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L`Unione economica e monetaria

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L`Unione economica e monetaria
L’UNIONE ECONOMIA E MONETARIA E
LA RECENTE CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA
dispensa a cura di Marcello Di Filippo1
1. Il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nel modello di UEM antecedente
la crisi
La scelta di introdurre l’euro si è fondata sulla convinzione che la coesistenza di una pluralità di
politiche monetarie nazionali ostacolasse il corretto funzionamento del mercato unico ed esponesse
molti dei paesi membri a instabilità durante crisi economiche o valutarie, episodiche o cicliche che
fossero. I tentativi fatti in passato di introdurre meccanismi di stabilizzazione dei cambi, come ad
esempio il sistema monetario europeo, si erano infatti rivelati insufficienti a evitare le distorsioni
del mercato derivanti dalle fluttuazioni dei valori delle monete nazionali. Di qui la scelta di
procedere all’unificazione monetaria, al fine di proteggere il mercato unico dall’oscillazione dei
cambi, assicurando in tal modo quelle condizioni di stabilità necessarie per favorire la circolazione
dei fattori produttivi e l’efficiente allocazione delle risorse.
I redattori del trattato di Maastricht erano tuttavia ben consapevoli del fatto che, mentre la moneta è
una prerogativa dello Stato sovrano, l’Europa non è uno Stato federale, e in particolare che gli Stati
membri non sarebbero stati disposti a cedere il controllo della propria politica economica. Ben
chiara era inoltre la consapevolezza che le scelte di politica economica producono effetti
redistributivi e incidono sulle prestazioni dello stato sociale; esse pertanto richiedono una
legittimazione democratica che soltanto i parlamenti nazionali possono garantire. Inoltre, le
politiche economiche (come le politiche di bilancio e strutturali) spesso devono tener conto delle
caratteristiche e degli assetti istituzionali nazionali e in molti casi sono l’essenza stessa del dibattito
pubblico e politico di un paese. L’intento era inoltre di introdurre un certo grado di emulazione tra i
responsabili delle politiche economiche nazionali, favorendo così l’affermarsi di migliori prassi che
i governi avrebbero condiviso e perseguito.
Prende vita così la c.d. Unione economica e monetaria (UEM), che è articolata in due pilastri dalla
caratteristiche molte diverse: il pilastro della politica monetaria, fortemente integrato e accentrato
(che vede la BCE giocare un ruolo primario); il pilastro della politica economica, sottoposto a un
meccanismo di coordinamento che unisce strumenti non vincolanti e una procedura di carattere
correttivo (ed eventualmente sanzionatoria) nel cui contesto i maggiori poteri sono nelle mani del
Consiglio. La disarmonia tra i due pilastri rivelerà tutta la propria problematicità alla prova delle
turbolenze originate dalla crisi dei c.d. mutui sub-prime.
1
La dispensa è stata elaborata basandosi in parte sui seguenti contributi:
- Annamaria Viterbo, Roberto Cisotta, ‘La crisi del debito sovrano e gli interventi dell’UE: dai primi strumenti
finanziari al Fiscal Compact’, in Il Diritto dell'Unione europea, 2012, p. 323 ss.;
- Filippo Donati, ‘Crisi dell’euro, governance economica e democrazia nell’Unione europea’, in Rivista AIC, n.
2/2013, pubblicato il 31/05/2013;
- Allegra Canepa, ‘Crisi dei debiti sovrani e regolazione europea: una prima rassegna e classificazione di
meccanismi e strumenti adottati nella recente crisi economico-finanziaria’, in Rivista AIC, n. 1/2015,
pubblicato il 20/02/2015.
1
Per garantire la tenuta del sistema di UEM, nonostante la debolezza di fondo derivante dalla
separazione tra politica monetaria e politica economica, sono stati fissati criteri piuttosto esigenti
per l’adozione della moneta unica, in modo da ammettere nell’eurozona solo Stati che possano
garantire la sostenibilità della finanza pubblica e la stabilità dei prezzi. In particolare, sono stati
fissati i ben noti limiti per il disavanzo di bilancio (3% del PIL) e il debito pubblico (60% del PIL):
tuttavia, occorre evidenziare che il loro rispetto è stato valutato con una certa elasticità rispetto a
paesi che non soddisfacevano in senso stretto i parametri ma dimostravano di aver adottato un
percorso virtuoso e credibile di riduzione del disavanzo.
Inoltre sono stati imposti una serie di obblighi volti ad incentivare gli Stati membri ad adottare una
corretta politica di bilancio e a impedire il c.d. “azzardo morale”, cioè la propensione degli Stati ad
adottare politiche di bilancio non virtuose, confidando nel “salvataggio” da parte dell’Unione o di
altri Stati membri. In questa prospettiva, accanto al divieto di salvataggio finanziario (art. 125
TFUE2), di finanziamento della spesa pubblica da parte delle banche centrali (altrimenti detto
clausola di no bail out: art. 123 TFUE3) e di accesso privilegiato del settore pubblico alle istituzioni
finanziarie (art. 124 TFUE4), è stato previsto che gli Stati dell’eurozona siano vincolati ad osservare
in maniera costante il generale divieto di disavanzi pubblici eccessivi (art. 126 TFUE), che
impedisce il superamento di determinate soglie di disavanzo pubblico e di debito pubblico in
rapporto al prodotto interno lordo (le stesse sopra citate, che costituiscono un requisito per poter
adottare l’euro)5.
Come già accennato, il TFUE impone agli Stati membri l’obbligo di coordinare le rispettive
politiche economiche e affida all’Unione il compito di promuovere tale coordinamento. Come
vedremo, alcuni meccanismi di coordinamento valgono per tutti gli Stati membri, mentre altri (più
stringenti) riguardano specificamente gli Stati che hanno adottato l’euro o si stanno preparando ad
adottarlo.
Il sistema di UEM disegnato a Maastricht ha introdotto a tal riguardo una procedura che prevede
l’adozione da parte del Consiglio, sulle base delle conclusioni del Consiglio europeo, di una
raccomandazione che stabilisce gli indirizzi di massima delle politiche economiche degli Stati
membri e dell’Unione (art. 120 TFUE). La raccomandazione non ha un valore giuridico vincolante,
rappresentando essenzialmente uno strumento di soft law volto a indurre gli Stati membri ad
osservare una sana e prudente politica di bilancio. Il Parlamento europeo è informato dal Consiglio
in merito alla raccomandazione.
2
Par. 1: “L’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali,
locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro, fatte
salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico. Gli Stati
membri non sono responsabili né subentrano agli impegni dell’amministrazione statale, degli enti regionali, locali o
degli altri enti pubblici, di altri organismi di diritto pubblico o di imprese pubbliche di un altro Stato membro, fatte
salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto specifico”.
3
Par. 1: “Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della
Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali
nazionali»), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri
enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto
diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali”.
4
“È vietata qualsiasi misura, non basata su considerazioni prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli
organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di
diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie”.
5
Anche in questo caso l’art. 126 TFUE ammette che circostanze eccezionali o l’adozione di misure credibili volte a
contenere il debito possano far premio su eventuali sforamenti dei parametri (v. par. 2).
2
Gli indirizzi di massima hanno costituito uno dei principali strumenti di coordinamento delle
politiche durante il primo decennio dell’UEM. Dal 2005 gli indirizzi, insieme ai cosiddetti
Orientamenti sull’occupazione (articolo 148 del TFUE), sono confluiti negli Orientamenti integrati:
questi sono adottati al massimo livello politico dai leader dell’UE in occasione del Consiglio
europeo di primavera e vengono aggiornati secondo le esigenze.
Sono state poi introdotte misure preventive, volte a sorvegliare l’evoluzione delle politiche
economiche degli Stati membri, e misure correttive, per l’ipotesi in cui uno Stato membro sia
soggetto ad una situazione di disavanzo pubblico eccessivo.
Rientra nella prima categoria la “sorveglianza multilaterale” disciplinata dall’art. 121 TFUE. A tal
riguardo la Commissione e il Consiglio possono adottare, rispettivamente, avvertimenti o
raccomandazioni (non giuridicamente vincolanti) nei confronti degli Stati membri le cui politiche
economiche non risultino coerenti gli indirizzi di massima stabiliti dal Consiglio o possano
compromettere il buon funzionamento dell’UEM. Il Parlamento europeo è semplicemente
informato dei risultati della sorveglianza multilaterale.
Il c.d. “Patto di stabilità e crescita” (PSC)6 ha cercato di rafforzare questa procedura di controllo
preventivo. Il regolamento (CE) n. 1466/97 ha previsto a tal riguardo l’obbligo degli Stati di
sottoporre al Consiglio e alla Commissione programmi a medio termine per il raggiungimento dei
parametri di deficit e di debito pubblico imposti dal diritto dell’Unione.
Il Consiglio può invitare lo Stato interessato a modificare tali programmi, ove ritenuti inadeguati, e
comunque ne sorveglia l’attuazione, assistito dalla Commissione (e dal Comitato economico e
sociale).
Il Consiglio, se ravvisa una non adeguata attuazione del programma, può adottare una
raccomandazione con la quale invita lo Stato interessato ad adottare adeguate misure correttive.
Se le misure preventive non realizzano i risultati sperati, scatta la procedura correttiva disciplinata
dall’art. 126 TUE (c.d. procedura per disavanzi pubblici eccessivi). Il Consiglio, su proposta della
Commissione e considerate le osservazioni dello Stato interessato, può stabilire l’esistenza di una
situazione di disavanzo eccessivo7 e, sempre su proposta della Commissione, adottare una
raccomandazione volta a far cessare tale situazione entro un determinato periodo.
Se tale raccomandazione non produce effetti, il Consiglio può imporre l’adozione delle misure
ritenute necessarie agli Stati che hanno adottato l’euro per la correzione del disavanzo eccessivo e,
eventualmente, anche misure sanzionatorie, tra cui la costituzione di un deposito infruttifero fino a
quando il disavanzo non sia stato corretto, ovvero l’applicazione di ammende di entità adeguata
(fino allo 0,2% del PIL, aumentabile nei casi più gravi fino allo 0,5%). Il Parlamento europeo non è
coinvolto in questa procedura, ricevendo soltanto un’informazione sulle decisioni adottate dal
Consiglio.
6
Il PSC consisteva inizialmente nella risoluzione adottata dal Consiglio europeo del 17 giugno 1997, e in due
regolamenti attuativi adottati dal Consiglio il 7 luglio 1997: il regolamento n. 1466/97, per il rafforzamento della
sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche , e il
Regolamento n. 1467/97, per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i
disavanzi eccessivi. Come sarà evidenziato più avanti, il PSC è stato oggetto di una riforma nel 2005, che riconosce una
maggiore tolleranza ai paesi che avevano superato la soglia del 3% del rapporto deficit/PIL (al tempo si trattava di
Francia e Germania) ma che siano impegnati in processi di ristrutturazione della spesa pubblica.
7
Il disavanzo eccessivo può essere riscontrato con riguardo sia al parametro sul disavanzo (3% del PIL) che con
riferimento a quello sul rapporto tra debito pubblico e PIL (60%).
3
Il regolamento n. 1467/97, adottato nell’ambito del Patto di stabilità e crescita, ha poi introdotto una
serie di disposizioni per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura
per i disavanzi eccessivi.
Il modello di UEM disegnato a Maastricht, in definiva, attribuisce agli organi dell’Unione deboli
strumenti di coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri e poteri di
intervento ex post in caso di violazione del divieto di disavanzi eccessivi.
