma
e misura tracciando il contorno del loro corpo a braccia e gambe larghe. In questo caso, invece, la riproduzione della sagoma
diventa un’immagine alterata con un “dentro” tutto da inventare.
Si tratta di contornare un compagno che si è sdraiato sul foglio in
una posizione libera, anche non aperta: in tal modo il corpo non
appare con le parti al posto giusto e il disegno potrà anche non
sembrare più un fisico umano e dar idea di trasformarlo in qual-
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Schema corporeo e immagine corporea
che altra cosa. Restando però una forma che
appartiene al soggetto,
colorarla e completarla permette di esprimere fantasie collegate al
proprio mondo interiore.
Ognuno colora la propria sagoma oppure la
riempie con illustrazioni o parole ritagliate dai
giornali, ci saranno così sagome piene di cose da mangiare, di auto
o gioielli; alcune diventeranno paesaggio, altre una tavolozza di colori molto originale.
Il passaggio successivo è il racconto: la sagoma viene presentata
ai compagni per condividere le emozioni che il prodotto finale trasmette e il gruppo, esprimendo i propri commenti, aggiunge nuove impressioni che spesso arricchiscono la visione.
L’esperienza di essere attivo o passivo
Prima di avere un’identità separata e un movimento consapevole, siamo
stati esseri accuditi che hanno percepito sensazioni corporee attraverso
il contenimento forte o incerto di un abbraccio e la soddisfazione o meno dei bisogni di calore, cura e nutrimento. I giochi sensoriali danno modo di porre l’attenzione su ciò di cui il corpo mantiene memoria e spesso
recuperare il piacere del sentirsi piccoli e coccolati.
Ma il toccarsi, l’abbracciarsi, anche solo lo stare vicini è una condizione che le
persone vivono in modo diverso, non tutti apprezzano le effusioni, anche fra i
bambini c’è chi non è abituato ai vezzeggiamenti e chi ne è quasi dipendente
e fatica a staccarsi dalla relazione corporea e trovare piacere in giochi più
mentali. Affinare la capacità di leggere i bisogni e i segnali trasmessi dell’altro è un percorso che non termina mai. Divenire più consapevoli riguardo ai segreti del corpo e alle sfumature del “sentire” fa capire che a qualcuno un tocco troppo lieve sulla pelle può infastidire,
Emozioni in movimento
perché non gli “appartiene” e
preferisce invece una carezza un po’ più “pesante”, perché
meglio si adatta al suo tono di
base e alla sua esperienza.
Un’attività divertente per porre
attenzione allo schema corporeo, con le sue parti e le posizioni nello spazio è giocare
a fare le statue, attività che riconduce anche alla condizione
di attivo/passivo.
Naturalmente le richieste vanno calibrate rispetto all’età dei
bambini: i bambini di 3 anni
possono giocare a prendere
una posizione e a mantenerla,
differenziando lo stato di moto
e di quiete, i bambini di 4 anni possono divertirsi a costruire statue muovendo il corpo di un compagno e quelli di 5 anni sapranno
copiare col corpo una posizione disegnata in modo stilizzato.
Fare una statua con il corpo prevede di considerare più fattori:
– la posizione del corpo nello spazio
– la posizione degli arti
– il tono muscolare per mantenere l’immobilità.
Sperimentare i ruoli di attivo/passivo, stando nella parte di chi costruisce
e di chi è materia che si lascia plasmare, prevede invece di attivare l’attenzione verso l’altro.
L’uso di un oggetto mediatore, come un bastoncino, che fa funzione di
spatola, oppure un foulard con cui muovere le parti del corpo dell’altro
diventa prolungamento del corpo e un modo per “toccare senza toccare”.
Dopo aver esercitato controllo e attenzione, pur dentro un gioco, è bello terminare con un momento di scarica, ad esempio prevedendo che le
statue scappino non appena è finita la costruzione o dopo essere state vendute all’acquirente, che naturalmente sarà interpretato da un insegnante, ignaro del fatto che le statue erano “magiche”!
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Schema corporeo e immagine corporea
Gioco dello scultore
A coppie una persona fa la parte del pezzo di creta, l’altro il modellatore. Chi viene messo in posizione deve essere duttile e disponibile
al movimento indotto, rimanere morbido, non fare resistenza e mantenere l’equilibrio, mentre chi agisce sull’altro deve avere un bel modo di muovere gli arti del compagno e un’idea da realizzare.
La statua poi si può spolverare con un piumino, che dà una sensazione molto piacevole, o con un foulard, che farà un po’ di solletico.
Mantenere la posizione per il bambino-statua è impegnativo, così
come per il compagno
muovere un “pezzo di
creta”, perciò alla fine
della costruzione è bello dare un segnale di libertà, e le statue magicamente scapperanno
e gli scultori le inseguiranno fintamente arrabbiati. Questi giochi sono
molto divertenti quando
diventano piccoli racconti in cui c’è anche un
po’ di trasgressione. Ma
più bello certamente è
quando “l’imbrogliato” lo
interpreta l’adulto!
Gioco dello scultore con progetto
L’insegnante disegna su dei fogli delle immagini molto schematizzate: un corpo e con gli arti in diverse posizioni; il gioco consiste nel riprodurle.
Naturalmente i risultati vanno sempre bene, perché ciò che conta
è provare ad assumere le strane posizioni, divertendosi nel vedere cosa si riesce a fare.
Ribaltando il foglietto, la stessa posizione messa in orizzontale/
verticale cambia, facendo scoprire una variazione interessante;
Emozioni in movimento
si può riportare nell’immagine anche un oggetto, ad esempio una
sedia, con cui il corpo si mette in rapporto, ad esempio: in piedi su
una sedia; la testa una sedia, ecc…
Appena si è diventati un po’ più esperti nella riproduzione, la cosa si complica con la presentazione del disegno stilizzato con due
figure e poi con tre. Ogni sagoma ha un colore diverso, che viene aggiudicato a un bambino, che farà riferimento alla sagoma
del proprio colore: “Tu, Carlo, sei il colore blu, tu Elia quello verde e tu Lisa quello rosso”. Così il gruppo s’impegna nel riprodurre la composizione.
Naturalmente, ciò che conta in queste attività è sperimentare in un
clima di gioia e non certo avere preoccupazione per risultati, che
non contano,
perché ciò
che importa è
provare, scoprire, ridere
insieme di ciò
che si produce. Le soluzioni trovate
saranno sempre giuste e
belle.
Con
tanti sorrisi e
complimenti.
La lateralizzazione
La parola “lateralizzazione” indica la diversa dominanza e funzionalità
di una parte del corpo rispetto all’altra. Una buona lateralizzazione permette di produrre i movimenti fini più armoniosi e funzionali allo scopo;
si tratta di quei movimenti di precisione che riguardano le dita e gli arti, come prendere uno spillo fa le dita o tenere bene la matita per scrivere.
La lateralizzazione si sviluppa grazie a un processo che prevede una
specializzazione degli emisferi cerebrali che controllano la parte destra
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Schema corporeo e immagine corporea
e sinistra del corpo. Questa dominanza si presenta già prima dell’anno
di vita, ma si perfeziona fin verso i sette anni d’età, solitamente i bambini della scuola dell’infanzia hanno solitamente già definito il loro lato più
forte.
Alcuni bambini possono mostrare incertezze e c’è anche chi può essere stato indotto ad usare una mano piuttosto che l’altra. È riconosciuto
che i bambini che hanno una cattiva lateralizzazione possono presentare problemi nell’apprendimento di scrittura e lettura.
Già all’età della scuola dell’infanzia si può aiutare chi mostra delle difficoltà in tal senso non tanto indicando che cosa fare, ma attivando un
percorso di ricerca su di sé che porterà il bambino a scegliere la parte
che riconoscerà egli stesso più dotata. A quel punto ricordarglielo sarà semplice e soprattutto accettato. Il bambino inoltre potrà riconoscere
il fatto che se una mano è più capace nel disegnare l’altra non è esente da compiti, perché riveste la funzione di “aiutante”, tenendo ad esempio fermo il foglio.
I bambini amano scoprire i segreti del proprio corpo, queste attività
“scientifiche” sono molto apprezzate.
Giochi per scoprire l’arto dominante
Per sapere quale lato del corpo è “il più forte e attivo” occorre mettere “sotto prova” ogni parte dedita a funzioni specifiche: occhio,
orecchio, braccio, mano, gamba, piede. In ogni persona, infatti,
c’è un lato che ha più elementi dominanti rispetto all’altro e quindi
si tratta di riconoscere quale sia quello maggiorente dotato.
Può capitare che le risposte di dominanza siano incrociate, ad
esempio occhio destro e orecchio destro ma mano sinistra: questo non è un problema nel momento in cui il soggetto sia comunque riuscito ad organizzare gesti funzionali. Solo nel caso di difficoltà, con spreco di energia e impaccio, è bene aiutare il bambino,
verso i cinque anni, a riconoscere qual è il suo lato più capace,
aiutandolo così a scegliere quale mano usare sempre per scrivere e mangiare.
È importante fornire i bambini che usano la mano sinistra dell’apposita forbice per mancini, con la posizione inversa delle lame,
perché quelle solitamente in uso sono adatte per i destrimani, ma
creano difficoltà e relativo senso di inadeguatezza agli altri.
Emozioni in movimento
Le prove sulla lateralizzazione di seguito presentate, sono proposte anche dal dottor Franco Boscaini, autore di vari testi sui disturbi psicomotori, ai bambini che mostrano problemi di motricità e di
lateralizzazione. A scuola, però, saranno solo semplici sperimentazioni che, in un clima di gioco, permetteranno a bambini e adulti
di scoprire le diverse capacità delle parti del proprio corpo.
Occhio
Praticare un buchetto in un cartoncino
grande come un foglio A4. Si chiede al
bambino di tenerlo le mani e di avvicinarlo lentamente agli occhi per guardare
dal foro. L’occhio che guarderà dal buchetto sarà quello che “ha più voglia di
guardare”.
Orecchio
Mettere il bambino ad una certa distanza e chiamarlo, dicendogli: “Vieni qui ti
dico una cosa nell’orecchio”. L’orecchio
che il bambino rivolgerà verso il viso di
chi parla è “l’orecchio che ha più voglia
di ascoltare”.
Braccio
Far incrociare le braccia sul petto, l’avambraccio che passa sopra indica una dominanza neurologica dell’arto.
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Schema corporeo e immagine corporea
Mano
Far fare un semplice disegno (un fiore,
un sole, una casa) prima con la matita in
una mano e poi nell’altra. È molto divertente per i bambini notare lo sforzo che
fa la mano che non si usa solitamente. È
chiaro qual è la mano che ha “più voglia
di scrivere”. Anche offrendo un oggetto,
la mano che si muove per prenderlo è
quella che “ha più voglia di prendere”.
Gamba
Si chiede al bambino di stare su una
gamba sola. Nel test psicomotorio la
gamba valutata più attiva non è quella
che sostiene, ma quella sollevata, perché si ritiene pronta ad una possibile
azione. È la gamba che “ha più voglia di
muoversi”, essendo pronta per un’eventuale atto.
Piede
Chiedere al bambino di dare un calcio a
una palla, il piede che colpisce è quello
“che ha più voglia di giocare”.
Emozioni in movimento
La percezione sensoriale
Il bambino conosce la realtà percependo dall’ambiente e dalla relazione
con l’altro da sé varie sensazioni, che arrivano dapprima in modo globale e
vengono poi differenziate. Attraverso le attività di tipo sensoriale si può aiutare il bambino a delineare mentalmente la propria mappa corporea, sviluppando la capacità di selezionare gli stimoli e attivando i processi di percezione che sviluppano la consapevolezza del proprio apparato fisico.
