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Nepal. Un Paradiso perduto? - Viaggi Avventure nel Mondo

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Nepal. Un Paradiso perduto? - Viaggi Avventure nel Mondo
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L’uscita dal pendio ripido
Testo e foto di Luciano Gerbi
N
onostante abbia già fatto parecchie esperienze
legate a viaggi in paesi con culture e costumi
diversi dai nostri occidentali è sempre con un
certo senso di estraneità che vivo i primi giorni del rientro a casa. Senso di estraneità dovuto principalmente
alla reiterata constatazione del divario sempre più marcato tra quanto è considerato in certi paesi utile ed indispensabile in rapporto a poter vivere “dignitosamente “da quanto invece è considerato tale da noi, ove sempre più pare che la qualità della vita si debba basare
solo su parametri consumistici e di possesso di beni.
Una società sbilanciata e purtroppo oggi anche modellata attraverso scelte politicamente“ miopi e scellerate “
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operate da un governo schiavo solo agli interessi di bottega delle sue varie anime. Scelte populiste per quanto
riguarda la “bassa macelleria” demagogica ed emotiva
che ha sempre bisogno di avere nel “diverso” il nemico
cui attribuire tutti i propri mali e le proprie difficoltà e
parallelamente scelte sempre più elitarie ed ingiuste a
favore di quanti già molto hanno. Scelte che ci stanno
portando a vivere in una società sempre più sperequata ed ove man mano vengono per legge cancellati ed
affossati drammaticamente quei valori di solidarietà e
giustizia solo sui quali si può fondare una convivenza
che possa dirsi realmente “civile “. Se a questo “divario” esistenziale si aggiunge poi la valanga di notizie di
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segno negativo legate alle valutazioni “post 11 settembre” sulla visita di paesi valutati a rischio terroristico ( in
pratica buona parte del mondo ) si corre anche l’alea di
andare in corto circuito domandandosi se il desiderio e
la curiosità che ci hanno spinto, nonostante tutti questi
segnali, ad iniziare certi viaggi siano frutto di sottovalutazione di problemi reali da parte nostra oppure siano una giusta rettifica alla fobia e paura di incontrare
chi è diverso da noi. Ovviamente, anche a seconda dei
paesi, le risposte possono essere ben diverse . Per quanto riguarda il Nepal la nostra valutazione è stata positiva e così abbiamo effettuato il viaggio. Un viaggio “iniziato in casa” con mia moglie, stufa di vivere solo il rac-
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conto di miei viaggi fatti tra Ottobre e Novembre in
Nepal, e con la decisione presa di non aspettare, per
fare qualche cosa assieme in quell’area, il raggiungimento della sua età pensionistica. Una possibilità colta
usufruendo di un paragrafo del nuovo contratto della
Scuola che permette agli insegnanti di avere accesso ad
un permesso “sabbatico” una volta ogni dieci anni, rinunciando allo stipendio e al relativo versamento pensionistico per il periodo usufruito. Un progetto al quale
si sono aggregati man mano alcuni amici con i quali ,
avendo interessi e capacità alpinistiche diverse, si è
modulato al meglio questo viaggio. Un viaggio che nei
primi 15 giorni ci ha portati a percorrere quella che è
ormai un classico di AnM.: la Khumbu Haute Route. Un
percorso ormai descritto in vari resoconti, ai quali vi è
poco da aggiungere se non il fatto che potrebbe essere
oggi arricchito ed impreziosito da alcune brevi varianti
quali la traversata del Kongma- La che porta direttamente dalla valle di Chukkung a Lobuche ed allo scavalcamento dell’ancor meno conosciuto Renjo Pass che
permette di arrivare nella valle del Bothe Kosi, poco sopra Thame direttamente dal paese di Gokyo. Al termine di questa prima parte alcuni del gruppo sono rientrati poi a Ktm mentre in cinque abbiamo fatto una mini- spedizione che ci ha portati a salire il Pancharmo,
una bella e non banale montagna di 6270 m. con partenza e ritorno dalla valle di Thame. Un percorso inusuale dato dal fatto che il Pancharmo viene salito prevalentemente a coronamento di un trek di una dozzina
di giorni che attraversando la regione del Rolwaling
porta al colle del Tesi Lapcha a 5750 m. che da poi accesso alla discesa nella valle del Khumbu. Un percorso
questo molto meno frequentato della zona dell’Everest.
