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Articolo Avv. Andrea Bullo

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Articolo Avv. Andrea Bullo
DI CHI E’ IL CLIENTE DELL’AGENZIA ASSICURATIVA?
(TANTO TUONO’ CHE PIOVVE)
Va affacciandosi, nei Tribunali di Milano e di Genova, un orientamento riguardante la
concorrenza sleale nell’ambito della distribuzione assicurativa, le cui implicazioni meritano
la massima attenzione.
Con una recente sentenza (3958/14, seguita a ruota da un’altra di identico tenore, n.
6579/14), cui ha prontamente aderito il Tribunale di Genova con una recente ordinanza
cautelare, pubblicata per estratto su alcuni quotidiani lo scorso 7 aprile 2014, i Giudici si
sono pronunciati (Milano nel merito e Genova, per ora, solo sulla domanda cautelare) su
altrettanti ricorsi per descrizione presentati da alcune Compagnie assicurative contro
propri ex agenti, che avevano illegittimamente fotocopiato e trattenuto la documentazione
contrattuale del “loro” portafoglio, in vista dello sviamento di clientela in favore della nuova
Compagnia in procinto di rilasciare loro il mandato. Tali attività configurerebbero, ad
unanime avviso dei Giudici, una violazione del diritto di proprietà industriale della
Compagnia sui dati personali e contrattuali dei propri clienti.
Entrambe le vicende, per sommi tratti, sono facilmente riassumibili -ed osservate decine di
volte: in vista del cambio di casacca, un Agente si allestisce un proprio “archivio” composto
dai dati personali e contrattuali dei clienti intermediati, in vista dell’invio di una pluralità di
disdette volte allo sviamento di clientela. Nel caso milanese, l’Agente in carica procedette
ad una novazione di mandato, incassò l’indennità di fine gestione e proseguì il rapporto
agenziale in altra forma, accollandosi la rivalsa. Dopo un anno, l’Agente recede
dall’incarico trasferendosi, armi e bagagli (e contratti), presso un’altra Compagnia, per
conto della quale inizia a contattare i clienti della sua ex mandante, proponendo loro le
medesime coperture assicurative a condizioni più vantaggiose.
Per gli operatori del settore, questa prassi è normale. Per il Legislatore e l’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato, questa prassi è auspicabile. Per i Tribunali di Genova e
Milano, invece, l’apprensione di documentazione contrattuale riservata, immessa nella
banca dati della Compagnia mandante, costituisce violazione della proprietà industriale: ed
il suo utilizzo a fini di raffronto con i prodotti della nuova Mandante, ai fini di captare la
clientela, costituisce concorrenza sleale. E va sanzionata: con una condanna “certamente
superiore all’utile” conseguito dall’Agente e dalla sua nuova mandante e con la
pubblicazione della sentenza, a ristoro del danno d’immagine della ex mandante, ancorché
del tutto “eventuale”.
Nel giudizio milanese -definito nel merito e quindi più chiaro nei suoi contorni effettiviconfluiscono due rapporti. Quello tra la Compagnia attrice, ex mandante, ed il suo ex
Agente, e quello tra le due Compagnie contendenti.
Sotto il profilo del rapporto agenziale, il Tribunale non soltanto nega che l’Agente sia
legato alla Compagnia da un rapporto di dipendenza (e va bene) o da un dovere di fedeltà
(e questo, francamente, stupisce): ma giunge ad affermare che “tutta la clientela che
viene, così procurata, è da considerare patrimonio esclusivo dell’assicuratore per cui essa
è stata procurata e, dopo la cessazione dei rapporti, l’agente non può tentare di distrarla a
favore di altri assicuratori concorrenti”. Ciò, quantomeno, “nel contesto normativo “de quo”,
caratterizzato dal monomandato e dal diritto all’indennità di clientela”.
Ove poi i dati relativi alla clientela ed ai contratti siano conservati dalla mandante, essi
“costituiscono il patrimonio dell’esercitata impresa assicurativa e non possono essere usati
dall’agente (che ha già percepito tutti i previsti compensi per aver procurato la clientela
all’assicuratore” per distrarre la clientela medesima”.
L’inciso in argomento offre due spunti di commento essenziali.
