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I ragazzi scomparsi
13/19 febbraio 2015 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo n. 1089 • anno 22 Chimamanda Adichie Il mio buio oltre la siepe internazionale.it Scienza La sinestesia è il circo dei sensi 3,00 € Immigrazione A Lampedusa una strage evitabile PI, SPED IN AP, DL ART DE BE CH IL MONDO IN CIFRE DCB VR • UK EURO I ragazzi scomparsi Dopo il rapimento di 43 studenti il paese è cambiato per sempre 13/19 febbraio 2015 • Numero 1089 • Anno 22 “I romanzi migliori sono quelli che riescono a essere importanti senza essere come le medicine” Sommario La settimana cHimAmANdA Ngozi AdicHie, pAgiNA 13/19 febbraio 2015 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo lettura n. 1089 • anno 22 Chimamanda Adichie Il mio buio oltre la siepe internazionale.it Scienza La sinestesia è il circo dei sensi 3,00 € Immigrazione A Lampedusa una strage evitabile iN copertiNA I ragazzi scomparsi MESSICO I ragazzi scomparsi Dopo il rapimento di 43 studenti il paese è cambiato per sempre Dopo il rapimento di 43 studenti il Messico è cambiato per sempre. L’articolo del California Sunday Magazine (p. 34) e un commento di Diego Enrique Osorno (p. 39). Illustrazione di Clay Rodery. Giovanni De Mauro greciA 14 Il rompicapo di Atene Financial Times ucrAiNA 16 Una strategia coraggiosa per l’Ucraina The Washington Post scieNzA 54 Il circo dei sensi Aeon The New York Times portfolio ecoNomiA e lAvoro 60 Vivere a Capo Verde Alfredo D’Amato si divide sul caso Nisman The New York Times viAggi 20 L’Argentina 72 Buljkes Aleksandar Zograf musicA 76 Melodie di protesta Mail & Guardian 26 Sussurri e grida silenziosa Meduza ecoNomiA 50 I risparmi nel telefonino The Economist 23 Amira Hass 30 Natalie Nougayrède 32 Paul Krugman 80 Gofredo Foi 82 Giuliano Milani 84 Pier Andrea Canei 86 Christian Caujolle 93 Tullio De Mauro pop le rubriche 88 Il mio buio kAzAkistAN 44 Minoranza Cinema, libri, musica, video, arte Le opinioni grApHic JourNAlism visti dAgli Altri dal nordest Brand Eins 78 vichingo Mg Magazine AsiA e pAcifico Hindustan Times cultura 70 L’arcipelago AfricA e medio orieNte 24 India monetaria Die Zeit ritrAtti Público Al Jazeera America 100 Torna la guerra 66 Yanis Varoufakis ArgeNtiNA 22 Nigeria tecNologiA 98 Occhiali infranti 90 oltre la siepe Chimamanda Ngozi Adichie Identità all’ultima moda Nabeelah Jafer 12 Posta 13 Editoriali 105 L’oroscopo 106 L’ultima scieNzA 94 La politica nei vaccini The Economist Articoli in formato mp3 per gli abbonati le principali fonti di questo numero Brand Eins È un mensile tedesco che si occupa di economia. L’articolo a pagina 26 è uscito nel novembre del 2014 con il titolo Im Schatten der Vergangenheit. The California Sunday Magazine È un mensile statunitense che esce in allegato ai quotidiani Los Angeles Times, San Francisco Chronicle e Sacramento Bee. L’articolo a pagina 34 è uscito nel gennaio del 2015 con il titolo The disappeared. Mg Magazine È il supplemento settimanale di reportage, idee e viaggi del quotidiano spagnolo La Vanguardia. L’articolo a pagina 70 è uscito il 19 ottobre 2014 con il titolo Islas Feroe: otro espacio, otro tiempo. Público Fondato nel 1990, è un quotidiano portoghese progressista. L’articolo a pagina 66 è uscito il 27 gennaio 2015 con il titolo Yanis Varoufakis: radical moderado e economista acidental. Die Zeit È un settimanale tedesco di centrosinistra. L’articolo a pagina 100 è uscito il 5 febbraio 2015 con il titolo Mitten im Währungskrieg. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 5 internazionale.it/sommario A prima vista è come se fosse sparita Torino. Oppure Firenze, Bologna e Ferrara messe insieme. Nel 2014 sono uscite dal mercato della lettura (che tradotto vuol dire: hanno smesso di comprare libri) quasi 820mila persone, con un calo del 3,3 per cento rispetto all’anno prima. È un dato, quello registrato dall’Istat, che riporta l’Italia al 2003 per tasso di lettura di libri: 41,4 per cento della popolazione con più di sei anni di età. Calano i lettori deboli (-6,6 per cento) e anche i lettori forti, cioè quelli che leggono almeno un libro al mese (-0,5 per cento, che diventa -15,0 per cento se confrontato al 2010). Diminuiscono i lettori tra i 6 e i 19 anni (-17,7 per cento) e diminuiscono pure le lettrici, da sempre più numerose dei lettori (-11,8 per cento). Ma il Giornale della Libreria, dell’Associazione italiana editori, si chiede se la domanda che ogni anno l’Istat rivolge al campione intervistato (“Lei ha letto nei 12 mesi precedenti almeno un libro non scolastico?”) sia formulata nel modo migliore per rappresentare la situazione in cui ci troviamo. Al di là di questi dubbi, resta il fatto che la spesa degli italiani per la lettura è rimasta stabile, anzi è leggermente aumentata (+0,1 per cento). Malgrado siano diminuiti i titoli pubblicati e malgrado sia diminuito anche il prezzo medio di copertina. La diferenza la fanno gli ebook, i libri digitali: ne sono usciti l’88,4 per cento in più rispetto al 2012 e sono aumentati anche i lettori (+32,2 per cento) che nel 2014 sono stati quasi sette milioni. Insomma, forse Torino non è sparita, sta solo cambiando. u Immagini Superstiti Lampedusa, Italia 9 febbraio 2015 I migranti lasciano il porto di Lampedusa dopo essere stati soccorsi a 120 miglia dall’isola. Erano a bordo di un gommone partito dal Nordafrica con 106 passeggeri, 29 dei quali sono morti per ipotermia. Sono stati recuperati anche altri due gommoni e nove superstiti, che hanno parlato di un quarto gommone. I morti potrebbero quindi essere più di trecento. Pietro Bartolo, guardia medica di Lampedusa, aferma che le imbarcazioni attrezzate dell’operazione Mare nostrum avrebbero potuto salvarli, cosa che non è stata possibile con i mezzi dell’attuale operazione di pattugliamento Triton. Foto di Mauro Buccarello (Ap/Ansa) Immagini Prove generali Mariupol, Ucraina 4 febbraio 2015 Reclute del battaglione Svjataja Marija (Santa Maria), composto da volontari cristiani e integrato nelle forze armate ucraine, durante un addestramento sulla spiaggia vicino a Mariupol, sul mare di Azov. La città portuale di Mariupol è di grande importanza strategica, perché si trova sulla striscia di costa che unisce la Crimea, annessa da Mosca nel marzo del 2014, alla Russia e alle zone occupate dalle repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. Mariupol è ancora sotto il controllo dell’esercito ucraino e nelle ultime settimane è stata tra i principali obiettivi delle ofensive dei ilorussi. Foto di Brendan Hofman (The New York Times/Contrasto) Immagini Sorpresa elettorale New Delhi, India 7 febbraio 2015 In ila a un seggio per il rinnovo del parlamento del Territorio della capitale. I risultati deinitivi del voto, arrivati il 10 febbraio, hanno decretato il trionfo dell’Aam aadmi party (Aap), il “Partito dell’uomo comune” fondato nel 2012 dall’attivista anticorruzione Arvind Kejriwal. L’Aap si è aggiudicato 67 seggi su 70, battendo il Bharatiya janata party (Bjp) del primo ministro Narendra Modi, a cui sono andati gli altri tre. È la prima grave sconitta per il Bjp. Il partito del Congress non ha ottenuto nessun seggio. Foto di Anindito Mukjergee (Reuters/Contrasto) [email protected] Una Pietà moderna u Ho aperto come al solito la rivista e sono rimasto folgorato dalla foto di Mohammed Badra (Internazionale 1088). Aiancatela all’immagine della Pietà di Michelangelo: la stessa opera d’arte a distanza di 500 anni, forse ancora più commovente. Umberto Barbiero Diritto di satira u Credo sia un lavoro tremendo fare satira, essere feroci con leggerezza, sdrammatizzare lo sdrammatizzabile, irridere l’orrore, prendersi gioco di quelli che esercitano il potere (tragicamente complici di ogni genere di nefandezza) e farlo con la dovuta irriverente cattiveria. Il senso dell’umorismo è un bene supremo e imprescindibile e, davvero, non ha nessuna importanza quale sia l’oggetto o il bersaglio di quella che è la più profonda e formidabile forma dell’intelligenza umana. Non sempre i risultati sono all’altezza. Ma provare a far sorridere tirando in mezzo santi, profeti e quant’altro non solo è lecito ma è quanto di più vicino alla pura comprensione della vita, al suo inefabile senso. Fate i bravi. O anche no. Rob d’attesa. Non potrei regalarla a chi, mi sembra, la sbircia con curiosità in treno. E non potrei andare a comprarla in edicola, come faccio dal numero 1, mille anni fa. È comodissimo, il digitale. E vogliamo bene agli alberi. Però… Alessandro Viaggio in Cambogia L’erba del vicino u Il mio compagno e io abbiamo fatto una vacanza di quindici giorni in Cambogia. Venerdì scorso ho scaricato Internazionale e sono andata a vedere la mostra di Kim Hak a Phnom Penh prima di partire. Grazie! Marisa Fogliati u Mi piacerebbe leggere su Internazionale un reportage serio e super partes sulla marijuana e sulla storia delle leggi americane ed europee che hanno portato all’attuale proibizionismo, sulla linea del documentario Grass (che consiglio caldamente a tutti). C’è una possibilità? Novella in forma smagliante, avere case arredate con un gusto impeccabile”. E come riuscite a fare tutto? “Non ci riusciamo! Hai dato un’occhiata ai nostri tassi di suicidio?”. Ok, le famiglie scandinave forse non sono felici quanto sembrano, eppure continuo a credere che ci sia un segreto da scoprire: perché un calciatore di serie A che va a prendere la iglia a scuola tutti i giorni l’ho visto solo qui. Claudio Rossi Marcelli è un giornalista di Internazionale. Risponde all’indirizzo [email protected] Giulia Zoli è una giornalista di Internazionale. L’email di questa rubrica è [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU Facebook.com/internazionale Twitter.com/internazionale Flickr.com/internaz YouTube.com/internazionale Dear Daddy Formula scandinava Ora che vivi in Danimarca hai scoperto il segreto della felicità delle famiglie scandinave?–Omar Sei mesi sono troppo pochi per carpire un tale segreto. Per ora l’unica cosa che ho scoperto è che gli scandinavi non sono felici come sembrano. Nel libro Hur barnen tog makten (Come i bambini hanno preso il controllo), lo scrittore David Eberhard accusa gli svedesi di crescere dei piccoli viziati egocentrici: “I cosiddetti esperti ci dicono che i bambini sono ‘competenti’ e quindi devono decidere loro 12 cosa mangiare, come vestirsi, quando andare a letto. Li mettiamo al centro del mondo, ma questo li condanna alla frustrazione”. Eberhard indica l’aumento di casi legati all’ansia e il declino di rendimento scolastico dei ragazzi svedesi come conseguenze dell’approccio liberale dei genitori. La mia amica Miranda, moglie di un calciatore del campionato danese, mi ha detto: “Hai idea della pressione sotto cui viviamo noi genitori scandinavi? Dobbiamo lavorare entrambi a tempo pieno, passare un’enorme quantità di tempo con i igli, essere Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Scherzi della chimica u A pagina 50 del numero 1087 di Internazionale, sotto al titolo “Veleni quotidiani”, si legge: “Le sostanze chimiche si trovano ormai ovunque”. Marco Cagnotti, un lettore, commenta: “Be’, certo: tutta la materia è composta di sostanze chimiche. L’acqua, per esempio, è una sostanza chimica il cui nome scientiico è ‘monossido di diidrogeno’”. Ma non è un veleno. Dovevamo speciicare che l’articolo parlava di sostanze tossiche! Il 1 aprile 1983 il Durand Express, un settimanale di Durand, in Michigan, mise in allarme i suoi lettori annunciando che nelle tubature dell’acqua della città era stato trovato il monossido di diidrogeno, una sostanza letale se inalata e che poteva produrre vapori ustionanti. Il pesce d’aprile fu ripreso da un gruppo di studenti californiani, che alla ine degli anni ottanta creò la Coalizione per il divieto del monossido di diidrogeno e lanciò una campagna che poi si è difusa in rete: “Erode il suolo, corrode alcuni metalli, può provocare ustioni, è una componente delle piogge acide e dei cicloni”. I redattori del Durand Express usarono una formula specialistica, noi invece abbiamo usato una formula troppo vaga. Ma i lettori di Internazionale non ci sono cascati: “La chimica, in quanto scienza, non è né buona né cattiva”, ammonisce Marco Cagnotti. Il bello della carta u Su Internazionale 1088 ho letto la lettera di Dorotea. Ecco, la sua storia è la ragione per cui non riesco ad abbonarmi all’edizione digitale della rivista. Non ci riesco perché così, dopo averla letta, non potrei lasciarla come esca, con inta casualità, sul tavolinetto di una sala Le correzioni Editoriali Europa ipocrita su Lampedusa “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (web, caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caposervizio), Giulia Zoli Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio), Valeria Quadri, Marta Russo Web Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli, Donata Columbro, Francesca Gnetti, Francesco Longo, Stefania Mascetti (caposervizio), Martina Recchiuti (caposervizio), Giuseppe Rizzo Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci, Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Giuseppina Cavallo, Stefania De Franco, Andrea Ferrario, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille, Catherine Cornet, China Files, Sergio Fant, Andrea Ferrario, Anita Joshi, Andrea Pira, Fabio Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 6953 9313, 06 6953 9312 [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. 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Per l’ennesima volta Lampedusa si è trasformata nell’obitorio dell’Europa, per l’ennesima volta il sogno di una vita migliore è stato pagato con la morte. Ma il sentimento di orrore si esaurirà presto, e c’è da temere che non avrà alcuna conseguenza. Fino a qualche mese fa sembrava che nel dibattito sulla politica europea in materia di rifugiati si stesse muovendo qualcosa. Anche in Germania c’era chi chiedeva il prolungamento dell’operazione di salvataggio umanitario Mare nostrum e si parlava di una politica di accoglienza coordinata a livello europeo. Ma poi, senza fare troppo rumore e senza attirare troppa attenzione, a novembre l’Italia ha sospeso l’operazione Mare nostrum. Così il dibattito europeo è tornato al punto di partenza: un ping pong tra i due poli dell’“emergenza profughi” e delle “catastroi dei rifugiati”. Le emer- genze profughi scoppiano puntualmente quando “ne arrivano troppi”, quando sugli schermi televisivi scorrono le immagini dei centri d’accoglienza italiani sovrafollati. Allora il primo rilesso è sempre il riiuto. Del resto l’interruzione di Mare nostrum ha fatto contenti anche molti governi europei, convinti che un’operazione di salvataggio sistematico faccia in realtà da “calamita”, come è stato più volte ripetuto. Ma i naufragi continuano a ripetersi con sconcertante regolarità. L’operazione Mare nostrum era stata un grande passo avanti, perché il suo scopo non era la difesa delle frontiere ma il salvataggio dei migranti. Ma questo cambiamento di prospettiva è durato solo un anno. Ora tutti provano di nuovo orrore, ma è una reazione ipocrita: sono state l’Italia e l’Europa a voltare le spalle ancora una volta ai rifugiati, e a fare in modo che il Mediterraneo continui a essere una fossa comune. u fp False vittorie sull’evasione iscale François Mathieu, Le Soir, Belgio I politici europei sono straordinari. Tra il “mai più” pronunciato nel 2009 dall’allora presidente francese Nicolas Sarkozy al termine del vertice del G20 sulla lotta ai paradisi iscali e le “pratiche inaccettabili” di cui parlava il premier belga Charles Michel nel 2014 dopo lo scandalo LuxLeaks, ci vogliono far credere di avere sempre sul comodino la guida per la lotta all’evasione iscale. Sarebbe bello. Negli ultimi cinque anni non possiamo certo dire che le ingiustizie sociali e le disuguaglianze di reddito in Europa siano diminuite di molto, e nemmeno che gli stati europei in diicoltà abbiano trovato il modo di riempire le loro casse. Ma in questi cinque anni molta acqua è passata sotto i ponti. L’arsenale di misure repressive e preventive destinate alla lotta contro l’evasione è impressionante, sia in Europa sia nei paesi dell’Ocse. Grazie allo scambio automatico di informazioni sui conti correnti adottato nel 2011 dall’Unione europea, gli evasori iscali sembrerebbero spacciati. Circolare, non c’è più niente da vedere. Ma c’è un problema, e forse più di uno. Il primo riguarda la deinizione stessa di evasione iscale, che è diversa in Svizzera e in molti paesi dell’Ocse. È una seccatura, perché se non parliamo della stessa cosa è diicile scambiarsi dati e informazioni iscali appropriate e aidabili. Il bersaglio, insomma, non è ben inquadrato. Finora a subire la furia delle autorità iscali europee sono stati soprattutto i privati, per caso (grazie a un documento rubato, nella vicenda della iliale svizzera della banca britannica Hsbc) o perché le misure repressive hanno funzionato, spingendoli a regolarizzare la loro posizione. Silenzio assordante Ma gli altri, i pesci grossi che si nascondono dietro società di facciata? Loro continuano a nuotare in acque torbide, e non solo in quelle dei paradisi fiscali dei tropici. Anche all’interno dell’Unione europea ci sono ancora troppe possibilità di sfuggire alle leggi o di aggirarle. È per questo che il silenzio dei leader europei all’indomani delle rivelazioni sullo scandalo della Hsbc svizzera è sconvolgente. Anche se in teoria esistono misure per lottare contro l’evasione iscale, nella pratica non vengono applicate. C’è ancora moltissimo da fare, anche in termini di organizzazione delle istituzioni iscali. Tutto questo è inaccettabile. u as Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 13 Grecia LOuISA GOuLIAMAkI (AFP/GEttY IMAGES) La manifestazione a sostegno del governo di Tsipras. Atene, 5 febbraio Il rompicapo di Atene Wolfgang Münchau, Financial Times, Regno Unito Entro la ine di febbraio la Grecia deve trovare i soldi per inanziare i suoi impegni di spesa. Solo a quel punto potranno partire le discussioni sul futuro della sua economia e prime due settimane di governo di Syriza in Grecia hanno avuto l’efetto temuto: da scettica, l’opinione pubblica del Nordeuropa è diventata ostile. Il ministro delle inanze Yanis Varoufakis ha liquidato unilateralmente la troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo mo- L 14 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 netario internazionale), che vigila sulla politica economica della Grecia ed è partito per un tour europeo degno di una rockstar. Poi ha incontrato manager di hedge fund a Londra e si è messo in posa a Downing street. Ma quando è arrivato a Berlino, il 5 febbraio, il mondo politico e i mezzi d’informazione tedeschi erano più ostili che mai. Il giorno dopo la Grecia si è ritrovata isolata in un incontro a Bruxelles tra i responsabili europei delle inanze. Politicamente la situazione è grave quanto lo era nel 2010, quando è cominciata la crisi del debito greco. E l’ultima settimana è stata disastrosa per la diplomazia economica. Altre due settimane così e l’uscita della Grecia dall’euro sarà una cer- tezza. Atene e i suoi creditori europei hanno tempo ino alla ine di febbraio per trovare i fondi necessari a garantire gli impegni di spesa del governo greco. Solo a quel punto si potrà cominciare a parlare delle questioni veramente importanti, come il futuro dell’economia del paese. Grazie alla Banca centrale europea, che ha deciso di aumentare il tetto massimo del fondo destinato ai inanziamenti d’emergenza, il sistema bancario della Grecia sarà al sicuro ino a marzo, ma non oltre. Quattro strade Varoufakis ha a disposizione quattro opzioni, o una combinazione di queste quattro. Ognuna di queste opzioni non piace ad almeno uno dei protagonisti della vicenda. La prima opzione è l’estensione del piano di salvataggio esistente. Dal punto di vista procedurale sarebbe la più facile per tutti. Ma non per il governo greco: Varoufakis esclude l’estensione del piano perché Syriza ha appena vinto le elezioni promettendo esattamente il contrario. Secondo alcuni il ministro greco sta blufando. Alla ine dovrà accettare le riforme e rassegnarsi a ve- dere la troika nuovamente ad Atene. L’uni ca concessione sarà una nuova terminolo gia edulcorata: i piani diventeranno “con tratti”, la troika ofrirà una “consulenza” e l’austerità diventerà “consolidamento a favore della crescita”. Ma penso che Varou fakis non accetterà. E se anche lo facesse, probabilmente il parlamento greco lo fer merebbe. La seconda opzione è più favorevole alla Grecia. Varoufakis potrebbe chiedere alla Banca centrale europea di sbloccare gli interessi e i proitti sui titoli di stato gre ci acquistati durante la crisi. Non sarebbe una richiesta irragionevole. Questi fondi al momento sono congelati. Ma anche se ve nissero sbloccati non basterebbero. Varou fakis dovrebbe anche chiedere ai ministri delle inanze europei di abolire il tetto alle emissioni di titoli di stato da parte del go verno greco, originariamente imposto per evitare che Atene emettesse troppo debito pubblico durante il salvataggio. Ma se la Grecia non accetta un nuovo piano, l’abo lizione del tetto non può essere data per scontata. La terza opzione consiste semplicemen te nel trovare i soldi altrove. Le possibilità sono poche. Mosca ha lasciato intendere di essere pronta ad aiutare Atene, chiaramen te non per compassione o per spirito umani tario: il denaro russo avrebbe un pesante costo politico per il governo di Syriza. La quarta opzione è emettere una valu ta parallela, rimborsabile solo a livello na zionale, per inanziare la spesa pubblica: una specie di cambiale. Sarebbe la scelta più estrema ma risolverebbe il problema del inanziamento. Una misura del genere potrebbe essere interpretata come un pri mo passo verso l’uscita dall’euro: che sen so avrebbe parlare di moneta unica quando ce ne sono due? Il problema del inanziamento a breve termine, per quanto diicile da risolvere, non sarà nulla in confronto alle trattative sul debito che seguiranno. Non credo che ci sarà spazio per ridurre il debito greco, e vedo solo un margine ristretto per un allen tamento iscale di qualsiasi tipo. L’opposi zione più forte non verrà dalla Germania ma da altri paesi come il Portogallo, che si sono piegati alle regole imposte dalla troi ka. Per la crisi dell’eurozona si avvicina il momento della verità. u fas Wolfgang Münchau è un editorialista del Financial Times. I commenti Il vento sta cambiando I negoziati con i partner europei non saranno facili. Ma Tsipras ha l’appoggio dei greci. I commenti della stampa di Atene n un discorso al parlamento greco prima del voto di iducia dell’8 febbraio, una prova agevolmente superata dal governo di Alexis Tsipras con una maggioranza di 162 voti, il ministro delle inanze Yanis Varoufakis non ha escluso la possibilità di arrivare a uno scontro con gli altri paesi dell’eurozona se alla Grecia non sarà oferta un’alternativa al rispetto dei termini dell’attuale piano di salvataggio”, scrive Kathimerini. “‘Non stiamo cercando lo scontro, e faremo di tutto per evitarlo’, ha detto Varoufakis, ‘ma se si decide di negoziare non si può escludere la possibilità di una rottura’”. “La cosa più importante è che il gover no abbia aperto i negoziati, e che abbia l’appoggio di buona parte della società greca”, scrive il quotidiano Eimerida ton Syntakton commentando l’interven to del premier in parlamento. “È stato in coraggiante vedere migliaia di persone manifestare il 5 febbraio a sostegno del governo con slogan come: ‘Non ci faremo ricattare’. L’Europa sembra aver capito che le diicoltà greche rendono necessa ria la ine dell’egemonia tedesca. L’oppo sizione di un piccolo paese come la Grecia presto spingerà alla mobilitazione partiti e organizzazioni della società civile in tutta l’Europa”. Altrettanto ottimista è il commento del columnist di To Vima Antonis Karakou sis, che però non sottovaluta le diicoltà del negoziato in corso: “In questa fase il governo greco, democraticamente eletto, e i potenti d’Europa stanno giocando una diicile partita a poker. In sostanza Atene sta mettendo in discussione il modello di politica economica che ha dettato legge nel vecchio continente negli ultimi vent’anni. Per come funzionano oggi le re lazioni internazionali, si può prevedere che l’Europa farà forti pressioni su Tsipras e sul suo governo ainché accettino una “I soluzione di compromesso. Ma, nono stante le diicoltà che potrebbero arriva re, oggi i greci sono felici: nel paese c’è un’ondata di ottimismo e orgoglio. E, so prattutto, è stato disseminato ovunque il seme del dubbio: il modello neoliberista, fatto di disuguaglianze e di un costante ar retramento del lavoro rispetto al capitale, specialmente quello speculativo, non è più difendibile. Non c’è dubbio che il vento stia cominciando a cambiare, in Europa e nel mondo. E chi non se ne accorge sta so lo facendo inta di non vedere”. Un compromesso coraggioso Il compito che ha di fronte Tsipras è co munque molto arduo, scrive su Kathimerini il direttore Alexis Papachelas: “Negli ultimi anni la classe politica greca è stata del tutto ineiciente. Ma il suo errore più grave è stato riiutare di assumersi il peso delle profonde riforme di cui il paese ha bisogno. Hanno dato la colpa agli ‘stranie ri cattivi’, facendo sentire il cittadino gre co medio non solo più povero, ma anche umiliato. E qui comincia la parte più dii cile per il nuovo governo. Tsipras oggi ha un’opportunità storica: può puntare a rag giungere un compromesso che salverà il paese e gli farà voltare pagina”. “Sia chia ro, non intendo salire sul carro del vincito re”, sottolinea Papachelas. “Dico piuttosto che Tsipras potrebbe fare molte cose: aiu tare quella fetta di società che sofre dav vero, combattere seriamente la corruzio ne, convincere i più ricchi a contribuire al benessere del paese, abbattere le barriere e i balzelli che per anni hanno impedito agli imprenditori corretti di respirare, spiegare ai cittadini e ai suoi elettori per ché le privatizzazioni e gli investimenti stranieri sono positivi, riformare l’istru zione davvero e non per assecondare i pic coli interessi di chi vuole un paese di cor rotti. Riuscirà Tsipras a portare a termine questi compiti? Se è disposto a perdere l’appoggio dell’ala più radicale del suo partito può farcela. Conquisterà, in com penso, il sostegno della maggioranza dei greci e il rispetto dei partner europei. E, soprattutto, farà ripartire l’economia”. u Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 15 Ucraina Una strategia coraggiosa per l’Ucraina Per risolvere davvero la crisi ucraina, l’occidente deve aiutare Kiev, integrarla in Europa e isolare la Russia. Il commento di una giornalista statunitense ormalmente, alla conferenza di Monaco sulla sicurezza, che dal 1963 si tiene ogni anno tra gennaio e febbraio nella città bavarese, non succede quasi nulla. I ministri della difesa dei paesi della Nato sussurrano i soliti luoghi comuni e gli esperti storcono il naso. Ma questo non è un anno come gli altri. L’8 febbraio di quest’anno il pubblico, normalmente compassato, è esploso in una risata quando il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov è sembrato mettere in discussione la legalità dell’uniicazione tedesca. Una parte della sala ha invece applaudito fragorosamente quando la cancelliera tedesca Angela Merkel, appena tornata da una missione di pace a Mosca, ha ribadito che al conlitto in Ucraina “non ci può essere una soluzione militare”. Quando poi l’ex ministro degli esteri britannico Malcolm Rikind le ha chiesto come sia possibile fermare la Russia senza l’uso della forza militare, ha battuto le mani un’altra parte del pubblico. Anche solo seguendo la conferenza online, la confusione saltava all’occhio: tutti erano d’accordo sul fatto che Mosca sta mentendo e nessuno credeva alle sue promesse di un cessate il fuoco. Ma non c’era nessun accordo su come afrontare la situazione. È chiaro che il vero dibattito sull’Ucraina e la Russia deve ancora cominciare. E non intendo certo quello sull’opportunità di armare Kiev. La discussione sulle armi attira facilmente l’attenzione, se non altro perché sembra mettere gli Stati Uniti (Marte) contro l’Europa (Venere). Ma è uno specchietto per allodole: riguarda infatti le tattiche a breve termine e non le strategie di lungo periodo. E non tiene conto della vera natura del gioco che Mosca sta giocando. Prima dell’anno scorso in Ucraina non N 16 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 c’erano mai stati conlitti etnici. I “separatisti” armati sono comparsi sulla scena solo quando il presidente russo Vladimir Putin gli ha ordinato di farlo. La “guerra civile” che ne è derivata è un conlitto artiiciale, gestito dai servizi di sicurezza russi e alimentato da una campagna di disinformazione condotta in tutta Europa. Continuerà ino a quando vorrà Mosca. L’obiettivo della guerra non è ottenere una vittoria, ma evitare la nascita in qualsiasi forma di un’Ucraina ricca ed europea, che rappresenterebbe una minaccia ideologica per il putinismo. In base a questa logica anche un cessate il fuoco non porterebbe a una “pace”, ma a un cosiddetto “conlitto congelato”, sul modello già sperimentato con la Transnistria in Moldova, e con l’Ossezia del Sud in Georgia. Quando il progetto dei separatisti della Novorossija sarà compiuto, la Russia potrà organizzare una nuova struttura di polizia segreta e stabilire basi per il suo esercito. Può succedere molto rapidamente, nel giro di giorni o settimane. E que- Da sapere Negoziati diicili u Dopo la ripresa delle trattative diplomatiche e le visite a Kiev e a Mosca (il 5 e il 6 febbraio) del presidente francese François hollande e della cancelliera tedesca Angela Merkel, Kommersant rilette sui punti più spinosi del negoziato. Il primo è stabilire chi veriicherà il rispetto di eventuali accordi. C’è poi il problema della zona smilitarizzata: hollande ha parlato di un’area larga 50-70 chilometri, ipotesi sgradita ai ilorussi. Un altro punto critico è la chiusura, chiesta da Kiev, del conine tra le repubbliche separatiste e la Russia. Inine va deinito il grado di autonomia delle regioni controllate dai ilorussi e bisogna stabilire lo status dei leader separatisti: Kiev non li accetta come controparti e chiede nuove elezioni nell’est del paese. u Intanto nell’area di Debaltseve, dove continuano i combattimenti, negli ultimi giorni ci sono state decine di morti. Il 10 febbraio la città di Kramatorsk, controllata da Kiev, è stata bombardata con razzi Smerč, dalla gittata di cento chilometri. I morti sono stati almeno sedici. GLEB GARANICh (REUTERS/CONTRASTO) Anne Applebaum, The Washington Post, Stati Uniti sto rende la questione della fornitura di armi all’Ucraina quasi obsoleta. Certo, con il passare del tempo l’esercito ucraino si raforzerebbe e si potrebbe evitare un’ulteriore espansione dei separatisti. Ma nemmeno gli Stati Uniti sono in grado di fornire armi abbastanza rapidamente da costringere la Russia a ritirare dall’Ucraina i suoi armamenti più soisticati. A meno che non invii l’82a divisione aviotrasportata a Donetsk, è diicile immaginare come Washington possa prevenire la nascita dello stato fantoccio della Novorossija, che nei fatti oggi è già una realtà. Pericoli reali Quello di cui oggi l’occidente ha bisogno non è solo una politica militare, ma una strategia di vasta portata che punti al raforzamento dello stato ucraino e alla sua futura integrazione nell’Unione europea. Si potrebbe cominciare con l’addestrare non solo i militari ucraini, ma anche gli agenti dei servizi di sicurezza, smantellati da Viktor Janukovič, presidente ino al febbraio del 2014. Si potrebbero esercitare pressioni per convincere Kiev a fare riforme economiche più profonde e sostenerle con aiuti concreti. Si potrebbe afrontare la crisi con progetti a lungo termine, come ha suggerito Merkel, costruendo intorno a Donetsk un nuovo muro di Berlino, cioè un corridoio smilitarizzato, e trattando il resto dell’Ucraina come la Germania Ovest dopo la secon- L’opinione Il Donbass senza futuro Maksim Vichrov, Slon, Russia Qualunque sarà l’esito delle trattative, riportare la pace e la stabilità nelle repubbliche separatiste non sarà facile a Novorossija (cioè i territori occupati dai separatisti nell’Ucraina dell’est) non potrà esistere come stato indipendente nelle condizioni attuali. Le sue industrie sono in rovina e gli aiuti umanitari non bastano certo a tenerla in piedi. Anche i leader separatisti sanno che la situazione è disperata. Minacciare in tv il presidente ucraino Petro Porošenko è facile, dar da mangiare a tre milioni di cittadini è tutt’altra cosa. Il futuro delle repubbliche separatiste rimane quindi incerto. Se la situazione non cambierà, la Novorossija potrebbe trasformarsi in un territorio simile alla Striscia di Gaza. Una soluzione sul modello della Transnistria (territorio moldavo che si è autoproclamato indipendente con il sostegno russo) sarebbe meno tragica, ma al momento sembra improbabile. A causa della crisi economica, il Cremlino fa già fatica a tenere in piedi questa repubblica fantoccio: nei giorni scorsi il ministero degli esteri russo ha accennato alla possibilità che torni sotto il controllo moldavo. Per Mosca è molto più facile inanziare i separatisti che garantire alle repubbliche anche solo l’apparenza di una vita normale. Oggi non si può nemmeno escludere un ritorno dei territori ilorussi sotto il controllo ucraino. È la soluzione su cui insiste Kiev, proponendo ai separatisti un’ampia autonomia e la nascita di un porto franco. A più riprese il Cremlino si è detto favorevole all’integrità territoriale dell’Ucraina. Il problema è che oggi a Kiev non conviene riprendersi il Donbass. L’economia è in piena crisi e sopravvive solo grazie ai inanziamenti esteri. E per Kiev il ritorno sotto la sua L Kramatorsk, 10 febbraio 2015 da guerra mondiale. Si potrebbe riconoscere apertamente il pericolo che la Russia costituisce per l’Europa, non solo come fonte di violenze, ma anche di corruzione politica ed economica. Si potrebbero imporre sanzioni più dure e profonde. E si potrebbe anche isolare la Russia dal sistema per i pagamenti internazionali e smettere di chiudere un occhio sul riciclaggio del denaro russo, che avviene principalmente nelle capitali europee. La City di Londra e i banchieri di Zurigo pagherebbero un prezzo considerevole per la perdita dei clienti russi. Ma non agire avrebbe un costo molto più elevato. L’Ucraina crollerebbe, e Putin si sentirebbe ancora più sicuro dei suoi mezzi, com’è successo dopo l’invasione della Georgia nel 2008. Comincerebbe così a preparare il prossimo “conlitto congelato”. E se dovesse decidere di prendere di mira un paese della Nato, per esempio la Lituania o l’Estonia, la conseguenza potrebbe essere un conlitto europeo di proporzioni devastanti. Nessuno vuole una nuova guerra fredda. Ma una guerra fredda è comunque meglio di una guerra mondiale. Se vogliamo evitare quest’eventualità, dobbiamo mettere a punto una strategia seria. u af Anne Applebaum è una giornalista e scrittrice statunitense. Nel 2004 ha vinto il premio Pulitzer per il libro Gulag. Storia dei campi di concentramento sovietici (Mondadori 2005). sovranità delle due repubbliche autoproclamate del Donbass avrebbe costi enormi. Per questo Porošenko ha interesse a rimandare la liberazione delle città di Donetsk e Luhansk. La loro reintegrazione, inoltre, sarebbe diicile anche dal punto di vista politico. Nella regione un’ampia fetta della popolazione odia sinceramente l’Ucraina per “le atrocità compiute dalla giunta golpista”, mentre i iloucraini sono stati costretti a emigrare già nel 2014. Nel Donbass, quindi, Kiev non avrebbe il sostegno dei cittadini e la regione rischierebbe di trasformarsi in un Ulster ucraino. E regalare a Kiev un focolaio di instabilità è esattamente uno degli obiettivi di Mosca. Il sogno del governo ucraino, invece, è trovare un luogotenente capace di mantenere l’ordine nella regione in cambio di concessioni inanziarie, un po’ come ha fatto in Cecenia Ramzan Kadyrov. Ma i separatisti sono troppo legati a Mosca perché Porošenko possa trovare la persona adatta tra le loro ila. A Kiev conviene attendere che la Russia allenti la presa sotto il peso delle sanzioni e della crisi economica. La popolazione locale, intanto, rimane ostaggio del conlitto. E, anche se la situazione può avere diverse vie d’uscita, il Donbass non può aspettarsi niente di buono. L’unica diferenza sarà tra il peggio di adesso e il molto peggio. u af Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 17 Europa Russia REGNO UNITO Il voto negato ChArLES PLAtIAU (rEUtErS/CONtrAStO) I giochi del petrolio Il 10 febbraio la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che Londra si è resa colpevole di violazione dei diritti umani negando il diritto di voto a 1.015 detenuti tra il 2009 e il 2011. Si tratta, ricorda il Daily Telegraph, “dell’ultima di una serie di sentenze contro il regno Unito in una lunga silza di casi simili”. Secondo il quotidiano, “la Corte deve ancora pronunciarsi su 80 casi relativi alle elezioni europee del 2014 e al referendum sull’indipendenza della Scozia”. Da parte sua il premier David Cameron si è più volte detto “isicamente disturbato” dall’idea di far votare i detenuti e ha regolarmente disobbedito alle richieste del Consiglio d’Europa di modiicare la legge britannica per adeguarla alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Vlast, Russia Il Front national (Fn) non avrà il suo terzo deputato all’assemblea nazionale. Al ballottaggio delle suppletive nel dipartimento del Doubs, Sophie Montel, candidata del partito di Marine Le Pen (nella foto), è stata sconitta dal socialista Frédéric Barbier. “Una vittoria piccola e complicata”, scrive Libération, “ma pur sempre una vittoria”. L’aumento dell’aluenza (il 9 per cento in più rispetto al primo turno) aveva fatto immaginare una mobilitazione contro l’Fn che invece non c’è stata. E la vittoria, che secondo Le Monde “ha un retrogusto amaro”, è arrivata per soli 863 voti. AZERBAIGIAN L’informazione sotto attacco Baku inasprisce il controllo sull’informazione. In base ad alcuni emendamenti alla legge attuale voluti dal presidente Ilham Aliev, le autorità potranno chiudere i mezzi d’informazione che ricevono inanziamenti dall’estero e quelli ritenuti colpevoli di difamazione per due volte in un anno, scrive Radio Free Europe. Le nuove norme confermano la stretta sulla libertà d’espressione seguita alla rivolta di Euromaidan a Kiev. Come spiega Eurasianet, negli ultimi mesi molti giornali e siti indipendenti sono stati costretti a chiudere. 18 SLOVACCHIA Niente quorum contro i gay È fallito in Slovacchia il referendum organizzato il 7 febbraio per raforzare il divieto dei matrimoni gay e delle adozioni da parte delle coppie omosessuali. Alle urne è andato il 21 per cento degli aventi diritto, ben al di sotto del 50 per cento necessario per rendere valido il voto. Il referendum era stato richiesto dall’organizzazione cattolica conservatrice Alleanza per le famiglie. “La percentuale dei votanti corrisponde a quella dei cattolici che vanno a messa ogni Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 VIrgINIA MAyO (AP/LAPrESSE) Non passa il Front national domenica”, scrive Týždeň. “Certo, nel paese ci sono molti altri cattolici meno osservanti e contrari ai matrimoni gay. Ma evidentemente non erano abbastanza convinti da andare a votare. Nel complesso, quindi, il referendum non comporta grandi cambiamenti politici”. IN BREVE VLADIMIr SIMICEK (AFP/gEtty IMAgES) FRANCIA Fin dai suoi albori, il commercio del petrolio non ha mai rispettato le normali regole del mercato. Molto spesso infatti l’andamento dei prezzi del greggio non segue la legge della domanda e dell’oferta. Secondo il settimanale Vlast, un perfetto esempio di queste dinamiche è oferto dalla situazione attuale, “con il prezzo del petrolio che, dopo il picco raggiunto a luglio, è sceso del 60 per cento anche se la domanda continua a crescere, l’oferta è stabile e la situazione nei paesi produttori del Medio Oriente è estremamente precaria”. La a situazione è simile a quella del 1986, quando “il prezzo del greggio scese, altrettanto rapidamente, da 30 a circa 10 dollari al barile, nonostante la produzione fosse stata tagliata sensibilmente e il Medio Oriente fosse funestato dalla guerra tra Iraq e Iran”. Secondo molti esperti, la crisi dell’Unione Sovietica cominciò proprio allora, con la drastica diminuzione delle esportazioni di gas e petrolio. “Anche in quel periodo, come succede oggi, gli analisti afermavano che l’Arabia Saudita stesse puntando ad aumentare la sua quota di mercato con una politica di prezzi bassi. In realtà nel 1986 calarono anche le esportazioni saudite”. Il punto, conclude Vlast, è che il mercato del petrolio funziona secondo una logica che sfugge ai tradizionali criteri economici. ◆ Bratislava, 7 febbraio 2015 Belgio L’11 febbraio il leader e una quarantina di ailiati del gruppo jihadista Sharia4Belgium (nella foto) sono stati riconosciuti colpevoli di far parte di un’organizzazione terroristica. Il tribunale di Anversa ha condannato il leader Fouad Belkacem a dodici anni di prigione. Molti dei jihadisti condannati si trovano però in Siria, dove alcuni di loro sarebbero stati uccisi. Polonia Il 6 febbraio è stata inaugurata la campagna elettorale per le presidenziali del 10 maggio. Il capo di stato uscente Bronisław Komorowski è considerato il favorito del voto. Americhe CHRIS WATTIe (ReUTeRS/ConTRASTo) Colombia BRASILE Petrobras si rinnova Un personaggio chiave Il 6 febbraio Aldemir Bendine, dal 2009 alla guida del Banco do Brasil, è stato nominato presidente dell’azienda petrolifera statale brasiliana Petrobras. Bendine ha preso il posto di Maria das Graças Foster, che si è dimessa insieme ad altri cinque dirigenti a causa dello scandalo di corruzione che ha colpito la compagnia. Secondo Istoé, “Bendine assume la direzione di Petrobras proprio quando l’azienda attraversa una delle crisi peggiori della sua storia, ma con la garanzia di poter agire in totale autonomia. Le side che ha davanti non sono poche: dovrà rinnovare la gestione dell’azienda, rinnovare il suo valore sul mercato e mettere ine all’ingerenza dei partiti e dei politici nelle sue attività”. Semana, Colombia Il 6 febbraio la corte suprema del Canada ha consentito i suicidi assistiti, rovesciando un divieto in vigore dal 1993. I giudici hanno stabilito che i medici possono aiutare a morire i pazienti adulti afetti da malattie gravi e incurabili. Il Globe and Mail spiega che la sentenza arriva al termine di una causa portata in tribunale da un gruppo di attivisti per i diritti civili per conto di Kay Carter e Gloria Taylor, due donne con malattie degenerative che nel frattempo sono morte. Il governo ha un anno di tempo per riscrivere la legge sul suicidio assistito. Se entro quel termine il parlamento non ne approverà una nuova, la legge attuale sarà abrogata. STATI UNITI Poliziotto incriminato Il 10 febbraio un grand jury di new York ha rinviato a giudizio Peter Liang, il poliziotto accusato di aver ucciso Akai Gurley, un afroamericano di 28 anni. “Il 20 novembre Gurley, che era disarmato, era andato a trovare la idanzata nella sua casa di Brooklyn”, spiega il New York Times. “Liang, che stava pattugliando l’ediicio con un altro agente, ha visto una igura nell’oscurità e ha aperto il fuoco, uccidendo Gurley”. L’agente sostiene che il colpo è partito per sbaglio. STATI UNITI L’ostilità dell’Alabama In Alabama è in corso un conlitto giuridico tra le autorità statali e federali sul diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso. “La disputa è cominciata il 23 gennaio, quando un giudice feSostegno ai matrimoni gay, % di risposte Stati Uniti Alabama 29 33 26 25 18 18 20 14 Del tutto a favore A favore Contrari Del tutto contrari derale ha dichiarato incostituzionale la legge statale che vietava i matrimoni gay”, spiega il Miami Herald. A quel punto Roy S. Moore, capo della corte suprema dell’Alabama e apertamente contrario ai matrimoni gay, ha chiesto di sospendere ogni decisione ino a quando la corte suprema federale non avesse preso una decisione deinitiva sui matrimoni tra persone dello stesso sesso. Il 9 febbraio la corte suprema federale ha negato la sospensione e l’Alabama è diventato il trentasettesimo stato a consentire i matrimoni gay. Ma subito dopo il giudice Moore ha ordinato ai tribunali di contea di non riconoscere questo tipo di unioni. Il risultato è che in questo momento le licenze sono concesse solo in alcune contee. Port-au-Prince, Haiti DIeU nALIo CHeRY (AP/LAPReSSe) Libera scelta per i malati FonTe: PUBLIC ReLIGIon ReSeARCH InSTITUTe Ottawa, Canada CANADA “María del Pilar Hurtado, l’ex direttrice del Departamento administrativo de seguridad (Das, l’intelligence colombiana), è il personaggio chiave del più grande scandalo di spionaggio del paese”, scrive Semana. Il 31 gennaio Hurtado, che si trovava a Panamá, si è consegnata alle autorità colombiane ed è stata subito portata a Bogotá. È accusata, tra le altre cose, di aver diretto durante il governo di Álvaro Uribe Vélez (2002-2010) una serie d’intercettazioni illegali contro giornalisti, attivisti per i diritti umani, magistrati della corte suprema di giustizia e politici dell’opposizione. “Il suo aspetto semplice e dimesso contrasta con i capi d’accusa che pendono su di lei. Se risultasse colpevole, Hurtado non solo rischierebbe molti anni di carcere, ma potrebbe trascinare con sé anche l’ex presidente Uribe. Infatti il Das, che oggi è stato smantellato, dipendeva direttamente dalla presidenza della repubblica”. Uribe ha difeso Hurtado dichiarando che le intercettazioni illegali erano giustiicate da motivi di sicurezza nazionale, ma secondo Semana questa tesi non regge. Resta da vedere cosa dirà Hurtado in tribunale e se farà qualche nome. ◆ IN BREVE Haiti Il 9 febbraio decine di persone sono rimaste ferite negli scontri scoppiati a Port-au-Prince durante una manifestazione per chiedere una riduzione del prezzo della benzina. Cuba Il 9 febbraio l’azienda statunitense netlix ha inaugurato il suo servizio di video in streaming. Gli ostacoli principali sono il prezzo elevato e la scarsa difusione di internet sull’isola. Stati Uniti Il 10 febbraio il presidente Barack obama ha confermato la morte di Kayla Mueller, la cooperante statunitense ostaggio del gruppo Stato islamico dall’agosto del 2013. