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I ragazzi scomparsi

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I ragazzi scomparsi
13/19 febbraio 2015
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
n. 1089 • anno 22
Chimamanda Adichie
Il mio buio
oltre la siepe
internazionale.it
Scienza
La sinestesia è il circo
dei sensi
3,00 €
Immigrazione
A Lampedusa
una strage evitabile
PI, SPED IN AP, DL
ART
DE
BE
CH
IL MONDO IN CIFRE
DCB VR
• UK
EURO
I ragazzi
scomparsi
Dopo il rapimento
di 43 studenti
il paese è cambiato
per sempre
13/19 febbraio 2015 • Numero 1089 • Anno 22
“I romanzi migliori sono quelli che riescono a essere
importanti senza essere come le medicine”
Sommario
La settimana
cHimAmANdA Ngozi AdicHie, pAgiNA
13/19 febbraio 2015
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
lettura
n. 1089 • anno 22
Chimamanda Adichie
Il mio buio
oltre la siepe
internazionale.it
Scienza
La sinestesia è il circo
dei sensi
3,00 €
Immigrazione
A Lampedusa
una strage evitabile
iN copertiNA
I ragazzi scomparsi
MESSICO
I ragazzi
scomparsi
Dopo il rapimento
di 43 studenti
il paese è cambiato
per sempre
Dopo il rapimento di 43 studenti il Messico è cambiato per
sempre. L’articolo del California Sunday Magazine (p. 34)
e un commento di Diego Enrique Osorno (p. 39).
Illustrazione di Clay Rodery.
Giovanni De Mauro
greciA
14 Il rompicapo
di Atene
Financial Times
ucrAiNA
16 Una strategia
coraggiosa
per l’Ucraina
The Washington Post
scieNzA
54 Il circo dei sensi
Aeon
The New York Times
portfolio
ecoNomiA
e lAvoro
60 Vivere
a Capo Verde
Alfredo D’Amato
si divide
sul caso Nisman
The New York Times
viAggi
20 L’Argentina
72 Buljkes
Aleksandar Zograf
musicA
76 Melodie
di protesta
Mail & Guardian
26 Sussurri e grida
silenziosa
Meduza
ecoNomiA
50 I risparmi
nel telefonino
The Economist
23
Amira Hass
30
Natalie
Nougayrède
32
Paul Krugman
80
Gofredo Foi
82
Giuliano Milani
84
Pier Andrea Canei
86
Christian Caujolle
93
Tullio De Mauro
pop
le rubriche
88 Il mio buio
kAzAkistAN
44 Minoranza
Cinema, libri,
musica, video, arte
Le opinioni
grApHic
JourNAlism
visti dAgli Altri
dal nordest
Brand Eins
78
vichingo
Mg Magazine
AsiA e pAcifico
Hindustan Times
cultura
70 L’arcipelago
AfricA
e medio orieNte
24 India
monetaria
Die Zeit
ritrAtti
Público
Al Jazeera America
100 Torna la guerra
66 Yanis Varoufakis
ArgeNtiNA
22 Nigeria
tecNologiA
98 Occhiali infranti
90
oltre la siepe
Chimamanda Ngozi
Adichie
Identità
all’ultima moda
Nabeelah Jafer
12
Posta
13
Editoriali
105 L’oroscopo
106 L’ultima
scieNzA
94 La politica
nei vaccini
The Economist
Articoli in formato
mp3 per gli abbonati
le principali fonti di questo numero
Brand Eins È un mensile tedesco che si occupa di economia. L’articolo a pagina 26 è uscito nel novembre del 2014 con il titolo Im Schatten der Vergangenheit.
The California Sunday Magazine È un mensile statunitense che esce in allegato ai quotidiani Los Angeles Times, San Francisco Chronicle e Sacramento
Bee. L’articolo a pagina 34 è uscito nel gennaio del 2015 con il titolo The disappeared. Mg Magazine È il supplemento settimanale di reportage, idee e viaggi
del quotidiano spagnolo La Vanguardia. L’articolo a pagina 70 è uscito il 19 ottobre 2014 con il titolo Islas Feroe: otro espacio, otro tiempo. Público Fondato nel
1990, è un quotidiano portoghese progressista. L’articolo a pagina 66 è uscito il 27 gennaio 2015 con il titolo Yanis Varoufakis: radical moderado
e economista acidental. Die Zeit È un settimanale tedesco di centrosinistra. L’articolo a pagina 100 è uscito il 5 febbraio 2015 con il titolo Mitten
im Währungskrieg. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
5
internazionale.it/sommario
A prima vista è come se fosse sparita
Torino. Oppure Firenze, Bologna e Ferrara
messe insieme. Nel 2014 sono uscite dal
mercato della lettura (che tradotto vuol
dire: hanno smesso di comprare libri)
quasi 820mila persone, con un calo del 3,3
per cento rispetto all’anno prima. È un
dato, quello registrato dall’Istat, che
riporta l’Italia al 2003 per tasso di lettura
di libri: 41,4 per cento della popolazione
con più di sei anni di età. Calano i lettori
deboli (-6,6 per cento) e anche i lettori
forti, cioè quelli che leggono almeno un
libro al mese (-0,5 per cento, che diventa
-15,0 per cento se confrontato al
2010). Diminuiscono i lettori tra i 6 e i 19
anni (-17,7 per cento) e diminuiscono pure
le lettrici, da sempre più numerose dei
lettori (-11,8 per cento). Ma il Giornale
della Libreria, dell’Associazione italiana
editori, si chiede se la domanda che ogni
anno l’Istat rivolge al campione
intervistato (“Lei ha letto nei 12 mesi
precedenti almeno un libro non
scolastico?”) sia formulata nel modo
migliore per rappresentare la situazione in
cui ci troviamo. Al di là di questi dubbi,
resta il fatto che la spesa degli italiani per
la lettura è rimasta stabile, anzi è
leggermente aumentata (+0,1 per cento).
Malgrado siano diminuiti i titoli pubblicati
e malgrado sia diminuito anche il
prezzo medio di copertina. La diferenza
la fanno gli ebook, i libri digitali: ne sono
usciti l’88,4 per cento in più rispetto al
2012 e sono aumentati anche i lettori
(+32,2 per cento) che nel 2014 sono stati
quasi sette milioni. Insomma, forse Torino
non è sparita, sta solo cambiando. u
Immagini
Superstiti
Lampedusa, Italia
9 febbraio 2015
I migranti lasciano il porto di Lampedusa dopo essere stati soccorsi a 120
miglia dall’isola. Erano a bordo di un
gommone partito dal Nordafrica con
106 passeggeri, 29 dei quali sono morti
per ipotermia. Sono stati recuperati anche altri due gommoni e nove superstiti, che hanno parlato di un quarto gommone. I morti potrebbero quindi essere
più di trecento. Pietro Bartolo, guardia
medica di Lampedusa, aferma che le
imbarcazioni attrezzate dell’operazione Mare nostrum avrebbero potuto salvarli, cosa che non è stata possibile con
i mezzi dell’attuale operazione di pattugliamento Triton. Foto di Mauro Buccarello (Ap/Ansa)
Immagini
Prove generali
Mariupol, Ucraina
4 febbraio 2015
Reclute del battaglione Svjataja Marija
(Santa Maria), composto da volontari
cristiani e integrato nelle forze armate
ucraine, durante un addestramento sulla spiaggia vicino a Mariupol, sul mare
di Azov. La città portuale di Mariupol è
di grande importanza strategica, perché
si trova sulla striscia di costa che unisce
la Crimea, annessa da Mosca nel marzo
del 2014, alla Russia e alle zone occupate dalle repubbliche separatiste di
Luhansk e Donetsk. Mariupol è ancora
sotto il controllo dell’esercito ucraino e
nelle ultime settimane è stata tra i principali obiettivi delle ofensive dei ilorussi. Foto di Brendan Hofman (The New
York Times/Contrasto)
Immagini
Sorpresa elettorale
New Delhi, India
7 febbraio 2015
In ila a un seggio per il rinnovo del parlamento del Territorio della capitale. I
risultati deinitivi del voto, arrivati il 10
febbraio, hanno decretato il trionfo
dell’Aam aadmi party (Aap), il “Partito
dell’uomo comune” fondato nel 2012
dall’attivista anticorruzione Arvind
Kejriwal. L’Aap si è aggiudicato 67 seggi
su 70, battendo il Bharatiya janata party
(Bjp) del primo ministro Narendra Modi, a cui sono andati gli altri tre. È la prima grave sconitta per il Bjp. Il partito
del Congress non ha ottenuto nessun
seggio. Foto di Anindito Mukjergee (Reuters/Contrasto)
[email protected]
Una Pietà
moderna
u Ho aperto come al solito la
rivista e sono rimasto folgorato
dalla foto di Mohammed Badra
(Internazionale 1088).
Aiancatela all’immagine della
Pietà di Michelangelo: la stessa
opera d’arte a distanza di 500
anni, forse ancora più
commovente.
Umberto Barbiero
Diritto di satira
u Credo sia un lavoro
tremendo fare satira, essere
feroci con leggerezza,
sdrammatizzare lo
sdrammatizzabile, irridere
l’orrore, prendersi gioco di
quelli che esercitano il potere
(tragicamente complici di ogni
genere di nefandezza) e farlo
con la dovuta irriverente
cattiveria. Il senso
dell’umorismo è un bene
supremo e imprescindibile e,
davvero, non ha nessuna
importanza quale sia l’oggetto o
il bersaglio di quella che è la più
profonda e formidabile forma
dell’intelligenza umana. Non
sempre i risultati sono
all’altezza. Ma provare a far
sorridere tirando in mezzo
santi, profeti e quant’altro non
solo è lecito ma è quanto di più
vicino alla pura comprensione
della vita, al suo inefabile
senso. Fate i bravi. O anche no.
Rob
d’attesa. Non potrei regalarla a
chi, mi sembra, la sbircia con
curiosità in treno. E non potrei
andare a comprarla in edicola,
come faccio dal numero 1, mille
anni fa. È comodissimo, il
digitale. E vogliamo bene agli
alberi. Però…
Alessandro
Viaggio
in Cambogia
L’erba del vicino
u Il mio compagno e io
abbiamo fatto una vacanza di
quindici giorni in Cambogia.
Venerdì scorso ho scaricato
Internazionale e sono andata a
vedere la mostra di Kim Hak a
Phnom Penh prima di partire.
Grazie!
Marisa Fogliati
u Mi piacerebbe leggere su
Internazionale un reportage
serio e super partes sulla
marijuana e sulla storia delle
leggi americane ed europee che
hanno portato all’attuale
proibizionismo, sulla linea del
documentario Grass (che
consiglio caldamente a tutti).
C’è una possibilità?
Novella
in forma smagliante, avere case arredate con un gusto impeccabile”. E come riuscite a
fare tutto? “Non ci riusciamo!