Nel fare movimento arrivano al soggetto più stimoli contemporaneamente:
– la tensione muscolare, la posizione nello spazio, la postura e il relativo equilibrio, la sensazione della forza espressa, l’attenzione visiva o
uditiva
– per questo proporre attività psicomotorie di tipo “informativo”, quelle
cioè che hanno come obiettivo la focalizzazione di alcune sensazioni, permette di sviluppare una maggiore capacità di discriminazione
senso-percettiva.
Nell’età della scuola dell’infanzia è preferibile giocare sulle sensazioni
opposte, facendo ad esempio sperimentare, ad occhi chiusi, il passaggio sulla pelle del corpo di una paglietta ruvida e poi di un batuffolo di cotone morbido, di un cubetto di ghiaccio e dell’aria calda del phon.
Anche da adulti questo processo di apprendimento continua, perché non
è mai completa la conoscenza del proprio corpo, anche considerando i
mutamenti che avvengono nel corso della vita, come le trasformazioni
che porta con sé l’adolescenza, la maternità, l’invecchiamento...
Gioco del grillo che salta sul corpo
Questo gioco permette al soggetto ricevente di rappresentarsi
una mappa corporea mentale in quanto deve identificare sul proprio corpo il luogo
della sensazione
percepita nei diversi punti.
Il gioco è semplicissimo: in coppia, una persona
sta sdraiata ad
occhi chiusi e l’al-
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Schema corporeo e immagine corporea
tra accucciata al suo fianco e tocca con un dito o un oggetto il corpo del partner, che individua il posto in cui ha percepito il tocco e
ripete il gesto dell’altro su di sé, toccando cioè a sua volta lo stesso punto con il proprio dito. Preferibilmente i tocchi devono partire dal centro e quindi allontanarsi verso la periferia del corpo, ciò
che si attiva è una particolare attenzione sul proprio corpo e sulle
sue parti. Dopo poco i due si scambiano i ruoli, in modo che il gioco sia breve, altrimenti stancherebbe.
Naturalmente, è meglio motivare il gioco con qualcosa che abbia
senso per il bambino, ad esempio una storiella: il tocco può essere quindi riferito ad un uccellino che si posa o un grillo che salta...
È bello costruire questo piccolo personaggio e averlo in mano, anticipando con la voce: “Ora il grillo salta qui!”
Gioco dei massaggi
Utilizzando un telo di raso o nylon si possono fare in coppia massaggi molto morbidi e gradevoli. Ma se l’intenzione è anche quella
di rimandare al soggetto la percezione della forma del suo corpo,
è importante che venga toccato in tutte le sue parti, le dita delle
mani e dei piedi, le orecchie, i capelli, il naso, in un tocco continuo
senza balzi fra le parti. In tal modo il soggetto che percepisce lo
sfioramento può “costruirsi” con il pensiero, seguendo il disegno
creato dalle mani del compagno. Occorre partire dall’inizio (testa)
Emozioni in movimento
e arrivare alla fine (piedi) del corpo perché se il massaggio si interrompe prima e non riprende in modo logico, arriva alla persona un
senso di mancanza di una parte o la percezione di essere corto.
È molto interessante anche fare massaggi tattili usando oggetti
molto diversi fra loro (una palla, un foulard, un legnetto, una piuma, del cotone idrofilo, uno spazzolino da denti) e usati in più modi per dare la sensazione di durezza/mollezza, ruvidezza/morbidezza, caldo/freddo, lievità/pesantezza. Naturalmente il ricevente
può percepire il passaggio dell’oggetto per un tratto e poi non sentirlo più a causa dei vestiti, ma la pressione ricompare subito dopo
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Schema corporeo e immagine corporea
e questo gli permette di riprendere il “disegno” mentale del corpo.
Pressioni più o meno forti e tempi rimandano a immagini varie,
ognuno ha una propria tonicità di base e una storia, per cui il gradimento potrà essere diverso ed è bello scoprirlo: c’è chi apprezza
le sensazioni forti e chi quelle quasi impercettibili, chi preferisce
una certa velocità, chi maggior lentezza. Raccontarsi ciò che si è
provato permette di dare parole alle sensazioni provata, il vissuto
diviene così linguaggio, comunicazione, conoscenza, rispetto.
Termina questa giocosa passeggiata dentro i due laboratori, le cui attività si sono intrecciate. Tanti sono stati gli aspetti toccati, alcuni certo solo
sfiorati, nella complessità dell’argomento e nella varietà delle proposte;
sono spunti che potranno stimolare ulteriori approfondimenti, ma ciò che
qui, come nei laboratori, si è inteso fare è portare l’adulto dentro il gioco
dei bambini, per permettergli di trovare significati a volte nascosti con quel
pizzico di gioia che fa la differenza. Il divertimento è quella variabile, legata al piacere, personale e derivante dal condividere, che amplifica ogni
esperienza. Allora l’ultima cosa che resta da dire è: un salto, una corsa,
un nascondino, una capriola, oltre che proporle, falle anche tu. Perché
solo chi gioca sa giocare.
G
Beatrice Andalò
iocamuoviti
un laboratorio sul gioco di movimento
Giocamuoviti
BEATRICE ANDALò
Diplomata I.S.E.F., si laurea in Scienze della Formazione – Esperto nei processi formativi – presso l’Università di Verona e segue percorsi formativi extra-univeristari per l’acquisizione di competenze scientifiche relative alla fascia
0-10 anni. È consulente nella progettazione di interventi inerenti l’attività corporea, motoria, fisica e sportiva rivolti a bambini, insegnanti, educatori e genitori
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Introduzione
Introduzione
Che cos’è l’educazione è una domanda davvero
difficile. Ma conosco il lavoro dell’insegnamento:
è organizzare il movimento. Organizzarlo, non
reprimerlo. È la responsabilità di gestire un gruppo sociale negli spazi e nei tempi della scuola. Di
creare e condividere gli schemi corporei, le configurazioni motorie e le regole di relazione che attivano sicurezza, curiosità, familiarità, cooperazione. È valorizzazione di sé. Impegnare il corpo
nell’esplorazione e nella rappresentazione del mondo è una modalità di base dell’apprendimento, non solo una modalità dell’apprendimento di base. Tutta l’educazione è
fisica.
Gianmario Missaglia
Il laboratorio Giocamuoviti ha proposto agli insegnanti un percorso sui
giochi di movimento attraverso i quali sono state evidenziate le necessità dei bambini, i metodi e gli obiettivi propri dell’educazione motoria.
Negli incontri previsti si è dunque giocato con il corpo e con i materiali,
trovando il piacere di esplorare le varie competenze corporee e le capacità ideative di ognuno; in seguito si è riflettuto sui diversi fattori caratterizzanti i giochi fatti, per analizzarne la portata educativa.
Le attività si inseriscono nell’ambito della psicomotricità educativa di tipo
“informativo” o “impressivo”, secondo la terminologia utilizzata nella parte introduttiva, quella psicomotricità cioé che inserisce nelle proposte anche espliciti obiettivi di conoscenza del fisico e, attraverso esso, della realtà. La finalità individuata è quella di “informare” il corpo, di offrirgli cioè
occasioni di scoperta attraverso una serie di esperienze sensoriali e motorie che vengono integrate e quindi elaborate e rappresentate. L’asse
su cui si sviluppano queste esperienze è quindi quello della conoscenza, coscienza e controllo.
Il principale autore di riferimento è Serafino Rossini, insegnante di educazione fisica, pedagogista e filosofo; notevoli contributi sono stati inoltre offerti dalle esperienze portate avanti dai componenti del Laboratorio per la Didattica dell’Educazione motoria, organizzato dall’I.P.R.A.S.E.
(Istituto provinciale per la ricerca, l’aggiornamento, la sperimentazione
Giocamuoviti
educativi) del Trentino e dal gruppo di formatori e ricercatori del progetto Primi Passi dell’UISP (Unione Italiana Sportpertutti).
Le attività tratte dal laboratorio propongono un approccio metodologicodidattico all’educazione motoria con sue specifiche connotazioni, che,
per l’importanza data alla rielaborazione mentale dell’esperienza e la
considerazione degli aspetti di carattere affettivo-relazionale, si possono
inquadrare nell’area psicomotoria.
In questa parte del testo si evidenziano alcuni elementi dello sviluppo
motorio del bambino con riferimento specifico allo schema corporeo e
agli schemi motori di base. La metodologia proposta adotta un approccio alle esperienze, chiamato obliquo, che offre la possibilità ad ognuno
di sperimentare liberamente, allargando via via le proprie capacità.
Vengono inoltre presentate alcune tecniche per la produzione e lo sviluppo dei giochi che possono essere d’aiuto agli educatori nella conduzione delle attività.
Molti spunti arrivano dai materiali offerti ai bambini, oggetti semplici, di
facile reperibilità e anche di riciclo, come gli scatoloni o i nastri, grazie alle loro differenti caratteristiche danno modo di inventare e di scoprire cosa il corpo sa fare.
Ogni riflessione sui vari argomenti affrontati, metodologici e pratici, è accompagnata dai giochi che hanno permesso agli insegnanti di riconoscere, attraverso l’esperienza corporea diretta, le componenti educative
delle diverse attività e le variabili che nascono dalla relazione e dai modi
personali di stare nel gioco. Ciò che capita con gli adulti succede anche
con i bambini, per questo sperimentare in prima persona permette di sviluppare attenzione ed empatia.
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
UN APPROCCIO PSICOMOTORIO “OBLIQUO”
Quando l’adulto decide di proporre esperienze psicomotorie definisce situazioni e propone giochi che favoriscono l’integrazione di più fattori del
soggetto, da quelli operativi a quelli emotivi. Tutte le pratiche psicomotorie, partendo dall’assioma che l’individuo è sempre “tutto intero”, considerano strettamente interconnesse le tre dimensioni attraverso cui egli
si esprime, soprattutto quando il contesto d’esperienza è rappresentato
dalla corporeità e dal movimento:
– la dimensione fisico-funzionale: l’individuo è un corpo costituito da
arti, apparati e sistemi con specifici meccanismi di funzionamento e
necessità;
– la dimensione cognitiva: il movimento non può essere considerato
mera espressione meccanica del corpo in toto o di una sua parte, ma
è determinato e regolato da meccanismi non-fisici; esso, inoltre, può
diventare contesto di esperienza e apprendimento anche per contenuti tradizionalmente considerati “da banco”;
– la dimensione affettivo-relazionale: l’individuo è un corpo che sente, in continua relazione con altri corpi e con il mondo che lo circonda e il suo muoversi può veicolare significati che vanno oltre il movimento stesso.
Giocamuoviti
Una delle modalità che ci consente di differenziare un modello psicomotorio da un altro consiste nell’evidenziare ed esplicitare nei propri
obiettivi didattici su quale/i dimensione/i dell’individuo si intende centrare l’attenzione educativa. Questo avviene sia nei modelli che fanno riferimento, ad esempio, ad uno specifico autore, sia in quelli nati dalla rielaborazione di alcuni psicomotricisti e/o dalla sintesi di apporti provenienti
da diversi riferimenti epistemologici.
Per definire le caratteristiche proprie di questo approccio psicomotorio
verranno presentati nei paragrafi seguenti:
– la tipologia di scelta per spazio, tempo, materiali
– la modalità di conduzione che viene privilegiata
– le connotazioni affettivo-relazionali e cognitive
– lo sviluppo delle attività attraverso alcune tecniche didattiche.
La psicomotricità proposta da Rossini sceglie come punto di partenza
la dimensione fisico-funzionale dell’individuo senza però tralasciare le
forti connessioni con la dimensione affettivo-relazionale e cognitiva. Innanzitutto questo tipo di psicomotricità si definisce “obliqua”, riferendosi ad un criterio che ne orienta l’applicazione, in termini di metodologia
e didattica: l’obliquità. La proposta didattica obliqua si distingue da quella orizzontale, che prevede esercizi e consegne uguali per tutti i bambini del gruppo.
Utilizzando questo sistema si stimolano sperimentazioni in cui ognuno
può lavorare al proprio livello e in tal modo ciascun bambino può vivere
il “valore di sé”, perché sente di riuscire in ogni caso, ricavandone piacevoli sensazioni di “successo”.