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 19 Argentina RoDRIgo ABD (AP/LANSA) Manifestazione per chiedere giustizia sulla morte di Alberto Nisman. Buenos Aires, 21 gennaio 2015 L’Argentina si divide sul caso Nisman Simon Romero, The New York Times, Stati Uniti Nel paese si stanno difondendo teorie di ogni tipo sulla morte del magistrato che indagava sull’attentato del 1994 in un centro ebraico a Buenos Aires stata la presidente. No, è tutto un piano architettato dall’ex capo dei servizi segreti argentini. Forse si è trattato veramente di un suicidio, della tragica ine di un uomo che era in un vicolo cieco. E se c’entrassero l’Iran, il Mossad o la Cia? Non dimentichiamoci poi dell’inluenza dei nazisti arrivati nel paese dopo la seconda guerra mondiale. Dopo la morte di Alberto Nisman, il magistrato che aveva accusato la presidente Cristina Fer- è 20 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 nández di aver coperto i responsabili dell’attentato del 1994 contro la sede dell’Asociación mutual israelita argentina a Buenos Aires (in cui morirono 85 persone), nel paese tutti hanno cominciato a elaborare teorie sui responsabili e sul movente. Nei bar, in ila davanti alle edicole e nei chioschi sulla spiaggia, gli argentini espongono sottovoce le loro ipotesi sulla morte di Nisman, trovato nel suo appartamento con un foro di proiettile in testa il 18 gennaio, alla vigilia della sua testimonianza davanti al parlamento. “È stata la fazione armata del narconazismo jihadista, o forse la maia giudaicomarxista d’accordo con la Cia e con il Mossad”, aferma Carlos Wiesemann, 65 anni, venditore di hot dog nella città di Pinamar. L’ossessione per la morte di Nisman è cresciuta a tal punto che alcuni argentini parlano del caso anche con lo psicoterapeuta. “Tutti i miei pazienti ne vogliono parlare”, dice María del Carmen Torretta, 67 anni, una psicoterapeuta che lavora in una clinica di Villa Ballester, un sobborgo di Buenos Aires. “La gente è stanca e spaventata”, spiega. “È un tema caldissimo”. Secondo un sondaggio dell’istituto Rouvier su un campione di ottocento persone, circa il 48 per cento degli intervistati pensa che dietro il decesso del magistrato ci sia il governo di Fernández. Il 19 per cento, al contrario, crede che la presidente sia vittima di un complotto, mentre il 33 per cento dice di non avere elementi per farsi un’idea. La morte di Nisman è l’ultimo episodio di una lunga tradizione latinoamericana: la proliferazione di teorie in conlitto tra loro a proposito della morte di un uomo politico. “Molte persone sono in ansia per la morte del magistrato e hanno bisogno di una spiegazione”, aferma Diego Sehinkman, psicologo e saggista. “Se l’Argentina fosse un mio paziente le diagnosticherei un’ossessione compulsiva per le morti traumatiche e irrisolte”. Le morti sospette sono diventate il fulcro del dibattito politico in tutto il conti- nente, e questo in molti casi ha portato tribunali e autorità a fare grandi sforzi per trovare un colpevole. Di recente il corpo di Salvador Allende è stato riesumato per capire se l’ex presidente cileno si suicidò o fu ucciso dalle truppe che presero d’assalto il palazzo presidenziale l’11 settembre 1973, durante il colpo di stato sostenuto dagli Stati Uniti. I resti di Pablo Neruda sono stati riportati alla luce per stabilire se il poeta cileno morì di cancro o fu assassinato poco dopo il golpe. Nel 2013 le autorità brasiliane hanno disposto la riesumazione del cadavere di João Goulart, il presidente deposto nel 1964 con un colpo di stato sostenuto dalla Cia, per appurare se Goulart fu avvelenato dai servizi segreti mentre si trovava in Argentina. Nel 2010 l’ex presidente venezuelano Hugo Chávez ha mostrato in tv le operazioni per riaprire la tomba di Simón Bolívar, il generale che nell’ottocento liberò gran parte del Sudamerica dagli spagnoli. Il governo voleva determinare se la sua morte, avvenuta nel 1830, fu causata da avvelenamento da arsenico e non dalla tubercolosi, come sostenevano ormai moltissimi storici. Ma in nessuno di questi casi le autorità hanno provato che ci sia stato un delitto. Tanti precedenti In Argentina la vicenda Nisman ha ricordato a molti un altro episodio misterioso: la morte, avvenuta nel 1995, di Carlos Saúl Facundo Menem, figlio dell’allora presidente Menem. Dopo aver perso la vita nello schianto di un elicottero, la madre dichiarò che era stato ucciso, portando all’ennesima esumazione. Nel 2014 anche Menem, arrivato alla soglia degli 85 anni, ha dichiarato di essere sicuro che il iglio fosse stato assassinato. Cristina Fernández ha sostenuto che Nisman non si è tolto la vita, ricordando tre precedenti (due del 1998 e uno del 2003) di “casi di suicidio irrisolti”. La presidente e i suoi collaboratori hanno respinto le accuse di Nisman e hanno avanzato forti sospetti su diverse persone, tra cui l’assistente che ha prestato l’arma al magistrato e il capo dei servizi segreti (poi sollevato dall’incarico) che lo ha aiutato nella formulazione delle accuse. Il governo non ha fatto nomi, ma Fernández ha descritto la morte del magistrato come un complotto ai suoi danni: “Lo hanno usato da vivo e avevano bisogno che morisse”. Resta il fatto che in un documento di 289 pagine Nisman sosteneva che Fer- nández aveva cercato di raggiungere un accordo segreto con l’Iran per sviare l’indagine sugli attentati del 1994. Per questo molti cittadini pensano che il governo sia coinvolto. “In Argentina le maie possono prendere un omicidio e farlo sembrare un suicidio”, aferma Ana Rosa Di Serio, 65 anni, edicolante convinta che i funzionari dell’esecutivo abbiano fatto uccidere Nisman tenendo all’oscuro la presidente. Altri si schierano con il governo. “Non gli conviene avere un morto nell’anno delle elezioni”, sottolinea Claudia Rúmolo, 55 anni, proprietaria di un bar nel centro di Buenos Aires. Gli investigatori non hanno escluso il suicidio, ma nella capitale in pochi accettano quest’ipotesi. C’è chi parla di un sicario del posto che avrebbe agito con l’aiuto di spie venezuelane. Alcuni blogger hanno avanzato sospetti su una fantomatica maia cinese. “Non so chi sia stato, ma sono sicuro che non lo scopriremo mai”, aferma Marcus Macias, 29 anni, venditore di bibite e snack, mentre guarda un ilm sotto la luce al neon del suo chiosco. “La morte di Nisman è il nostro caso Kennedy”, spiega. u as Da sapere Ultime notizie 14 gennaio 2015 Il procuratore federale Alberto Nisman accusa la presidente Cristina Fernández di aver cercato di coprire le responsabilità dell’Iran nell’attentato del 1994 contro la sede dell’Asociación mutual israelita argentina, in cui morirono 85 persone. 19 gennaio Nisman viene trovato morto nel suo appartamento, con un foro di proiettile alla testa. Poche ore dopo doveva esporre al congresso il suo rapporto sulle responsabilità della presidente. 20 gennaio Cristina Fernández dichiara che Nisman si è suicidato e che il procuratore stava mentendo per indebolire il governo. 22 gennaio Il governo cambia versione e aferma che Nisman è stato ucciso da una frangia deviata dei servizi segreti. 26 gennaio Damián Pachter, il primo giornalista a dare la notizia della morte di Nisman, lascia l’Argentina e si rifugia in Israele. Cristina Fernández annuncia un progetto di legge per smantellare i servizi segreti nazionali. 1 febbraio Il quotidiano Clarín rivela che Nisman stava per chiedere al parlamento l’autorizzazione ad arrestare la presidente. 10 febbraio La squadra di antropologi forensi che si occupa del caso Nisman aferma di aver trovato il dna di una persona non identiicata nell’appartamento del procuratore. L’opinione Il governo deve fare chiarezza El País, Spagna a presidente argentina Cristina Fernández deve capire che lo scandalo originato dalla morte del magistrato Alberto Nisman – che accusava il governo di coprire le responsabilità dell’Iran per l’attentato del 1994 contro la sede dell’Asociación mutual israelita argentina – non è un semplice fatto di politica interna, ma una questione con conseguenze profonde a livello nazionale e internazionale. Il suo governo deve adottare una strategia chiara per fare luce sul caso Nisman e sul più grave attentato terroristico avvenuto in territorio argentino. Denunciare un complotto contro il governo e smantellare i servizi segreti, come ha fatto Fernández, non aiuta a creare un clima seren0. E non aiuta neanche il comportamento del capo di gabinetto Jorge Capitanich, che il 2 febbraio durante una conferenza stampa ha strappato una copia del Clarín. Qualche giorno prima il quotidiano aveva scritto che Nisman stava per chiedere al parlamento l’autorizzazione all’arresto della presidente e di alcuni suoi collaboratori. Il governo ha accusato il Clarín di mentire ai lettori, ma poche ore dopo è trapelato un documento scritto da Nisman che confermava la versione del giornale. Gli efetti della morte del magistrato hanno oltrepassato le frontiere argentine. Il congresso degli Stati Uniti ha chiesto un’indagine imparziale, e il giornalista che ha dato per primo la notizia del decesso di Nisman si è rifugiato in Israele. I richiami del governo al rispetto della sovranità sono fondati, ma ora la presidente deve schierarsi dalla parte delle vittime, che sono Nisman e le 85 persone uccise nell’attentato del 1994. u L Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 21 Africa e Medio Oriente Soldati ciadiani a Gamboru, Nigeria, 4 febbraio 2015 Da sapere STephANe YAS (AFp/GeTTY IMAGeS) elezioni rinviate Una forza africana contro Boko haram u A una settimana dal voto del 14 febbraio, la Nigeria ha annunciato il rinvio delle presidenziali al 28 marzo e delle legislative all’11 aprile, perché non è possibile assicurare il corretto svolgimento delle elezioni nelle aree colpite dalle violenze di Boko haram. Il governo è stato criticato dal partito d’opposizione All progressives congress, che denuncia un tentativo del people’s democratic party di prendere tempo per guadagnare consensi. Si teme che l’attesa possa far crescere le tensioni tra i sostenitori dei due principali candidati, il presidente in carica Goodluck Jonathan e l’ex generale Muhammadu Buhari. Africa Check Hilary Matfess, Al Jazeera America, Stati Uniti Ciad, Camerun e Niger hanno inviato i loro soldati a combattere contro i jihadisti nel nordest della Nigeria. Ma non basterà un intervento militare esterno a risolvere il conlitto al 4 febbraio i ribelli nigeriani di Boko haram attaccano obiettivi in Niger e in Camerun. L’escalation di violenze è la realizzazione delle minacce lanciate dal gruppo ribelle ai paesi coninanti dopo che l’Unione africana (Ua) ha approvato l’invio di un contingente di 7.500 soldati nigeriani, ciadiani, camerunesi, nigerini e beninesi nel nordest della Nigeria. L’esercito di Abuja inora non è stato in grado di contenere l’insurrezione. Una forza internazionale, invece, potrebbe avere la meglio sui miliziani. Ma il piano africano non tiene conto di due aspetti: innanzitutto rischia di allargare al resto della regione una rivolta che riguarda soprattutto la Nigeria; in secondo luogo, non afronta le condizioni che hanno favorito l’ascesa di Boko haram. La comunità internazionale ha accolto D 22 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 con favore la creazione di una task force africana. La struttura e il mandato della missione non sono ancora chiari, ma paesi ideologicamente distanti come Iran e Stati Uniti hanno promesso il loro sostegno. L’ambito di un intervento militare straniero però dev’essere deinito precisamente per non minare la sovranità nigeriana. I governi dell’Africa occidentale hanno una lunga storia di ingerenze negli afari interni di altri stati, a volte attraverso il sostegno a gruppi ribelli e milizie in lotta tra loro. Limiti ben deiniti I paesi vicini alla Nigeria, che hanno accolto migliaia di profughi, hanno molto da guadagnare da una sconitta di Boko haram. Ma la risposta dell’Unione africana non dev’essere afrettata. La missione non ha un mandato né una durata temporale ben definiti, e questo potrebbe significare un’espansione dell’insurrezione a livello regionale. Inoltre la creazione di una forza militare internazionale non risponde alle cause che hanno scatenato la rivolta. Fino a pochi anni fa Boko haram agiva solo nel nordest della Nigeria, uccidendo rappresentanti delle élite politiche e religiose locali. Ma con il passare del tempo è diventato un gruppo terroristico che attacca i simboli dello stato. L’Unione africana non dovrebbe sottovalutare la lezione dell’intervento armato in Somalia, che doveva durare sei mesi ma va avanti ormai da otto anni. Nel corso del tempo il mandato della missione è passato dal mantenimento della pace allo scontro diretto con i ribelli di Al Shabaab. Il numero dei soldati schierati in Somalia è salito da ottomila a più di 20mila. Nonostante i pesanti colpi subiti, Al Shabaab continua a cambiare obiettivi e tattiche, estendendo gli attacchi a Uganda e Tanzania. Le autorità del nordest della Nigeria faticano a risolvere i problemi locali, che vanno dalla povertà all’esclusione politica. La comunità internazionale deve fare pressioni sull’Unione africana ainché il suo intervento abbia limiti precisi e non porti a una militarizzazione della regione. Contemporaneamente si dovranno afrontare le cause della crisi: la Nigeria ha bisogno di riformare il settore della sicurezza e di lavorare sull’integrazione politica ed economica delle comunità del nordest. In assenza di cambiamenti signiicativi, la militarizzazione del paese potrebbe solo causare nuove rivolte e violenze. u gim Duma, 9 febbraio 2015 Yemen egitto Campionato sospeso BASSAM KHABIEH (REUTERS/CoNTRASTo) Potere agli houthi Al Akhbar, Libano siRiA il bilancio di Damasco “Nel 2010 il pil siriano superava i 100 miliardi di dollari. Dopo quasi cinque anni di guerra, si è dimezzato. Il danno economico causato dal conlitto e dalla svalutazione della lira siriana è enorme. Metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà”, scrive Al Hayat. “In questo contesto il governo ha approvato una inanziaria da nove miliardi di dollari, la cifra più alta mai spesa nella storia siriana”. u In un’intervista del 10 febbraio con la tv britannica Bbc il presidente Bashar al Assad ha detto che era stato informato dei raid in territorio siriano della coalizione internazionale contro il gruppo Stato islamico e ha negato che i suoi soldati usino i barili esplosivi, nonostante la pratica sia stata documentata dalle organizzazioni per i diritti umani. iRAq Un’ofensiva imminente Il coordinatore statunitense della coalizione contro il gruppo Stato islamico ha annunciato l’inizio imminente di una grande ofensiva terrestre dell’esercito iracheno contro i miliziani jihadisti, scrive Al Jazeera. Tra il 7 e il 9 gennaio una serie di attentati a Baghdad ha causato 47 morti. L’8 gennaio il governo ha tolto il coprifuoco notturno sulla capitale, che durava da 12 anni. “Dopo che i ribelli houthi hanno conquistato la capitale yemenita Sanaa, molti si sono chiesti quali erano i loro obiettivi e se intendevano governare”, scrive Al Akhbar. Il 6 febbraio gli houthi hanno rotto gli indugi: durante una cerimonia al palazzo presidenziale, i rappresentanti di Ansarullah, il partito dei ribelli sciiti, hanno letto una “dichiarazione costituzionale” con cui hanno annunciato lo scioglimento del parlamento e la formazione di un consiglio presidenziale che sostituisce il capo dello stato dimissionario Abd Rabbo Mansur Hadi. Gli houthi si sono assunti l’incarico di guidare il paese in una fase di transizione che durerà due anni. L’annuncio ha scatenato proteste a Sanaa e a Taiz, che sono proseguite l’11 febbraio, l’anniversario della rivoluzione yemenita. “Molti parlano di colpo di stato”, spiega Al Akhbar. L’8 febbraio l’inviato speciale delle Nazioni Unite Jamal Benomar è tornato nello Yemen per portare avanti i colloqui di pace con le varie fazioni. “Ma ha poche possibilità di successo”, commenta il quotidiano saudita Asharq al Awsat. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia hanno chiuso le loro ambasciate a Sanaa per motivi di sicurezza. u L’Egitto ha sospeso il campionato di calcio dopo che l’8 febbraio 22 tifosi sono morti negli scontri con la polizia davanti a uno stadio del Cairo. u Il 10 febbraio, durante la visita del presidente Vladimir Putin, è stato irmato un accordo tra Russia ed Egitto per costruire la prima centrale nucleare egiziana a Dabaa, sul Mediterraneo. in bReve Bahrein Il 9 febbraio il governo ha annunciato la chiusura della tv Al Arab, del miliardario saudita Al Walid bin Talal, che pochi giorni prima aveva mandato in onda l’intervista a un leader dell’opposizione sciita. Rep. Centrafricana Il 10 febbraio sono ripresi a Bria, nel centro del paese, i combattimenti tra le forze internazionali e i ribelli ex Séléka. Sud Sudan Il 10 febbraio il governo ha accusato i ribelli di aver violato il cessate il fuoco nella città di Bentiu. Da Ramallah Amira Hass Appunti sulla scrivania Sulla mia scrivania ci sono alcuni appunti che presto trasformerò in articoli. 1. Circa mille studenti sono bloccati nella Striscia di Gaza e non possono raggiungere le loro università all’estero. Dal 1997 Israele impedisce agli abitanti di Gaza di uscire dal paese passando per la Giordania. Questo signiica che l’unica via di uscita è il valico di Rafah, al conine con l’Egitto. Ma da quando l’esercito egiziano ha lanciato un’ofensiva contro i Fratelli musulmani, il valico è quasi sempre chiuso. Quando apre è talmente afollato che solo i più aggressivi riescono a passare. In un raro gesto di buona volontà, nell’autunno scorso Israele ha permesso ad alcune decine di studenti di partire attraverso il conine giordano. 2. Israele vuole espellere le comunità di beduini dalle loro terre in Cisgiordania per ospitarle in un insediamento in costruzione. Ma la vita semi-urbana comprometterebbe il tessuto sociale, le abitudini e il sostentamento di circa diecimila persone appartenenti a tre tribù. La loro espulsione permetterà di espandere gli insediamenti ebraici della zona. Nonostante le proteste di palestinesi ed europei, Israele va avanti con il suo piano. 3. I soldati israeliani hanno gambizzato un cameraman palestinese durante una manifestazione di protesta nel villaggio di Kafr Qaddum. Non è la prima volta che succede. Io ormai non vado più a queste manifestazioni. Lo ammetto, sono una vigliacca. Ho paura dei gas lacrimogeni, delle percosse e dei proiettili. u as Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 23 Asia e Paciico ADNAN ABIDI (ReUTeRs/CoNTRAsTo) Arvind Kejriwal dopo i risultati del voto. New Delhi, 10 febbraio 2015 buon numero di elettori del Congress. Questi sono alcuni dei fattori che hanno determinato il risultato elettorale. Ma il Bjp ha le sue colpe. Il partito si è affrettato ad attribuire all’“onda Modi” i successi elettorali ottenuti di recente nel Maharashtra, nel Haryana e nel Jharkhand, sminuendo fattori locali come il forte malcontento nei confronti del potere e il caos all’interno delle coalizioni di governo. Il Bjp deve capire che non potrà cavalcare all’infinito l’“onda Modi”. Il premier resta una personalità fortissima nel panorama politico attuale, ma questo non signiica che la gente voti per il suo partito quando deve scegliere un governatore. Un voto contro gli estremisti A Delhi l’uomo comune batte il primo ministro Hindustan Times, India L’attivista anticorruzione Arvind Kejriwal è stato eletto alla guida del Territorio della capitale con una valanga di voti. Una dura sconitta per il primo ministro Narendra Modi L’ Aam aadmi party (Partito dell’uomo comune, Aap) ha trionfato alle elezioni locali del 7 febbraio nel Territorio della capitale sconiggendo il Bharatiya janata party (Bjp), il partito nazionalista indù del primo ministro Narendra Modi. Molti si sono chiesti se sia stato un referendum sul governo Modi. Comprensibilmente il Bjp nega, mentre il partito del Congress, anche se sconitto e umiliato, spera che la batosta possa fermare l’avanzata inarrestabile di Modi, contando che le tendenze elettorali a New Delhi in genere rilettono quelle del paese. Ma forse la verità sta nel mezzo. La candidata del Bjp era l’ex funzionaria della polizia Kiran Bedi, ma il partito ha incentrato la sua campagna elettorale su Modi, come dimostra l’onnipresenza del premier sui manifesti, negli spot e perino 24 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 nei discorsi pronunciati da importanti esponenti del partito. Ma, nonostante il disastroso risultato del Bjp, considerare il voto come un referendum su Modi potrebbe essere sbagliato. Modi sarà anche un catalizzatore di voti, ma di solito nelle elezioni locali sono decisivi i fattori locali. e a New Delhi il leader dell’Aap, l’attivista anticorruzione Arvind Kejriwal, è un idolo. Bedi non poteva batterlo. Come avrebbe potuto superare le divisioni nel Bjp della capitale? In fondo non stupisce che il Bjp abbia cercato di trasformare l’elezione in uno scontro tra Modi e Kejriwal e che il premier nei suoi comizi elettorali si sia rivolto chiaramente al leader dell’Aap. Gli strateghi del partito di Kejriwal, comunque, hanno fatto meglio dei loro colleghi avversari. Mentre il Bjp ha scelto una strategia negativa e aggressiva (come dimostra lo spot in cui Kejriwal rivolge false promesse ai suoi igli), la campagna dell’Aap ha puntato sui problemi quotidiani dei cittadini, senza mai esprimere giudizi su Modi. Alle elezioni legislative del 2014 diversi sostenitori dell’Aap hanno votato per Modi, ma oggi molti di loro sono tornati ad appoggiare Kejriwal, così come ha fatto un Nell’immediato bisogna capire se la sconitta del Bjp avrà ricadute sul cammino delle riforme economiche del governo Modi. Dal punto di vista politico, invece, bisogna considerare gli efetti a lungo termine. I risultati di Delhi potrebbero spingere i cosiddetti partiti secolari a mettere da parte le divergenze e a unirsi, ora che il Bjp di Modi non sembra più invincibile. Le elezioni nella capitale hanno dimostrato che la classe media si sta avvicinando all’Aap. L’opposizione vuole leggere nel voto la delusione verso il governo Modi, ma è più probabile che si sia trattato di una reazione alle dichiarazioni e alle azioni violente di alcuni ailiati alle organizzazioni nazionaliste indù, inclusi gli attacchi alle chiese. solo il tempo ci dirà come Modi intende gestire queste frange estremiste. u as Da sapere Un successo inatteso u Il 7 febbraio l’Aam aadmi party (Aap) ha vinto le elezioni del Territorio della capitale ottenendo 67 seggi su 70. Gli altri tre sono andati al Bharatiya janata party (Bjp), che guida il governo centrale. Alle ultime elezioni locali, nel 2013, il Bjp aveva vinto il maggior numero di seggi senza però ottenere la maggioranza dei voti. L’Aap, guidato da Arvind Kejriwal, l’attivista anticorruzione che nel 2012 aveva fondato il cosiddetto “partito dell’uomo comune”, arrivò secondo e formò un governo di coalizione con il partito del Congress. Ma, un mese e mezzo dopo, Kejriwal, per protesta contro il mancato passaggio di un disegno di legge contro la corruzione si dimise da governatore di Delhi. Da un anno lo stato è amministrato dal governo centrale. Bbc Malesia BANGLADESH Battaglia a colpi di ritorsioni INDONESIA Vergini alla maturità “Il governo indonesiano non deve più tollerare i test della verginità nel paese”: il Jakarta Globe riporta le dichiarazioni dell’ong Human rights watch a proposito di un progetto di legge del consiglio comunale di Jember, una città sull’isola di Java. L’amministrazione cittadina vuole introdurre il test obbligatorio per le studentesse (ma non per gli studenti) in vista del diploma. “Un’iniziativa sconcertante che però non sorprende”, continua l’ong. Nel paese, infatti, il test è praticato abusivamente da decenni alle aspiranti poliziotte e soldate. Anwar Ibrahim, Putrajaya, 7 febbraio 2015 Tokyo ignora Okinawa “Tra Okinawa e il governo centrale è in corso una guerra fredda”, scrive il Japan Times. Da quando, nel novembre 2014, è stato eletto governatore della provincia più meridionale del Giappone, Takeshi Onaga ha chiesto più volte invano di incontrare il primo ministro Shinzo Abe o il capo di gabinetto Yoshihide Suga. Onaga, che guida la battaglia degli okinawani contro la ricollocazione della base aerea statunitense di Futenma a Henoko, dov’è in corso la costruzione di una nuova base, ha incaricato un comitato di valutare la legalità dell’accordo tra Tokyo e Washington per lo spostamento. Ma, nel quadro del nuovo ruolo militare che Abe vuole dare al paese, Okinawa è più che mai strategica. , OLIvIA HArrIS (reUTerS/CONTrASTO) L’opposizione in carcere ,- !" ' Il 10 febbraio un tribunale malese ha confermato la condanna a cinque anni di reclusione del capo dell’opposizione Anwar Ibrahim, accusato di sodomia. Ibrahim, condannato in primo grado nel marzo del 2014 per aver avuto rapporti sessuali con un suo assistente, ha perso la causa d’appello. Per molti si tratta di una sentenza politica per eliminare l’unico leader in grado di sidare il potere del primo ministro Najib razak. Sono quasi novanta le vittime delle violenze scoppiate all’inizio di gennaio in Bangladesh, dove è in corso una battaglia politica a colpi di ritorsioni tra la Lega awami, guidata dalla prima ministra Sheikh Hasina, al potere dal 2009, e il Partito nazionale bangladese (Bnp), della ex premier Khaleda Zia, che guida l’opposizione. Almeno nove persone sono morte il 7 febbraio a bordo di un pullman a Barisal, nel sud del paese, attaccato con bombe molotov dai sostenitori dell’opposizione. Il giorno prima, in un episodio simile, erano morte altre sette persone. Le proteste dei sostenitori del Bnp, che chiedono nuove elezioni, sono cominciate a un anno dal voto del 5 gennaio 2014, boicottato dall’opposizione. Finora la polizia ha arrestato più di diecimila attivisti del Bnp e segregato la leader Zia nel suo uicio, scrive l’Express Tribune. È probabile che l’esercito interverrà per ristabilire l’ordine, ma è diicile che Hasina cederà alle richieste dei manifestanti. GIAPPONE Cina Senza acqua corrente Caixin, Cina Sono trascorsi dieci anni dal lancio della campagna per garantire a centinaia di milioni di cinesi l’accesso all’acqua potabile, ma vaste zone rurali del paese devono ancora fare i conti con l’insicurezza idrica. Il 29 gennaio si è tenuta una riunione tra i ministri interessati per fare il punto sul piano quinquennale che terminerà quest’anno. Secondo Jiang Wenlai, dell’Accademia cinese per le scienze agricole, il governo riuscirà a fornire acqua a 298 milioni di persone. Altri studiosi, scrive Caixin, sono meno iduciosi. Dal 2006 al 2011 il governo ha investito l’equivalente di 11 miliardi di euro, e altri 18 miliardi tra il 2011 e il 2015, per la fornitura di acqua corrente. Tuttavia, un rapporto del 2012 sottolineava come, mentre milioni di cinesi ottenevano inalmente l’accesso all’acqua, almeno 196 milioni cominciavano ad avere problemi causati dalle acque inquinate e da infrastrutture idriche datate. Sono a rischio soprattutto le zone centrali e occidentali del paese, dove si è trasferita parte della produzione industriale. ◆ IN BREVE Australia Il primo ministro Tony Abbott è sopravvissuto il 9 febbraio a una mozione di siducia interna al Partito liberale, la formazione conservatrice al potere. Abbott ha ottenuto 61 voti a favore e 39 contrari. Cina Il 9 febbraio è stata eseguita la condanna a morte di Liu Han, un magnate dell’industria mineraria accusato di essere a capo di un’organizzazione maiosa nella provincia dell’Hubei, nel centro del paese. Timor Leste Il 9 febbraio si è dimesso il primo ministro Xanana Gusmao, eroe dell’indipendenza. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 25 Visti dagli altri PRoSPekt Casier, in provincia di Treviso, 13 dicembre 2013 Sussurri e grida dal nordest Mischa Täubner, Brand Eins, Germania Foto di Diambra Mariani Le aziende chiudono o licenziano, gli imprenditori si disperano e la iducia nello stato si sgretola. Reportage dal Veneto colpito dalla crisi ue notizie sconcertanti. La prima è che a marzo del 2014 c’è stata una consultazione popolare per decidere se il Veneto dovesse diventare indipendente dall’Italia. Secondo i promotori, al voto ha partecipato il 63 per cento dei quasi quattro milioni di aventi diritto, e l’89 per cento di lo- D 26 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 ro si è espresso in favore della secessione dall’Italia. Questo risultato è stato messo in dubbio da molti, perché la consultazione non si è svolta sotto la supervisione delle autorità regionali o nazionali, ma è stata organizzata da un gruppo di separatisti che si chiama plebiscito.eu, e le votazioni sono state fatte online. Il sociologo Ilvo Diamanti, però, ha invitato a prendere sul serio le aspirazioni indipendentiste. Come ha dimostrato un’inchiesta di Demos & Pi, il suo istituto di ricerca, l’autonomia è una prospettiva allettante per una grossa fetta di veneti. In Veneto non c’è mai stato un grande entusiasmo per lo stato. La regione è da decenni la locomotiva d’Italia, ed è quella che paga più tasse, che lo stato investe soprattutto nelle regioni del sud. Per molti veneti è una situazione intollerabile, ma questo non basta a spiegare il desiderio d’indipendenza. L’altra notizia sconcertante è quella dei suicidi. Secondo uno studio dell’università privata Link campus university di Roma, tra il 2012 e il 2013 si sono tolti la vita per motivi economici un centinaio di piccoli imprenditori veneti. Il Veneto è la quinta regione d’Italia per pil pro capite, e anche il tasso di disoccupazione (7,2 per cento) è nettamente inferiore alla media nazionale (12,9 per cento). Ma in nessun’altra regione la crisi si è sentita così tanto. Dal 2007 il pil regionale si è ridotto del 10,5 per cento e il tasso di disoccupazione è aumentato di quattro punti percentuali. Diecimila imprese sono state costrette a chiudere e altrettante lottano per la sopravvivenza. È questo il motivo dei suicidi? Cosa sta succedendo nel nordest italiano? Come mai tanti veneti hanno perso la iducia nello stato e nel futuro? Un capannone nella provincia di Vicenza. Il rumore dei macchinari, un paio di operai e alcuni mucchi di anelli metallici. “Sono ladri, assassini e trufatori”, sbotta Antonio Costalunga, uno dei seicentomila imprenditori veneti. Perde il controllo quando pensa alla classe politica italiana. Costalunga, 67 anni, è alto e robusto. Ha le mani sporche d’olio ed è nato da una famiglia operaia di Schio, una cittadina a pochi chilometri di distanza. Ha raggiunto il benessere economico con il lavoro e la fatica, ma da qualche anno gli afari della sua fabbrica metalmeccanica sono in caduta libera. Ha dovuto licenziare alcuni operai e la banca non gli fa più credito. Costalunga non riesce a trattenere la rabbia: “Io ho dato il mio contributo allo sviluppo dell’Italia e ora che le cose vanno male lo stato mi abbandona. I politici hanno mandato in rovina questo paese e noi ne dobbiamo subire le conseguenze”, protesta, l’imprenditore. “Paghiamo le tasse più alte d’Europa e le banche non ci danno più soldi”. Costalunga ha partecipato a una puntata del programma tv Servizio pubblico in cui si parlava dei suicidi. È stato invitato perché giocava a calcio con uno degli imprenditori che si è suicidato: Elia Marcante. La ditta di Marcante produceva macchine per la lavorazione del legno. Quattordici dipendenti, tra cui i suoi due igli. Una sera di marzo del 2013 sua iglia lo ha trovato impiccato all’interno della fabbrica. Durante il dibattito in tv Costalunga ha urlato ai politici presenti: “Vergognatevi perché siete voi che avete sulla coscienza Marcante e tutti gli altri”. Il suo è stato lo sfogo di un uomo orgoglioso che vede minacciato il lavoro di una vita. Costalunga si mise in proprio alla ine degli anni sessanta. Dava l’impressione di essere una persona decisa e convinse il direttore di una iliale di banca a fargli credito per aprire uno stabilimento di tornitura. L’azienda cresceva. Costalunga si dava da fare, tornava a casa solo per dormire. A metà degli anni duemila alla lavorazione dell’acciaio ha aiancato la produzione di stufe a pellet. Per tenere a distanza i sindacati e non dover sottostare alle rigide norme contro i licenziamenti ingiustificati, l’imprenditore è sempre rimasto sotto la soglia dei quindici dipendenti, anche se avrebbe avuto bisogno di più persone. Oggi invece i dieci dipendenti rimasti sono troppi. Nel 2005 un subappaltatore ha combinato un guaio dipingendo centinaia di stufe con una vernice che si staccava con il calore forte. Sono passati quattro anni prima che il perito incaricato dal tribunale confermasse l’errore, ma il verdetto deinitivo deve ancora arrivare. “La giustizia italiana è così: uno schifo”, commenta Costalunga. Gli italiani non avevano più i soldi per comprare le stufe e lui ha venduto quel settore della ditta. Malgrado le diicoltà, l’imprenditore si tiene stretta la sua fabbrica. Si aggira nel capannone, dalle quattro del mattino e con la tuta da lavoro, lottando per difendere il suo lavoro. “I miei uomini”, esclama, “li ho sempre pagati. Sempre!”. Separatismo latente Nessuno può spiegare meglio di Daniele Marini, sociologo dell’università di Padova, specializzato nel nordest italiano, cosa signiica la crisi per questa regione. Nel secondo dopoguerra, racconta, il Veneto era una delle regioni più povere del paese. Molti abitanti emigrarono per cercare for- bilità. I pochi che nel corso degli anni hanno investito nell’azienda e si sono orientati verso un orizzonte internazionale stanno superando la crisi. Gli altri si sono rivelati troppo poco innovativi. Il 90 per cento delle aziende venete conta meno di dieci dipendenti e ha trionfato sul mercato inché la globalizzazione non gli ha fatto perdere la posizione dominante. “Che si trattasse di scarpe, sedie o carta”, dice Marini, gli imprenditori veneti “di colpo si sono trovati a competere con i cinesi, che ofrivano prodotti di qualità simile a un prezzo più conveniente”. Questa versione dei fatti non è molto popolare in Veneto, dove si preferisce dare la colpa delle diicoltà alla politica e ai meridionali. Le diferenze tra il nord ricco e il sud povero hanno favorito in dagli anni ottanta le ambizioni secessioniste in Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto. Da gruppi regionali formati in quel periodo nacque la Lega nord, un movimento popu- In Veneto avere successo come imprenditore è la cosa migliore che ti possa capitare. Fallire invece è la peggiore tuna. Poi negli anni sessanta ci fu una rapida ripresa, grazie soprattutto alle piccole imprese manifatturiere a gestione familiare. Fino agli anni novanta queste aziende hanno permesso alla regione di avere tassi di crescita annui compresi tra il 7 e l’8 per cento. “E a questa tendenza si sono associate ascese sociali estreme”, dice Marini. Gli imprenditori sono per il 60 per cento ex operai che si sono messi in proprio nel settore tessile o della lavorazione del legno, nel settore meccanico o della produzione della carta, guadagnando bene. Pur essendo cattolici, spiega Marini, i piccoli imprenditori hanno mostrato un’etica del lavoro calvinista: “Hanno in comune un notevole senso della responsabilità, uno stile dirigenziale paternalistico e un grande orgoglio per quel che hanno realizzato”. Per questo ora la crisi è così dura da sopportare, il loro orgoglio è ferito. Bisogna tener conto di questo per comprendere i suicidi, spiega Marini. “In Veneto avere successo come imprenditore è la cosa migliore che ti possa capitare. Fallire invece è la peggiore”. Secondo il professore, gli imprenditori hanno la loro parte di responsa- lista di destra che sostiene di lottare contro i politici corrotti di Roma e che chiede più autonomia per i lavoratori settentrionali. All’inizio degli anni novanta la Lega nord approittò dello scandalo di Tangentopoli, un intreccio di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti. Con la disgregazione dei partiti della prima repubblica la Lega si trasformò in un partito di massa. Con la crisi, questo separatismo latente che esisteva da tempo ha avuto un nuovo slancio. Nella memoria collettiva dei veneti si agita ancora lo spettro dell’antica Repubblica di Venezia, la Serenissima, una potenza marittima ed economica che crollò nel 1797. Uno che da molto tempo sogna la rinascita della Serenissima è Gianluca Busato, 45 anni, imprenditore informatico, l’uomo che ha lanciato la consultazione di marzo e che da un anno tiene conferenze e compare regolarmente in tv. Sono passati i tempi in cui organizzava segretamente circoli separatisti con un paio di compagni di lotta. Busato, jeans, polo bianca e sguardo cordiale, non ha l’aria dell’agitatore. A metà Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 27 Visti dagli altri degli anni novanta fu espulso dalla Lega nord perché il suo impegno militante per l’indipendenza dell’Italia del nord non rientrava più nella linea del partito, che nel frattempo aveva costituito una coalizione di governo con Forza Italia e con Alleanza nazionale, partito radicato soprattutto al sud. Busato non ha mai smesso di battersi per raggiungere il suo obiettivo. Nel 2012 ha cercato di ottenere una prima consultazione popolare. Ha raccolto irme per una petizione che ha presentato alla giunta regionale e all’Unione europea. Non avendo avuto successo ha deciso di agire di propria iniziativa, mettendo in piedi un sito dove i cittadini del Veneto registrandosi potevano votare. Il risultato è stato annunciato il 21 marzo scorso davanti a duemila persone esultanti in piazza dei Signori, a Treviso. “È stato un grande momento”, ricorda. Per i veneti è insopportabile essere trascinati nel baratro “da uno stato che è uno Anche l’ex imprenditore Massimo Colomban, 66 anni, è stanco della politica. Vuole cambiare il paese e insieme ad altri imprenditori veneti, manager, presidenti di associazioni e delle camere di commercio, ha fondato Si Salviamo l’Italia, una rete di oltre trenta associazioni per elaborare proposte di legge subito attuabili. Per incontrare Colomban bisogna arrivare ino a Cison di Valmarino, un antico borgo ai piedi delle Dolomiti. Da qui si prende una funicolare ino a un magniico castello che ai tempi dei romani era una fortezza e oggi ospita un albergo di lusso con parchi sterminati e diversi musei. Colomban ha acquistato la tenuta alcuni anni fa e l’ha restaurata, spendendo 40 milioni di euro. È diventato ricco grazie all’impresa edile Permasteelisa, fondata negli anni settanta e diventata una multinazionale. Oggi Colomban lavora come investitore e consulente. Sorseggia il suo martini con ghiaccio nel bar dell’albergo mentre lascia Molti sindaci sono stati eletti per la loro ostilità nei confronti dello stato centrale e consolidano la loro popolarità con campagne d’odio dei più indebitati del mondo e che ogni anno sottrae al Veneto 21 miliardi di euro in imposte per tappare buchi di bilancio da qualche altra parte”, si sfoga Busato. Per “afamare la bestia”, come dice, ha esortato i veneti a smettere di pagare le tasse. Busato dice che alle elezioni regionali, issate per maggio, ci sarà un’altra opzione oltre ai soliti partiti: l’indipendenza. E poi? “La realizzeremo”. E se lo stato italiano non lo permetterà? “Lotteremo”. Ad aver perso la iducia nello stato non sono solo separatisti fanatici come Busato. L’Italia di oggi è “un paese frastornato, in cui i cittadini non sanno più a cosa devono credere”, aferma il sociologo Ilvo Diamanti. Una volta all’anno il suo istituto di ricerca fa un’inchiesta sul rapporto che gli italiani hanno con lo stato. Tra il 2001 e il 2010 circa il 30 per cento degli intervistati si idava delle istituzioni. Una percentuale bassa che però nell’ultimo sondaggio (a dicembre del 2013) è precipitata al 19 per cento. Anche la iducia nelle amministrazioni regionali e comunali e nell’Unione europea si sta esaurendo, mentre nei partiti crede ormai solo il 5 per cento degli italiani. 28 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 vagare lo sguardo sull’ampia vallata. “Senza corruzione in Italia non funziona nulla. L’Italia è diventata la faccenda privata di una casta di politici, impiegati e funzionari corrotti”, dice. E aggiunge che un imprenditore deve sempre pagare, fare favori, proteggere i igli di qualcuno. Ogni anno questa situazione costa 60 miliardi di euro allo stato. Il peso del isco Una delle leggi proposte da Colomban e dalla rete di organizzazioni riguarda la corruzione e la concussione: “Chi crea un danno allo stato deve restituire una cifra doppia sull’ammontare ricevuto illecitamente, oltre a essere interdetto per sempre dai pubblici uici, dai partiti e da qualsiasi ente o azienda con una partecipazione pubblica”. Solo così lo stato potrà essere risanato, spiega l’ex imprenditore. Scuola, lavoro, sanità, giustizia: in tutti i campi occorrono nuove leggi. La burocrazia e l’alto onere iscale devono essere ridotti. Racconta che il produttore di pasta Rana ha dovuto trattare con le autorità per sette anni prima di poter costruire uno stabilimen- to in Veneto, mentre negli Stati Uniti dall’acquisto del terreno alla fabbricazione dei primi tortellini sono passati appena undici mesi. Alcune aziende, prosegue Colomban, danno al isco il 70 per cento del loro guadagno lordo. Dal momento che ino al 2014 l’Irap, la tassa regionale, non prevedeva deduzioni sul costo del personale e sulle spese di finanziamento, le imprese con molti dipendenti e una copertura inanziaria limitata sono state particolarmente svantaggiate. “Siamo un paese con uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Europa e ci permettiamo una tassa sull’occupazione. È una follia”. I mezzi d’informazione seguono con attenzione le idee escogitate da quest’uomo dietro le mura del suo castello. Nel 2013 hanno reagito con irritazione quando Colomban ha fatto incontrare nella sua tenuta gli imprenditori locali e gli attivisti del Movimento 5 stelle, schierato apertamente contro l’intero establishment politico. Successivamente hanno riferito che Colomban sosteneva il presidente del consiglio Matteo Renzi nel suo impegno riformista. Poi hanno dato la notizia che l’ex imprenditore è un simpatizzante dell’indipendentismo veneto. Il leader separatista Busato ha annunciato con orgoglio che Colomban ha messo il suo castello a disposizione dell’assemblea costituente della nuova repubblica veneta. Busato non ha più iducia nell’Italia? “Ci troviamo in una situazione di emergenza”, dice, “abbiamo bisogno di una ripartenza immediata. Se il governo collaborerà, bene. Altrimenti ne faremo a meno”. Di questi tempi in Veneto si può osservare chiaramente cosa succede in una società che ha perso la fiducia nello stato. Oltre al separatismo, si sta affermando l’intolleranza verso gli stranieri e gli emarginati. Questo sentimento viene alimentato da molti sindaci che sono stati eletti per la loro ostilità nei confronti dello stato centrale e che stanno consolidando la loro popolarità con costanti campagne d’odio, in una spirale negativa che erode ancora di più la iducia nelle istituzioni. Il prototipo del sindaco che s’infuria a ogni occasione è Luca Claudio, di Abano Terme. Il suo uicio è pieno di gagliardetti con il ritratto del duce e altri souvenir di Mussolini. “Un regalo dei cittadini”, spiega il politico. Per lui i suicidi degli imprenditori sono stati una manna dal cielo. In un ProsPekt Verona, 26 dicembre 2014. Un autolavaggio self service sulla tangenziale Nord appello rivolto al presidente del consiglio e al presidente della repubblica, inviato anche al papa e al presidente della Commissione europea, Claudio ha chiesto, facendo clamore, misure concrete. “I suicidi si diffondono a macchia d’olio e producono un pericoloso meccanismo di emulazione”, aferma Claudio. Abano terme è una ricca località termale e ha ventimila abitanti. Quasi nessun disoccupato, poca criminalità. Questo, però, non ha impedito a Claudio di organizzare delle ronde. e di invitare i cittadini a emigrare afermando, attraverso dei tabelloni luminosi del comune, che lo stato tratta gli immigrati meglio degli autoctoni. “È stata una provocazione”, dice il sindaco sorridendo. Giovani disoccupati Anche a Verona, la città di romeo e Giulietta, si respira da tempo il tanfo dell’intolleranza. Quando Goethe fece tappa qui, durante il suo viaggio in Italia, descrisse l’impressione che ebbe di Verona in questi termini: “Del resto si grida, si scherza e si canta per tutta la giornata fra un brulichio, una confusione, un tripudio e risate che non iniscono mai. L’aria mite e il vitto a buon mercato rendono facile la vita”. A circa 230 anni di distanza di quell’atmosfera è rimasto ben poco. Il sindaco vuole valorizzare il centro storico. Per farlo, prima ha vietato ai cittadini di dare da mangiare in strada ai senzatetto: chi si oppone all’ordinanza deve pagare una multa compresa tra i 25 e i 500 euro. Poi ha fatto togliere le panchine per evitare che i sen- zatetto ci dormissero. “La città ha perso la sua aria allegra”, dice Alice Peres, 39 anni, un’artista di strada che con il compagno e il iglio di cinque anni esegue i suoi numeri acrobatici davanti all’Arena. La donna estrae dallo zaino un foglio: si tratta del nuovo regolamento che permette agli artisti di strada di usare il suolo pubblico per le loro esibizioni solo sette giorni al mese. Il compagno dell’acrobata ha ricevuto una multa di 168 euro perché stava mimando un antico romano senza licenza. Da quel giorno la coppia ha paura di essere multata di nuovo. oggi fare un viaggio in questa regione signiica attraversare una società disorientata. stefano Allievi, sociologo dell’università di Padova, vede nell’aspirazione all’indipendenza il tentativo di fuggire dai pro- Da sapere I consumi delle famiglie Variazione dei consumi rispetto all’anno precedente, % Fonte: Unioncamere Veneto, rapporto 2013 0,9 Veneto Italia 0,9 -0,1 -1,1 -0,3 -1,4 -3,3 2008-2009 2010-2011 -3,5 2012-2013 2014 blemi reali. “Nel Veneto di oggi”, spiega, “non resta praticamente più nulla della cultura cosmopolita e del primato economico dell’antica repubblica di Venezia. Quella di oggi è una società chiusa, in gran parte provinciale a livello economico, arretrata sul piano digitale e che conosce poco le lingue straniere”. se i veneti vogliono evitare un ulteriore declino, prosegue il sociologo, devono uscire dall’ombra del passato e aprirsi ai cambiamenti del mondo globalizzato. Allievi ha iducia nei giovani, ma neanche per loro è facile. Davide Corporali ha studiato economia aziendale e spiega quanto guadagna in Italia un giovane appena entrato nel mondo del lavoro. Nei primi sei mesi si riceve di solito solo un rimborso spese di 500 euro, poi per i successivi tre anni si guadagna 1.000 euro. “Però ottenere un contratto a tempo indeterminato è molto diicile”. Il 40 per cento degli italiani con meno di venticinque anni è disoccupato, e un laureato su quattro lascia l’Italia. Meglio fondare un’impresa, hanno pensato l’anno scorso Corporali e i suoi amici. L’azienda mette in contatto i produttori locali di generi alimentari e i consumatori. Carne, frutta, verdura, pane, formaggio, pasta, vino: sul suo sito la ditta ofre cibi freschi d’ogni tipo. I giovani hanno irmato un contratto con alcuni produttori selezionati da cui vanno a prendere direttamente la merce per poi consegnarla ai clienti entro tre giorni dall’ordine. L’attività è ancora in fase sperimentale. secondo Corporali, le dimensioni della città fanno di Verona il luogo ideale per questa attività, “che può facilmente essere estesa ad altre città con dimensioni simili”. Non appena qui gli afari cominceranno ad andare bene, il servizio potrebbe espandersi. Questi ragazzi non ricevono aiuti. In Italia le sovvenzioni pubbliche e i inanziatori privati sono rari, perciò molti giovani si trasferiscono all’estero. Corporali e i suoi soci hanno versato un capitale iniziale di 25mila euro e reinvestono tutte le entrate nell’azienda. Per guadagnarsi da vivere per ora fanno un altro lavoro. Corporali (per esempio) passa le serate dietro il bancone di un bar. “Per il momento”, dice, “mi