Hai dato un’occhiata ai nostri
tassi di suicidio?”. Ok, le famiglie scandinave forse non sono felici quanto sembrano,
eppure continuo a credere che
ci sia un segreto da scoprire:
perché un calciatore di serie A
che va a prendere la iglia a
scuola tutti i giorni l’ho visto
solo qui.
Claudio Rossi Marcelli
è un giornalista di Internazionale. Risponde all’indirizzo [email protected]
Giulia Zoli è una giornalista
di Internazionale. L’email
di questa rubrica è
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INTERNAZIONALE È SU
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Dear Daddy
Formula scandinava
Ora che vivi in Danimarca
hai scoperto il segreto della
felicità delle famiglie
scandinave?–Omar
Sei mesi sono troppo pochi
per carpire un tale segreto.
Per ora l’unica cosa che ho
scoperto è che gli scandinavi
non sono felici come sembrano. Nel libro Hur barnen tog
makten (Come i bambini hanno preso il controllo), lo scrittore David Eberhard accusa
gli svedesi di crescere dei piccoli viziati egocentrici: “I cosiddetti esperti ci dicono che i
bambini sono ‘competenti’ e
quindi devono decidere loro
12
cosa mangiare, come vestirsi,
quando andare a letto. Li mettiamo al centro del mondo,
ma questo li condanna alla
frustrazione”. Eberhard indica l’aumento di casi legati
all’ansia e il declino di rendimento scolastico dei ragazzi
svedesi come conseguenze
dell’approccio liberale dei genitori. La mia amica Miranda,
moglie di un calciatore del
campionato danese, mi ha
detto: “Hai idea della pressione sotto cui viviamo noi genitori scandinavi? Dobbiamo lavorare entrambi a tempo pieno, passare un’enorme quantità di tempo con i igli, essere
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
Scherzi
della chimica
u A pagina 50 del numero 1087
di Internazionale, sotto al titolo
“Veleni quotidiani”, si legge:
“Le sostanze chimiche si trovano ormai ovunque”. Marco Cagnotti, un lettore, commenta:
“Be’, certo: tutta la materia è
composta di sostanze chimiche. L’acqua, per esempio, è
una sostanza chimica il cui nome scientiico è ‘monossido di
diidrogeno’”. Ma non è un veleno. Dovevamo speciicare che
l’articolo parlava di sostanze
tossiche! Il 1 aprile 1983 il Durand Express, un settimanale di
Durand, in Michigan, mise in
allarme i suoi lettori annunciando che nelle tubature
dell’acqua della città era stato
trovato il monossido di diidrogeno, una sostanza letale se
inalata e che poteva produrre
vapori ustionanti. Il pesce
d’aprile fu ripreso da un gruppo
di studenti californiani, che alla
ine degli anni ottanta creò la
Coalizione per il divieto del
monossido di diidrogeno e lanciò una campagna che poi si è
difusa in rete: “Erode il suolo,
corrode alcuni metalli, può provocare ustioni, è una componente delle piogge acide e dei
cicloni”. I redattori del Durand
Express usarono una formula
specialistica, noi invece abbiamo usato una formula troppo
vaga. Ma i lettori di Internazionale non ci sono cascati: “La
chimica, in quanto scienza, non
è né buona né cattiva”, ammonisce Marco Cagnotti.
Il bello della carta
u Su Internazionale 1088 ho
letto la lettera di Dorotea. Ecco,
la sua storia è la ragione per cui
non riesco ad abbonarmi
all’edizione digitale della rivista.
Non ci riesco perché così, dopo
averla letta, non potrei lasciarla
come esca, con inta casualità,
sul tavolinetto di una sala
Le correzioni
Editoriali
Europa ipocrita su Lampedusa
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra ilosoia”
William Shakespeare, Amleto
Direttore Giovanni De Mauro
Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,
Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini
Editor Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri),
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Ferrario, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano,
Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Andrea
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11 febbraio 2015
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Michael Braun, Die Tageszeitung, Germania
Oggi è di nuovo lecito provare orrore, almeno
per un paio di giorni. Per l’ennesima volta Lampedusa si è trasformata nell’obitorio dell’Europa, per l’ennesima volta il sogno di una vita migliore è stato pagato con la morte. Ma il sentimento di orrore si esaurirà presto, e c’è da temere che non avrà alcuna conseguenza. Fino a
qualche mese fa sembrava che nel dibattito sulla
politica europea in materia di rifugiati si stesse
muovendo qualcosa. Anche in Germania c’era
chi chiedeva il prolungamento dell’operazione
di salvataggio umanitario Mare nostrum e si parlava di una politica di accoglienza coordinata a
livello europeo.
Ma poi, senza fare troppo rumore e senza attirare troppa attenzione, a novembre l’Italia ha
sospeso l’operazione Mare nostrum. Così il dibattito europeo è tornato al punto di partenza:
un ping pong tra i due poli dell’“emergenza profughi” e delle “catastroi dei rifugiati”. Le emer-
genze profughi scoppiano puntualmente quando “ne arrivano troppi”, quando sugli schermi
televisivi scorrono le immagini dei centri d’accoglienza italiani sovrafollati. Allora il primo rilesso è sempre il riiuto. Del resto l’interruzione
di Mare nostrum ha fatto contenti anche molti
governi europei, convinti che un’operazione di
salvataggio sistematico faccia in realtà da “calamita”, come è stato più volte ripetuto.
Ma i naufragi continuano a ripetersi con
sconcertante regolarità. L’operazione Mare nostrum era stata un grande passo avanti, perché il
suo scopo non era la difesa delle frontiere ma il
salvataggio dei migranti. Ma questo cambiamento di prospettiva è durato solo un anno. Ora
tutti provano di nuovo orrore, ma è una reazione
ipocrita: sono state l’Italia e l’Europa a voltare le
spalle ancora una volta ai rifugiati, e a fare in modo che il Mediterraneo continui a essere una fossa comune. u fp
False vittorie sull’evasione iscale
François Mathieu, Le Soir, Belgio
I politici europei sono straordinari. Tra il “mai
più” pronunciato nel 2009 dall’allora presidente
francese Nicolas Sarkozy al termine del vertice
del G20 sulla lotta ai paradisi iscali e le “pratiche
inaccettabili” di cui parlava il premier belga
Charles Michel nel 2014 dopo lo scandalo LuxLeaks, ci vogliono far credere di avere sempre
sul comodino la guida per la lotta all’evasione
iscale.
Sarebbe bello. Negli ultimi cinque anni non
possiamo certo dire che le ingiustizie sociali e le
disuguaglianze di reddito in Europa siano diminuite di molto, e nemmeno che gli stati europei
in diicoltà abbiano trovato il modo di riempire
le loro casse. Ma in questi cinque anni molta acqua è passata sotto i ponti. L’arsenale di misure
repressive e preventive destinate alla lotta contro l’evasione è impressionante, sia in Europa sia
nei paesi dell’Ocse. Grazie allo scambio automatico di informazioni sui conti correnti adottato
nel 2011 dall’Unione europea, gli evasori iscali
sembrerebbero spacciati. Circolare, non c’è più
niente da vedere.
Ma c’è un problema, e forse più di uno. Il primo riguarda la deinizione stessa di evasione iscale, che è diversa in Svizzera e in molti paesi
dell’Ocse. È una seccatura, perché se non parliamo della stessa cosa è diicile scambiarsi dati e
informazioni iscali appropriate e aidabili. Il
bersaglio, insomma, non è ben inquadrato. Finora a subire la furia delle autorità iscali europee sono stati soprattutto i privati, per caso (grazie a un documento rubato, nella vicenda della
iliale svizzera della banca britannica Hsbc) o
perché le misure repressive hanno funzionato,
spingendoli a regolarizzare la loro posizione.
Silenzio assordante
Ma gli altri, i pesci grossi che si nascondono dietro società di facciata? Loro continuano a nuotare in acque torbide, e non solo in quelle dei paradisi fiscali dei tropici. Anche all’interno
dell’Unione europea ci sono ancora troppe possibilità di sfuggire alle leggi o di aggirarle. È per
questo che il silenzio dei leader europei all’indomani delle rivelazioni sullo scandalo della Hsbc
svizzera è sconvolgente. Anche se in teoria esistono misure per lottare contro l’evasione iscale, nella pratica non vengono applicate. C’è ancora moltissimo da fare, anche in termini di organizzazione delle istituzioni iscali. Tutto questo è inaccettabile. u as
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
13
Grecia
LOuISA GOuLIAMAkI (AFP/GEttY IMAGES)
La manifestazione a sostegno del governo di Tsipras. Atene, 5 febbraio
Il rompicapo di Atene
Wolfgang Münchau, Financial Times, Regno Unito
Entro la ine di febbraio la
Grecia deve trovare i soldi per
inanziare i suoi impegni di
spesa. Solo a quel punto
potranno partire le discussioni
sul futuro della sua economia
e prime due settimane di governo di Syriza in Grecia hanno avuto l’efetto temuto: da scettica,
l’opinione pubblica del Nordeuropa è diventata ostile. Il ministro delle inanze Yanis Varoufakis ha liquidato unilateralmente la troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo mo-
L
14
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
netario internazionale), che vigila sulla
politica economica della Grecia ed è partito per un tour europeo degno di una rockstar. Poi ha incontrato manager di hedge
fund a Londra e si è messo in posa a Downing street. Ma quando è arrivato a Berlino, il 5 febbraio, il mondo politico e i mezzi
d’informazione tedeschi erano più ostili
che mai. Il giorno dopo la Grecia si è ritrovata isolata in un incontro a Bruxelles tra i
responsabili europei delle inanze.
Politicamente la situazione è grave
quanto lo era nel 2010, quando è cominciata la crisi del debito greco. E l’ultima settimana è stata disastrosa per la diplomazia
economica. Altre due settimane così e
l’uscita della Grecia dall’euro sarà una cer-
tezza. Atene e i suoi creditori europei hanno tempo ino alla ine di febbraio per trovare i fondi necessari a garantire gli impegni di spesa del governo greco. Solo a quel
punto si potrà cominciare a parlare delle
questioni veramente importanti, come il
futuro dell’economia del paese. Grazie alla
Banca centrale europea, che ha deciso di
aumentare il tetto massimo del fondo destinato ai inanziamenti d’emergenza, il
sistema bancario della Grecia sarà al sicuro ino a marzo, ma non oltre.
Quattro strade
Varoufakis ha a disposizione quattro opzioni, o una combinazione di queste quattro. Ognuna di queste opzioni non piace ad
almeno uno dei protagonisti della vicenda.
La prima opzione è l’estensione del piano
di salvataggio esistente. Dal punto di vista
procedurale sarebbe la più facile per tutti.