In primo luogo, sebbene la sentenza non ne parli espressamente, è agevole arguire che la
titolarità dei dati personali dei clienti ed i dati relativi ai contratti sono cose ben diverse: e
che, mentre i primi possono essere anche acquisiti dall’Agente per il trattamento “in
proprio”, i secondi sono e restano nel patrimonio aziendale della Compagnia, e
costituiscono oggetto di specifica tutela ai sensi degli artt. 98 e 99 del Codice della
proprietà industriale.
Sicché, in definitiva, altro è l’autorizzazione al trattamento dei dati -che nulla impedisce
all’Agente di acquisire dai clienti, assumendo tutti i relativi obblighi di conservazione ed
utilizzo: altro è invece il dato contrattuale, che l’Agente non può apprendere dalle banche
dati della Compagnia per farne un uso volto alla distrazione del portafoglio,
indipendentemente dal fatto che abbia legittimamente acquisito dai clienti l’autorizzazione
al trattamento dei loro dati. Diversamente sarebbe potuta andare la questione, se la
documentazione contrattuale fosse stata rimessa all’Agente direttamente dai Clienti dopo
la cessazione del rapporto agenziale, innescandosi in tal caso un nesso fiduciario diretto
tra Cliente ed Agente (del tutto estraneo allo schema normativo del contratto di agenzia)
nell’ottica della “consulenza” di cui parla l’art. 106 del Codice delle Assicurazioni, volta alla
valutazione della situazione assicurativa in vista di un eventuale replacement presso altra
Compagnia: ma in tal caso, il limite tra Agente e Broker verrebbe ad assottigliarsi
pericolosamente e, comunque, la sentenza (che definisce un giudizio preceduto da una
“descrizione”, strumento cautelare tipico del diritto di proprietà industriale) dà atto del
rinvenimento, presso i locali dell’Agente, di informazioni sistematicamente sottratte ed
usate ai fini del raffronto.
In secondo luogo, nell’ottica del Tribunale, la remunerazione provvigionale esaurisce le
obbligazioni della Compagnia nei confronti dell’Agente per l’acquisizione del Cliente al
proprio patrimonio aziendale: il che, a ben vedere, è del tutto coerente con il sinallagma
contrattuale e va esente da censura. Dal canto suo, l’indennità di clientela (dovuta e
calcolata ai sensi dell’ANA 2003), costituisce una specifica compensazione per il
vantaggio derivante alla Compagnia dalla conservazione del portafoglio dopo la
cessazione del rapporto aziendale, sulla falsa riga di quanto disposto dall’art. 1751 cod.
civ.. Di talché, la sua percezione impedisce all’Agente di distrarre la clientela verso altri
operatori.
A questo punto, però, il tema si fa delicato e merita attenzione.
Rispetto allo schema di cui all’art. 1751 cod. civ., che riconosce all’agente cessato
un’indennità fondata dalla coesistenza di “merito” ed “equità”, le indennità di fine mandato
riconosciute dall’ANA 2003 parrebbero avere carattere di automaticità, non postulando la
valutazione dell’effettiva permanenza, in capo alla ex Mandante, di “sostanziali vantaggi”
derivanti dal portafoglio apportato dall’Agente cessato.
Mentre l’art. 1751 cod. civ. (che trova applicazione nei confronti dei subagenti, salva
diversa pattuizione negoziale più favorevole a questi ultimi), infatti, subordina
espressamente l’indennità al “vantaggio sostanziale” che il preponente continua a ricevere
dal portafoglio sviluppato dall’agente, escludendo l’obbligo dell’indennizzo qualora l’agente
si dimetta o venga revocato per giusta causa, l’indennità di cui all’ANA 2003 è dovuta
anche in caso di dimissioni dell’Agente e (con qualche temperamento) di sua revoca,
anche per giusta causa, senz’alcun riferimento diretto alla continuità portafoliare.
Sennonché, proprio l’istituto della “liberalizzazione”, concepito in termini di eccezionalità
dall’art. 12TER dell’ANA 2003 (potendo essere esercitata dall’Agente o nelle specifiche
ipotesi di cui all’articolo in commento, oppure essendo rimessa alla comune volontà delle
parti), induce a ritenere che l’indennità prevista dall’ANA 2003 è automatica in quanto il
portafoglio non può essere trasferito.