sta bene così”. u fp Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 29 Le opinioni Putin riscrive la storia della guerra fredda Natalie Nougayrède el dibattito sull’atteggiamento che do i crimini commessi in Europa orientale, il presidente l’Europa dovrebbe adottare nei con- rischierebbe di compromettere la sua narrativa. A novembre Putin ha rilasciato la seguente dichiafronti della Russia è passato quasi inosservato un importante anniver- razione a proposito della Russia: “Comprendiamo sario: settant’anni fa Winston Chur- quanto sia pericolosa una ‘cortina di ferro’ per noi. Non chill, Franklin Delano Roosevelt e seguiremo questa strada, nessuno ci costruirà un muro Iosif Stalin si incontrarono a Jalta per discutere intorno”. Mi ha ricordato il ilm Goodbye, Lenin!, in cui dell’equilibrio mondiale che sarebbe emerso dopo la una donna comunista della Germania Est entra in cosconitta della Germania nazista. Si dice spesso che a ma prima della caduta del muro di Berlino. Al suo risveJalta i tre leader si spartirono l’Europa. In realtà l’Eu- glio il iglio cerca di alleviarne il trauma producendo un into notiziario in cui i tedeschi dell’est ropa era già stata divisa dall’avanzata che scappano verso l’ovest vengono dedell’armata rossa. I tre stabilirono che Come avvenuto tra nei paesi occupati si sarebbero svolte Francia e Germania, scritti come tedeschi dell’ovest in fuga “elezioni libere”. Stalin, però, non man- la Russia e l’Europa verso la Ddr. Creando una realtà alternativa, Putin tenne la promessa e instaurò ovunque potranno costruire dipinge la Russia come una vittima, non delle dittature comuniste. un rapporto come l’aggressore che in effetti è in In seguito Roosevelt ammise privata- duraturo solo Ucraina. In questo tentativo di ritagliarsi mente che lui e Churchill erano stati in- quando una zona d’inluenza in Europa, il presigenui e si erano fatti ingannare dal leader condivideranno la dente parte dalla premessa che l’occisovietico. D’altra parte uno dei loro obietstessa versione del dente non ha rispettato la Russia dopo la tivi principali era assicurarsi che l’Unione loro passato ine della guerra fredda. C’è molta mistiSovietica partecipasse allo sforzo bellico icazione in questa idea, anche se l’occicontro il Giappone, e Stalin chiese in cambio il dominio sull’Europa orientale. Per gli europei dente non è esente da colpe. Come ha scritto la storica dell’est, Jalta è diventata sinonimo del sacriicio della Mary Elise Sarotte, l’occidente non ha mai promesso di libertà delle piccole nazioni entrate nella sfera d’in- non allargare la Nato. Gorbaciov accettò i termini della luenza delle grandi potenze. I russi, invece, sono con- riuniicazione della Germania oferti da George Bush e vinti di essere stati dei liberatori. Oggi la guerra in Helmut Kohl perché aveva un disperato bisogno dell’asUcraina ha riacceso il dibattito sulle “zone d’inluen- sistenza inanziaria tedesca. Si deve però ammettere che la Russia è stata messa za”: per una strana coincidenza lo scontro tra l’Europa e la Russia verte proprio sul paese dove si tenne la con- in una situazione in cui una vecchia struttura della guerra fredda, la Nato, ha semplicemente continuato a ferenza di Jalta. In questo confronto la battaglia retorica è importan- espandersi, mentre nessuno ha pensato di creare un te quanto quella sul campo. Vladimir Putin ha da sem- sistema per inquadrare i futuri rapporti tra Mosca e pre l’abitudine di evocare la storia per giustiicare le sue l’Europa. Più che al cinismo dell’occidente, Sarotte atazioni. In un discorso pronunciato nel marzo del 2014 il tribuisce questo errore alla rapidità con cui si veriicaropresidente russo ha descritto l’annessione della Crimea no gli eventi tra il 1989 e il 1991. Francia e Germania sono riuscite a riconciliarsi docome la correzione di un’ingiustizia storica. Putin ha anche dichiarato che tutti i russi, anche quelli che vivo- po la seconda guerra mondiale anche grazie a una valuno negli altri paesi dell’ex Unione Sovietica, restano tazione comune della storia. Allo stesso modo, Russia parte della nazione russa, sottintendendo che in futuro ed Europa potranno costruire un rapporto duraturo soMosca potrebbe “proteggere” anche loro. Questa logi- lo quando condivideranno la stessa versione del loro ca equivale a consegnare l’intero ordine europeo basato passato. Perché questo avvenga è indispensabile che i russi curino le ferite che si sono inlitti da soli, e in quesulle regole alla pattumiera della storia. In tutto il mondo esiste il desiderio di proiettare la sto senso è signiicativo che Putin non abbia mai visitaconoscenza e le emozioni di oggi sugli eventi del passa- to il monumento alle vittime dei gulag a Mosca. Per il momento non c’è da essere ottimisti. Di recento, e riscrivere così la storia. I regimi totalitari, però, sfruttano la versione uiciale della storia e la propagan- te il presidente del parlamento russo ha condannato da per consolidare la loro esistenza, un processo perfet- “l’annessione” della Germania Est da parte della Gertamente descritto da George Orwell. Putin sa benissi- mania Ovest nel 1990. Nel mondo di Putin, come dicemo quanto il modo in cui i russi vedono la loro storia è va una vecchia battuta sovietica, il futuro è certo, è il importante per la sua legittimità politica. Riconoscen- passato che è imprevedibile. u as N 30 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 NATALIE NOUGAYRÈDE è una giornalista francese. È stata corrispondente di Libération e della Bbc dalla Cecoslovacchia e dal Caucaso e ha diretto Le Monde dal 2013 al 2014. Scrive questa column per il Guardian. Le opinioni Il grande equivoco del debito pubblico Paul Krugman Niente afatto. Una famiglia indebitata deve dei econdo molti economisti, compresa la presidente della Federal reserve statunitense soldi a qualcun altro, mentre l’economia deve dei soldi Janet Yellen, i guai dell’economia globale a se stessa. È vero che i paesi possono indebitarsi con dal 2008 in poi sono dovuti soprattutto al altri paesi, ma dal 2008 l’indebitamento degli Stati deleveraging o riduzione della leva inanzia- Uniti con l’estero è diminuito, mentre l’Europa è in ria (ovvero il tentativo simultaneo di ridur- credito netto con il resto del mondo. Siccome sono solre il livello d’indebitamento in tutto il mondo). Perché di che dobbiamo a noi stessi, il debito non rende direttamente l’economia più povera, e rimla riduzione della leva inanziaria è un borsarlo non ci rende più ricchi. Il debito problema? Perché la spesa di Tizio è il Una famiglia può rappresentare una minaccia alla reddito di Caio e la spesa di Caio è il red- indebitata deve dei dito di Tizio: perciò, se tutti tagliano la soldi a qualcun altro, stabilità finanziaria, ma la situazione non migliora se per ridurlo si spinge spesa nello stesso momento, il reddito mentre l’economia l’economia verso la delazione e la decala in tutto il mondo. Come ha detto Yel- deve dei soldi a se len nel 2009, “quelle che per i privati e le stessa. Il debito non pressione. Il che ci riporta agli eventi delle ultiimprese sono giuste precauzioni – e anzi, rende l’economia me settimane, perché c’è un collegasono essenziali per riportare l’economia più povera, e mento diretto tra l’incapacità di ridurre alla normalità – purtroppo aggravano le rimborsarlo non ci l’indebitamento e la crisi politica che sta diicoltà dell’economia in generale”. emergendo in Europa. I leader europei Quanti progressi abbiamo fatto nel rende più ricchi sono convinti che la crisi economica sia riportare l’economia alla “normalità”? Nessuno. Le autorità politiche e inanziarie hanno agito stata provocata da un eccesso di spesa da parte di paepartendo da una lettura sbagliata del debito, e i loro ten- si che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilitativi di ridimensionare il problema in realtà lo hanno tà. La strada giusta, secondo la cancelliera tedesca aggravato. Innanzitutto, i fatti: da un recente rapporto Angela Merkel, è il ritorno alla sobrietà. L’Europa, ha del McKinsey global institute intitolato “Debito e (non detto, dev’essere parsimoniosa come la proverbiale molto) deleveraging” emerge che il rapporto tra debito casalinga sveva. Questo ha provocato una catastrofe al rallentatore. complessivo e pil non si è ridotto in nessun paese del mondo. Il debito privato è calato in alcuni paesi, spe- I debitori europei dovevano sì stringere la cinghia, ma cialmente negli Stati Uniti, ma è cresciuto in altri, e do- l’austerità che sono stati costretti ad adottare è stata ve c’è stata una signiicativa riduzione dell’indebita- incredibilmente brutale. Nel frattempo, la Germania e mento delle aziende e dei cittadini il debito pubblico è altre grandi economie – che dovevano spendere di più per compensare la contrazione nella periferia – hanno cresciuto più di quanto è diminuito quello privato. Qualcuno penserà che se non siamo riusciti a ridur- cercato a loro volta di spendere meno. Così si è creata re il rapporto tra debito e pil è perché non ci abbiamo una situazione in cui ridurre il rapporto tra debito e pil è provato: famiglie e governi non si sono impegnati abba- diventato impossibile: la crescita reale ha rallentato stanza a stringere la cinghia, perciò ci vuole più austeri- bruscamente, l’inlazione è scesa quasi a zero e nei patà. La realtà, però, è che non abbiamo mai avuto tanta esi più colpiti è arrivata addirittura la delazione. I poveri elettori hanno sopportato questo disastro austerità. Come ha osservato il Fondo monetario internazionale, la spesa pubblica reale al netto degli interes- per un tempo sorprendentemente lungo, credendo alla si è scesa in tutti i paesi ricchi: ci sono stati pesanti tagli promessa che presto i loro sacriici sarebbero stati ripanei paesi indebitati dell’Europa meridionale, ma ci so- gati. Ma dato che le diicoltà continuavano ad aumenno stati tagli anche in paesi come la Germania e gli Sta- tare senza produrre risultati, la radicalizzazione è stata ti Uniti, che pure sono in grado di inanziarsi a tassi inevitabile. Chiunque si sorprenda della vittoria della sinistra in Grecia o dell’avanzata delle forze anti-estad’interesse vicini ai minimi storici. Tutta questa austerità ha peggiorato le cose. Era blishment in Spagna non è stato abbastanza attento. Nessuno sa cosa succederà ora, anche se i bookmaprevedibile, perché l’invito a risparmiare si è fondato su un fraintendimento del ruolo del debito nell’econo- ker considerano sempre più probabile l’uscita della mia. L’equivoco è evidente ogni volta che qualcuno si Grecia dall’euro. Forse i danni si fermeranno qui, ma io scaglia contro il deicit con slogan come “Smettiamo non credo: l’uscita della Grecia minaccerebbe l’intero di rubare ai nostri igli”. Apparentemente suona bene: progetto della moneta unica. E se l’euro fallirà, sulla sua le famiglie che s’indebitano s’impoveriscono, perciò lapide bisognerà scrivere: “Morto per un’analogia sbagliata”. u fas vale lo stesso per il debito pubblico, giusto? S 32 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 PAUL KRUGMAN è un economista statunitense. Nel 2008 ha ricevuto il premio Nobel per l’economia. Scrive sul New York Times. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Fuori da questa crisi, adesso! (Garzanti 2012). In copertina Non rispondon John Gibler, The California Sunday Magazine, Stati Uniti. Foto di Timothy Fadek Il 26 settembre, nello stato messicano di Guerrero, 43 studenti sono scomparsi dopo essere stati fermati dalla polizia. La ricostruzione di una giornata che ha cambiato per sempre il paese 34 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 studenti scomparsi. I mezzi d’informazione nazionali e internazionali hanno cominciato a interessarsi della questione dal 4 ottobre, dopo che la procura ha annunciato di aver scoperto la prima di una serie di fosse comuni alla periferia di Iguala. Quando gli antropologi forensi hanno confermato che il primo dei trenta corpi trovati carbonizzati non era di uno studente di Ayotzinapa, la rabbia ha preso il sopravvento. A ottobre ci sono state manifestazioni e presidi in tutto il paese. A Chilpancingo, la capitale dello stato di Guerrero, gli studenti della scuola rurale hanno rotto le inestre e incendiato gli ediici del governo statale. A Iguala i manifestanti hanno saccheggiato il comune. Sequestro a tempo Anche se non è stato un evento isolato né il peggior massacro degli ultimi anni, quello che è successo il 26 settembre ha colpito profondamente la società messicana. Forse per la ferocia e la brutalità dei fatti, perché le vittime sono studenti, perché gli autori materiali sono soprattutto poliziotti, perché è probabile che dietro l’imboscata ci siano il sindaco di Iguala, sua moglie e il capo della polizia, per il modo in cui il governo ha gestito le indagini o per l’insensibilità mostrata verso le famiglie degli studenti. Qualunque sia la causa (forse è una combinazione di tutte queste ragioni) l’efetto che questa vicenda ha avuto sul paese è enorme. Iguala è diventata sinonimo di trauma collettivo. Il Messico è in lutto, e al centro del dolore ci sono le 43 famiglie sul campo da pallacanestro di Ayotzinapa e la loro straziante richiesta: se li sono presi vivi, li rivogliamo vivi. Ogni anno 140 nuovi studenti entrano nella scuola maschile rurale per maestri di Redux/COntRAStO A ll’inizio di ottobre il campo da pallacanestro della scuola normale rurale di Ayotzinapa, nello stato messicano di Guerrero, è diventato una sala d’attesa all’aperto piena di disperazione. Sotto il tetto di lamiera del campo, le famiglie di 43 studenti scomparsi si sono ritrovate per seguire le ricerche, le manifestazioni di protesta e le riunioni con i funzionari del governo, i difensori dei diritti umani e gli antropologi forensi. Riuniti in gruppi ai bordi del campo, seduti sul pavimento o su sedie pieghevoli disposte a semicerchio, i genitori parlavano tra loro a voce bassa. Molti erano arrivati da piccole comunità indigene delle montagne e non avevano vestiti di ricambio. Cercavano tutti i loro igli. La notte del 26 settembre 2014 a Iguala, a pochi chilometri da Ayotzinapa, alcuni poliziotti hanno teso un’imboscata a cinque autobus di studenti della scuola rurale e a un altro su cui viaggiava una squadra di calcio. Insieme a tre sicari non identificati, hanno ucciso sei persone, ne hanno ferite altre venti e hanno fatto “sparire” 43 studenti. Il cadavere di una delle vittime è stato trovato in un campo la mattina dopo. Gli assassini hanno reso irriconoscibile il suo volto. I soldati del ventisettesimo battaglione di fanteria, incaricati di combattere il crimine organizzato, non sono intervenuti. La loro caserma è a meno di tre chilometri di distanza. In un primo momento la notizia dell’agguato è stata accolta da una muta indignazione, soprattutto perché le informazioni che arrivavano erano confuse. Per giorni sono circolate cifre contraddittorie sugli Ayotzinapa. Gli studenti provengono da alcuni dei villaggi più poveri del mondo, dove di solito la scuola elementare è una stanza di paglia e fango senza elettricità né acqua corrente. Ma non c’è futuro neanche per i ragazzi più volenterosi: molti sono destinati a entrare nel narcotraico o ad attraversare il deserto dell’Arizona per lavorare come no all’appello Una manifestazione per gli studenti scomparsi, il 23 ottobre 2014 a Chilpancingo braccianti in California o come lavapiatti a Chicago. La scuola di Ayotzinapa ofre la possibilità di una professione. La retta, il vitto e l’alloggio sono gratuiti, e il governo statale paga 50 pesos (3 euro) al giorno per studente per garantire una dieta a base di uova, riso e fagioli. Gli studenti si occupano delle pulizie e della mensa. Le camere dei ragazzi che frequentano il primo anno sono scatole di cemento senza inestre né mobili. In ogni stanza vivono al massimo otto studenti, che di notte dormono su cartoni e coperte. Alcuni attaccano una cassetta al muro e la usano come comodino. Le scuole rurali per maestri furono create dopo la rivoluzione messicana per pro- muovere l’alfabetizzazione nelle campagne. A metà del novecento ce n’erano trentasei. Nel 1969 il governo federale chiuse vari istituti e oggi ne restano solo quattordici. Quella di Ayotzinapa fu fondata nel 1926, e come tutte le scuole rurali per maestri ha una lunga tradizione di movimenti studenteschi di sinistra. I murales della scuola non Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 35 In copertina ritraggono solo rivoluzionari di fama internazionale come Che Guevara o il subcomandante Marcos, ma anche leader guerriglieri degli anni settanta come Lucio Cabañas Barrientos e Genaro Vázquez Rojas, entrambi ex studenti di Ayotzinapa. Alcuni commemorano due studenti uccisi dalla polizia nel 2011 durante una protesta per ottenere più risorse per la scuola. Una delle “attività” più comuni tra gli studenti è il sequestro degli autobus. Il tirocinio è fondamentale per il percorso di studi, ma la scuola non ha molti mezzi di trasporto per accompagnare gli studenti nei vari istituti. All’inizio di settembre aveva due autobus, due furgoncini e una camionetta. Così quando c’è bisogno di un mezzo di trasporto, gli studenti vanno al terminal più vicino o bloccano una strada, fermano un autobus e informano l’autista e i passeggeri che il veicolo sarà usato “a ini didattici dalla scuola di Ayotzinapa”. Ormai è diventata un’abitudine. I funzionari del governo condannano le azioni degli studenti e li accusano di essere dei ladri. Gli studenti sostengono che non si tratta di furti perché arrivano sempre a “un accordo” che prevede un pagamento. Gli autisti infatti non abbandonano i loro mezzi: a volte dopo aver raggiunto una scuola si accampano lì e ricevono da mangiare per settimane e a volte anche mesi. I blocchi delle autostrade, invece, di solito avvengono ai caselli: gli autisti, circondati, tendono a “devolvere” l’equivalente del pedaggio al fondo trasporti della scuola rurale. Nessuna di queste tattiche è esclusiva di Ayotzinapa, ma qui sono parte integrante del funzionamento della scuola. Nel maggio del 2013 una giornalista di Televisa, Adela Micha, ha intervistato il governatore dello stato di Guerrero, Ángel Heladio Aguirre Rivero (si è dimesso il 23 ottobre 2014). Micha gli ha chiesto come mai i furti di autobus da parte degli studenti fossero così comuni. “Ayotzinapa è diventata una specie di bunker”, ha risposto Aguirre. “Le autorità statali e federali non riescono a entrare. Alcuni gruppi la usano come base per indottrinare i ragazzi e alimentare il malcontento sociale”. Micha ha chiesto: “Chi li sta indottrinando?”. “Qualche guerriglia insonne”, ha afermato il governatore. L’azione del 26 settembre non doveva svolgersi a Iguala. “Volevamo andare a Chilpancingo”, mi spiega Iván Cisneros, uno degli studenti del secondo anno che quel pomeriggio coordinava le attività. “Le nostre azioni si svolgono sempre lì. Ma la situazione era molto tesa e non volevamo 36 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 mettere a repentaglio nessuno, così siamo andati a Iguala”. La seguente cronaca di quello che è successo la notte del 26 settembre si basa sulle interviste a quattordici studenti sopravvissuti e a una decina di abitanti della zona, compresi quattro giornalisti presenti durante i fatti. I nomi degli studenti sopravvissuti sono stati cambiati. Come un feudo A metà settembre un gruppo di studenti del secondo anno ha requisito due autobus al terminal di Chilpancingo. Ne avevano bisogno per andare a fare tre giorni di tirocinio. Al ritorno gli studenti si sono tenuti gli autobus e gli autisti perché molti volevano andare a Città del Messico per la manifestazione in ricordo del massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968, in cui l’esercito uccise centinaia di studenti. Il problema era che Ayotzinapa non aveva abbastanza autobus per trasportare tutti. Così, per trovare altri mezzi di trasporto, alcuni studenti, quasi tutti del secondo anno, hanno fatto un piano per il pomeriggio del Da sapere Ultime notizie Ciudad Juárez 300 km STATI UNITI MESSICO Allende San Fernando Golfo del Messico Oceano Paciico Cocula Città San Salvador del Messico Atenco Guerrero Iguala Huitzuco Ayotzinapa Chilpancingo Oaxaca Acapulco u In un rapporto pubblicato il 7 febbraio 2015 l’Equipo argentino de antropología forense, che da mesi lavora al caso degli studenti scomparsi il 26 settembre 2014 a Iguala, nello stato di Guerrero, ha denunciato irregolarità e lacune nell’inchiesta condotta dal governo del Messico. Il 27 gennaio il procuratore generale della repubblica, Jesús Murillo Karam, aveva dichiarato che c’era ormai una “certezza legale” sulle circostanze che avevano portato al sequestro e all’uccisione dei 43 studenti. Ma i genitori dei ragazzi chiedono che le indagini proseguano: il 2 e il 3 febbraio una delegazione è andata a Ginevra, dove il governo messicano è comparso davanti a un comitato delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate per rispondere del massacro degli studenti. Afp 26 settembre. Non sarebbero andati a Chilpancingo perché i granaderos, i poliziotti antisommossa, erano appostati al terminal degli autobus. L’azione si sarebbe svolta vicino a Huitzuco, una cittadina a un centinaio di chilometri dalla scuola. Verso le cinque e mezzo del pomeriggio i coordinatori hanno fatto salire a bordo dei due autobus un’ottantina di studenti del primo anno e sono partiti. Secondo tutte le versioni, negli autobus c’era un’atmosfera gioiosa. I nuovi studenti frequentavano i corsi da un mese: quella mattina molti erano andati alla loro prima lezione e ora stavano per partecipare a uno dei riti d’iniziazione della scuola. “Non sapevamo dove fossimo diretti e perché”, mi spiega uno studente del primo anno. “Ci hanno detto solo: andiamo”. Gli studenti si sono fermati vicino a Huitzuco e hanno chiesto donazioni in attesa di qualche autobus. Stava facendo buio, gli automobilisti erano ostili e gli autobus non passavano. Cisneros ha chiamato uno dei coordinatori: “Dobbiamo rinunciare, non riusciamo a prenderne neanche uno”. Proprio quando i coordinatori stavano per annunciare la decisione di tornare ad Ayotzinapa, è passata una corriera. I coordinatori si sono messi d’accordo con l’autista, che li ha fatti salire e ha chiesto di poter passare prima a Iguala, a venti minuti di distanza, per lasciare gli altri passeggeri. La corriera è arrivata nella città alle otto di sera. Sono scesi tutti, tranne i nove studenti che l’avevano sequestrata. L’autista gli ha spiegato che, prima di ripartire serviva un’autorizzazione. “Aspettatemi un momento”, ha detto. A pochi isolati da lì i vertici politici di Iguala e quattromila acarreados (persone fatte arrivare per riempire la piazza) erano riuniti nella Plaza cívica de las tres garantías per ascoltare il secondo rapporto annuale della sede locale del Sistema nazionale per lo sviluppo integrale della famiglia. È diiGUATEMALA cile che un’agenzia di sviluppo regionale abbia soldi da sperperare in iori, luci, musica, cose da mangiare e gruppi musicali per presentare un rapporto annuale. Secondo i giornalisti presenti, il ritrovo era in realtà una festa elettorale per la moglie del sindaco, María de Los Ángeles Pineda, che voleva candidarsi per succedere al marito. In piazza c’era anche un colonnello del ventisettesimo battaglione di fanteria. José Luis Abarca è stato eletto sindaco nel 2012, ma da tempo lui e la moglie trattavano Iguala come un feudo. Negli ultimi anni avevano comprato 31 appartamenti, nove negozi e tredici gioiellerie. L’esercito messicano aveva donato alla città un terre- REDUx/CoNTRASTo Un altare nella palestra della scuola di Ayotzinapa, il 24 ottobre 2014 no di periferia e la coppia ci ha costruito un centro commerciale da 23 milioni di dollari. In diverse occasioni la procura statale e quella federale hanno accusato i genitori di Pineda e i suoi tre fratelli (due sono stati uccisi) di essere a capo del gruppo criminale Guerreros unidos. A Iguala polizia e Guerreros unidos sono sinonimi. Una volta Pineda ha minacciato un giornalista pubblicamente: “Se continui a scrivere di certi argomenti ti taglio le orecchie”. Abarca è stato accusato dell’omicidio dell’attivista Arturo Hernández Cardona, nel 2013. Un testimone ha dichiarato davanti alla procura federale che Abarca ha sparato a Hernández Cardona colpendolo in faccia e al petto. L’attivista era scomparso da quattro giorni quando il suo cadavere è stato trovato sul ciglio di una strada con evidenti segni di tortura. I nove studenti che aspettavano il ritorno dell’autista erano all’oscuro delle accuse contro il sindaco di Iguala e la moglie, e non sapevano che si trovavano lì vicino. I ragazzi vedevano l’autista discutere con le guardie del terminal e le guardie parlare per telefono e alla radio. Temendo che l’autista si riiutasse di risalire sull’autobus, hanno chiamato i loro compagni ancora sull’autostrada. La loro risposta è stata im- mediata: hanno preso dei sassi, sono saliti sui due pullman e sono partiti verso Iguala. Quando sono arrivati, hanno parcheggiato lungo la strada e si sono lanciati verso il terminal, con i volti coperti dalle magliette. I nove studenti rimasti ad aspettare l’autista hanno abbandonato l’autobus e, insieme ai compagni, ne hanno sequestrati altri tre. A quel punto gli studenti avevano cinque autobus e in giro non si vedevano poliziotti. Hanno chiesto agli autisti di farli uscire dalla città il prima possibile: due autobus sono andati verso est, in direzione del Periférico sur, un viale che costeggia il centro e porta all’autostrada, gli altri tre si sono diretti a nord su calle Galeana, verso Plaza cívica. Senza dar retta agli studenti, che chiedevano di accelerare, l’autista in testa avanzava a passo d’uomo. Erano le nove e mezzo. In piazza i discorsi erano initi e stava suonando la banda. Quando i tre autobus sono passati per Plaza cívica sono arrivate le camionette della polizia a sirene spiegate. Una si è piazzata davanti al primo autobus, bloccando il passaggio. Gli studenti sono scesi per cercare di liberare la strada. Sono arrivati altri poliziotti e hanno cominciato a sparare in aria. Gli studenti di Ayotzinapa davano per scontato che combattere contro la polizia fosse come giocare al gatto e al topo: se ti prendevano ti picchiavano e ti arrestavano, ma le pallottole non facevano parte del gioco. Si sono lanciati contro la camionetta prendendola a sassate e obbligando l’autista a fare marcia indietro. “Ero sul terzo autobus. Siamo scesi appena abbiamo sentito gli spari”, racconta Ernesto Guerrero, uno studente del primo anno. “Un compagno del secondo anno ci ha detto: ‘Non vi preoccupate, sparano in aria’. Ma avvicinandoci abbiamo capito che sparavano contro la corriera e contro di noi. Allora abbiamo deciso di difenderci: ho trovato quattro sassi e glieli ho lanciati addosso”. Dopo aver liberato la strada, i tre autobus hanno proseguito su calle Juan N. Álvarez, una strada che porta al Periférico norte. Le camionette della polizia li hanno inseguiti, arrivando dai lati e da dietro, e sparando. Gli autobus si trovavano a pochi metri dall’incrocio con il Periférico norte quando una camionetta gli ha tagliato la strada. L’autista del primo autobus ha abbandonato il mezzo e, quando gli studenti sono scesi per spingere la camionetta della polizia e liberare il passaggio, i poliziotti hanno aperto il fuoco. Una pallottola ha colpito alla testa Aldo Gutiérrez Solano. Nella confusione gli studenti l’hanno quasi Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 37 REDUx/CoNTRASTo In copertina La polizia comunitaria sorveglia l’entrata della scuola di Ayotzinapa, il 24 ottobre 2014 investito. “Alla ine l’hanno visto a terra che sanguinava”, racconta Edgar Yair, del primo anno. “Lo volevamo portare via, ma i poliziotti si sono messi a sparare ancora di più”. A quel punto tutte le regole erano saltate. Gli studenti si sono messi a correre, qualcuno è salito di nuovo sul primo autobus, altri si sono nascosti tra il primo e il secondo. Sono arrivati altri poliziotti, che hanno sparato ma da lontano. Gli studenti chiedevano un’ambulanza, ma quando alla ine è arrivata, la polizia le ha impedito di avvicinarsi. Il veicolo ha fatto il giro da dietro e i paramedici hanno portato Gutiérrez Solano all’ospedale, dov’è stata dichiarata la sua morte cerebrale. Molti poliziotti si sono piazzati dietro il terzo pullman, intrappolando gli studenti all’interno. “Dopo un po’ abbiamo sentito delle grida”, racconta Jorge Vázquez, un ragazzo del primo anno che si era nascosto in fondo al primo autobus. “Dal inestrino ho visto i poliziotti che facevano salire vari compagni sulle camionette per portarli via”. Nei novanta minuti successivi gli agenti hanno obbligato gli studenti del terzo autobus a stendersi per terra a faccia in giù e con le mani sulla nuca, poi li hanno fatti salire sulle camionette e se ne sono anda- 38 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 ti. Erano tra i 25 e i 30 ragazzi. Da quel momento sono tutti scomparsi”. Mentre succedeva tutto questo, i due autobus che stavano uscendo da Iguala si sono divisi. Uno aveva a bordo quattordici studenti e seguiva il pullman della squadra di calcio di serie C della città, los Avispones, di rientro a casa dopo aver vinto contro la squadra di Iguala. “Eravamo sull’ultimo cavalcavia”, mi spiega Alex Rojas, uno dei quattordici ragazzi. “All’improvviso sotto di noi abbiamo visto un autobus, moltissime camionette e i fucili spianati”. Era il quinto autobus. Gli studenti a bordo sono tra quelli scomparsi. Spari e grida L’autista dell’autobus su cui viaggiava Rojas si è accorto del posto di blocco e ha cercato di tornare indietro, ma la polizia l’ha costretto a fermarsi. Gli studenti si sono incamminati in direzione opposta. Alle loro spalle hanno sentito i poliziotti gridare: “Toglietevi dai coglioni o siete morti”. Inseguiti dalla polizia, i quattordici ragazzi sono scappati in un campo vicino. Nelle tre ore successive hanno provato a raggiungere gli autobus in calle Álvarez ma la polizia ha aperto il fuoco e li ha inseguiti su una collina, dove sono rimasti ino alla mattina. Al- cuni sicari hanno attaccato l’autobus della squadra di calcio e hanno ucciso l’autista, un giocatore di 14 anni e una donna che passava in taxi. Almeno altre nove persone sono rimaste ferite. Alle undici e mezzo di sera, dopo aver raccolto i bossoli e aver ripulito le strade dal sangue, la polizia ha lasciato la scena del primo attacco. Poco a poco gli studenti sono usciti dai loro nascondigli e, per preservare la scena del crimine, hanno montato la guardia, ammassando pietre e riiuti intorno ai bossoli e alle macchie di sangue rimaste. L’interno del terzo autobus, da cui la polizia aveva prelevato tutti gli studenti, era cosparso di sangue. Poco dopo sono arrivati due furgoncini di studenti da Ayotzinapa, qualche giornalista e alcuni abitanti della zona. Verso mezzanotte i giornalisti hanno chiesto un’intervista al presidente del comitato studentesco della scuola. Le telecamere e i registratori erano in funzione da quattro minuti quando si sono sentite delle raiche di spari: “Erano colpi di mitragliatrice. Sentivamo il ischio delle pallottole e il rumore dei vetri delle inestre che scoppiavano. Ci siamo messi a correre verso gli autobus”, racconta uno dei reporter. Due continua a pagina 40 » L’opinione Colpiti al cuore Diego Enrique Osorno per Internazionale Il sequestro e l’uccisione degli studenti di Ayotzinapa ha risvegliato la coscienza di molti messicani l Messico sta vivendo da tempo una grave crisi. Ma a livello internazionale questa crisi è diventata visibile soprattutto dopo la scomparsa di 43 studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa, nello stato di Guerrero. L’ultima cosa che sappiamo con assoluta certezza è che questi ragazzi poveri, di sinistra e in gran parte igli di contadini sono stati arrestati da un gruppo di poliziotti la notte del 26 settembre 2014 a Iguala. I Buco nero La sparizione di questi studenti è un caso eccezionale? Sfortunatamente no. La situazione ha cominciato a peggiorare nel 2006, e da allora molti cittadini e varie organizzazioni sociali e politiche messicane sono state vittime di una repressione continua e illegale da parte dello stato. Durante il governo di Vicente Fox Quesada (20002006, del Partito d’azione nazionale) diversi minatori furono uccisi dalla polizia durante uno sciopero. Nello stesso periodo alcuni ragazzi morirono durante l’assalto della polizia a San Salvador Atenco, nello stato di México, dove un centinaio di persone fu arrestato e torturato brutalmente e varie donne furono stuprate dalla polizia. Inine nella città di Oaxaca più di venti attivisti che si opponevano al governatore dell’epoca, Ulises Ruiz Ortiz, morirono sotto i colpi degli agenti e dei militari. Dal 2007 al 2012, durante il mandato di Felipe Calderón, la crisi umanitaria si è aggravata e l’espressione “guerra al narcotraico” è entrata a far parte della narrativa uiciale. Migliaia di omicidi, sparizioni forzate, torture, arresti illegali e decine di massacri sono avvenuti nella più totale impunità. Nel novembre del 2010 due studenti dell’Instituto tecnológico y de estudios superiores di Monterrey, Jorge Jorge Antonio Mercado e Javier Francisco Arredondo, sono stati uccisi da un commando dell’esercito, che ha sigurato i loro volti presentandoli alla stampa come presunti criminali del gruppo Los Zetas. Nel marzo del 2011 ad Allende, nello stato di Coahuila, il cartello degli Zetas ha sequestrato e ucciso trecento persone, tra cui donne e bambini. Nel 2012 Enrique Peña Nieto, del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), è stato eletto presidente. L’uccisione di almeno dodici civili a Tlatlaya, a giugno del 2014, e la sparizione dei 43 studenti a Iguala sono gli episodi più gravi avvenuti inora durante il suo mandato. La lista, però, è lunga e comprende sia massacri su cui la stampa non ha pubblicato inchieste o commenti sia centinaia di arresti illegali di attivisti in varie zone del paese, in particolare nello stato di Tamaulipas, un vero e proprio buco nero della realtà messicana. La responsabilità di questa crisi, denunciata da tempo dalle organizzazioni non governative, dagli intellettuali e dai giornalisti, è di tutti i partiti, non solo del Pri. In alcuni stati, tra cui quello di Guerrero, i cittadini vogliono sabotare le ele- La responsabilità della crisi dei diritti umani che sta attraversando il paese è di tutti i partiti, non solo del Pri che oggi è al governo zioni municipali che si terranno a giugno. E per la prima volta c’è la possibilità che ci riescano davvero. Visto con gli occhi di oggi, il Movimiento por la paz con justicia y dignidad nato nel 2011 e guidato dal poeta Javier Sicilia ha avuto il merito di cambiare l’idea dominante secondo cui tutti i morti del narcotraico sono “colpevoli” in quanto criminali o persone coinvolte in attività illecite. In quel periodo il movimento ha dato visibilità alle vittime e ha commosso gran parte della società. Ha anche portato la parola pace nel dibattito pubblico. È stato un risultato molto importante anche se poi lo stato si è impossessato di una parola che, con la presidenza di Peña Nieto, ha perso il suo signiicato. Un motivo per rilettere A diferenza di quello di Sicilia, il movimento nato dopo il 26 settembre 2014 non cerca di dare visibilità solo alle vittime, ma anche ai loro carneici, per denunciarli. Se il Movimiento por la paz ci ha colpiti al cuore, i genitori dei ragazzi di Ayotzinapa ci stanno spingendo a fare una profonda rilessione critica. In un paese segnato dalla barbarie, inora non è stato facile capire da dove arrivasse esattamente la violenza, mentre per lo stato era semplice dare tutte le colpe al narcotraico. A poco a poco la situazione sta cambiando e il Messico comincia a farsi delle domande. Questa è una buona notizia, nonostante la tragedia di Iguala. ◆ fr Diego Enrique Osorno è un giornalista messicano nato a Monterrey nel 1980. In Italia ha pubblicato Z. La guerra dei narcos (La Nuova Frontiera 2013) e Un cowboy attraversa la frontiera in silenzio (La Nuova Frontiera 2014). Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 39 In copertina studenti, Daniel Solís Gallardo e Julio César Ramírez Nava, sono morti. Coyuco Barrientos, un ragazzo del primo anno, è tra i pochi ad aver visto i sicari. Dice che erano tre, erano vestiti di nero, avevano il volto coperto e sparavano con i fucili d’assalto a mezz’aria. “Il primo ha cominciato a sparare in aria, poi ha puntato l’arma verso di noi. Mi sono voltato e ho visto chiaramente le scintille dei proiettili che toccavano terra: sembravano petardi di capodanno. Ci siamo messi a correre. Sono scesi altri due uomini e ci hanno sparato con delle armi automatiche”. Molti studenti si sono rifugiati nelle case vicine: i proprietari li hanno accompagnati nelle stanze più isolate e hanno spento le luci. Juan Pérez, uno studente del primo anno colpito al ginocchio da una pallottola, stava correndo quando un suo compagno è caduto. Gli avevano sparato in bocca. Alcuni ragazzi hanno aiutato Pérez a portare via l’amico ferito. Da una finestra del primo piano una donna gli ha oferto riparo, ma loro hanno riiutato e le hanno chiesto indicazioni per raggiungere l’ospedale. In quella stessa strada c’era una piccola clinica privata: i ragazzi hanno bussato e due donne li hanno fatti entrare. Altre venticinque persone, tra studenti e abitanti della zona, hanno provato a entrare, ma le donne hanno detto che era un laboratorio radiologico, non una clinica. Gli studenti hanno chiesto di poter chiamare un’ambulanza. Dopo venti minuti qualcuno ha bussato alla porta: erano i soldati del ventisettesimo battaglione di fanteria in tenuta da combattimento. Quando gli studenti hanno aperto, i soldati gli hanno puntato il fucile contro e hanno ordinato a tutti di gettarsi a terra. “Ci hanno preso i cellulari e hanno scattato delle foto”, racconta Yair. “Il comandante ci ha spiegato che non avevamo motivo di essere lì e che stavamo cercando di farci ammazzare. Gli abbiamo detto che eravamo studenti della scuola di Ayotzinapa, ma per lui eravamo solo delinquenti”. A un certo punto, tra mezzanotte e mezza e l’una, è arrivato il direttore della clinica che non ha voluto visitare gli studenti feriti. Aiutato dai soldati, ha sbattuto tutti fuori. A pochi isolati dalla clinica una famiglia ha accolto alcuni studenti, mentre un altro gruppetto ha preso un taxi per portare il compagno ferito in ospedale. All’una e mezzo di notte il primo gruppo di giornalisti di Chilpancingo è arrivato all’incrocio tra il Periférico norte e Juan N. Álvarez. I reporter hanno trovato i cadaveri dei due studenti riversi a terra, gli autobus, le macchine crivellate dai proiettili e i solda- 40 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 ti a volto coperto fermi vicino alla scena del crimine. La mattina dopo gli studenti si sono presentati alla procura di Iguala. Hanno identiicato ventidue poliziotti, hanno parlato con alcuni difensori dei diritti umani e hanno steso una lista delle persone scomparse. A quel punto hanno saputo che gli studenti costretti dalla polizia a scendere dall’autobus non erano mai arrivati in carcere. Ai loro telefoni non rispondeva nessuno. All’inizio gli studenti scomparsi sembravano cinquantasette, poi si è saputo che quattordici erano fuggiti verso la periferia. Verso le sette di mattina sui social network ha cominciato a circolare una foto. Julio César Mondragón Fontes, uno studente del primo anno di Città del Messico, era stato visto per l’ultima volta verso mezzanotte in calle Álvarez. Aveva parlato con Juan Ramírez, un altro alunno del primo anno, ed era spaventato. “Mi aveva detto che il giorno dopo sarebbe tornato a casa perché non voleva rischiare la vita. Pensava alla famiglia, alla moglie e alla iglia”. Poco dopo i tre sicari a volto coperto avevano aperto il fuoco. Nella foto, la camicia rossa di Mondragón Fontes è alzata ino al petto e si vedono i lividi sul corpo. Gli hanno tagliato via il volto e le orecchie, e gli hanno strappato gli occhi. Gli amici l’hanno identiicato dalla sciarpa grigia intorno al collo. Quando sono arrivati i primi rapporti su Iguala, in teoria il Messico stava vivendo il suo grande momento. A due anni dall’inizio del suo mandato, il presidente Enrique Peña Nieto aveva promosso la riforma dell’istruzione e dell’energia, e aveva fatto arrestare Joaquín “el Chapo” Guzmán, il narcotraicante più ricercato del paese. Gli Da sapere Persone scomparse Sparizioni in Messico dal 2007 a oggi Fonte: Registro nacional de personas extraviadas, The Telegraph 2007 749 2008 862 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Presidenza Felipe Calderón 2006-2012 1.338 2.739 3.957 3.353 Presidenza Enrique Peña Nieto 2013-oggi 4.514 5.098 episodi di violenza che avevano segnato la precedente amministrazione di Felipe Calderón non occupavano più le prime pagine dei giornali. A febbraio 2014 la rivista statunitense Time ha dedicato la copertina a Peña Nieto con il titolo “Saving Mexico” (Salvare il Messico). Le notizie di un massacro commesso dall’esercito a giugno a Tlatlaya, nello stato di México, avevano portato all’arresto dei soldati coinvolti, un epilogo impensabile sotto il governo Calderón. Una lunga lista Da lontano sembrava che il Messico stesse uscendo da uno dei suoi periodi più bui. Negli ultimi otto anni, a causa della guerra al narcotraffico, centomila messicani sono stati uccisi e almeno ventimila persone sono scomparse (per le organizzazioni dei diritti umani la cifra è più alta). E il numero non tiene conto delle decine di migliaia di migranti centroamericani e sudamericani uccisi e scomparsi in Messico nello stesso periodo. La lista dei massacri è talmente lunga che non fa più efetto. Nel settembre del 2008 sono stati trovati 24 cadaveri in un parco fuori Città del Messico: dieci erano stati decapitati. Nel gennaio del 2010 alcuni sicari hanno fatto irruzione in una casa dove si stava svolgendo una festa, uccidendo quindici studenti di Ciudad Juárez. Nell’agosto del 2010 i cadaveri di 72 migranti sono stati rinvenuti in un granaio a San Fernando, nello stato di Tamaulipas. Nessuno di questi massacri ha scatenato una protesta nazionale. A marzo del 2011 le manifestazioni seguite all’omicidio di sette persone (tra cui il iglio del poeta Javier Sicilia) nello stato di Morelos hanno dato voce al dolore del paese, ma hanno perso forza quando i tentativi di negoziare con il governo si sono arenati. L’idea che le autorità siano uicialmente impegnate in una guerra contro la droga ha spinto molte persone a considerare normali gli omicidi, le stragi, le sparizioni, la tortura e un sistema politico che non si limita a garantire l’impunità di questi crimini, ma spesso li approva. Nel rapporto del 2014 Amnesty international ha documentato un uso difuso della tortura da parte dell’esercito e della polizia messicana. Il concetto stesso di corruzione è diventato antiquato: nella maggior parte del paese le autorità e i narcos sono pienamente integrati, e nessuno dei grandi partiti politici si salva. Iguala è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: ha spazzato via l’insistenza con cui il governo continua a dire che nella guerra contro la droga c’è una distinzione netta tra Uno degli studenti di Ayotzinapa sfuggiti all’agguato della polizia che di Iguala. Dopo il ritrovamento delle fosse comuni, il comitato di genitori ha tenuto una conferenza stampa ad Ayotzinapa e ha lanciato un appello al governo per cambiare i metodi della ricerca. Decine di uomini e donne in preda all’angoscia erano seduti in ila dietro ai tre familiari scelti per parlare a nome di tutti: “Sappiamo che i nostri igli sono stati portati via dal governo e dai suoi poliziotti. Loro sanno dove si trovano”, ha detto Manuel Martínez. “Continueremo a protestare inché non rivedremo i nostri igli a casa, vivi”. Una squadra indipendente di antropologi forensi argentini avrebbe rappresentato i genitori nell’inchiesta del governo. Nelle settimane successive i genitori hanno organizzato molte manifestazioni. Insieme agli studenti hanno bloccato le strade dello stato, hanno marciato nelle città, hanno rotto vetri e incendiato il parlamento di Guerrero e il palazzo del governo. Quando l’analisi del dna ha confermato che i resti trovati nelle fosse comuni non erano degli studenti, le proteste si sono estese a tutto il paese. Il 23 ottobre il governatore Aguirre si è dimesso e sei giorni dopo i genitori hanno incontrato il presidente Peña Nieto: gli hanno detto che, se non avesse trovato gli studenti vivi, avrebbe dovuto fare come Aguirre. ReDUx/CoNtRASto (2) L’efetto opposto I genitori di uno degli studenti scomparsi. Ayotzinapa, ottobre 2014 buoni e cattivi, tra legge e illegalità. Il 27 settembre 2014 la polizia locale ha arrestato i ventidue agenti di Iguala identiicati dagli studenti. Il 30 settembre il sindaco Abarca, la moglie e il capo della polizia sono fuggiti. Il presidente Peña Nieto ha cancellato un viaggio in programma nello stato di Guerrero parlando di condizioni meteorologiche sfavorevoli, ma dando l’impressione che gli omicidi e le scomparse non lo riguardassero. Ha detto a un giornalista: “Le autorità dello stato devono assumersi le loro responsabilità”. La ricerca della prima settimana si è svolta così: i poliziotti portavano i genitori in giro per Iguala, ogni tanto si fermavano davanti a una casa e suggerivano ai familiari degli studenti di bussare alla porta e chiedere se i loro igli fossero nascosti lì. Il 4 ottobre il procuratore statale ha annunciato che era- no state scoperte quattro fosse comuni sulle montagne vicino a Iguala. Gli scavi iniziali hanno portato alla luce un numero indeterminato di resti umani carbonizzati. La polizia avrebbe scoperto il luogo delle fosse clandestine grazie a testimonianze ottenute con la tortura. “Hanno messo sotto torchio un poliziotto locale”, racconta un uiciale, “e lui ha cantato”. Il giorno dopo il procuratore ha dichiarato che uno degli agenti arrestati aveva confessato di aver ucciso, bruciato e sepolto gli studenti in quelle fosse. Aveva agito insieme a un gruppo criminale. A quel punto il governo federale ha preso in mano l’inchiesta, esercitando la facoltà di assumere la giurisdizione sui casi che coinvolgono la criminalità organizzata: un tacito riconoscimento del fatto che non era più possibile ignorare le conseguenze politi- A novembre la vicenda di Iguala si è trasformata nella crisi peggiore dell’amministrazione Peña Nieto. Fin dal primo momento il governo ha sottovalutato la rabbia scatenata dalla sparizione degli studenti e ha cercato di controllare gli eventi, spesso in modo confuso. Il 4 novembre le autorità federali hanno arrestato a Città del Messico il sindaco Abarca e sua moglie. Il 7 novembre il procuratore generale della repubblica, Jesús Murillo Karam, ha annunciato in una conferenza stampa che il governo aveva il video delle confessioni di tre uomini dei Guerreros unidos. Secondo Murillo Karam, la notte del 26 settembre la polizia ha consegnato gli studenti a tre narcotraicanti che li hanno portati in una discarica alla periferia di Cocula, a qualche chilometro da Iguala. Quando sono arrivati alla discarica