Questa metodologia è strettamente connessa al saper fare e al piacere
di fare. Rispondendo in modo adeguato alla richiesta dell’adulto il bambino prova soddisfazione e il risultato delle sue azioni, sempre
buono e accettato dall’adulto, lo
porta a tentare altre prove, acquisendo via via maggiore sicurezza.
Le esperienze di movimento,
quindi, vengono proposte attraverso una didattica che, pur
tenendo in considerazione gli
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
obiettivi specifici dell’educazione motoria, dà occasione per sostenere
l’immagine positiva di sé.
La connessione con la dimensione cognitiva è offerta dal concetto di
“memoria corporea”, che per l’autore rappresenta una parola chiave
dell’intera educazione psicomotoria: essa è intesa come “la somma delle tracce lasciate dalle esperienze corporeo-motorie compiute dal soggetto”. La memoria corporea si differenzia dalla memoria razionale: infatti, mentre questa può attivarsi oppure no, la memoria corporea registra
sempre una qualche impronta del vissuto.
Un esempio.
L’insegnante decide di raccontare una favola in uno spazio accogliente,
prende un libro e inizia il racconto, un bambino può ascoltare oppure isolarsi e pensare ad altro; in questo caso quel bambino non manterrà memoria razionale dell’esperienza di racconto. Ma se l’insegnante propone
ai bambini di saltare e tutti saltano, indipendentemente dalla rielaborazione mentale dell’esperienza, una traccia di quei salti rimarrà in ognuno dei
bambini. Una eventuale, successiva riflessione sull’esperienza consentirà
di trasformare la memoria corporea in memoria razionale.
Se il corpo diventa la principale “banca dati” del bambino, affinché le informazioni possano essere meglio riconosciute, buona cosa è organizzarle.
Giocamuoviti
Uno strumento didattico che consente di lavorare in maniera costante sulla memoria corporea trasformandola in memoria razionale è l’“archivio del corpo”. Questo archivio può essere un libro, una scatola, un
qualsiasi strumento in grado di “contenere tracce di esperienza” e viene
predisposto in sezioni, titolate: Come sono, Cosa so fare, Cosa provo,
Come sto con gli altri. Con il passare degli anni, alle sezioni “del presente” vengono sempre affiancate quelle “passate”: Com’ero, Cosa sapevo
fare, Cosa provavo, Come stavo con gli altri.
Il confronto tra le tracce presenti e quelle passate, in forma di fotografie
o disegni, permette di ripercorrere le conquiste fatte e aiuta il bambino a
percepire i cambiamenti e a strutturare la propria identità in crescita.
La proposta didattica “obliqua”
Qualsiasi situazione può essere obliqua intervenendo su: materiali,
spazi e tempi, modalità di linguaggio e di organizzazione dei contenuti dell’attività, come si vedrà nella parte seguente relativa alle proposte
pratiche.
Dal punto di vista strettamente didattico, il primo fondamentale passaggio da effettuare per passare da una impostazione orizzontale ad una
obliqua è quello di spostarsi dall’ottica della consegna a quella dello stimolo.
Con il termine consegna s’intende: “Ti dico cosa fare e tu esegui”.
Tale accezione è sicuramente riduttiva, infatti, il termine in ambito educativo ha molte sfumature di significato, ma la scelta semantica è qui dettata dalla volontà
di evidenziare la differenza fra
due modalità operative ben distinte.
Con il termine stimolo, quindi,
ci si riferisce ad un’intenzionalità di questo tipo:
“Ti propongo un contesto di
esperienza e in esso tu ricerchi una tua soluzione”.
Lo stimolo definisce un quadro di possibilità e opportunità
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
all’interno del quale esistono tante e diverse soluzioni e ognuno può trovare la sua, quella che più gli si addice e che più gli piace. Lo stimolo – a
differenza della consegna – è divergente, cioè permette più risposte ad
una medesima richiesta.
Mantenendo l’esempio del saltare, se si offre una scatola ad ogni bambino e gli si chiede di saltarla a piedi uniti, si utilizza una consegna, mentre
se gli si propone di trovare cinque modi diversi per scavalcare la scatola,
si offre uno stimolo in quanto le soluzioni sono molteplici.
Lo stimolo diventa pertanto il principale strumento con il quale dar vita a
situazioni di esperienza oblique.
Lo spazio, il tempo e i materiali
Nell’approccio obliquo, non esiste un setting specifico come nel modello di Aucouturier, ma qualsiasi spazio e qualsiasi tempo, sia in termini di
durata che di frequenza, possono essere idonei per l’esperienza psicomotoria, naturalmente sempre tenendo in considerazione le possibilità
attentive dei bambini rispetto all’età e all’organizzazione scolastica, specie quando si lavora in ambienti “adattati”, come i saloni, le aule di sezione o i corridoi.
Create le condizioni più idonee per lo svolgimento delle attività in situazione di sicurezza, l’insegnante, può introdurre accorgimenti per ridefinire lo spazio, strutturando dei limiti negli ambienti troppo ampi o allestendo
Giocamuoviti
un angolo morbido per eventuali momenti di pausa previsti. Nel fare ciò
ci deve essere sempre la consapevolezza che, giocando sugli spazi, si
limita o si dilata la relazione tra soggetti e fra questi e gli eventuali oggetti/materiali proposti per l’attività; inoltre dar forma all’ambiente significa
dar modo al bambino di aderire più facilmente alle intenzioni dell’adulto
all’interno di una cornice che dà contenimento.
Obiettivo fondamentale è quello di offrire le maggiori opportunità di pratica e sperimentazione.
Rispetto all’organizzazione di un incontro psicomotorio in termini di tempo può essere comodo programmare tre momenti:
1. il primo momento servirà per salutarsi ed eventualmente creare il collegamento con gli incontri precedenti; nel caso in cui si scelga di introdurre un nuovo materiale, si dovrebbe prevedere anche una fase
libera che consenta ai bambini di prendere confidenza con il materiale stesso;
2. nella fase centrale dell’incontro, ci si dedicherà ad attività varie e diversificate a seconda dell’obiettivo su cui si è deciso di lavorare;
3. nel momento finale è bene dedicare una decina di minuti a giochi di
rallentamento e rilassamento, per consentire ai bambini un passaggio più graduale alle attività di rielaborazione che svolgeranno in seguito.
Questa tripartizione deve essere pensata come una struttura flessibile,
non come una sequenza rigida di azioni.
Per materiali si intendono tutti quegli oggetti che possono essere impiegati per l’attività e che, in alcune situazioni, possono diventare perno strutturante di un incontro o di un ciclo di incontri. Nella didattica obliqua viene privilegiato il materiale povero, in quanto le sue caratteristiche
di duttilità non sono presenti nel materiale strutturato - i cerchi, le mattonelle, le palle, i mattoni in plastica - costruito per uno specifico scopo
educativo.
Il materiale povero è di facile reperibilità e nell’azione di reperimento si
può coinvolgere il bambino, un modo per renderlo partecipe già nella fase di preparazione e progettazione delle attività; è abbondante: il fatto
di avere a disposizione “tanto materiale” spesso facilita attività esplorative e di ricerca. È inoltre mutevole: il materiale non strutturato è facil-
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
mente trasformabile, non solo
simbolicamente ma anche fisicamente: la carta, ad esempio, può essere appallottolata
e diventare palla oppure fatta
a strisce e dar vita a una ragnatela. Queste manipolazioni possono sostenere il bambino nel prendere coscienza del
suo poter intervenire sulla realtà, trasformandola secondo le esigenze di gioco; lo stesso materiale
inoltre può essere utilizzato nel momento della rielaborazione dell’esperienza. È infine specifico per alcune caratteristiche, ad esempio la durezza o morbidezza, condizione che favorisce la creatività del bambino
e che dà di per sé indicazioni d’uso e sollecitazioni alla fantasia.
La modalità di conduzione privilegiata
Nella parte introduttiva del testo si è parlato delle diverse modalità di
conduzione dell’attività motoria, differenziando quella strutturata, quella
semi-strutturata e il supporto al gioco libero.
La modalità più frequentemente utilizzata nell’approccio obliquo è quella semi-strutturata,
grazie alla quale l’adulto, con
una presenza non invasiva, offre ai bambini stimoli di ricerca,
fa proposte per far evolvere
socialmente e cognitivamente l’esperienza, crea la condizione per risposte “divergenti”,
offre opportunità di scambio di
informazioni e scoperte.
Privilegiare una modalità di
conduzione rispetto a un’altra
non significa però che le altre
non vengano utilizzate.
Giocamuoviti
Ad esempio, nel momento di avvio di un ciclo di attività con dei materiali, l’atteggiamento dell’adulto è solitamente di tipo non strutturato:
egli offre un materiale ai bambini e chiede loro di farci ciò che vogliono
in modo da stimolare l’iniziativa e la scoperta di varie possibilità di utilizzo. Il momento della sperimentazione consente al bambino di avere inventiva personale dentro la situazione ludica proposta e all’adulto di raccogliere indicazioni per far evolvere successivamente l’attività.
In questa fase i bambini esplorano e l’adulto osserva, rimanendo sul
confine del gioco, pronto anche ad entrare ma solo dietro richiesta dei
bambini stessi.
Nella fase avanzata di un ciclo di incontri o di un percorso, viene a volte adottata anche la conduzione strutturata: attraverso la richiesta di ripetizione di alcuni movimenti, si sostiene il bambino nel consolidamento delle scoperte fatte e si stimola una piacevole “auto-valutazione”, con
una presa d’atto cosciente della competenza affinata.
La danza di Cristallina
L’esempio di costruzione di una semplice coreografia può chiarire il passaggio da una modalità di conduzione ad un’altra. Tutto il
lavoro di ideazione della sequenza di movimenti avviene tramite
l’utilizzo da parte dell’adulto di una modalità di conduzione semistrutturata mentre nel momento della memorizzazione si passa ad
una conduzione strutturata. Si può intuire la sostanziale differenza
tra il ripetere una sequenza di passi di danza proposti dall’adulto e
il ripeterne una che ci si è costruiti da sé!
Ogni bambino ha un pezzo di stoffa azzurra con cui travestirsi da
goccia di mare.
All’inizio dell’attività ogni goccia inventa tre movimenti “ad onda”,
cioè simulando un movimento ondulatorio: per il primo movimento si può utilizzare il solo dito indice, per il secondo le due braccia, per il terzo le due gambe.
A questo punto, tutte le gocce sono pronte per il gran ballo!
Il conduttore del gioco fa partire la musica e chiede in successione di eseguire i movimenti che sono stati inventati: “Movimento ad onda con il dito indice!”…”Movimento ad onda con le braccia!”… e così via.
Gli stessi movimenti possono poi essere combinati ed eseguiti in
mille modi diversi.
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
Questa danza può essere realizzata anche con i gruppi dei bambini piccoli della scuola dell’infanzia, per i più grandi si possono
rendere più complessi gli stimoli, ad esempio chiedendo di inventare un movimento ondulato in coppia oppure, dalla posizione seduta, muovendo solo un braccio e una gamba…
Lo sviluppo dell’attività
Lo stimolo rappresenta dunque il principale strumento della didattica
obliqua e può diventare una catena di stimoli per perseguire in modo mirato un dato obiettivo.
In questo modo si può accompagnare il bambino nell’esplorazione o nello sviluppo di una specifica padronanza motoria, passando da situazioni
più semplici ad altre via via più complesse.
Ecco un esempio di successione di stimoli, rimanendo sulla capacità di
saltare.