Ma non per il governo greco: Varoufakis
esclude l’estensione del piano perché Syriza ha appena vinto le elezioni promettendo
esattamente il contrario. Secondo alcuni il
ministro greco sta blufando. Alla ine dovrà accettare le riforme e rassegnarsi a ve-
dere la troika nuovamente ad Atene. L’uni­
ca concessione sarà una nuova terminolo­
gia edulcorata: i piani diventeranno “con­
tratti”, la troika ofrirà una “consulenza” e
l’austerità diventerà “consolidamento a
favore della crescita”. Ma penso che Varou­
fakis non accetterà. E se anche lo facesse,
probabilmente il parlamento greco lo fer­
merebbe.
La seconda opzione è più favorevole
alla Grecia. Varoufakis potrebbe chiedere
alla Banca centrale europea di sbloccare
gli interessi e i proitti sui titoli di stato gre­
ci acquistati durante la crisi. Non sarebbe
una richiesta irragionevole. Questi fondi al
momento sono congelati. Ma anche se ve­
nissero sbloccati non basterebbero. Varou­
fakis dovrebbe anche chiedere ai ministri
delle inanze europei di abolire il tetto alle
emissioni di titoli di stato da parte del go­
verno greco, originariamente imposto per
evitare che Atene emettesse troppo debito
pubblico durante il salvataggio. Ma se la
Grecia non accetta un nuovo piano, l’abo­
lizione del tetto non può essere data per
scontata.
La terza opzione consiste semplicemen­
te nel trovare i soldi altrove. Le possibilità
sono poche. Mosca ha lasciato intendere di
essere pronta ad aiutare Atene, chiaramen­
te non per compassione o per spirito umani­
tario: il denaro russo avrebbe un pesante
costo politico per il governo di Syriza.
La quarta opzione è emettere una valu­
ta parallela, rimborsabile solo a livello na­
zionale, per inanziare la spesa pubblica:
una specie di cambiale. Sarebbe la scelta
più estrema ma risolverebbe il problema
del inanziamento. Una misura del genere
potrebbe essere interpretata come un pri­
mo passo verso l’uscita dall’euro: che sen­
so avrebbe parlare di moneta unica quando
ce ne sono due?
Il problema del inanziamento a breve
termine, per quanto diicile da risolvere,
non sarà nulla in confronto alle trattative
sul debito che seguiranno. Non credo che
ci sarà spazio per ridurre il debito greco, e
vedo solo un margine ristretto per un allen­
tamento iscale di qualsiasi tipo. L’opposi­
zione più forte non verrà dalla Germania
ma da altri paesi come il Portogallo, che si
sono piegati alle regole imposte dalla troi­
ka. Per la crisi dell’eurozona si avvicina il
momento della verità. u fas
Wolfgang Münchau è un editorialista
del Financial Times.
I commenti
Il vento sta cambiando
I negoziati con i partner europei
non saranno facili. Ma Tsipras
ha l’appoggio dei greci. I
commenti della stampa di Atene
n un discorso al parlamento greco
prima del voto di iducia dell’8
febbraio, una prova agevolmente
superata dal governo di Alexis Tsipras con
una maggioranza di 162 voti, il ministro
delle inanze Yanis Varoufakis non ha
escluso la possibilità di arrivare a uno
scontro con gli altri paesi dell’eurozona se
alla Grecia non sarà oferta un’alternativa
al rispetto dei termini dell’attuale piano di
salvataggio”, scrive Kathimerini. “‘Non
stiamo cercando lo scontro, e faremo di
tutto per evitarlo’, ha detto Varoufakis,
‘ma se si decide di negoziare non si può
escludere la possibilità di una rottura’”.
“La cosa più importante è che il gover­
no abbia aperto i negoziati, e che abbia
l’appoggio di buona parte della società
greca”, scrive il quotidiano Eimerida
ton Syntakton commentando l’interven­
to del premier in parlamento. “È stato in­
coraggiante vedere migliaia di persone
manifestare il 5 febbraio a sostegno del
governo con slogan come: ‘Non ci faremo
ricattare’. L’Europa sembra aver capito
che le diicoltà greche rendono necessa­
ria la ine dell’egemonia tedesca. L’oppo­
sizione di un piccolo paese come la Grecia
presto spingerà alla mobilitazione partiti e
organizzazioni della società civile in tutta
l’Europa”.
Altrettanto ottimista è il commento del
columnist di To Vima Antonis Karakou­
sis, che però non sottovaluta le diicoltà
del negoziato in corso: “In questa fase il
governo greco, democraticamente eletto,
e i potenti d’Europa stanno giocando una
diicile partita a poker. In sostanza Atene
sta mettendo in discussione il modello di
politica economica che ha dettato legge
nel vecchio continente negli ultimi
vent’anni. Per come funzionano oggi le re­
lazioni internazionali, si può prevedere
che l’Europa farà forti pressioni su Tsipras
e sul suo governo ainché accettino una
“I
soluzione di compromesso. Ma, nono­
stante le diicoltà che potrebbero arriva­
re, oggi i greci sono felici: nel paese c’è
un’ondata di ottimismo e orgoglio. E, so­
prattutto, è stato disseminato ovunque il
seme del dubbio: il modello neoliberista,
fatto di disuguaglianze e di un costante ar­
retramento del lavoro rispetto al capitale,
specialmente quello speculativo, non è più
difendibile. Non c’è dubbio che il vento
stia cominciando a cambiare, in Europa e
nel mondo. E chi non se ne accorge sta so­
lo facendo inta di non vedere”.
Un compromesso coraggioso
Il compito che ha di fronte Tsipras è co­
munque molto arduo, scrive su Kathimerini il direttore Alexis Papachelas: “Negli
ultimi anni la classe politica greca è stata
del tutto ineiciente. Ma il suo errore più
grave è stato riiutare di assumersi il peso
delle profonde riforme di cui il paese ha
bisogno. Hanno dato la colpa agli ‘stranie­
ri cattivi’, facendo sentire il cittadino gre­
co medio non solo più povero, ma anche
umiliato. E qui comincia la parte più dii­
cile per il nuovo governo. Tsipras oggi ha
un’opportunità storica: può puntare a rag­
giungere un compromesso che salverà il
paese e gli farà voltare pagina”. “Sia chia­
ro, non intendo salire sul carro del vincito­
re”, sottolinea Papachelas. “Dico piuttosto
che Tsipras potrebbe fare molte cose: aiu­
tare quella fetta di società che sofre dav­
vero, combattere seriamente la corruzio­
ne, convincere i più ricchi a contribuire al
benessere del paese, abbattere le barriere
e i balzelli che per anni hanno impedito
agli imprenditori corretti di respirare,
spiegare ai cittadini e ai suoi elettori per­
ché le privatizzazioni e gli investimenti
stranieri sono positivi, riformare l’istru­
zione davvero e non per assecondare i pic­
coli interessi di chi vuole un paese di cor­
rotti. Riuscirà Tsipras a portare a termine
questi compiti? Se è disposto a perdere
l’appoggio dell’ala più radicale del suo
partito può farcela. Conquisterà, in com­
penso, il sostegno della maggioranza dei
greci e il rispetto dei partner europei. E,
soprattutto, farà ripartire l’economia”. u
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
15
Ucraina
Una strategia coraggiosa
per l’Ucraina
Per risolvere davvero la crisi
ucraina, l’occidente deve aiutare
Kiev, integrarla in Europa e
isolare la Russia. Il commento
di una giornalista statunitense
ormalmente, alla conferenza di
Monaco sulla sicurezza, che dal
1963 si tiene ogni anno tra gennaio e febbraio nella città bavarese, non succede quasi nulla. I ministri
della difesa dei paesi della Nato sussurrano
i soliti luoghi comuni e gli esperti storcono
il naso. Ma questo non è un anno come gli
altri. L’8 febbraio di quest’anno il pubblico,
normalmente compassato, è esploso in una
risata quando il ministro degli esteri russo
Sergej Lavrov è sembrato mettere in discussione la legalità dell’uniicazione tedesca.
Una parte della sala ha invece applaudito
fragorosamente quando la cancelliera tedesca Angela Merkel, appena tornata da una
missione di pace a Mosca, ha ribadito che al
conlitto in Ucraina “non ci può essere una
soluzione militare”. Quando poi l’ex ministro degli esteri britannico Malcolm Rikind
le ha chiesto come sia possibile fermare la
Russia senza l’uso della forza militare, ha
battuto le mani un’altra parte del pubblico.
Anche solo seguendo la conferenza online,
la confusione saltava all’occhio: tutti erano
d’accordo sul fatto che Mosca sta mentendo
e nessuno credeva alle sue promesse di un
cessate il fuoco. Ma non c’era nessun accordo su come afrontare la situazione.
È chiaro che il vero dibattito sull’Ucraina e la Russia deve ancora cominciare. E
non intendo certo quello sull’opportunità di
armare Kiev. La discussione sulle armi attira facilmente l’attenzione, se non altro perché sembra mettere gli Stati Uniti (Marte)
contro l’Europa (Venere). Ma è uno specchietto per allodole: riguarda infatti le tattiche a breve termine e non le strategie di
lungo periodo. E non tiene conto della vera
natura del gioco che Mosca sta giocando.
Prima dell’anno scorso in Ucraina non
N
16
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
c’erano mai stati conlitti etnici. I “separatisti” armati sono comparsi sulla scena solo
quando il presidente russo Vladimir Putin
gli ha ordinato di farlo. La “guerra civile”
che ne è derivata è un conlitto artiiciale,
gestito dai servizi di sicurezza russi e alimentato da una campagna di disinformazione condotta in tutta Europa. Continuerà
ino a quando vorrà Mosca. L’obiettivo della
guerra non è ottenere una vittoria, ma evitare la nascita in qualsiasi forma di
un’Ucraina ricca ed europea, che rappresenterebbe una minaccia ideologica per il
putinismo. In base a questa logica anche un
cessate il fuoco non porterebbe a una “pace”, ma a un cosiddetto “conlitto congelato”, sul modello già sperimentato con la
Transnistria in Moldova, e con l’Ossezia del
Sud in Georgia. Quando il progetto dei separatisti della Novorossija sarà compiuto, la
Russia potrà organizzare una nuova struttura di polizia segreta e stabilire basi per il
suo esercito. Può succedere molto rapidamente, nel giro di giorni o settimane. E que-
Da sapere
Negoziati diicili
u Dopo la ripresa delle trattative diplomatiche
e le visite a Kiev e a Mosca (il 5 e il 6 febbraio)
del presidente francese François hollande e
della cancelliera tedesca Angela Merkel, Kommersant rilette sui punti più spinosi del negoziato. Il primo è stabilire chi veriicherà il rispetto di eventuali accordi. C’è poi il problema della
zona smilitarizzata: hollande ha parlato di
un’area larga 50-70 chilometri, ipotesi sgradita
ai ilorussi. Un altro punto critico è la chiusura,
chiesta da Kiev, del conine tra le repubbliche
separatiste e la Russia. Inine va deinito il grado di autonomia delle regioni controllate dai ilorussi e bisogna stabilire lo status dei leader separatisti: Kiev non li accetta come controparti e
chiede nuove elezioni nell’est del paese.
u Intanto nell’area di Debaltseve, dove continuano i combattimenti, negli ultimi giorni ci sono state decine di morti. Il 10 febbraio la città di
Kramatorsk, controllata da Kiev, è stata bombardata con razzi Smerč, dalla gittata di cento
chilometri. I morti sono stati almeno sedici.