a cielo aperto i tre uomini hanno scoperto che quindici studenti erano già morti o incoscienti. Hanno chiesto agli altri che ci facevano a Iguala. “Dicevano che erano venuti per la moglie di Abarca”, ha dichiarato uno degli uomini. I ragazzi sono stati uccisi, i cadaveri gettati nella discarica e bruciati usando legno, pneumatici, benzina e gasolio. Quindici ore Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 41 In copertina dopo restavano solo frammenti di ossa e cenere. I criminali hanno messo i resti in sacchi della spazzatura e, a eccezione di due, li hanno svuotati tutti nel vicino iume San Juan. Quei due sacchi, sostengono, li hanno gettati senza aprirli. Murillo Karam ha spiegato che gli agenti federali avevano ritrovato i sacchi con dentro minuscoli frammenti ossei. I resti sono stati inviati a un laboratorio dell’università di Innsbruck, in Austria, per essere sottoposi all’esame del dna. A 58 minuti dall’inizio della conferenza stampa, dopo aver parlato delle confessioni dei narcos, Murillo Karam ha interrotto la domanda di un giornalista dicendo: “Mi sono stancato”. E poco dopo se n’è andato. Se lo scopo della conferenza stampa era chiudere il caso e mettere a tacere le proteste, l’efetto è stato opposto. Le parole del procuratore generale sono state subito riprese dai social network: dopo qualche ora su Twitter infuriava l’hashtag #YaMeCanse. Tra i commenti più diffusi: “Se ti sei stancato, vattene”, “Mi sono stancato della paura” e “Mi sono stancato dei politici”. La versione di Murillo Karam ha sollevato più domande di quelle a cui ha risposto. Come hanno fatto tre uomini a tenere a bada 43 giovani attivisti? Come hanno potuto bruciare 43 cadaveri sotto la pioggia? Perché nella discarica non sono state trovate tracce di ibra di acciaio dei pneumatici usati per il fuoco? Perché i criminali avrebbero dovuto svuotare sei sacchi di cenere e resti umani nel iume e gettarne due chiusi? Perché gli studenti avrebbero dichiarato di essere a Iguala per protestare contro la moglie del sindaco se non avevano mai avuto in programma di farlo? Inoltre, è rimasta in sospeso una domanda ancora più preoccupante: perché il governo non ha presentato i video con le confessioni dei ventidue poliziotti identiicati dagli studenti come loro assalitori? Perché non ha reso pubblici i tabulati dei cellulari della polizia di quella sera né quelli di Abarca e Pineda? Per molti osservatori, la versione del governo è troppo facile: Murillo Karam si è concentrato così tanto sui tre presunti sicari da lasciare Abarca, Pineda e la polizia sullo sfondo. Le contraddizioni e le anomalie della versione uiciale hanno alimentato il sospetto che il governo fosse più interessato a coprire la verità che a condurre un’inchiesta rigorosa. L’indagine avrebbe dovuto tenere conto dei numerosi documenti sulla natura criminale della polizia di Iguala. Secondo un giornalista locale, “la polizia è solo una facciata: gli agenti sono narcotraficanti in uniforme, che usano le armi e i 42 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 mezzi delle forze dell’ordine. Si chiamano los bélicos. Sono polizia nella polizia”. Secondo un funzionario della città, “i bélicos sono comandati dal fratello di Pineda. Hanno camionette e uniformi, ma si muovono di notte a volto coperto, sequestrando le persone per strada e chiedendo un riscatto di diecimila pesos entro un’ora”. Un’inchiesta servirebbe a capire perché Iguala si è trasformata in una “narcocittà” e solleverebbe questa domanda: come può esistere una città di narcotraicanti vicino a una base militare? Chiudere il caso Il giorno successivo alla conferenza stampa i genitori dei ragazzi scomparsi guardavano gli studenti di Ayotzinapa prendere a sassate le inestre del congresso di Guerrero e incendiare le camionette della polizia. Poco dopo, familiari e studenti sono partiti con tre pullman per percorrere il paese in cerca di sostegno. Il 20 novembre, nel 104° anni- La polizia è solo una facciata: gli agenti sono narcotraicanti in uniforme versario della rivoluzione messicana, sono arrivati nella piazza dello Zócalo, a Città del Messico. Con loro c’erano decine di migliaia di persone. Prima e dopo la manifestazione, Ayotzinapa era ovunque: sulle prime pagine dei giornali, nei programmi radiofonici, nelle conversazioni ascoltate di sfuggita e nei graiti. Nel quartiere Roma, una zona elegante della capitale, c’era un altare pieno di candele e cartelli che chiedevano giustizia per i 43 studenti. Su un muro di Obrera, una zona popolare, c’era scritto a lettere rosse: “Ayotzinapa: la colpa è dello stato”. Il quotidiano sportivo Récord è uscito con la prima pagina nera e il titolo: “#indignazione. Il Messico è stufo. Il Messico è in lutto”. Le voci più diverse, come quella di papa Francesco, del calciatore Javier Hernández Balcázar, noto come Chicharito, e del gruppo Calle 13 hanno espresso il loro sostegno alle famiglie degli studenti. Una domenica mattina centinaia di persone hanno organizzato una corsa spontanea di solidarietà lungo avenida Reforma: portavano tutti il pettorale con il numero 043. Il 6 dicembre il laboratorio austriaco ha confermato che l’identità di uno dei frammenti ossei corrisponde ad Alexander Mora Venancio, 19 anni, uno degli studenti scomparsi. In una conferenza stampa Murillo Karam ha riassunto l’inchiesta del governo dicendo che erano stati arrestati ottanta sospetti tra cui Abarca, Pineda e più di quaranta poliziotti. “Questa prova scientiica conferma che i resti rinvenuti su una delle scene coincidono con le prove dell’inchiesta e con le dichiarazioni degli arrestati, nel senso che in tale luogo e secondo tali modalità il gruppo di persone è stato privato della vita”. Le parole del procuratore hanno confermato le peggiori paure di molti osservatori: il governo stava facendo il possibile per chiudere il caso. Gli antropologi forensi argentini che avevano lavorato con il governo hanno preso subito le distanze da Murillo Karam. In un comunicato stampa del 7 dicembre hanno scritto: “Per ora non ci sono suicienti certezze scientiiche o prove materiali del fatto che i resti recuperati nel iume San Juan corrispondano a quelli trovati nella discarica di Cocula, come indicato dalle persone che la procura generale ritiene responsabili”. A più di quattro mesi dalla sparizione degli studenti, i genitori non hanno molte informazioni in più sui loro igli rispetto ai primi giorni dopo la scomparsa. Questo è quello che sappiamo: con l’aiuto di alcuni sicari la polizia ha ucciso tre persone, ne ha ferite più di venti e ne ha fatte sparire altre 43. Tre sicari, a volto coperto e in abiti civili, sono tornati sulla scena di uno degli attacchi, hanno ucciso due studenti e ne hanno feriti altri. Qualcuno ha ucciso e mutilato Julio César Mondragón Fontes. Qualcuno ha ucciso e bruciato Alexander Mora Venancio. L’esercito ha prelevato con la forza alcuni studenti feriti da una clinica privata, ma non ha fatto altro. Tutto quello che potrebbe essere successo agli studenti dopo che la polizia li ha prelevati si basa su voci e speculazioni o su confessioni poco aidabili. In risposta alla dichiarazione di Murillo Karam, i genitori hanno annunciato altre proteste. Durante una manifestazione a Città del Messico, Felipe de la Cruz, uno dei genitori, ha gridato alla folla: “Non ci siederemo a piangere, continueremo a lottare per ritrovare vivi gli altri quarantadue”. Ormai quella lotta non riguarda solo i figli scomparsi di Ayotzinapa, ma dà voce al desiderio profondo di strappare il Messico da quest’orrore. u fr L’AUTORE John Gibler è un giornalista che vive tra il Messico e la California. Da anni si occupa di movimenti sociali in Messico. Il suo ultimo libro è To die in Mexico. Dispatches from inside the drug war (City Lights 2011). Kazakistan Minoranza silenziosa co del paese e afermano che prima dell’arrivo dei russi qui esisteva già uno stato: il Khanato kazaco. Contrariamente a quanto succede in Ucraina, però, per il Kazakistan nessuno oggi parla di una soluzione federale. Qui i monumenti a Lenin, che in Ucraina hanno cominciato a essere abbattuti solo dopo le proteste di Euromaidan, sono scomparsi già da tempo. Nella piazza centrale di UstKamenogorsk, al posto di Lenin c’è una statua del poeta kazaco Abaj Kunanbaev. Discriminazioni e nazionalità Testo e foto di Ilja Azar, Meduza, Lettonia In Kazakistan vivono più di tre milioni di russi. Dietro una calma apparente, le tensioni con i kazachi non mancano. E la crisi ucraina rischia di farle esplodere. Reportage da Ust-Kamenogorsk onosce la storia? Una rana viene buttata in una pentola di acqua bollente, si scotta e salta subito fuori. Allora ne viene buttata un’altra, che comincia lentamente a cuocere senza nemmeno un fremito delle zampette. La prima rana sono i russi in Ucraina, noi siamo la seconda”. Così descrive la situazione della minoranza russa in Kazakistan Oleg Maslennikov, presidente della comunità russa della regione orientale di Rudnyj Altaj. Maslennikov è convinto che in Ucraina, durante i 23 anni d’indipendenza, “la gente sia stata educata all’odio contro la Russia e i russi”. E pensa che questo sia il vero motivo della guerra nel Donbass. In Kazakistan, secondo lui, sta succedendo la stessa cosa, ma più in sordina. Il Rudnyj Altaj è la parte sudoccidentale della catena dei monti Altaj e appartiene alla provincia del Kazakistan orientale, che ha come capoluogo Ust-Kamenogorsk. Secondo i dati delle autorità locali, nel 2013 in Kazakistan i russi erano il 21 per cento della popolazione, una cifra che saliva al 38 per cento nelle zone orientali del paese e al 58 per cento a Ust-Kamenogorsk. La storia delle regioni kazache ai conini con la Russia è simile a quella della Crimea, mentre la loro composizione etnica ricorda quella del Donbass, nell’Ucraina orientale. I russi di Ust-Kamenogorsk sono convinti che i nomadi kazachi non avessero un “C 44 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 loro stato prima di insediarsi in questa città, sorta intorno a una fortezza costruita nel 1720 dall’esercito russo alla conluenza tra i iumi Ulba e Irtyš. All’inizio del novecento nell’attuale Kazakistan orientale e settentrionale i kazachi erano in maggioranza: nella regione di Semipalatinsk arrivavano all’88 per cento della popolazione. Le statue di Lenin Successivamente però, sotto il dominio dell’Impero russo e poi nell’Unione Sovietica, la presenza russa aumentò rapidamente. Negli anni venti fu creata la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Kirghiza (nei fatti kazaca) con capitale Orenburg, che nel 1936 divenne uicialmente la Repubblica Socialista Sovietica Kazaca. Nel 1989 il 40 per cento della popolazione della repubblica era russo. “Ai tempi dell’Urss le probabilità di incontrare un kazaco da queste parte erano le stesse di incontrare un nero”, dice Andrej, che fa l’operaio. “Ci hanno traditi”, aggiunge Oleg Navozov, del Movimento slavo del Kazakistan Lad (Armonia), un’associazione della minoranza russa. “Non so proprio perché Lenin abbia regalato il Rudnyj Altaj ai kazachi”, gli fa eco Maslennikov che, rispetto ai colleghi delle altre organizzazioni russe, spicca per la sua giovane età: ha meno di cinquant’anni. Le autorità kazache, a diferenza dei nazionalisti locali, non mettono in dubbio i meriti della Russia e il contributo dato allo sviluppo della regione. Ma, come in tutti gli stati nazionali, insistono sul carattere kaza- L’eredità dell’Unione Sovietica non è l’unico problema dei russi del Kazakistan. Nelle regioni orientali del paese la loro condizione è peggiore di quella dei russi nel Donbass e in Crimea prima della crisi ucraina: si può dire che i russi non sono rappresentati né nell’apparato statale né negli uici giudiziari e nemmeno nelle forze di sicurezza. Nel maslichat di Ust-Kamenogorsk, l’assemblea rappresentativa cittadina, i russi invece sono quasi la metà degli eletti. “Ma sono scelti in modo da escludere chi ha posizioni nazionaliste”, spiega Nikolaj Plachotin, presidente della sede locale della Fondazione Russkij mir (Mondo russo). “E nessuno di loro difende davvero i russi”, aggiunge risentito Navozov, del movimento Lad. Per il direttore della piccola casa editrice Region, Evgenij Čerkašin, il motivo dello squilibrio tra russi e kazachi negli organi istituzionali è invece di ordine puramente pratico: “La legge impone che tutti i funzionari siano bilingui. E i kazachi lo sono quasi tutti, mentre i russi no”. Ma in altri ambiti lavorativi in Kazakistan non ci sono discriminazioni in base alla nazionalità. Uno dei più noti consiglieri russi del maslichat di Ust-Kamenogorsk è Stanislav Karimov, 30 anni, laureato all’università tecnica di Novosibirsk, in Russia. A diferenza della maggior parte dei suoi connazionali, dopo gli studi è tornato in Kazakistan. Ma non può essere deinito un “russoilo” nel senso in cui i “russi di professione” intendono il termine. “Nel Kazakistan orientale l’amministrazione pubblica è a corto di risorse umane. È un problema di natura tecnica, non di appartenenza nazionale. Vi garantisco che il governo è favorevole alla parità tra russi e kazachi”, aferma Karimov, che ha rinunciato a una carriera di imprenditore per la politica e fa parte del Nur Otan, la formazione del presidente kazaco Nursultan Nazarbaev. Gli chiedo con insistenza se nel partito ci sono molti russi, ma lui aggira la domanda. “Forse qualcuno. E comunque il mio caso dimostra che non esiste Ust-Kamenogorsk, settembre 2014 un reale problema in tal senso. Io non ho avuto nessuna diicoltà a iscrivermi”, dice alla ine. Ma più di ogni altra cosa i russi del Kazakistan orientale sono preoccupati per il lento ma ostinato processo di ridenominazione delle città dal russo al kazaco: UstKamenogorsk, per esempio, è sempre più spesso chiamata Öskemen. “I nuovi nomi sono solo il risultato della scorretta pronuncia kazaca dei toponimi originali russi. Non signiicano nulla”, dice Plachotin, il rappresentante di Russkij mir. Su Google maps Ust-Kamenogorsk è ancora indicata con il nome russo, mentre la vicina Semipalatinsk è diventata Semey. Secondo Plachotin in questo modo i kazaki cercano di rivendicare il Kazakistan orientale come terra di loro proprietà. Ai russi sembra ancora più assurda la proposta di Nazarbaev di cambiare il nome del paese in Kazak eli (Patria dei kazaki). “È un modo per dire ai russi che non ne fanno parte”, dice Plachotin. Tutti bilingui Ust-Kamenogorsk, settembre 2014 Secondo molte persone che incontro una delle principali cause del conlitto in Ucraina è “l’attacco della giunta fascista di Kiev alla lingua russa”. In realtà né nel Donbass né in Crimea ci sono state restrizioni all’uso del russo. E lo stesso vale per il Kazakistan orientale, dove sia il kazaco sia il russo sono lingue uiciali, anche se la seconda è la più usata. A Ust-Kamenogorsk sembra di essere in una qualsiasi cittadina della provincia russa. I cafè e i negozi hanno nomi tipicamente russi, come “Il bolscevico”, “Svjatoslav” o “Da Ivan”. Le presentatrici della tv locale sono una kazaca bruna e una russa con i capelli biondi. E nella regione, come in tutto il paese, il russo rimane la lingua più usata. “La lingua di lavoro delle élite kazache è il russo, non il kazaco”, conferma il giornalista Arkadij Dubnov. Neppure in parlamento si parla kazaco, con grande disappunto di alcuni politici, tra cui il deputato e poeta Muchtar Šachanov che nel 2013 ha cercato, senza successo, di organizzare una manifestazione in difesa della lingua kazaca. Secondo Plachotin, tuttavia, le autorità della capitale Astana “sostengono implicitamente” la posizione del poeta. Sergej, un piccolo commerciante russo, aggiunge che questo processo di “kazachizzazione” è già in corso. “Fanno dei cambiamenti e aspettano le reazioni. Nella nuova sede del tribunale regionale, per esempio, non c’è nemmeno un’insegna in russo”, racconta. In realtà il Kazakistan non sembra avere nessuna fretta di tradurre in kazaco i documenti amministrativi uiciali, nonostante Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 45 Kazakistan dal 1997 sia in vigore una legge che impone l’uso di entrambe le lingue negli uici pubblici. “In Ucraina c’erano degli eccessi. Per esempio i siti delle amministrazioni erano solo in ucraino. Qui non è così”, conclude con orgoglio Karimov, il consigliere di UstKamenogorsk. Nei cinema kazachi, inoltre, i ilm russi sono proiettati in lingua originale, e nel paese ci sono diversi giornali e canali tv in lingua russa. L’imprenditore russo Aleksandr Čilikin ammette che “il problema della transizione dal russo al kazaco esiste”, ma rimane moderatamente ottimista: “Spero che le nostre autorità mostrino buon senso, si rendano conto di quanto è accaduto in Ucraina e riconoscano al russo lo stesso status del kazaco. Sembra brutto dirlo, ma per noi è positivo che in Ucraina sia successo quello che è successo”. Un’altra cosa è l’insegnamento in russo, che in Kazakistan è meno difuso di quanto non lo fosse in Ucraina. Anche in questo caso le regioni orientali sono l’eccezione, con molte scuole e università che continuano a tenere i corsi in russo. Inoltre i libri di testo in lingua russa sono ancora considerati migliori di quelli in kazaco. “In alcune scuole russe ormai si studia in kazaco, ma il motivo è che i kazachi hanno un tasso di natalità più alto, mentre i bambini russi sono sempre di meno”, conferma Valerij Čmutov, uno dei capi della comunità cosacca locale. A Ust-Kamenogorsk, comunque, nonostante gli alunni kazachi siano ormai più della metà, su 52 scuole solo in nove si studia in kazaco. C’è però un inconveniente: è sempre più difficile trovare insegnanti russi. Inoltre, accusa Plachotin, “le scuole dove si studia in russo non sono scuole russe”. “Non si studiano la storia e la letteratura russa. E con poche ore a disposizione, è impossibile imparare bene la lingua. A Guerra e pace gli insegnanti dedicano una sola ora!”, aggiunge Maslennikov, il rappresentante della comunità russa di Rudnyj Altai. visto che in Russia gli stipendi sono in media più alti del 30-40 per cento. E li imitano anche i kazachi. Questa fuga di cervelli comincia a preoccupare le autorità, che stanno mettendo a punto un programma per creare posti di lavoro e trovare alloggi per i russi che vogliono tornare in Kazakistan. Ma se il kazaco diventerà davvero l’unica lingua uiciale, saranno pochi quelli che rientreranno. Lo ammette anche un russo tutt’altro che nazionalista, l’editore Čerkašin: “Se succedesse una cosa del genere, piuttosto che cominciare a studiare il kazaco ci trasferiremmo tutti a Mosca”. I “russi nazionalisti” usano termini più duri: “È in atto un lento genocidio, sono già quasi cinque milioni quelli che se ne sono andati e ora è cominciata la quarta ondata”, dice Maslennikov. Chi ha deciso di rimanere sostiene invece che in Kazakistan non si sta peggio che in Russia. A dirlo sono soprattutto gli imprenditori: a sentir loro in Kazakistan c’è meno burocrazia e accedere al credito è più facile. Molti russi, inoltre, sono convinti che la politica del Kazakistan sulla questione delle nazionalità sia estremamente ragionevole. Lo dimostrerebbe il fatto che qui non ci sono grandi conflitti. A Ust-Kamenogorsk, per esempio, c’è una “casa della pace” che dà alle due comunità la possibilità di incon- Da sapere Nel cuore dell’Asia centrale I russi se ne vanno “In Kazakistan i russi non hanno futuro”, dice Svetlana Pankratova, docente all’istituto di economia e inanza di Ust-Kamenogorsk. “Io non so il kazaco. Voglio parlare nella mia lingua, ma è sempre più diicile. Amo e rispetto i kazachi, ma qui non mi sento a mio agio”. I russi che si trasferiscono nelle più vicine città della federazione, Barnaul, Omsk Novosibirsk o Tomsk, o addirittura a Mosca, sono sempre più numerosi. Ad andarsene sono soprattutto i giovani, la maggior parte per studiare, ma non solo, 46 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 u Il Kazakistan ha 17,4 milioni di abitanti e un pil pro capite di 12.708 dollari (2013). Indipendente dall’Unione Sovietica dal 1991, è sempre stato guidato con metodi autoritari dal presidente Nursultan Nazarbaev, il cui attuale mandato scade nel 2016. Nel paese vive una minoranza russa di circa tre milioni e 400mila persone, concentrate nelle regioni del nordest. u Nel maggio del 2014 il Kazakistan è entrato a fare parte dell’Unione economica eurasiatica, voluta da Mosca e comprendente anche l’Armenia e la Bielorussia. trarsi e organizzare iniziative comuni. Il direttore, Eldar Toleubekov, fa anche da mediatore nelle piccoli liti tra vicini di nazionalità diverse. “Non mi sembra che qui stia covando un conlitto. Se fosse così, i segnali sarebbero evidenti, mentre la situazione sembra tranquilla”, dice il moscovita Boris Zolotarev, in Kazakistan per lavoro. In effetti ogni anno la casa della pace organizza conferenze sulla lingua russa e celebra il giorno delle letterature slave. Negli ultimi tempi in tutto il paese si sono moltiplicate le iniziative per favorire la convivenza paciica, come l’istituzione di cattedre di “tolleranza” in diverse università. Anche Karimov, di Ust-Kamenogorsk, lo ammette: dopo l’annessione della Crimea alla Russia, nel marzo del 2014, “la autorità locali hanno capito che per evitare problemi con la minoranza russa dovevano essere più accomodanti e rispettare la sua lingua”. In apparenza nel capoluogo del Kazakistan orientale le relazioni tra i kazachi e i russi sono del tutto amichevoli. Ma secondo il commerciante Sergej quest’idillio è illusorio: “Se un giornale pubblica qualcosa di positivo sui russi, immancabilmente a ianco deve esserci una notizia simile sui kazachi”. Tutto dev’essere bilanciato, insomma. In uno dei parchi cittadini, tutti inaspettatamente curati e accoglienti, ho ascoltato il concerto di un’orchestra di cui facevano parte anche alcuni musicisti kazachi. In repertorio c’erano vecchie canzoni russe o sovietiche, ma di tanto in tanto sul palco compariva una solista kazaca per intonare qualche brano nella lingua nazionale. Tuttavia, sottolinea Arkadij Petrovič, un pensionato russo, “oggi non ci sono più matrimoni misti tra kazachi e russi. In silenzio, senza dare nell’occhio, loro fanno i padroni. E il nazionalismo kazaco è in crescita”. Il Kazakistan ha reagito subito all’annessione della Crimea da parte della Russia: le autorità hanno inasprito le pene per chi fa propaganda separatista e sul social network Vkontakte sono state oscurate le pagine di alcuni gruppi nazionalisti russi. Allo stesso tempo il presidente Nazarbaev ha cercato di mettere un freno anche al nazionalismo kazaco. Ma è anche arrivato a minacciare l’uscita di Astana dall’Unione eurasiatica voluta da Mosca. Secondo Plachotin, “questa presa di posizione è servita soprattutto per placare i nazionalisti kazachi, che temono un ritorno dell’Unione Sovietica”. Nazarbaev ha poi chiesto ai suoi connazionali “di cercare di non inasprire ulteriormente la situazione”. “Il presidente ha detto che non bisogna insistere a chiedere che il kazaco sia l’unica lingua uiciale, Ust-Kamenogorsk, il monumento al poeta Abaj Kunanbaev altrimenti si finirà come in Ucraina. E la gente sembra dargli ascolto”, spiega il giornalista Dubnov. Per adesso Nazarbaev è riuscito a tenere sotto controllo anche il radicalismo islamico. A Ust-Kamenogorsk ci sono tre moschee (solo due sono attive) e sette chiese ortodosse. La voce del muezzin si difonde per il centro della città come nelle capitali del Medio Oriente, anche se tra i palazzi sovietici l’efetto è surreale. Ma i miei interlocutori russi non sembrano turbati. “Non ci sono problemi per quanto riguarda la religione. A Pasqua e a Natale l’akim (il sindaco) della città visita le chiese per fare gli auguri ai credenti”, dice con orgoglio il cosacco Čmutov. La pace e la stabilità Ust-Kamenogorsk, settembre 2014 I russi di Ust-Kamenogorsk sono convinti che la stabilità del paese e le loro speranze per il futuro siano legati a Nazarbaev. Votano per lui e lo appoggiano incondizionatamente. Secondo Sergej, tuttavia, il suo invito a rispettare i russi e la loro lingua non è stato recepito da tutti: “I nazionalisti kazachi stanno alzando la testa e il presidente è sempre più debole”. “In campagna elettorale per gli altri candidati noi russi non esistiamo. Quindi alla ine votiamo tutti per Nazarbaev”, dice Plachotin. Il capo di stato kazaco ha creato un sistema di potere fortemente autoritario: sotto questo aspetto il Kazakistan è molto diverso dall’Ucraina. Nel 2011 la protesta degli operai del settore petrolifero di Žanaozen, nel sudovest del paese, è stata soffocata nel sangue. E i russi sono convinti che nel caso di una loro sollevazione il presidente userebbe gli stessi metodi. “Se l’organizzazione Lad non è ancora stata messa fuori legge, è solo perché le autorità la usano per sondare gli umori dei russi”, dice Plachotin. Mentre Navozov precisa che “in base al suo statuto, la Lad dovrebbe occuparsi anche di politica, ma le viene impedito di farlo”. Il giornalista Igor Severjanin è fuggito dal Kazakistan nel 2011. Faceva parte del partito Alga, che dopo i fatti di Žanaozen è stato bandito. “Tutte le organizzazioni nazionali sono controllate dal Knb, i servizi segreti locali”, dice. “E l’opposizione è stata messa deinitivamente fuori gioco”. Secondo il suo collega Dubnov, quando Nazarbaev dovrà uscire di scena per via dell’età, potrebbero esserci dei problemi. Ma per adesso il presidente “ha la situazione in pugno. Per lui è importante non solo garantire gli interessi dei vari clan, ma anche rimanere il padre e il fondatore del Kazakistan, com’è sancito dalla costituzione, che lo deInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015 47 Kazakistan inisce elbasy, cioè leader, della nazione”. “Per ora restiamo neutrali”, dice Arkadij, un pensionato russo. “Ma se Nazarbaev cominciasse a comportarsi come ha fatto in Georgia il presidente Mikheil Saakašvili (noto per le sue posizioni iloccidentali), ci schiereremmo subito con la Russia. Il presidente è il garante della pace e della stabilità. Se uscirà di scena e il suo posto verrà preso dai nazionalisti, le cose peggioreranno. Ma per ora i nazionalisti kazachi tacciono, perché il Knb lavora molto bene”. In efetti l’eficienza dei servizi di Astana è innegabile: la sera stessa del nostro incontro uno dei miei interlocutori ha ricevuto una telefonata da un agente che gli chiedeva informazioni su quello che ci eravamo detti. Tutti i rappresentanti delle organizzazioni russe che ho incontrato hanno paura di essere convocati e interrogati dal Knb. Il cosacco bellicoso Comunque sia, neanche il rapporto tra i russi del Kazakistan e il Cremlino è idilliaco. “Non riusciamo a capire cosa vuole da noi Mosca: non sappiamo se dobbiamo rimanere qui come bastione della Russia o tornarcene nel nostro paese d’origine”, afferma Plachotin. I rappresentanti delle organizzazioni russe, inoltre, si lamentano che gli aiuti provenienti dalla madrepatria “sono miseri e del tutto insuicienti. Non si tratta di soldi, abbiamo bisogno di un sostegno morale. Putin, per esempio, dovrebbe venire da queste parti e incontrarci”, continua l’esponente di Russkij mir. “Mosca considera il territorio in cui viviamo come un paese straniero”, aggiunge risentito Maslennikov. “Ma non è giusto. Al momento dell’annessione della Crimea, Putin ha detto che avrebbe difeso i russi in tutto il mondo. Evidentemente di noi non ha afatto bisogno”. Nel complesso, tuttavia, i russi del Kazakistan amano sinceramente la Russia, e con lei Putin. “Viviamo per la Russia, siamo tutti fratelli. La Russia è una e noi siamo molti, è diicile ricordarsi di tutti. Sì, Mosca ci ha abbandonati, ma questo non signiica che noi non continuiamo a vivere per la Russia”, dice il cosacco Čmutov. I russi di Ust-Kamenogorsk discutono animatamente di quanto succede nel Donbass e appoggiano la politica del Cremlino sulla crisi ucraina. Secondo l’editore Čerkašin a Kiev c’è stato un cambio di regime del tutto illegittimo, ed è questa la vera diferenza con il Kazakistan: “Se un giorno i nazionalisti kazachi manderanno a casa il presidente Nazarbaev qui ci sarà un altro Donbass. Ma a meno di un cambiamento illegittimo ai vertici del potere, non riesco a 48 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 immaginare che la Russia invii qui i suoi soldati”. Quello che succede in Ucraina è opera degli statunitensi, sostengono i russi del Kazakistan, e Mosca si sta solo difendendo. Quasi tutte le persone con cui ho parlato a Ust-Kamenogorsk a un certo punto mi hanno bollato come un “provocatore pagato dalla Cia”. Sono convinti che Washington destabilizzerà il Kazakistan orientale, come ha fatto con l’Ucraina. Ma Dubnov non è d’accordo: uno scenario simile a quello ucraino a Ust-Kamenogorsk è impensabile perché, nonostante la città sia considerata la culla del separatismo nel paese, qui il nazionalismo russo non è abbastanza difuso. Alla ine degli anni novanta un gruppo di russi cercarono di fon- “Ci saranno dei problemi. E noi combatteremo”, mi dice un capo cosacco dare un proprio stato: Russkaja Zemlja, terra russa. Poi, nel novembre del 1999, furono arrestate ventidue persone (dodici delle quali avevano la cittadinanza russa), accusate di avere organizzato un’“insurrezione della popolazione russa”. Il loro leader ha sempre respinto le accuse, dichiarandosi vittima di una macchinazione dei servizi segreti. Anche lo scrittore russo Eduard Limonov è stato arrestato da queste parti nel 2003, per detenzione illegale di armi. Oggi è un sostenitore dei ilorussi del Donbass e aferma che “i kazachi non possono vantare nessun diritto sulle città vicino al conine con la Russia. Non le hanno costruite, le hanno ottenute solo per una serie di coincidenze. Il principio di giustizia è stato tradito quando milioni di russi sono rimasti fuori dai conini del loro paese”. “Così dopo il Donbass sarà il turno del Kazakistan?”, gli chiedo. “Il Donbass ha seguito l’esempio della Crimea. Ora forse il Kazakistan seguirà l’esempio del Donbass, vedremo”. La gente del posto, tuttavia, non crede all’arrivo degli “omini verdi”, come sono stati chiamati i militari russi senza insegne di riconoscimento che erano presenti in Crimea prima dell’annessione a Mosca. “Putin non ha bisogno di noi. L’Ucraina è un’altra cosa, per via del gas, della presenza della lotta russa e dell’accesso al mare. A chi può interessare la nostra città, che molti ritengono la più brutta del mondo?”, dice l’insegnante Svetlana Pankratova. Secondo il giornalista Severjanin, “il 90 per cento dei russi del Kazakistan orientale sarebbe felice di vedere arrivare qui gli ‘omini verdi’. Ma, appunto, nessuno ci crede davvero”. Forse, però, le cose stanno cambiando. “Fino a qualche anno fa eravamo sicuri che se la popolazione russa avesse organizzato una protesta, Mosca avrebbe aiutato Astana a sofocarla. Ora non ne siamo più così convinti”, dice Plachotin, di Russkij Mir. Che poi aggiunge: “Allo stesso tempo ci sentiamo più insicuri”. Sergej, il commerciante, usa parole più forti: “Se la Russia vuole prendersi questo territorio, troverà di sicuro degli alleati in città. Per Putin saremmo subito pronti a mobilitarci”. Secondo Severjanin, Nazarbaev ha creato una situazione che potrebbe portare a un intervento di Mosca. “La violazione dei diritti civili dei russi e l’aumento del potere delle élite kazache sono i due assi nella manica di Putin. Quando Nazarbaev uscirà di scena, le cose andranno così: se Astana non cederà subito agli ultimatum di Putin, le tv di stato russe cominceranno a trasmettere reportage sulle disgrazie dei russi in Kazakistan. E poco dopo arriveranno gli ‘omini verdi’ del Cremlino”, dice il giornalista. Il suo collega Dubnov, invece, ritiene che a Putin non convenga “alimentare il separatismo in Asia centrale, perché questo potrebbe causare a sua volta una rinascita delle spinte separatiste all’interno della federazione, negli Urali o in Siberia”. Poiché non sono riuscito a incontrare nemmeno un vero militante separatista a Ust-Kamenogorsk, chiedo a Čmutov se da queste parti ci sono molti cosacchi. “In caso di bisogno siamo abbastanza”, risponde laconico. “Bisogno di cosa?”, gli chiedo. Čmutov rimane in silenzio. Ma quando stiamo per salutarci si avvicina un uomo in pelliccia con un cappello cosacco in testa e la bocca piena di denti d’oro. Čmutov me lo presenta come un suo collega, un altro capo cosacco. “Ci saranno dei problemi. E noi combatteremo”, mi dice l’uomo con un ampio sorriso. “Sono pronto a tutto per la patria”, conclude. “Sta’ zitto, è un giornalista”, lo interrompe bruscamente Čmutov. u af L’AUTORE Ilja Azar è un giornalista russo. Nel marzo del 2014 è stato licenziato dal giornale online Lenta, insieme alla direttrice Galina Timčenko, per le sue cronache della crisi ucraina. Questo articolo è stato pubblicato sul sito d’informazione Meduza, fondato alla ine del 2014 da Timčenko, Azar e da una ventina di ex giornalisti di Lenta a Riga, in Lettonia, per aggirare le restrizioni in vigore in Russia sull’informazione online. Economia PANoS/LUzPhoto Nairobi, Kenya, 2014. Promozione di BebaPay, il sistema di pagamento digitale di Google I risparmi nel telefonino The Economist, Regno Unito. Foto di Sven Torinn Nel mondo 2,5 miliardi di adulti non hanno un conto in banca. Ma con i servizi inanziari oferti sul cellulare non ne hanno bisogno e porte del gigantesco ediicio si aprono e la gente si riversa all’interno. Guardie in divise cachi brandiscono antichi fucili britannici, mentre uomini dai freschi dhoti bianchi e donne in sari colorati indirizzano il lusso dei clienti verso i 14mila dipendenti che lavorano qui, alla iliale di Mumbai della State Bank of India. I compratori d’oro vanno a sinistra, dove gli vengono oferte monete o lingotti autenticati L 50 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 dentro scatole di plastica sigillate. Una decina di uiciali della marina aspettano pazientemente i loro stipendi che, come quelli di molti dipendenti pubblici, sono pagati attraverso questa banca. A uno sportello al piano di sopra gli impiegati aiutano i lavoratori analfabeti immigrati dal Nepal a mandare i loro soldi a casa. Questo è un modo di ofrire servizi inanziari a chi non ha un conto. I sostenitori di questo sistema dicono che serve a portare la popolazione senza un conto in banca nel sistema inanziario isti- tuzionale, abituandola a usare le banche invece dei canali informali. Ma è un sistema costoso (ci vogliono molti soldi per aprire una iliale e per assumere il personale) e ineiciente. In India solo una minoranza ricca ha un conto in banca, mentre due terzi degli adulti – molti dei quali sono poveri e vivono in campagna – non hanno accesso ai servizi inanziari. Perché, quindi, dovrebbero perdere tempo, fatica e soldi per andare in banca se esistono delle alternative? Sulle rigogliose colline della provincia del Capo Orientale, in Sudafrica, gli anziani fanno la ila sotto il sole cocente in attesa di premere le dita su uno scanner per il riconoscimento delle impronte digitali, installato sul retro di un pulmino. Dopo questa operazione ricevono una smart card emessa dal governo e collegata a un conto su cui ogni mese lo stato gli versa la pensione. La conversione è stata rapida. Con il pagamento elettronico gli anziani non devono più stare in ila per ore ogni mese. E non rischiano di essere rapinati per strada. Il Kenya ha fatto un passo ulteriore con M-Pesa. Si tratta di un servizio di trasferimento del denaro attraverso il cellulare usato dal 75 per cento dei keniani adulti: i soldi possono essere inviati da un telefono all’altro grazie a un semplice sms. M-Pesa è così difuso che secondo qualcuno la metà del pil del paese ormai circola in questo modo. Può essere usato per pagare la bolletta della luce o il taxi e perino per comprare la verdura al mercato. Ne sono spuntate delle copie in tutta l’Africa, soprattutto in paesi come lo Zimbabwe e la Somalia, che hanno più o meno abbandonato le rispettive monete per passare al dollaro. In questi paesi, dove i poveri guadagnano appena un dollaro o due al giorno, non conviene usare le banconote per le piccole transazioni, e ci sono poche monete in circolazione. Invece, le banconote depositate nelle agenzie al servizio delle compagnie telefoniche e trasformate in moneta mobile possono essere spese facilmente per comprare, per esempio, una busta di pomodori, spiega Ismail Ahmed, di WorldRemit, una società che si occupa di rimesse all’estero. Si tratta quasi sempre di piccole transazioni, ma negli ultimi anni alcune giovani aziende hanno capito che servire milioni di persone che hanno pochi soldi può essere molto redditizio. Nel mondo 2,5 miliardi di adulti (più della metà della popolazione adulta globale) non hanno un conto in banca. Con l’adozione generalizzata dei telefoni cellulari e il progresso delle tecnologie di cloud computing e analisi dei dati, le aziende trovano modi sempre nuovi e vantaggiosi di prestare denaro a miliardi di persone e di spostarlo e custodirlo per loro. Grazie a queste innovazioni stanno spuntando nuovi servizi inanziari, dai pagamenti mobili alle assicurazioni sui raccolti e a nuove tipologie di microcredito. Più che portare chi non ha un conto in banca nel sistema inanziario, questi servizi estendono il sistema a chi non ha un conto in banca. Arjan Schutte, della Core, una società d’investimento specializzata in aziende tecnologico-inanziarie, dice che “il ruo- lo delle banche è dato in gran parte per scontato. Ma una grande tendenza di quest’epoca è proprio l’erosione dell’importanza delle banche”. I servizi tradizionalmente offerti da questi istituti – credito, deposito, pagamenti – oggi sono oferti separatamente. I risparmiatori del mondo ricco fanno prestiti direttamente attraverso siti peer to peer. Alcune aziende permettono ai loro clienti di inviare denaro ai parenti a casa usando canali che scavalcano le banche e altri intermediari tradizionali, contribuendo all’abbassamento delle pesanti commissioni applicate dagli operatori. Questa rivoluzione dovrebbe migliorare la vita dei poveri, anche se mette in crisi e sconvolge il modello degli istituti di credito tradizionali. Alternative poco convenienti A chi non ha un conto in banca non sono mai mancate le alternative per accedere ai servizi inanziari. Il problema è che queste alternative non sono convenienti. In molti paesi in via di sviluppo i poveri ancora non hanno accesso ai prodotti di risparmio e assicurativi. E i soldi nascosti sotto il materasso non solo rischiano di essere rubati, ma non maturano interessi e non possono essere investiti attraverso il credito, come avviene grazie alle banche. Il denaro si sposta in contanti, alimentando la criminalità e sfuggendo al isco. Un settore della inanza alternativa che ha registrato i progressi più rapidi è quello del credito. Alcuni importanti operatori di microcredito, come la Grameen Bank e l’Opportunity International, sono attivi in dagli anni settanta. Ma è negli ultimi tempi Da sapere Soldi sotto il materasso Adulti con un conto in banca, 2011, % 0 20 40 60 80 Paesi ad alto reddito Asia dell’est e del Paciico Mondo Paesi emergenti europei e Asia centrale America Latina e Caraibi Asia del sud Africa subsahariana Medioriente e Nordafrica Fonte: The Economist 100 che le imprese più virtuose del settore si stanno distinguendo per la loro professionalità. I più entusiasti fanno l’esempio del Ghana, dove le donne possono prendere in prestito piccole somme di denaro per rifornire i banchi di verdura nei mercati. In alcuni casi, però, i microcreditori hanno esagerato, favorendo bolle creditizie e fallimenti. Inoltre, tra gli economisti si continua a discutere se i prestiti siano un bene per i poveri. I dati emersi da paesi come il Malawi dicono che è più vantaggioso aiutare un agricoltore a risparmiare il necessario per seminare il raccolto dell’anno successivo piuttosto che farlo indebitare a un tasso d’interesse del 30 per cento. Per di più, la copertura oferta dai microcreditori è a macchia di leopardo. Molti poveri in tutto il mondo sono ancora costretti a chiedere prestiti a tempo, come un anticipo sulla busta paga, o a rivolgersi a prestatori informali che chiedono interessi esorbitanti. Su questo problema non sono mancate le polemiche neanche nei paesi ricchi. Nel Regno Unito la Wonga è stata criticata per aver applicato un tasso d’interesse sui prestiti a breve termine che, se annualizzato, ammonterebbe a più del 4.000 per cento all’anno (l’azienda ha replicato che queste cifre non hanno senso, perché i suoi prestiti normalmente sono ripagati entro un mese, inoltre gli interessi smettono di sommarsi una volta che un credito è scaduto da almeno 60 giorni). Le banche tradizionali hanno avuto dificoltà a servire i clienti delle fasce di reddito più basse. I costi legati al funzionamento delle iliali rendono diicile guadagnare sui piccoli prestiti o sui piccoli depositi. E con i tassi d’interesse così bassi, per le banche è praticamente impossibile fare soldi con i depositi, perché si è ridotta la diferenza tra il tasso pagato sui depositi (di solito zero o quasi) e quello praticato a chi chiede un prestito. Secondo la società di consulenza Oliver Wyman, le banche statunitensi sono in perdita sul 37 per cento dei conti correnti, tra cui quelli di molti risparmiatori con un reddito medio. Di solito, comunque, i poveri non hanno un conto in banca. Nei paesi in via di sviluppo il 20 per cento più ricco della popolazione ha più del doppio delle probabilità di aprire un conto rispetto al 20 per cento più povero. A livello mondiale meno del 25 per cento delle persone che guadagnano al massimo due dollari al giorno ha un conto in banca. Quando il reddito giornaliero medio supera i dieci dollari, il tasso di bancarizzazione sale al 60 per cento. Tra le persoInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015 51 Economia ne senza un conto in banca ci sono la maggior parte degli abitanti dell’America Latina, del Medio Oriente, dell’Africa subsahariana e di molte zone dell’Asia, oltre a quasi la metà della popolazione dell’Europa dell’est. In alcuni paesi africani il tasso di bancarizzazione è praticamente insigniicante: in Sudan, per esempio, è inferiore al 7 per cento. Nei paesi dell’Ocse il tasso è del 92 per cento, anche se con forti diferenze: superiore al 90 per cento nei paesi nordici, poco più del 70 per cento in Italia – che ha una consistente economia sommersa basata sui contanti – e meno del 50 per cento in Messico. Nel 2013 almeno una famiglia statunitense su 13 non aveva un conto in banca, mentre tra quelle con un reddito inferiore ai 15mila dollari all’anno il rapporto era di una su quattro. Un terzo delle popolazione non bancarizzata degli Stati Uniti è nera o ispanica. La spiegazione più frequente per la mancanza di un conto in banca è la convin- un sovrapprezzo per il credito o per il risparmio, ma spesso sono praticamente tagliati fuori da altri servizi inanziari come l’assicurazione sui raccolti, sul bestiame o sulla vita. Questa impossibilità di coprirsi dai rischi ha delle conseguenze. In Tanzania i piccoli agricoltori non assicurati tendono a seminare prodotti che possono consumare, anche se rendono meno rispetto alle colture commerciali. In Uganda i coltivatori poveri che non possono issare i prezzi futuri dei raccolti hanno molte meno opportunità di investire nella redditizia produzione del cafè, perché non sanno con certezza quanto saranno pagati. Nei paesini più sperduti Le preoccupazioni legate all’accesso ai servizi inanziari non sono nuove. Nel novecento i governi hanno afrontato il problema in due modi. Il primo, meno fortunato, è stato nazionalizzare le banche o comunque obbligarle a servire i poveri. L’India, Nel Regno Unito centinaia di migliaia di poveri vivono in zone dove non ci sono iliali bancarie né sportelli automatici gratuiti zione di non avere abbastanza soldi. Altri motivi sono la volontà di non avere a che fare con le banche e la lontananza dalle agenzie. Per chi invece ha un conto in banca, i livelli del servizio possono variare enormemente. Nel Regno Unito, per esempio, i politici si sono lamentati dell’esistenza di circa 270 “deserti bancomat”, zone in cui abitano centinaia di migliaia di poveri e non ci sono iliali bancarie né sportelli automatici gratuiti. Questo obbliga spesso a usare gli sportelli degli operatori non bancari, che impongono delle commissioni. In molte parti del mondo in via di sviluppo, per i risparmiatori fare una camminata per raggiungere uno sportello automatico è l’ultimo dei problemi. Alcuni sono disposti perfino a rinunciare agli interessi pur di avere un conto, perché tenere il denaro in casa li espone ai furti e alle richieste dei parenti. In Ghana e in altri paesi dell’Africa occidentale la gente versa i propri risparmi presso i Susu, delle banche informali che accettano piccoli depositi giornalieri e custodiscono il denaro per i clienti in cambio di una commissione. Conti informali di questo tipo esistono anche in India e nelle Filippine. I poveri non sono solo costretti a pagare 52 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 che nel 1969 nazionalizzò le sue quattordici banche più grandi, è l’esempio principale di questo metodo. Anche se in seguito il sistema bancario è stato liberalizzato, il paese ancora oggi obbliga le banche a garantire i servizi nei paesini più sperduti. Nonostante questo, nel 2011 solo il 35 per cento degli indiani adulti aveva un conto in banca. In Europa molti paesi hanno obbligato gli istituti di credito a ofrire gratuitamente ai poveri conti “di base” o si sono serviti di aziende pubbliche come gli uici postali. Il secondo metodo è stato non fare niente, a parte stracciarsi le vesti di tanto in tanto. Ha funzionato meglio di come ci si potrebbe aspettare. In molti paesi la crescita economica ha fatto spesso molto di più di qualsiasi intervento del governo per portare i cittadini nel sistema bancario. Ma la recente combinazione di telefonia mobile, cloud computing e nuovi modelli aziendali potrebbe avere un impatto maggiore sia della pianiicazione dall’alto sia dell’efetto volano prodotto dalla crescita economica. Alla ine del 2013 c’erano 219 operatori di moneta mobile in 84 paesi, con più di 60 milioni di conti. Più della metà degli operatori erano nell’Africa subsahariana. Alcuni si stanno espandendo: in Afghanistan, per esempio, M-Pesa è usato per pagare gli sti- pendi della polizia. All’inizio molti agenti pensavano addirittura di aver ricevuto un aumento perché le loro buste paga non venivano più “alleggerite” dai funzionari addetti al pagamento. Grazie ai servizi via cellulare spostare denaro è diventato abbastanza conveniente e ha favorito delle innovazioni inanziarie in grado di migliorare la vita dei poveri, dice Jim Roth, della LeapFrog Investments. La Bima, per esempio, è un’azienda svedese che vende assicurazioni sulla vita, contro gli infortuni e contro le malattie attraverso i telefoni cellulari. I bassi costi di distribuzione consentono di ofrire una copertura assicurativa a fronte di un premio di appena sei dollari all’anno. AllLife, un’azienda sudafricana che propone assicurazioni sulla vita a persone afette da aids, riduce il rischio inviando ai clienti dei messaggi per ricordargli di prendere le medicine. Il servizio M-Shwari