Malgrado il parere difforme della BCE, nel 2005 è stata approvata una riforma del PSC che ha
introdotto maggiore flessibilità nelle procedure.
Quanto al meccanismo preventivo, la riforma (introdotta dal regolamento del Consiglio n.
1055/2005) ha consentito una maggiore discrezionalità nella fissazione dell’obiettivo di medio
termine per la stabilità dei conti pubblici nonché nei progressi da compiere in tale direzione.
Per quanto concerne il meccanismo correttivo, le nuove norme (introdotte dal regolamento n.
1056/2005) hanno ampliato il ricorso alla discrezionalità per la determinazione di un disavanzo
eccessivo e le scadenze procedurali sono state estese.
Il Trattato di Lisbona si è limitato ad introdurre un apposito capo dedicato ai paesi dell’eurozona,
che consente al Consiglio l’adozione di specifiche misure per rafforzare il coordinamento e la
sorveglianza della disciplina di bilancio e per elaborare appositi orientamenti di politica economica,
e a formalizzare la costituzione dell’eurogruppo, ovvero la composizione del Consiglio limitata ai
rappresentanti degli Stati la cui moneta è l’euro.
2. La c.d. “Strategia Europa 2020” e l’enfasi posta sulle riforme strutturali
Nella visione delle istituzioni dell’UE, per l’ordinato funzionamento dell’UEM sono necessarie
riforme economiche nei mercati dei beni e servizi e del lavoro intese a rafforzarne la flessibilità e a
favorire la concorrenza, in modo da consentire agli Stati membri di aumentare la crescita potenziale
e l’occupazione nel rispetto dei valori sociali e ambientali tipici della tradizione giuridica europea.
Tali riforme dovrebbero inoltre concorrere a un incremento della produttività e della competitività
negli Stati membri e ne dovrebbero migliorare al contempo la capacità di tenuta agli shock
economici. La necessità di attuare riforme strutturali sarebbe ancora più acuta nell’area dell’euro,
dal momento che gli Stati membri non possono più utilizzare la politica monetaria e la politica del
cambio come propri strumenti di intervento. Le riforme strutturali, quindi, sono state considerate
fondamentali anche per evitare l’emergere di squilibri all’interno dell’area. Quali siano le riforme
da attuare, e con quali contenuti, non è specificato a livello europeo nei dettagli.
È in tale ottica che si colloca la c.d. “Strategia Europa 2020”, adottata dal Consiglio europeo del
giugno 2010. Essa rappresenta la strategia dell’Unione per la creazione di posti di lavoro e la
promozione della crescita attraverso riforme economiche e sociali che tengano anche in debita
considerazione gli aspetti ambientali. Nei tre capitoli dedicati alla crescita intelligente, sostenibile e
solidale, la strategia prevede interventi di politica economica a livello sia nazionale sia di UE con lo
scopo di favorire il benessere dei cittadini europei. Le ambizioni di Europa 2020 si concretano in
cinque obiettivi principali sul piano europeo, riguardanti: 1) occupazione; 2) ricerca e sviluppo; 3)
cambiamento climatico; 4) istruzione; 5) povertà.
In quanto tale, pertanto, la Strategia non può essere considerata uno strumento finalizzato a
smantellare lo Stato sociale o a diminuire le garanzie per le fasce più deboli della popolazione o i
4
servizi pubblici primari. Al contrario, essa tiene conto dei valori extra-economici e mette al primo
posto le preoccupazioni di ordine sociale ed ambientale8.
Ogni anno gli Stati membri presentano nell’ambito della strategia i programmi di riforma nazionali
che, in linea con gli Orientamenti integrati, si prefiggono di superare gli ostacoli specifici di ogni
singolo paese alla crescita e all’occupazione. Gli sforzi degli Stati membri sono sostenuti a livello
dell’UE dalle “iniziative prioritarie” e dalle politiche di accompagnamento concernenti, ad esempio,
il completamento del mercato unico, il finanziamento della ricerca e dell’innovazione nonché il
miglioramento dell’accesso delle società dell’UE ai mercati mondiali.
Europa 2020 fa seguito alla strategia di Lisbona (adottata nel 2000), che ha ottenuto risultati solo
modesti soprattutto a causa del debole sistema di governance, della mancanza di chiari obiettivi e
delle carenze di comunicazione. La nuova strategia si propone di ovviare a questi inconvenienti,
principalmente attribuendo al Consiglio europeo un ruolo incisivo nel promuovere l’attuazione del
programma di riforme e rafforzando la sorveglianza sulle politiche di riforma degli Stati membri.
3. La crisi e le misure di salvataggio poste in essere a favore degli Stati in difficoltà: dagli
interventi ad hoc al Meccanismo europeo di stabilità
Il livello di indebitamento pubblico nell’UE era piuttosto elevato, specie in alcuni Paesi, già prima
che l’onda della crisi esplosa nel 2008 negli Stati Uniti investisse l’Europa.
Da quella che potrebbe essere chiamata la «prima crisi greca», esplosa tra il 2009 e il 2010,
l’attenzione si è concentrata su taluni indicatori divenuti nel frattempo celebri, al punto da costituire
riferimento quotidiano obbligato anche delle cronache giornalistiche. Si tratta del prezzo dei credit
default swaps e soprattutto dello spread (o differenziale) sugli interessi da pagarsi tra le nuove
emissioni di titoli di Stato dei paesi considerati a rischio e il bund, il titolo del debito pubblico
tedesco, considerato sommamente affidabile e preso come parametro di riferimento (quantomeno
nell’area europea).
La condizione dei debiti sovrani è divenuta preoccupante a causa del perverso gioco combinato di
diversi fattori (ma con varianti a volte non trascurabili da paese a paese). In linea generale può dirsi
che negli Stati ormai da diverso tempo considerati a rischio — i ben noti PIIGS (Portogallo, Irlanda,
Italia, Grecia e Spagna) — consistenti stock di debito pubblico accumulati negli anni sono divenuti
via via sempre meno sostenibili, a causa di fondamentali macroeconomici non perfettamente sani
(causati da debolezze e arretratezze strutturali che affondano le loro radici in un passato anche
lontano), di condizioni politiche incerte che non hanno permesso l’attuazione di programmi di
risanamento efficaci e coerenti, di inveterate pratiche di bad governance o addirittura di corruzione
e infiltrazione della criminalità.
La crisi finanziaria iniziata nel 2008, tramutatasi in crisi anche dell’economia reale a livello globale,
non poteva che aggravare tale situazione, col determinarsi di una fase negativa del ciclo economico.
I fondamentali dei paesi a rischio ne hanno ulteriormente sofferto almeno per due ragioni. In primo
luogo, le casse pubbliche hanno dovuto farsi carico degli interventi straordinari resisi necessari per
il recupero e il rilancio delle attività economiche in vari settori (es. salvataggio di istituti bancari
nazionali). In secondo luogo, con una crescita più bassa, o addirittura negativa, del PIL, che
costituisce la base per il calcolo dei deficit annuali, questi ultimi si sono ulteriormente accresciuti
aggravando così l’esposizione debitoria. È quindi divenuto sempre più difficile il collocamento dei
8
Le formule contenute nella Strategia sono abbastanza ampie da consentire di declinarle in ogni Stato secondo le
concezioni prevalenti nel rispettivo ordinamento giuridico e nella rispettiva comunità politica.
5
titoli del debito pubblico per questi Paesi, che si sono visti costretti a concedere agli investitori tassi
di interesse insostenibili per le casse pubbliche nel medio-lungo periodo. Non raramente tuttavia, le
difficoltà sperimentate in tali collocazioni sembravano essere causate da perplessità dei mercati
sulla tenuta dell’UEM in generale, le turbolenze concentrandosi poi nell’immediato sugli anelli
deboli della catena.
Malgrado gli sforzi per il salvataggio della Grecia e i pesanti sacrifici che sono stati imposti alla
popolazione, lo Stato ellenico viene ancora considerato a rischio default. Un più sicuro successo
sembrano avere avuto le altre azioni di aiuto poste in essere, come si dirà, a favore di Irlanda e
Portogallo.
Nell’ottobre del 2009 l’annuncio del nuovo governo greco che il rapporto deficit/PIL era pari al
12,5%, anziché al 3,7%, come invece comunicato dal precedente governo, comportò
immediatamente una pesante reazione dei mercati finanziari con un forte deprezzamento dei titoli di
debito pubblico greco. La crisi, accentuata dalla speculazione finanziaria, rese ben presto chiaro che
la Grecia si trovava nell’impossibilità di emettere nuovi titoli di debito a un tasso accettabile.
Di fronte a questa situazione, da più parti venne ipotizzato di abbandonare la Grecia al suo destino.
Ciò avrebbe comportato l’insolvenza dello Stato greco, la fuoriuscita dall’euro9 e il ripristino della
valuta nazionale, con possibilità di ricorrere in futuro all’inflazione come strumento per
riequilibrare i conti pubblici e supportare le esportazioni. Una soluzione del genere, tuttavia,
avrebbe causato consistenti perdite alle banche (soprattutto tedesche e francesi) che avevano
sottoscritto titoli del debito pubblico greco, con inevitabili ripercussioni anche sulle economie dei
paesi più forti. Inoltre l’uscita della Grecia avrebbe messo a repentaglio la tenuta complessiva del
sistema euro e la sua credibilità a livello internazionale.
I capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Unione europea hanno quindi deciso di
intervenire a favore della Grecia. A tal fine è stato approntato un “pacchetto” di misure, al di fuori
del diritto dell’Unione, che comprende un accordo di finanziamento tra la Grecia e gli altri Stati
dell’eurozona, con cui viene messa a disposizione della Grecia una linea di credito in forma di
prestiti bilaterali (per un totale di 80 miliardi di euro), e un accordo tra gli Stati creditori. A ciò si è
aggiunto un finanziamento di 30 miliardi di euro del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Fa parte del “pacchetto” anche un Memorandum of Understanding (MoU), sottoscritto tra la Grecia,
la Commissione in rappresentanza dei paesi dell’eurozona e il FMI, che definisce gli impegni cui è
subordinata la concessione dei prestiti.
A tal fine, il MoU non solo prevede un obbligo di diminuzione della spesa pubblica al fine di
contenere il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo (PIL), ma specifica altresì concretamente i
tagli da realizzare. Esso contiene inoltre l’impegno della Grecia a realizzare determinate riforme
strutturali relative, ad esempio, al settore sanitario e al mercato del lavoro. Il carattere di stretta
condizionalità dell’aiuto, cioè la sua subordinazione all’impegno dello Stato beneficiario di
9
Si tenga presente, tuttavia, che la c.d. uscita dall’Euro non è espressamente contemplata dal diritto vigente, né come
forma di sanzione, né come atto volontario del singolo Stato. Dal punto di vista giuridico formale, a tal fine una
revisione in tal senso del TFUE potrebbe sicuramente fornire una base giuridica idonea: ci si può chiedere se in questo
caso sarebbe sufficiente una revisione semplificata ai sensi dell’art. 48, par. 6 TUE.