Penso comunque che salire il Pancharmo avendo percorso prima la Khumbu Haute Route , anche se più “antropizzata” del Rolwaling, possa complessivamente regalare non meno emozioni per la carrellata “paesaggistica” che può offrire unita alla soddisfazione del raggiungimento di magnifici belvedere quali Il ChukkungRi, il Kala Pattar, il Cho–La ed il Gokyo–Ri.
La salita al Pancharmo si fa in sei giorni e penso possa
valere la pena di farne circolare e conoscere la relazione in modo più dettagliato.
Il Pancharmo è una bella montagna glaciale che sovrasta di 500 metri il colle del Tesi Lapcha . La sua salita pur
non presentando in condizioni normali particolari difficoltà tecniche è senza dubbio complessivamente più impegnativa delle più conosciute salite all’Island Peak ed
al Mera Peak. Valutazione tecnica PD +. Per salire il
Pancharmo occorre avere il Peak permit al costo di $
450 per quattro persone + $ 40 per ogni altro aggiunto. E’ necessario essere autosufficienti per vitto e pernottamenti poiché occorre passare 3 notti in località
senza appoggi di case o lodge. Noi abbiamo preso un
tutto compreso dal referente nepalese Tshiring che ci ha
forniti dello staff di cucina con il materiale per il campeggio e che ci ha procurato come guida Lapka
Sherpa, persona veramente in gamba e preparata con
già al suo attivo la salita di un paio di 8000. Approfitto
poi di queste note relative all’organizzazione per rendere pubblico il ringraziamento mio e di tutto il gruppo
a Tshiring per la serietà , l’aiuto ed il personale coinvolgimento dimostrato in occasione di un grave problema
di salute ( risoltosi poi per fortuna positivamente ) occorso ad un membro del gruppo nella parte finale del
viaggio
1 Giorno
Namche Bazar – Thame -Ore 3,20
Percorso iniziale molto suggestivo attraverso una bella
pineta (facente parte di un progetto di riforestazione del
Khumbu) che porta poi, dopo essere transitati per alcuni insediamenti arricchiti da una scuola costruita dagli
austriaci, al bel Gompa femminile di Thamo ed a scavalcare il Bothe Kosi poco prima di un bivio. A destra
attraverso il colle alla testata della valle, il Nangpa –La
a 5745 m., si potrebbe direttamente arrivare in Tibet,
ma il Passo è chiuso al turismo, mentre a sinistra una
breve, ma dura risalita porta al bel paese di Thame.
Poco sopra il paese, modernizzato da una centrale elettrica e famoso anche per avere dato i natali a Tenzing
Norgay, vi è lo splendido Gompa , il secondo per importanza del Khumbu, ove ciclicamente viene anche celebrata la grande festa buddista del Mani Ridmu.
A Thame vi sono alcuni lodge e si può scegliere per comodità se stare in tenda, appoggiarsi ad essi o a qualche casa di privata. (Quest’ultima è stata la nostra soluzione).
2 Giorno
Thame – Thyango Kharka
Campo base 4855 m. Ore 5.30
Dal paese salendo per il sentiero che passa dal Gompa
ci si inoltra nella valle che è dominata a sinistra dalle
muraglie ghiacciate del Thyangmoce, Paniyo Tapa e Go
Shar, tutte vette oltre i 6500 m. Il percorso è a mezza costa e attraverso zone da pascolo conduce in poco più di
tre ore alla piana erbosa dell’alpeggio di Thyango
Kharka a 4230 m. ove usualmente ci si ferma per il
pranzo. E’ questo l’ultimo insediamento della valle ed al
fondo del paese (salendo) vi è un piccolo lodge. Qui la
valle piega decisamente a destra e permette finalmente
di vederne la testata verso il colle del Tesi Lapcha dominato a sinistra dai ripidissimi fianchi glaciali del
Pancharmo ed a destra da quelli più articolati del Tengi
Ragi Tau. Risalendo ancora la valle da Thyango i pen-
dii diventano man mano più ripidi e pietrosi e dopo alcuni scavalcamenti di ripide morene si perviene , lasciando a sinistra un incassato lago glaciale, ad un
grande ripiano morenico ove si pone il campo base.
Ore 2,15 dal paese. Fino a questo punto , anche se non
ci avremmo scommesso una lira a favore in certi tratti,
sono arrivati anche gli yak con i nostri carichi.