1. “Al mio via ognuno salta come vuole”
2. “Al mio via ognuno salta come vuole muovendosi nello spazio, al mio
stop ci si ferma immobili”
3. “Provate a saltare muovendovi nello spazio e seguendo una riga sul
pavimento” (naturalmente avendo predisposto righe sul pavimento)
Giocamuoviti
4. Si introduce poi una nuova variabile: “Continuate a saltare seguendo
una riga, ma ogni volta che batto le mani trovate un modo nuovo di
saltare”
5. “Ora continuate a saltare seguendo una riga, ma andando avanti
quando dico ‘avanti’ e indietro quando dico ‘indietro’”
6. “E ora siete capaci di muovervi nello spazio, saltando di lato?”
Si procede così verso un crescendo della complessità di azione, tenendo naturalmente conto delle reazioni dei bambini e del mantenimento del
piacere di fare.
Una nota sull’utilizzo del linguaggio: come si può notare, ogni stimolo viene espresso in stretta connessione con quello precedente, infatti, l’espressione usata per il nuovo stimolo è costituita da una parte della definizione
dello stimolo precedente. Questa scelta lessicale di ripetizione parziale facilita nel bambino la percezione della continuità dell’esperienza.
La tecnica della Ramificazione
Non è sempre necessario impostare la catena di stimoli durante la programmazione dell’attività, si può anche scegliere di costruire la successione sul momento, adottando una tecnica specifica, chiamata Ramificazione.
La metafora dell’albero ben rappresenta come si sviluppa la conduzione
che utilizza la ramificazione: si parte da una situazione solitamente molto libera e, traendo spunto da ciò che succede e quindi dalle diverse ri-
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
sposte date dal gruppo, si costruisce una serie di stimoli sempre più definiti rispetto alla capacità da sviluppare.
Si vanno così a limitare le possibilità di risposta, pur continuando ad offrire l’opportunità di trovare una propria soluzione. I bambini sono pertanto
orientati verso il raggiungimento dell’obiettivo che l’insegnante si è prefissato, ma svolgono azioni personali e creative.
La ramificazione è considerata una tecnica “situazionale” perché gli stimoli non sono definiti preventivamente.
È però fondamentale che l’insegnante abbia ben chiaro l’obiettivo da
perseguire; questo gli permetterà di selezionare le risposte più funzionali al raggiungimento di ciò che si è prefissato, traendo spunti da ciò che
i bambini inventano.
Di seguito, un’esemplificazione dell’uso della ramificazione, che fa riferimento alla “catena di stimoli” sul salto presentata precedentemente.
L’obiettivo da perseguire è lo sviluppo dello schema motorio del saltare
e, nello specifico, del saltare spostandosi nello spazio.
Primo stimolo: “Ognuno salta come vuole”.
Alcune possibili risposte da parte dei bambini:
1. salti sul posto a piedi uniti
2. salti sul posto aprendo e chiudendo le gambe
3. saltelli vari in spostamento nello spazio...
Riferendosi all’obiettivo, che riguarda lo sviluppo della capacità di saltare in spostamento, viene valorizzata la risposta 3. Si rilancia quindi
questa azione come nello stimolo successivo.
Secondo stimolo: “Ognuno salta come vuole, muovendosi nello spazio,
ma al mio stop ci si ferma immobili”.
Alcune possibili risposte da parte dei bambini:
1. salti a piedi uniti in spostamento
2. salti su un piede in spostamento
3. salti seguendo una riga…
Tra le risposte date, l’elemento riga rappresenta un elemento interessante perché implica una direzione da seguire nel movimento e quindi lo
si propone al gruppo nello stimolo successivo.
Giocamuoviti
Terzo stimolo: “Saltate muovendovi nello spazio e seguendo una riga
sul pavimento”.
Alcune possibili risposte da parte dei bambini:
1. salti a piedi uniti lungo la riga
2. salti a gambe divaricate con la riga tra i due piedi
3. salti di qua e di la della riga…
I bambini, giunti all’estremità della riga tornano indietro in modi diversi, ecco quindi individuato lo stimolo successivo che permetterà la sperimentazione del salto all’indietro nello spazio. Viene quindi rilanciato lo
stimolo individuato.
Quinto stimolo: “Ora saltate rimanendo sulla riga, andando avanti quando dico ‘avanti’ e indietro quando dico ‘indietro’…”.
Come si può notare, il percorso sul salto è stato definito in base a quanto
è successo in quella specifica situazione, ma l’insegnante ha mantenuto
l’attenzione sull’obiettivo (sviluppare la capacità di saltare in spostamento
nello spazio) e, di conseguenza, ha saputo selezionare e rilanciare quelle risposte che maggiormente consentivano ai bambini di sperimentarsi
rispetto ad esso.
La maggiore difficoltà nell’utilizzo della tecnica della ramificazione consiste proprio nel saper individuare,
tra le risposte date, quegli elementi più funzionali al raggiungimento
dell’obiettivo e, in seguito, saperli
rilanciare in modo da attivare ricerche coerenti.
Ecco un altra sequenza per chiarire
ulteriormente questa tecnica. Partendo da una situazione di libera
esplorazione, l’obiettivo individuato
da perseguire è stato: sviluppare le
capacità di organizzazione motoria
in rapporto con un oggetto.
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
Primo stimolo: “Fate quello che volete per divertirvi con il vostro amico
nastro”.
Si usa la parola “amico” per connotare affettivamente l’esperienza, ai
bambini piccoli, infatti, piace sentire: “il vostro amico sacchetto/nastro/
cerchio”.
Alcune risposte dei bambini:
1. il nastro viene lanciato in vari modi
2. il nastro viene utilizzato per creare delle forme sul pavimento (cuore,
fiore, quadrato, ecc.)
3. il nastro viene fatto vibrare sopra la testa e a terra…
Tra le risposte date, si sceglie di prendere spunto dall’azione numero 3
perché individua la dimensione spaziale di realizzazione del movimento:
movimento alto (sopra la testa) e basso (a terra e sotto il piede).
Secondo stimolo: “Continuate a fare quello che volete con il vostro amico nastro creando dei movimenti alti e dei movimenti bassi”.
Alcune risposte dei bambini:
1. il nastro viene appoggiato a terra e scavalcato in diversi modi
2. il nastro viene fatto girare sopra la testa
3. il nastro viene passato davanti
e dietro al corpo…
Tra queste risposte, si prende
spunto dalla 1 e dalla 3 perché si
intende far sperimentare la dimensione spaziale di esecuzione del
gesto, con riferimento specifico al
rapporto corpo-materiale.
Terzo stimolo: “Continuate a fare
quello che volete con il vostro amico nastro creando dei movimenti in
cui il vostro corpo è sopra e sotto
il nastro”.
Giocamuoviti
Alcune risposte dei bambini:
1. il nastro a terra, in diverse forme; passaggi sopra al nastro in diversi
modi e da diverse posizioni (eretta, accucciata, ecc.)
2. salto del nastro utilizzandolo come una funicella
3. il nastro viene fatto girare sopra la testa.
Si può notare come il lavoro sia strettamente inerente all’obiettivo, con
attività che fanno riferimento allo schema corporeo e all’organizzazione
spazio temporale, cioè a come organizzare il movimento rispetto all’oggetto da superare.
Un stimolo più complesso, introducibile per i più grandi, è quello di richiedere ai bambini di ricercare due soluzioni.
Quarto stimolo: “Continuate a fare quello che volete con il vostro amico nastro, ma cercate ora di fare una cosa “molto faticosa” ed una “poco faticosa”.
Si introduce una sperimentazione che prevede di indagare le capacità più
forti e i propri limiti: ciò dà vita ad una ricerca molto stimolante che consente di scoprire in che cosa il proprio corpo sia più o meno agile.
Esistono diversi tipi di ramificazione definiti da criteri attraverso i quali
si può declinare la tecnica, i principali sono:
– in adeguamento, quando si sceglie una delle risposte o comunque
la/le risposte data/e dalla minoranza dei componenti del gruppo;
– in evoluzione, quando si tengono in considerazione le risposte date dalla maggioranza dei componenti del gruppo, se ne identifica
un elemento comune e su questo si costruisce la successiva proposta, punto di partenza di nuove ricerche;
– per assenza o contrario, quando, tenendo in considerazione tutte
le risposte date e appurando che nessuna utile al perseguimento degli obiettivi prefissati, l’adulto costruisce uno stimolo ex-novo
che aiuta il gruppo a procedere nella ricerca.
Un esempio specifico su quest’ultimo criterio, riferito al gioco con i nastri presentato: considerando che il nastro viene tendenzialmente mosso con le mani, la richiesta dell’educatore, ramificata per assenza/contrario può essere: “Continuate a fare quello che volete, ma senza usare
le mani”.
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Un approccio psicomotorio “obliquo”
Il criterio “per assenza o contrario” è sicuramente il più semplice e può
essere molto utile nelle prime fasi di utilizzo della tecnica, quando non
si ha ancora la necessaria dimestichezza e velocità nel raccogliere le risposte, ma bisogna imparare a “non abusarne” altrimenti si può correre
il rischio di vedere solo ciò che manca e non ciò che il gruppo offre.
Il consiglio è di tentare di integrare il più possibile tutte e tre le modalità: ramificare in adeguamento ed evoluzione, infatti, rappresenta un interessante stimolo a disposizione dell’insegnante per valorizzare le invenzioni dei bambini.
Giocamuoviti
L’EVOLUZIONE MOTORIA DEL BAMBINO DAI 3 AI 6 ANNI
Gran parte dell’esperienza del
bambino, soprattutto in età
prescolare, è di tipo corporeo
e motorio, di conseguenza la
possibilità di provare esperienze gratificanti e piacevoli dipenderà molto dalla possibilità
di sperimentare attività motivanti e coinvolgenti per la corporeità. Ma il corpo nella prima infanzia è anche soggetto
a cambiamenti molto veloci: il
bambino entra in possesso di
acquisizioni motorie e di possibilità fisiche diverse in tempi
relativamente rapidi. Ecco allora che le proposte per la prima infanzia devono offrire al bambino occasioni quotidiane per presentare il corpo come un complesso di potenzialità da scoprire attraverso il loro uso, nel rispetto dei tempi di maturazione
e di sviluppo di ognuno. Il periodo che va dai tre ai sei anni può essere
definito, come “fase del corpo percepito” (Le Boulch): l’evoluzione motoria è influenzata dallo sviluppo di due funzioni fondamentali, strettamente interconnesse tra loro, una percettiva e l’altra cognitiva.
Sul piano percettivo prende avvio la funzione di interiorizzazione, una forma di attenzione percettiva centrata sul proprio corpo che consente al bambino di prendere coscienza delle proprie caratteristiche corporee. Prima dei
tre anni il bambino ha del suo corpo solo un’esperienza globale di carattere emotivo-affettivo, egli si trova nella fase del “corpo vissuto” in cui il movimento è funzionale al raggiungimento di un unico scopo: il piacere. La capacità di interiorizzazione invece permette al bambino di spostare l’attenzione
dal piacere vissuto attraverso il corpo alle sensazioni percepite, avviando un
percorso di scoperta analitica delle singoli parti che lo costituiscono.
Sul piano cognitivo in questo periodo ha inizio l’organizzazione dello schema corporeo, grazie alla rielaborazione delle informazioni acquisite attraverso i meccanismi di interiorizzazione. Il bambino comincia a distinguere
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L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
le diverse parti del proprio corpo, sia attraverso le sensazioni che esse suscitano sia attraverso le caratteristiche cinestesiche (che riguardano cioè il
muoversi) corrispondenti e le possibilità di movimento che esse offrono.
Queste conoscenze vanno ad integrarsi con quelle “affettive”. Pertanto
il bambino di 3 anni che ha beneficiato di un ambiente favorevole, che
ha potuto confrontarsi con il mondo degli oggetti con successo e che
non è stato né super protetto né lasciato abbandonato a se stesso, può
raggiungere una motricità spontanea che gli permette di muoversi nello
spazio senza particolari problemi e di avere un equilibrio stabile, mentre
la coordinazione braccia-gambe verrà acquisita gradualmente.