Può essere posta tuttavia una domanda ulteriore: se il Consiglio ha il potere, sulla base dell’art. 140 TFUE, di far
partecipare alla zona euro uno Stato con deroga e di fissare le condizioni per tale ingresso, non si potrebbe sostenere che
ha anche il potere contrario, a tutela dell’integrità della stabilità della zona euro medesima? A tale quesito si deve con
tutta probabilità dare una risposta negativa, in quanto il TFUE ha preso in esame l’ipotesi in cui uno Stato della zona
euro si allontani dal rispetto dei c.d. parametri e si è “accontentato” di prevedere la procedura per i disavanzi eccessivi,
senza configurare la possibilità di adottare una misura così radicale.
6
realizzare determinate riforme economiche e sociali, sarà mantenuto in tutti i successivi interventi di
assistenza finanziaria.
Per realizzare un periodico monitoraggio sul rispetto del MoU (che è propedeutico al trasferimento
delle varie tranches del prestito), la c.d. troika (formata da rappresentanti di Commissione, BCE e
FMI) intrattiene uno stretto dialogo con le autorità greche.
La gravosità degli impegni contenuti nel MoU rappresenta un elemento critico del dibattito
sul rapporto tra UE e Stati membri (e in particolare sul ruolo del parlamento nazionale del
paese che riceve i prestiti e accetta le c.d. condizionalità senza poter realmente contrattare).
Occorre tuttavia considerare che la grave situazione greca era stata determinata in gran
parte da dinamiche interne, che la crisi finanziaria ed economica ha solo accelerato e
portato in superficie. Inoltre, i fondi provenivano in gran parte dai bilanci pubblici di altri
Stati, che non potevano esimersi dal pretendere che le proprie risorse fossero utilizzate per
un serio risanamento dei deficit strutturali e non andassero “a fondo perduto”.
Nel frattempo la crisi si era aggravata e estesa a altri paesi (Portogallo e Irlanda). Il sistema di UEM
introdotto dal Trattato di Maastricht poneva tuttavia una serie di divieti e di vincoli che limitavano
la possibilità di interventi finanziari da parte dell’Unione a favore degli Stati membri in difficoltà.
Tale sistema, com’è noto, individua la garanzia della stabilità dei prezzi come il principale obiettivo
della politica monetaria dell’Unione. Proprio in funzione di tale garanzia, che la Germania aveva
posto come condizione irrinunciabile per l’accettazione della moneta unica, è stata prevista una
serie di vincoli che limitano fortemente la possibilità dell’Unione di effettuare interventi di
assistenza finanziaria a favore degli Stati membri.
In particolare, l’art. 125 TFUE ha vietato all’Unione e agli Stati membri di rispondere o di farsi
carico degli impegni di un altro Stato membro (clausola di “non salvataggio” o “no bail out”). Tale
disposizione è volta a garantire che gli Stati membri rimangano sottoposti alla logica di mercato
allorquando contraggano debiti. In tal modo gli Stati dovrebbero essere indotti a seguire una politica
di bilancio virtuosa, non potendo contare sull’aiuto dell’Unione o di altri Stati membri in caso di
situazioni di insolvenza.
L’art. 123 TFUE impedisce inoltre alla BCE e alle banche centrali nazionali di concedere scoperti
di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia alle autorità e agli organismi di diritto
pubblico dell’Unione o degli Stati membri, nonché di acquistare direttamente, presso questi ultimi,
titoli del loro debito. L’art. 124 TFUE vieta poi qualsiasi misura che offra all’Unione o agli Stati
membri forme di accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie.
L’unica forma di assistenza finanziaria prevista dal diritto dell’Unione è quella disciplinata dall’art.
122 par. 2 TFUE, che consente al Consiglio, su proposta della Commissione, di concedere, “a
determinate condizioni”, un’assistenza finanziaria in favore di uno Stato membro che “si trovi in
difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze
eccezionali che sfuggono al suo controllo”.
Proprio in forza di tale disposizione, nel maggio 2010, fu adottato il regolamento volto a istituire il
meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF)10. La creazione del MESF
consentiva al Consiglio, su proposta della Commissione, di decidere a maggioranza qualificata la
concessione di aiuti agli Stati membri, sotto forma di linee di credito, subordinatamente
10
Regolamento (UE) n. 407/2010 del Consiglio dell’11 maggio 2010, che istituisce un meccanismo europeo di
stabilizzazione finanziaria.
7
all’assunzione da parte dello Stato interessato di obblighi di risanamento finanziario. Tuttavia, il
finanziamento erogabile da parte del MESF era limitato alle disponibilità del bilancio dell’Unione,
all’epoca pari a circa 60 miliardi. Somma, questa, che appare enorme in termini assoluti, ma che era
invece del tutto inadeguata per le dimensioni della crisi finanziaria allora in atto.
L’insufficienza delle risorse di bilancio dell’Unione convinse i capi di Stato e di governo che, per
fronteggiare la crisi, era necessario operare al di fuori del diritto dell’Unione. Il ricorso a strumenti
di diritto internazionale, del resto, avrebbe permesso di superare la resistenza di alcuni Stati, in
particolare il Regno Unito, non favorevoli all’utilizzo di risorse dell’Unione per aiutare i paesi
dell’eurozona in difficoltà.
Contemporaneamente all’istituzione del MESF, pertanto, i rappresentanti dei governi dei 17 paesi
dell’eurozona raggiunsero un accordo, in forza del quale venne istituito il fondo europeo per la
stabilità finanziaria (FESF), una società lussemburghese partecipata dagli Stati dell’eurozona, che
si finanzia sul mercato internazionale mediante l’emissione di obbligazioni garantite da ciascuno
Stato in proporzione alla propria quota di sottoscrizione del FESF. Si trattava di un accordo
internazionale in forma semplificata, perché permetteva di rendere il FESF immediatamente
operativo, senza necessità di ottenere l’approvazione dei Parlamenti nazionali degli Stati firmatari11.
Un ulteriore accordo di diritto internazionale tra il FESF e i 17 Stati dell’eurozona ha poi
disciplinato i termini e condizioni per l’erogazione dei finanziamenti, consentiti fino all’importo
complessivo di 780 miliardi di euro (di cui 211 garantiti dalla Germania, 158 dalla Francia, 140
dall’Italia).
Anche gli aiuti concessi dal FESF sono basati su un criterio di stretta condizionalità: la
Commissione, in rappresentanza degli Stati dell’eurogruppo, e il paese beneficiario degli aiuti, sono
chiamati a sottoscrivere un MOU che definisce i tagli di spesa e le riforme strutturali cui l’aiuto è
subordinato. Il FESF aveva carattere temporaneo, in quanto destinato a cessare il 30 giugno 2013.
Nel novembre 2010 era l’Irlanda a dover chiedere l’aiuto dell’UE e del FMI.
L’assistenza finanziaria da parte dell’UE veniva garantita tramite il MESF ed il FESF,
venendo affiancata da prestiti bilaterali di Svezia, Regno Unito e Danimarca.
In totale, veniva garantito un intervento per un ammontare pari a 85 miliardi di euro.
L’Irlanda s’impegnava, dal canto suo, in un piano quadriennale di aggiustamento di
bilancio e di riforme strutturali, che avrebbe negoziato, come di consueto, con la
Commissione e il FMI, in collegamento con la BCE (la cd. Troika).
Poco dopo, la crisi dei debiti sovrani mieteva una nuova vittima: si trattava del Portogallo,
al quale il Consiglio ECOFIN decideva di concedere un pacchetto di aiuti — richiesti poco
più di un mese prima — nella riunione del 16-17 maggio 2011.
L’intervento iniziale, per un ammontare di 52 miliardi di euro, veniva concesso anche in
questo caso tramite il MESF ed il FESF e altri 26 miliardi venivano messi a disposizione dal
FMI.
Il MESF e il FESF venivano tuttavia percepiti dai mercati finanziari come strumenti non ancora
adeguati a risolvere in maniera definitiva i problemi derivanti dalla crisi del debito sovrano. Inoltre
erano stati sollevati dubbi circa la compatibilità di tali strumenti con il divieto di assistenza
finanziaria stabilito dall’art. 125 TFUE. Era stato altresì sostenuto che la crisi del debito sovrano,
essendo causata dalle erronee politiche economiche e di bilancio di alcuni governi, non fosse
11
Si vedano la Decisione dei diciassette Stati membri dell’area euro riuniti nell’Eurogruppo del 7 giugno 2010, e
l’European Financial Stability Facility Framework Agreement concluso il 7 giugno 2010 tra i Paesi dell’area euro e la
società veicolo FESF e successivamente modificato il 21 luglio 2011.
8
riconducibile a quelle circostanze eccezionali fuori dal controllo dello Stato che giustificano il
ricorso agli interventi di cui all’art. 112 par. 2 TFUE.
Nella riunione del Consiglio europeo del 28 e 29 ottobre 2010, i capi di Stato o di Governo hanno
pertanto convenuto sulla necessità di introdurre un meccanismo permanente per la soluzione delle
crisi e di procedere alla revisione dei Trattati necessaria a tale scopo. Il Consiglio europeo, con la
decisione 2011/199 del 25 marzo 2011, ha utilizzato la possibilità di modificare il TFUE con una
procedura semplificata ai sensi dell’art. 48, par. 6 TUE. Per effetto di tale modifica, è stato
aggiunto all’art. 136 TFUE un terzo comma, che permette espressamente agli Stati membri la cui
moneta è l’euro di “istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per
salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme”, fermo restando che “la concessione di
qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa
condizionalità”.
I 17 Stati dell’eurozona hanno poi concluso, il 2 febbraio 2012, il trattato che istituisce il
meccanismo europeo di stabilità (MES)12, uno strumento permanente di sostegno finanziario
volto a salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso, e destinato a
sostituire il MESF e il FESF.
Il MES è un’organizzazione internazionale sottoposta al diritto internazionale pubblico, con sede in
Lussemburgo, della quale fanno parti tutti gli Stati dell’eurozona13, dotata di un capitale di circa 700
miliardi di euro. Ciascuno degli Stati che partecipa al MES è responsabile limitatamente alla quota
di sottoscrizione del capitale.
Inoltre, gli Stati la cui moneta è l’euro saranno tenuti a corrispondere al MES le sanzioni finanziarie
ad essi applicate ai sensi del Regolamento (UE) n. 1173/2011 relativo all’effettiva applicazione
della sorveglianza di bilancio nell’area euro e del Regolamento (UE) n. 1174/2011 sulle misure
esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell’area euro (v. oltre).
L’aiuto del MES, erogato sulla base di un rigoroso criterio di condizionalità, è riservato agli Stati
che, con la sottoscrizione del Fiscal Compact (v. oltre), si sono impegnati a una gestione virtuosa
del bilancio e ad accettare i mezzi correttivi eventualmente individuati dalla Commissione. Non
diversamente da quanto previsto per il FESF, l’aiuto prestato dal MES può essere realizzato in
differenti modi, come l’erogazione di prestiti, l’acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato
primario o secondario, la concessione di prestiti finalizzati alla ricapitalizzazione di banche o
istituzioni finanziarie nazionali.
Le condizioni di politica economica cui è subordinato il sostegno sono definite in un Memorandum
d’intesa negoziato con lo Stato beneficiario dalla Commissione, di concerto con la BCE e - ove
possibile - con il FMI. La sorveglianza sul rispetto della condizionalità applicata al sostegno MES è
affidata alla Commissione di concerto con la BCE e, ove possibile, al FMI.