permette ai suoi clienti di usare i telefoni cellulari per depositare i loro risparmi su conti “bloccati” che si liberano solo in una data speciica, per esempio quando bisogna pagare le rette scolastiche. I dati via cellulare sono usati anche per aiutare gli operatori finanziari a valutare la solvibilità dei potenziali clienti. L’organizzazione non proit Accion lavora con alcune aziende in grado di stabilire se un cliente è aidabile controllando se raggiunge a intervalli regolari il limite massimo della sua carta di credito e se attraversa i campi di più di due ripetitori telefonici durante la settimana. I clienti che spendono regolarmente e viaggiano molto sono considerati debitori migliori di chi se ne sta a casa e usa la carta in modo imprevedibile. Il passaggio a M-Pesa e ad altri strumenti simili è stato più rapido nei paesi poveri, dove questi servizi non devono competere con un modello bancario consolidato e i risparmiatori devono scegliere tra la moneta mobile e i soldi sotto il letto. C’è però spazio per l’inventiva anche nei paesi ricchi. Progreso Financiero, un operatore di credito statunitense attivo in Texas, California e Illinois, ofre prestiti tra i 250 e i 3.500 dollari soprattutto agli immigrati latinoamericani che non hanno un conto in banca. Per valutare la solvibilità di un potenziale cliente l’azienda usa un algoritmo più complesso di quelli dei tradizionali istituti di credito. E applica interessi più alti rispetto alle banche, ma molto più bassi rispetto ad altri operatori alternativi. In sette anni ha concesso più di 500mila prestiti e il responsabile dell’azienda, Raul Vazquez, dice che i tassi d’insolvenza sono “a una sola cifra”. PANOS/LUzPHOtO Nairobi, Kenya, 2014. Un chiosco di M-Pesa, il sistema di pagamento dal cellulare Le banche, forse tardivamente, stanno cominciando ad adeguarsi e a servire clienti a basso reddito, di solito proponendo le carte prepagate. Per molti anni il mercato del prepagato è stato un far west: sostanzialmente non regolamentato, con numerose e salate commissioni nascoste e nessuna assicurazione sui depositi dei clienti. Ora le cose stanno cambiando, non tanto per l’intervento dei governi, ma per la concorrenza. Bluebird, per esempio, una carta prepagata emessa dall’American Express e da Walmart, gira la somma versata dal cliente su un conto di deposito presso una banca con assicurazione annessa. La Jp Morgan Chase ofre una carta prepagata low cost chiamata Liquid, che dà agli utenti libero accesso alla sua vasta rete di sportelli automatici per depositare e ritirare denaro, ma non richiede l’apertura di un conto presso la banca. La Regions Bank, attiva nel sudest degli Stati Uniti, va addirittura oltre, ofrendo a chi non ha un conto non solo carte prepagate, ma anche il trasferimento di fondi, le rimesse all’estero e l’incasso di assegni a commissioni basse: sostanzialmente tutto quello che fa un normale servizio di incasso assegni, ma a costi notevolmente più bassi. La Regions ofre poi un conto di risparmio gratis ai possessori delle sue carte prepagate. Questa formula del conto legato alla carta prepagata è in crescita anche in Europa e nei paesi poveri. Altre banche sono costrette a rispondere con le stesse armi alla rivoluzione della moneta mobile. In Kenya la Equity Bank permette ai clienti di usare i suoi servizi bancari via cellulare in concorrenza con M-Pesa. In Europa la Bnp Paribas ha lanciato Hello, una banca a cui si accede via smartphone in quattro paesi. Certiicati di nascita Nonostante tutto, i progressi sono poco omogenei. Uno studio della Banca mondiale mostra che paesi con livelli simili di reddito spesso hanno livelli diversi di inclusione inanziaria. Il motivo principale è la politica dei governi. In molti paesi la regolamentazione tiene le persone ai margini del sistema finanziario. Negli slum dell’India o della Nigeria molta gente non è in grado di esibire un certiicato di nascita o le bollette, come prevedono le norme contro il riciclaggio di denaro. In altri paesi leggi discriminatorie come il divieto per le donne di sottoscrivere un contratto contribuiscono al notevole divario di genere nell’accesso ai servizi bancari. Quando le regole non ostacolano direttamente l’in- clusione inanziaria, comunque la scoraggiano. In molti paesi dove i governi hanno cercato di ampliare l’accesso al sistema bancario imponendolo dall’alto le banche statali distribuiscono in modo ineiciente il credito e ne determinano il prezzo in modo non ottimale, congelando l’innovazione e costringendo anche gli istituti privati ad alterare il costo dei prestiti per restare competitivi. L’imposizione di quote per le iliali e le restrizioni all’ingresso nel settore (anche per le banche straniere) aggravano il problema. Di contro, i paesi che incoraggiano l’innovazione e aiutano le banche e le imprese a superare gli ostacoli normativi (per esempio, emettendo carte d’identità uiciali che permettono alle banche di individuare i clienti) sono più abili a includere i poveri nel sistema inanziario. Per i governi ci sono altri modi di facilitare il processo. Il primo è rendere elettronici i pagamenti dei sussidi. Un altro è fare più chiarezza sulle regole della moneta mobile, per incoraggiare un numero maggiore di banche a entrare nel mercato e placare i timori delle compagnie telefoniche sui rischi legati ai servizi inanziari. I vantaggi di portare nel sistema inanziario uiciale una bella fetta di tutti gli adulti senza un conto in banca sarebbero enormi. u fsa Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 53 Scienza Il circo dei sensi Shruti Ravindran, Aeon, Regno Unito. Foto di Kathy Klein La sinestesia è un fenomeno percettivo che mescola i sensi e permette di vedere la musica e sentire il sapore delle parole. Secondo alcuni studi siamo tutti sinestetici, anche se in gradi diversi. Ma solo alcuni se ne rendono conto na volta Vladimir Nabokov deinì il suo personaggio più famoso, Lolita, “un piccolo fantasma dal colorito naturale”. Quel colorito era particolarmente vivido anche grazie a una peculiarità neurologica che faceva vedere a Nabokov dei lampi colorati ogni volta che si afacciava alla sua mente una lettera dell’alfabeto. Nella sua autobiograia, Parla, ricordo (Adelphi 2010), ne riporta qualche esempio: “La b ha quella sfumatura che i pittori chiamano terra di Siena, la m è un panneggio di lanella rosa, e oggi ho inalmente abbinato alla perfezione la v con il ‘rosa quarzo’ del Dizionario dei colori di Maerz e Paul”. Questo particolare fenomeno percettivo, che mescola i sensi e permette alle persone di vedere la musica o di sentire il sapore degli oggetti guardandoli, si chiama sinestesia. I sinestetici come Nabokov vedono le lettere e i numeri in colori che sono sempre gli stessi e spesso molto personali. La sinestesia grafema-colore, come viene chiamata, è la forma più comune e riguarda quattro persone su cento. È anche la più studiata. Altre forme piuttosto difuse sono la cromastesia e la sinestesia spaziotemporale. Nella prima certe tonalità o certe note generano lampi di colore, e una sinfonia può evocare un paesaggio tridimensionale. Nell’altra i secondi, i giorni, i mesi o gli anni avvolgono le persone come anelli planetari. Esiste anche la sinestesia lessico-gustativa, che attribuisce a ogni parola un sapore forte e speciico, rendendone alcune più dolci e altre U 54 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 troppo amare per essere pronunciate. Altri sinestetici parlano anche di una personiicazione ordinale-linguistica, in cui alle lettere e ai numeri vengono attribuiti un genere, un colore e una personalità: il 4 può essere un uomo irascibile e meschino che litiga sempre con la moglie, il 6 una signora distinta dai modi squisiti. Non c’è nulla di più intensamente soggettivo e indescrivibile del modo in cui ognuno di noi percepisce il mondo. Perciò molti sinestetici possono passare tutta la vita senza rendersi conto che le loro esperienze sensoriali quotidiane sono insolite o eccezionali. Quelli che se ne accorgono, vivono istanti di allarmata presa di coscienza quando i loro amici non capiscono di cosa stiano parlando e dicono: “Cosa signiica che il mio nome sa di crema di piselli?”. Questi momenti di illuminazione sono diventati sempre più comuni da quando, negli anni ottanta, sono stati concepiti i primi test per valutare l’autenticità di certe afermazioni e poi, a metà degli anni novanta, la misurazione delle onde cerebrali ha per- Molte persone possono passare tutta la vita senza accorgersi che le loro esperienze sensoriali quotidiane sono insolite o eccezionali messo di cominciare a studiare la isiologia delle varie forme di sinestesia. Nel 2013 Richard Cytowic, un neurologo che studia la sinestesia alla George Washington university, ha descritto nel suo Oxford book of synesthesia “la sorpresa e l’entusiasmo” dei sinestetici quando i test confermavano che non si stavano “inventando tutto”. Vedere le lettere a colori Da quando un numero sempre maggiore di sinestetici si rende conto di questa anomalia, stanno emergendo anche nuove forme di questo fenomeno. Nel 2008 due neuroscienziati dell’università della California a San Diego, V.S. Ramachandran e David Brang, si sono imbattuti nel primo caso di sinestesia tattile-emotiva: una ragazza che reagiva in modo viscerale ai tessuti. Se n’era resa conto quando aveva raccontato a Brang che da bambina scoppiava a piangere ogni volta che i genitori le facevano indossare i jeans, perché trovava quel tipo di tessuto ripugnante e deprimente. Toccare la cera, invece, la imbarazzava terribilmente, mentre la seta le provocava un’intensa sensazione di gioia. I ricercatori hanno scoperto anche che in un individuo possono convivere varie forme di sinestesia. La stessa persona che trova ripugnante un certo tessuto può vedere le lettere e i numeri a colori. La sinestesia è spesso ricorrente all’interno delle famiglie. Il padre e la madre di Nabokov vedevano le lettere a colori, e la madre vedeva nuvole di colore anche quando ascoltava una musica. La moglie di Nabokov, Vera, e il iglio Dmitri condividevano lo stesso tipo di sinestesia grafema-colore. Per dirla con le parole dello scrittore: “Una lettera che lui (Dmitri) vede viola, o forse malva, è rosa per me e blu per mia moglie. È la lettera m. In altre parole, nel suo caso il rosa e il blu, combinandosi, hanno dato il lilla. Come dire che i geni umani dipingono ad acquerello”. Ma ormai sembra che i sinestetici non appartengano più a un circolo così esclusivo come si pensava un tempo. Anche se non siamo parenti di Nabokov, tutti noi potremmo leggere un libro a colori. Le complessità ancora poco studiate della normale percezione, secondo alcuni neuroscienziati e psicologi dello sviluppo, fanno pensare che, come i Nabokov, tutti siamo più o meno sinestetici. Per veriicarlo basta tornare a quando eravamo neonati e il nostro cervello si stava sviluppando. Le percezioni dei neonati Il primo a intuire questa possibilità fu il ilosofo Jean-Jacques Rousseau nel suo romanzo Emilio (1762). Rousseau ipotizza che un bambino nato già grande, con le dimensioni di un adulto e le facoltà di un neonato, avrebbe avuto pochissima consapevolezza di sé e le sue impressioni sensoriali sarebbero state mescolate, in una sorta di protosinestesia. Scrive infatti: “Con l’occhio cieco a ogni colore, con l’orecchio sordo a ogni suono, i corpi che toccasse non sarebbero in contatto col suo, anzi neppure saprebbe di averne uno proprio. Tutte le sensazioni convergerebbero in un solo punto, esisterebbero solo nel comune sensorium”. Nel 1818 fu questa idea a ispirare la descrizione che ci dà Mary Shelley della prima esperienza sensoriale di un altro insolito neonato. “Una strana molteplicità di sensazioni s’impadronì di me”, dice il mostro del suo romanzo, Frankenstein, “e io vidi, udii, e odorai, tutto insieme; e passò, credo, molto tempo, prima che imparassi a distinguere le diverse funzioni dei miei sensi”. Nei suoi Princìpi di psicologia (1890), William James dipinge in modo simile il mondo sensoriale del neonato. Scrive infatInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015 55 Scienza ti che “un numero qualsiasi di impressioni, provenienti da un qualsiasi numero di fonti sensoriali, che vada a colpire simultaneamente una mente che non le ha ancora percepite separatamente, si fonderà in un unico oggetto indiferenziato”. Di conseguenza, “il bambino, assalito contemporaneamente da occhi, orecchie, naso, pelle e viscere, sente tutto come una grande ronzante confusione; e ino alla ine della vita, la nostra tendenza a collocare ogni cosa in un unico spazio è dovuta al fatto che l’estensione o la grandezza originaria di tutte le sensazioni che abbiamo provato simultaneamente si è agglomerata nello stesso spazio”. Se il modello percettivo jamesiano fosse valido, se la maggior parte di noi separasse i sensi via via che matura, la sinestesia non potrebbe essere semplicemente un residuo di quella fusione che la maggioranza degli individui si lascia alle spalle? In altre parole, tutti i neonati sono sinestetici? Questo concetto è stato ripreso nel 1988 in un libro intitolato Il mondo dei neonati (Muzzio 1991). Gli autori, la psicologa dello sviluppo Daphne Maurer della McMaster university, nell’Ontario, e il marito Charles Maurer, scrittore, ipotizzano un mondo dei sensi del neonato che ricorda la protosinestesia dell’Emilio di Rousseau. “Il suo mondo ha lo stesso profumo del nostro, ma non percepisce gli odori come se venissero solo dal naso. Li ode, li vede e li palpa. Se potessimo entrare nel mondo del neonato, penseremmo di essere in una profumeria allucinogena”. Secondo i Maurer tutti i neonati sono sinestetici e le numerose connessioni tra le regioni del loro cervello trasformano i vari stimoli in percezioni. L’acceso dibattito tra queste varie zone del cervello, dicono, probabilmente dà luogo a un sensorium infantile sinestetico. Charles Maurer ebbe per la prima volta quest’idea mentre leggeva Viaggio nella mente di un uomo che non dimentica nulla (Armando Editore 2004) dello psicologo sovietico Aleksandr Lurija. Il protagonista di questo libro del 1968 ricorda le “vaghe sensazioni sinestetiche” della sua prima infanzia, quando “una nebbia e poi una massa di colori” indicavano la presenza di un rumore, forse di qualcuno che parlava. Così Charles chiese a sua moglie, che all’epoca stava studiando lo sviluppo della vista nei neonati, se era possibile che tutti fossero sinestetici. “Lasciami pensare a come si manifesterebbe e poi andrò a rivedere i dati”, fu la sua risposta. “E quando li rividi”, racconta oggi, “pensai che fosse un’ipotesi sensata”. Le prove le aveva trovate in 56 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Se potessimo entrare nel mondo di un neonato, penseremmo di essere in una profumeria allucinogena una serie di studi degli anni ottanta e novanta sull’anatomia del cervello, dai quali risultava che dall’infanzia all’età adulta il numero e l’estensione delle connessioni neurali andava gradualmente diminuendo. Grazie alla marcatura anatomica – una tecnologia nuova che permetteva di contrassegnare gruppi di neuroni e seguire la loro traiettoria di sviluppo – gli studi avevano riscontrato che nel cervello dei gattini, dei cuccioli di macaco reso e dei neonati umani certe reti neurali si riducevano e alcune abilità inivano per prevalere sulle altre. Studi più recenti hanno dimostrato che questa regolazione neurale avviene soprattutto tra i sette e i nove anni. Analizzando i risultati degli esperimenti comportamentali, Maurer ha trovato prove convincenti a sostegno dell’ipotesi che la sinestesia vada scemando a mano a mano che il cervello del bambino matura e le connessioni neurali si riducono. Uno dei primi studi sul tema nel quale si è imbattuta è stato quello condotto nel 1974 dai ricercatori della facoltà di medicina di Harvard. “Se si posizionano due elettrodi sulla testa di un neonato e si stimola il polso, si verifica un aumento dell’attività della corteccia tattile”, mi ha detto. “E se interviene un rumore bianco, si osservano ulteriori variazioni nella corteccia tattile”. In altre parole, nel cervello del neonato tatto e udito si amplificano a vicenda. Ma nella stessa regione del cervello adulto, che non elabora i suoni, quell’aumento di attività non si veriica. Questa scoperta ha raforzato le ipotesi che Maurer aveva formulato nei tanti anni passati in ospedale a studiare lo sviluppo della vista nei neonati. La psicologa ricorda che quando in corsia c’era chiasso i bambini “cominciavano a piangere e si chiudevano in se stessi”, mentre quando provavano una sensazione piacevole, sentivano una voce dolce o il tocco di una coperta posata delicatamente su di loro, si aprivano in un sorriso. Sembra che i bambini reagiscano al livello di stimoli complessivo, indipendentemente dalla loro provenienza. È come se il sistema nervoso sommasse udito, vista e tatto. Nel corso del tempo tende però a prevalere la speciicità. Helen Neville, una neuroscienziata dell’università dell’Oregon, nel 1995 ha dimostrato che nei bambini di sei mesi la voce umana genera onde cerebrali nelle regioni uditive e visive del cervello. Ma questo effetto diminuisce gradualmente e, intorno ai tre anni, la voce provoca attività solo nelle regioni uditive. Questi e altri studi hanno portato Maurer a concludere che nel corso del tempo le itte reti neurali osservate nei neonati diminuiscono o vengono ridimensionate dall’ambiente e dall’esperienza. Secondo lei questo ridimensionamento ha l’efetto di eliminare i fenomeni psichedelici, ma non nei sinestetici, nel cui cervello il fascio di connessioni si rinforza. Triangoli rossi È impossibile riprodurre esattamente l’esperienza fenomenologica di un neonato, ma di recente due psicologhe dell’università della California a San Diego hanno riprodotto la sinestesia in atto. Katie Wagner e Karen Dobkins hanno fatto vedere a un gruppo di bambini di due, tre e otto mesi e a un gruppo di adulti alcuni cerchi e triangoli scuri su uno sfondo colorato: rosso e verde o blu e giallo. L’ipotesi di partenza era che i bambini sinestetici che associavano i triangoli al rosso avrebbero guardato di più quelli che si stagliavano sullo sfondo verde, più o meno come gli adulti. Dopo aver analizzato i risultati di un centinaio di questi test, Wagner e Dobkins hanno riscontrato che questo si veriicava nei bambini di due e tre mesi, mentre quelli di otto mesi e gli adulti non mostravano alcuna associazione o preferenza. I risultati dello studio dimostrano che le associazioni sinestetiche cominciano nei primi mesi e scompaiono con il passare del tempo, confermando così l’ipotesi di Maurer. Altre ricerche hanno dimostrato che la sinestesia infantile si riconigura verso i due o tre anni. A fare questa scoperta è stata Julia Simner, una neuroscienziata dell’università di Edimburgo che ha cercato di catturare l’evoluzione di questo processo. Nel 2009, nell’ambito di uno studio pubblicato sulla rivista Brain, ha chiesto a 615 bambini di sei anni di accoppiare 13 colori con le 26 lettere dell’alfabeto e con i numeri da 0 a 9. Dopo dieci secondi li ha interrogati sui loro accoppiamenti. I 47 che avevano riportato il miglior punteggio sono stati messi alla prova di nuovo un anno dopo. Nel frattempo le loro associazioni si erano raforzate, consentendole di osservare in tempo reale come progredisce la sinestesia. Quando, tre anni dopo, ha controllato di nuovo i suoi presunti sinestetici, di dieci o undici anni, Simner ha scoperto che le loro associazioni erano rimaste invariate e anzi si erano rafforzate. Anche Daphne Maurer sta conducendo uno studio simile. Segue tre igli di donne sinestetiche grafema-colore da quando avevano tre o quattro anni. Chiede ai piccoli di scegliere tra 96 matite colorate diverse quelle che associano alle lettere dell’alfabeto, ai numeri da 0 a 9 e a quattro forme base. L’esperimento viene ripetuto varie volte a distanza di qualche settimana. Finora ha scoperto che i bambini non sinestetici scelgono ogni volta matite diverse, mentre i igli di madri sinestetiche accoppiano alle lettere, ai numeri e alle forme sempre gli stessi colori. L’anno dopo la coerenza delle scelte aumenta, passando dal 40 al 75 per cento. Maurer è rimasta colpita dalle sfumature che assumono le associazioni, molto simili a quelle dei genitori sinestetici. Un bambino, per esempio, si è lamentato del fatto che la tonalità di verde associata a una certa lettera non era quella giusta. Gli esperimenti che cercano di fotografare le varie tappe del processo e che durano tutta la vita si sono dimostrati diicili e costosi, perciò gli studiosi della sinestesia si stanno sempre più concentrando su quella che chiamano integrazione cross-modale: il modo in cui il cervello combina input sensoriali diversi come odori e suoni. Probabilmente siete convinti che i sensi funzionino indipendentemente l’uno dall’altro, come raggi laser che si concentrino su un singolo suono o su un’immagine. In realtà i nostri sensi sono costantemente collegati tra loro per poter catturare in modo più vivido il mondo che ci circonda. Pensate alla sensazione di avere in bocca del cotone che avete provato l’ultima volta che avete mangiato qualcosa quando eravate raffreddati, o al fatto che sapete esattamente in che direzione scappare Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 57 Scienza quando sentite un cane che ringhia. Nel nostro cervello i suoni, le immagini, gli odori e tante altre percezioni si mescolano. Queste interazioni tra i sensi producono le cosiddette “percezioni extrasensoriali”. Per esempio, si può avere la sensazione che la fonte di un guaito acuto sia una creatura più piccola e meno minacciosa di quella che emette un ringhio profondo. Queste corrispondenze intersensoriali furono scoperte nel 1929 da Edward Sapir, un linguista dell’università di Chicago, e da Wolfgang Köhler, uno psicologo dell’università di Berlino. Sapir chiese ai volontari che partecipavano al suo studio di attribuire due parole senza signiicato, mil e mal, a due tavoli, uno dei quali era più piccolo dell’altro. Tutti i volontari tranne uno attribuirono mil al tavolo più piccolo. I partecipanti allo studio di Köhler, invece, dovevano accoppiare due parole inventate, takete e maluma, a due forme, una ameboide e bitorzoluta, e l’altra ailata e puntuta come una scheggia. La maggior parte di loro era sicura che takete fosse la forma ailata e maluma quella grumosa. Da studi successivi è emerso che sia i bambini sia gli adulti tendono ad associare la luminosità a un rumore assordante e una pallina a un suono acuto. I ricercatori vorrebbero scoprire se queste interazioni si collocano su un continuum, cioè se sono più forti nei sinestetici e solo più deboli negli altri. Questo indicherebbe che tutti abbiamo accesso alla ricchezza percettiva che accompagna la sinestesia. Secondo Daphne Maurer, le corrispondenze sono dovute alle connessioni tra le varie zone del cervello che non sono state eliminate durante lo sviluppo. La pensa così anche il neuroscienziato Edward Hubbard dell’università del Wisconsin a Madison. “La nostra esperienza del mondo è comunque integrata, combina continuamente le informazioni provenienti dai diversi organi sensoriali”, dice. “Nella sinestesia assistiamo a una versione potenziata di questa combinazione”. Un esempio di questo fenomeno è l’efetto McGurk, una bizzarra illusione percettiva scoperta dallo psicologo britannico Harry McGurk nel 1976. Se la voce registrata di una persona che ripete la sillaba “ba” viene sovrapposta al ilmato senza audio di qualcuno che ripete la sillaba “ga”, nella nostra mente il suono diventa una via di mezzo tra le due sillabe: “da”. “Questo dimostra che la percezione linguistica è un fenomeno multisensoriale, una fusione degli input che ci arrivano da vari sensi”, dice Hubbard. Nel 2001 una serie di esperimenti di Hubbard e Ramachandran ha rivelato qua- 58 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 le potrebbe essere il nodo cerebrale attraverso il quale passano le connessioni: la circonvoluzione angolare, una piccola zona vicina alle regioni più importanti del cervello che elaborano le esperienze tattili, uditive e visive. Per trovare conferma alla loro ipotesi, Hubbard e Ramachandran avevano mostrato a tre pazienti che avevano subìto danni alla circonvoluzione angolare due forme astratte da associare ai nomi buba e kiki, la loro versione di maluma e takete. “I pazienti avevano più diicoltà a riconoscere il grumo come buba e la scheggia come kiki”, dice Hubbard. Hubbard e Ramachandran avevano poi chiesto di spiegare il signiicato di alcune metafore e igure retoriche. Com’era prevedibile, i pazienti incontravano diicoltà in quello come in altri compiti linguistici. A causa del danno alla circonvoluzione angolare avevano perso la capacità extrasensoriale, non erano più in grado di associare “acuto” sia alla forma di un oggetto sia a un suono come quello di un accordo di chitarra o della parola kiki. I ricercatori sono arrivati alla conclusione che l’universalità di questa capacità intersensoriale, e il fatto che forse dipende dalla nostra anatomia, potrebbe renderci tutti “sinestetici in incognito”. Flusso continuo È possibile che la sinestesia sia il vero motore delle metafore e dell’arte. Se non ci credete, chiedetelo a Megan Hart. “Per me la parola amore ha sempre avuto il sapore e l’odore dell’inchiostro fresco. Come una poesia appena scritta”, dice nel suo romanzo del 2013 Tear you apart. La poesia, come il romanzo, è intrinsecamente sinestetica, e la sua fonte segreta è l’io sinestetico. L’esistenza di un continuum sinestetico è stata al centro della conferenza della Society for neuroscience che si è svolta a Washington a novembre del 2014, durante la quale diversi ricercatori hanno ipotizzato che questa capacità potrebbe spiegare per- I bambini autistici sono più lenti nel mettere insieme quello che vedono con quello che sentono, in particolare quando si tratta di parole ché le persone che sofrono di un qualsiasi deicit sensoriale se la cavano comunque abbastanza bene. Jenessa Seymour, una dottoranda dell’università dell’Illinois a Urbana-Champaign, ha raccontato di un esperimento per dimostrare che gli individui nati sordi hanno una visione periferica più acuta, particolarmente utile quando c’è poca luce. Questa super-visione, ha spiegato, ha origine nella regione del cervello che normalmente viene usata per combinare vista e udito, la circonvoluzione temporale superiore posteriore. Ryan Stevenson, un neuroscienziato dell’università di Toronto, ha individuato in particolare una zona di questa regione del cervello: il solco temporale superiore, che è coinvolto nella percezione della lingua orale e delle espressioni facciali, nell’interpretazione delle emozioni e nella comprensione delle intenzioni degli altri. Tutte queste funzioni, osserva, nelle persone autistiche sono più deboli. Nel corso di un esperimento ha confrontato la capacità di bambini autistici e non autistici di combinare informazioni uditive e visive. Prima ha verificato con quanta chiarezza erano in grado di percepire suoni non linguistici come bip e ischi. Poi gli ha chiesto di combinare udito e vista in un test sull’efetto McGurk. Gli ha mostrato il ilmato di una persona che pronunciava la sillaba “ga” con l’audio di una che diceva “ba”. E ha veriicato che, mentre entrambi i gruppi erano in grado di distinguere i bip e i ischi, i bambini autistici tendevano a non sentire la combinazione di suoni “da”, molti di loro dicevano di aver sentito solo “ba”. Stevenson ne ha dedotto che i bambini autistici sono più lenti nel mettere insieme quello che vedono con quello che sentono, in particolare quando si tratta di parole. “Tutti capiamo meglio quello che dice una persona in una stanza rumorosa se vediamo il movimento delle labbra”, spiega Stevenson. “Ma i bambini autistici hanno più diicoltà a sovrapporre quello che sentono e quello che vedono”. Questi studi dimostrano che siamo tutti più o meno sinestetici in incognito. È solo una questione di gradi. La sinestesia ci mette in contatto con la nostra mente, e con quella degli altri. Questo circo dei sensi inluisce sul nostro primo sviluppo e determina la nostra umanità. Ripensando alla mente della nostra infanzia, quando la sinestesia era al culmine, forse potremmo ampliicare il continuo lusso di informazioni che ci arriva dal mondo. u bt Abbonati al tuo giornale preferito Regalati o regala Internazionale. In un unico abbonamento avrai la rivista di carta e la versione digitale da leggere su tablet, computer e smartphone internazionale.it/abbonati Carta digitale Regalati o regala un abbonamento a tutte le foto: Alfredo d’AmAto (pAnos) Portfolio 60 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Vivere a Capo Verde Il fotografo Alfredo D’Amato ha documentato la vita quotidiana nell’ex colonia portoghese, che è rimasta molto legata alla società e alla cultura europea C apo Verde è indipendente dal 1975 ma i suoi abitanti continuano a sentirsi un po’ europei, avendo mantenuto uno stretto legame con la società e la cultura portoghese. I capoverdiani sono poco più di un milione e circa la metà di loro vive all’estero. Negli ultimi anni l’economia del paese africano ha registrato una forte crescita, grazie soprattutto al turismo e alle rimesse dei cittadini emigrati. Gli esploratori portoghesi scoprirono l’arcipelago di Capo Verde nel 1456 e ne fecero un importante porto commerciale e un centro per la tratta degli schiavi. u Alfredo D’Amato è nato a Palermo nel 1977. Questo reportage è stato realizzato tra il 2013 e il 2014. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 61 Portfolio 62 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Alle pagine 60-61, foto grande: nella capitale Praia, sull’isola di Santiago. A pagina 61, foto piccola: sulla spiaggia di Gamboa, vicino al porto vecchio di Praia. In queste pagine, in alto, da sinistra: lezione di boxe sulla avenida Combatentes liberdade da patria; una venditrice ambulante di piante davanti a un murale dedicato all’eroe della lotta anticolonialista Amílcar Cabral; Cyntia e Marina, 18 anni, studentesse. In basso, da sinistra: Carlos, 76 anni, davanti alla sua casa; all’alba sulla spiaggia di Quebra Canela; corso di chitarra a Praia. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 63 Portfolio Sopra: su un terrazzo a Cidade Velha, sull’isola di Santiago. Qui accanto, da sinistra: il busto di Caetano Alexandre de Almeida e Albuquerque, governatore portoghese di Capo Verde nell’ottocento, in un parco a Praia; una casa di Assomada, sull’isola di Santiago. 64 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Sopra: tra le rovine della cattedrale di Cidade Velha. Qui accanto, da sinistra: una madre nutre la iglia grazie alla banca del latte dell’ospedale Agostinho Neto, a Praia; gemelli al porto vecchio della capitale. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 65 Ritratti YanisVaroufakis Efetto domino Paulo Pena, Público, Portogallo. Foto di Ben Sklar Il ministro delle inanze del nuovo governo greco ha il compito di scongiurare l’insolvenza del paese e una crisi dell’euro. Le sue idee poco ortodosse potrebbero ofrire una soluzione “C’ è una diferenza abissale tra quello che diciamo e quello che la stampa internazionale sostiene che diciamo. Noi non vogliamo entrare in guerra con l’Unione europea. Noi non bluiamo. Noi non minacciamo nessuno. Non vogliamo nemmeno negoziare. Vogliamo decidere insieme. Non vogliamo imporre le nostre idee al resto d’Europa. Siamo troppo piccoli e troppo deboli per farlo”. Questa dichiarazione di Yanis Varoufakis, che smentisce molto di quanto è stato detto dopo la vittoria di Syriza alle elezioni del 25 gennaio in Grecia, è stata rilasciata il 28 gennaio al cellulare. Il nuovo ministro delle inanze stava guardando “attraverso una inestra del parlamento”, durante una pausa dal ritmo frenetico di quei giorni. L’intervista concessa al canale australiano Abc ha una spiegazione afettiva. Varoufakis ha il doppio passaporto, greco e australiano, e ha vissuto a Sydney, dove risiede ancora sua iglia. Chi lo conosce sa che ogni mese ci sono alcuni giorni in cui “non è disponibile” per incontri e riunioni, perché deve stare con lei. Tuttavia non è solo per questo che Varoufakis è ascoltato con attenzione a migliaia di chilometri di distanza. Il giornalista della Abc lo ha paragonato a Obama 66 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 perché il cambiamento politico in Grecia potrebbe far rinascere “la speranza” in Europa e nel mondo. Varoufakis però respinge il paragone. Sul suo blog, dopo la vittoria di Syriza e prima ancora di essere indicato come ministro delle inanze, ha fatto riferimento a una famosa poesia di Dylan Thomas: “Oggi la democrazia greca ha scelto di non andarsene docile in quella buona notte. La democrazia greca ha deciso di infuriare contro il morire della luce”. La scelta di quella poesia non sorprende. “Ha una grande cultura letteraria”, spiega l’economista britannico Stuart Holland. C’è un’altra citazione letteraria nel suo percorso politico. Nel novembre del 2010 Holland e Varoufakis hanno pubblicato Una modesta proposta per uscire dalla crisi dell’euro. La “modesta proposta” originale è quella scritta nel 1729 da Jonathan Swift, che non parlava né di euro né di inanze. O meglio, ne parlava in termini molto diversi. Il titolo completo era Una modesta proposta: per evitare che i igli degli Irlandesi poveri siano un peso per i loro genitori o per il paese, e per renderli un beneicio per la comunità. Diversamente da quella di Varoufakis e Holland, la proposta di Swift era satirica: i bambini dei poveri irlandesi avrebbero dovuto essere venduti come cibo per i ricchi. Dai tempi di Swift qualsiasi “modesta proposta” è associata alla satira, ma non Biograia ◆ 1961 Nasce ad Atene. ◆ 1989 Insegna all’università di Sydney. ◆ 2004 Diventa consigliere economico del governo di George Papandreou. ◆ 2010 Pubblica Una modesta proposta per uscire dalla crisi dell’euro con Stuart Holland. ◆ Gennaio 2015 È nominato ministro delle inanze nel governo di Alexis Tsipras. intesa come un invito sottilmente ironico, bensì come una completa, pesante e irrispettosa soluzione burlesco-politica. Varoufakis ha scelto ugualmente di deinire la sua proposta “modesta”. Ma nessuno l’ha presa sul ridere. La proposta di Varoufakis e Holland non chiedeva la “solidarietà” del Nordeuropa né una “ripartizione” del debito tra gli stati (nessun contribuente europeo di un paese ricco doveva inanziare i debiti di altri paesi). Al contrario, chiedeva un “avallo” della Banca centrale europea (Bce) sul debito degli stati dell’eurozona ino a un limite del 60 per cento rispetto al loro pil (per rispettare i criteri di Maastricht). Questo avallo si traduce in un “conto” aperto da ogni stato presso la Bce. Il debito resta, ma viene garantito dalla Bce. La prima tessera Abbiamo incontrato Varoufakis e Holland a Bruxelles nel dicembre del 2011 all’apice della crisi del debito. Stavano cercando di convincere i gruppi parlamentari europei a seguire la loro idea, dopo gli interventi della troika (Unione europea, Fondo monetario internazionale e Bce) in Grecia, Irlanda e Portogallo e quando si temeva un “contagio” delle grandi economie di Spagna e Italia. Si sono seduti insieme a noi in un rumoroso bar del parlamento europeo e hanno cominciato a spiegare il signiicato dell’aggettivo “modesta” riferito alla loro idea. Varoufakis era appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti, dove aveva incontrato alcuni rappresentanti dei fondi d’investimento (tra cui Pimco) e altri pezzi grossi di Wall street per presentare la sua proposta sul debito europeo. Il futuro ministro delle inanze greco era stato elogiato dai vertici della Federal reserve statunitense. “Quando abbiamo visto che la nostra proposta ot- teneva consensi in ambiti così diversi, dai comunisti alla banca svizzera Ubs passando per Wall street, la prima cosa che abbiamo capito è che il piano era razionale. La secon da è che i problemi dell’euro sono più sem plici di quanto si pensi”. Parlando con Varoufakis si scopre che gli piace molto ridere, anche di se stesso, e che ama le contraddizioni. “Sono un marxi sta liberista, anche se so che è una contrad dizione”, ha dichiarato dopo le elezioni. In precedenza si era deinito un “marxista er ratico” e un “economista accidentale”. Og gi quando gli chiedono cosa si prova a esse re ministro dice: “Sono sbalordito. È la di mostrazione che il mondo è alla rovescia”. Varoufakis ama illustrare il suo pensiero con immagini chiare e originali. “La Grecia è un paese caratterizzato dall’ineicienza e dalla corruzione in dall’ottocento. Ma se ne parla solo ora che l’Unione europea è in crisi. Noi siamo responsabili per la caduta della prima tessera, ma non per l’efetto do mino”, ha spiegato alla radio australiana. La sua soluzione per evitare la reazione a catena è impedire la caduta del primo tas sello. La sua “modesta proposta” è stata sottoscritta da inluenti politici europei co me Jacques Delors, Felipe González e Giu liano Amato. Ma il sostegno non è arrivato solo da sinistra. Hanno irmato il testo di Varoufakis anche l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt, il conservatore Giulio Tremonti e perino David Cameron, che oggi si mostra scettico a proposito della vit toria di Syriza ma che aveva chiesto a Varou fakis di sviluppare la sua proposta per per mettere al governo britannico di appoggiar la. Bisognava “arrestare una caduta libera” e per questo era importante rivolgersi a tut to lo spettro politico, spiega Varoufakis. “La nostra proposta è la cosa più vicina a una soluzione tecnica che superi le ideologie”. Fuori dal bozzolo Varoufakis è laureato in matematica stati stica e ha ottenuto un dottorato in econo mia all’università di Essex. Poi si è trasferito a Sydney, dove si è sposato, ha avuto una i glia ed è rimasto ino al divorzio, nel 2000. All’inizio del nuovo millennio è tornato ad Atene. Un giorno gli hanno chiesto di rila sciare un’intervista diversa dal solito. L’ar tista greca Danae Stratou stava preparando un’installazione e voleva parlare con alcuni studiosi del suo progetto. L’idea era che i muri e le frontiere stavano tornando in tutto Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 67 Ritratti il mondo dopo un periodo in cui sembravano condannati a diventare una reliquia del passato. Danae aveva invitato giuristi e architetti, e qualcuno le aveva suggerito il nome dell’economista. Pochi mesi dopo erano in viaggio insieme: dal Kosovo a Israele, dall’Egitto all’Etiopia, dagli Stati Uniti al Kashmir. Lei fotografava e ilmava, lui scriveva. Oltre a un’installazione e a un libro (Globalising walls), quell’intervista ha prodotto anche un matrimonio. Poi è arrivato l’ennesimo colpo di scena nella già rocambolesca vita da giramondo di Varoufakis. La crisi inanziaria partita dagli Stati Uniti nel 2007 ha colpito l’Europa. E la Grecia è stata la prima “tessera del domino” a cadere. Per due anni, dal 2004 al 2006, Varoufakis era stato consigliere del primo ministro Giorgios Papandreou, e conosceva da vicino la realtà greca. Era proprio quello di cui il resto del mondo aveva bisogno: un economista greco che parlasse un ottimo inglese (nonostante l’accento). Le tv internazionali hanno cominciato a invitarlo sempre più spesso: Cnn, Bloomberg, Bbc. “Ero diventato una piccola celebrità”, scrive Varoufakis sul suo blog. “Fino al 2009, quando è scoppiata la crisi dell’euro, ero solo un professore di economia. Mi occupavo delle mie teorie, scrivevo tesi oscure e libri esoterici letti da qualche decina di matti come me. Stavo benissimo nel mio bozzolo accademico. In quel periodo non mi passava nemmeno per la testa di non rispondere a un’email”. Finché la sua vita “è cambiata da un giorno all’altro”. La teoria dei videogiochi Uno degli “effetti secondari” di questo cambiamento è stato proprio la quantità di email in arrivo. Quando erano troppe era costretto a cancellarle. Una di quelle che si sono salvate, quasi per caso, cominciava così: “Sono il presidente di un’azienda di videogiochi”. Era un’oferta di lavoro proveniente dagli Stati Uniti. Il caso ha voluto che Varoufakis e la moglie avessero già prenotato un viaggio oltreoceano per promuovere il loro libro. Una leggera deviazione gli ha permesso di passare due giorni a Seattle, dove hanno conosciuto la misteriosa azienda Valve. Al primo incontro Varoufakis ha capito che quelle persone “non erano solo vagamente strane, erano un gruppo meraviglioso”. Inoltre la comunità economica creata dalla Valve con i suoi giochi “era il sogno di qualsiasi economista”. Varoufakis spiega perché: “Chiariamo una cosa: l’econometria (la disciplina che si occupa della misurazione dei fenomeni economici) è un travestimento, inge di avere un legame con 68 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 la realtà e la statistica ma è più che altro un’astrologia da computer”. Questo, spiega Varoufakis, signiica che i metodi econometrici non possono valutare dei “se” molto importanti: e se non ci fosse stato il new deal? E se non avessimo iniettato denaro pubblico nella crisi dei subprime? Nell’ambiente virtuale, con la complessa rete economica creata dalla comunità dei giocatori, Varoufakis poteva fare due cose: “oltrepassare la frontiera tra economia reale e digitale” e raccogliere importanti “lezioni di economia politica”. Così Varoufakis ha accettato l’oferta ed è diventato uno dei primi economisti a lavorare stabilmente in un’azienda di questo tipo (il primo è stato l’islandese Eyjólfur Guðmundsson, che Varoufakis ringrazia “perché al confronto il mio nome sembra quasi pronunciabile”). La Valve non è un’azienda come le altre. Ha “In fondo l’econometria è più che altro un’astrologia da computer” un’organizzazione orizzontale in cui non esistono gerarchie. La produzione di videogiochi non nasce da una pianiicazione centrale. L’azienda si divide in squadre, e ognuna decide cosa fare. È quello che Varoufakis chiama “ordine spontaneo alternativo”, che contrasta con la tradizionale organizzazione aziendale. “L’attuale sistema di governo delle imprese è obsoleto, schiacciato da gerarchie che impediscono l’espressione del talento e dell’energia, sono piene di inanze tossiche, dipendono da strutture politiche sempre meno legittime. Prima o poi si affermerà una nuova forma d’impresa postcapitalista e decentrata”. Così la pensa l’uomo che sta per entrare nell’Eurogruppo. Un ministro convinto che abbiamo bisogno di “un new deal basato sull’investimento pubblico” per superare tre crisi: quella del debito, quella della crescita e quella bancaria. A questo proposito, Varoufakis è convinto che “abbiamo bisogno di banche noiose”. Noiose? Varoufakis ha pronunciato questa frase dopo una notte quasi insonne. Aveva dormito tre ore, e la Grecia aveva rischiato il colpo di stato dopo che l’allora primo ministro conservatore Antonis Samaras aveva deciso di chiudere la televisione pubblica (che Syriza ha promesso di riaprire). Varoufakis doveva registrare un’intervista per un documentario, ma i fatti di quel 12 giugno 2013 avevano fatto saltare la registrazione. La troupe era di- sponibile solo per il giorno seguente, alle 8 del mattino. Varoufakis ha registrato due versioni della sua dichiarazione, una in inglese e l’altra in greco, spiegando cosa voleva dire quando parlava di banche “noiose”. Le banche noiose sono quelle che prendono in prestito il denaro dai cittadini con un basso tasso di interesse, lo prestano alle aziende, allo stato e alle persone con un interesse più alto, e questo gli basta per vivere. Il peso delle aspettative Questa non è l’unica teoria di Varoufakis che spinge i mercati a sospettare del suo “radicalismo” molto più che della sua “moderazione”. La priorità del suo governo è combattere la “crisi sociale e umanitaria” aumentando il reddito dei cittadini e la spesa pubblica. Uno scontro frontale con la troika, insomma, e con le scadenze che incombono. La Grecia deve restituire 6,7 miliardi di euro in due scadenze, il 20 luglio e il 20 agosto. È come avere di fronte un’idra, dice: “Tagli una testa e ne spunta un’altra”. Prima Varoufakis viveva un’esistenza tranquilla. Insegnava alla Lyndon B. Johnson school of public afairs, in Texas, dove i suoi studenti lo hanno eletto “miglior professore”. Portava avanti il suo impegno civile e politico, ma non doveva rinunciare a tutto il resto, ai viaggi in Australia per stare con la iglia e allo studio. Ora dovrà sospendere anche le polemiche intellettuali. Pochi mesi fa è stato uno dei pochi economisti di sinistra a criticare l’economista Thomas Piketty per il suo libro Il capitale nel XXI secolo (Bompiani 2014). Con una vasta argomentazione teorica, ha accusato il collega francese di presentare “una visione ipersempliicata del capitalismo”. D’ora in poi per lui il mondo sarà sempre dall’altra parte della inestra, come quella del parlamento da cui parlava al telefono con l’Australia, o quelle delle sale di riunione di Bruxelles. Tra i problemi che dovrà afrontare ce n’è uno che non è stato creato da lui né da nessun altro greco: “Il peso delle aspettative”. Varoufakis sa che molte persone si aspettano cambiamenti concreti. Durante la campagna elettorale ha rilasciato un’intervista a un giornale spagnolo che aveva portato un interprete greco. Dopo l’intervista, l’interprete gli ha raccontato in greco, senza farsi sentire dai giornalisti, che prima della crisi era stato professore di lingua. Poi era rimasto disoccupato, aveva perso la casa e viveva di lavori saltuari. Forse il fardello è troppo pesante. “Ma noi vogliamo aprire una piccola porta per far entrare la luce di Dylan Thomas”, spiega il ministro delle inanze della Grecia. u as Viaggi L’arcipelago vichingo Tra le falesie e lungo i prati delle isole Fær Øer. La nebbia, il vento e una luce particolare modiicano in continuazione il paesaggio impossibile perdersi. Basta partire dalla Scozia e andare verso nord, navigando per duecento miglia. Salpando dalla Norvegia e andando verso l’isola di Terranova bisogna percorrerne trecento. Invece partendo dalla Danimarca e proseguendo in direzione dell’Islanda sono più di seicento. L’arcipelago delle Fær Øer è al centro dell’universo vichingo. Sono il posto ideale per varare un drakkar, rifornirsi di acqua, arrostire un agnello o bersi qualche birra. Ecco perché le isole Fær Øer sono state popolate dai feroci navigatori vichinghi. Finora non esistono prove di eremiti irlandesi vissuti qui. L’arcipelago è composto da diciotto isole. Ha una supericie totale di 1.400 chilometri quadrati, simile a quella di Città del Messico, ma è abitato solo da cinquantamila persone. Due quinti della popolazione vive nella capitale, Tórshavn. Chi visita queste isole avrà la sensazione di avere molto spazio a disposizione per correre e l’oceano all’orizzonte, l’assenza di alberi e le valli profonde scavate dai ghiacciai aumentano questa impressione. L’oceano invade le valli, crea iordi e separa le isole. Le pareti rocciose si trasformano in falesie epiche, imponenti, vertiginose e mortali, cariche di un tenebroso magnetismo. La nebbia e il vento alterano continuamente il panorama. Le montagne vanno a caccia delle nuvole che corrono sull’Atlantico e si ammassano