GLEB GARANICh (REUTERS/CONTRASTO)
Anne Applebaum, The Washington Post, Stati Uniti
sto rende la questione della fornitura di armi all’Ucraina quasi obsoleta.
Certo, con il passare del tempo l’esercito
ucraino si raforzerebbe e si potrebbe evitare un’ulteriore espansione dei separatisti.
Ma nemmeno gli Stati Uniti sono in grado
di fornire armi abbastanza rapidamente da
costringere la Russia a ritirare dall’Ucraina
i suoi armamenti più soisticati. A meno che
non invii l’82a divisione aviotrasportata a
Donetsk, è diicile immaginare come Washington possa prevenire la nascita dello
stato fantoccio della Novorossija, che nei
fatti oggi è già una realtà.
Pericoli reali
Quello di cui oggi l’occidente ha bisogno
non è solo una politica militare, ma una
strategia di vasta portata che punti al raforzamento dello stato ucraino e alla sua futura integrazione nell’Unione europea. Si
potrebbe cominciare con l’addestrare non
solo i militari ucraini, ma anche gli agenti
dei servizi di sicurezza, smantellati da Viktor Janukovič, presidente ino al febbraio
del 2014. Si potrebbero esercitare pressioni
per convincere Kiev a fare riforme economiche più profonde e sostenerle con aiuti
concreti. Si potrebbe afrontare la crisi con
progetti a lungo termine, come ha suggerito
Merkel, costruendo intorno a Donetsk un
nuovo muro di Berlino, cioè un corridoio
smilitarizzato, e trattando il resto dell’Ucraina come la Germania Ovest dopo la secon-
L’opinione
Il Donbass senza futuro
Maksim Vichrov, Slon, Russia
Qualunque sarà l’esito delle
trattative, riportare la pace e la
stabilità nelle repubbliche
separatiste non sarà facile
a Novorossija (cioè i territori occupati dai separatisti nell’Ucraina dell’est) non potrà esistere
come stato indipendente nelle condizioni attuali. Le sue industrie sono in
rovina e gli aiuti umanitari non bastano
certo a tenerla in piedi. Anche i leader
separatisti sanno che la situazione è disperata. Minacciare in tv il presidente
ucraino Petro Porošenko è facile, dar
da mangiare a tre milioni di cittadini è
tutt’altra cosa. Il futuro delle repubbliche separatiste rimane quindi incerto.
Se la situazione non cambierà, la Novorossija potrebbe trasformarsi in un territorio simile alla Striscia di Gaza. Una
soluzione sul modello della Transnistria (territorio moldavo che si è autoproclamato indipendente con il sostegno russo) sarebbe meno tragica, ma al
momento sembra improbabile. A causa
della crisi economica, il Cremlino fa
già fatica a tenere in piedi questa repubblica fantoccio: nei giorni scorsi il
ministero degli esteri russo ha accennato alla possibilità che torni sotto il
controllo moldavo. Per Mosca è molto
più facile inanziare i separatisti che garantire alle repubbliche anche solo l’apparenza di una vita normale.
Oggi non si può nemmeno escludere un ritorno dei territori ilorussi sotto
il controllo ucraino. È la soluzione su
cui insiste Kiev, proponendo ai separatisti un’ampia autonomia e la nascita di
un porto franco. A più riprese il Cremlino si è detto favorevole all’integrità territoriale dell’Ucraina. Il problema è che
oggi a Kiev non conviene riprendersi il
Donbass. L’economia è in piena crisi e
sopravvive solo grazie ai inanziamenti
esteri. E per Kiev il ritorno sotto la sua
L
Kramatorsk, 10 febbraio 2015
da guerra mondiale. Si potrebbe riconoscere apertamente il pericolo che la Russia costituisce per l’Europa, non solo come fonte
di violenze, ma anche di corruzione politica
ed economica. Si potrebbero imporre sanzioni più dure e profonde. E si potrebbe anche isolare la Russia dal sistema per i pagamenti internazionali e smettere di chiudere
un occhio sul riciclaggio del denaro russo,
che avviene principalmente nelle capitali
europee. La City di Londra e i banchieri di
Zurigo pagherebbero un prezzo considerevole per la perdita dei clienti russi. Ma non
agire avrebbe un costo molto più elevato.
L’Ucraina crollerebbe, e Putin si sentirebbe ancora più sicuro dei suoi mezzi,
com’è successo dopo l’invasione della Georgia nel 2008. Comincerebbe così a preparare il prossimo “conlitto congelato”. E se
dovesse decidere di prendere di mira un paese della Nato, per esempio la Lituania o
l’Estonia, la conseguenza potrebbe essere
un conlitto europeo di proporzioni devastanti. Nessuno vuole una nuova guerra
fredda. Ma una guerra fredda è comunque
meglio di una guerra mondiale. Se vogliamo evitare quest’eventualità, dobbiamo
mettere a punto una strategia seria. u af
Anne Applebaum è una giornalista e
scrittrice statunitense. Nel 2004 ha vinto
il premio Pulitzer per il libro Gulag. Storia
dei campi di concentramento sovietici
(Mondadori 2005).
sovranità delle due repubbliche autoproclamate del Donbass avrebbe costi
enormi. Per questo Porošenko ha interesse a rimandare la liberazione delle
città di Donetsk e Luhansk. La loro
reintegrazione, inoltre, sarebbe diicile
anche dal punto di vista politico. Nella
regione un’ampia fetta della popolazione odia sinceramente l’Ucraina per “le
atrocità compiute dalla giunta golpista”, mentre i iloucraini sono stati costretti a emigrare già nel 2014. Nel
Donbass, quindi, Kiev non avrebbe il
sostegno dei cittadini e la regione rischierebbe di trasformarsi in un Ulster
ucraino. E regalare a Kiev un focolaio
di instabilità è esattamente uno degli
obiettivi di Mosca.
Il sogno del governo ucraino, invece, è trovare un luogotenente capace di
mantenere l’ordine nella regione in
cambio di concessioni inanziarie, un
po’ come ha fatto in Cecenia Ramzan
Kadyrov. Ma i separatisti sono troppo
legati a Mosca perché Porošenko possa
trovare la persona adatta tra le loro ila.
A Kiev conviene attendere che la Russia allenti la presa sotto il peso delle
sanzioni e della crisi economica. La popolazione locale, intanto, rimane
ostaggio del conlitto. E, anche se la situazione può avere diverse vie d’uscita,
il Donbass non può aspettarsi niente di
buono. L’unica diferenza sarà tra il
peggio di adesso e il molto peggio. u af
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
17
Europa
Russia
REGNO UNITO
Il voto
negato
ChArLES PLAtIAU (rEUtErS/CONtrAStO)
I giochi del petrolio
Il 10 febbraio la Corte europea
dei diritti umani ha stabilito che
Londra si è resa colpevole di violazione dei diritti umani negando il diritto di voto a 1.015 detenuti tra il 2009 e il 2011. Si tratta, ricorda il Daily Telegraph,
“dell’ultima di una serie di sentenze contro il regno Unito in
una lunga silza di casi simili”.
Secondo il quotidiano, “la Corte
deve ancora pronunciarsi su 80
casi relativi alle elezioni europee del 2014 e al referendum
sull’indipendenza della Scozia”.
Da parte sua il premier David
Cameron si è più volte detto “isicamente disturbato” dall’idea
di far votare i detenuti e ha regolarmente disobbedito alle richieste del Consiglio d’Europa
di modiicare la legge britannica
per adeguarla alla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo.
Vlast, Russia
Il Front national (Fn) non avrà il
suo terzo deputato all’assemblea nazionale. Al ballottaggio
delle suppletive nel dipartimento del Doubs, Sophie Montel,
candidata del partito di Marine
Le Pen (nella foto), è stata sconitta dal socialista Frédéric Barbier. “Una vittoria piccola e
complicata”, scrive Libération,
“ma pur sempre una vittoria”.
L’aumento dell’aluenza (il 9
per cento in più rispetto al primo
turno) aveva fatto immaginare
una mobilitazione contro l’Fn
che invece non c’è stata. E la vittoria, che secondo Le Monde
“ha un retrogusto amaro”, è arrivata per soli 863 voti.
AZERBAIGIAN
L’informazione
sotto attacco
Baku inasprisce il controllo
sull’informazione. In base ad alcuni emendamenti alla legge attuale voluti dal presidente Ilham
Aliev, le autorità potranno chiudere i mezzi d’informazione che
ricevono inanziamenti
dall’estero e quelli ritenuti colpevoli di difamazione per due
volte in un anno, scrive Radio
Free Europe. Le nuove norme
confermano la stretta sulla libertà d’espressione seguita alla
rivolta di Euromaidan a Kiev.
Come spiega Eurasianet, negli
ultimi mesi molti giornali e siti
indipendenti sono stati costretti
a chiudere.
18
SLOVACCHIA
Niente quorum
contro i gay
È fallito in Slovacchia il referendum organizzato il 7 febbraio
per raforzare il divieto dei matrimoni gay e delle adozioni da
parte delle coppie omosessuali.
Alle urne è andato il 21 per cento
degli aventi diritto, ben al di sotto del 50 per cento necessario
per rendere valido il voto. Il referendum era stato richiesto
dall’organizzazione cattolica
conservatrice Alleanza per le famiglie. “La percentuale dei votanti corrisponde a quella dei
cattolici che vanno a messa ogni
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
VIrgINIA MAyO (AP/LAPrESSE)
Non passa
il Front national
domenica”, scrive Týždeň.
“Certo, nel paese ci sono molti
altri cattolici meno osservanti e
contrari ai matrimoni gay. Ma
evidentemente non erano abbastanza convinti da andare a votare. Nel complesso, quindi, il
referendum non comporta
grandi cambiamenti politici”.
IN BREVE
VLADIMIr SIMICEK (AFP/gEtty IMAgES)
FRANCIA
Fin dai suoi albori, il commercio del
petrolio non ha mai rispettato le
normali regole del mercato. Molto
spesso infatti l’andamento dei prezzi
del greggio non segue la legge della
domanda e dell’oferta. Secondo il
settimanale Vlast, un perfetto
esempio di queste dinamiche è
oferto dalla situazione attuale, “con
il prezzo del petrolio che, dopo il picco raggiunto a luglio, è
sceso del 60 per cento anche se la domanda continua a
crescere, l’oferta è stabile e la situazione nei paesi
produttori del Medio Oriente è estremamente precaria”.