12
Il Trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è stato firmato dagli Stati appartenenti all’area euro
l’11 luglio 2011 in una prima versione, per poi essere modificato e firmato in una nuova versione il 2 febbraio 2012. Le
modifiche apportate tengono conto delle decisioni adottate il 21 luglio e il 9 dicembre 2011 dai Capi di Stato e di
Governo dei Paesi euro al fine di accrescere la flessibilità del MES legata a un’adeguata condizionalità, incrementarne
la capacità di impegno, prevedere una procedura di votazione d’urgenza e collegarlo al c.d. Fiscal Compact.
Alla sua entrata in vigore, prevista per il luglio 2012, il MES si è sostituito al MESF e al FESF nel fornire assistenza
finanziaria agli Stati euro ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. Il FESF
resterà operativo esclusivamente ai fini di gestire le operazioni di prestito già poste in essere.
13
Al Trattato istitutivo del MES hanno aderito successivamente Lettonia e Lituania, che hanno adottato l’euro
rispettivamente a partire dal 1° gennaio 2014 e dal 1° gennaio 2015.
9
Il principale organo del fondo è il Consiglio dei governatori, formato dai ministri finanziari
dell’eurozona e con la partecipazione – in qualità di osservatori – del presidente della BCE e del
Commissario per gli affari economici e monetari. Al Consiglio dei governatori sono attribuiti ampi
poteri relativi, tra l’altro, all’attivazione e alla scelta dei meccanismi di assistenza finanziaria in
favore degli Stati in difficoltà, alla modifica del capitale sociale e all’emissione di nuove azioni.
Spetta inoltre al Consiglio dei governatori la nomina del consiglio di amministrazione e del direttore
generale.
Le decisioni in materia di assistenza finanziaria devono essere adottate “di comune accordo” dai
membri del Consiglio dei governatori, salvo casi di emergenza, in cui le deliberazioni possono
essere adottate con la maggioranza dell’85%.
Tra il 2012 e il 2013 la Spagna ha beneficiato del sostegno del MES. Dal marzo 2014
Cipro è entrato in regime di assistenza da parte del MES.
La guida del MES rimane dunque saldamente ancorata nelle mani dei governi nazionali. Spetterà
quindi a ciascuno Stato garantire che il proprio rappresentante nel Consiglio dei governatori operi
nel rispetto dei principi costituzionali interni.
Si noti che non è prevista alcuna partecipazione del Parlamento europeo alla procedura. Tale scelta,
di impronta prettamente intergovernativa, si pone peraltro in contrasto con le critiche e le riserve
più volte espresse da molti osservatori ed anche dal Tribunale Federale Costituzionale tedesco.
Nulla impedirebbe, in futuro, di modificare le regole procedurali, in modo da dare al Parlamento
europeo un maggior ruolo nel contesto delle decisioni più importanti concernenti la concessione dei
prestiti e le c.d. condizionalità.
La struttura e le competenze attribuite al MES sono tali da poterlo assimilare a un fondo monetario
europeo, un’organizzazione regionale con caratteristiche simili a quelle del FMI e che ne integra
le attività . Le funzioni svolte da Commissione europea e BCE (e dalla Corte di giustizia)14 per
conto del MES ne attenuano (in parte) la natura intergovernativa.
Molto si è discusso sulla compatibilità delle misure di assistenza finanziaria accordate nel corso
della crisi (il “pacchetto” di aiuti alla Grecia, il MESF, il FESF e il MES) rispetto alle disposizioni
dei Trattati ed in particolare al divieto di salvataggio finanziario stabilito dall’art. 125 TFUE. È
stato tuttavia convincentemente ricordato che tale disposizione è stata introdotta per impedire
l’”azzardo morale”, cioè la propensione degli Stati ad adottare politiche di bilancio non virtuose,
confidando nel “salvataggio” da parte dell’Unione o di altri Stati membri. La ratio dell’art. 125
TFUE, pertanto, è quella di garantire la stabilità dell’eurozona nel suo insieme. Analoga funzione è
del resto svolta dai divieti di finanziamento della spesa pubblica da parte delle banche centrali (art.
123 TFUE), di accesso privilegiato del settore pubblico alle istituzioni finanziarie (art. 124 TFUE) e
di disavanzi pubblici eccessivi (art. 126 TFUE). Si può quindi ritenere che un aiuto concesso sulla
base di un criterio di stretta condizionalità, imponendo al beneficiario l’adozione di un rigoroso
programma di tagli alla spesa pubblica e di riforme strutturali per la riduzione del deficit e del
14
La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a conoscere di qualsiasi controversia relativa
all’interpretazione e all’applicazione del Trattato MES tra le parti contraenti o tra queste e il MES, che non sia stata
composta in maniera amichevole nell’ambito del Consiglio dei governatori (art. 37). Tale competenza è attribuita in
applicazione dell’art. 273 TFUE, che così recita: “La Corte di giustizia è competente a conoscere di qualsiasi
controversia tra Stati membri in connessione con l'oggetto dei trattati, quando tale controversia le venga sottoposta in
virtù di un compromesso”.
10
debito pubblico, non solo non contrasti con il divieto di cui all’art. 125 TFUE, ma anzi concorra a
realizzare lo scopo perseguito dagli articoli 123-126 TFUE.
Sono dunque condivisibili le conclusioni cui è giunta la Corte di giustizia nella recente sentenza
resa sul caso Pringle15, che ha respinto i dubbi circa la compatibilità del MES con il diritto
dell’Unione.
4. Gli interventi non convenzionali della Banca centrale europea e l’interpretazione elastica
del proprio mandato
A fronte della gravità della crisi del debito sovrano, anche la BCE ha svolto un importante ruolo di
sostegno agli Stati più colpiti dalla crisi, mediante operazioni di acquisto di titoli del debito
pubblico sul mercato secondario.
Una volta emersa la dimensione e la gravità della crisi, il Consiglio direttivo della BCE, nella
riunione del 14 maggio 2010, ha approvato il Securities Market Program (SMP), un piano di
acquisto sul mercato secondario di titoli statali di debito pubblico dei paesi dell’eurozona. Per
effetto di tale decisione, la BCE ha acquistato sul mercato secondario obbligazioni degli Stati
dell’eurozona in difficoltà per un importo di circa 210 miliardi di euro.
Secondo la BCE queste operazioni non violano il divieto di finanziamenti di cui all’art. 123 TFUE,
che impedisce operazioni di acquisto soltanto sul mercato primario. L’acquisto dei titoli sottoposti
ad attacchi speculativi, secondo questa impostazione, è finalizzato a salvaguardare i meccanismi di
trasmissione della politica monetaria, il cui corretto funzionamento sarebbe ostacolato da un
eccessivo squilibrio fra i tassi sui titoli del debito pubblico applicati negli Stati membri. In realtà è
evidente che questo tipo di intervento mira essenzialmente a risolvere la crisi del debito sovrano.
Il Consiglio direttivo della BCE, nella riunione del 6 settembre 2012, ha comunque deciso di
sostituire il SMP con il programma delle Outright Monetary Transactions (OMT, tradotto in
italiano con Operazioni monetarie definitive), un meccanismo che consente acquisti illimitati sul
mercato secondario di titoli del debito pubblico degli stati dell’eurozona. La BCE ha sottolineato
che le OMT consentiranno “di far fronte alle gravi distorsioni nei mercati dei titoli di Stato,
originate in particolare dai timori infondati degli investitori sulla reversibilità dell’euro” e ha
precisato che tali operazioni, essendo volte a “contrastare i rischi per la stabilità dei prezzi a medio
termine”, “sono pienamente in linea con il mandato primario della BCE”16.
15
Corte di giustizia, 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle c. Irlanda.
In Germania l’adozione del programma OMT ha suscitato perplessità tali da sollevare un procedimento di fronte al
Tribunale costituzionale federale, vertente in sostanza sull’esistenza in capo alla BCE di una competenza ad adottare
tale programma e sui rischi per le finanze pubbliche tedesche, in quanto gli acquisti di titoli dei paesi in difficoltà
possono generare perdite per la BCE con conseguenti possibili oneri aggiuntivi per gli Stati membri azionisti della BCE
stessa fra i quali la Germania. Il Tribunale ha sollevato un rinvio pregiudiziale sulla validità (per vizio di incompetenza)
e la Corte di giustizia è ora chiamata a pronunciarsi (causa C-62/14, Gauweiler e altri).
Il 14.1.15 l’Avvocato generale ha presentato le sue conclusioni, affermando che la decisione istitutiva del programma
OMT è legittima
“provided that, in the event of that programme being implemented, the ECB refrains from any direct involvement in the
financial assistance programmes to which the OMT programme is linked, and complies strictly with the obligation to
state reasons and with the requirements deriving from the principle of proportionality”
e
“provided that, in the event of the programme being implemented, the timing of its implementation is such as to permit
the actual formation of a market price in respect of the government bonds”.
Secondo l’Avvocato generale, pertanto, le misure non convenzionali come le OMT possono essere legittimamente
16
11
L’attivazione di OMT è subordinata all’adesione da parte dello Stato interessato a un programma
dell’EFSF o del MES, nonché dall’assunzione da parte dello Stato interessato di misure volte al
risanamento finanziario. In tal modo si realizza una forte complementarietà tra gli interventi del
MES, finalizzati a garantire aiuti agli Stati bisognosi, e quelli della BCE, finalizzati a garantire il
corretto funzionamento della politica monetaria.
Senza dubbio, con il SMP e con gli OMT la linea di confine tra interventi di mera politica
monetaria volti a garantire la stabilità dei prezzi e misure di assistenza finanziaria è diventata assai
incerta. L’esperienza della crisi, è stato osservato, riflette una tendenza verso la “politicizzazione”
della politica monetaria, come confermato dalla circostanza che la BCE, insieme al FMI, è stata
attivamente coinvolta, sebbene con un ruolo consultivo, nella definizione di tutti i piani di
salvataggio per gli Stati in crisi (il “pacchetto” di aiuti alla Grecia, il MESF, il FESF e il MES).
A conferma di quanto ora osservato, può essere citato un ulteriore caso di intervento non
convenzionale della BCE, il c.d. Quantitative easing (ribattezzato dalla stampa il “bazooka di
Draghi), che è stato avviato all’inizio del 2015 quale strumento straordinario necessario a stimolare
la ripresa della concessione di crediti alle imprese e ai privati da parte degli istituti bancari.
Allo stesso modo, occorre ricordare che è in corso di realizzazione la c.d. unione bancaria, nel cui
ambito è previsto che, una volta entrato a regime il meccanismo centrale di vigilanza gestito dalla
BCE sulle banche “di rilevanza sistemica” (circa 130 in tutta l’Eurozona), il MES avrà la possibilità
di ricapitalizzare direttamente gli istituti di credito17. Ciò conferma ulteriormente la
complementarietà delle azioni del MES e della BCE.
I poteri della BCE hanno quindi subito una sostanziale trasformazione, permettendo alla stessa di
operare in via di fatto come prestatore di ultima istanza anche nei confronti degli Stati, allo scopo di
contribuire al loro salvataggio e al mantenimento della stabilità del sistema euro nel suo complesso.
Secondo alcuni osservatori, questa tipologia di interventi da parte della BCE richiederebbe un più
forte controllo democratico, da attuarsi preferibilmente con un maggior coinvolgimento del
Parlamento europeo. In alternativa, si può sottolineare che dovrebbero essere innanzitutto i governi
degli Stati membri, prima di assumere impegni circa programmi di riforme e di risanamento, a
condividere le proprie scelte con i rispettivi parlamenti nazionali.