Da un lato, infatti, l’art. 1751 cod. civ. ammette la possibilità che il portafoglio smetta di
produrre “sostanziali vantaggi” per il preponente con la cessazione del rapporto con
l’Agente (nell’ipotesi contraria escludendosi il diritto all’indennizzo): nel qual caso, non si fa
luogo ad alcuna indennità. L’ANA 2003, invece, postula che il portafoglio resti nella
disponibilità della Compagnia, proprio in ragione del fatto che la sua distrazione o è
consentita dall’art. 12TER, o è consentita da uno specifico accordo, oppure non è
consentita affatto.
In altri termini, sono proprio i principali istituti economici dell’ANA 2003 (ed in particolare il
sistema delle indennità e delle rivalse) a determinare quell’immobilismo del settore
distributivo che ha innescato la reazione -talvolta scomposta- del Legislatore, alimentando
i timori di una progressiva “disintermediazione” del settore. Il che spiega l’avversione
dell’AGCM per gli istituti in parola.
Il nodo della questione, infatti, è tutto qui: in presenza di un regime di generalizzata
liberalizzazione (con diritto all’indennità di fine rapporto solo in caso di effettiva
permanenza del portafoglio nel patrimonio della Compagnia) o di uno specifico accordo di
liberalizzazione, le lite in commento non avrebbero avuto ragion d’essere.
D’altra parte, un generalizzato regime di liberalizzazione potrebbe rendere giustizia agli
Agenti delle incertezze legate alle fluttuazioni di mercato rese possibili dagli ultimi
interventi legislativi e dei maggiori costi che essi (unitamente all’implementazione degli
obblighi di compliance) hanno finito col determinare, alleggerendo notevolmente la
sempiterna questione sull’equità delle rivalse, dei metodi di calcolo degli interessi e via
discorrendo.
Si tratterebbe tuttavia di un radicale cambio di prospettiva: fintantoché il rapporto fiduciario
intercorrerà tra la Compagnia e l’Agente, e non tra questi ed il Cliente, avrà poco senso
rivendicare il diritto a combattere sul mercato, dovendoci andare disarmati. Né, a dirla
tutta, il c.d. “plurimandato” sposta i termini della questione -come sembrerebbe
implicitamente adombrare la sentenza-, poiché i dati contrattuali resterebbero comunque
nel patrimonio, anziché di una, di più Compagnie mandanti. Ma la combinazione del
rapporto diretto tra Intermediario e Cliente, e della liberalizzazione “a priori” del portafoglio
descrive la figura del broker.
V’è dunque da chiedersi se l’attuale impostazione seguita dall’ANA 2003 sia in effetti
compatibile con i desiderata del Legislatore e dell’AGCM in tema di “tutela del
consumatore” e di “tendenziale riduzione dei premi assicurativi”, che negli ultimi anni
hanno costituito oggetto di interventi normativi e di indagine accolti con comprensibile
diffidenza dagli operatori e, comunque, rivelatisi ampiamente inefficaci.
La risposta è negativa, e la sentenza in commento lo afferma in modo tranciante.
Da una parte, “il fatto che l’agente cerchi di portarsi, nel nuovo rapporto d’agenzia, il
cliente… è attività illegittima e professionalmente scorretta”. Dall’altra parte, “il fatto… che
l’assicuratore concorrente attiri il cliente medesimo, con tariffe più basse, appartiene,
ugualmente, all’ambito dell’illegittimità e della scorrettezza professionale”, e sarebbe
“onere minimale” della nuova Compagnia mandante, “conoscendo i pregressi rapporti
dell’agente, di compiere tutti i necessari accertamenti, prima della stipula delle nuove
polizze procurategli, per stabilire se ciò avvenisse, illegittimamente, a scapito dell’attore”.
In una prospettiva evolutiva di mercato, tale affermazione è obiettivamente molto forte.
Che le Compagnie affidino i mandati, tendenzialmente, a quegli Agenti che siano in grado
di trasferire il portafoglio precedentemente intermediato nell’interesse di una Compagnia
concorrente, è prassi talmente diffusa da non meritare ulteriori commenti. L’affidamento di
un’Agenzia a “portafoglio zero” appartiene forse ad un romantico passato, così come
l’affidamento d’un’Agenzia perfettamente funzionante “chiavi in mano” è confinata ad
talune ipotesi residuali, prevalentemente di stampo familiare o legate al subentro in
agenzie revocate, che normalmente si portano dietro più problemi che opportunità.