3 Giorno
Campo Base – Campo Alto 5650 m. Ore 4,15
Alleggeriti al massimo i nostri bagagli ( gli yak non possono salire oltre e non essendosi potuti reclutare altri
portatori a Thame abbiamo solo l’aiuto di due porters,
del cuoco e della guida per il trasporto del materiale al
campo alto ) saliamo con calma la successione delle ripide morene sovrastanti il campo che conducono ad
una zona glaciale che si risale fino sotto alla barra rocciosa che da l’accesso ai pendii verso il colle. Ore 2 circa. Di qui, prima per neve e poi per ripidissimi sfasciumi, si arriva alla strozzatura rocciosa ove un piccolo colatoio glaciale permette di uscire sui più aperti e dolci
pendii nevosi sommatali. Questo tratto se in ghiaccio richiede per sicurezza l’uso dei ramponi e la guida fissa
anche circa 100 metri di corda fissa per i porters che ne
sono sprovvisti. Dopo il colatoio un ultimo strappo su
neve porta contro la parete rocciosa del Tengi Ragi Tau
la cui vetta ci sovrasta di oltre mille metri . Qui, sfruttando un tratto di parete rocciosa aggettante una decina di metri dal ghiacciaio, sono state ricavate alcune
piccole piazzole per le tende dove si monta il campo.
Una posizione alquanto suggestiva anche un se po’allarmante al pensiero di cosa abbiamo sulla testa. Dal
campo, che si trova circa 100 metri di dislivello sotto il
colle del Tesi Lapcha ed a cui si perviene per un dolce
pendio, la via di salita al Pancharmo è quasi tutta visibile ed è con quella visione negli occhi e nel cuore che
passiamo la nottata. Una nottata in quota per quanto mi
riguarda al solito un po’ sfigata ( al Mera Peak mi si era
aperta nel sacco piuma la borraccia che mi ero messo
Congha-La, con il Makalu sullo sfondo
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Sulla cresta finale
dentro perché non gelasse rendendomelo inservibile
per il resto della notte ) poiché alla tenda si rompono tutte e due le cerniere e così si bivacca io e la moglie tra
uno smoccolamento e l’altro cercando di costruire aleatorie barriere di sacchi e vestiti alla invadenza della non
proprio tiepida aria notturna.
4 Giorno
Salita alla Vetta e discesa al Campo Base.
Ore 4 per la salita e 4,30 per la discesa.
Solo 650 metri di dislivello ci separano dalla vetta per
cui decidiamo che è inutile partire molto presto. Sveglia
alle 5 e dopo avere ingollato due tazze di tè e una barretta ci prepariamo legandoci per sicurezza ( siamo su
ghiacciaio ).in due cordate ed alle 6,20 partiamo.
Siamo in quattro più Lapka poiché Silvio ha passato una
pessima notte e decide di non salire. Come accennato
la salita al colle è molto dolce e ci prende circa mezz’ora di cammino. Dal colle si piega a sinistra e si punta al
centro della parete che porta ad un primo pulpito glaciale . La pendenza si fa via via più accentuata. La neve è ottimamente ramponabile , ma abbastanza dura
ed allora decidiamo che e più tranquillo salire su corda
fissa.evitando di fare i tiri di corda in sicurezza..Ci sleghiamo , Lapka ci precede e fissa i 150 metri delle tre
corde che abbiamo sulla parte finale del pendio che si
drizza sui 45 gradi; corde che risaliamo con il prusik .
Dal pulpito riformiamo le due cordate e con un ulterio-
L’alta valle di Thame
re traverso verso sinistra ci si porta poco sotto il filo della cresta. da dove si può vedere il resto del percorso. Si
sale sul dosso parallelo la cresta e sfruttando un largo
corridoio sulla destra si perviene senza difficoltà sotto i
risalti terminali della vetta. Qui in condizioni di poco innevamento e con ghiaccio si può trovare il grosso ostacolo rappresentato da un grande crepaccio trasversale
. Sotto questo crepaccio ghiacciato si dovettero fermare
quelli che avrebbero potuto essere i primi salitori nel
1951 ( Shipton , Gregory ed Evans ) che per tener fede
all’ottica di affrontare la montagna “ by fair means”
non avevano con loro i ramponi. La prima salita fu poi
effettuata nel 1955 dagli inglesi Davis e Boultbee .