sui versanti ventosi. Dove non soia il vento invece brilla il sole e il paesaggio si moltiplica ino a diventare ininito. Anche il tempo qui acquista una consistenza diversa. Forse è ammorbidito dall’indolenza delle pecore al pascolo, è 70 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 un’altra costante di questi luoghi. Non è un caso che il nome danese delle Fær Øer signiichi “isole delle pecore”. Ma il paesaggio è inluenzato soprattutto dalla luce nordica, che d’estate allunga le ore ino a inghiottire la notte e d’inverno rattrappisce il giorno unendo l’alba e il tramonto in un unico scenario. Le isole Fær Øer si trovano a una latitudine più alta di quanto potrebbe far pensare il loro clima temperato. Grazie alla corrente del golfo del Messico, anche negli inverni più rigidi la temperatura in media non scende sotto lo zero. Considerando i mutamenti dello spazio, del tempo e della luce, un isico potrebbe concludere che è un posto perfetto per capire la teoria della relatività di Einstein. Ma un’equazione non basta a spiegare cosa si prova stando in quest’arcipelago, le sensazioni che si hanno quando si naviga immersi nella nebbia ascoltando il fragore delle onde contro i faraglioni, quando si segue il volo impacciato di centinaia di pulcinella di mare, si ripercorre la storia che nascondono queste case di legno coperte di erba, o si osserva un uragano in cima a una falesia. Legati al mare Con un po’ di fortuna, chi arriva alle isole Fær Øer in aereo può sperare di vederle dall’alto tra un mare di nuvole. Spiccano come scogli enormi, con le loro pareti di basalto. In alcuni punti la roccia cede spazio all’erba. A volte si vede anche qualche paese che sorge vicino al mare, con una piccola cala o un porto. Le case sono dipinte di rosso, di nero, di bianco. Molti tetti hanno ancora un rivestimento d’erba, come vuole una tradizione ancestrale, e di solito sono isolati. Non ci sono case lussuose e la chiesa spesso si distingue con diicoltà dagli altri ediici: per individuarla bisogna cercare un tetto a due spioventi e un campanile discreto. L’interno della chiesa è altrettanto austero, simile a quello di un’antica scuola, con ile di banchi, inestre e qualche quadro. Le principali vie di comunicazione tra i diversi villaggi DANIEL KrEHEr (IMAGEBroKEr/CorBIS/CoNTrASTo) Raimon Portell, Mg Magazine, Spagna sono sempre state via mare. Ancora oggi sono i traghetti a imbastire la trama delle isole. Ci sono anche due tunnel che uniscono l’isola Vágar con l’isola Streymoy e un altro tunnel che collega le due isole Eysturoy e Borðoy. C’è anche un ponte sullo stretto tra Streymoy ed Eysturoy. In poco più di un’ora è possibile percorrere il tragitto tra l’aeroporto di Vágar e la città di Klaksvik, a tre isole di distanza. Ma gli abitanti delle isole Fær Øer non abbandonano mai il mare, lo portano nel sangue. I bambini imparano a remare anche prima di andare in bicicletta, mentre gli adulti sanno che il mare è il principale mezzo di sostentamento: più del 90 per cento delle esportazioni dell’arcipelago dipende dall’oceano. Per sentire il mare basta imbarcarsi su un’antica goletta di legno al porto di Tórshavn e circumnavigare l’isola di Nólsoy: falesie, fari, erba verde, basalto nero, mare plumbeo. È un viaggio di piacere, al contrario di quello che collega Sørvágur all’isola di Mykines. In questo caso la piccola imbarcazione trasporta merci e passeggeri. Aggira i Isole Fær Øer. Una cascata sull’isola di Vágar Informazioni pratiche u Arrivare e muoversi Il prezzo di un volo dall’Italia per le isole Fær Øer (Atlantic Airways, Sas) parte da 442 euro a/r. Il modo più semplice per spostarsi è noleggiare un’auto: alcune isole sono collegate da ponti. Su altre si arriva solo via mare, come a Mykines, e non ci sono auto. u Dormire Gli alberghi sono pochi. La soluzione migliore è pernottare a Tórshavn, che ha gli hotel e i ristoranti migliori. Da lì si possono raggiungere quasi tutte le altre isole. u Clima La stagione migliore per visitare l’arcipelago è l’estate, perché la temperatura non è troppo fredda e ci sono venti ore di luce. In inverno le ore di luce sono cinque. u Leggere Johan Harstad, Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?, Iperborea 2008, 16,50 euro. u La prossima settimana Di notte in pullman da Konya a Gaziantep, in Turchia. Avete suggerimenti su posti dove mangiare o dormire, libri? Scrivete a [email protected]. faraglioni e costeggia il litorale. Gabbiani, berte minori atlantiche, procellarie e stercorari antartici sorvolano le onde. All’improvviso la barca entra in una cala molto stretta. Il mare è calmo, ma l’attracco è rischioso, con il mare mosso dev’essere impossibile. Pacchi e borse vengono lanciati fuori dall’imbarcazione e saranno trasportati lungo la salita, ino alle prime case, con un montacarichi. I passeggeri invece dovranno farsela a piedi. D’inverno a Mykines restano solo dieci persone. D’estate le case che sono state chiuse per alcuni mesi riprendono vita. Tornano i discendenti degli antichi abitanti. Arrivano turisti, fotograi e ornitologi. Molti di loro fanno l’escursione d’obbligo ino al faro più a occidente dell’arcipelago. La strada si snoda a picco sul mare. Sui suoi prati i pulcinella di mare hanno scavato tane per i loro piccoli. Migliaia di volatili scrutano la zona, planano a terra, riprendono il volo. Nelle falesie si annidano gabbiani, sule e fulmari. C’è anche l’uccello delle tempeste codaforcuta, che passa molto tempo a sorvolare il mare per poi tornare a terra di notte solo per prendersi cura dei suoi piccoli. La gita dà un’idea di come doveva essere la vita a queste latitudini, soprattutto quella delle famiglie a guardia dei fari, ma non solo. Un monumento ricorda le vittime del mare: da una parte si commemorano i naufraghi, dall’altra le persone cadute in mare cercando di recuperare un uovo, un pulcinella di mare o una pecora. Chi restava a terra doveva sopportare lunghi inverni senza quasi nulla da mettere nel camino. Le case più antiche di Tórshavn sono minuscole proprio per essere riscaldate più facilmente. Per secoli la capitale occupò la piccola penisola di Tinganes. Qui c’era il parlamento dei primi abitanti e sulle rocce i capi incisero la loro irma, decidendo di sostituire le vecchie divinità con il dio cristiano. Questo avvenne intorno all’anno mille, e di lì a poco il re Sverre di Norvegia prese il potere e stabilì a Kirkjubøur, più a sud, la sede episcopale. Una delle sue chiese medievali è ancora in uso. Poi le isole Fær Øer passarono sotto la corona danese. Quando il re si con- vertì al protestantesimo, requisì la residenza del vescovo e cedette gli ediici e le terre della curia a un fattore. I suoi discendenti abitano ancora lì. La fattoria ha un salone di legno vecchio di novecento anni, un fatto insolito in un paese in cui le abitazioni sono andate a fuoco molte volte per colpa degli incidenti domestici o degli attacchi di pirati e corsari. Ci furono anche visitatori più tranquilli che arrivavano in estate dall’Islanda, dalla Scozia e dalla Norvegia, mercanti della lega anseatica e pescatori baschi. Gli scambi cessarono quando la corona danese stabilì il monopolio sul commercio e ripresero a metà dell’ottocento, creando una iorente industria della pesca. Durante la seconda guerra mondiale, mentre la Danimarca era occupata dai tedeschi, le isole Fær Øer restarono in mano ai britannici. Alla ine della guerra alle isole fu concessa una grande autonomia. Gli abitanti non fanno parte dell’Unione europea e non hanno un esercito, ma hanno una nazionale di calcio. I prati enormi in cui giocare non mancano, anche se è diicile trovare terreni pianeggianti. u fr Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 71 Graphic journalism NON LONTANO DA NOVI SAD C’È IL VILLAGGIO DI MAGLIC. POCHI IN SERBIA SANNO CHE NEGLI ANNI QUARANTA FU IL TEATRO DI UN ESPERIMENTO SOCIALE UNICO... IL VILLAGGIO UN TEMPO SI CHIAMAVA BULJKES. FINO AL 1944 I SUOI ABITANTI ERANO IN GRAN PARTE TEDESCHI. COME IN ALTRI PAESI DELL’EUROPA DELL’EST, SUBIRONO UNA PUNIZIONE COLLETTIVA PER AVER COLLABORATO CON GLI OCCUPANTI NAZISTI E FURONO ESPULSI IN GERMANIA... DOPO L’INIZIO DELLA GUERRA CIVILE IN GRECIA, MOLTI MEMBRI DELLA RESISTENZA COMUNISTA (ELAS) TROVARONO RIFUGIO NELLA JUGOSLAVIA DI TITO. NEL 1945 LE AUTORITÀ JUGOSLAVE CEDETTERO IL VILLAGGIO ABBANDONATO DI BULJKES ALLA COMUNITÀ GRECA. CIRCA 4.000 PERSONE FORMARONO UNO STATO NELLO STATO, GUIDATO DA UN LORO COMITATO... 72 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 QUESTA REPUBBLICA COMUNISTA GRECA IN MINIATURA AVEVA UNA VALUTA PROPRIA (CHE OGGI È UN TESORO NUMISMATICO), LABORATORI, SCUOLE, UN CORPO DI POLIZIA, TEATRI, CINEMA, LIBRERIE, GIORNALI, PERFINO UNA RIVISTA PER BAMBINI. TUTTO IN GRECO, NONOSTANTE LA DISTANZA DALLA GRECIA... PUR ESSENDO STATA PROGRAMMATA PER ESSERE AUTOSUFFICIENTE, L’ECONOMIA DIPENDEVA MOLTO DAGLI AIUTI DEL GOVERNO JUGOSLAVO. LA VITA AVEVA UN ORIENTAMENTO COLLETTIVISTA. NON SI MANGIAVA IN CASA: I PASTI, PREPARATI PER TUTTE LE FAMIGLIE DEL VILLAGGIO, ERANO SERVITI NELLE CUCINE COMUNI. L’IMMAGINE DI UNA CUCINA COLLETTIVA ERA ADDIRITTURA STAMPATA SULLA BANCONOTA DA 5 DINARI. L’INTERO PROGETTO FINI CON LA CRISI TRA TITO E STALIN. LA MAGGIOR PARTE DEGLI ABITANTI DI BULJKES, CONSIDERANDO REVISIONISTA LA NUOVA POLITICA JUGOSLAVA, CHIESE DI POTERSI TRASFERIRE IN CECOSLOVACCHIA A METÀ DEL 1949. SOLO 800 GRECI RIMASERO NEL VILLAGGIO. DOPO LA FINE DELL’INSEDIAMENTO GRECO, BULJKES FU NUOVAMENTE OCCUPATA DA FAMIGLIE POVERE PROVENIENTI DA VARIE ZONE DELLA JUGOSLAVIA E CAMBIÒ NOME DIVENTANDO MAGLIC. IL RICORDO DI QUELL’INSEDIAMENTO UNICO E AUTOGOVERNATO È SCOMPARSO, ANCHE SE PROBABILMENTE È STATO QUANTO DI PIÙ VICINO A UN IDEALE PROGETTO COMUNISTA CHE I BALCANI ABBIANO MAI CONOSCIUTO... Aleksandar Zograf è un autore di fumetti nato a Pančevo, in Serbia, nel 1963. Il suo ultimo libro è Segnali (Coconino press/Fandango 2011). Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 73 Cultura Guy LE QuErrEC (MAGNuM/CoNTrASTo) Musica Abdullah Ibrahim e la Kalahari Liberation Opera nel 1982 Melodie di protesta Lindokuhle Nkosi, Mail & Guardian, Sudafrica Per capire la storia sudafricana è utile risalire alle origini delle canzoni che hanno contribuito a sconiggere l’apartheid el 1962 Ben Turok, attivista antiapartheid veterano dell’African national congress (Anc), fu incarcerato nel penitenziario centrale di Pretoria. Nel 1964 raccontò la sua storia sulla rivista dell’Anc, Sechaba. “Ieri sera è stato molto triste: con un canto dolce e malinconico, i detenuti nel braccio della morte hanno comunicato agli altri che la loro ine era vicina. Era notte fonda quando il canto si è interrotto, e la prigione è piombata in un silenzio pregno di inquietudine. Ero già sveglio quando hanno N 76 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 ripreso a cantare, di prima mattina. Ancora una volta, quella musica struggente e bellissima ha attraversato le sbarre alle inestre, ha echeggiato per il cortile dell’ora d’aria e si è dispersa nei grandi piazzali della prigione. Poi, all’improvviso, la voce di Vuyisile Mini ha rimbombato per i corridoi vuoti. Evidentemente era salito su uno sgabello per raggiungere con la faccia il condotto di ventilazione della cella. Con la sua inconfondibile voce bassa ha scandito in lingua xhosa il suo messaggio d’addio al mondo. Era una voce carica d’emozione ma ostinatamente ribelle, ha parlato della lotta dell’Anc, convinto che alla ine sarebbe stata vittoriosa. E poi è stato il turno di Wilson Khayinga, seguito da Zinakile Mkaba. Anche loro hanno sidato le regole del carcere per gridare discorsi di commiato. Poco dopo ho sentito le porte delle loro celle che si aprivano e i tre hanno cominciato a cantare un’ultima, commovente canzone che pareva riempire l’intera prigione, per poi aievolirsi lentamente nei recessi del braccio della morte. Mini ha camminato verso il patibolo, con le mani ammanettate dietro la schiena, e ha cantato, come aveva promesso, ino a che il cappio intorno al collo non l’ha ucciso”. Mini cantava Naants’ indod’ emnyama Verwoerd (Stai attento arriva l’uomo nero, Verwoerd). È ancora oggi la sua canzone più popolare. Armi non convenzionali La musica è un’arma. Mini, l’uomo che oggi è considerato il progenitore dei canti di protesta, lo sapeva. Lo sapeva quando compose quelle melodie per esortare gli altri a organizzarsi. Lo sapeva quando stava percorrendo gli ultimi passi della sua vita, mentre gli stringevano il cappio attorno al collo. Sapeva che nelle note e negli schemi compositivi c’è un linguaggio. C’è un’emozione che non si può esprimere; parole che non si possono scrivere. Nella musica c’era la lotta e nella lotta c’era la musica. Mini, Mkaba e Khayingo furono tra i primi esponenti dell’Anc condannati a morte dal governo dell’apartheid. Erano passati 101 anni da quando la nave degli invasori, la Css Alabama, era approdata a Città del Capo, ispirando una canzone che si canta ancora oggi, Daar kom die Alibama (Arriva l’Alabama). Ne erano trascorsi 73 da quando AP/ANSA Marzo 1960. Una manifestazione dell’Anc a Orlando East, Johannesburg Enoch Sontoga aveva composto Nkosi sikelel’ iAfrica (Dio benedica l’Africa), che sarebbe diventato l’inno nazionale di cinque paesi africani, e ne erano passati 51 dall’approvazione del Native land act, che avrebbe spianato la strada all’apartheid, depredando i sudafricani nella loro stessa terra. E nove anni dai primi trasferimenti forzati di neri dalle loro case di Sophiatown. La resistenza a quegli abusi è stata resa immortale da Meadowlands di Strike Vilakazi. La canzone tradusse in musica un sentire comune e risuonava dodici anni prima che gli studenti di Soweto scendessero in strada, prima che venissero falciati dalla polizia dell’apartheid, prima che portassero il paese alla paralisi, prima che gli esiliati mandati in Zimbabwe introducessero una nuova danza di protesta, il toyi-toyi. La lotta del Sudafrica contro la dominazione della minoranza bianca è scandita dalla musica. Quando ci si chiede cos’è la musica di protesta, la risposta a prima vista appare abbastanza chiara. Ma è diicile classiicarla. Le chiese aprono le porte e raggiungono la strada, il toyi-toyi risuona nei cortili delle scuole e sui palchi di tutto il mondo e i musicisti esiliati diventano specchi che rilettono la realtà delle atrocità commesse in Sudafrica. E allora, di nuovo: cos’è esattamente la musica di protesta? “La musica di protesta è una musica che dà forma, o che prende forma dalla protesta. A volte è composta, come quella di Vuysile Mini. In altri casi nasce spontaneamente proprio durante le lotte”, dice Masello Motana, attrice, autrice satirica e storica del canto. “Da sempre le due tipologie sono separate da una linea molto sottile. Una melodia magari è stata composta, ma poi spunta qualcuno che dice: ‘Ero lì quando è nata per la prima volta questa canzone… ma dov’era?’”. Nascita di una canzone Al momento Motana sta lavorando a un progetto, Ntyilo Ntyilo, per ricostruire l’archivio musicale del Sudafrica. “Una canzone, ingoma, può riportare in vita le cose. Ma c’è una diferenza tra le parole ‘ingoma’ e ‘canzone’, che ha a che vedere con il modo in cui la prima si forma e viene alla luce, già nel vocabolario. Dicono che è una persona a comporre una canzone. Ma da dove arriva? Arriva da un luogo che le parole non possono raggiungere. È per questo che attraverso la musica i cuori riescono a unirsi così rapidamente. Basta una nota per entrare in comunione spirituale con una o cento persone”. Motana comincia a cantare The land act, un medley che combina tre canzoni: Meadowlands, Not yet uhuru di Letta Mbulu e Thina sizwe. Tutte e tre, nate in epoche diverse, parlano di privazione delle terra, espropriazioni e repressione. Il progetto di Motana vuole ricomporre la memoria delle township attraverso le canzoni. Spesso si tende a pensare che la gente abbia cominciato a vivere nelle township volontariamente. E la nuova tendenza per cui “il ghetto è un posto igo”, a volte, minimizza le ragioni per cui la gente ci vive. “Uno stravolgimento della storia imperdonabile. Canzoni come Meadowlands e Shosholoza, che erano rispettivamente la colonna sonora delle espropriazioni e della sottomissione, ormai si suonano come se fossero canzoni di festa. Per questo ho voluto restituire a Meadowlands la sua tristezza, riportarla nel suo contesto. Nessuno ha voglia di festeggiare quando viene buttato fuori di casa”. Motana non è l’unica artista che vuole ripristinare la memoria di quella che ora chiamiamo musica di protesta. Il progetto del compositore e librettista Neo Muyanga, Revolting songs, si preigge lo stesso scopo. Muyanga ha passato l’ultimo anno e mezzo ad analizzare la musica di protesta cercando, come dice lui, quello che “la motiva a livello estetico”. Entrambi i progetti mettono in discussione la nozione comune di musica di protesta, obbligandoci a vederla in dialogo con le nostre vite, non come qualcosa di stagnante, come una storia ormai conclusa e immobile. Come dice Abdullah Ibrahim in Amandla! A revolution in four part harmony, il documentario di Lee Hirsch del 2002: “La rivoluzione in Sudafrica è l’unica in tutto il mondo che si è compiuta con un’armonia in quattro parti”. u nv Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 77 Cultura Cinema Italieni Dagli Stati Uniti I ilm italiani visti da un corrispondente straniero. Questa settimana Vanja Luksic del settimanale francese L’Express. Una piccola speranza 78 Una strana stagione dei premi che portano all’Oscar diventa ancora più strana. Dopo essere stato scelto come miglior ilm dalle associazioni dei registi, dei produttori e degli attori americani (Dga, Pga e Sag), Birdman sembra correre da solo verso il premio più ambito. È successo una sola volta che un ilm vincitore di quei tre premi non abbia vinto l’Oscar (Apollo 13, nel 1993). Ma, invertendo la tendenza, ai British academy of ilm and television award co- Boyhood me miglior ilm ha vinto Boyhood. Questo può cambiare le carte in tavola? I Bafta sono una buona indicazione per capire chi otterrà l’Oscar? L’ultimo giro di votazioni per l’Academy award comincia il 13 febbraio, quindi ancora tutto è da decidere. In più negli ultimi anni i criteri di assegnazione dei premi sono diventati praticamente identici. E il fatto che dal 2001 i Bafta siano assegnati prima della notte degli Oscar (in precedenza avveniva dopo) può inluenzare qualche componente dell’Academy ancora indeciso. Tra l’altro, anche se nella categoria come miglior ilm i premiati diicilmente corrispondono, nelle altre categorie, in particolare quella degli attori, spesso i vincitori sono gli stessi. L’unico Bafta vinto da Birdman è quello per la fotograia. Scott Feinberg, The Hollywood Reporter Massa critica Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo T Re H E gn D o AI U L n Y L E i to T EL Fr F EG an I G ci A R a R A O PH T C HE an G ad L a OB E T A Re H E N D gn G M o UA U A ni R D IL T t o IA Re H E N gn I o ND U n E L I i to P E N Fr BÉ D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST Il nome del iglio Di Francesca Archibugi. Italia 2015, 96’ ●●●●● Le prénom (uscito in Italia con il titolo Cena tra amici), versione cinematograica di una famosa commedia teatrale di Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte, ha avuto un enorme successo in Francia. Con Il nome del iglio Francesca Archibugi ci ofre una rivisitazione italiana di questa commedia che riprende un po’ il tema classico del Grande freddo. Un gruppo di amici si ritrova a cena, in una casa romana tutta libri e terrazzo (al Pigneto, ovviamente). Si comincia scherzando, poi l’atmosfera si fa sempre più tesa. Con un momento di distensione, grazie a una canzone di Lucio Dalla che farà rivivere il passato comune, spensierato e felice. Questa commedia agrodolce, molto francese perché molto parlata, è da vedere. Non solo per i dialoghi che sono curati e pungenti o per la regia di una grande professionista. Ma anche e soprattutto per gli attori bravissimi. Le due attrici, in particolare, sono eccezionali. Valeria Golino è Betta, una donna tenera, piena di frustrazioni acuite dall’angoscia della premenopausa. Micaela Ramazzotti è Simona, irresistibile ragazza di borgata, autrice di un best seller e incinta del suo primo iglio. L’annuncio del nome del bimbo innesca il dramma. La sua nascita dà inizio a una nuova speranza. La vittoria di Boyhood ai Bafta potrebbe riaprire la corsa all’Oscar Media SeLma 11111 - - 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 BiRDman 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 exODuS 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 GOne GiRL 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 THe iceman 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 THe imiTaTiOn Game 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 La TeORia DeL TuTTO 11111 - 11111 11111 TimBukTu 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 11111 TuRneR 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 WHipLaSH 11111 - 11111 - 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 - 1ccc1 I consigli della redazione Timbuktu Abderrahmane Sissako (Francia/Mauritania, 97’) Birdman Alejandro González Iñárritu (Stati Uniti, 119’) In uscita Timbuktu Di Abderrahmane Sissako. Con Ibrahim Ahmed, Layla Walet Mohamed, Toulou Kiki. Francia/Mauritania 2014, 97’ ●●●●● L’avanzata dei jihadisti da una quindicina d’anni a questa parte mette in discussione la nostra idea di umanità. Abbiamo aspettato a lungo un ilm che deinisse la misura artistica – e non solo sociologica, politica o spettacolare – di questi eventi, l’opera che potesse riempire il vuoto e rappresentare un fenomeno che invece della nostra idea di umanità non si preoccupa afatto. Vecchio dilemma quello dell’arte che si confronta con la mostruosità. Come cogliere l’una senza tradire l’altra? Come mostrare una realtà orribile senza edulcorarla? Sono poche le opere che ci sono riuscite. Timbuktu aggiunge a un’eccezionale qualità artistica l’eco funesta dell’attualità. L’azione si svolge a Timbuctù nel periodo in cui è stata occupata da una coalizione di gruppi jihadisti, cioè tra l’aprile del 2012 e il gennaio del 2013. In pochi mesi i miliziani hanno imposto la sharia, hanno bruciato tombe e manoscritti dal valore inestimabile, hanno fatto regnare il terrore in nome della fede. Il regista ci mostra questo momento particolare attraverso due strade parallele che iniranno tragicamente per incrociarsi. Da una parte gli estremisti islamici impongono la loro legge, dall’altra il destino di una solare famiglia tuareg che vive nei dintorni della città. E questo è tutto. Il resto è solo intelligenza e bellezza. L’intelligenza di mostrare i carneici per quello che sono, non demoni (e quindi creature divine), ma sem- Timbuktu plici uomini. Grotteschi, cinici, ipocriti, quasi inconsapevoli del male che commettono. Il fanatismo come registro terribile della stupidità, e la stupidità come fonte inesauribile e universale di umorismo. Ma attenzione perché dietro l’umorismo c’è l’orrore in agguato. Di fronte a questo pozzo di idiozia e atrocità risplende la bellezza di chi è schiacciato ma resiste grazie al suo spirito: una coppia tuareg che con dignità e grazia tiene alta la testa per guardare negli occhi il suo oppressore, una specie di stregona che insulta le pattuglie dei jihadisti, gli adolescenti che aggirano il divieto di giocare a calcio facendo una partita senza pallone e anche l’imam che ricorda con coraggio i valori della tolleranza dell’islam. Jacques Mandelbaum, Le Monde Whiplash Di Damien Chazelle. Con Miles Teller, J.K. Simmons, Paul Reiser. Stati Uniti 2014, 105’ ●●●●● Andrew (Miles Teller) frequenta il prestigioso Shafer conservatory di New York. Studia per diventare un batterista. La batteria è uno strumento divertente e i batteristi sono tipi socievoli. Almeno così si potrebbe pensare. Ma quest’idea è messa a dura prova dalla prima scena del ilm, dall’ultima e da tutto quello che c’è in mezzo. Perché Andrew sembra suonare da solo anche quando è circondato da molti altri musicisti. La buona notizia è che Andrew viene selezionato nella migliore jazz band della scuola. La cattiva notizia è che la band è condotta dal formidabile Fletcher (J.K. Simmons), che spara i suoi giudizi sugli studenti con la foga di un istruttore dei marines ed è pronto a mettere in risalto le loro debolezze al punto di farli scoppiare in lacrime davanti a tutti se questo aiuterà la causa della musica. L’unica cosa che per lui conta davvero. Quello che dà al ilm la sua originale verve non è tanto la musica jazz quanto il perverso gioco di potere che ci può essere tra maestro e allievo oltre a una rara onestà nel valutare il prezzo del voler raggiungere l’eccellenza a ogni costo. Facciamo il tifo per Whiplash Turner Mike Leigh (Regno Unito/Germania/ Francia, 149’) Andrew, ma Teller fa in modo di non farcelo stare sempre simpatico. Simmons è teso come una corda di violino, vibrando continuamente tra impazienza e intolleranza. Bello il primo piano di Paul Reiser verso la ine del ilm. Sorride vedendo quanto è migliorato il iglio, ma il suo sorriso scompare via via che cresce il ritmo della batteria. Il iglio si perde nel ritmo e lui capisce di averlo perso. Anthony Lane, The New Yorker Selma. La strada per la libertà Di Ava DuVernay. Con David Oyelowo. Stati Uniti/ Regno Unito2014, 123’ ●●●●● C’è un motivo per cui il ilm di Ava DuVernay si intitola Selma e non Dr. King. Infatti non vuole essere una biograia del grande Martin Luther King, interpretato con solenne autorevolezza dal magniico David Oyelowo. Non vedremo molti momenti cardinali della vita del reverendo perché l’azione è focalizzata su un preciso arco di tempo. Questo perché non è un ilm su un uomo ma su un movimento, e così la regista è libera di esplorare le idee che ispirarono il movimento per i diritti civili senza dover per forza mettere in scena i momenti storici che molti conoscono. In più, concentrandosi sul potere di inluenzare con intelligenza l’opinione pubblica attraverso azioni collettive, Selma raggiunge una rilevanza rispetto alla nostra contemporaneità che pochi drammi storici possono vantare, specialmente quelli costruiti intorno a igure reali (come quella di Martin Luther King) spesso impastati di agiograia. Dana Stevens, Slate Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 79 Cultura Libri Italieni Africa I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Frederika Randall, che scrive per The Nation. Un venerdì nero 80 Un fulmine ha colpito il mondo della letteratura africana. Venerdì 6 febbraio Assia Djebar, 78 anni, è morta in un ospedale parigino. Poche ore più tardi, in volo tra Amsterdam e Città del Capo, è morto André Brink, 79 anni. Due scrittori che hanno conquistato milioni di lettori con la magia e il potere evocativo dei loro libri. Molto giovane, scrivendo La soif Fatima Zohra Imalayène (Assia Djebar era lo pseudonimo usato per evitare ritorsioni) ha avuto subito successo e ha aperto degli squarci inediti sulla vita quotidiana degli algerini. Ha avuto una carriera magniica e l’onore di entrare nell’Accade- Assia Djebar ALBErTO CONTI (CONTrASTO) Nadia Terranove Gli anni al contrario Einaudi, 144 pagine, 16 euro ●●●●● Gli “anni al contrario” sono gli anni di piombo, anni fatali, in cui un giovane laureato e di belle speranze poteva perdere la bussola e sprecare la vita, se non peggio. Succedeva anche quando la famiglia era agiata e politicizzata, cioè di sinistra, con tutti i vantaggi che quelle origini potevano conferire. Giovanni è quel giovane e Aurora, iglia di una storia diversa (il padre si fa chiamare il fascistissimo) ma ugualmente iglia degli anni settanta, è la sua donna. La storia è raccontata dal punto di vista di chi è nato in quel famigerato 1977, o giù di lì. Come la loro bambina Mara, che crescendo deve afrontare il matrimonio spezzato dei genitori, gli ideali esausti, un padre irresponsabile, una madre distratta. Come l’autrice, nata a Messina nel 1978, e qui al suo primo romanzo, scritto con grazia e intelligenza. Genitori egocentrici, più preoccupati della loro immagine di rivoluzionari che non del ruolo di padre o madre. Gli anni di piombo furono poco allegri per chi li ha vissuti da piccolo. Oggi quei igli a loro volta sono diventati adulti. Ma dove si trova il coraggio di essere genitore, sembra chiedere questo amaro ritratto generazionale. E potremo aggiungere: dove si trova una minima sicurezza economica? Il 6 febbraio sono morti l’algerina Assia Djebar e il sudafricano André Brink mia reale belga nel 1999 e nell’Académie française nel 2005. André Brink, anche se non è mai riuscito a vincere il Nobel, non può essere considerato il parente povero di Nadine Gordimer o J.M. Coetzee. Per capire la sua statura basta leggere Un’arida stagio- ne bianca, il suo romanzo più famoso, ma non il suo unico capolavoro. Djebar e Brink erano due pilastri della letteratura di un continente in cui scrittori e artisti pagano spesso a caro prezzo il loro impegno. Abdourahman Waberi, Le Monde Il libro Gofredo Foi Nel mondo chiamato carcere Maurizio Torchio Cattivi Einaudi, 182 pagine, 19 euro La parola cattivo viene dal latino captivus, prigioniero, ma anche, nel signiicato odierno, dice il Devoto-Oli, da captivus diaboli, prigioniero del diavolo e cioè del male. Si presume che Torchio non sia mai stato in prigione, ma ha scritto uno dei libri più belli sulla condizione carceraria o, per estensione, sulla condizione umana, raccontando carcere, carcerati e carcerieri, raccontando la Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 claustrofobia di una società chiusa e passando dalla prima alla terza persona e da una parte all’altra dei conini del carcere/isola. In coda al libro Torchio ringrazia opere e memorie di carcere su cui ha ragionato, dimenticandone varie, come i russi, Genet, e qualche ilm (Bresson, Becker, altri) e la constatazione di Petroni che “il mondo è una prigione”. Ma scava, capisce, racconta il carcere come pochi hanno saputo fare, e il suo è un romanzo e un saggio (Toro, un sequestro e un omicidio, le donne – fuori–, Comandante, lo spazio, i cani…) afrontati con una scrittura secca e staccata, dura, nuova. “Il carcere esiste”, “Il male c’è”, “Tutti si fanno del male”, e la maledizione della prigione (solo di quella?) è “non potersi idare mai”. In mezzo alle cento sciocchezze settimanali degli italici scriventi, ecco uno scrittore vero. Segnalammo qui cinque anni fa Piccoli animali, scene di orfanezza. Per scrivere Cattivi Maurizio Torchio ha speso cinque anni, e si sente. u I consigli della redazione Ian McEwan La ballata di Adam Henry (Einaudi) I racconti Molly Antopol Luna di miele con nostalgia Bollati Boringhieri, 254 pagine, 17,50 euro ●●●●● Il primo libro di Molly Antopol, una raccolta di racconti, dimostra padronanza e serietà. L’autrice ha viaggiato molto in Europa orientale e alle spalle ha una complicata storia familiare in Bielorussia, da cui prende frequentemente spunto. Che i suoi racconti si svolgano nell’Upper West Side, a Tel Aviv, in California o in Bielorussia, c’è sempre un forte senso della storia dietro i suoi personaggi e l’impressione che gli antenati li giudichino dalle loro tombe. Antopol tratta l’ultimo secolo di storia ebraica in modi che possono essere cupamente divertenti. Uno scrittore dissidente, parlando dell’interrogatorio a cui è stato sottoposto una volta a Praga, commenta: “Davvero pensavano che la privazione del sonno potesse spezzare il padre di un neonato?”. Molti dei racconti di Antopol hanno a che fare con capovolgimenti di ruolo. In un racconto due fratelli arruolati nell’esercito israeliano e innamorati della stessa donna vedono capovolgersi il loro rapporto tormentato quando uno dei due è gravemente ferito. In un altro, una promettente intellettuale dell’Europa orientale è costretta a pulire i pavimenti in America. In un altro ancora, un vecchio ebreo del Queens ha una seconda chance in amore solo per DEBBI CooPER Il senso della storia Molly Antopol vederla crollare in modo umiliante durante la luna di miele a Kiev, in Ucraina. Ma quel che più lo tormenta è che la iglia è scappata a Gerusalemme per sposare un ortodosso. La politica radicale è al centro di molti racconti. Uno è su un attivista sindacale con una iglia sessualmente avventurosa; un altro è su un attore nato in Russia la cui carriera è rovinata, negli anni cinquanta, dalla commissione per le attività antiamericane. La sua amante, una sceneggiatrice, non solo ha contribuito a rovinare il suo matrimonio, ma ha anche fatto la spia. Verso la ine del libro si ha la sensazione di tornare in posti dove si è già stati. Frasi simili riappaiono in scene simili. Piccole epifanie sono accese come candeline. Sembra a volte che Antopol sia più preoccupata di non fare errori che di coniccare a fondo la pala nel terreno della vita. Dwight Garner, The New York Times Zaza Burchuladze Adibas (Meridiano Zero) David Foenkinos Charlotte Mondadori, 200 pagine, 16 euro ●●●●● Nel 1940, rifugiata nei pressi di Nizza, la giovane Charlotte Salomon si rinchiude in una stanza d’albergo come in una cella monastica. Due anni dopo ne esce con un’opera intitolata Leben? oder Theater?, una specie di romanzo autobiograico per immagini, composto da ottocento schizzi e testi dipinti. Aida tutto al medico che l’ha seguita da quando è arrivata in Francia, fuggendo dalla Germania nazista. Nell’autunno del 1943, a 26 anni, è arrestata, deportata e uccisa nelle camere a gas. Dopo la guerra, il padre che è sopravvissuto in esilio nei Paesi Bassi ritrova l’opera di Charlotte. È così che sessant’anni più tardi il giovane romanziere David Foenkinos la scopre, mentre è esposta a Berlino. Questo romanzo racconta la vita di quella donna sotto forma di un lungo poema narrativo. I versi sono liberi ma tutti brevi. Alla ine di ogni riga c’è un punto, un espediente che sembra riprodurre il ritmo di un respiro trattenuto. Quello di un piccolo animale sconvolto con il cuore che batte all’impazzata, che non vuole fare rumore perché sente un predatore in agguato: il predatore dei suoi demoni familiari. David Foenkinos apre il romanzo con la nascita della sua eroina, raccontando il segreto che lei apprenderà solo nel 1940, quando sua nonna cercherà di impiccarsi. Charlotte ignorava che sua madre, morta quando lei aveva dieci anni, si era suicidata. E prima di lei sua sorella, ma anche la loro nonna, il loro zio e altri ancora. Il racconto è pervaso dall’ammirazione tenera e afascinata dell’autore per la giovane artista. Lei gli pone Daniel Lieberman La storia del corpo umano (Codice) delle domande che rimangono senza risposta: cosa serve per fare un genio? E cosa fa sì che questo genio, perennemente sul punto di spezzarsi psicologicamente, passi all’azione e si metta a creare? Sulla strada di Charlotte Salomon ci furono delle donne e degli uomini – forse degli angeli – che credettero in lei. Al loro seguito c’è David Foenkinos, che le rende un omaggio molto bello. Astrid De Larminat, Le Figaro Bill Dedman e Paul Clark Newell Jr. Dimore vuote Neri Pozza, 496 pagine, 18 euro ●●●●● Il cognome Clark non ha la stessa risonanza di Carnegie o Rockefeller. Ma all’inizio del novecento William A. Clark – imprenditore nel settore del rame e senatore – era uno degli uomini più ricchi d’America. Bill Dedman ripercorre la sua ascesa e si concentra su sua iglia, Huguette, morta nel 2011 all’età di 104 anni. Dopo aver ereditato una fortuna, Huguette si appartò. Malgrado avesse moltissime proprietà, passò i suoi ultimi vent’anni in un ospizio. Con l’aiuto di un suo parente, Paul Newell, Dedman rivela il talento artistico della donna, la sua ossessione per le bambole e la sua stravagante generosità verso gli amici. Dedman ammira la vita di Huguette, così poco convenzionale, ma forse i suoi soldi avrebbero potuto essere spesi in modo migliore. E anche se Dedman lo nega, il tipo di spese compiute da Huguette – come comprare dolci per le sue bambole – fa intuire qualcosa di più di una semplice “eccentricità”. Una potente illustrazione delle insidie della ricchezza. Orlando Bird, Financial Times Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 81 Cultura Libri Antoine Laurain La donna dal taccuino rosso Einaudi, 170 pagine, 17 euro ●●●●● “Dimmi cos’hai nella tua borsa e ti dirò chi sei”. A partire da questa verità, Antoine Laurain ha costruito un nuovo libro, semplice come una storia d’amore. Una notte, una donna si fa rubare la borsa. Il giorno dopo un uomo la ritrova per strada. Civile e curioso, o forse più curioso che civile, la svuota sul suo letto per cercare gli indizi che lo condurranno alla sua proprietaria. I casi della vita poi s’incaricheranno di fare il resto. In uno stile spoglio ed elementare, Laurain ci trascina in una sorta d’indagine più romantica che poliziesca. E ci fa afezionare a dei personaggi sconitti dalla vita, anche se vogliono far credere il contrario. Si gusta questa storia d’amore nascente e complicata tra due esseri che non si sono mai visti, letti né parlati. È un romanzo che si legge allo stesso modo con cui si ascolta un’amica che ci racconta il modo improbabile in cui i suoi nuovi vicini si sono incontrati. Con il sorriso e la voglia di sapere come va a inire, anche se, come in tutte le buone commedie romantiche, si intuisce già dall’inizio. Nicolas Roux, Elle Martin Suter Allmen e le dalie Sellerio, 224 pagine, 16 euro ●●●●● Nel 1946 Raymond Chandler scrisse la sceneggiatura per il leggendario noir di George Marshall, La dalia azzurra. L’anno successivo l’attrice Elizabeth Short fu uccisa a Hollywood ed entrò nella storia del cinema come la Dalia nera: Brian de Palma ha dedicato al suo omicidio (rimasto irrisolto) un ilm, tratto da un bel romanzo di James Ellroy. Visti questi precedenti, l’asticella era posta molto in alto, ma il romanzo di Martin Suter, il terzo che ha per protagonista Jo- hann Friedrich von Allmen, ci passa sotto con eleganza. Di hard-boiled nel suo libro ci sono solo le uova, mangiate a colazione da questo dandy che fa il segugio di pezzi d’arte, e dei ilm noir solo gli interni art déco dell’hotel dove risiede la vecchia e ricchissima Dalia Gutbauer. Molti anni prima uno spasimante le aveva regalato Dalie, un quadro di Henri Fantin-Latour, che le è stato rubato. Ma poiché quel corteggiatore si era procurato il quadro per vie non del tutto legali la vecchia signora bisbetica vuole che l’indagine si svolga con discrezione. Allmen è ben felice di accettare il caso, che gli consente di unire l’utile al dilettevole: si piazza in una suite dell’albergo e può risolvere il caso standosene tra il letto e il bar. Come spesso accade nei divertimenti gialli di Suter, la descrizione dell’alta società e del suo stile di vita prevale sull’aspetto criminale. Martin Halter, Berliner Zeitung Non iction Giuliano Milani PATRICk PoST (HoLLANDSE HooGTE/CoNTRASTo) Il mondo di mezzo Giampiero Calapà Maia capitale La Nuova Frontiera, 114 pagine, 10 euro Questo libro ha i pregi e i difetti di un instant book. Si basa su poche fonti (fondamentalmente gli atti giudiziari, che non brillano per eleganza di scrittura), usa qualche escamotage stilistico (in questo caso occhieggiando al ilone Romanzo criminale) per riempire una certa mancanza di approfondimento, sacriica qualche spiegazione necessaria (non sempre è chiaro chi sia l’auto- 82 re delle frasi virgolettate). D’altra parte, riesce a concentrare in un volumetto comodo le informazioni oggi disponibili (chi sono i protagonisti di questa nuova associazione a delinquere), tiene costantemente alta l’attenzione del lettore (la materia aiuta) e fa venire voglia di approfondire. Le indagini che hanno fatto emergere la rete di interessi che ruotava intorno a Massimo Carminati e a Salvatore Buzzi tendono a mettere in crisi le categorie che di solito usiamo per giudicare ciò che Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 avviene in Italia. Avvicinano ciò che di solito tendiamo a separare: destra e sinistra, immigrazione e razzismo, assistenza sociale e speculazione, criminalità e politica. Da qualche anno alcuni scrittori (Roberto Saviano con Gomorra, Walter Siti con Resistere non serve a niente) ci spiegano che queste distinzioni sono sempre meno utili. È tempo che sociologi, antropologi, storici comincino a elaborare strumenti capaci di descrivere la grande trasformazione che stiamo attraversando. u Francia Virginie Despentes Vernon Subutex, 1 Grasset Chi è Vernon Subutex? Una leggenda urbana, un angelo decaduto, il testimone di un mondo scomparso. L’ultimo romanzo di Virginie Despentes (Nancy 1969) racconta la deriva di un ex venditore di dischi che si fa ospitare dai vecchi amici punk dopo che è stato sfrattato. Tiphaine Samoyault Roland Barthes Seuil Nel 2015 ricorre il centenario della nascita di Roland Barthes e per l’occasione esce questa meticolosa e poderosa biograia del noto. Samoyault è nata nel 1968 e vive a Parigi dove insegna letterature comparate all’università Paris 3. Célia Houdart Gil P.O.L. L’estate dei suoi 18 anni Gil, un giovane pianista, scopre di avere una bella voce tenorile che gli permetterà di diventare un grande cantante. Célia Houdart è nata nel 1970 a Boulogne-Billancourt. Thomas Bronnec Les initiés Gallimard Nel mondo esclusivo del ministero dell’economia ogni colpo basso è permesso. Thriller ambientato negli anni appena successivi alla caduta di Lehman Brothers. Thomas Bronnec è un giornalista e documentarista nato a Brest. Maria Sepa usalibri.blogspot.com Ragazzi Ricevuti Signor dottore Alessandro Gilioli e Guido Scorza Meglio se taci Baldini e Castoldi, 159 pagine, 15 euro La libertà di espressione in Italia si scontra con la confusione normativa e burocratica in materia di informazione. Irène Cohen-Janca L’ultimo viaggio Orecchio Acerbo, 64 pagine, 16,90 euro Per i bambini dell’orfanotroio di Varsavia Janusz Korczak era semplicemente Pan Doktor, signor dottore. Quasi un padre, più di un padre. Grazie a lui avevano un tetto sulla testa, una speranza, degli uccellini cinguettanti con cui giocare, delle lenzuola, tanti libri, un mucchio di storie. Erano orfani certo, ma Pan Doktor aveva dato loro il calore di una casa vera. Poi arrivò il nazismo e dovettero lasciare quella casa. Ma “Pan Doktor ha voluto che la nostra partenza assomigliasse al viaggio di una grande compagnia di teatro, e non a un misero trasloco”. Si andava dall’altra parte, verso il ghetto dove un potere sadico aveva stipato tutti gli ebrei della città. Dall’altra parte… e poi dall’altra parte… e poi di nuovo dall’altra parte, ino al campo di sterminio di Treblinka. Pan Doktor poteva salvarsi, dicono le cronache, ma non volle lasciare soli i suoi bambini. La storia di una delle personalità più importanti del novecento, che ha ispirato la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, è raccontata da Irène Cohen-Janca con delicatezza e un tocco di commozione. Le illustrazioni di Maurizio Quarello fanno il resto, dando alla storia una porosità visiva che ci permette di immedesimarci nel dolore di una Varsavia lasciata troppo sola dall’Europa. Igiaba Scego Anna Bikont e Joanna Szczęsna Cianfrusaglie dal passato Adelphi, 453 pagine, 28 euro Attingendo a conversazioni private, testimonianze di amici, aneddoti e documenti, due delle migliori irme del giornalismo polacco raccontano la vita di Wisława Szymborska. Fumetti Ade postmoderno Andrea Bruno Cinema Zenit. Vol. 1 Canicola, 32 pagine, 14 euro Il terrorismo mediorientale. La guerra e la guerriglia in Ucraina. Il frazionamento sociale neomedievale. Il sentimento crescente d’impotenza politica di fronte a istituzioni tecnocratiche internazionali come la Bce e l’Fmi – dai modi e dalle azioni dal crescente sapore golpista poiché pur essendo pagate dai contribuenti dei paesi ricchi non rispondono a loro (anzi) – a rischio di sfociare se non in un neonazismo europeo in qualcosa di simile se anche le politiche di partiti come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna dovessero fallire. Tutto questo è perfettamente metaforizzato dall’opera allegorica di Bruno, anche al di là delle intenzioni stesse del disegnatore. Ultimo esploratore (Caronte buono?) delle vestigia di un mondo arcaico o postmoderno – non si può stabilire – il suo nuovo albo in formato gigante si riallaccia in maniera diretta a Brodo di niente (2007), il libro che lo rivelò deinitivamente. Da allora, nulla pare cambiato e tutto è peggio. Bruno sintetizza e densiica tutto questo con tale sensibilità da illuminarci, anche se ci avvolge in un’atmosfera onirica di grande poesia dove il notturno e il diurno, ancora una volta, non si distinguono. Volti e occhi senza orbite che paiono maschere dell’antica Grecia (così importante nella Sicilia dove l’autore è nato), feste paesane suicidarie che paiono uscite da un incubo allucinato, frazionamento caotico del mondo antico, Leonida come simulacro postmoderno, spartani che non sono i 300 che furono fedeli a Leonida, ma piuttosto quelli vicini al persiano Serse, cosacchi a cavallo, mondo securitario (o da Securitate) da stato (o pseudo-stato) di clandestinità permanente. Questi frammenti di terra esplosa sono l’incubo (o Ade) odierno. Francesco Boille Primo Levi Così fu Auschwitz Einaudi, 245 pagine, 13 euro Trenta testi di indagine e di approfondimento, per la maggior parte inediti, che riportano le verità più precise sulla macchina dello sterminio nazista. Claudio Marinaccio Scomparire Cicorivolta, 94 pagine, 12 euro Opera narrativa corale i cui personaggi, legati casualmente al protagonista principale, l’obeso, raccontano le proprie vicende alternando manifestazioni nichiliste e rilessioni ilosoiche. Suzanne Johnson ed Elizabeth O’ Connor Famiglie arcobaleno Terra Nuova edizioni, 281 pagine, 14 euro I consigli e le testimonianze di mamme lesbiche e single sullo sviluppo dei bambini, sul rapporto con gli insegnanti e con gli altri genitori e sulla sessualità. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 83 Cultura Musica Dagli Stati Uniti Architects Roncade (Tv), 21 febbraio, newageclub.it; Segrate (Mi), 22 febbraio, circolomagnolia.it Una sorpresa e un debutto ai Grammy Kodaline Milano, 25 febbraio, magazzinigenerali.it Ex Hex Milano, 26 febbraio, lo-i.milano.it; Roma, 27 febbraio, traiclive.org; Bologna, 28 febbraio, covoclub.it The Kooks Milano, 22 febbraio, fabriquemilano.it Mike Joyce Bologna, 21 febbraio, estragon.it Ulterior Motive Segrate (Mi), 20 febbraio, circolomagnolia.it Billy Cobham Milano, 19-21 febbraio, bluenotemilano.com Fatso Jackson +Yawning Man, Ravenna, 24 febbraio, bronsonproduzioni.com Los Straitjackets feat. Deke Dickerson Roma, 19 febbraio, killjoy.it; Bologna, 20 febbraio, locomotivclub.it; Livorno, 21 febbraio, surferjoe.it; Alessandria, 22 febbraio, 0131 585001 Ex Hex 84 Il disco dell’anno è di Beck, la canzone è di Sam Smith Vista la popolarità dei candidati, i due premi principali dei Grammy awards del 2015 hanno colto molti di sorpresa. L’album dell’anno è Morning phase di Beck, un disco che non aveva avuto risultati commerciali particolarmente brillanti e che, anche se era stato molto apprezzato dalla critica, si segnalava per essere uno dei più tranquilli e malinconici nella carriera del cantautore di Los Angeles. “Chitarra acustica, pianoforte, contrabbasso, batteria e archi sono elementi fondamentali della musica”, John ShEARER (AP/AnSA) Dal vivo Beck, 8 febbraio 2015 aveva detto Beck a chi si stupiva per il sound morbido di Morning phase, che vince anche come miglior album rock, battendo U2, Ryan Adams, Tom Petty e The Black Keys. La canzone dell’anno è Stay with me di Sam Smith, giovane cantante britannico che ha anche portato a casa i premi dell’album pop e del miglior nuovo artista. Syro di Aphex Twin vince tra gli album dance/elettronica, il disco omonimo di St. Vincent è il migliore nella categoria alternative, mentre l’album rnb è Love, marriage & divorce di due veterani, Toni Braxton e Babyface. Un altro habitué del premio è il tastierista jazz Chick Corea, che quest’anno vince per il miglior assolo, Fingerprints, e il miglior album, Trilogy. Con questi il pianista del Massachusetts ha vinto 22 Grammy, raggiungendo in classiica Stevie Wonder e gli U2. Ben Sisario, The New York Times Playlist Pier Andrea Canei Sicilia, favole e sangue Carmen Consoli San Valentino La primavera è impaziente, la follia ordinaria, le melodie cosmiche e le albe suadenti; e caotica, la bellezza; ridente, la trasparenza del mare; e noi le vogliamo bene uguale, e rieccola stavolta con modalità materne, narrazioni scorrevoli, una studiata naturalezza per sidare “la furia mediatica”. Con questa “tossicodipendenza da aggettivi” (diagnosi di Paolo Madeddu) si può giocare in salotto, e forse il valore aggiunto del nuovo album, L’abitudine del ritorno: la si accoglie come una di famiglia, e una volta ascoltati i suoi racconti, ci si può pure scherzare. 1 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Salvo Ruolo Malutempu “Ma sa missa fu’ cantata / e a favula cuntata / e facistu puru tri jonna di istinu / bi dicu ca u malutempu / ’n dura tuttu un tempu”. Come antica profezia sicula, e meteo misto metafora, il canto dei briganti dei partigiani e degli anarchici in un arduo ottocentesco dialetto siculo e antisavoiardo assai, nell’album Canciari patruni ’un è l’bittà, si lascia decifrare non senza qualche fatica, ma il cantante indio di Barcellona Pozzo di Gotto ne cava racconti incalzanti, e un gran bel lavoro di folk ilologico e vitale da sanguigno western sudista. 2 Cesare Basile Tu prenditi l’amore che vuoi “I cecchini sul giornale / quando scostano le tende / ci rivelano feroci / che il maioso è il sottostante”. Eccolo, il siculo dalla vena cupa, con un precursore in modalità Domenica delle salme dell’album, in uscita a marzo. Un cantautore che ribolle sotto l’Etna e forgia musiche e pensieri ponderosi, con strali di suggestiva minaccia che forse non illuminano il loro arteice con la debita chiarezza. È una cartolina molto sicula, un panorama di ombre in cui s’intuiscono le scie di un magma che crea distruggendo. 3 Classica Scelti da Alberto Notarbartolo Svjatoslav Richter The complete album collection, Rca e Columbia (Sony Classical) Alfredo Bernardini e Zeiro Concerti veneziani per oboe (Arcana) stema. Stewart canta parole tormentate in Neon gods e Savage messiahs. Il basso produce parabole nervose. La chitarra sembra simulare attacchi ae rei. Alcuni efetti sonori ripor tano all’epoca in cui i Pop Group sono riusciti a fondere free jazz, funk, punk, disco e dub. Come sempre, l’ascolto è un’esperienza mozzaiato. Che ancora oggi ci sia in giro musi ca così radicale è una buona notizia. Christian Schachinger, Der Standard Napalm Death Apex predator – easy meat (Century) ●●●●● Con sedici album all’attivo, sembra impossibile che questi teppisti abbiano ancora qual cosa da ofrire. Ma il loro slan cio ha tenuto. Emersi dal Father John Misty chiasso metalhardcoreindu strial di Birmingham, i Napalm Death sono rimasti in quel vor tice, trattando con sempre più padronanza i generi più estre mi senza mai adagiarvisi. Il lo ro suono si è ainato, così co me la capacità di imbrigliare il trambusto che risuona nelle loro teste, anche se c’è voluto un quarto di secolo. In un certo senso ricordano i Fall: hanno avuto bisogno di un periodo di incubazione prima che gli sguardi torvi fossero sostituiti dalla verve. E, considerando le loro spaventose immense di scograie, il suggerimento per chi è alle prime armi sembra andare controcorrente: partite dall’ultimo disco. Ben Donnelly, Dusted The Pop Group Citizen zombie (Freaks R Us) ●●●●● Nel 1980 la band post punk britannica Pop Group pubblicò We are time, un disco dai forti contenuti antagonisti. In un singolo uscito l’anno prima, We are all prostitutes (con Marga ret Thatcher in copertina), il leader Mark Stewart cantava: “Il capitalismo è la più barbara di tutte le religioni. I nostri igli si ribelleranno a noi, perché la colpa è solo nostra”. Ora, dopo 35 anni in cui queste previsioni non si sono proprio avverate, la band torna con Citizen zombie, in cui dimostrano di non aver perso la loro rabbia contro il si H Hawkline In the pink of condition (Heavenly) ●●●●● Il musicista gallese Huw Evans, alias H Hawkline, di spone di un’innata mutabilità che rende la sua musica senza tempo. Prodotto da Cate Le Bon, In the pink of condition è una giostra di pop bizzarro che ricorda un po’ Ram di Paul McCartney. L’album è caldo e accogliente come le strade ba ciate dal sole di Los Angeles in cui è stato concepito. Pervaso da un’atmosfera gofa e strava gante che fa venire in mente Kinks, Xtc, Ariel Pink e Belle and Sebastian, contiene pezzi eccentrici ma notevoli come Everybody’s on the line e Moons in my mirror. L’album non è perfetto – soprattutto nella parte centrale c’è del materia le inutile che non sarebbe sta Dr Father John Misty I love you, honeybear (Bella Union) ●●●●● In un’epoca in cui mucchi di artisti si aidano a produzioni vistose e a Twitter, ogni tanto viene fuori qualcuno di vera mente genuino. Father John Misty, alter ego di Joshua Till man, batterista dei Fleet Foxes, è senza dubbio un gran de artista che abbraccia e coin volge il pubblico non grazie a melodie accattivanti e parole afabili, ma con la forza della sua personalità e una narrazio ne tradizionale che non invec chia mai. I love you, honeybear dipinge un ritratto intenso dell’amore, del sesso e della scoperta nell’America contem poranea, tenendo conto delle cruciali contraddizioni che portano con sé questi temi. L’album è costruito e arrangia to splendidamente, ma sono i testi il vero punto di forza. In un periodo personale di stabi lità, Tillman rilette come un ilosofo e si confronta con le questioni fondamentali che ci rendono umani. Le allusioni nel brano conclusivo I went to the store one day indicano l’at tesa trasformazione di Father John Misty da alieno, edonista e scettico a uomo umile, appa gato e curioso di vedere cosa gli riserva il prossimo capitolo. Uno sguardo profondo e uma no che si traduce nell’opera di un artista autentico. James Glynn, State MAXIMILLA LUKACS Album H Hawkline Grigorij Sokolov The Salzburg recital (Dg) to male tagliare – ma i difetti sono eclissati dal fascino irre golare della musica di Evans. Harriet Gibsone, The Guardian Bobby Lance First peace/Rollin’ man (Real Gone) ●●●●● Bobby Lance, soulman bianco dalla voce ruvida e autore, tra le altre canzoni, della hit di Aretha Franklin The house that Jack built, nel 1968 irmò per l’etichetta Cotillon, sussidiaria della Atlantic. First peace, il suo primo album, a lungo dimenti cato e ristampato oggi per la prima volta, è un disco di clas se e qualità notevoli: registrato agli studi Muscle Shoals, è ar ricchito dalla presenza di King Curtis al sax e dai cori delle Sweet Inspirations. La leggen da vuole anche che alla chitar ra ci sia Duane Allman, assen te però dai credit dell’album. Nonostante l’indubbia ed emozionante qualità dei suoi brani più groovy e di quelli d’atmosfera, l’album fu un iasco, come del resto il suc cessivo e ultimo lavoro solista di Lance. Rollin’ man rimane tuttavia una bel disco di rock e soul, e completa degnamente la raccolta. Charles Waring, Mojo Valentina Lisitsa Chopin, Schumann: studi Valentina Lisitsa, piano (Decca) ●●●●● Lisitsa ha una bella tecnica e valanghe di “mi piace” su Facebook, ma non basta per deinirla una grande artista. A questo album io metto un “non mi piace”: suono poten tissimo ma impersonale, la mano sinistra che camufa le imprecisioni con il pedale, un’interpretazione piena di tic, e molte brutalità inutili. Luc Nevers, Classica Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 85 Cultura Video In rete Money in minutes The director Sabato 14 febbraio, ore 9.30 Sky Arte Attraverso la igura di Frida Giannini, direttore creativo di Gucci prossima a lasciare la casa di moda, il documentario prodotto da James Franco ripercorre la storia del marchio iorentino. Muscle shoals Sabato 14 febbraio, ore 15.50 Sky Arte Mick Jagger, Aretha Franklin, Bono, Steve Winwood accompagnano il regista Gregg Camalier alla ricerca del segreto del cosiddetto Muscle shoals sound, impronta “sudista” che ha caratterizzato album decisivi per la storia dell’rnb. Messner Sabato 14 febbraio, ore 18.20 Rai 5 Dai primi exploit alpinistici alle scalate dell’Himalaya, agli insuccessi e alle tragedie, ino al nuovo ruolo di igura pubblica e promotore della cultura della montagna: il celebre alpinista altoatesino si racconta ad Andreas Nickel. Prog revolution Mercoledì 18 febbraio, ore 21.10 Sky Arte Milano alla vigilia degli anni settanta si trasforma nel teatro della sperimentazione artistica, sociale e politica del paese. Musicisti, artisti, fotograi e discograici rievocano l’epoca d’oro di una città in cui tutto sembrava possibile. Cesare deve morire Venerdì 20 febbraio, ore 21.15 Rai 5 Tra documentario e messa in scena, i fratelli Taviani seguono il progetto teatrale dei detenuti del carcere romano di Rebibbia sul Giulio Cesare di Shakespeare. Orso d’oro nel 2o12. 86 Dvd Sogni e follie I ilm d’animazione dello Studio Ghibli hanno la rara capacità di conquistare spettatori molto diversi: dai bambini ai critici più esigenti. Per The kingdom of dreams and madness Mami Sunada ha avuto accesso al sancta sanctorum della leggendaria casa di produzione giapponese fondata nel 1985. Ha potuto seguire la lavorazio- ne degli ultimi due capolavori, Si alza il vento e La storia della principessa splendente, e ha documentato il lavoro quotidiano delle tre anime dello studio: il produttore Toshio Suzuki e i due registi Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Il dvd è uscito, per ora, sul mercato statunitense e giapponese. gkidsilms.com/kingdom aljazeera.com Le agenzie di trasferimento di contanti, come Western Union e MoneyGram, sono diventate familiari anche a chi non usa i loro servizi inanziari, che hanno conosciuto un boom parallelo a quello delle migrazioni di milioni di lavoratori con familiari o debiti da ripagare nei loro paesi di origine. Quello delle rimesse economiche è diventato rapidamente un business che muove circa 500 miliardi di dollari all’anno, ma quanto è equo e trasparente? E come è diventato un nuovo canale per il riciclaggio di denaro sporco e oscure operazioni inanziarie? Questo fenomeno ancora poco esplorato è l’oggetto dell’inchiesta di Monika Hielscher e Matthias Heeder. Presentata in diversi festival di documentari e in una versione ridotta dal programma Witness di Al Jazeera. Fotograia Christian Caujolle Segni di modernizzazione In Cambogia, più precisamente a Phnom Penh, la febbre della modernizzazione è sempre più percepibile. Corrisponde ovviamente alla nascita di una classe media. Ma anche alle speculazioni senza limiti di una classe dirigente corrotta, alla riproduzione di un modello che si ispira a Hong Kong, Singapore e Bangkok e inine alle strategie commerciali delle grandi multinazionali, che nella Cambogia vedono un potenziale mercato Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 da conquistare. E così sono comparse anche le prime pubblicità. Le più difuse sono quelle poste sul retro dei tuktuk, i tipici mezzi pubblici di trasporto cambogiani: reclamizzano saloni per massaggi, eventi culturali e locali notturni. Poi ci sono i grandi cartelloni che invitano a comprare bevande alcoliche, considerate un bene di lusso. Queste pubblicità suonano un po’ strane accanto a quelle delle bibite gassate o della birra. Ma la cosa che colpisce di più, un po’ come la crescita smisurata di grattacieli che spuntano dappertutto, sono gli enormi schermi a led, spettacolari, su cui scorrono immagini di smartphone, automobili costose e altri lussi ancora inarrivabili per la maggioranza dei cambogiani. Però non esistono i classici manifesti incollati ai muri, se non di dimensioni minuscole. Niente carta e colla negli spazi pubblici cambogiani. u Cultura Arte Barbara Hepworth Tate Britain, Londra dal 24 giugno 2015 La Tate ha difuso alcuni dettagli della mostra che dedicherà a Barbara Hepworth, una protagonista della scultura britannica del novecento. Settanta sculture astratte, bronzi e fotograie provenienti dall’archivio dell’artista. Ci sarà anche un autoritratto ottenuto mettendo la testa sulla carta fotograica e lasciandola impressionare dalla luce. Un inedito che rivela l’importanza di foto e collage nella sua ricerca. Dopo Londra la mostra si sposterà nei Paesi Bassi e in Germania. The Guardian Julio Le Parc, Frappez les gradés READS 2014 (COURTESy OF THE ARTIST) Gesti da museo Vincitore del premio Duchamp nel 2014, Julien Prévieux da più di otto anni lavora al suo “archivio di gesti per il futuro”. Una raccolta di gesti quotidiani legati alle nuove tecnologie, come lo scorri per sbloccare che ogni utente di smartphone compie più volte al giorno. O l’operazione brevettata dalla Apple, il movimento sincronizzato di due dita per ingrandire un’immagine, che ha dato il via a un processo contro Samsung. La prima tappa del progetto è un ilm d’animazione che raccoglie questi gesti, ospitato sul sito dell’uicio statunitense dei brevetti. Alcuni li compiamo già, ma la maggior parte è stata depositata anche se non assolve ancora a una funzione reale. Si tratta di gesti orfani, in attesa di un corpo, o progettati per macchine che ancora devono essere inventate. La seconda tappa del progetto è stata presentata alla iera internazionale di arte contemporanea di Parigi: cinque danzatori professionisti trasformano gesti quotidiani in una coreograia. Les Inrockuptibles Londra L’umorismo al potere Julio Le Parc Serpentine gallery, Londra, ino al 15 febbraio Op art, pop art, arte concreta, arte cinetica, arte spaziale, arte gestuale. Julio Le Parc è passato in mezzo a tutte queste correnti. I temi dell’artista argentino vanno dall’esplosione dell’arte postbellica in America Latina al sessantotto parigino ino alla discussione sul ruolo degli artisti e delle gallerie. Anche se tutto questo suona un po’ serioso, la mostra alla Serpentine dimostra che l’arte può essere divertente anche senza ricorrere all’ironia e agli sberlei. Non c’è nessuna ricercatezza da galleria qui. Si può colpire un punchball arancione, far vibrare delle palline da ping pong, rimbalzare su delle molle e pizzicare delle corde tese da pesi. Ci sono dei bersagli con le caricature di archetipi, che si possono colpire con una palla: il capitalista, l’imperialista, il burocrate, il poliziotto e così via. Qui emerge la vena provocatoria contro il sistema che in parte causò il breve esilio dell’artista dalla Francia dopo i disordini del sessantotto. A 86 anni Le Parc concepisce l’arte come un gio- co. L’umorismo è uno degli ingredienti e, se ben dosato, è capace di incrinare l’autorità. Impossibile non vedere in questo un barlume delle ambizioni del sessantotto. Ma c’è anche la reazione alla distanza tra opera e spettatore, che risale agli anni precedenti, quando si pensava che lo spettatore sapesse troppo. L’interazione e la sensorialità contraddicono ogni retaggio concettuale, in una gioiosa dimensione ludica op pop. Bisogna entrare e gioire. Possibilmente portandosi dietro i igli. Financial Times Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 87 Pop Il mio buio oltre la siepe Chimamanda Ngozi Adichie olti anni dopo sarei riuscita a ca- Oggi molte opere letterarie sul razzismo sono ammanpire perché Il buio oltre la siepe è tate di ironia o di tanto lirismo da diventare rarefatte. considerato “un romanzo impor- Lee riiuta di nascondersi dietro l’estetica. La sua scrittante”, ma quando lo lessi per la tura è così bella, così ferma e piana e limpida, che le prima volta, a undici anni, ero avrebbe permesso di non afrontare questi tribalismi di semplicemente rapita da come petto. Invece lei lo fa. evocava i misteri dell’infanzia, i tesori scoperti negli Come evita di santiicare certi personaggi, anche se alberi e i giochi insieme a un esotico amico estivo. Mi Atticus Finch ci arriva vicino. Li complica tutti: se Scout piaceva tantissimo che il narratore fosse una ragazzina è l’adorabile narratrice con una famiglia che deplora il dal nome stupendamente non femminile, Scout. Ado- razzismo, non ci viene permesso di dimenticare che lei ravo il suo carattere privo di sentimentae la sua famiglia godono del privilegio di lismi, la sua lingua tagliente, la sua volu- Ero incantata essere bianchi. Quando il loro amico da quanto il bilità e il suo senso dell’umorismo. estivo, Dill, è turbato dalla disumanità Mi ricordava la versione immagina- romanzo, con il con cui il nero viene interrogato in triburia di me stessa che mi piaceva di più. Il suo tono nale, Scout dice: “È solo un negro”, con suo saggio fratello maggiore Jem somi- impassibile, fosse la sicurezza che deriva dall’essere comgliava molto a mio fratello Okey, di cui straordinariamente plice, solo in virtù della nascita, di un siero l’ombra felice, e la sua cittadina nel divertente, stema di diseguaglianza istituzionalizsud degli Stati Uniti, Maycomb, era simizata. A Scout non capita mai di mettere con scene che le alla mia città, Nsukka, nella Nigeria questo sistema in discussione, così come facevano ridere ad orientale. Era un posto di porte aperte, di non le capita mai di mettere in discussioun’unica famiglia strana di cui tutti spet- alta voce ne l’idea che quattro adulti neri si alzino tegolavano, di meschine gerarchie e lealin piedi in un’aula di tribunale per cedere tà; un posto allo stesso tempo sicuro e compiaciuto di i loro posti a dei ragazzini bianchi. Le parole più comsé. Ma Maycomb era anche molto meno soisticata del- moventi, per me, sono pronunciate dall’imputato nero la mia città, e lo era in modo afascinante, con ragazzini Tom che, quando gli chiedono perché aveva paura anche non si facevano il bagno per settimane e patti sug- che se era innocente, risponde: “Se eri un negro come gellati da uno sputo sul palmo della mano. me, anche tu avevi paura”. Questa semplice afermaEro incantata da quanto il romanzo, con il suo tono zione dice tutto quello che il lettore deve sapere sul siimpassibile, fosse straordinariamente divertente, stema che Lee mette in discussione, in cui essere nero con scene che facevano ridere ad alta voce, come quan- era sinonimo di colpa. do la maestra di Scout a scuola inorridisce scoprendo L’altro grande cronista degli Stati Uniti del sud, che la sua alunna sa leggere e scrivere. A undici anni William Faulkner, scrive del razzismo come se fosse lessi il romanzo con grande piacere. O piuttosto lessi la un fatto ineluttabile, fondamenta gettate dal cielo e prima parte con grande piacere e per lo più saltai la se- semplicemente descritte ed esplorate nella narrativa, conda. Forse perché non ero in grado di capirne le sfu- mentre Lee scrive con un inchiostro ardentemente mature sociali e politiche, o perché ero impreparata progressista: nel razzismo non c’è niente di ineluttabialla sua perdita collettiva d’innocenza, quando Scout e le e le sue stesse fondamenta vanno messe in discusil fratello osservano il padre che difende un nero accu- sione. E lei lo fa con una sicurezza e un’abilità che trasato di aver stuprato una donna bianca. Il razzismo a scinano il lettore. I personaggi dei bambini possono cui si allude nella prima parte esplode in tutta la sua essere politicamente furbi, ma rimangono comunque barbarie e la città – che sembrava colpevole solo di una bambini, non adulti in piccoli corpi. La rabbia di Lee è perdonabile grettezza – diventa un pozzo nero. tangibile, il suo senso del ridicolo acuto, ma i problemi Rileggendo il romanzo da adulta, l’ho ammirato per sono sempre delineati con meravigliosa umanità. Il la lucida descrizione del tribalismo americano nelle razzismo è forse il più grave peccato americano – e sisue tre manifestazioni principali: razza, classe e locali- curamente è così che lo rappresenta il romanzo – ma la smo. Ben pochi romanzi contemporanei statunitensi discriminazione di classe lo segue da vicino al secondo hanno la stessa portata, e ancora meno hanno la forza posto. A Maycomb non sembra che ci siano neri della di afrontare i problemi sociali come fa Harper Lee. classe media – se ci sono, Scout non li incontra – ma le M CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE è una scrittrice nigeriana. Il suo ultimo libro è Americanah (Einaudi 2014). Questo articolo è uscito sul Guardian con il titolo Rereading. To kill a mockingbird by Harper Lee. 88 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 gabrIella gIandellI diferenze di classe nel suo mondo sono eclatanti. gli ewell sono spregevoli perché sono razzisti, ma quasi altrettanto perché sono spazzatura. Incassano i buoni del governo, non si fanno mai il bagno e in qualche modo sono una forma di divertimento autocompiaciuto per i bianchi che vivono in condizioni migliori. la donna bianca che accusa un nero di averla violentata è così disabituata a sentirsi rivolgere la parola con cortesia che crede di essere presa in giro. I bambini delle classi inferiori sono chiaramente marchiati, e gli altri bambini li conoscono. le persone che appartengono alle classi superiori sono trattate con indulgenza: dolphus raymond è un bianco ricco di “buona e antica famiglia” che preferisce la compagnia dei neri. Ma non viene ostracizzato come lo sarebbe un bianco delle classi inferiori, perché è protetto dalla sua ricchezza e dal retaggio culturale. Forse non viene ricordato molto spesso, ma il nord è ben presente nell’immaginario dei sudisti di lee, come un posto di gente spocchiosa che crede di saperla più lunga degli altri, un posto dove un uomo bianco manda a vivere i igli di razza mista perché lì potrebbero essere trattati meglio, e un posto verso cui si nutre generalmente e genericamente rancore perché ha vinto la guerra civile. a volte i romanzi sono considerati “importanti” allo stesso modo delle medicine: hanno un sapore terribile e sono diicili da mandare giù, però ti fanno bene. I romanzi migliori sono quelli che riescono a essere importanti senza essere come le medicine: hanno qualcosa da dire, sono ampi e intelligenti ma non dimenticano mai di essere divertenti e di avere al centro personaggi ed emozioni. Il trionfo di Harper lee è uno di questi. u gc Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 89 Pop NABEELAH JAFFER è una giornalista britannica. Questo articolo è uscito su Aeon con il titolo Is nothing sacred? Identità all’ultima moda Nabeelah Jafer o commesso il mio primo atto di appropriazione culturale quando avevo tre anni. Mi avevano regalato una keiyah, la sciarpa a scacchi simbolo del nazionalismo palestinese. Mia nonna aveva cose più importanti di cui occuparsi della politica mediorientale e quelle sciarpe si trovavano facilmente in tutti i mercati di Dubai, dove viveva. Diventò la mia coperta di Linus, soprattutto quando io e mia madre andammo a stare un po’ da lei. La portai con me quando tornammo a casa nostra, nella periferia di Londra, e me la trascinai dietro per qualche anno. A volte la usai per mascherarmi da pastore alle recite natalizie organizzate dalla scuola. Nel 2004, verso la ine della seconda intifada, una cugina venne a stare da noi e la vide in fondo al mio armadio. Voleva assolutamente che gliela prestassi perché a scuola, diceva, “le sciarpe dei terroristi” erano “la moda del momento”. A quel punto la keiyah era entrata da tempo nella moda occidentale come simbolo del fascino del terzo mondo. L’aveva indossata per un po’ anche Madonna e nel 1988 la rivista Time aveva rassicurato i suoi preoccupati lettori dicendo che era “semplicemente un accessorio. Il look etnico è all’ultima moda”. La richiesta di mia cugina mi sembrò innocua. Non mi era mai venuto in mente di chiedermi se era possibile prendere in prestito qualcosa da un’altra cultura e attribuirgli un signiicato diverso senza ofendere la cultura d’origine: assumere l’identità di qualcun altro e trasformarla in look è molto facile. Ma i simboli della nostra cultura, religione o etnia risvegliano in noi il senso d’identità se qualcuno li tocca e tendiamo a difenderli, anche se, viste dall’esterno, le dispute che ne nascono possono sembrare incomprensibili o insigniicanti. Qualche anno dopo, il capitano della squadra di rugby della mia università difese la decisione della sua squadra di indossare il perizoma e di annerirsi la pelle per una festa dedicata al safari sostenendo che “erano semplicemente in tema”, e che nessuno si era lamentato o sentito ofeso. L’università punì la squadra costringendola a seguire un seminario sulla diversità culturale, come se il loro fosse stato un gioco innocente, lo scherzo inopportuno di un bambino. Per la loro bufonata, i giocatori di rugby si erano ispirati alla tradizione comica razzista dei minstrel show. Anche se quella forma di spettacolo aveva come protagonisti attori e cantanti bianchi, nell’ottocento e nel novecento anche alcuni afroamericani avevano fatto carriera tingendosi la faccia di nero. Sui cartelloni dei loro spettacoli, George Walker e il suo compagno di palcoscenico Bert Williams rivendicavano il fatto di essere “due veri negri”, e Walker giustiicava la scelta H Storie vere In Germania è sempre più acceso il dibattito sulla posizione che devono assumere i maschi quando urinano. A Düsseldorf un padrone di casa ha fatto causa al suo inquilino chiedendogli 1.900 euro di danni, perché facendo la pipì in piedi anziché seduto avrebbe danneggiato il pavimento di marmo del bagno. Sono sempre di più i locali tedeschi in cui è obbligatorio sedersi sul water, ma il tribunale di Düsseldorf ha concluso che “urinare in piedi è ancora una pratica comune”, quindi “fa parte delle norme culturali condivise”. Gli uomini che fanno pipì senza sedersi “devono aspettarsi di avere dei contrasti con le persone che usano lo stesso bagno, soprattutto con le donne”, dice la sentenza. “Ma non possono essere giudicati colpevoli degli eventuali danni dovuti alla loro abitudine”. 90 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 di mettere in scena certi stereotipi per far ridere la gente ricordando quante famiglie beneiciavano di quella “istituzione razzista”. In seguito, il tentativo di introdurre nelle loro scenette dei personaggi più complessi e delle storie d’amore fu condannata dal critico del Chicago Tribune, che si lamentò perché “i negri dei loro spettacoli non facevano più ridere”. È già abbastanza irritante sentire un estraneo deinire la nostra religione o la nostra cultura, iguriamoci quando ci dice che ci stiamo allontanando troppo dai suoi stereotipi. Di qualsiasi tipo siano, i simboli sono solo un mezzo, servono a evocare ricordi che suscitano emozioni. La croce evoca il cristianesimo e la passione, il nome McDonald ci fa pensare a un panino con l’hamburger. Usare un simbolo per uno scopo diverso ne altera in modo irrevocabile il signiicato. Per gli induisti e i giainisti la svastica è stata per secoli un simbolo di forza e fortuna, ino a quando per buona parte del mondo si è legata inestricabilmente al nazismo. Oggi ci appropriamo dei simboli di altre culture per indicare esotismo, sensualità o anticonformismo, ma neanche le migliori intenzioni possono giustificare un commercio di stereotipi che fanno sofrire gli altri. Supponiamo di non commettere più appropriazioni culturali a partire da domani. Nessun copricapo di piume apparirà mai più sulle passerelle di moda. Le facce annerite apparterranno al passato. Solo chi vuole far vedere che s’identiica con la lotta dei palestinesi porterà la keiyah. Ma c’è ancora un problema: visto che un tempo quella sciarpa era solo il simbolo della virilità araba, dovrebbero portarla solo gli uomini? Dato che quasi ogni forma culturale è stata presa in prestito da qualcun altro, diventa diicile dire cosa appartiene a chi, e distinguere gli idioti che la usano in modo ofensivo da quelli che vogliono rispettosamente introdurre un’innovazione culturale. La linea di separazione può essere sorprendentemente confusa. Io sono un buon esempio di questo. Dal punto di vista etnico sono indiana, ma i miei legami con l’India sono piuttosto remoti, i miei antenati la lasciarono più di un secolo fa per trasferirsi in Africa orientale. A parte l’inglese, l’unica lingua che i miei genitori hanno in comune è lo swahili ma, grazie alla convinzione piuttosto difusa in passato che se si insegnava ai bambini più di una lingua non ne avrebbero parlata bene nessuna, io ne conosco solo poche parole. La mia mamma poliglotta mi paragona scherzosamente a una noce di cocco: scura fuori e bianca dentro. Questo, ovviamente, è molto comune tra gli immigrati di seconda generazione. Eppure ho ancora la sensazione che la vera iglia dei miei genitori, quella che non ha tradito la loro cultura, sia ancora da qualche parte dentro di me, come una gemella perduta. In realtà, non sono erede di nessuna cultura. Mi rendo conto che questo è dovuto almeno in parte alla mia pigrizia. Mi piace l’idea di imparare a parlare swahili o a indossare il sari, ma poi non ho la costanza per farlo. Da adulta, ho preso qualcosa dalla cultura dei miei genitori e qualcosa da altre, scegliendo quello che mi piaceva e scartando il resto. Non sono l’unica: probabilmente anche voi fate parte della sempre più numerosa e con- ALE&ALE fusa schiera dei cosmopoliti, per i quali le culture sono come cappotti usati, che portano l’impronta delle spalle e dei gomiti dei morti. Come Williams e Walker, mi chiedo da che parte dello spartiacque siamo. Torniamo all’appropriazione: e se il territorio culturale che calpestiamo fosse terreno sacro? Mi è venuto il mente la scorsa estate, quando ho scoperto che nella zona ovest di Londra c’era un gruppo di dervisci rotanti collegato a un’organizzazione chiamata Study society. L’unico punto fermo della mia identità è l’islam, che è a dir poco un punto delicato. Il suismo è spesso deinito come misticismo islamico, e quasi tutti gli ordini chiedono ai loro nuovi ailiati di giurare che credono in un unico dio e nel profeta, anche se questo può essere soggetto a interpretazioni diverse. Io non sono sui, ma sono rimasta afascinata quando un’amica mi ha detto che il suismo era la sua via di fuga dalle formalità della moschea della nostra infanzia, che aveva solo trapiantato dall’Africa orientale a Londra i suoi rituali. Sono rimasta sorpresa quando ho scoperto che nessuno dei dervisci della Study society è particolarmente religioso, ma molti di loro si presentano diligentemente una o due volte al mese per partecipare alla cerimonia tradizionale dell’ordine dei mevlevi, in cui la “rotazione” è inframmezzata da lunghe letture del Corano. Da musulmana, non capivo come un non credente potesse fare regolarmente una cosa del genere. Dopo ogni cerimonia c’era una riunione informale, in cui l’atmosfera oscillava tra l’entusiasmo contagioso e l’infantilismo. Durante la mia seconda visita, alcuni dervisci hanno improvvisato un motivo sui tamburi daf e un giovane del gruppo si è messo a ballare. Erano allegri, giocosi e totalmente ignari del mio crescente disagio davanti a quella svolta new age. Quella sera, ho chiesto a una ragazza sui vent’anni, che avevo visto ruotare con gli occhi chiusi e un sorriso estatico, cosa provava. “Quando ruoto è come se fossi innamorata”, mi ha spiegato. “È come se mi stessi par- torendo di nuovo”. Mi sono chiesta come si era sentita quando si era partorita la prima volta. L’ordine dei sui mevlevi, al quale appartengono i dervisci rotanti, fu fondato dai discepoli di Rumi nel dodicesimo secolo. Ma nessun derviscio tradizionale accetterebbe quello che fa la Study society a Londra. In Turchia, la tradizione dei mevlevi è andata praticamente scomparendo a partire dal 1925, quando il regime laico di Kemal Atatürk chiuse le logge dei dervisci e ne dichiarò fuori legge l’ordine. Istituita in Inghilterra nel 1951 con il nome di Society for the study of normal psychology, la Study society si ispirava a P.D. Uspenskij, un esoterista russo che aveva concepito un approccio all’autorealizzazione rivolto agli occidentali che combinava diverse tradizioni orientali. Per imparare la cerimonia invitarono uno degli ultimi sceicchi mevlevi, che fu contentissimo di trovare un pubblico così entusiasta e gli fece promettere di mantenere in vita quel rituale. In efetti lo hanno mantenuto in vita, ma svuotandolo del suo signiicato originario. L’attuale “sceicco” della società è un afabile signore di nome Philip. Mi ha spiegato che negli anni settanta la società era stata la sua via di fuga da un rigido collegio del Berkshire e che usa la rotazione quasi come una tecnica di meditazione. Per lui le letture del Corano sono un sottofondo più gradevole di quelle della Bibbia, per esempio, proprio perché nessuno le capisce. “Per un non musulmano”, dice, “sono solo suoni piacevoli. Se fossero preghiere cristiane per me sarebbe un problema, perché mi ricorderebbero la mia infanzia e la mia cultura, con tutte le loro connotazioni. In un certo senso, abbiamo preso quello che ci hanno dato e lo abbiamo trasformato in qualcosa di nuovo”. Le parole di Philip mi ricordano quelle di un ambasciatore francese a Istanbul, Édouard Thouvenel, che nel 1902 consigliava ai suoi lettori di assistere allo “spettacolo” dei dervisci rotanti. E aggiungeva: “I turInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015 91 ALe&ALe Pop chi protesteranno nel sentire la parola ‘spettacolo’. Probabilmente per loro è una cerimonia religiosa. Per gli europei, però, anche i turchi fanno senza dubbio parte dello spettacolo”. Ma mentre Thouvenel si limitava a deinirla una forma d’intrattenimento per gli europei, la Study society ha veramente contribuito a trasformare la cerimonia in uno spettacolo. Ha preso la bella cerimonia della rotazione, ha estirpato le sue radici religiose e ha creato un’alternativa allo yoga. Non ce l’avevo con nessuno dei singoli dervisci, ma l’ultima volta me ne sono andata dalla Study society con la sensazione che quegli hippie occidentali del ventunesimo secolo mi avessero preso qualcosa di prezioso e lo avessero calpestato. In uno dei suoi saggi, la storica dell’arte Deborah Root, che vive a Toronto e studia l’appropriazione della cultura dei nativi americani da parte degli occidentali, racconta la storia di un autostoppista al quale aveva dato un passaggio negli anni novanta mentre viaggiava verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Si chiamava Karma e quando era salito in macchina aveva notato la ruota di medicina (che nella cultura degli indigeni del Nordamerica è un simbolo sacro) appesa allo specchietto. “Fantastico”, aveva detto, prima di spiegarle che non si considerava un bianco perché “il suo spirito era indigeno”, era “un indiano dalla pelle bianca”. “Ho riso di quell’uomo”, rilette Root, “ma rimane il fatto che anch’io sono bianca, porto le fasce sulla fronte e ho una ruota sacra in macchina”. Dopo aver letto questa storia, ho cominciato a chiedermi quanta parte dell’irritazione che aveva suscitato in me la Study society fosse dovuta all’insicurezza che provavo nei confronti della mia identità. Il modo migliore per sentirsi parte di una comunità, dopotutto, è individuare qualcuno che chiaramente non ne fa parte. Sarebbe anacronistico dire che lo stesso Rumi non sarebbe stato d’accordo con la mia politica identitaria. 92 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Ma il fascino che esercita oggi Rumi è dovuto proprio al senso d’inclusione che nasce dalla sua poesia dell’amore divino, lo stesso tono d’invito che attira tante persone verso il cristianesimo evangelico. La Study society amava citare uno dei suoi versi più famosi: “Chiunque tu sia, ritorna! La nostra casa non è un luogo di disperazione”. Scegliendo l’approccio tribale, sembra voler dire, rischiamo di lasciarci sfuggire qualche opportunità importante. La politica identitaria è la reazione di chi si sente minacciato. Più una cultura è debole, più teme l’appropriazione, e la rabbia degli indigeni statunitensi per l’appropriazione della loro cultura e della loro religione ne è un buon esempio. Nel 1993 la “Dichiarazione di guerra contro gli sfruttatori della spiritualità lakota” metteva i seguaci velleitari come Karma sullo stesso piano dei “proittatori commerciali e degli autoproclamati sciamani new age”. Il desiderio d’interrompere gli scambi culturali con tutti gli estranei, indipendentemente dalle loro intenzioni, è una reazione comprensibile a una storia di brutale erosione culturale. Ma è diicile capire come nel lungo periodo alzare il ponte levatoio possa raforzare la comunità dei nativi americani. Alcuni indigeni sono d’accordo: due filosofi dell’università di Victoria, James O. Young e Conrad G. Brunk, osservano che secondo alcuni l’adozione di valori da parte di estranei è un passo necessario “se gli uomini vogliono riportare l’armonia sulla terra”. Ma la sopravvivenza e la difusione dei valori fondamentali di una cultura hanno un prezzo: il rischio che vengano almeno in parte reinterpretati. Young e Brunk sono tra i primi ilosoi a essersi posti delle domande sulla moralità di varie forme di appropriazione, e nel loro saggio del 2009, The ethics of cultural appropriation, afermano che è ragionevole sentirsi ofesi davanti a una falsa rappresentazione delle proprie convinzioni religiose. Young sostiene anche che dal punto di vista morale ofendere non è necessariamente sbagliato. Per esprimersi, il “genio artistico” deve essere libero di appropriarsi di temi e argomenti di altre culture. Come pare che abbia detto Picasso, “i bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”. La tesi di Young può essere applicata a qualcosa di molto più comune di queste rare espressioni di incontestabile genio personale. Le culture che vogliono evitare di fossilizzarsi e diventare irrilevanti devono essere aperte a nuove espressioni del loro particolare “genio” collettivo. Così facendo corrono il rischio di spezzare i legami con alcune delle loro tradizioni, ma questo non farà che raforzare quelle che vale la pena di salvare. Lo storico Benedict Anderson della Cornell university ha deinito una nazione come una “comunità politica immaginata”. La sua deinizione potrebbe essere applicata a qualsiasi comunità e alla sua cultura condivisa: è immaginata, dice, perché anche i cittadini della più piccola nazione del mondo non conosceranno mai tutti gli altri, ma “nella mente di ognuno vive l’immagine della loro comunione”. Ogni nazione, ogni comunità, ha inventato i suoi rituali e i suoi simboli per aiutare le persone a rimanere aggrappate a questa comunione intangibile nella loro vita quotidiana, e questi scompaiono gradualmente quando non svolgono più il loro compito. Al loro posto nascono nuove pratiche più appropriate al nuovo modo di vivere. Nell’ottocento, il romanziere Walter Scott immaginò molti tartan degli “antichi” clan: reinventò come simbolo dell’unità britannica quel tessuto che un tempo era stato vietato perché simbolo del patriottismo scozzese. Probabilmente in origine la danza del ventre mediorientale era collegata ai riti della fertilità o ai viaggiatori che arrivavano dall’India, così come la celebrazione del Natale discende dalla festa pagana del solstizio d’inverno. Il rituale cristiano della confessione segreta nacque in Irlanda nel sesto secolo, poi si difuse come sacramento nel resto d’Europa. Tutti i rituali e i simboli sono costruiti dall’uomo, e le tradizioni non sono sempre prova di autenticità culturale. Le religioni e le culture, come le nazioni, sono riuscite a sopravvivere solo aprendosi a nuovi modi di rappresentarsi. Ben pochi si sono fatti scrupoli nel trarre ispirazione da altri per farlo. Per quanto possa essere ofensiva e perino distruttiva l’appropriazione culturale, è quasi impossibile separare ogni singolo incidente da un più ampio processo di scambio e adattamento. Mi sono riconciliata con la Study society qualche mese dopo, quando ho visitato un ordine suita più esplicitamente religioso e sono rimasta sorpresa nel vedere quanto avesse preso in prestito dalla cultura occidentale. A presiedere la riunione era una sceicca in hijab, una delle poche donne musulmane in questo paese che guidano una funzione religiosa alla quale partecipano anche gli uomini. Mi ha spiegato che, dopo essersi trasferito in occidente negli anni novanta, il grande sceicco dell’ordine aveva modiicato le pratiche religiose tradizionali, riducendo le sedute di preghiera da quattro ore a una e collaborando con sua moglie per preparare la donne a diventare sceicche. Nel corso dei secoli, i princìpi basilari dell’islam sono stati espressi in Poesia Invecchiare è forse diventare lenti come questi gradini dove incespica il giorno in schizzi di fotoni è forse diventare densi e lapidari O invece è questo accartocciamento di sé in sé questo cedimento di luce un buco nero che sfreccia sulla via eppure è movimento ancora? AnnEEmmAnuEllE FOurniEr è una scrittrice, musicista e traduttrice francese nata nel 1982. Questa poesia, ispirata alla fotograia di Henri Cartier-Bresson Hyères, 1932, è uscita sulla rivista francese A verse nell’autunno del 2013. Traduzione di Francesca Spinelli. Nella chiarezza troppo dritta della pietra la vita umana è appena ombra cinese Tutt’al più vacillare di una traccia È tanto instabile la nostra materia? Anne-Emmanuelle Fournier tanti modi diversi, e forse è ora che ne venga introdotta anche una versione occidentale. Non c’è niente di male nel cambiare. Non penso che smetterò mai di arrabbiarmi per certi palesi esempi di imperialismo culturale, e non credo che si debba smettere d’impedire che le proprie tradizioni culturali vengano svuotate di signiicato e rese carnevalate per adulti che si divertono a mascherarsi. Ma vale la pena di ricordare che la cultura alla quale siamo afezionati prima o poi è stata contaminata da altre culture. Guardate avanti: avete il potere di plasmare la cultura del futuro. Siete sicuri di non voler trarre ispirazione dagli altri? u bt Scuole Tullio De Mauro Educazione per tutti. O quasi Nel mondo sono 650 milioni i bambini tra i sei e gli undici anni in età di frequentare la scuola elementare e 374 milioni i ragazzi tra i dodici e i quattordici in età di primo ciclo postelementare. Alla ine del novecento le organizzazioni internazionali e i singoli stati avevano preso l’impegno solenne di eliminare dal pianeta la mancata scolarità di bambini e ragazzi entro il 2015. Il 2015 è arrivato e dobbiamo constatare che l’impegno non è stato mantenuto. O meglio, dal 2000 al 2007 la percentuale di mancata scolarità si è quasi dimezzata calando del 42 per cento (47 per le ragazze), ma poi il progresso si è fermato. Da allora risulta che ogni anno non vanno e forse mai andranno o torneranno a scuola 9 bambini su cento e 18 ragazzi tra gli 11 e i 14 anni. Sono rispettivamente 58 milioni di bambini e 63 milioni di adolescenti. Un terzo si concentra nei paesi dell’Africa centroccidentale. Réaliser la promesse non tenue de l’Éducation pour tous si intitola un ampio rapporto pubblicato a metà gennaio dall’istituto di statistica dell’Unesco e dall’Unicef. È una fonte preziosa e aggiornata per conoscere la situazione dei singoli stati, capire caso per caso perché persiste la mancata scolarità e per cercare di delineare interventi eficaci. Sono diversi da paese a paese, ma con alcune costanti: aumentare gli investimenti, combattere davvero il lavoro minorile, formare meglio gli insegnanti a capire e seguire le strategie per includere e far studiare tutti, anche gli ultimi. u Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 93 Scienza LESTER V. BERGMAN (CORBIS/CONTRASTO) Stati Uniti, 1976. Una bambina con il morbillo in quarantena La politica nei vaccini The Economist, Regno Unito L’epidemia di morbillo in corso negli Stati Uniti ha riacceso il dibattito sui vaccini: una discussione strumentalizzata da politici in cerca di consenso e che non ha nulla di scientiico n questo periodo negli Stati Uniti non passa giorno senza che un politico se ne esca con una dichiarazione stupida o supericiale sui vaccini. Il senatore Rand Paul teme che possano causare disturbi mentali. Chris Christie, l’altro possibile candidato repubblicano alla presidenza, ha detto che i suoi igli sono vaccinati ma “i genitori devono avere un margine di scelta”. Barack Obama, un tempo esitante sull’argomento, ha sbandierato il suo sostegno al vaccino contro il morbillo per i bambini, come ha fatto Hillary Clinton. Alla radio e in rete si moltiplicano i dibattiti sulla sicurezza dei vaccini, con posizioni favorevoli e contrarie. Secondo le autorità sanitarie, il semplice fatto che se ne discuta potrebbe spaventare i genitori e dissuaderli dal vaccinare i igli. Nel Regno Unito successe nel 2002, do- I 94 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 po che era circolata per la prima volta la notizia di un possibile legame tra il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (Mmr) e l’autismo. Anche se era usato in più di novanta paesi e numerose prove scientiiche avevano dimostrato che l’Mmr era sicuro, quello che le persone notavano è che c’erano comunque due campane. Le vaccinazioni diminuirono drasticamente (ma in seguito sono di nuovo aumentate). Le responsabilità dei giornalisti Da un’indagine sul calo delle vaccinazioni nel Regno Unito si è scoperto che il problema era in parte causato dal modo in cui i mezzi d’informazione trattavano l’argomento. Nel tentativo di fornire un quadro completo – e di intrattenere il pubblico con un confronto verbale vivace – i giornali e le tv contrapposero due schieramenti con opinioni opposte. In un angolo c’erano gli esperti sanitari favorevoli al vaccino, nell’altro medici carismatici o genitori convinti che avesse fatto diventare i loro igli autistici (e il cui sincero dolore condizionò molti telespettatori). Quando gli scienziati del governo britannico difesero le vaccinazioni, la questione si spostò sul piano politico. Alcuni gior- nali di destra scelsero l’allarmismo per attaccare il governo di sinistra che somministrava i vaccini, altri lo fecero solo perché queste notizie vendono. All’improvviso il premier si sentì costretto a svelare se aveva vaccinato suo iglio. Quando le dispute scientiiche vengono politicizzate, a risentirne è la verità. Nel 2002, per esempio, il Sunday Times titolò: “Il governo lancia una campagna per convincere i genitori che l’Mmr è sicuro dopo che alcune ricerche lo hanno collegato all’autismo e ai disturbi intestinali nei bambini”, un titolo che invitava il lettore disattento a chiedersi se doveva idarsi del governo più che dei ricercatori. Allo stesso modo, oggi i giornali statunitensi titolano: “Il dibattito sulle vaccinazioni s’intensiica mentre dilaga il morbillo”, da cui si può dedurre che il dibattito sulla sicurezza del vaccino per questa malattia è legittimo. Dal 2006 grandi epidemie di morbillo hanno colpito Bulgaria, Francia, Ucraina, Georgia e Turchia. La Francia è passata dai 40 casi del 2007 ai 15mila del 2011 perché molti genitori hanno deciso di non vaccinare i igli. La iducia nei vaccini sembra essere legata alla fiducia nel governo. Da un nuovo studio sulle vaccinazioni per la cosiddetta inluenza suina del 2009 è emerso che negli Stati Uniti repubblicani e indipendenti, meno disposti a idarsi del governo rispetto ai democratici, erano anche meno pronti a dire che avrebbero vaccinato i igli. Per Kent Schwirian, dell’università dell’Ohio di Columbus, chi si idava del governo aveva tre volte più probabilità di vaccinarli. Le autorità sanitarie statunitensi non hanno ancora trovato il modo di eliminare i dubbi. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Pediatrics, nessuno dei comunicati diramati dagli esperti per sostenere la vaccinazione ha incoraggiato le persone a vaccinare i igli. È diicile sconiggere le leggende, soprattutto se crederci non causa un danno immediato. E questo spiega perché c’è ancora molta gente convinta che il mondo sia stato creato in una settimana. La situazione, però, è pericolosa. Secondo i Centri statunitensi per la prevenzione e il controllo delle malattie, tra i bambini nati nel periodo che va dal 1994 al 2013 le vaccinazioni hanno evitato 322 milioni di infezioni, 21 milioni di ricoveri e 730mila morti. La lezione per i politici e i mezzi d’informazione è chiara. Primum non nocere. Prima di tutto non nuocere. u sdf Salute Sempre meno donne in india ambiente tettonica neozelandese Nature, Regno Unito Provocando dei terremoti artiiciali è stato possibile “fotografare” i primi cento chilometri di strati geologici sotto il mare della Nuova Zelanda. Il risultato potrebbe contribuire a spiegare come fanno le zolle della crosta terrestre a muoversi. è infatti noto che lo strato più esterno della Terra, la litosfera, è diviso in zolle, che scorrono sopra un altro strato, chiamato astenosfera. I ricercatori hanno ottenuto delle immagini ad alta risoluzione della zolla oceanica del Paciico, situata accanto a quella continentale a cui appartiene la Nuova Zelanda. Studiando anche lo strato che si trova sotto la zolla oceanica, hanno individuato una zona di conine, spessa meno di un chilometro, tra la litosfera e l’astenosfera, situata sopra un canale di una decina di chilometri. Il canale ha una bassa densità, forse perché contiene acqua o materiale fuso, e permette di disaccoppiare litosfera e astenosfera. Un canale simile è già stato trovato al largo della costa rica e potrebbe essere una caratteristica di tutte le zolle oceaniche e forse anche di quelle continentali. I ricercatori hanno usato 12 cariche di dinamite per provocare i terremoti. Analizzando la propagazione delle onde sismiche in profondità è stato possibile studiare l’interno della Terra. u astroisica L’aumento degli incendi boschivi nella regione di Černobyl potrebbe rigenerare nubi radioattive. Dopo l’esplosione del reattore della centrale nucleare nel 1986, altri incendi avevano già sparso in Europa materiale radioattivo intrappolato negli strati più supericiali del suolo. Ora però il riscaldamento climatico rischia di peggiorare la situazione, sostiene l’équipe di Nikolaos Evangeliou, dell’istituto norvegese per la ricerca sull’aria, perché gli incendi saranno più frequenti e più vasti. ESA/PLANck cOLLABOrATION incendi e nubi radioattive la nascita delle prime stelle Le prime stelle hanno cominciato a illuminare l’universo circa 550 milioni di anni dopo il big bang, cento milioni di anni più tardi di quanto inora stimato. Lo rivela uno studio pubblicato in via preliminare su arXiv.org basato sui dati raccolti da Planck. Il satellite dell’Esa ha analizzato la luce polarizzata dei primi momenti dell’universo, cioè la radiazione cosmica di fondo (nell’immagine), dalla quale è possibile ricostruire alcune fasi della storia dell’universo. u rIc In India il numero di interruzioni di gravidanza legate alla selezione del sesso del nascituro è in aumento, con efetti negativi sulle dinamiche sociodemograiche. Si stima che dal 1980 al 2010 siano stati abortiti tra i quattro e i 12 milioni di feti femminili. La selezione del sesso ha radici nel modello della famiglia patriarcale, dove la femmina rappresenta un peso economico. Ma la difusione degli strumenti d’indagine prenatale (ecograia e amniocentesi) ha fatto aumentare le interruzioni di gravidanza selettive. Anche se in India è vietato usare questi test per conoscere il sesso del nascituro, è facile trovare cliniche private pronte a infrangere la legge, anche nei villaggi più poveri, scrive New Scientist. A gennaio la corte suprema indiana ha ordinato di bloccare le pubblicità di questi test su Google, Yahoo e Bing. Normalmente nelle società umane ci sono 950 femmine su mille maschi (sotto i sei anni). In India, il rapporto era di 927 su mille nel 2001 e di 914 su mille nel 2011. geologia biologia la banca dei veleni Tutti gli animali australiani che hanno un veleno mortale saranno collezionati, insieme ai loro veleni, nella Victorian venom bank di Melbourne. La raccolta è cominciata con 12 esemplari di serpente tigre (nella foto). Via via si aggiungeranno diverse specie di ragni, scorpioni, serpenti e altri animali come il polpo dagli anelli blu e l’ornitorinco dallo sperone velenoso. La banca dei veleni servirà sia per gli studi tassonomici e sulla biodiversità sia per la ricerca di nuovi antidoti e farmaci. in breve Salute Le linee guida che invitavano a limitare i grassi nell’alimentazione, introdotte negli Stati Uniti nel 1977 e nel regno Unito nel 1983, non avrebbero dovuto essere emanate, perché si basavano su prove scientiiche insuicienti e su studi con un numero limitato di partecipanti, tutti maschi. Lo sostiene su Open Heart l’équipe di Zoë Harcombe. I medici dovrebbero essere più critici verso le linee guida alimentari, scrive la rivista, e considerare anche i rischi dell’eccesso di carboidrati. Paleontologia Le scimmie dell’America Latina derivano probabilmente da quelle africane, scrive Nature. Sono stati trovati in Perù fossili di denti di una nuova specie, la P. ucayaliensis, che è più simile alle specie ancestrali dell’Africa che a quelle del Sudamerica, viventi o estinte. I fossili risalgono a 36 milioni di anni fa e hanno quindi dieci milioni di anni in più di quelli inora trovati nel continente. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 95 Il diario della Terra Ethical living -55,0 °C Oimjakon, Siberia Bulgaria 4,4 M Nepal 4,8 M Spagna Stati Uniti Guatemala Venezuela 5,1 M Indonesia Brasile Madagascar SUTANTA ADITYA (AFP/GeTTY) costretto le autorità a chiudere le scuole e gli uici pubblici nella provincia del Khuzestan, nell’ovest dell’Iran. Svizzera Regno Neve Una itta nevicata ha Unito paralizzato i trasporti nel nord 3,9 M India Albania della Spagna. u Una tempesta Macedonia Stati Uniti Vulcani Il vulcano Sinabung, in Indonesia, si è risvegliato proiettando cenere a quattromila metri d’altezza. u Il vulcano Fuego, in Guatemala, ha ricoperto di cenere le città della zona. Tempeste di sabbia Una tempesta di sabbia ha 96 Ola Piranha Una bambina è stata uccisa da un banco di piranha nello stato di Pará, nel nord del Brasile. L’imbarcazione su cui viaggiava lungo il iume Maicuru si è rovesciata. ROB PRINGLe Terremoti Un sisma di magnitudo 6,3 sulla scala Richter ha colpito il nordovest dell’Argentina, senza causare vittime. Scosse più lievi sono state registrate in Venezuela, Giappone, Nepal e Bulgaria. Incendi Un incendio che si è sviluppato vicino a Perth, nell’ovest dell’Australia, ha distrutto 80mila ettari di vegetazione. Australia Animali A diferenza di altri luoghi, l’estinzione dei di neve nella regione di mammiferi in Australia negli Boston, negli Stati Uniti, ha ultimi duecento anni non è costretto le compagnie aeree a India 4,5 M stata causata dalla caccia o cancellare centinaia di voli. dalla distruzione dall’ambiente, ma dall’introduzione di FulminiMozambico Una donna e sei bambini sono stati uccisi da un nuove specie, come i gatti e le volpi, e dagli incendi. Il tasso fulmine durante un temporale di estinzione è più alto che in nel distretto di Bikita, nel sud molte altre parti del mondo ed dello Zimbabwe. è costante nel tempo, scrive la rivista Pnas. Circa il 21 per Cicloni Il ciclone Ola ha cento delle specie terrestri è a portato forti piogge sulla rischio. Nuova Caledonia. Il Sinabung Siccità Decine di migliaia di persone sono a rischio a causa della siccità che ha colpito il sud del Madagascar. Lo ha annunciato il governo malgascio. 41,4°C Julia Creek, Australia Zimbabwe Argentina 6,3 M Stati Uniti 5,7 M Giappone 5,0 M Iran Insetti Le termiti contribuiscono a stabilizzare l’ecosistema e a combattere gli efetti del cambiamento climatico. I nidi degli insetti (nella foto, sulla destra) sono un concentrato di materiale vegetale, che viene trasformato dai funghi in fertilizzante del terreno. I termitai trattengono l’acqua e attirano altri insetti, grandi erbivori e predatori. eliminarli potrebbe aumentare il rischio di desertiicazione dell’area in cui si trovano, scrive Science. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Elettronica ibrida Per limitare il consumo di energia in casa si dovrebbe allungare la vita degli apparecchi elettrici, aumentarne l’efficienza energetica oppure sostituirli con un solo dispositivo multifunzione. Quello che non si dovrebbe fare è aggiungere sempre nuovi apparecchi, sia pure ad alta efficienza energetica, come è successo nelle case statunitensi. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology, nel 1992 ogni famiglia americana possedeva una media di quattro apparecchi elettronici, nel 2007 la media è salita a 13. Nello stesso periodo il consumo di energia è più che raddoppiato. Anche il tipo di apparecchi è cambiato: nel 1992 c’erano i pc, i portatili e i primi telefonini. Nel 1997 sono arrivate le macchine fotografiche digitali e le videocamere, nel 2002 si sono aggiunti gli smartphone, gli schermi a cristalli liquidi (lcd) e i lettori mp3. Infine è stato il tempo dei tablet, dei lettori blu-ray e di quelli per gli ebook. I nuovi apparecchi si sono aggiunti senza sostituire quelli vecchi: in molte case ci sono ancora televisori o schermi di computer a tubo catodico che consumano moltissima energia. Parallelamente è aumentato il tempo dedicato all’uso dei dispositivi elettronici, che è circa raddoppiato. Secondo Science, una soluzione per risparmiare energia è l’elettronica ibrida, cioè l’uso di apparecchi che svolgono più funzioni. Sarebbe infatti meglio vedere un telefilm sul portatile, piuttosto che su un televisore lcd. Il pianeta visto dallo spazio 05.11.2014 La barriera degli scorpioni, in Messico Desterrada eArthobServAtorY/NASA Desertora Chica Nord 2 km u Questa foto dell’Arrecife ala cranes, la scogliera degli scor pioni, è stata scattata il 5 no vembre 2014 dal satellite Land sat 8. Si tratta della più grande barriera corallina del golfo del Messico meridionale e si trova circa cento chilometri a nord di Isla Pérez Pájaros Progreso, nello stato messicano dello Yucatán. Per migliaia di anni varie specie di corallo sono cresciute insieme creando l’enorme sco gliera corallina, che è formata anche da residui di alghe, fora miniferi e molluschi. Nel 1994 u la zona è diventata un parco na zionale e nel 2006 riserva della biosfera dell’Unesco. La barriera comprende an che cinque isolette. L’Isla Pérez è abitata e ospita alcuni monu menti storici, tra cui un faro del 1900.–K. Hansen (Nasa) Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 97 Tecnologia Occhiali infranti Nick Bilton, The New York Times, Stati Uniti Quando sono usciti, due anni fa, i Google glass hanno subito suscitato un grande clamore. Ma la strategia di rendere pubblico il prototipo in tutta fretta non ha funzionato uesta è una storia che mette insieme intrighi, una tecnologia futuristica, un laboratorio segreto, modelle, paracadutisti e una tresca in uicio che ha distrutto il matrimonio di un miliardario. È la storia dei Google glass. Prima di cominciare dovrei probabilmente spiegare cosa sono i Google glass. Ma in realtà non ce n’è bisogno, perché gli occhiali di Google hanno fatto irruzione nel nostro mondo circondati da un clamore pazzesco. Fin dalla loro presentazione, nel 2012, gli occhiali tecnologici sono stati considerati il gadget desiderato da tutti, dai nerd agli amministratori delegati, dagli chef alle persone più inluenti nel mondo della moda. I Google glass erano il giocattolo da avere a ogni costo, il prodotto che sarebbe diventato il modello di eccellenza per una nuova classe di computer indossabili. Time li ha inclusi nella lista delle “migliori invenzioni dell’anno” e Vogue gli ha dedicato un servizio di dodici pagine. I Google glass sono stati il tema di una puntata dei Simpson e sono stati al centro di innumerevoli dibattiti tv e sketch comici in programmi come Saturday night live e The Colbert report, per non parlare dei video pubblicati su YouTube. I capi di stato di tutto il mondo hanno voluto provarli. E come loro anche il principe Carlo d’Inghilterra, Oprah Winfrey, Beyoncé, Jennifer Lawrence e Bill Murray. Sempre nel 2012, alla settimana della moda di New York, Diane von Furstenberg ne ha sfoggiato un paio rossi e ha fatto silare le modelle con Google glass di colori diversi. Un altro segno dell’impatto culturale della nuova tecnologia è stato un lungo articolo del New Yorker in cui Gary Shteyn- Q 98 Internazionale 1098 | 13 febbraio 2015 Durante la settimana della moda di New York, l’11 febbraio 2014 gart spiegava cosa si prova a indossare gli occhiali. Il pezzo era irmato Google glass explorer, cioè persona invitata da Google a testare il prodotto. Shteyngart ricordava una dimostrazione improvvisata sulla metro di New York: “Sono davvero loro?”, gli aveva chiesto un uomo d’afari. “Fratello, sono una bomba!”, aveva aggiunto uno studente universitario. “Sei fortunato”. Eppure il vero colpo di scena è arrivato il 15 gennaio, quando all’improvviso Google ha annunciato che il progetto dei Glass per come lo conosciamo verrà chiuso. Via, sparito. Tutta quella fanfara per nulla. Deicit di attenzione Per capire cos’è andato storto dobbiamo tornare indietro di qualche anno e spostarci a Mountain View, in California, dove c’è la sede di Google. Qui, tra loghi colorati e platani ondeggianti, i fondatori dell’azienda e un gruppo di manager idati presentarono una lista di cento idee futuristiche. Tra le proposte c’erano un gps indoor e un progetto chiamato Google brain, ma a suscitare le reazioni più entusiaste fu un nuovo tipo di computer indossabile che poteva essere agganciato alla pelle o magari portato come un paio d’occhiali. Alla ine del 2009 l’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, contattò Sebastian Thrun, un geniale e poliedrico ricercatore della Stanford university, per chiedergli di realizzare le idee proposte. Thrun, che doveva anche inventare un nome accattivante per il progetto, scelse temporaneamente Google X, nella speranza di trovare qualcosa di meglio in seguito. Secondo diversi dipendenti di Google che lavorarono inizialmente al progetto X (e che hanno accettato di raccontarci quel periodo soltanto a patto di mantenere l’anonimato, perché sono ancora in azienda o perché hanno mantenuto rapporti d’afari), il laboratorio venne stabilito in segreto nel Google Campus, occupando il secondo piano di un edificio al 1489 di Charleston avenue. Lì nacque il primo progetto del laboratorio: un prodotto basato sulla realtà virtuale che in seguito avrebbe assunto il nome di Google glass. Thrun reclutò una serie di ricercatori e rock star della scienza, compresi Astro Teller e Babak Parviz, esponenti di primo piano della tecnologia indossabile, e la designer Isabelle Olsson. Nel giro di poco tempo entrò nel gruppo anche Sergey Brin, cofondatore di Google. A questo punto è importante sottolineare due aspetti a proposito di Brin. Il primo è che all’epoca era sposato con Anne Wojcick, specializzata in biotecnologia e madre dei suoi due igli. Inoltre Brin era famoso negli ambienti di Google per essere afetto da quello che veniva deinito “un deicit di attenzione per i progetti”: in sostanza, s’interessava in modo ossessivo a un progetto per poi abbandonarlo all’improvviso (Brin si è riiutato di rilasciare una dichiarazione per questo articolo). Con Brin e Thrun alla guida, Google X e il progetto degli occhiali restarono segreti per più di un anno. “Ogni giorno i dipendenti di Google passavano davanti al laboratorio e non avevano idea di cosa accadesse dentro Google X”, racconta un dipendente. Poi però, nel 2011, io e la mia collega Claire Cain Miller svelammo il segreto di Google X illustrando alcuni dei progetti a cui stava lavorando il gruppo. All’epoca, senza che nessuno ne fosse a conoscenza, si stava creando una spaccatura tra i progettisti a proposito della natura dei Google glass. Alcuni sostenevano che bisognasse indossarli tutto il giorno, come un “dispositivo alla moda”, mentre altri pensavano che andassero usati solo in alcune situazioni. In ogni caso tutti erano d’accordo su una cosa: quello che avevano tra le mani era solo un prototipo, con un sacco di difetti da sistemare. Esperimenti pubblici In realtà qualcuno che non era d’accordo c’era: Brin. Il fondatore di Google sapeva che gli occhiali non erano un prodotto inito, ma voleva che il loro perfezionamento avvenisse in pubblico e non in un laboratorio segreto. Era convinto che Google X dovesse farli indossare ai consumatori e usare i commenti e le idee degli utenti per migliorarli. Per ribadire che si trattava di un progetto in fase di sviluppo, Google decise di non vendere la prima versione dei suoi occhiali nei negozi, ma di aidarli a Glass explorer, un gruppo selezionato di fanatici e giornalisti che avrebbero pagato 1.500 dollari per avere il privilegio di provarli. Questa strategia, però, si rivelò una zappa sui piedi. L’esclusività si aggiunse all’interesse smodato, e i mezzi d’informazione specializzati pretesero di scrivere una recensione sul prodotto. Mentre l’entusiasmo collettivo saliva alle stelle, Google non faceva altro che gettare benzina sul fuoco. “La squadra di Google X sapeva che il prodotto era lontanissimo da una versione presentabile”, ricorda un ex dipendente. Ma il settore marketing e Brin avevano altri progetti. Nel giugno del 2012, a un convegno di sviluppatori di Google, alcuni paracadutisti con indosso i Google glass atterrarono sul tetto della sala conferenze, per poi entrare trionfanti a bordo di rumorose motociclette tra gli applausi entusiasti della platea (io c’ero, e vi posso garantire che è stata una dimostrazione unica). Brin sembrava felice di tutta quell’attenzione, al punto che qualcuno lo paragonò a Tony “Quelli sono davvero i Google glass? Fratello, sono una vera bomba! Sei fortunato” Stark del fumetto Iron Man. Poche settimane dopo, Brin era seduto in prima ila alla silata di Diane von Furstenberg, sfoggiando con orgoglio il nuovo prodotto. Ma questo non era esattamente il modo in cui Google voleva presentare gli occhiali. Non era l’esperimento prudente che i progettisti di Google X avevano voluto condurre. Per loro era come osservare una persona che spifferava un segreto con un megafono. Tutto da capo L’efetto inebriante provocato da modelle e paracadutisti svanì presto. Le riviste di tecnologia, dopo aver finalmente messo le mani sui glass, li descrissero come “il peggior prodotto di tutti i tempi”, sottolineando che la batteria durava pochissimo e il software “era pieno di errori”. Qualcuno sollevò obiezioni legate alla privacy e la gente cominciò ad avere paura di essere ripresa nei suoi momenti più intimi, come in un bagno pubblico (l’ho veriicato di persona a una conferenza di Google in cui mi sono ritrovato circondato da persone che indossavano i suoi occhiali). Il dispositivo fu bandito dai bar, dai cinema, dai casinò di Las Vegas e da altre strutture dove i capi non gradivano la presenza di clienti che registrassero tutto di nascosto. Da oggetto del desiderio, i Google glass diventarono una barzelletta. Nacque persino un Tumblr chiamato “Bianchi che indossano Google glass”. Poi, all’inizio del 2014, uno scandalo di bassa lega travolse i laboratori X. Tra stampanti 3d e microchip era infatti esplosa la passione tra Brin e Amanda Rosenberg, responsabile del marketing dei Google glass, che aveva contribuito all’organizzazione della silata di Diane von Furstenberg. Brin aveva deciso di lasciare la moglie per mettersi con Rosenberg, che a sua volta voleva lasciare il suo compagno (anche lui dipendente di Google). Vanity Fair rivelò l’ultimo dettaglio piccante della storia: la moglie di Brin considerava Amanda Rosenberg un’amica. Da quel momento il progetto Google glass si spense. I primi dipendenti del laboratorio X abbandonarono l’azienda (Parviz, per esempio, è passato ad Amazon). Brin, alle prese con le conseguenze della sua relazione adulterina, smise di indossare gli occhiali in pubblico. E così arriviamo al mese scorso, quando Google ha improvvisamente annunciato l’intenzione di chiudere il programma Glass explorer. Molti hanno parlato di una campana a morto per i Google glass, ma forse si sbagliano. La nuova vita degli occhiali tecnologici è gestita da Ivy Ross, responsabile della divisione Smart-eyewear di Google, e da Tony Fadell, ex responsabile di produzione di Apple e creatore del termostato Nest. “I primi Google glass hanno aperto la strada e ci hanno permesso di capire cosa vogliono i consumatori e le imprese”, ha spiegato Fadell. “Sono molto emozionato all’idea di lavorare con Ivy e usare queste informazioni nei prodotti futuri”. Alcune persone che conoscono i piani di Fadell per i Google glass sostengono che il nuovo responsabile vuole ridisegnare gli occhiali da capo e li presenterà solo quando saranno completi. “Non ci saranno esperimenti pubblici”, spiega un collaboratore di Fadell. “Tony parte dal prodotto, e non presenterà niente inché non sarà sicuro che tutto è perfetto”. Per quanto riguarda Diane von Furstenberg, dice di non avere rimpianti. In un’intervista pubblicata tempo fa, la stilista ha dichiarato che i Google glass erano un prodotto rivoluzionario. “Per la prima volta le persone hanno parlato di tecnologia indossabile”, ha spiegato. “La tecnologia si muove sempre più in fretta, e i Google glass resteranno nella storia”. u as Internazionale 1098 | 13 febbraio 2015 99 Economia e lavoro Torna la guerra monetaria Svalutare la propria moneta per raforzare le esportazioni. È la ricetta adottata da molti paesi per uscire dalla crisi. Ma questa strategia può avere conseguenze gravi per l’economia globale ell’economia mondiale si sta aprendo un nuovo fronte. Gli speculatori di Francoforte, New York e Singapore scommettono già sui vincitori e sui perdenti. Da quando, alla metà di gennaio, l’euro ha perso il 20 per cento del suo valore rispetto al franco svizzero nel giro di poche ore, perino i tassi di cambio delle monete stabili sono fuori controllo. A Wall street non si parla d’altro. Al recente Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, un consigliere d’amministrazione della Goldman Sachs ha detto: “Ci troviamo di fronte a una serie di guerre monetarie”. L’attacco più recente è arrivato dalla Banca centrale europea (Bce), che ha intenzione di mettere in circolazione 1.100 miliardi di euro in più nei prossimi 19 mesi. Tutto questo denaro nuovo di zecca riduce il valore dell’euro rispetto ad altre monete, favorendo le esportazioni delle imprese dell’eurozona e danneggiando la concorrenza del resto del mondo. Con l’euro relativamente a buon mercato, per esempio, la Bmw potrà offrire le sue auto negli Stati Uniti a un prezzo più conveniente: oggi gli statunitensi spendono 45mila dollari per un’auto che in Germania ne costa 40mila, mentre a gennaio ne dovevano pagare 48mila. Per i concorrenti statunitensi è una situazione spiacevole, tanto più che il nuovo tasso di cambio fa aumentare il prezzo delle loro auto in Europa. Uicialmente la Bce non sta stampando denaro per promuovere le esportazioni: l’obiettivo del presidente dell’istituto, Mario Draghi, è spingere le banche a prestare più soldi alle imprese, in modo che crescano gli investimenti e la produzione, e che N 100 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 quindi l’economia si riprenda rapidamente. In realtà, però, a Draghi non dispiace che l’indebolimento dell’euro raforzi le esportazioni. “In questo momento”, ha scritto il Wall Street Journal, “la svalutazione è la politica di crescita dell’Europa”. La Bce non è comunque l’unica banca centrale che abbia avuto quest’idea: secondo molti operatori del mercato monetario, Francoforte si è semplicemente inserita in una guerra monetaria già in corso. Il problema è che non è una buona idea, perché in questo tipo di conlitti sono in molti a perderci. Più auto tedesche vendute negli Stati Uniti signiicano che la concorrenza statunitense registra un volume di vendite più basso. Gli operatori del mercato monetario si aspettano che la prossima mossa sia una reazione alla decisione di Draghi da parte del governatore della banca centrale giapponese, che già da tempo stampa denaro ma ora potrebbe raforzare la sua azione per far calare lo yen più di quanto non sia successo negli ultimi due anni. Chi vince e chi perde All’inizio i più colpiti sono i paesi piccoli, come dimostra la Svizzera, dove la svalutazione dell’euro signiica un calo delle esportazioni nell’eurozona e un minore alusso di turisti stranieri. A questo punto i governatori delle banche centrali di altre economie relativamente piccole temono di inire nelle stesse condizioni dei loro colleghi svizzeri e da settimane si sforzano di non far diventare più costose le loro monete. Ecco qualche esempio: l’11 dicembre 2014 la banca centrale norvegese ha abbassato il costo del denaro; il 7 gennaio 2015 la banca centrale vietnamita ha svalutato il dong rispetto al dollaro; il 14 gennaio la banca centrale indiana ha ridotto il suo tasso d’interesse; il 19 gennaio la banca centrale danese ha annunciato delle misure per contrastare l’apprezzamento della corona (e il 5 febbraio ha addirittura ridotto il suo tasso d’interesse a -0,75 per cento); il 21 gennaio la banca centrale canadese ha abbassato il suo tasso d’interesse; il 27 gennaio anche la HITANDrUN/GETTY IMAGES Die Zeit, Germania banca centrale turca ha accennato a una riduzione del costo del denaro; il 28 gennaio la banca centrale di Singapore ha annunciato misure per limitare l’apprezzamento del dollaro di Singapore; il 3 febbraio la banca centrale australiana ha ridotto il tasso d’interesse. Queste politiche monetarie hanno tutte lo stesso efetto: nel migliore dei casi la moneta nazionale si avvantaggia rispetto a quelle dei paesi con cui compete sui mercati delle esportazioni. Al momento c’è solo una moneta che diventa sempre più costosa: il dollaro statunitense. Per Washington la situazione non è priva di conseguenze: aziende come la Microsoft, la Pizer e la Procter & Gamble hanno già registrato una diminuzione degli utili e del fatturato. Queste imprese non devono solo confrontarsi con le maggiori esportazioni della concorrenza, ma anche con il fatto che le loro ailiate estere registrano utili in monete che, convertite in dollari, hanno un valore inferiore. Il governo statunitense e la Federal reserve (Fed), la banca centrale, non vedono alcun problema, almeno ufficialmente, nella svalutazione dell’euro: infatti da tempo speravano che gli europei si decidessero a stampare moneta, convinti che questa mossa possa favorire l’economia globale. Ma c’è da chiedersi se un atteggiamento simile durerà ancora a lungo. Durante una Fuori dagli Stati Uniti sono stati contratti debiti in dollari per novemila miliardi seduta che si è tenuta a gennaio, i deputati del congresso statunitense hanno discusso di come gli Stati Uniti possano afrontare i “manipolatori monetari”. I deputati hanno chiesto, tra l’altro, che nelle trattative per il trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea, il Transatlantic trade and investment partnership (Ttip), siano inseri te alcune clausole che impediscano le ma nipolazioni dei tassi di cambio. Riduzione artiiciale Nel 2010 la svalutazione delle monete ave va già spinto gli Stati Uniti sull’orlo di una guerra commerciale con la Cina. Washing ton accusava Pechino di essersi procurata vantaggi nel settore delle esportazioni at traverso una riduzione artiiciale del tasso di cambio dello yuan. In seguito la Cina ha potuto evitare dazi doganali punitivi solo aumentando il tasso di cambio della sua moneta. Per paesi come la Cina, che si stanno ancora trasformando in economie svilup pate, la svalutazione artiiciale della mone ta nazionale non è una strategia insolita. L’economista Dani Rodrik sostiene che per produrre benessere le economie emergen ti devono partire dalla creazione di un’in dustria manifatturiera che attiri i inanzia tori stranieri. A loro volta, gli investimenti provenienti dall’estero generano una forte domanda di moneta nazionale, che così di venta più costosa e di conseguenza fa au mentare i prezzi dei prodotti d’esportazio ne. Secondo Rodrik, quindi, per fare in modo che la crescita non sia compromessa può aver senso svalutare inizialmente la propria moneta. Ma, di fronte alle turbolenze di oggi, al cuni paesi emergenti hanno un problema completamente diverso. A causa dei tassi ridotti degli Stati Uniti e dell’Europa, negli ultimi anni grandi operatori inanziari co me gli hedge fund e i fondi pensione hanno cominciato a investire sempre di più in Africa, in Asia e in Sudamerica, elargendo gran parte di questo denaro in forma di cre diti e di inanziamenti a stati e imprese. I debitori, che si sono impegnati a restituire il prestito con un tasso d’interesse vantag gioso calcolato in dollari, incassano per lo più nella moneta locale le loro entrate com merciali e iscali. Queste piccole economie sono quindi sfavorite dal fatto che le grandi banche centrali dei paesi esportatori stan no rendendo il dollaro più costoso. Le somme in questione sono ingenti. Secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), fuori dagli Stati Uniti sono stati contratti debiti in dollari per no vemila miliardi, una cifra equivalente al pil della Cina. Molti debitori dei paesi emer genti sono effettivamente in difficoltà. L’apprezzamento del dollaro ha reso più onerosi i loro impegni inanziari. L’Over seas development institute, un istituto di ricerca britannico che si occupa di aiuti allo sviluppo, ha calcolato che dal 2013 l’aumen to del tasso di cambio del dollaro potrebbe essere costato undici miliardi di dollari a paesi debitori della regione subsahariana come la Mauritania, la Nigeria e il Ghana. Un altro caso complicato è quello cine se. Secondo Hans Redeker, un esperto del la banca Morgan Stanley, i debiti in dollari della Cina ammontano a 850 miliardi. Una svalutazione dello yuan rispetto al dollaro diventerebbe un problema. “Alcune impre se cinesi si troverebbero nei guai”, osserva Redeker. È probabile che la Cina non stia partecipando alla guerra monetaria anche a causa dei suoi debiti in dollari. La questio ne è capire per quanto tempo il paese potrà reggere se i paesi vicini come il Giappone continueranno a ridurre artiicialmente il valore delle loro esportazioni. Le ipotesi possibili sono due, ed entram be hanno a che fare con il dollaro. Janet Yel len, la presidente della Fed, potrebbe au mentare i tassi d’interesse come annuncia to. In questo caso investitori e creditori co me i fondi pensione, le assicurazioni e i privati cittadini pretenderebbero la restitu zione di una quota crescente dei dollari che hanno prestato in tutto il mondo per farli rientrare negli Stati Uniti. Il ministro delle inanze brasiliano Guido Mantega ha para gonato il previsto aumento dei tassi d’inte resse a un “gigantesco aspirapolvere” che risucchierebbe i capitali dai paesi emergen ti. Questo signiicherebbe che molte impre se non sarebbero più in grado di procurarsi il denaro necessario per investire in fabbri che e macchinari. Altre aziende subirebbe ro un tracollo a causa dei debiti eccessivi. Se invece Yellen non aumentasse i tassi d’interesse, il dollaro si apprezzerebbe quantomeno più lentamente. In questo ca so c’è il rischio che gli speculatori conti nuino a prendere in prestito denaro e fac ciano investimenti troppo azzardati. Sem pliicando un po’, si può dire che è così che è scoppiata l’ultima crisi inanziaria: molti statunitensi hanno chiesto inanziamenti a buon mercato, hanno comprato case trop po costose e non hanno potuto saldare i debiti. Qualunque cosa decida Yellen, appena gli investitori cominceranno a temere una crisi del debito nei paesi emergenti potreb be scoppiare il panico, e le banche e i credi tori dei paesi industrializzati potrebbero chiedere la restituzione del loro denaro, aggravando così la situazione e registrando a loro volta perdite. La crisi asiatica del 1997 è stata prodotta da un meccanismo simile. Come si può evitarne un’altra? Il problema del debito dev’essere risolto dagli stati e dalle imprese, ma teoricamen te anche le banche centrali potrebbero mettere ine alla guerra monetaria: baste rebbe solo che riportassero sotto controllo i lussi di dollari. Un esempio di armistizio in una corsa alla svalutazione esiste: nel 1985 la Francia, il Regno Unito, il Giappone e gli Stati Uniti concordarono una lenta svalutazione del dollaro. Ma per ottenere un risultato del genere oggi alcune banche centrali dovrebbero smettere di sfruttare segretamente la loro politica monetaria per promuovere le esportazioni. u fp Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 101 Economia e lavoro Svizzera TECNOLOGIA Ginevra, la sede svizzera dell’Hsbc Aumentano i robot operai Nei prossimi anni i robot sostituiranno sempre più spesso gli operai nelle fabbriche. Lo sostiene uno studio della società di consulenza Boston Consulting Group. “Nel 2014 le vendite di robot industriali sono aumentate del 23 per cento a livello globale e raddoppieranno entro il 2018”, spiega il Financial Times. Negli ultimi quattro anni il loro prezzo è diminuito del 14 per cento. L’80 per cento degli acquisti di robot è concentrato in cinque paesi: Cina, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Germania. In settori altamente automatizzati come quello automobilistico i robot svolgono l’85 per cento delle mansioni. HAroLD CUNNINGHAM (GeTTy IMAGeS) ROBOT La iliale svizzera della banca britannica Hsbc “aiutava ricchi clienti da tutto il mondo a eludere il isco del loro paese”, scrive la Bbc. Dai documenti sottratti all’istituto nel 2007 da un ex dipendente, Hervé Falciani, e ora pubblicati dall’International consortium of investigative journalists, risulta che l’Hsbc ha oferto conti esteri protetti dal segreto bancario a 106mila clienti di 203 paesi. La banca sostiene che ora la situazione è “cambiata radicalmente” e che sta collaborando con le autorità. L’istituto è sotto inchiesta negli Stati Uniti, in Francia, in Belgio e in Argentina. u GIAPPONE ANGOLA Crisi improvvisa Il calo del prezzo del petrolio ha provocato una crisi economica in Angola, dove le vendite di greggio contribuiscono al 48 per cento del pil. Come spiega il settimanale portoghese Expresso, il governo ha deciso delle misure d’emergenza. “Il ministero delle inanze sospenderà temporaneamente il rimborso del debito estero e ridurrà di quasi il 17 per cento le spese previste nel bilancio del 2015”. Inoltre, saranno bloccati i trasferimenti di capitali all’estero e l’importazione di merci, in particolare dei beni di consumo stranieri. 102 L’eccezione giapponese “Negli ultimi anni la disparità di reddito in Giappone – misurata come la quota di reddito personale complessivo detenuta dall’1 per cento più ricco della popolazione – è rimasta stabile. Anzi, è perino scesa”, scrive il Wall Street Journal. “Nel 2008 l’1 per cento più ricco dei giapponesi deteneva il 9,5 per cento del reddito, mentre nel 2012 si limitava al 9 per cento”. A questa conclusione è arrivato il World top incomes database, un progetto coordinato dall’economista francese Thomas Piketty che osserva l’andamento dei redditi in trenta paesi. I dati giapponesi in qualche modo contraddicono Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 le tesi di fondo di Piketty, secondo cui il divario tra ricchi e poveri nei paesi sviluppati è in aumento. Per l’economista francese il dato del Giappone “è probabilmente dovuto alla recessione e potrebbe non rilettere l’andamento dei redditi nel lungo termine”. Chiaki Moriguchi, un’economista dell’università Hitotsubashi di Tokyo che ha collaborato al progetto di Piketty, ritiene invece che il problema del Giappone sia generazionale. “Pochi tra i più giovani hanno un lavoro con bonus e aumenti di stipendio regolari” e molti hanno scarsi incentivi a “lavorare duro per farcela”. Questo si rilette sui dati: nel 2012 il reddito medio dell’1 per cento più ricco era di 240mila dollari in Giappone e di un milione di dollari negli Stati Uniti. Computer traduttori Il settore dei software per la traduzione è in crescita e ormai genera un fatturato annuale di 37 miliardi di dollari, scrive l’Economist. Il successo è dovuto al fatto che oggi nel mondo, soprattutto in quello degli afari, anche lingue meno parlate sono diventate importanti. L’Unione europea, per esempio, ora ha bisogno di comunicare in 24 lingue. In passato in Asia contavano solo il giapponese, il cinese e il coreano, mentre oggi è cresciuto il valore di lingue come il vietnamita e l’indonesiano. In Africa molte aziende usano le lingue locali. “I software per la traduzione sono utili”, osserva il settimanale, “ma sono ben lontani dal sostituire gli esseri umani, soprattutto per le traduzioni di qualità”. UGUrHAN BeTIN (GeTTy) KAzUHIro NoGI (AFP/GeTTy IMAGeS) I clienti segreti dell’Hsbc IN BREVE Finanza Dall’inizio della crisi globale alla ine del 2007, il totale dei debiti contratti nel mondo – quelli di governi, imprese, banche e famiglie – è aumentato di 57mila miliardi di dollari, raggiungendo il 286 per cento del pil mondiale. Lo hanno calcolato gli esperti della società di consulenza McKinsey. Il rapporto tra debiti e pil è diminuito solo in pochi paesi, tra cui romania, Israele e Arabia Saudita. In tutti i paesi più importanti, invece, è cresciuto. Tra questi ci sono gli stati più indebitati dell’eurozona, come Irlanda, Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. Annunci 104 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 L’oroscopo Rob Brezsny Quanti desideri hai? Fai un inventario approssimativo. Individua le esperienze a cui aspiri nella tua ricerca di sollievo, piacere, salvezza, amore e signiicato della vita. Puoi anche metterci le fantasie insoddisfatte e i sogni che potrebbero realizzarsi in futuro. Mentre scorri questo elenco, non censurarti e non sentirti in colpa. Abbandonati a una profonda meditazione su tutti i desideri che alimentano il tuo viaggio. Questa è la tua ricetta per la prossima settimana. Per motivi che forse non sei ancora in grado d’immaginare, è la medicina di cui avrai più bisogno. ARIETE Spero che nella tua vita ci sia qualcuno a cui mandare questo biglietto d’amore tratto da Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer: “Ti amo più di quanto nessun altro ti ami, ti abbia amato o ti amerà. Ti amo come nessun altro ti ama, ti ha amato o ti amerà. Ti amo come non amo, non ho mai amato e non amerò mai nessun altro”. Se quella persona ancora non c’è, sono sicuro che la troverai entro il 1 di agosto. TORO “Crediamo che gli altri debbano dimostrare il loro amore nello stesso modo in cui lo facciamo noi”, scrive la psicologa Amy Przeworski. “E se non rispettano questa equazione, temiamo che non si tratti d’amore”. Penso che tu stia per superare questo problema, Toro. Le tue fatiche sentimentali ti hanno reso abbastanza saggio da rinunciare alle aspettative su come gli altri dovrebbero dimostrare il loro amore. Presto sarai pronto per lasciare che ti dimostrino il loro afetto nel modo che gli viene più naturale. Anzi, forse sei già pronto. ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI GEMELLI Vorrei benedire te e il tuo più stretto alleato. Spero che questo vi aiuterà a ridurre il nervosismo che a volte minaccia la vitalità del vostro rapporto. Questa è la mia benedizione, ispirata da una poesia di Robert Bly: seduti, camminando o distesi uno accanto all’altro, condividerete uno stato d’animo di lieta accettazione. Non sarete irrequieti o smaniosi, non vi chiederete se c’è qualcosa di meglio da fare o essere. Non vorrete parlare di un altro argomento o provare un’emozione diversa o vivere in un mondo diverso. Sarete contenti di essere esattamente chi siete e dove siete. travisano il ruolo dell’amore. “Ne hanno fatto un gioco e un divertimento, perché scorgono nel gioco e nel divertimento una felicità maggiore che nel lavoro; ma non esiste felicità più grande del lavoro, e l’amore, per il fatto stesso di essere l’estrema felicità, non può essere altro che lavoro”. Condivido il suo punto di vista con te per due motivi, Vergine. Primo, perché tra tutti i segni sei quello che può trarre più vantaggio da questo approccio. Secondo, perché sei in una fase in cui la tua capacità in tal senso è al culmine. Rilke conclude così la sua rilessione: “Chi ama deve cercare di comportarsi come se fosse di fronte a un grande compito”. CANCRO BILANCIA Vorresti che i tuoi interludi romantici ogni tanto fossero più selvatici? Vorresti coltivare un tipo d’intimità che attinge di più alla tua intelligenza animale? Se è così, tu e il tuo partner cercate di recitare l’uno i sogni dell’altro o di disegnarvi a vicenda simboli magici sul corpo. Bisbigliatevi bufi segreti all’orecchio o lottate sul pavimento del salotto come due innocui ubriachi. Gracchiate come corvi. Cantate a voce alta e recitate poesie ferine. Mormorate questi versi, adattati da una poesia di Pablo Neruda: “Il nostro amore è nato nel vento, nella notte, nella terra. E per questo l’argilla e la corolla, il fango e le radici conoscono il nostro nome”. Circa 2.600 anni fa la poetessa greca Safo scriveva: “Tu mi fai bruciare”. Sarebbe bello se nei prossimi dieci giorni tu avessi voglia di dirlo o di pensarlo regolarmente. Anzi, prevedo che lo farai. Sei in una fase in cui hai più probabilità del solito di imbatterti in fenomeni che ti faranno bruciare. Ecco qualche altro frammento di Safo che potrebbe tornarti utile per esprimere i tuoi torridi sentimenti. “Urlo con gioia questa lasciva follia”. “Eros scioglie le membra e le agita, dolce, amaro indomabile serpente”. “Scuote l’anima mia Eros, come vento sul monte che irrompe tra le querce”. LEONE SCORPIONE Potresti dire che la tua più stretta alleanza in un certo senso è un regalo per il mondo? Il vostro rapporto serve da elemento energizzante per le persone con cui entrate in contatto? Se non è così, cerca di scoprire perché. Se invece riesci già a sfruttare queste potenzialità, è ora di passare al livello successivo. In questo momento avete più potere del solito di unire le vostre energie in modo tale da emettere piccole onde di benevolenza ovunque andiate. Nella serie tv Doctor Who, il protagonista vive in una macchina del tempo che è anche una nave spaziale e si chiama Tardis. Dall’esterno non sembra più grande di una cabina telefonica. Ma una volta entrati, si scopre che è un grande castello con parecchie stanze, una serra, una biblioteca, un osservatorio, una piscina e un bar. Mi sembra un’ottima metafora per te, Scorpione. Chiunque voglia il tuo amore o la tua amicizia deve rendersi conto di quanto somigli a Tardis. Se non capisce che dentro sei molto più grande di quanto appari da fuori, è improbabile che voi due possiate avere un rapporto fecondo. In VERGINE Il poeta Rainer Maria Rilke diceva che molte persone questo periodo di san Valentino, come servizio pubblico, assicurati che tutte le persone con cui sei seriamente coinvolto lo sappiano. SAGITTARIO L’amore e l’intimità assumono molte forme. Esiste almeno un miliardo di modi diversi per sentirsi attratti da un’altra persona, e un trilione di modi diversi per strutturare un rapporto. Forse il tuo legame speciale si basa sul sesso. Forse è romantico o amichevole o sacro, o tutte e tre le cose. Avete qualcosa di importante da creare insieme, o forse preferite alimentare l’uno i talenti dell’altro? Il vostro compito consiste nel riverire e rispettare il modo speciico in cui vi completate, senza cercare di adeguarvi a un prototipo. Per celebrare san Valentino, invito te e il tuo alleato più stretto a sperimentare queste piacevoli possibilità. CAPRICORNO Nel romanzo Una spia nella casa dell’amore, Anaïs Nin scrive: “Mentre altre ragazze pregavano di trovare in un amante la bellezza, la ricchezza, il potere o la poesia, lei aveva pregato ardentemente perché fosse gentile”. In questo momento ti consiglio lo stesso approccio all’amore, Capricorno. La ricerca di un’attenzione tenera e compassionevole non deve essere sempre in cima alla lista dei tuoi bisogni, ma in questo momento sì. Crogiolandoti nella tenerezza riceverai una potente carica alchemica che catalizzerà un’importante conquista, irrealizzabile in altri modi. Chiedila. PESCI La parola tedesca Nachküsse si riferisce al tipo di baci che compensano tutti quelli che non sono mai stati dati, tutti i baci omessi e perduti. Se è tanto tempo che non baci nessuno, hai bisogno di Nachküsse. Se ultimamente la persona che ami non ti ha baciato con la foga e la concentrazione che vorresti, hai bisogno di Nachküsse. Per te il periodo di san Valentino sarà un’orgia di Nachküsse, Pesci. E ora vai a prenderti quello che ti spetta. Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 105 internazionale.it/oroscopo ACQUARIO COMPITI PER TUTTI Ti propongo un esperimento: compi un gesto d’amore unico nella storia della tua vita. kaL, the eConoMIst, regno UnIto L’ultima aLex, La LIbertè, svIzzera eL roto, eL País, sPagna “Dite al presidente che siamo sulla buona strada per sconiggere lo stato islamico”. “Il segreto bancario si sta sciogliendo, c’è pericolo di valanghe”. sIPress eLkIn, rUssIa hsbc. trattiamo soldi di qualsiasi provenienza: terrorismo, crimine organizzato, evasione iscale. “Comunque, che disonesto questo Falciani”. Putin al summit di Minsk. “Prendila come una cosa in meno di cui preoccuparti”. Le regole Neve 1 Prima di correre fuori a cantare Jingle bells assicurati che non sia grandine. 2 Il primo giorno di neve è meraviglioso, l’ottavo è un incubo. 3 C’è davvero bisogno di metterti quel colbacco di cincillà? 4 Un pupazzo di neve che si rispetti ha il naso a carota. 5 La neve non è una scusa per non andare in uicio. Ma è un ottimo motivo per ingerti malato. [email protected] 106 Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015 Un anno tutto digitale Un unico abbonamento per leggere Internazionale su tablet, computer e smartphone. Economico e puntuale. Un anno, 50 numeri, 65 euro. internazionale.it/abbonati Tutto digitale 65 euro Regalati o regala un abbonamento a