La a situazione è simile a quella del 1986, quando “il
prezzo del greggio scese, altrettanto rapidamente, da 30 a
circa 10 dollari al barile, nonostante la produzione fosse
stata tagliata sensibilmente e il Medio Oriente fosse
funestato dalla guerra tra Iraq e Iran”. Secondo molti
esperti, la crisi dell’Unione Sovietica cominciò proprio
allora, con la drastica diminuzione delle esportazioni di
gas e petrolio. “Anche in quel periodo, come succede oggi,
gli analisti afermavano che l’Arabia Saudita stesse
puntando ad aumentare la sua quota di mercato con una
politica di prezzi bassi. In realtà nel 1986 calarono anche le
esportazioni saudite”. Il punto, conclude Vlast, è che il
mercato del petrolio funziona secondo una logica che
sfugge ai tradizionali criteri economici. ◆
Bratislava, 7 febbraio 2015
Belgio L’11 febbraio il leader e
una quarantina di ailiati del
gruppo jihadista Sharia4Belgium (nella foto) sono stati riconosciuti colpevoli di far parte di
un’organizzazione terroristica.
Il tribunale di Anversa ha condannato il leader Fouad Belkacem a dodici anni di prigione.
Molti dei jihadisti condannati si
trovano però in Siria, dove alcuni di loro sarebbero stati uccisi.
Polonia Il 6 febbraio è stata
inaugurata la campagna elettorale per le presidenziali del 10
maggio. Il capo di stato uscente
Bronisław Komorowski è considerato il favorito del voto.
Americhe
CHRIS WATTIe (ReUTeRS/ConTRASTo)
Colombia
BRASILE
Petrobras
si rinnova
Un personaggio chiave
Il 6 febbraio Aldemir Bendine,
dal 2009 alla guida del Banco
do Brasil, è stato nominato presidente dell’azienda petrolifera
statale brasiliana Petrobras.
Bendine ha preso il posto di Maria das Graças Foster, che si è dimessa insieme ad altri cinque
dirigenti a causa dello scandalo
di corruzione che ha colpito la
compagnia. Secondo Istoé,
“Bendine assume la direzione di
Petrobras proprio quando
l’azienda attraversa una delle
crisi peggiori della sua storia,
ma con la garanzia di poter agire
in totale autonomia. Le side
che ha davanti non sono poche:
dovrà rinnovare la gestione
dell’azienda, rinnovare il suo valore sul mercato e mettere ine
all’ingerenza dei partiti e dei politici nelle sue attività”.
Semana, Colombia
Il 6 febbraio la corte suprema
del Canada ha consentito i suicidi assistiti, rovesciando un divieto in vigore dal 1993. I giudici
hanno stabilito che i medici possono aiutare a morire i pazienti
adulti afetti da malattie gravi e
incurabili. Il Globe and Mail
spiega che la sentenza arriva al
termine di una causa portata in
tribunale da un gruppo di attivisti per i diritti civili per conto di
Kay Carter e Gloria Taylor, due
donne con malattie degenerative che nel frattempo sono morte. Il governo ha un anno di tempo per riscrivere la legge sul suicidio assistito. Se entro quel termine il parlamento non ne approverà una nuova, la legge attuale sarà abrogata.
STATI UNITI
Poliziotto
incriminato
Il 10 febbraio un grand jury di
new York ha rinviato a giudizio
Peter Liang, il poliziotto accusato di aver ucciso Akai Gurley, un
afroamericano di 28 anni. “Il 20
novembre Gurley, che era disarmato, era andato a trovare la idanzata nella sua casa di Brooklyn”, spiega il New York Times. “Liang, che stava pattugliando l’ediicio con un altro
agente, ha visto una igura
nell’oscurità e ha aperto il fuoco, uccidendo Gurley”. L’agente
sostiene che il colpo è partito
per sbaglio.
STATI UNITI
L’ostilità
dell’Alabama
In Alabama è in corso un conlitto giuridico tra le autorità statali
e federali sul diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso. “La disputa è cominciata il 23
gennaio, quando un giudice feSostegno ai matrimoni gay,
% di risposte
Stati Uniti
Alabama
29
33
26
25
18
18
20
14
Del tutto
a favore
A favore
Contrari Del tutto
contrari
derale ha dichiarato incostituzionale la legge statale che vietava i matrimoni gay”, spiega il
Miami Herald. A quel punto
Roy S. Moore, capo della corte
suprema dell’Alabama e apertamente contrario ai matrimoni
gay, ha chiesto di sospendere
ogni decisione ino a quando la
corte suprema federale non
avesse preso una decisione deinitiva sui matrimoni tra persone
dello stesso sesso. Il 9 febbraio
la corte suprema federale ha negato la sospensione e l’Alabama
è diventato il trentasettesimo
stato a consentire i matrimoni
gay. Ma subito dopo il giudice
Moore ha ordinato ai tribunali
di contea di non riconoscere
questo tipo di unioni. Il risultato
è che in questo momento le licenze sono concesse solo in alcune contee.
Port-au-Prince, Haiti
DIeU nALIo CHeRY (AP/LAPReSSe)
Libera scelta
per i malati
FonTe: PUBLIC ReLIGIon ReSeARCH InSTITUTe
Ottawa, Canada
CANADA
“María del Pilar Hurtado, l’ex
direttrice del Departamento
administrativo de seguridad (Das,
l’intelligence colombiana), è il
personaggio chiave del più grande
scandalo di spionaggio del paese”,
scrive Semana. Il 31 gennaio
Hurtado, che si trovava a Panamá, si è
consegnata alle autorità colombiane
ed è stata subito portata a Bogotá. È accusata, tra le altre
cose, di aver diretto durante il governo di Álvaro Uribe
Vélez (2002-2010) una serie d’intercettazioni illegali
contro giornalisti, attivisti per i diritti umani, magistrati
della corte suprema di giustizia e politici dell’opposizione.
“Il suo aspetto semplice e dimesso contrasta con i capi
d’accusa che pendono su di lei. Se risultasse colpevole,
Hurtado non solo rischierebbe molti anni di carcere, ma
potrebbe trascinare con sé anche l’ex presidente Uribe.
Infatti il Das, che oggi è stato smantellato, dipendeva
direttamente dalla presidenza della repubblica”. Uribe ha
difeso Hurtado dichiarando che le intercettazioni illegali
erano giustiicate da motivi di sicurezza nazionale, ma
secondo Semana questa tesi non regge. Resta da vedere
cosa dirà Hurtado in tribunale e se farà qualche nome. ◆
IN BREVE
Haiti Il 9 febbraio decine di persone sono rimaste ferite negli
scontri scoppiati a Port-au-Prince durante una manifestazione
per chiedere una riduzione del
prezzo della benzina.
Cuba Il 9 febbraio l’azienda statunitense netlix ha inaugurato
il suo servizio di video in streaming. Gli ostacoli principali sono il prezzo elevato e la scarsa
difusione di internet sull’isola.
Stati Uniti Il 10 febbraio il presidente Barack obama ha confermato la morte di Kayla Mueller, la cooperante statunitense
ostaggio del gruppo Stato islamico dall’agosto del 2013.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
19
Argentina
RoDRIgo ABD (AP/LANSA)
Manifestazione per chiedere giustizia sulla morte di Alberto Nisman. Buenos Aires, 21 gennaio 2015
L’Argentina si divide
sul caso Nisman
Simon Romero, The New York Times, Stati Uniti
Nel paese si stanno difondendo
teorie di ogni tipo sulla morte
del magistrato che indagava
sull’attentato del 1994 in un
centro ebraico a Buenos Aires
stata la presidente. No, è tutto un
piano architettato dall’ex capo dei
servizi segreti argentini. Forse si è
trattato veramente di un suicidio,
della tragica ine di un uomo che era in un
vicolo cieco. E se c’entrassero l’Iran, il Mossad o la Cia? Non dimentichiamoci poi
dell’inluenza dei nazisti arrivati nel paese
dopo la seconda guerra mondiale. Dopo la
morte di Alberto Nisman, il magistrato che
aveva accusato la presidente Cristina Fer-
è
20
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
nández di aver coperto i responsabili dell’attentato del 1994 contro la sede dell’Asociación mutual israelita argentina a Buenos
Aires (in cui morirono 85 persone), nel paese tutti hanno cominciato a elaborare teorie
sui responsabili e sul movente. Nei bar, in
ila davanti alle edicole e nei chioschi sulla
spiaggia, gli argentini espongono sottovoce
le loro ipotesi sulla morte di Nisman, trovato nel suo appartamento con un foro di proiettile in testa il 18 gennaio, alla vigilia della
sua testimonianza davanti al parlamento.
“È stata la fazione armata del narconazismo jihadista, o forse la maia giudaicomarxista d’accordo con la Cia e con il Mossad”,
aferma Carlos Wiesemann, 65 anni, venditore di hot dog nella città di Pinamar. L’ossessione per la morte di Nisman è cresciuta
a tal punto che alcuni argentini parlano del
caso anche con lo psicoterapeuta. “Tutti i
miei pazienti ne vogliono parlare”, dice
María del Carmen Torretta, 67 anni, una
psicoterapeuta che lavora in una clinica di
Villa Ballester, un sobborgo di Buenos Aires. “La gente è stanca e spaventata”, spiega. “È un tema caldissimo”.
Secondo un sondaggio dell’istituto Rouvier su un campione di ottocento persone,
circa il 48 per cento degli intervistati pensa
che dietro il decesso del magistrato ci sia il
governo di Fernández. Il 19 per cento, al
contrario, crede che la presidente sia vittima di un complotto, mentre il 33 per cento
dice di non avere elementi per farsi
un’idea.
La morte di Nisman è l’ultimo episodio
di una lunga tradizione latinoamericana: la
proliferazione di teorie in conlitto tra loro a
proposito della morte di un uomo politico.
“Molte persone sono in ansia per la morte
del magistrato e hanno bisogno di una spiegazione”, aferma Diego Sehinkman, psicologo e saggista. “Se l’Argentina fosse un mio
paziente le diagnosticherei un’ossessione
compulsiva per le morti traumatiche e irrisolte”. Le morti sospette sono diventate il
fulcro del dibattito politico in tutto il conti-
nente, e questo in molti casi ha portato tribunali e autorità a fare grandi sforzi per
trovare un colpevole.