Fortunatamente per noi la neve copre bene il crepaccio
che passiamo così senza problemi. Si sale poi con diagonale ascendente fino a raggiungere il filo di cresta
che si percorre brevemente fino alla antecima. Di qui un
ultimo “emozionante” sali- scendi estremamente aereo
ci conduce in una ventina di metri alla vetta vera e propria .Una vetta un pò angusta su cui ci alterniamo, ma
dove senza dubbio immensa è la gioia di Ilda, Rosella,
Dado e del sottoscritto. Ore 4 dal campo Purtroppo il
tempo sta cambiando e le vette dell’Everest e del Makalu
sono già avvolte dalle nubi. Rapidissima la sosta in vetta e subito iniziamo la discesa . Senza problemi ritorniamo al pulpito sopra al grande pendio dove riposizioniamo le tre corde fisse che ci portano velocemente
alla zona meno ripida sopra il colle. Di qui in breve alle tende . Circa 2 ore dalla vetta. Il tempo si ingrigisce
sempre più e scendiamo a valle sotto una leggera nevicata. rientrando alle tende del campo base in poco più
di 2 ore. Felicissimi per la bella salita, ma anche rammaricati dal cambiamento del tempo.( per la cronaca
sarà l’unico giorno in tutto il viaggio in cui abbiamo
avuto al mattino il brutto tempo )
5 Giorno - Campo Base – Thame. Ore 3,15
Si rientra a Thame ove ci rifermiamo per dormire nella
stessa casa dell’andata. Pomeriggio allietato dalla visita dei ragazzi della scuola locale che in occasione di
una festa religiosa vanno di casa in casa a cantare e
ballare ricevendo in cambio offerte di danaro, di biscotti e riso.
6 Giorno
Thame – Namche Bazar Ore 3,15.
Da Namche a Lukla e poi il breve volo che ci riporta a
Kathmandu ove si conclude questo viaggio che è stato
ricco di soddisfazioni sotto tanti aspetti : ritrovo di vecchi contatti locali, trekking a dir poco molto bello con un
gruppo di nove amici su e giù per le varie valli del
Khumbu ed a conclusione la soddisfazione di avere
centrato la salita del Pancharmo, con l’intimistica ciliegina rappresentata dall’avere festeggiato sulle sue pendici il compleanno di mia moglie.
Al di la di tutti questi aspetti personali il viaggio mi ha
però stimolato anche ad una riflessione più ampia sul
come questi squilibri politici mondiali, uniti ad una situazione interna ormai disastrosa, hanno condotto il
Nepal in una situazione di conflitto sociale armato ed
ad una recessione economica legata principalmente al
calo verticale delle presenze turistiche. In assoluto il
Nepal è il paese che più mi ha affascinato in tanti anni
di viaggi per il mondo, ci sono tornato ben otto volte in
circa 20 anni ed ogni volta ha saputo regalarmi nuovi
stimoli ed una carica positiva di emotività. Il Paradiso
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degli Dei era chiamato questo minuscolo regno
Himalajano e mai penso definizione fu più azzeccata.