Per fare qualche esempio: sa camminare a varie velocità anche su superfici d’appoggio diverse, sa strisciare e rotolare o salire degli scalini; riguardo alla motricità fine, relativa cioè a movimenti più precisi: beve da solo
senza versare il liquido, sa tenere il cucchiaio e la forchetta, sa lanciare
oggetti di diversa forma anche con l’obiettivo di colpire un bersaglio.
I progressi più significativi sul piano gestuale rispetto al periodo precedente si hanno grazie all’aggiustamento della postura e alla capacità di
regolazione tonica, processi legati allo sviluppo dello schema corporeo.
Restano invece ancora molto limitate le possibilità di dissociazione motoria, e cioè la capacità di differenziare i movimenti segmentari relativi
Giocamuoviti
agli arti: l’attenzione è ancora concentrata nell’esecuzione di movimenti di carattere globale. Al bambino non interessa ancora curare i particolari dei propri movimenti, ma è inconsapevolmente intento ad una realizzazione funzionale sul piano globale.
Sulla base di queste premesse, è quindi bene sostenere il percorso di
crescita del bambino prevedendo proposte motorie con obiettivi relativi
allo sviluppo delle capacità senso-percettive, dello schema corporeo e
degli schemi motori di base.
Le capacità senso-percettive
Il bambino, soprattutto nei primi anni di vita, sviluppa la propria intelligenza attraverso l’attività senso-percettiva e motoria. Subito dopo la nascita prevalgono gli stimoli sensoriali che offrono al bambino i primi input: i
contatti con il corpo della madre, le luci, i rumori, le sensazioni di benessere e piacere o quelle di fastidio.
Nei mesi successivi, il bambino acquisisce sempre maggiori competenze motorie che gli permettono di strutturare una propria identità e di staccarsi dalla madre per avventurarsi, con sempre maggiore sicurezza, verso la conoscenza del mondo.
Comunemente, la dicitura “capacità senso-percettive” rimanda ai “cinque sensi”: vista, udito, tatto, gusto e odorato. Essi però identificano solo una parte delle potenzialità percettive, quelle in grado di raccogliere
e rielaborare gli stimoli provenienti dall’esterno; per questo sono anche chiamati più tecnicamente
“sensi esterocettivi”.
Ma c’è tutto un mondo interno
che manda costantemente segnali al soggetto e lo aggiorna
sulle sue condizioni.
Gli stimoli interni sono percepiti grazie alla capacità propriocettiva detta “cinestesica somatognosica”, che consente di
rispondere in relazione alla posizione del corpo nello spazio
e al rapporto dei diversi segmenti corporei anche senza
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L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
il diretto controllo visivo. La capacità propriocettiva è diversamente collocata all’interno del corpo: segnali provengono dai muscoli, dalle articolazioni, dalla zona labirintico-vestibolare, dove viene regolato l’equilibrio.
Questa capacità si sviluppa fin dai primi mesi di vita e trova una fase
molto importante di sviluppo nel gioco senso-motorio, a cui è dedicata
una riflessione specifica nel paragrafo successivo.
All’interno di percorsi di attività psicomotoria nella scuola dell’infanzia è
importante trovino spazio proposte per l’affinamento della propriocezione e di tre fra le capacità esterocettive: tatto, vista e udito; il loro sviluppo, infatti, è strettamente connesso alla strutturazione dello schema corporeo.
Il saluto piedano
Rimanendo in posizione seduta, i partecipanti al gioco si muovono liberamente nello spazio e, quando si incontrano, si salutano
toccandosi i piedi. Con i bambini più piccoli si utilizza la sola indicazione della parte del corpo (il piede), ma con i più grandi si possono dettagliare maggiormente le richieste sia riguardo alla parte del piede - la punta, il tallone, il lato interno od esterno - sia in
relazione al tipo di “saluto”: strofinare, dare piccoli tocchi, attorcigliare, ecc...
Giocamuoviti
La spolverata
Stando a coppie, uno
“spolvera” il compagno
con le mani e l’altro si
lascia spolverare.
Il conduttore del gioco
nomina in sequenza le
parti del corpo che devono essere spolverate:
testa, spalle, schiena…
Alla fine si conclude in
modo divertente con tre maxi-spolverate che partono dalla testa e
arrivano fino ai piedi.
Le prime volte che si propone il gioco ai più piccoli, può essere utile che l’insegnante “spolveri” tutti i bambini nominando via via parti del corpo che tocca; questo accorgimento è da tenere in considerazione soprattutto se i bambini non sono ancora abituati a
giocare in coppia.
Foglina e Stoffolo
I giochi di imitazione consentono al bambino di muovere il proprio corpo
in conformità a un’immagine.
Il bambino inizia a mettere in relazione tra loro le sensazioni cinestesiche che risultano dal mettere una parte del corpo nella posizione che la
figura suggerisce. Nel corso dell’attività si avrà una fusione progressiva dell’immagine visiva con l’immagine cinestesica, che darà origine alla possibilità di rappresentare mentalmente il proprio corpo, globalmente o in dettaglio.
Foglina e Stoffolo sono due personaggi - rispettivamente un pezzo di
carta ripiegato e un ritaglio di stoffa - che sono stati appositamente creati per giochi imitativi.
Utilizzare un materiale per la dinamica dell’imitazione, consente di agire
in un contesto che è sempre e implicitamente obliquo in quanto un nastro, un pezzo di carta o di stoffa, avendo forme e caratteristiche di movimento diverse dal corpo umano, deve sempre essere prima interpretato e questo dà a tutti la possibilità di caratterizzare l’imitazione in modo
personalizzato.
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L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
Con i bambini di tre anni è bene iniziare connotando il materiale con alcuni tratti che facilitino l’identificazione; può essere sufficiente disegnare
un viso sull’oggetto-personaggio. Dai
4 anni in avanti potrà bastare tratteggiare verbalmente il personaggio: un
nastro può diventare Nastrino o un
rotolo di cartone Rotolix.
Il gioco di Foglina
Foglina è innanzitutto… un foglio di carta A4.
Ma è anche una formidabile insegnante di ballo ed è talmente brava che sa far fare ai bambini tutto quello che vuole!
Come nasce Foglina?
Si prende un foglio e lo si piega lungo il lato più lungo… una volta
e poi ancora una seconda volta. Si disegnano due occhi, una bocca, il naso, un bel tutù e oplà… Foglina eccola qua! A questo punto, si mette un po’ di musica e Foglina inizia a muoversi guidata
dalle mani di qualcuno, l’insegnante oppure un bambino. Gli aspiranti ballerini non devono far altro che guardare Foglina e copiare
esattamente quello che fa lei. La cosa fondamentale è non dare
troppe indicazioni per lasciare libertà di interpretazione creativa.
Giocamuoviti
Il gioco senso-motorio
Il gioco senso-motorio è un’esperienza ludica che testimonia l’uso del proprio corpo come strumento di conoscenza di sé e crea la connessione tra
le sensazioni corporee e gli stati tonico emozionali. Infatti, il piacere e le
emozioni che derivano da questo tipo di giochi sono provocati non tanto
dall’effetto del movimento sul mondo esterno ma dal movimento in sé.
Attraverso questo tipo di giochi il bambino struttura l’identità, perché acquisisce coscienza del proprio corpo come un qualcosa di unitario: un Io
ben definito e distaccato da tutto il resto, che è Non-Io. I giochi sensomotori sono caratterizzati da rotture e non da continuità; è proprio l’alternanza di situazioni “opposte” per esempio perdita e recupero dell’equilibrio, che aiutano il bambino a percepirsi. Giuseppe Nicolodi nel testo
“Maestra, guadami” (1994, Edizioni Scientifiche CSIFRA) organizza i
giochi senso motori più tipici in quattro categorie:
1. i giochi di equilibrio-disequilibrio: esempi sono i salti in basso, i rotolamenti, gli scivoli, la giostra, il girotondo;
2. i giochi del tirare-spingere: aiutano il bambino a percepirsi come Ioagente di un’azione, Io- potente e capace; esempi sono tutte le azioni
di afferrare, trattenere, spingere, stringere, tirare, strappare, respingere, allontanare, ecc.;
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L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
3. i giochi di movimento nello spazio: la percezione dello spazio avviene
attraverso la sensorialità esterocettiva (tatto, udito, vista) e propriocettiva; le sensazioni consentono inoltre di creare vissuti emozionali legati
a concetti spaziali più astratti, quali la distanza, la profondità, l’altezza.
La conquista dello spazio si riduce allora ad un sapersi allontanare senza perdersi, rimanendo in contatto con se stessi e con le proprie sensazioni, nel piacere e nella fiducia in sé e nelle proprie capacità;
4. i giochi che contrappongono l’io e l’oggetto; sono i giochi del fare e
del disfare, per poter rifare, che consentono di incontrare i vari elementi nella loro consistenza, peso, volume, colore, ecc...
Girotondi vecchi e nuovi
Il girotondo è un classico gioco senso-motorio in cui la stimolazione propriocettiva è offerta da esperienze di perdita e recupero dell’equilibrio.
Nel girotondo tradizionale: ci si mette in cerchio, ci si prende per mano, si
comincia a girare aumentando sempre più la velocità e alla fine si cade
per terra. Gli “ingredienti motori” attraverso cui si stimola l’equilibrio, sono:
il muoversi legati, l’aumento della velocità e la caduta al suolo. Ma oltre a
questi, se ne possono aggiungere altri che possono dare il piacere di “rottura” e “ricomposizione sensoriale”: il saltare e il girare in tutti i modi possibili, la combinazione di movimenti, (ad esempio saltare girando, correre
slanciando le braccia in alto e in basso… magari con le mani legate ad altri,
ecc...), muoversi con un orientamento inusuale del corpo (ad esempio a testa in giù o ad occhi chiusi), variare in maniera brusca la velocità di esecuzione di un gesto/movimento. A queste situazioni dinamiche si possono aggiungere quelle statiche, che
riguardano il mantenere una
posizione di equilibrio, come
lo stare fermi su un piede, su
due ginocchia, su un piede e
una mano.
Mescolando alcuni di questi
“ingredienti”, si possono creare tanti nuovi girotondi a forte stimolazione senso-motoria
e ad alto tasso di divertimento.
Eccone alcuni.
Giocamuoviti
Girotondo della giraffa e sua sorella
Gira, gira la girella
la giraffa e sua sorella
l’elefante e il topogatto
giro, giro come un matto!
Gira, gira la girella
la giraffa e sua sorella
l’elefante e il topogatto
giro, giro come
un matto!
Girare su se stessi, facendo perno su un solo piede, e rimanendo sul posto.
In equilibrio su un piede con la gamba sollevata protesa dietro al
corpo e il braccio corrispondente in avanti/alto, prima in appoggio
su un piede per fare la giraffa e poi sull’altro per la sorella.
Imitazione libera dei due animali (momento di recupero dopo le due
situazioni precedenti di forte stimolazione senso-motoria).
Ci si prende per mano, si gira acquistando velocità nel minor tempo
possibile, e alla fine della filastrocca, ci si lascia cadere per terra.
Girotondo salterino
Girotondo salterino
volo in lato con ditino
cado a terra per vedere
se si gira col sedere!
Girotondo Salterino
volo in lato col ditino
cado a terra per vedere
se si gira col sedere!
Si gira su se stessi saltando su un piede o su due a scelta.
Si fa un salto verso l’alto indicando il cielo con un dito.
Ci si lascia cadere per terra.
Si sollevano i piedi e si gira sul sedere aiutandosi con le mani a terra per andare più veloci possibile.
Girotondo a testa in giù
Girotondo giramondo
gira con la testa in giù
e se poi lo guardi tu
tutto il mondo fa cucù!
Girotondo giramondo
gira con la testa in giù
e se poi lo guardi tu
tutto il mondo fa cucù!
Girare in cerchio tenendosi per mano, camminando velocemente.
Mettersi a testa in giù e continuare a camminare nello stesso senso.