5. Il rafforzamento della governance economica dell’Unione europea attraverso la modifica
delle regole generali
La crisi del debito sovrano e gli sviluppi successivi hanno fatto emergere le debolezze del modello
di UEM introdotto a Maastricht e perfezionato con il Patto di stabilità e crescita. In effetti, gli
strumenti di indirizzo, coordinamento e controllo ivi previsti si sono rivelati troppo deboli, e non
hanno impedito che la scorretta politica di bilancio di alcuni Stati membri ponesse a repentaglio la
tenuta del sistema euro nel suo complesso.
Accanto agli interventi di sostegno finanziario descritti in precedenza (§§3-4) – volti a fronteggiare
nell’immediato la crisi del debito sovrano e la sfavorevole congiuntura economica (con una
pericolosa spirale deflattiva in tutta la zona euro) – è stato quindi previsto un rafforzamento dei
adottate dalla BCE come strumenti di politica monetaria con il vincolo dell’esistenza di circostanze eccezionali che ne
giustifichino l’utilizzo e della diffusione di tutte le relative informazioni che permettano anche un’eventuale valutazione
successiva in sede giurisdizionale sulla loro proporzionalità.
17
Per un primo inquadramento dell’unione bancaria, v. qui e qui.
12
poteri dell’Unione in materia di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati
membri, al fine di evitare nel futuro il ripetersi di quelle situazioni di dissesto finanziario in alcuni
Stati che sono alla base della crisi che ha investito l’eurozona. Non diversamente da quanto è
accaduto per gli interventi di assistenza finanziaria, anche in questo settore gli Stati membri hanno
utilizzato sia il diritto dell’Unione, sia accordi di diritto internazionale.
In primo luogo, il 7 settembre 2010 il Consiglio ECOFIN dava il suo avallo alla costituzione del
c.d. semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche (spesso indicato
semplicemente come semestre europeo), volto a coordinare la procedura di controllo del rispetto dei
parametri del Patto di Stabilità e Crescita con quella di analisi del coordinamento delle politiche
economiche degli Stati Membri sulla base degli indirizzi di massima di cui all’art. 121 TFUE18.
Il semestre europeo si svolge durante la prima metà dell’anno ed è stato introdotto per meglio
allineare la sorveglianza dell’UE sulle politiche economiche a quella sulle politiche di bilancio, due
procedure tuttora giuridicamente distinte. Poiché consente di valutare contemporaneamente le
politiche macroeconomiche e di bilancio a fronte degli Orientamenti integrati, dovrebbe assicurare
una maggiore coerenza tra le diverse attività di sorveglianza in termini di direzione delle politiche e
segnalazione. Inoltre, nell’ambito del semestre europeo, la sorveglianza per singolo paese è
integrata da quella per tema, che si incentra sui progressi compiuti nel settore delle riforme
strutturali più ampie convenute nel quadro della strategia Europa 2020.
Il semestre europeo è seguito dal c.d. “semestre nazionale”, che si tiene nella seconda metà
dell’anno, quando gli Stati membri completano i bilanci nazionali e attuano le misure di politica
economica concordate durante il semestre europeo.
In secondo luogo, sempre il 7 settembre 2010, l’ECOFIN approvava l’istituzione del Comitato
europeo per il rischio sistemico (European Systemic Risk Board, ESRB), organismo indipendente
incaricato della vigilanza finanziaria macroprudenziale che avrebbe visto formalmente la luce il 16
dicembre successivo19.
In terzo luogo, viene approvato nel novembre 2011 il cosiddetto six pack20, un “pacchetto” di
cinque regolamenti e una direttiva, volto a realizzare un maggior coordinamento delle politiche
economiche degli Stati membri e un rafforzamento delle procedure per disavanzo eccessivo.
18
Esso ha preso il via con la presentazione, da parte della Commissione, dell’Analisi annuale della crescita (Annual
Growth Survey, AGS): Comunicazione della Commissione – Analisi annuale della crescita: progredire nella risposta
globale dell’UE alla crisi, 12 gennaio 2011, doc. COM (2011) 11 def.
Tale analisi è stata poi esaminata nelle riunioni dell’Eurogruppo e del Consiglio ECOFIN del 17-18 gennaio 2011 e
quest’ultimo ha poi adottato il 15 febbraio 2011 le Council Conclusions on European Semester: macroeconomic and
fiscal guidance.
19
L’ESRB, la cui attività veniva preparata in quei mesi da un segretariato istituito in seno alla BCE, sarebbe stato
formalmente istituito con Regolamento (UE) n. 1092/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre
2010, relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato
europeo per il rischio sistemico. Sempre il 24 novembre venivano adottati i regolamenti istitutivi dell’Autorità bancaria
europea (European Banking Authority, EBA), dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e
professionali (European Insurance and Occupational Pensions Authority, EIOPA) e dell’Autorità europea degli
strumenti finanziari e dei mercati (European Securities and Markets Authority, ESMA).
Tali Autorità, insieme all’ESRB, al Comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza (AEV) e alle autorità
competenti o autorità di vigilanza degli Stati membri specificate negli atti istitutivi delle tre AEV costituiscono il
Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF) (cfr. www.esrb.europa.eu).
20
Il Six pack comprende:
13
Il principale obiettivo del six pack è il rafforzamento della procedura per disavanzo eccessivo,
nonché della “sorveglianza multilaterale”, previste dagli artt. 121 TFUE e 126 TFUE e perfezionate
con il Patto di stabilità e crescita.
Per quanto concerne procedura per disavanzo eccessivo, sono stati rafforzati i presupposti per la
sua attivazione21, ridotti i tempi di svolgimento della stessa, incrementate le sanzioni (ammende
corrispondenti allo 0,2 % del PIL, che possono scattare anche nel caso di manipolazione dei dati
statistici sull’entità del debito e del deficit).
In aggiunta, la riforma ha diminuito il rischio che le sanzioni possano venire “bloccate” da una
decisione del Consiglio (come avvenuto a favore della Germania e della Francia nel 200322),
attraverso l’introduzione della votazione a maggioranza “rovesciata” o “inversa”: se in precedenza
la regola generale era che le sanzioni erano decise dal Consiglio, adesso nella maggior parte dei casi
spetta alla Commissione determinare le sanzioni, che il Consiglio può bloccare solo con voto a
maggioranza qualificata.
Per quanto concerne il rafforzamento della sorveglianza multilaterale, viene introdotta ex novo la
procedura per gli squilibri macroeconomici, attraverso due regolamenti adottati in base
all'articolo 121, par. 2 TFUE. Il primo (il n. 1176/2011) definisce le caratteristiche della nuova
procedura di sorveglianza e riguarda tutti gli Stati membri dell'UE. Il secondo - che riguarda i soli
paesi dell'area euro - articola il meccanismo che garantisce il rispetto dei nuovi parametri, inclusa la
previsione di potenziali sanzioni.
-
Regolamento (UE) n. 1173/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, relativo
all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro;
- Regolamento (UE) n. 1174/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, sulle misure
esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro;
- Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, che modifica
il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio
nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche;
- Regolamento (UE) n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, sulla
prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici;
- Regolamento (UE) n. 1177/2011 del Consiglio, dell'8 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n.
1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi
eccessivi;
- Direttiva 2011/85/UE del Consiglio, dell’8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli
Stati membri.
21
A seguito della riforma, infatti, per far scattare la procedura ex art. 126 TFUE è ora sufficiente l’esistenza di un debito
pubblico eccessivo, anche se il deficit rientra nei parametri consentiti.
22
I due Stati erano sottoposti a una procedura per deficit eccessivi (tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003), avendo il
Consiglio constatato (su raccomandazione della Commissione) l’esistenza di tali deficit e avendo raccomandato
l’adozione di misure correttive. Tra la fine di ottobre 2003 e l’inizio di ottobre 2003, la Commissione aveva
raccomandato al Consiglio di adottare una decisione con cui constatava la mancata adozione di misure correttive
adeguate e intimava l’adozione di ulteriori misure, più stringenti. Nella seduta del 25 novembre 2003, il Consiglio non
adottava tale decisioni in quanto non veniva raggiunta la prescritta maggioranza (in particolare, la maggioranza
qualificata degli Stati membri); tuttavia il Consiglio adottava, con la maggioranza qualificata degli Stati dell’eurozona
(ad eccezione degli Stati interessati), delle “conclusioni” che contenevano solo in parte le raccomandazioni a Francia e
Germania, sulla scorta delle indicazioni della Commissione, e che dichiaravano la procedura di deficit “sospesa” in
attesa di ulteriori valutazioni. La Commissione ha impugnato tali conclusioni sostenendo che erano contrarie alle
disposizioni dell’allora TCE in quanto contenevano una decisione e nuove raccomandazioni non richieste dalla
Commissione, ed era stata adottata con una maggioranza diversa da quella prescritta: la Corte di giustizia ha dato
ragione alle Commissione con sentenza del 13 luglio 2004, causa C-27/04, Commissione c. Consiglio.
14
Con riferimento alla parte preventiva, la procedura per gli squilibri macroeconomici si basa su di
un meccanismo di allerta che identifica in quali Stati membri vi siano indicatori di potenziali
squilibri macroeconomici in corso di emersione che potrebbero richiedere approfondimenti
ulteriori.
In particolare, si demanda alla Commissione europea una valutazione periodica dei rischi derivanti
dagli squilibri macroeconomici in ciascuno Stato membro. La valutazione sarebbe basata su un
quadro di riferimento composto da 11 indicatori economici (scoreboard). Per ciascun indicatore
sono precisate delle soglie di allerta, che possono individuare livelli sia eccessivamente alti che
eccessivamente bassi della variabile.
Il quadro di tali indicatori, accompagnato da un’analisi economica, viene presentato in un rapporto
annuale presentato nel mese di novembre, l'Alert Mechanism Report. Il rapporto identifica gli Stati
membri che sono a rischio di squilibrio macroeconomico e che si ritiene debbano essere sottoposti
ad una analisi più approfondita (In-Depth Review).
L'obiettivo della procedura è pertanto quello di identificare i possibili squilibri in uno stadio
preliminare, in modo tale che siano adottate per tempo le azioni necessarie a prevenirne l'ulteriore
evoluzione. È utile evidenziare che il meccanismo di allerta è un filtro per identificare paesi e
indicatori che richiedono un’analisi più approfondita. La presentazione di una lettura economica
ragionata viene effettuata per evidenziare che non vi è automatismo nella analisi, cioè che il
superamento della soglia di un determinato indicatore non implica automaticamente che per quel
paese venga dichiarata l'esistenza di uno squilibrio macroeconomico.
Le conclusioni dell'Alert Mechanism Report vengono esaminate dal Consiglio europeo e
dall'Eurogruppo. Sulla base delle istruttorie fatte, la Commissione redige una lista degli Stati per i
quali si ritiene sussista un rischio di eccesso di squilibrio macroeconomico e per i quali si procede
con l'analisi più approfondita.
Se, in seguito all'analisi approfondita, la situazione del paese viene considerata non problematica, la
Commissione non propone alcun passo aggiuntivo. Se la Commissione però ritiene che esista uno
squilibrio macroeconomico, essa può redigere una proposta di raccomandazione per lo Stato
membro. Se invece la Commissione ritiene che vi siano squilibri rilevanti, la Commissione può
proporre al Consiglio di aprire una Procedura di squilibrio eccessivo (Excessive Imbalance
Procedure, EIP), la cui regolamentazione ricade nell'ambito del braccio correttivo della nuova
procedura, valida solo per gli Stati che hanno adottato l’euro e disciplinata dal regolamento n.