Di recente il corpo di Salvador Allende è
stato riesumato per capire se l’ex presidente
cileno si suicidò o fu ucciso dalle truppe che
presero d’assalto il palazzo presidenziale
l’11 settembre 1973, durante il colpo di stato
sostenuto dagli Stati Uniti. I resti di Pablo
Neruda sono stati riportati alla luce per stabilire se il poeta cileno morì di cancro o fu
assassinato poco dopo il golpe. Nel 2013 le
autorità brasiliane hanno disposto la riesumazione del cadavere di João Goulart, il
presidente deposto nel 1964 con un colpo di
stato sostenuto dalla Cia, per appurare se
Goulart fu avvelenato dai servizi segreti
mentre si trovava in Argentina. Nel 2010
l’ex presidente venezuelano Hugo Chávez
ha mostrato in tv le operazioni per riaprire
la tomba di Simón Bolívar, il generale che
nell’ottocento liberò gran parte del Sudamerica dagli spagnoli. Il governo voleva
determinare se la sua morte, avvenuta nel
1830, fu causata da avvelenamento da arsenico e non dalla tubercolosi, come sostenevano ormai moltissimi storici. Ma in nessuno di questi casi le autorità hanno provato
che ci sia stato un delitto.
Tanti precedenti
In Argentina la vicenda Nisman ha ricordato a molti un altro episodio misterioso: la
morte, avvenuta nel 1995, di Carlos Saúl
Facundo Menem, figlio dell’allora presidente Menem. Dopo aver perso la vita nello
schianto di un elicottero, la madre dichiarò
che era stato ucciso, portando all’ennesima
esumazione. Nel 2014 anche Menem, arrivato alla soglia degli 85 anni, ha dichiarato
di essere sicuro che il iglio fosse stato assassinato.
Cristina Fernández ha sostenuto che
Nisman non si è tolto la vita, ricordando tre
precedenti (due del 1998 e uno del 2003) di
“casi di suicidio irrisolti”. La presidente e i
suoi collaboratori hanno respinto le accuse
di Nisman e hanno avanzato forti sospetti
su diverse persone, tra cui l’assistente che
ha prestato l’arma al magistrato e il capo dei
servizi segreti (poi sollevato dall’incarico)
che lo ha aiutato nella formulazione delle
accuse. Il governo non ha fatto nomi, ma
Fernández ha descritto la morte del magistrato come un complotto ai suoi danni: “Lo
hanno usato da vivo e avevano bisogno che
morisse”. Resta il fatto che in un documento di 289 pagine Nisman sosteneva che Fer-
nández aveva cercato di raggiungere un
accordo segreto con l’Iran per sviare l’indagine sugli attentati del 1994. Per questo
molti cittadini pensano che il governo sia
coinvolto. “In Argentina le maie possono
prendere un omicidio e farlo sembrare un
suicidio”, aferma Ana Rosa Di Serio, 65 anni, edicolante convinta che i funzionari
dell’esecutivo abbiano fatto uccidere Nisman tenendo all’oscuro la presidente. Altri
si schierano con il governo. “Non gli conviene avere un morto nell’anno delle elezioni”,
sottolinea Claudia Rúmolo, 55 anni, proprietaria di un bar nel centro di Buenos Aires. Gli investigatori non hanno escluso il
suicidio, ma nella capitale in pochi accettano quest’ipotesi. C’è chi parla di un sicario
del posto che avrebbe agito con l’aiuto di
spie venezuelane. Alcuni blogger hanno
avanzato sospetti su una fantomatica maia
cinese. “Non so chi sia stato, ma sono sicuro
che non lo scopriremo mai”, aferma Marcus Macias, 29 anni, venditore di bibite e
snack, mentre guarda un ilm sotto la luce al
neon del suo chiosco. “La morte di Nisman
è il nostro caso Kennedy”, spiega. u as
Da sapere
Ultime notizie
14 gennaio 2015 Il procuratore federale
Alberto Nisman accusa la presidente Cristina
Fernández di aver cercato di coprire le
responsabilità dell’Iran nell’attentato del 1994
contro la sede dell’Asociación mutual israelita
argentina, in cui morirono 85 persone.
19 gennaio Nisman viene trovato morto nel
suo appartamento, con un foro di proiettile alla
testa. Poche ore dopo doveva esporre al
congresso il suo rapporto sulle responsabilità
della presidente.
20 gennaio Cristina Fernández dichiara che
Nisman si è suicidato e che il procuratore stava
mentendo per indebolire il governo.
22 gennaio Il governo cambia versione e
aferma che Nisman è stato ucciso da una
frangia deviata dei servizi segreti.
26 gennaio Damián Pachter, il primo
giornalista a dare la notizia della morte di
Nisman, lascia l’Argentina e si rifugia in
Israele. Cristina Fernández annuncia un
progetto di legge per smantellare i servizi
segreti nazionali.
1 febbraio Il quotidiano Clarín rivela che
Nisman stava per chiedere al parlamento
l’autorizzazione ad arrestare la presidente.
10 febbraio La squadra di antropologi forensi
che si occupa del caso Nisman aferma di aver
trovato il dna di una persona non identiicata
nell’appartamento del procuratore.
L’opinione
Il governo deve
fare chiarezza
El País, Spagna
a presidente argentina Cristina Fernández deve capire che
lo scandalo originato dalla
morte del magistrato Alberto Nisman – che accusava il governo di
coprire le responsabilità dell’Iran
per l’attentato del 1994 contro la sede dell’Asociación mutual israelita
argentina – non è un semplice fatto
di politica interna, ma una questione
con conseguenze profonde a livello
nazionale e internazionale. Il suo
governo deve adottare una strategia
chiara per fare luce sul caso Nisman
e sul più grave attentato terroristico
avvenuto in territorio argentino.
Denunciare un complotto contro
il governo e smantellare i servizi segreti, come ha fatto Fernández, non
aiuta a creare un clima seren0. E
non aiuta neanche il comportamento del capo di gabinetto Jorge Capitanich, che il 2 febbraio durante una
conferenza stampa ha strappato una
copia del Clarín. Qualche giorno prima il quotidiano aveva scritto che
Nisman stava per chiedere al parlamento l’autorizzazione all’arresto
della presidente e di alcuni suoi collaboratori. Il governo ha accusato il
Clarín di mentire ai lettori, ma poche ore dopo è trapelato un documento scritto da Nisman che confermava la versione del giornale.
Gli efetti della morte del magistrato hanno oltrepassato le frontiere argentine. Il congresso degli Stati
Uniti ha chiesto un’indagine imparziale, e il giornalista che ha dato per
primo la notizia del decesso di Nisman si è rifugiato in Israele. I richiami del governo al rispetto della
sovranità sono fondati, ma ora la
presidente deve schierarsi dalla
parte delle vittime, che sono Nisman e le 85 persone uccise nell’attentato del 1994. u
L
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
21
Africa e Medio Oriente
Soldati ciadiani a Gamboru, Nigeria, 4 febbraio 2015
Da sapere
STephANe YAS (AFp/GeTTY IMAGeS)
elezioni rinviate
Una forza africana
contro Boko haram
u A una settimana dal voto del 14 febbraio, la
Nigeria ha annunciato il rinvio delle
presidenziali al 28 marzo e delle legislative
all’11 aprile, perché non è possibile assicurare il
corretto svolgimento delle elezioni nelle aree
colpite dalle violenze di Boko haram. Il governo
è stato criticato dal partito d’opposizione All
progressives congress, che denuncia un
tentativo del people’s democratic party di
prendere tempo per guadagnare consensi. Si
teme che l’attesa possa far crescere le tensioni
tra i sostenitori dei due principali candidati, il
presidente in carica Goodluck Jonathan e l’ex
generale Muhammadu Buhari. Africa Check
Hilary Matfess, Al Jazeera America, Stati Uniti
Ciad, Camerun e Niger hanno
inviato i loro soldati a
combattere contro i jihadisti nel
nordest della Nigeria. Ma non
basterà un intervento militare
esterno a risolvere il conlitto
al 4 febbraio i ribelli nigeriani
di Boko haram attaccano obiettivi in Niger e in Camerun.
L’escalation di violenze è la
realizzazione delle minacce lanciate dal
gruppo ribelle ai paesi coninanti dopo che
l’Unione africana (Ua) ha approvato l’invio
di un contingente di 7.500 soldati nigeriani,
ciadiani, camerunesi, nigerini e beninesi
nel nordest della Nigeria. L’esercito di Abuja inora non è stato in grado di contenere
l’insurrezione. Una forza internazionale,
invece, potrebbe avere la meglio sui miliziani. Ma il piano africano non tiene conto di
due aspetti: innanzitutto rischia di allargare
al resto della regione una rivolta che riguarda soprattutto la Nigeria; in secondo luogo,
non afronta le condizioni che hanno favorito l’ascesa di Boko haram.
La comunità internazionale ha accolto
D
22
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
con favore la creazione di una task force
africana. La struttura e il mandato della
missione non sono ancora chiari, ma paesi
ideologicamente distanti come Iran e Stati
Uniti hanno promesso il loro sostegno.
L’ambito di un intervento militare straniero
però dev’essere deinito precisamente per
non minare la sovranità nigeriana. I governi
dell’Africa occidentale hanno una lunga
storia di ingerenze negli afari interni di altri stati, a volte attraverso il sostegno a gruppi ribelli e milizie in lotta tra loro.
Limiti ben deiniti
I paesi vicini alla Nigeria, che hanno accolto
migliaia di profughi, hanno molto da guadagnare da una sconitta di Boko haram.
Ma la risposta dell’Unione africana non
dev’essere afrettata. La missione non ha
un mandato né una durata temporale ben
definiti, e questo potrebbe significare
un’espansione dell’insurrezione a livello
regionale. Inoltre la creazione di una forza
militare internazionale non risponde alle
cause che hanno scatenato la rivolta. Fino a
pochi anni fa Boko haram agiva solo nel
nordest della Nigeria, uccidendo rappresentanti delle élite politiche e religiose locali. Ma con il passare del tempo è diventato
un gruppo terroristico che attacca i simboli
dello stato.
L’Unione africana non dovrebbe sottovalutare la lezione dell’intervento armato
in Somalia, che doveva durare sei mesi ma
va avanti ormai da otto anni. Nel corso del
tempo il mandato della missione è passato
dal mantenimento della pace allo scontro
diretto con i ribelli di Al Shabaab. Il numero
dei soldati schierati in Somalia è salito da
ottomila a più di 20mila. Nonostante i pesanti colpi subiti, Al Shabaab continua a
cambiare obiettivi e tattiche, estendendo
gli attacchi a Uganda e Tanzania.