Lasciare le mani dei compagni, mettere la testa tra le gambe e guardare dietro di sé.
Sollevare la testa velocemente e lasciarsi cadere a terra, sedendosi, con le braccia che si muovono verso l’alto.
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L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
Girotondo del lupo
Giro tondo giro lento
se c’è il lupo, mi spavento!
corro corro come il vento
poi… mi siedo in un momento!
Giro tondo giro lento
se c’è il pupo
mi spavento.
corro corro
come il vento
poi… mi siedo
in un momento!
Camminare in cerchio tenendosi per mano con passi lenti e marcati;
pronunciando la parola “spavento”, ci si blocca all’istante.
Iniziare a correre più velocemente possibile.
Staccare le mani e sedersi a terra… anche scivolando!
Lo schema corporeo
Tra i 3 e i 6 anni inizia, sul piano cognitivo, la strutturazione dello schema
corporeo, che J. Le Boulch definisce come “coscienza, intuizione, conoscenza immediata che si ha del proprio corpo in situazione statica e dinamica, in rapporto ai diversi segmenti tra loro e nel rapporto tra questi
e lo spazio e gli oggetti che lo circondano”.
Giocamuoviti
La maggiore o minore consapevolezza riguardo alle diverse parti del
corpo è strettamente connessa alla maturazione cerebrale del bambino,
ma anche al tipo di esperienze che egli ha potuto sperimentare.
Per sostenere il bambino in questo percorso di conoscenza, le proposte
devono essere diversificate e permettergli di riflettere sul proprio corpo
partendo da diverse prospettive:
– il corpo come insieme di parti (testa, schiena, pancia, gambe, ecc.);
– il corpo come insieme di parti che hanno caratteristiche tattili differenti (alcune sono dure altre morbide, alcune sono morbide ma possono
diventare dure, alcune sono lisce altre ruvide, ecc.);
– il corpo e le sue parti con specifiche caratteristiche spaziali (il corpo è
grande così, alcune parti sono grandi altre piccole, alcune sono lunghe e altre corte, ecc.)
– le parti del corpo singole e quelle doppie;
– le possibilità di movimento delle diverse parti del corpo.
Per la scoperta e la presa di coscienza delle diverse parti del corpo è
fondamentale accompagnare alle esperienze corporee e motorie momenti di verbalizzazione, che consentano al bambino di associare i simboli verbali alle diverse sensazioni in rapporto con il proprio corpo.
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L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
La danza degli orsetti
Questa attività porta il
bambino a prestare attenzione alle diverse
parti del corpo attraverso un’esperienza percettiva costruita su una
tipologia di contatto ben
precisa: il “grattarsi”
(che si sa agli orsi piace
tantissimo!) all’interno di
una dinamica relazionale di coppia.
Su una base musicale
che fa da sfondo al gioco, i partecipanti si muovono liberamente nello
spazio.
Di tanto in tanto il conduttore del gioco nomina una parte del corpo
che è quella che ogni orsetto deve “grattarsi” con l’aiuto di un
compagno. Ad esempio, all’indicazione “Schiena!” due orsetti si
incontrano e si “grattano” schiena contro schiena, all’indicazione
“Braccia” o “Gambe!” i due di strofinano gli arti nominati per grattarseli vicendevolmente.
Ad un secondo segnale prestabilito, si interrompe il contatto e si
torna a muoversi liberamente.
Con i bambini più piccoli, non abituati a lavorare in coppia, si può
partire con la proposta individuale: ogni orsetto da solo si gratta la
parte del corpo che viene chiamata.
“Io metto… il corpo nel sacchetto!”
Questo gioco offre la possibilità di lavorare sia sulla discriminazione delle diverse parti del corpo sia sulle loro caratteristiche (tattili, spaziali, numeriche). La filastrocca che accompagna l’esecuzione del gioco è stata inventata per sollecitare la verbalizzazione
contemporanea all’azione e facilitare la messa in relazione del
Giocamuoviti
nome con la parte del corpo
corrispondente.
In cerchio; ognuno ha un sacchetto aperto appoggiato a terra. A turno ognuno prende la
parola e dice: “Io metto… il naso (oppure testa, mano…) nel
sacchetto!”
E gli altri rispondono: “Perfetto!
Io metto… il naso nel sacchetto” e copiano ciò che è stato
fatto dal compagno.
Durante il primo giro, chi parla è libero di mettere nel sacchetto la parte del corpo che
preferisce, in seguito chi conduce il gioco darà delle indicazioni precise su quale caratteristica deve avere la parte del corpo che deve essere infilata nel
sacchetto, ad esempio: una parte piccola, una parte morbida, una
parte lunga, una parte piccola e doppia, una dura e singola… e
così via.
La proposta nel primo giro, in cui c’è la possibilità di scegliere liberamente quale parte del corpo mettere nel sacchetto, è quella più
adatta ai bambini di 3 anni, con i bambini più grandi è possibile inserire progressivamente richieste più specifiche in relazione alle
caratteristiche delle parti del corpo. È bene inizialmente dare indicazione su una sola caratteristica e poi a mano a mano ci si può
divertire anche con più caratteristiche, ad esempio: dura e singola (testa), lunga e doppia (gambe).
Una variabile divertente per i bambini più grandi è quella di “mettere nel sacchetto” le parti del corpo di un compagno.
Una nota sul materiale: con i bambini è meglio utilizzare i sacchetti di maglia (quelli usati per le confezioni delle arance) per evitare
l’uso improprio dei sacchetti di plastica (come infilarselo in testa)
che possono determinare situazioni rischiose. Durante le attività
con gli insegnanti sono stati invece utilizzati dei semplici sacchetti azzurri dell’immondizia.
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L’evoluzione motoria del bambino dai 3 ai 6 anni
Il gioco del buchi
L’attività offre al bambino un contesto in cui sperimentare le dimensioni globali del proprio corpo attraverso il passaggio in “buchi umani”. Il contributo alla strutturazione dello schema corporeo
è legato alla rielaborazione delle informazioni raccolte dai recettori visivi e tattili durante le azioni di entrata e uscita da buchi di forma e dimensione differenti.
Ci si organizza a coppie: uno dei due componenti inizia a fare “il
buco” e l’altro “l’esploratore di buchi”. Il “buco” ha queste caratteristiche: deve poter far entrare e uscire l’esploratore “per intero” e
deve modificarsi ogni volta che sia stato esplorato.
Il gioco si può ripetere anche a coppie (due “buchi” che si intrecciano e due “esploratori” contemporaneamente) e a piccoli gruppi, per cui i “buchi” diventano una specie di ragnatela umana. La
dinamica relazionale del gruppo risulta più adatta a bambini dai 4
anni in avanti.
Giocamuoviti
GLI SCHEMI MOTORI DI BASE
Gli schemi motori di base costituiscono le forme fondamentali del movimento, cioè quelle strutture semplici - quelle unità di base, appunto - sulle quali si possono con il tempo costruire abilità motorie più complesse.
Sono chiamati “di base” anche per un secondo motivo: essi compaiono
spontaneamente nel bambino fin dai primi mesi di vita, ma il loro sviluppo è strettamente legato alle stimolazioni offerte dall’ambiente, che può
accelerarne o rallentarne i processi di apprendimento.
Il bambino è in grado di arrivare dalla posizione neonatale a quella eretta senza bisogno di sollecitazioni specifiche da parte dell’adulto, elaborando una sorta di alfabeto dei movimenti che ciascuno, pur con straordinarie varianti, è in grado di costruirsi autonomamente. L’acquisizione
dei cosiddetti “movimenti di base” è pertanto spontanea: il bambino “impara” con maggiore soddisfazione se ha la possibilità di scoprire da sé le
sue possibilità motorie, interiorizza con più consapevolezza il movimento
nuovo e riesce con più entusiasmo a padroneggiarlo. Il suo bagaglio motorio così costruito risulterà essere più solido e più ricco diventando una
fonte più efficace cui attingere nel momento in cui andrà incontro a nuove situazioni sportive o ludiche di movimento.
I principali schemi motori di base sono:
strisciare
rotolare
camminare
correre
saltare
lanciare
prendere
arrampicarsi
Tutti otto gli schemi motori coinvolgono il corpo globalmente, anche se,
ognuno di essi chiama in causa prevalentemente uno o due segmenti corporei.
Il camminare, il correre e il saltare utilizzano soprattutto gli arti inferiori; il
lanciare e il prendere gli arti superiori coordinati a quelli inferiori; lo strisciare, il rotolare e l’arrampicarsi, utilizzano anche il tronco.
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Gli schemi motori di base
Rotolare e strisciare
Il rotolare rappresenta per il bambino la prima modalità di conquista dello spazio.
I rotolamenti parziali del corpo compaiono fin dai primi mesi di vita, quando, nella culla, il bambino passa da un fianco all’altro o dalla posizione
supina a quella prona e viceversa.
Il rotolare implica il movimento del corpo attorno ad uno dei suoi tre assi (longitudinale, trasversale o sagittale) e un continuo accomodamento
che offre al corpo stesso percezioni, equilibri e orientamenti non usuali.
Lo strisciare costituisce un’evoluzione naturale del rotolare.
È un movimento che prevede ampi contatti del corpo sulla superficie di
spostamento in quanto il corpo, interamente o una parte, si muove scivolando sulla superficie stessa.
Strisciare e rotolare sono schemi motori che stimolano fortemente la
senso-percezione tattile globale, per questo aiutano molto il bambino
nella percezione del proprio corpo e, conseguentemente, nella strutturazione dello schema corporeo.
Giocamuoviti
Il tuffo rotolante
Si predispongono a terra alcuni materassi, che
vanno a costituire la “pista di atterraggio” per i
tuffi. Il bambino viene
prima avvolto con un
lenzuolo, lasciandone
fuori la testa e i piedi, e
successivamente fatto
distendere sul bordo di
un materasso. L’adulto
afferra il lembo del lenzuolo e, tirandolo a sé,
fa “srotolare” il bambino
sul tappeto.
Si può applicare maggiore o minore forza nell’azione di srotolamento secondo i desideri del bambino, per far sì che l’attività sia sempre fonte di piacere e non di paura.
Camminare e correre
Con il termine camminare si indica lo schema motorio, eseguito dalla
posizione eretta, caratterizzato da uno spostamento ritmico, intenzionale, a velocità moderata, con appoggio alternato dei piedi al terreno. I piedi entrano in contatto con il suolo con una sequenza specifica – tallone,
pianta, punta – chiamata rullata. Il camminare richiede una coordinazione dinamica tra arti inferiori e superiori che garantisce l’equilibrio globale del corpo durante l’esecuzione del gesto.
Nello sviluppo motorio, il camminare è solitamente preceduto dal gattonare, lo spostamento dalla posizione quadrupedica che rappresenta per
il bambino il primo passo verso la conquista dell’autonomia; l’azione gli
permette, infatti, di allontanarsi da solo con una certa velocità dalle figure di adulto di riferimento per esplorare lo spazio. Nel linguaggio comune si parla solitamente del “gattonare del bambino”, prendendo come
movimento di riferimento proprio la quadrupedia, eseguita con alternan-
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Gli schemi motori di base
za di arti superiori e inferiori, in
appoggio sulle ginocchia; ma
in realtà nel termine gattonare dobbiamo far rientrare tutte
quelle modalità di spostamento che il bambino sperimenta
per spostarsi nello spazio: lo
strisciare da posizione seduta,
lo spostamento in quadrupedia
con gamba ad ostacolo che solitamente viene fatta strisciare a
terra e altre soluzioni personali che alcuni bambini adottano.
Ciò che maggiormente conta in
questa fase dello sviluppo non
è il gesto motorio in sé, ma il fine che il gesto si prefigge: riuscire “da solo” a muoversi nello
spazio, allontanandosi e riavvicinandosi agli adulti.
La corsa si sviluppa dopo il
camminare e si differenzia per
un aumento della frequenza
dei passi e una spinta più energica di propulsione, che determina il verificarsi di una fase
aerea.