1174/2011, su cui v. oltre).
Nel doc. COM (2014) 150 del 5 marzo 2014, la Commissione ha presentato le proprie
considerazioni sugli eventuali squilibri macro-economici. L’Italia viene valutata come attraversata
da squilibri eccessivi che richiedono un attento monitoraggio e una decisa azione politica da parte
delle autorità italiane:
L’Italia presenta squilibri macroeconomici eccessivi che richiedono un monitoraggio
specifico e un’azione politica vigorosa. In particolare, è urgente prestare attenzione politica
alle implicazioni di un debito pubblico molto elevato e di una competitività esterna debole,
entrambi ascrivibili in ultima analisi al protrarsi di una crescita deludente della
produttività. Date le dimensioni dell’economia italiana, è importante intervenire in maniera
decisa per ridurre il rischio di effetti negativi sul funzionamento dell’economia del paese e
della zona euro.
15
La Commissione intende avviare attività di monitoraggio specifiche delle politiche
raccomandate dal Consiglio all’Italia nel contesto del semestre europeo e in tal senso
riferirà periodicamente al Consiglio e all’Eurogruppo.
Più specificamente, l’elevato debito pubblico grava pesantemente sull’economia, in
particolare in un contesto di crescita cronicamente debole e di inflazione contenuta. Una
delle grandi sfide per l’Italia sarà raggiungere e mantenere avanzi primari molto elevati (al
di sopra delle medie storiche) e una forte crescita del PIL per un lungo periodo, due
condizioni indispensabili per riportare il rapporto debito/PIL su un chiaro percorso di
riduzione. Nel 2013 l’Italia ha compiuto progressi verso l’obiettivo di bilancio a medio
termine. Tuttavia l’aggiustamento del saldo strutturale nel 2014 potrebbe risultare
insufficiente, vista la necessità di ridurre l’elevatissimo rapporto debito pubblico/PIL a un
ritmo adeguato. La crisi ha eroso la resilienza iniziale del settore bancario italiano e sta
indebolendo il suo ruolo di sostegno alla ripresa economica.
Le perdite di competitività sono dovute al continuo disallineamento tra i salari e la
produttività, a un elevato cuneo fiscale sul lavoro, a una struttura delle esportazioni
sfavorevole e a una quota elevata di piccole imprese poco competitive a livello
internazionale. Le rigidità nella determinazione dei salari ostacolano un’adeguata
differenziazione in funzione degli sviluppi della produttività e delle condizioni locali del
mercato del lavoro.
Le inefficienze inveterate della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario, le
carenze nella governance delle imprese ed elevati livelli di corruzione e di evasione fiscale
gravano sull’efficienza allocativa dell’economia e ostacolano la concretizzazione dei
benefici delle riforme adottate.
Importanti lacune in termini di capitale umano, che rispecchiano il basso rendimento
dell’istruzione per le nuove generazioni, la specializzazione del paese in settori a tecnologia
medio-bassa e le debolezze strutturali nel sistema di istruzione, rendono più impegnativa la
sfida della produttività.
Il rapporto per il 2015 segnala il persistere dei problemi e la necessità di affrontare in maniera
sistemica le questioni (v. qui), sottolineando come l’Italia continui ad essere attraversata da squilibri
eccessivi che richiedono un attento monitoraggio23.
Come accennato, il regolamento (UE) n. 1174/2011 ha introdotto una nuova procedura per la
correzione degli squilibri macroeconomici, intesi come trend negativi dell’economia di un
singolo Paese che rischiano di diffondersi all’intera UEM.
Tale procedura (EIP) si basa su una disciplina correttiva in cui Commissione e Consiglio
interagiscono per fornire raccomandazioni e piani di correzione al Paese membro interessato, con
possibilità di infliggere sanzioni fino allo 0,1% del PIL.
Più in particolare, questa nuova procedura intende individuare e fronteggiare gli squilibri
macroeconomici e la perdita di competitività. Andrà quindi a integrare il processo di sorveglianza
dei paesi attualmente previsto dalla strategia Europa 2020, che si incentra sulla promozione di una
crescita e di un’occupazione sostenibili e socialmente solidali.
Laddove la Commissione abbia individuato squilibri macroeconomici eccessivi e abbia proposto
proporre di avviare la “procedura per gli squilibri macroeconomici”, il Consiglio formula
raccomandazioni di politica economica al paese sottoposto a una procedura per gli squilibri
eccessivi, il quale a sua volta dovrà presentare un piano di azione correttivo in cui sono esposte le
politiche nazionali in risposta alla raccomandazione del Consiglio.
23
Nella gradazione dei giudizi forniti dalla Commissione, tale condizione è preoccupante, in quanto precede quella che
comporta l’attivazione di misure vincolanti nei confronti dello Stato membro. L’Italia “condivide” tale valutazione poco
lusinghiera con Bulgaria, Francia, Portogallo, Ungheria. Per la “posizione” degli altri Stati membri, v. qui.
16
L’attuazione di tale piano da parte dello Stato membro in questione sarà quindi soggetta all’attento
monitoraggio della Commissione e del Consiglio, processo che comprenderà rapporti sullo stato di
avanzamento dei lavori e missioni di sorveglianza. In caso di inosservanza delle raccomandazioni, è
previsto un meccanismo sanzionatorio, ispirato alla procedura per i disavanzi eccessivi nell’ambito
della sorveglianza dei conti pubblici (v. le sanzioni sopra richiamate, che possono arrivare fino
all’0.1% del PIL).
Secondo alcuni osservatori, il rafforzamento della governance europea dell’economia porrebbe un
problema di legittimazione democratica. A tal riguardo, viene osservato che il regolamento (UE) n.
1175/2011 ha introdotto il cosiddetto “dialogo economico”. Si tratta di una procedura in base alla
quale la competente commissione interna del PE può invitare il presidente del Consiglio, la
Commissione e, eventualmente, il presidente della Consiglio europeo o dell’Eurosummit, per
illustrare le misure adottate per il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. La
partecipazione del PE alle scelte di governance economica consentita dal “dialogo economico”,
tuttavia, appare ancora insufficiente24.
Il Fiscal Compact (2012)
Nel contesto della reazione alla crisi, è stato fatto ricorso anche a strumenti giuridici atipici. In
particolare, rientrano nella categoria delle intese tra Stati il c.d. “Patto euro plus”25 e il “Trattato
sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria” (meglio
noto come “Fiscal Compact”).
Concentrando l’attenzione sul Fiscal Compact, esso è un accordo internazionale concluso in forma
solenne, sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 Stati dell’Unione europea, che in larga parte
conferma regole già contenute nel six pack26. Esso mira a rafforzare la stabilità finanziaria
24
Per i resoconti di tali attività, v. qui.
In una riunione dell’Eurosummit dell’11 marzo 2011 è stato adottato il testo del Patto per l’euro che istituisce un
coordinamento più stretto delle politiche economiche per la competitività e la convergenza, che sarebbe stato presentato
alla successiva riunione del Consiglio europeo.
Tale patto - che rappresenta un accordo di natura politica senza immediati effetti giuridici - aveva il dichiarato intento di
consolidare il pilastro economico dell’UEM attraverso un coordinamento più stretto delle politiche economiche
nazionali e una serie di impegni che riguardano questioni ricadenti nella competenza nazionale (riguardanti soprattutto
la competitività, l’occupazione e la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche). Il patto incorpora gli
strumenti esistenti di coordinamento delle politiche economiche, in particolare la strategia Europa 2020. Gli Stati
membri partecipanti si sono impegnati a compiere uno sforzo straordinario e ad adottare azioni concrete più ambiziose
di quelle già convenute. Il patto rientra nel semestre europeo e gli impegni assunti a livello nazionale sono verificati
ogni anno dai capi di Stato o di governo.
Il Patto euro è stato sottoscritto dagli Stati dell’area euro, e successivamente cui si sono aggiunti su base volontaria
Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Polonia e Romania: di qui la denominazione di Patto euro plus.
Il Patto è riportato come allegato alle conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2011.
26
Secondo S. PEERS, ‘The Stability Treaty: Permanent Austerity or Gesture Politics?’, in European Consitutional Law
Review, 2012, 404 ss., nessuna delle disposizioni del Fiscal Compact sarebbe necessaria sotto un profilo giuridico, nel
senso che esse o sono già previste dal diritto dell’Unione (in particolare dal six pack) oppure potrebbero essere
agevolmente essere previste con atti di diritto dell’Unione. Piuttosto, secondo l’A., il Fiscal Compact avrebbe una
valenza di natura politica, facilitando agli Stati che partecipano al MES e al FESF l’approvazione da parte dei rispettivi
Parlamenti. In una prospettiva simile, v. anche G.L. Tosato, ‘La riforma costituzionale del 2012 alla luce della
normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno’, in Atti del Seminario “Il principio dell’equilibrio di
25
17
dell’eurozona attraverso un maggior coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli
Stati membri ed è strettamente collegato al MES, nel senso che possono beneficiare dei contributi di
quest’ultimo solo gli Stati che hanno ratificato il Fiscal Compact.
Anche se il Fiscal Compact è un accordo intergovernativo separato dall’ordinamento dell’Unione
europea27, le parti contraenti si sono impegnate a fare in modo che il suo contenuto possa in futuro
essere incorporato nel diritto dell’Unione. In ogni caso il Fiscal Compact deve essere interpretato e
applicato in conformità del diritto dell’Unione, e non limita le competenze dell’Unione in materia di
politica economica e monetaria.
Per quanto concerne la procedura per i deficit eccessivi, l’art. 7 del Fiscal Compact obbliga le parti
contraenti la cui moneta è l’euro a sostenere le proposte o le raccomandazioni della Commissione
adottate nei confronti degli Stati dell’eurozona che abbiano violato il criterio del deficit nell’ambito
della procedura per i disavanzi eccessivi. Tale obbligo di sostegno alla Commissione non sussiste
quando una maggioranza qualificata di parti contraenti la cui moneta è l’euro – esclusa quella la cui
posizione è oggetto di decisione – si esprime in senso contrario alla raccomandazione della
Commissione. Si noti che questo aspetto (c.d. reverse majority voting) era già previsto nel six pack.
L’aspetto di maggior rilievo del Fiscal compact è probabilmente l’affermazione della “regola del
pareggio di bilancio” (di cui all’art 3), che gli Stati contraenti sono obbligati a inserire
nell’ordinamento interno, con una norma preferibilmente di rango costituzionale (anche se gli Stati
possono optare per un’altra soluzione non costituzionale)28.
Art. 3
1. Le parti contraenti applicano le regole enunciate nel presente paragrafo in aggiunta e
fatti salvi i loro obblighi ai sensi del diritto dell'Unione europea:
a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in
pareggio o in avanzo;
b) la regola di cui alla lettera a) si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della
pubblica amministrazione è pari all'obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale
definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo
strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Le parti contraenti
assicurano la rapida convergenza verso il loro rispettivo obiettivo di medio termine. Il
quadro temporale per tale convergenza sarà proposto dalla Commissione europea tenendo
conto dei rischi specifici del paese sul piano della sostenibilità. I progressi verso l'obiettivo
di medio termine e il rispetto di tale obiettivo sono valutati globalmente, facendo
riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in
materia di entrate, in linea con il patto di stabilità e crescita rivisto;
bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012” (Roma, Palazzo della Consulta, 22 Novembre 2013), p. 22.