Le autorità del nordest della Nigeria faticano a risolvere i problemi locali, che vanno dalla povertà all’esclusione politica. La
comunità internazionale deve fare pressioni sull’Unione africana ainché il suo intervento abbia limiti precisi e non porti a una
militarizzazione della regione. Contemporaneamente si dovranno afrontare le cause
della crisi: la Nigeria ha bisogno di riformare il settore della sicurezza e di lavorare
sull’integrazione politica ed economica
delle comunità del nordest. In assenza di
cambiamenti signiicativi, la militarizzazione del paese potrebbe solo causare nuove
rivolte e violenze. u gim
Duma, 9 febbraio 2015
Yemen
egitto
Campionato
sospeso
BASSAM KHABIEH (REUTERS/CoNTRASTo)
Potere agli houthi
Al Akhbar, Libano
siRiA
il bilancio
di Damasco
“Nel 2010 il pil siriano superava
i 100 miliardi di dollari. Dopo
quasi cinque anni di guerra, si è
dimezzato. Il danno economico
causato dal conlitto e dalla svalutazione della lira siriana è
enorme. Metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà”, scrive Al Hayat. “In questo
contesto il governo ha approvato una inanziaria da nove miliardi di dollari, la cifra più alta
mai spesa nella storia siriana”.
u In un’intervista del 10 febbraio con la tv britannica Bbc il
presidente Bashar al Assad ha
detto che era stato informato
dei raid in territorio siriano della coalizione internazionale
contro il gruppo Stato islamico
e ha negato che i suoi soldati
usino i barili esplosivi, nonostante la pratica sia stata documentata dalle organizzazioni
per i diritti umani.
iRAq
Un’ofensiva
imminente
Il coordinatore statunitense della coalizione contro il gruppo
Stato islamico ha annunciato
l’inizio imminente di una grande ofensiva terrestre dell’esercito iracheno contro i miliziani
jihadisti, scrive Al Jazeera. Tra
il 7 e il 9 gennaio una serie di attentati a Baghdad ha causato 47
morti. L’8 gennaio il governo ha
tolto il coprifuoco notturno sulla
capitale, che durava da 12 anni.
“Dopo che i ribelli houthi hanno
conquistato la capitale yemenita Sanaa,
molti si sono chiesti quali erano i loro
obiettivi e se intendevano governare”,
scrive Al Akhbar. Il 6 febbraio gli
houthi hanno rotto gli indugi: durante
una cerimonia al palazzo presidenziale, i
rappresentanti di Ansarullah, il partito
dei ribelli sciiti, hanno letto una
“dichiarazione costituzionale” con cui hanno annunciato
lo scioglimento del parlamento e la formazione di un
consiglio presidenziale che sostituisce il capo dello stato
dimissionario Abd Rabbo Mansur Hadi. Gli houthi si sono
assunti l’incarico di guidare il paese in una fase di
transizione che durerà due anni. L’annuncio ha scatenato
proteste a Sanaa e a Taiz, che sono proseguite l’11 febbraio,
l’anniversario della rivoluzione yemenita. “Molti parlano
di colpo di stato”, spiega Al Akhbar. L’8 febbraio l’inviato
speciale delle Nazioni Unite Jamal Benomar è tornato
nello Yemen per portare avanti i colloqui di pace con le
varie fazioni. “Ma ha poche possibilità di successo”,
commenta il quotidiano saudita Asharq al Awsat. Gli Stati
Uniti, il Regno Unito e la Francia hanno chiuso le loro
ambasciate a Sanaa per motivi di sicurezza. u
L’Egitto ha sospeso il campionato di calcio dopo che l’8 febbraio 22 tifosi sono morti negli
scontri con la polizia davanti a
uno stadio del Cairo. u Il 10 febbraio, durante la visita del presidente Vladimir Putin, è stato irmato un accordo tra Russia ed
Egitto per costruire la prima
centrale nucleare egiziana a Dabaa, sul Mediterraneo.
in bReve
Bahrein Il 9 febbraio il governo
ha annunciato la chiusura della
tv Al Arab, del miliardario saudita Al Walid bin Talal, che pochi giorni prima aveva mandato
in onda l’intervista a un leader
dell’opposizione sciita.
Rep. Centrafricana Il 10 febbraio sono ripresi a Bria, nel
centro del paese, i combattimenti tra le forze internazionali
e i ribelli ex Séléka.
Sud Sudan Il 10 febbraio il governo ha accusato i ribelli di
aver violato il cessate il fuoco
nella città di Bentiu.
Da Ramallah Amira Hass
Appunti sulla scrivania
Sulla mia scrivania ci sono alcuni appunti che presto trasformerò in articoli.
1. Circa mille studenti sono
bloccati nella Striscia di Gaza
e non possono raggiungere le
loro università all’estero. Dal
1997 Israele impedisce agli
abitanti di Gaza di uscire dal
paese passando per la Giordania. Questo signiica che l’unica via di uscita è il valico di Rafah, al conine con l’Egitto. Ma
da quando l’esercito egiziano
ha lanciato un’ofensiva contro i Fratelli musulmani, il valico è quasi sempre chiuso.
Quando apre è talmente afollato che solo i più aggressivi
riescono a passare. In un raro
gesto di buona volontà,
nell’autunno scorso Israele ha
permesso ad alcune decine di
studenti di partire attraverso il
conine giordano.
2. Israele vuole espellere le comunità di beduini dalle loro
terre in Cisgiordania per ospitarle in un insediamento in costruzione. Ma la vita semi-urbana comprometterebbe il
tessuto sociale, le abitudini e il
sostentamento di circa diecimila persone appartenenti a
tre tribù. La loro espulsione
permetterà di espandere gli
insediamenti ebraici della zona. Nonostante le proteste di
palestinesi ed europei, Israele
va avanti con il suo piano.
3. I soldati israeliani hanno
gambizzato un cameraman
palestinese durante una manifestazione di protesta nel villaggio di Kafr Qaddum. Non è
la prima volta che succede. Io
ormai non vado più a queste
manifestazioni. Lo ammetto,
sono una vigliacca. Ho paura
dei gas lacrimogeni, delle percosse e dei proiettili. u as
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
23
Asia e Paciico
ADNAN ABIDI (ReUTeRs/CoNTRAsTo)
Arvind Kejriwal dopo i risultati del voto. New Delhi, 10 febbraio 2015
buon numero di elettori del Congress.
Questi sono alcuni dei fattori che hanno
determinato il risultato elettorale. Ma il Bjp
ha le sue colpe.
Il partito si è affrettato ad attribuire
all’“onda Modi” i successi elettorali ottenuti di recente nel Maharashtra, nel Haryana e nel Jharkhand, sminuendo fattori
locali come il forte malcontento nei confronti del potere e il caos all’interno delle
coalizioni di governo. Il Bjp deve capire che
non potrà cavalcare all’infinito l’“onda
Modi”. Il premier resta una personalità
fortissima nel panorama politico attuale,
ma questo non signiica che la gente voti
per il suo partito quando deve scegliere un
governatore.
Un voto contro gli estremisti
A Delhi l’uomo comune
batte il primo ministro
Hindustan Times, India
L’attivista anticorruzione Arvind
Kejriwal è stato eletto alla guida
del Territorio della capitale con
una valanga di voti. Una dura
sconitta per il primo ministro
Narendra Modi
L’
Aam aadmi party (Partito
dell’uomo comune, Aap) ha
trionfato alle elezioni locali del
7 febbraio nel Territorio della
capitale sconiggendo il Bharatiya janata
party (Bjp), il partito nazionalista indù del
primo ministro Narendra Modi. Molti si
sono chiesti se sia stato un referendum sul
governo Modi. Comprensibilmente il Bjp
nega, mentre il partito del Congress, anche
se sconitto e umiliato, spera che la batosta
possa fermare l’avanzata inarrestabile di
Modi, contando che le tendenze elettorali
a New Delhi in genere rilettono quelle del
paese. Ma forse la verità sta nel mezzo.
La candidata del Bjp era l’ex funzionaria della polizia Kiran Bedi, ma il partito ha
incentrato la sua campagna elettorale su
Modi, come dimostra l’onnipresenza del
premier sui manifesti, negli spot e perino
24
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
nei discorsi pronunciati da importanti
esponenti del partito. Ma, nonostante il
disastroso risultato del Bjp, considerare il
voto come un referendum su Modi potrebbe essere sbagliato. Modi sarà anche un
catalizzatore di voti, ma di solito nelle elezioni locali sono decisivi i fattori locali. e a
New Delhi il leader dell’Aap, l’attivista anticorruzione Arvind Kejriwal, è un idolo.
Bedi non poteva batterlo. Come avrebbe
potuto superare le divisioni nel Bjp della
capitale?
In fondo non stupisce che il Bjp abbia
cercato di trasformare l’elezione in uno
scontro tra Modi e Kejriwal e che il premier
nei suoi comizi elettorali si sia rivolto chiaramente al leader dell’Aap. Gli strateghi
del partito di Kejriwal, comunque, hanno
fatto meglio dei loro colleghi avversari.
Mentre il Bjp ha scelto una strategia negativa e aggressiva (come dimostra lo spot in
cui Kejriwal rivolge false promesse ai suoi
igli), la campagna dell’Aap ha puntato sui
problemi quotidiani dei cittadini, senza
mai esprimere giudizi su Modi.
Alle elezioni legislative del 2014 diversi
sostenitori dell’Aap hanno votato per Modi, ma oggi molti di loro sono tornati ad
appoggiare Kejriwal, così come ha fatto un
Nell’immediato bisogna capire se la sconitta del Bjp avrà ricadute sul cammino delle riforme economiche del governo Modi.
Dal punto di vista politico, invece, bisogna
considerare gli efetti a lungo termine. I
risultati di Delhi potrebbero spingere i cosiddetti partiti secolari a mettere da parte
le divergenze e a unirsi, ora che il Bjp di
Modi non sembra più invincibile. Le elezioni nella capitale hanno dimostrato che
la classe media si sta avvicinando all’Aap.
L’opposizione vuole leggere nel voto la delusione verso il governo Modi, ma è più
probabile che si sia trattato di una reazione
alle dichiarazioni e alle azioni violente di
alcuni ailiati alle organizzazioni nazionaliste indù, inclusi gli attacchi alle chiese.
solo il tempo ci dirà come Modi intende
gestire queste frange estremiste. u as
Da sapere
Un successo inatteso
u Il 7 febbraio l’Aam aadmi party (Aap) ha
vinto le elezioni del Territorio della capitale
ottenendo 67 seggi su 70. Gli altri tre sono
andati al Bharatiya janata party (Bjp), che
guida il governo centrale. Alle ultime elezioni
locali, nel 2013, il Bjp aveva vinto il maggior
numero di seggi senza però ottenere la
maggioranza dei voti. L’Aap, guidato da Arvind
Kejriwal, l’attivista anticorruzione che nel
2012 aveva fondato il cosiddetto “partito
dell’uomo comune”, arrivò secondo e formò un
governo di coalizione con il partito del
Congress. Ma, un mese e mezzo dopo, Kejriwal,
per protesta contro il mancato passaggio di un
disegno di legge contro la corruzione si dimise
da governatore di Delhi. Da un anno lo stato è
amministrato dal governo centrale. Bbc
Malesia
BANGLADESH
Battaglia a colpi
di ritorsioni
INDONESIA
Vergini
alla maturità
“Il governo indonesiano non
deve più tollerare i test della
verginità nel paese”: il Jakarta
Globe riporta le dichiarazioni
dell’ong Human rights watch a
proposito di un progetto di legge
del consiglio comunale di Jember, una città sull’isola di Java.