La fase aerea rappresenta
l’elemento centrale di differenziazione tra la camminata e la
corsa e anche il maggior ostacolo nell’esecuzione da parte
dei bambini perché presuppone una certa capacità di controllo del proprio corpo in assenza di appoggi, cioè in totale
sospensione.
Giocamuoviti
Per questo motivo il passaggio dalla camminata alla corsa prevede tempi molto lunghi. Spesso si afferma che bambini di 2-3 anni corrano, in realtà, la maggior parte di loro, si limita a camminare molto velocemente!
L’alta frequenza e velocità nella successione dei passi fa credere a noi
adulti che essi stiano correndo, ma mancando la fase aerea, il loro spostamento continua ad essere una camminata.
Solitamente è intorno ai 3-4 anni che il bambino inizia ad eseguire una
“corsa reale”, grazie soprattutto ad un affinamento della propriocezione
e della capacità di gestire l’equilibrio dinamico del proprio corpo.
La città dei bollini colorati
Si utilizzano bollini colorati della grandezza di
un cd, ricavati ritagliando della carta o del cartoncino colorato, servono almeno quattro
colori, con una trentina
di bollini per colore.
Dopo averli disposti sul pavimento, si chiede ai bambini di camminare o correre tra i bollini colorati, evitandoli. Poi si dice loro di
camminare sopra i bollini di uno stesso colore: l’azione prevede
passi precisi e l’uso dell’equilibrio.
La corsa sonora
Il gioco riguarda tre modi di correre: naturale/rumorosamente/silenziosamente.
La prima volta che si propone il gioco si chiede ai bambini di muoversi liberamente nello spazio; solitamente i bambini della scuola
dell’infanzia scelgono la corsa come modalità di spostamento e,
nel correre, sono rumorosi e gesticolanti. Facendo constatare loro che stanno producendo molto chiasso, si chiede di continuare
a muoversi allo stesso modo, ma cercando di fare meno rumore
possibile e, successivamente, con molto rumore.
La ricerca della modalità di esecuzione più e meno rumorosa del
movimento può poi essere trasferita su altri schemi motori, come
il saltare o il rotolare.
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Gli schemi motori di base
Saltare
Il saltare fa la sua comparsa nello sviluppo del bambino dopo il rotolare,
lo strisciare, l’arrampicarsi, il camminare, il correre e l’afferrare.
Il salto deriva da un’evoluzione della corsa per l’incremento della spinta e il conseguente prolungamento della fase aerea: dalla corsa al balzo, dal balzo al salto.
I primi tentativi di salto da parte di un bambino sono solitamente legati
allo scavalcamento di un ostacolo e in realtà i primi “salti” sono dei semplici superamenti, dove la fase aerea spesso manca o è appena accennata.
Queste esperienze sono comunque molto importanti perché contribuiscono ad affinare la percezione del proprio corpo in relazione ad un oggetto attraverso la chiamata in causa della capacità di organizzazione
spazio-temporale.
Il salto può essere eseguito in diversi modi: in basso, in lungo, in alto, indietro, lateralmente, da fermi e con rincorsa, con stacco a piedi uniti, su
un piede, con l’appoggio delle mani su un ostacolo, superando un ostacolo, ecc...
Tutte queste modalità possono essere sperimentate dai bambini in fascia
prescolare, ma occorre tener conto
della loro difficoltà nel controllo del
corpo e nello staccarsi dal suolo, infatti, la fase aerea che caratterizza
questo gesto motorio è ancora più
accentuata rispetto alla corsa e richiede quindi una buona capacità di
controllo del proprio corpo in mancanza di appoggi sicuri.
Come per l’arrampicarsi, anche il
saltare prevede un forte coinvolgimento della sfera affettivo-emotiva in quanto questa azione rappresenta un primo tentativo di andare
“contro natura” cercando di vincere la forza di gravità e di “esistere”,
anche se solo per alcune frazioni di
secondo, staccati da terra.
Giocamuoviti
La terra rappresenta per il bambino un importante punto di riferimento, una
fonte di sicurezza; essa però determina anche dei forti legami che, nell’atto
di saltare, egli deve trovare il coraggio di rompere temporaneamente.
Il paese dei Saltarelli
La proposta che viene fatta ai bambini è di “visitare il paese dei Saltarelli”, dove tutti si muovono saltando. Ogni bambino “si trasforma” quindi
in un Saltarello e si sposta liberamente nello spazio saltando, ma al segnale prestabilito (un battito di mani o un fischio) il modo di saltare deve cambiare: si può saltare sempre come si vuole, ma trovando modi diversi.
In questo modo i bambini sperimentano varie tipologie di salto.
Dopo la sperimentazione di quattro o cinque salti, il conduttore del gioco
invita i bambini a scegliere il tipo di salto che è piaciuto di più e ad “allenarsi” su quello.
A questo punto, ogni Saltarello va in giro per il mondo dei Saltarelli alla ricerca di compagni a cui insegnare il proprio modo di saltare e da cui
impararne altri di nuovi.
Si può far precedere il gioco da un racconto che presenta le caratteristiche di uno degli abitanti del mondo dei Saltarelli.
Saltarello è un tipo un po’ strano… perché
a volte è alto alto, alto così, altre volte è
piccolo piccolo, che quasi non si vede. E
devi stare attento a non pestarlo, se si rimpicciolisce per terra!
Saltarello ha una bocca grande grande…
grande così, sempre aperta in un sorriso… ma talvolta questa bocca si alza e si
stringe un po’… diventa tonda, una specie
di buco. Succede quando Saltarello si deve preparare per fare una cosa faticosa e
ha bisogno di prendere fiato.
Saltarello ha un modo di spostarsi che è
tutto suo: salta, saltella, e salterella sempre, a parte quando balza, balzella e balzerella! A volte i salti sono alti alti, alti così, a
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Gli schemi motori di base
volte piccoli che quasi non li vedi, a volte dritti a volte rovesci e a volte sono pure storti, ora sono lunghi, che gli basta un salto solo per
andare cento metri più in là, a volte corti, più corti di quelli delle formiche… Sa pure fare dei salti acrobatici, in cui tocca il cielo con la
punta del naso e la terra con le dita delle mani che non ha…
Spesso Saltarello fa degli esperimenti e mescola i salti con i balzi,
e poi anche con i giri… e anche i balzi con i giri e i giri con i salti...
Saltarello sa saltare tutto intero, ma anche a metà ed è anche capace di far saltare solo il suo naso o solo i suoi piedi e anche il suo
ombelico, che però è molto molto difficile!
Saltarello ha una cara amica che si chiama Lafuni Cella.
Vederli giocare assieme è uno spasso, soprattutto quando Lafuni
gira gira gira più veloce della luce e Saltarello deve cercare di non
perdere neanche un giro… Sembrano la lavatrice della mamma,
quando gira gira veloce veloce per strizzare il bucato!
Saltarello si riposa spesso durante il giorno perché il suo modo di
spostarsi e i suoi giochi sono molto faticosi… Si fa piccolo piccolo, si appoggia sopra il ramo di un albero e nasconde la testa tra
le mani, chiude gli occhi e respira sempre più lentamente, finché i
sogni non lo raggiungono e gli tengono compagnia per un po’...
Lanciare e prendere
Il riflesso di prensione è presente naturalmente fin dalla nascita. Il neonato, fin dai primi mesi di vita, apre le mani, distende le dita, protende le
braccia verso l’oggetto desiderato e poi chiude le mani attorno all’oggetto per farlo proprio. Da questo riflesso, oltre al prendere/afferrare che vedremo successivamente, si sviluppa lo schema motorio del lanciare, un
gesto finalizzato solitamente ad allontanare un oggetto da sé.
Le condotte di lancio richiedono notevoli capacità senso-percettive e
coordinative; infatti, esse implicano una buona conoscenza percettiva
dell’oggetto, la capacità di valutazione della distanza e del “momento
giusto”, un buon livello di sviluppo della coordinazione oculo-manuale e
oculo-podalica, la capacità di variare il gesto in funzione delle caratteristiche dell’oggetto e dell’obiettivo (distanza a cui lanciare, velocità, eventuale bersaglio) del lancio.
Il lanciare è strettamente correlato al processo di maturazione della dominanza laterale e della scoperta, da parte del bambino, del proprio arto
Giocamuoviti
forte, quello con cui meglio riesce a gestire i propri movimenti, soprattutto quelli fini, specialistici di una funzione. La dominanza laterale si manifesta fin dalla nascita; già a partire dai 7 mesi la prevalenza si rivela quando, ad esempio, una delle mani si mostra già più abile dell’altra
nella manipolazione o per il fatto che il bambino tende ad utilizzarla con
maggior frequenza. Fino ai 3 anni la prevalenza può rimanere fluttuante
e sicuramente non è stabile, mentre tra i 5 e i 6 anni, la dominanza è solitamente acquisita e il bambino prende coscienza della differenza tra la
sua destra e la sua sinistra.
Il secondo schema motorio che si sviluppa dal riflesso di prensione è il
prendere-afferrare.
I due movimenti si differenziano facendo riferimento allo stato dell’oggetto: fermo o in movimento; utilizziamo quindi il termine prendere in relazione ad un oggetto fermo e afferrare in relazione ad un oggetto in movimento.
La maggiore o minore difficoltà di presa dipendono dalla natura e dalle
caratteristiche dell’oggetto e dalla tonicità del bambino.
L’afferrare, a differenza del prendere, prevede un più forte coinvolgimento della coordinazione oculo-manuale correlata alla capacità di lettura
delle traiettorie e di anticipazione. L’oggetto, per poter essere afferrato,
deve essere prima seguito attentamente con lo sguardo per poterne leggere la traiettoria di volo o di rotolata; seguono una sequenza complessa di movimenti preparatori che ne consentono la presa. Questo schema
motorio ha un percorso di sviluppo e affinamento molto esteso nel tempo, infatti, mentre la capacità di prensione è già presente in un neonato
di pochi mesi, la capacità di anticipazione comincia a svilupparsi intorno
ai 5/6 anni e vede la sua fase sensibile intorno ai 7-8 anni.
Il canestro mobile
Prima di iniziare il gioco, ad ogni bambino viene data la possibilità
di scegliere un oggetto con cui fare canestro: una palla, una bottiglia, un piccolo tubo di cartone, ecc...
L’insegnante è “il canestro mobile”: simula un cerchio-canestro ponendo le braccia davanti al corpo con le mani intrecciate e inizia
a spostarsi nello spazio con movimenti lenti. I bambini devono seguirlo e cercare di far entrare il loro oggetto nel canestro.
Si può chiedere ai bambini di cambiare il materiale ogni volta che
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Gli schemi motori di base
riescono a centrare il
canestro.
Questo gioco molto semplice inserisce
la tradizionale dinamica del “fare canestro” in
una situazione non statica che offre alcuni interessanti vantaggi: da
una parte stimola maggiormente il bambino
nell’organizzazione dei propri movimenti in funzione del lancio,
dall’altra lascia sempre aperta la scelta sulla distanza da cui effettuare il tiro.
La diversificazione dei materiali, inoltre, lavora in maniera specifica sugli aspetti percettivi del gesto, stimolando il bambino a variare il lancio anche in funzione del tipo di materiale che sta utilizzando in quel momento.
Il lancio delle astronavi
Con del nastro adesivo di carta si disegnano sul pavimento tante figure (cerchi, quadrati, triangoli, ecc) di diverse dimensioni e a
diverse distanze le une dalle altre e si consegna ad ogni bambino
una molletta da biancheria oppure un tappo.
Le mollette sono astronavi e le forme tracciate sul pavimento delle piste, che possono essere utilizzate sia per il lancio sia per l’atterraggio delle astronavi. Ognuno è libero di scegliere le modalità
di lancio, le piste di lancio e di atterraggio.