27
Si tenga presente che il progetto iniziale era di modificare il TFUE, con l’accordo di tutti gli Stati membri e facendo
salva la posizione speciale di Regno Unito e Danimarca rispetto all’Unione monetaria. Ciononostante, alla fine dei
negoziati Regno Unito e Repubblica Ceca si sono opposti all’attivazione di una procedura formale di revisione dei
trattati istitutivi, obbligando gli altri Stati ad “uscire” dal quadro giuridico dell’UE, stipulando un trattato che è
formalmente valido solo nei rapporti tra di essi, pur essendo sostanzialmente collegato al TFUE. Siamo di fronte, in altri
termini, a un’altra ipotesi sui generis di geometria variabile.
28
L’Italia ha proceduto a modificare l’art. 81 Cost., attraverso la legge costituzionale n. 1/2012, a cui ha fatto seguito la
legge ordinaria di attuazione n. 243/2012.
18
c) le parti contraenti possono deviare temporaneamente dal loro rispettivo obiettivo di
medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze
eccezionali, come definito al paragrafo 3, lettera b);
d) quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è
significativamente inferiore al 60% e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine
delle finanze pubbliche sono bassi, il limite inferiore per l'obiettivo di medio termine di cui
alla lettera b) può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dell'1,0% del prodotto
interno lordo ai prezzi di mercato;
e) qualora si constatino deviazioni significative dall'obiettivo di medio termine o dal
percorso di avvicinamento a tale obiettivo, è attivato automaticamente un meccanismo di
correzione. Tale meccanismo include l'obbligo della parte contraente interessata di attuare
misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito.
2. Le regole enunciate al paragrafo 1 producono effetti nel diritto nazionale delle parti
contraenti al più tardi un anno dopo l'entrata in vigore del presente trattato tramite
disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui
rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di
bilancio. Le parti contraenti istituiscono a livello nazionale il meccanismo di correzione di
cui al paragrafo 1, lettera e), sulla base di principi comuni proposti dalla Commissione
europea, riguardanti in particolare la natura, la portata e il quadro temporale dell'azione
correttiva da intraprendere, anche in presenza di circostanze eccezionali, e il ruolo e
l'indipendenza delle istituzioni responsabili sul piano nazionale per il controllo
dell'osservanza delle regole enunciate al paragrafo 1. Tale meccanismo di correzione deve
rispettare appieno le prerogative dei parlamenti nazionali.
3. Ai fini del presente articolo si applicano le definizioni di cui all'articolo 2 del protocollo
(n. 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi, allegato ai trattati dell'Unione europea.
Ai fini del presente articolo si applicano altresì le definizioni seguenti:
a) per "saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione" si intende il saldo annuo
corretto per il ciclo al netto di misure una tantum e temporanee;
b) per "circostanze eccezionali" si intendono eventi inconsueti non soggetti al controllo
della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione
finanziaria della pubblica amministrazione oppure periodi di grave recessione economica ai
sensi del patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della parte
contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine.
Questa regola impone l’osservanza di limiti al saldo strutturale annuo della pubblica
amministrazione e al rapporto debito-prodotto interno lordo e, in caso di mancata osservanza di
detti limiti, l’attivazione automatica di un meccanismo di correzione che include l’obbligo della
parte interessata di adottare le misure necessarie per correggere le deviazioni. Occorre rilevare che
non vi sono rigidi automatismi, dovendosi prendere in considerazione l’andamento del ciclo
economico e il contemporaneo avvio di riforme strutturali.
Il Fiscal Compact stabilisce che tale meccanismo di correzione debba “rispettare appieno le
prerogative del Parlamenti nazionali”. Nonostante questa (piuttosto vaga) previsione, resta il fatto
che è la Commissione a definire i principi riguardanti la natura, l’entità e la tempistica delle misure
correttive da adottare, senza la partecipazione del Parlamento europeo o dei Parlamenti nazionali.
19
Il ruolo marginale affidato al Parlamento europeo, come è stato evidenziato, discende non soltanto
dalla scelta di rafforzare la componente intergovernativa della governance economica europea, ma
anche dalla difficoltà di coinvolgere nelle procedure previste dal Fiscal compact un’istituzione che
comprende anche rappresentanti degli Stati che hanno scelto di non ratificare il trattato.
Sul reale impatto dell’obbligo di pareggio di bilancio sulla politica economica italiana dei
prossimi anni, v. qui e qui.
Al tempo stesso, è da rilevare come l’art. 8 del Fiscal Compact operi un significativo
coinvolgimento della Corte di giustizia nell’accertare, ed eventualmente sanzionale, le violazioni
dell’obbligo di dare attuazione all’art. 3 par. 2 (in particolare, contemplare nell’ordinamento interno
un meccanismo di correzione e adeguate procedure per assicurare l’adempimento degli obblighi in
tema di pareggio di bilancio). Tale coinvolgimento è possibile invocando l’art. 273 TFUE29. In
sostanza, viene configurata una procedura che assomiglia molto alla procedura di infrazione
ordinaria prevista dal TFUE.
Articolo 8
1. La Commissione europea è invitata a presentare tempestivamente alle parti contraenti una
relazione sulle disposizioni adottate da ciascuna di loro in ottemperanza all'articolo 3, par.2.
Se la Commissione europea, dopo aver posto la parte contraente interessata in condizione di
presentare osservazioni, conclude nella sua relazione che tale parte contraente non ha
rispettato l'art.3, par. 2, una o più parti contraenti adiranno la Corte di giustizia dell'Unione
europea. Una parte contraente può adire la Corte di giustizia anche qualora ritenga,
indipendentemente dalla relazione della Commissione, che un'altra parte contraente non
abbia rispettato l'art. 3, par. 2. In entrambi i casi, la sentenza della Corte di giustizia è
vincolante per le parti del procedimento, le quali prendono i provvedimenti che l'esecuzione
della sentenza comporta entro il termine stabilito dalla Corte di giustizia.
2. La parte contraente che, sulla base della propria valutazione o della valutazione della
Commissione europea, ritenga che un'altra parte contraente non abbia preso i provvedimenti
che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia di cui al paragrafo 1 comporta può
adire la Corte di giustizia e chiedere l'imposizione di sanzioni finanziarie secondo i criteri
stabiliti dalla Commissione europea nel quadro dell'articolo 260 del TFUE. La Corte di
giustizia, qualora constati che la parte contraente interessata non si è conformata alla sua
sentenza, può comminarle il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità adeguata
alle circostanze e non superiore allo 0,1% del suo prodotto interno lordo. Le somme imposte a
una parte contraente la cui moneta è l'euro sono versate al MES. In altri casi, i pagamenti
sono versati al bilancio generale dell'Unione europea.
Il Fiscal Compact sottolinea che lo Stato soggetto ad una procedura per eccessivo disavanzo deve
predisporre e attuare un programma di partenariato economico e di bilancio che comprenda una
descrizione dettagliata delle riforme strutturali da definire e attuare per una correzione effettiva e
duratura del suo disavanzo eccessivo. Anche questo obbligo è già ricavabile dal six pack (e dal di
poco successivo two pack, su cui v. oltre).
Il Fiscal Compact prevede poi la convocazione, almeno due volte l’anno, di incontri informali (gli
Eurosummit) dei capi di Stato e di governo, con la partecipazione del presidente della Commissione
29
“La Corte di giustizia è competente a conoscere di qualsiasi controversia tra Stati membri in connessione con
l'oggetto dei trattati, quando tale controversia le venga sottoposta in virtù di un compromesso”.
20
e con la possibilità di intervento del presidente della BCE per discutere, tra l’altro, le questioni
concernenti la governance della zona euro e le relative regole, e gli orientamenti di politica
economica necessari per aumentare la convergenza nell’eurozona. Mentre il Presidente della BCE
partecipa agli Euro Summit, il Presidente del parlamento europeo può intervenire soltanto su invito.
Infine, i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo sono chiamati a definire l’organizzazione e la
promozione di una conferenza dei rappresentanti delle pertinenti commissioni parlamentari, ai fini
della discussione delle politiche di bilancio o di altre questioni relative all’eurozona. È auspicabile
che, in tale sede, venga affrontato il delicato problema relativo alla legittimazione democratica della
governance economica europea. Le scelte di politica economica, comportando effetti redistributivi,
richiedono infatti una forte legittimazione democratica. Se queste scelte sono rimesse agli Stati
membri, come nel modello di UEM disegnato a Maastricht, la legittimazione viene offerta a livello
nazionale. Se invece tale modello viene superato mediante un progressivo rafforzamento della
governance economica europea, occorre garantire che la stessa abbia una sufficiente base di
legittimazione democratica.
Il two pack (2013)
Nel novembre 2011, la Commissione aveva avanzato la proposta per il cosiddetto “two pack”, un
nuovo “pacchetto” composto da due regolamenti volti a rafforzare ulteriormente gli strumenti di
sorveglianza economica e di bilancio e di correzione dei disavanzi eccessivi per i paesi
dell’eurozona.
Nel maggio 2013 sono stati adottati i due nuovi regolamenti30. Tale nuovi interventi prendono le
mosse da una constatazione: sebbene il "six-pack" abbia migliorato notevolmente il processo di
sorveglianza, l'esperienza insegna che - affinché l’UEM sia pronta ad affrontare situazioni
impreviste - sia necessario un monitoraggio più stretto dei paesi che si trovano o rischiano di
trovarsi in gravi difficoltà finanziarie. Questo conferirà alla Commissione i poteri necessari per
garantire o ripristinare un percorso sostenibile.
Le nuove procedure si basano sull'articolo 136 del TFUE, che consente agli Stati membri della zona
euro di rafforzare il coordinamento e la sorveglianza delle politiche di bilancio per garantire la
necessaria disciplina di bilancio nell'Unione economica e monetaria. La nuova normativa, pertanto,
si applica solo alla zona euro.
Secondo le nuove regole, gli Stati dell’eurozona devono sottoporre alla Commissione e al
Consiglio, entro il 15 ottobre di ogni anno, il progetto di bilancio per l’anno successivo. La
Commissione verifica l’adeguatezza del progetto di bilancio rispetto alle obbligazioni derivanti dal
diritto dell’Unione e alle raccomandazioni del Consiglio. Gli Stati membri con gravi difficoltà
finanziarie saranno sottoposti ad un controllo più rigoroso rispetto a quello previsto dall’art. 126
TFUE nell’ambito della procedura di disavanzo eccessivo.
30
Regolamento (UE) n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sul rafforzamento della
sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi
difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria; Regolamento (UE) n. 473/2013 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 21 maggio 2013, sulle disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti
programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro.
21
Il "two-pack" introduce un calendario e regole di bilancio comuni per gli Stati membri della zona
euro. Nello specifico, a partire dal prossimo ciclo di bilancio:
- gli Stati membri della zona euro devono pubblicare entro il 30 aprile i loro piani di bilancio
a medio termine (programmi di stabilità), indicando inoltre le loro priorità politiche per la
crescita e l'occupazione per i 12 mesi successivi (programmi nazionali di riforma)
nell'ambito del semestre europeo sul coordinamento delle politiche economiche;
- gli Stati membri della zona euro devono pubblicare entro il 15 ottobre i loro progetti di
bilancio per l'anno successivo;
- gli Stati membri della zona euro devono pubblicare entro il 31 dicembre i loro bilanci per
l'anno successivo.