Che le Compagnie siano al corrente dei metodi utilizzati dagli Agenti di nuova acquisizione
per “travasare” la clientela è fuor di dubbio. Che tali metodi possano integrare atti di
concorrenza sleale è, talvolta, altrettanto indubbio, ma da qui ad affermare che la
Compagnia ne sia automaticamente al corrente per il sol fatto di “conoscere i pregressi
rapporti dell’agente” sconta una palese forzatura. E’ dunque nel contenuto dei “necessari
accertamenti” che la nuova Compagnia mandante deve svolgere “prima della stipula delle
nuove polizze procurategli, per stabilire se ciò avvenisse, illegittimamente, a scapito” della
ex Mandante, che deve concentrarsi l’attenzione, poiché la sentenza non esclude a priori
che i Clienti possano seguire l’Agente nella sua nuova destinazione, ma sanziona l’ipotesi
in cui ciò avvenga con mezzi “illegittimi”, vale a dire mediante l’utilizzo dei dati aziendali
riservati della ex Mandante.
In definitiva, sembra che il Tribunale di Milano abbia in mente un mercato “a domanda”
che nella realtà commerciale non esiste affatto. E se esiste, riguarda soltanto
l’assicurazione obbligatoria, e finisce con il risolversi in un bieco confronto tra premi.
Colpisce, dunque, la ritenuta “illegittimità e scorrettezza professionale” che allignerebbe
nell’attività dell’assicuratore concorrente che “attiri il cliente medesimo con tariffe più
basse”. Ove ciò avvenga mediante una preordinata e sistematica attività di raffronto con
dati aziendali riservati, nulla quaestio: è concorrenza sleale. Ma in ogni altro caso -e
comunque in difetto di tale puntuale dimostrazione- non si vede davvero come possa
ritenersi “illegittima” una siffatta proposta, che in sé caratterizza l’economia liberale di
mercato e persegue l’intento del Legislatore di agevolare il consumatore mediante il
contenimento delle tariffe assicurative (in particolar modo nell’ambito della RCAuto) e perché no- mediante l’offerta di prodotti assicurativi maggiormente “adeguati” al profilo di
rischio del cliente.
Insomma, qualcosa proprio non convince: il nodo è venuto finalmente al pettine. Il mercato
si è certamente evoluto (maggiore mobilità, confronto, informazione) ma s’è portato dietro
il retaggio di epoche passate, e l’elastico è ormai giunto alla sua massima estensione. Nel
quadro normativo esistente, continuare a trincerarsi dietro al rapporto fiduciario tra Cliente
e Agente è pura archeoideologia: se tale rapporto esiste, è nell’interesse della Compagnia
che va coltivato. Né d’altra parte è seriamente ipotizzabile che un Agente, vale a dire un
imprenditore che agisce a proprio rischio, sia appetibile su piazza se tutto ciò che può fare
è informare i clienti di aver cominciato a lavorare per un’altra Compagnia assicurativa, per
poi dover attendere che essi compaiano spontaneamente alla sua porta.
Eppure è innegabile che, nell’attuale contesto normativo e di mercato, la linea di confine
tra la concorrenza “sana” e la concorrenza “sleale” sia sempre più labile. Al punto che
un’applicazione rigida del principio enunciato dal Tribunale di Milano finirebbe con
l’impedire qualunque manovra di ampio respiro nella distribuzione assicurativa. Portato al
parossismo, esso avrebbe il dirompente effetto di agevolare comportamenti
anticoncorrenziali da parte delle Compagnie, impedire l’ingresso di nuovi operatori (già
scoraggiati a priori dall’esistenza dell’ANA), impedire la mobilità degli Agenti e, in ultima
analisi, pregiudicare l’attenzione (a tratti ossessiva) riservata dal Legislatore e dalle
Autorità di vigilanza nei confronti del consumatore finale.
Oltre le barricate ideologiche e le finzioni giuridiche c’è il “mercato”. Il cliente dovrebbe
decidere liberamente a chi affidarsi, remunerandolo direttamente, e l’Agente dovrebbe
decidere liberamente dove portarlo, lasciando che le Compagnie si scannino tra di loro a
suon di tariffe e condizioni contrattuali.
Ma questa è la neve ad agosto.
Andrea Bullo
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