Ai bambini un po’ più grandi, si può chiedere di scegliere una situazione di lancio, sia come modalità, sia come distanza tra pista
di lancio e atterraggio, che sia “difficile”. Così ogni astronauta potrà “allenarsi” sul proprio lancio difficile.
Questa proposta crea una situazione obliqua di sperimentazione
del gesto motorio, infatti, viene sempre lasciata la libertà di scelta sia in relazione al tipo di lancio che alla distanza di esecuzione.
Questo offre maggiori possibilità di successo per ciascun bambino andando a rafforzare la propria fiducia nel saper fare.
Giocamuoviti
Arrampicarsi
L’arrampicarsi è uno schema molto complesso perché
oltre a prevedere l’implicazione di movimenti coordinati di
arti superiori e inferiori, determina solitamente situazioni in
cui si deve per forza assumere
una prospettiva non abituale e
“guardare il mondo da diversi
punti di vista”. Alla forte implicazione funzionale, quindi, si
affianca un’intensa stimolazione dal punto di vista emotivo.
Il bambino compie i primi esperimenti di arrampicata nel primo anno di vita, quando passa dalla posizione seduta o in
ginocchio a quella eretta, utilizzando gli appoggi e i sostegni che l’ambiente gli offre: un
tavolino, una sedia, il bordo di
una qualsiasi struttura a cui
possa arrivare con le proprie
mani per “tirare su” il proprio corpo rimanendo in appoggio sui piedi.
Le successive esperienze riguardo a questo schema motorio si riferiscono soprattutto al salire le scale, solitamente dalla posizione in quadrupedia nei primi momenti. I più arditi, sperimentano situazioni di arrampicata
anche quando utilizzano schemi già appresi, come la camminata laterale su superfici sospese, ad esempio il bordo di un marciapiede.
Lo schema dell’arrampicarsi, fornisce, nel suo esplicarsi, continue informazioni sia sul corpo attraverso gli appoggi, le prese, le modulazioni
nell’utilizzo delle forze, sia sull’ambiente esterno, le sue caratteristiche,
la possibilità di variare il punto di osservazione.
Dal punto di vista più funzionale, l’arrampicarsi necessita di un uso coordinato di arti inferiori e superiori, di una spiccata percezione in merito a
prese e appoggi, di un buon senso dell’equilibrio e capacità di sostene-
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Gli schemi motori di base
re il peso del proprio corpo. Anche in relazione alla dimensione affettivoemotiva la stimolazione è molto forte, l’esecuzione di questo gesto, infatti, implica il coraggio di staccarsi da terra e il superamento della paura
di cadere e della distanza dal suolo.
È verso i 4/5 anni che il bambino mostra in maniera evidente un’istinti
va tendenza a salire verso l’alto e a sperimentare quindi diverse arrampicate. Quando si porta un gruppo di bambini in una palestra attrezzata,
si vedono correre velocissimi verso le spalliere; solo i bambini più insicuri evitano questo genere di attività.
Lo schema motorio dell’arrampicata, rispetto agli altri, ha bisogno di specifici attrezzi o strutture per l’esecuzione: scale, spalliere, corde, pertiche, alberi con rami bassi e… montagne di tappeti!
Una “scala” di tappeti
Si dispongono molti tappeti, uno sopra l’altro, avendo cura di lasciare ai bordi dei margini da poter utilizzare come appoggio e si
chiede ai bambini di “scalare”. Ognuno sceglierà fin dove avventurarsi, salendo sui bordi-scalino, che facilitano l’arrampicata e consentono di creare aree di sosta in posizione sospesa, dove alcuni
bambini possono decidere di fermarsi.
Giocamuoviti
La tecnica del Poligono del movimento
I movimenti di base si sviluppano e si consolidano attraverso esperienze
che fanno evolvere gli stessi verso la complessità. Quando il movimento
acquista efficacia nella sua esecuzione, si trasforma in abilità motoria.
Combinando gli schemi di base tra loro e variandone i fattori temporali e
spaziali, le caratteristiche di equilibrio, i contesti relazioni e situazionali si
costruiscono occasioni di ampia sperimentazione.
Il graduale uso di attività di questo tipo sviluppa nei bambini la capacità di controllare, adattare e trasformare i movimenti a seconda delle situazioni e degli ambienti. Per variare le proposte in cui sperimentare gli
schemi può essere utile adottare lo strumento didattico detto Poligono
del movimento. Si tratta di una rappresentazione grafica che sintetizza
alcune possibili variabili d’esecuzione del movimento.
Il suo utilizzo è molto semplice: si sceglie la voce di partenza, per esempio la corsa, poi la si combina con una o più voci presenti sugli altri lati
del poligono per costruire una catena di stimoli.
L’incrocio della voce corsa con spazio potrà dar vita a richieste del tipo:
“Correte liberamente nello spazio andando nelle zone vuote” oppure
“Correte sulle linee o seguendo traiettorie immaginarie a zig zag (a spirale, correre indietro o lateralmente, ecc.)”.
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Gli schemi motori di base
Invece l’incrocio fra corsa e tempo, potrà far sperimentare ai bambini
corse lente, veloci e con varie andature:
“Correre come tartarughe (o gazzelle o topolini ecc.)
“Correre rapidissimi”
Ancora, l’incrocio fra corsa e relazioni, potrà offrire l’occasione di condividere la corsa con uno o più compagni:
“Correre, tendendosi per mano, tutti i maschi insieme e le femmine insieme”.
Se l’incrocio si fa tra corsa e due elementi congiunti, ad esempio spazio
e relazione, si potrà formulare:
“Correre in coppia, uno dietro l’altro”
“Correre in tre, stando di fianco”.
E così via.
L’approccio obliquo all’educazione motoria può essere utilizzato in qualsiasi contesto, scolastico ed extrascolastico, motorio e sportivo, con
qualsiasi fascia d’età, in ambienti sia piccoli che grandi, in gruppi omogenei o disomogenei, dentro tempi diversi. Esso esprime tutta la sua efficacia anche nei processi di integrazione di quei bambini che presentano
handicap legati a limiti e rallentamenti nello sviluppo. Può quindi offrire
interessanti stimoli di lavoro agli insegnanti della scuola dell’infanzia nella progettazione di percorsi di attività motoria, che siano intenzionalmente pensati per far vivere ai bambini esperienze positive e sostenerli efficacemente nel loro cammino di crescita.
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E infine un racconto
E INFINE UN RACCONTO
“Non si ha una vita se non la si racconta. Anzi, quello che fa una vita è la narrazione
della vita stessa. Quello che ogni individuo fa, in definitiva, è di raccontarsi costantemente. (…). Disporsi a capire il senso della propria esperienza richiede una storia e le
storie devono avere alla base un’idea dei rapporti umani.”
Jerome Bruner
Guardando i bambini giocare si vede come loro stiano vivendo in una
storia fatta di emozioni che si dilatano dentro piccole avventure.
Spesso l’adulto si chiede come può “restituire” ai bambini questi vissuti
così carichi di senso per ripercorrerli e riassaporarli, certo ci sono le fotografie, i filmati, i disegni... e c’è anche quest’altra proposta che intende
riproporre dentro una narrazione le emozioni vissute nel gioco corporeo.
Si tratta di costruire i personaggi del gioco-racconto che si è visto nel gioco e metterli in una bella scatola con qualche oggetto che serve per creare l’ambientazione, ad esempio un pezzo di stoffa per fare un prato. Per
l’atmosfera basta poco: la luce di una lampada, l’atto di stendere un telo
steso sul tavolo, un attimo di silenzio per poi incominciare.
Poi si racconta muovendo le figure sul tavolino, le espressioni invece
stanno tutte sul volto del narratore. È il teatro di figura, con immagini
prodotte dall’adulto o dai bambini stessi e pochi elementi per creare uno
scenario, che si compone lì per lì: un monte di cartoncino, un prato e un
fiume di panno...
Un’idea molto accattivante è preparare delle figure in cui i visi dei personaggi sono fatti con le facce ritagliate dalle fotografie e un vestito che
piaccia al bambino, così ognuno potrà diventare il personaggio “vero”
della storia. Poi, quando il racconto “vale” per tutti si usa una figurina
anonima, ma quando si decide che il protagonista sia Doriano, si usa la
figurina che ha il suo viso. Naturalmente, per tutti verrà il momento d’essere il protagonista!
Le storie possono essere inventate anche prendendo spunto dall’osservazione di un momento particolarmente emozionante da cui prendere
l’idea per inventare un racconto speciale. La narrazione Il bambino che
rimbalzò in cielo è nata così, osservando e “sentendo” l’emozione che
c’era nei salti dei bambini, specie in quelli di chi ha da poco conquistato
coraggio e sicurezza.
Giocamuoviti
Saltare è come volare, volare è un po’ magia…
Gli ingredienti della storia ci sono, basta raccontarla, magari dicendo:
“Oggi questo bambino si chiama Nicola” e dedicandola proprio a lui,
che sgranerà gli occhi e penserà “Sì, sono proprio io!”. E domani toccherà a Laura e poi a Lorenzo… Ma ora è per te, lettore, per lasciarti come ultima immagine di questo libro un salto in un volo di empatia
e fantasia.
Il bambino che rimbalzò fino in cielo
C’era una volta Nicola, che nel gioco psicomotorio faceva dei bellissimi
salti giù dal tavolo. Si lanciava in aria e cadeva sul tappeto imbottito e
gonfio, facendo dei gran rimbalzi.
Ma un giorno saltò con tanta
forza che fece un rimbalzo così forte e così alto che volò in
cielo e finì su una nuvola!
La nuvola era morbida morbida, Nicola ci si trovò seduto
come su un divano di panna.
Appena atterrato si accorse che
si trovava in cielo e, guardando
giù, vide che sotto di lui le persone erano piccole piccole.
Gli venne da ridere.
La maestra, che non vedeva
più Nicola, si mise a chiamarlo: “Nicola, dove sei?”
Chiamava e richiamava e finalmente sentì una voce.
“Sono qui!” urlava Nicola.
“Ma qui dove?” diceva lei guardandosi in giro.
“Qui, in cielo!”
La maestra alzò gli occhi e si
spaventò moltissimo: “Nicola!
Come sei finito lassù?”
“Ho fatto un salto!”
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E infine, un racconto
“Oh, no! Vengo a prenderti!”
La maestra corse a cercare
una scala. Era agitatissima,
ma continuava a dire a gran
voce: “Stai calmo, stai calmo!”
Ma Nicola era calmissimo, si
era sdraiato sulla nuvola e stava parlando con un uccellino,
che trovava proprio strano il
fatto di trovare lì un bimbo.
Gli adulti invece erano disperati. La maestra aveva chiamato la sua collega e poi il cuoco
e l’ausiliaria e ognuno di loro
era corso a prendere una scala, che però non risultava mai
lunga abbastanza. Neanche a
metterle l’una sull’altra si arrivava in cielo!
Era l’ora di andare a casa ed
ecco arrivare i genitori di Nicola.
La maestra, piena di timore, dovette confessare dov’era finito.
Ma la mamma e il papà avevano una scala lunghissima, la più
lunga di tutte, che misero sopra
le altre. Così il papà salì a prendere il bambino.
“Ma come sei salito in alto, Nicola!” disse il papà prendendolo in braccio. “Anche troppo!”
aggiunse la mamma.
“Eh, ho fatto un salto!” rispose
Nicola.
E se ne andarono a casa felici.
Le maestre tirarono il fiato!
(A. Tava)
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WINNICOTT, D. W. (2006) Il bambino, la famiglia e il mondo esterno,
Editore Ma. Gi. Web.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2008
da Tipografia Editrice Temi s.a.s.
di Bacchi Riccardo & C. – Trento
Provincia autonoma di Trento
Dipartimento Istruzione
esperienze di laboratorio sul movimento
Servizio per lo sviluppo e l’innovazione del sistema scolastico e formativo
un salto, un perché
esperienze di laboratorio sul movimento
Anna Tava - Beatrice Andalò
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