Una delle principali innovazioni del "two-pack" è che la Commissione esaminerà ciascun progetto
di bilancio, e formulerà un parere in merito, entro il 30 novembre. Se individuerà gravi inosservanze
degli obblighi del patto di stabilità e crescita, la Commissione chiederà allo Stato membro
interessato di presentare un piano riveduto. La Commissione pubblicherà inoltre una valutazione
globale delle prospettive di bilancio dell'intera zona euro per l'anno successivo. I pareri della
Commissione sui bilanci nazionali e sulla zona euro agevoleranno le discussioni in sede di
Eurogruppo.
La sorveglianza coordinata si svolge in autunno, ossia tra un semestre europeo e l'altro, e completa
quindi il quadro di governance esistente preparando gli sviluppi della primavera successiva e
verificando il seguito dato alle raccomandazioni formulate nel semestre precedente. Nello stesso
spirito di sorveglianza integrata che ha portato alla creazione del semestre europeo, il "two-pack"
garantisce la coerenza fra i processi e le decisioni di bilancio e quelli delle altre politiche
economiche.
Va sottolineato che, contrariamente a quanto affermato in pubblici dibattiti, il "two-pack" non
autorizza la Commissione a modificare i progetti di bilancio nazionali né impone agli Stati membri
di attenersi rigorosamente al parere della Commissione. Il valore aggiunto del processo consiste
negli orientamenti diretti che introduce nella procedura di bilancio, fornendo quindi a tutte le parti
coinvolte nel processo di bilancio nazionale le informazioni di cui hanno bisogno prima di adottare
una decisione sul bilancio.
Per gli Stati membri soggetti a procedura per i disavanzi eccessivi il "two-pack" introduce un
sistema di monitoraggio che integrerà gli obblighi previsti dal patto di stabilità e crescita con i quali
coesisterà. A seconda della fase della procedura per i disavanzi eccessivi in cui si trova, lo Stato
membro interessato deve fornire periodicamente alla Commissione ulteriori informazioni sulle
misure adottate per correggere il disavanzo eccessivo. Questo permetterà alla Commissione di
individuare più agevolmente eventuali rischi che pesano sulla correzione. In questo caso la
Commissione rivolge direttamente una raccomandazione allo Stato membro per accertarsi che
prenda tutti i provvedimenti necessari per evitare di essere giudicato inadempiente e di subire
sanzioni finanziarie.
Il "two-pack" rafforza inoltre il monitoraggio e la sorveglianza per gli Stati membri che si trovano o
rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria. Il grado di
monitoraggio e di sorveglianza dipenderà dalla gravità della situazione finanziaria dello Stato
membro. Questo vale, ma non esclusivamente, per gli Stati membri che ricevono assistenza
finanziaria o che stanno uscendo dall'assistenza. Anche gli Stati membri con una forte instabilità
finanziaria o che ricevono assistenza finanziaria a titolo precauzionale saranno oggetto da parte
22
della Commissione e della Banca centrale europea di una sorveglianza rigorosa e rafforzata, che si
baserà sugli obblighi imposti agli Stati membri nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi
e su criteri supplementari.
Sulla base di questa sorveglianza, la Commissione può concludere che uno Stato membro deve
prendere ulteriori provvedimenti, perché la sua situazione finanziaria potrebbe avere ripercussioni
negative sulla stabilità finanziaria della zona euro. In questi casi, la Commissione può proporre che
il Consiglio dei ministri raccomandi allo Stato membro di adottare misure correttive o di elaborare
un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico.
Ci si può chiedere quale sia la relazione tra "two-pack" e il Fiscal Compact. Tale trattato, come si è
visto, è un accordo tra gli Stati membri della zona euro e altri otto Stati membri dell'UE. Pur non
essendo integrato nel diritto dell'UE, il trattato comprende l'impegno a incorporare entro cinque
anni il suo contenuto nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea.
Ebbene, il "two-pack" integra nel diritto dell'UE alcuni degli elementi del Fiscal Compact, tra cui
l'obbligo per gli Stati membri soggetti a procedura per i disavanzi eccessivi di predisporre
programmi di partenariato economico e l'obbligo di coordinare ex ante i piani di emissione del
debito pubblico degli Stati membri.
Qual è invece la relazione tra questa nuova normativa e il Patto di stabilità e crescita e il semestre
europeo? Il "two-pack" è stato elaborato in modo da integrarsi nel patto di stabilità e crescita e
completarlo. Nell'ambito del semestre europeo, gli Stati membri presentano ogni anno, a primavera,
i loro piani di bilancio a medio termine (programmi di stabilità per gli Stati membri della zona euro
e programmi di convergenza per gli altri). Per gli Stati membri della zona euro, il "two-pack"
prevede anche la presentazione, in autunno, dei piani di bilancio per l'anno successivo.
Con queste nuove procedure per la presentazione di relazioni, il "two-pack" rafforza il patto di
stabilità e crescita dotando la Commissione di strumenti supplementari per formulare
raccomandazioni. Se ad esempio la Commissione indica nel suo parere che un progetto di bilancio
non è conforme agli obblighi del patto di stabilità e crescita e lo Stato membro in questione non
provvede a correggerlo, questa segnalazione precoce della Commissione potrà essere utilizzata in
un secondo tempo per decidere con cognizione di causa se assoggettare lo Stato membro a una
procedura per i disavanzi eccessivi qualora il suo disavanzo o il suo debito non siano conformi alle
norme del patto di stabilità e crescita.
Infine, la sorveglianza rafforzata prevista dal "two-pack" è in linea con gli orientamenti MES/EFSF
per i paesi che beneficiano di assistenza finanziaria a titolo precauzionale, in quanto durante la
preparazione dei pertinenti orientamenti MES/EFSF e le discussioni con gli Stati membri, la
Commissione ha tenuto conto del "two-pack" per garantire coerenza fra i testi. In pratica, il "twopack" incorpora nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea le prassi operative instaurate con
questi strumenti intergovernativi.
6. Prospettive
Il Consiglio europeo, nella riunione del 13/14 dicembre 2012, ha approvato una tabella di marcia
per il completamento dell’UEM. A tal riguardo, il Consiglio europeo ha evidenziato la necessità che
il progressivo rafforzamento della governance dell’eurozona sia accompagnato da un rafforzamento
della sua legittimazione democratica. Non sono state però fornite concrete indicazioni sulle
23
modalità attraverso le quali garantire concretamente che i poteri di vigilanza e di indirizzo sulle
politiche economiche e di bilancio degli Stati membri siano esercitati con modalità tali da assicurare
un ruolo centrale a organi democraticamente eletti.
Con riguardo al ruolo del Parlamento europeo, il problema è complicato dall’esistenza di una
“asimmetria democratica”, che nasce dalla non coincidenza tra i cittadini degli Stati membri la cui
moneta è l’euro e i cittadini rappresentati all’interno dell’assemblea. La democrazia, se da una parte
impone che tutti i soggetti interessati possano partecipare attraverso i propri rappresentanti alla
determinazione delle scelte che li riguardano, dall’altra parte non sembra poter permettere a alcuni
soggetti di determinare le scelte che riguardano altri.
Ad ogni modo, si tenga presente che il PE non è del tutto escluso da alcuni aspetti salienti del
processo di gestione ed evoluzione dell’UEM.
Sul piano dell’adozione di atti vincolanti, il PE, assieme al Consiglio, nel quadro della procedura
legislativa ordinaria:
 adotta regole specifiche per le modalità di sorveglianza multilaterale (articolo 121, paragrafo
6, del TFUE);
 emenda determinati articoli dello statuto della BCE (articolo 129, paragrafo 3, del TFUE); e
 stabilisce le misure necessarie per l'utilizzo dell'euro come moneta unica (articolo 133 del
TFUE).
Inoltre, il PE deve essere obbligatoriamente consultato in merito alle seguenti questioni:
 misure per l'introduzione delle monete metalliche da parte degli Stati membri (articolo 128,
paragrafo 2, del TFUE);
 accordi su tassi di cambio dell'euro nei confronti delle valute di Stati terzi (articolo 219,
paragrafo 1, del TFUE);
 scelta dei paesi ammissibili all'adesione alla moneta unica nel 1999 e successivamente;
 nomina del presidente, del vicepresidente e degli altri membri del comitato esecutivo della
BCE (articolo 283, paragrafo 2, del TFUE e articolo 11, punto 11.2, dello statuto della
BCE);
 modifiche delle disposizioni di voto in seno al consiglio direttivo della BCE (articolo 10,
punto 10.2, dello statuto SEBC e BCE);
 legislazione secondaria che dà attuazione alla procedura del «disavanzo eccessivo» di cui
nel Patto di stabilità e crescita;
 modifiche dei poteri di vigilanza degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie
conferiti alla BCE (articolo 127, paragrafo 6, del TFUE);
 emenda determinati articoli dello statuto della BCE (articolo 129, paragrafo 4, del TFUE).
In merito al ruolo di controllo politico del PE, la BCE deve trasmettere ad esso, al Consiglio e alla
Commissione nonché al Consiglio europeo, una relazione annuale sulle attività del SEBC e sulla
politica monetaria dell'anno precedente e dell'anno in corso. Il presidente della BCE presenta tale
relazione al Consiglio e al Parlamento europeo, che può procedere su questa base a un dibattito
generale (articolo 284, paragrafo 3, del TFUE e articolo 15, punto 15.3, dello statuto della BCE).
Inoltre, il presidente della BCE e gli altri membri del comitato esecutivo possono, a richiesta del
Parlamento europeo o di propria iniziativa, essere ascoltati dalle commissioni competenti del
Parlamento europeo (articolo 284 TFUE, paragrafo 3, secondo comma).
In virtù di tale previsione, il PE ha istituito il c.d. «Dialogo monetario». Almeno una volta per
trimestre il presidente della BCE o un altro membro del consiglio direttivo rispondono, dinanzi alla
commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, a domande sulle
24
prospettive economiche e motivano la conduzione della politica monetaria nell'area dell'euro31.
Inoltre, il Parlamento europeo si esprime periodicamente nel quadro di una relazione d'iniziativa
sulla relazione annuale della BCE.
In forza del six pack, il PE ha avviato anche il dialogo economico, su cui v. § 5.
In merito al possibile ruolo dei parlamenti nazionali, spetta a loro innanzitutto esigere dai
corrispondenti governi un rapporto maggiormente rispettoso delle proprie prerogative, e inoltre
sfruttare al massimo le possibilità di dialogo con il PE. Ciononostante, occorre ammettere che i
parlamenti nazionali possono non essere in grado di partecipare consapevolmente a processi la cui
tempistica e il cui tecnicismo spesso costringono gli esecutivi ad adattare in continuazione le
proprie scelte agli esiti del monitoraggio europeo e del dialogo con la Commissione.
Il problema di legittimazione democratica nella governance dell’eurozona, evidenziato dalla crisi
del debito sovrano, sembra dunque destinato a rimanere al centro del dibattito sui futuri sviluppi del
processo di integrazione europea.
Sul piano istituzionale, in un’ottica di gradualità, non possono non essere apprezzate le novità in
tema di rafforzamento del ruolo della Commissione rispetto al Consiglio (a seguito soprattutto del
six pack), e della Corte di giustizia (ai sensi del Fiscal Compact e del Trattato sul MES). La strada
da percorrere è tuttavia ancora lunga.
31
Per maggiori dettagli e il testo delle audizioni e dei documenti tecnici di accompagnamento, v. qui.
25
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