La domanda che si pone è però quella relativa a se questo paradiso ancora esista . Se si presta orecchio solo
alle note di agenzia ove non passa settimana ove non si
diano notizie di scontri tra movimento Maoista e forze
governative con il loro corollario di morti e feriti la risposta propenderebbe verso il no. Se si torna invece nel
paese , nonostante ci siano frequenti coprifuochi in città, si vedano militari armati con controlli e posti di blocco sulle strade e si giri anche in montagna a Lukla e
Namche Bazar assieme a ragazzetti armati la risposta,
per lo meno per me, è molto più sfumata e meno negativa. Ed è appunto sull’onda di questa risposta “positiva” che mi sono lanciato in queste note, quasi un manifesto a non tagliare fuori il Nepal dai nostri programmi
di viaggio poiché sono convinto che il turismo oltre ad
essere in questo caso fonte di reddito per una buona fetta di popolazione può anche essere un antidoto ed uno
stimolo a che il Nepal stesso non si chiuda su se stesso
in una spirale interna di disgregazione e violenza Da
tenere ben presente è anche il fatto che nel paese non
sono avvenuti mai atti indiscriminati terroristici , ne turisti sono stati fino ad ora coinvolti in alcun scontro. Il movimento maoista stesso ha rilasciato in più occasioni note ad agenzie di stampa occidentali ove si ribadisce che
i turisti sono i benvenuti nel paese e che non sono da
parte loro oggetto di alcun tipo di conflitto. Cercando di
darne una collocazione “storica” penso si possa rimarcare come l’attuale violenza arrivi da lontano, sull’onda
di un sistema monarchico classista e nepotistico che solo dopo i grandi moti di piazza del 1990 ha trovato timide aperture democratiche. Aperture che purtroppo si
sono arenate per immobilismo, frammentazione partitica e anche per una certa dose di ignoranza diffusa che
ha portato a ratificare il potere monarchico come emanazione divina in un referendum popolare. Un equilibrio sociale che già nel 1996 è stato messo in discussione dal neonato movimento maoista che ha iniziato la
propria attività con l’occupazione di terre di latifondisti
nell’Ovest del paese e che sull’onda di un crescente supporto da parte degli strati più poveri ha preso sempre
più potere arrivando in pratica a controllare oggi oltre
metà del paese , soprattutto nelle zone occidentali montane prive di vie di comunicazione. Questo movimento
pare essere stato molto sottovalutato dal Re precedente
che ha sempre affrontato il problema come un fatto di
mera delinquenza sociale. Un equilibrio che però si è
infranto dopo che la famiglia reale è stata sterminata in
un modo mai del tutto chiarito ( La versione ufficiale dice che è stato il figlio del re per contrasti interni ad uccidere tutti i famigliari prima di suicidarsi ) e che al trono è salito il fratello dell’ex re . Costui, considerato “uomo d’ordine” ha militarizzato il problema mandando le
milizie e l’esercito a combattere i maoisti ed il risultato è
l’attuale prova di forza che vede frequenti scontri armati
tra maoisti e forze governative con l’aggravante che
sempre più civili vengono coinvolti negli scontri, radicalizzando così sempre più il problema che vede il rischio
ora di potere trasformarsi in una guerra civile vera e
propria.. Nonostante questo clima pesante la vita del
paese cerca di essere ancora normale.
Di tutte queste tensioni e degli scontri si legge sui giornali, ma per contro, oltre a questi riscontri “negativi”, si
può dire che quotidianamente vengono anche lanciati
appelli alla ricerca di un dialogo per un ritorno ad un
confronto civile e politico tra governo e maoisti a nome
di prestigiose personalità religiose e civili del paese.
Personalmente l’assurdità che questo conflitto rappresenta per molti degli stessi nepalesi la ho colta chiaccherando con quanti dei locali hanno a che fare con i
turisti : dai titolari delle agenzie, alle Guide di trek e
montagna, ai portatori stessi ed ai gestori dei lodge di
montagna. Per tutti costoro gli scontri sono negativi e
tutti sono concordi nel dare la colpa di ciò sia al radicalismo dei maoisti che alla cecità, al malcostume ed alla burocrazia centrale che opera un drenaggio delle risorse a favore dell’apparato governativo, dimenticando
di trasferire almeno parte di queste ricchezze alle popolazioni di campagna e montane . L’attuale situazione,
che ha portato ad un calo turistico sia in Kathmandu città che di trekker nelle zone montane di oltre il 50% in
questi ultimi due anni, pare in una fase di stallo e concretamente nulla pare all’orizzonte capace di trovare
una soluzione al problema. Molto potrebbe penso essere fatto tramite mediazioni internazionali, ma l’attuale
Il gruppo al campo base
congiuntura politica mondiale con l’America sempre
più risoluta ad affrontare e risolvere unilateralmente e
militarmente ciò che non è confacente alla propria visione politica non gioca a favore del Nepal. Non resta
forse allora per noi comuni cittadini che hanno a cuore
le sorti di quell’affascinante paese nulla altro che cercare di darne notizie non solo in chiave negativa . Con la
speranza (anche se ciò si scontra contro ogni ragionevolezza laica del nostro pensiero ) che gli Dei che i nepalesi venerano sulle cime di quelle montagne che noi
tanto amiamo scendano un poco anche a valle ad illuminare e sospingere quanti di buona volontà cercano
con tenacia e fiducia di risolvere in chiave di giustizia
ed eguaglianza i problemi del loro paese. Un paese riconsegnato in un prossimo futuro a quella visione se vogliamo onirica, ma affascinante e coinvolgente di
“Paese degli Dei.”
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