L’amministrazione cittadina
vuole introdurre il test obbligatorio per le studentesse (ma non
per gli studenti) in vista del diploma. “Un’iniziativa sconcertante che però non sorprende”,
continua l’ong. Nel paese, infatti, il test è praticato abusivamente da decenni alle aspiranti poliziotte e soldate.
Anwar Ibrahim, Putrajaya, 7 febbraio 2015
Tokyo ignora
Okinawa
“Tra Okinawa e il governo centrale è in corso una guerra fredda”, scrive il Japan Times. Da
quando, nel novembre 2014, è
stato eletto governatore della
provincia più meridionale del
Giappone, Takeshi Onaga ha
chiesto più volte invano di incontrare il primo ministro Shinzo Abe o il capo di gabinetto Yoshihide Suga. Onaga, che guida
la battaglia degli okinawani contro la ricollocazione della base
aerea statunitense di Futenma a
Henoko, dov’è in corso la costruzione di una nuova base, ha
incaricato un comitato di valutare la legalità dell’accordo tra
Tokyo e Washington per lo spostamento. Ma, nel quadro del
nuovo ruolo militare che Abe
vuole dare al paese, Okinawa è
più che mai strategica.
,
OLIvIA HArrIS (reUTerS/CONTrASTO)
L’opposizione in carcere
,-
!"
'
Il 10 febbraio un tribunale malese ha confermato la condanna a cinque anni di reclusione del capo dell’opposizione Anwar Ibrahim, accusato di sodomia. Ibrahim, condannato in primo grado nel marzo
del 2014 per aver avuto rapporti sessuali con un suo assistente, ha
perso la causa d’appello. Per molti si tratta di una sentenza politica
per eliminare l’unico leader in grado di sidare il potere del primo
ministro Najib razak.
Sono quasi novanta le vittime
delle violenze scoppiate all’inizio di gennaio in Bangladesh,
dove è in corso una battaglia politica a colpi di ritorsioni tra la
Lega awami, guidata dalla prima ministra Sheikh Hasina, al
potere dal 2009, e il Partito nazionale bangladese (Bnp), della
ex premier Khaleda Zia, che
guida l’opposizione. Almeno nove persone sono morte il 7 febbraio a bordo di un pullman a
Barisal, nel sud del paese, attaccato con bombe molotov dai sostenitori dell’opposizione. Il
giorno prima, in un episodio simile, erano morte altre sette
persone. Le proteste dei sostenitori del Bnp, che chiedono
nuove elezioni, sono cominciate
a un anno dal voto del 5 gennaio
2014, boicottato dall’opposizione. Finora la polizia ha arrestato
più di diecimila attivisti del Bnp
e segregato la leader Zia nel suo
uicio, scrive l’Express Tribune. È probabile che l’esercito interverrà per ristabilire l’ordine,
ma è diicile che Hasina cederà
alle richieste dei manifestanti.
GIAPPONE
Cina
Senza acqua corrente
Caixin, Cina
Sono trascorsi dieci anni dal lancio
della campagna per garantire a
centinaia di milioni di cinesi l’accesso
all’acqua potabile, ma vaste zone
rurali del paese devono ancora fare i
conti con l’insicurezza idrica. Il 29
gennaio si è tenuta una riunione tra i
ministri interessati per fare il punto
sul piano quinquennale che
terminerà quest’anno. Secondo Jiang Wenlai,
dell’Accademia cinese per le scienze agricole, il governo
riuscirà a fornire acqua a 298 milioni di persone. Altri
studiosi, scrive Caixin, sono meno iduciosi. Dal 2006 al
2011 il governo ha investito l’equivalente di 11 miliardi di
euro, e altri 18 miliardi tra il 2011 e il 2015, per la fornitura
di acqua corrente. Tuttavia, un rapporto del 2012
sottolineava come, mentre milioni di cinesi ottenevano
inalmente l’accesso all’acqua, almeno 196 milioni
cominciavano ad avere problemi causati dalle acque
inquinate e da infrastrutture idriche datate. Sono a rischio
soprattutto le zone centrali e occidentali del paese, dove si
è trasferita parte della produzione industriale. ◆
IN BREVE
Australia Il primo ministro Tony Abbott è sopravvissuto il 9
febbraio a una mozione di siducia interna al Partito liberale, la
formazione conservatrice al potere. Abbott ha ottenuto 61 voti
a favore e 39 contrari.
Cina Il 9 febbraio è stata eseguita la condanna a morte di Liu
Han, un magnate dell’industria
mineraria accusato di essere a
capo di un’organizzazione maiosa nella provincia dell’Hubei,
nel centro del paese.
Timor Leste Il 9 febbraio si è
dimesso il primo ministro Xanana Gusmao, eroe dell’indipendenza.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
25
Visti dagli altri
PRoSPekt
Casier, in provincia di Treviso, 13 dicembre 2013
Sussurri e grida
dal nordest
Mischa Täubner, Brand Eins, Germania
Foto di Diambra Mariani
Le aziende chiudono
o licenziano, gli imprenditori
si disperano e la iducia
nello stato si sgretola.
Reportage dal Veneto colpito
dalla crisi
ue notizie sconcertanti. La prima è che a marzo del 2014 c’è
stata una consultazione popolare per decidere se il Veneto
dovesse diventare indipendente dall’Italia. Secondo i promotori, al voto ha partecipato il 63 per cento dei quasi quattro milioni di aventi diritto, e l’89 per cento di lo-
D
26
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
ro si è espresso in favore della secessione
dall’Italia. Questo risultato è stato messo
in dubbio da molti, perché la consultazione
non si è svolta sotto la supervisione delle
autorità regionali o nazionali, ma è stata
organizzata da un gruppo di separatisti che
si chiama plebiscito.eu, e le votazioni sono
state fatte online. Il sociologo Ilvo Diamanti, però, ha invitato a prendere sul serio le aspirazioni indipendentiste. Come
ha dimostrato un’inchiesta di Demos & Pi,
il suo istituto di ricerca, l’autonomia è una
prospettiva allettante per una grossa fetta
di veneti.
In Veneto non c’è mai stato un grande
entusiasmo per lo stato. La regione è da
decenni la locomotiva d’Italia, ed è quella
che paga più tasse, che lo stato investe soprattutto nelle regioni del sud. Per molti
veneti è una situazione intollerabile, ma
questo non basta a spiegare il desiderio
d’indipendenza.
L’altra notizia sconcertante è quella dei
suicidi. Secondo uno studio dell’università
privata Link campus university di Roma,
tra il 2012 e il 2013 si sono tolti la vita per
motivi economici un centinaio di piccoli
imprenditori veneti.
Il Veneto è la quinta regione d’Italia per
pil pro capite, e anche il tasso di disoccupazione (7,2 per cento) è nettamente inferiore alla media nazionale (12,9 per cento).
Ma in nessun’altra regione la crisi si è sentita così tanto. Dal 2007 il pil regionale si è
ridotto del 10,5 per cento e il tasso di disoccupazione è aumentato di quattro punti
percentuali. Diecimila imprese sono state
costrette a chiudere e altrettante lottano
per la sopravvivenza. È questo il motivo dei
suicidi? Cosa sta succedendo nel nordest
italiano? Come mai tanti veneti hanno perso la iducia nello stato e nel futuro?
Un capannone nella provincia di Vicenza. Il rumore dei macchinari, un paio di
operai e alcuni mucchi di anelli metallici.
“Sono ladri, assassini e trufatori”, sbotta
Antonio Costalunga, uno dei seicentomila
imprenditori veneti. Perde il controllo
quando pensa alla classe politica italiana.
Costalunga, 67 anni, è alto e robusto.
Ha le mani sporche d’olio ed è nato da una
famiglia operaia di Schio, una cittadina a
pochi chilometri di distanza. Ha raggiunto
il benessere economico con il lavoro e la
fatica, ma da qualche anno gli afari della
sua fabbrica metalmeccanica sono in caduta libera. Ha dovuto licenziare alcuni operai
e la banca non gli fa più credito. Costalunga
non riesce a trattenere la rabbia: “Io ho dato
il mio contributo allo sviluppo dell’Italia e
ora che le cose vanno male lo stato mi abbandona. I politici hanno mandato in rovina questo paese e noi ne dobbiamo subire
le conseguenze”, protesta, l’imprenditore.
“Paghiamo le tasse più alte d’Europa e le
banche non ci danno più soldi”.
Costalunga ha partecipato a una puntata del programma tv Servizio pubblico in cui
si parlava dei suicidi. È stato invitato perché giocava a calcio con uno degli imprenditori che si è suicidato: Elia Marcante. La
ditta di Marcante produceva macchine per
la lavorazione del legno. Quattordici dipendenti, tra cui i suoi due igli. Una sera di
marzo del 2013 sua iglia lo ha trovato impiccato all’interno della fabbrica.
Durante il dibattito in tv Costalunga ha
urlato ai politici presenti: “Vergognatevi
perché siete voi che avete sulla coscienza
Marcante e tutti gli altri”. Il suo è stato lo
sfogo di un uomo orgoglioso che vede minacciato il lavoro di una vita.
Costalunga si mise in proprio alla ine
degli anni sessanta. Dava l’impressione di
essere una persona decisa e convinse il direttore di una iliale di banca a fargli credito
per aprire uno stabilimento di tornitura.
L’azienda cresceva. Costalunga si dava
da fare, tornava a casa solo per dormire. A
metà degli anni duemila alla lavorazione
dell’acciaio ha aiancato la produzione di
stufe a pellet. Per tenere a distanza i sindacati e non dover sottostare alle rigide norme contro i licenziamenti ingiustificati,
l’imprenditore è sempre rimasto sotto la
soglia dei quindici dipendenti, anche se
avrebbe avuto bisogno di più persone. Oggi invece i dieci dipendenti rimasti sono
troppi.
Nel 2005 un subappaltatore ha combinato un guaio dipingendo centinaia di stufe con una vernice che si staccava con il
calore forte. Sono passati quattro anni prima che il perito incaricato dal tribunale
confermasse l’errore, ma il verdetto deinitivo deve ancora arrivare. “La giustizia italiana è così: uno schifo”, commenta Costalunga. Gli italiani non avevano più i soldi
per comprare le stufe e lui ha venduto quel
settore della ditta.
Malgrado le diicoltà, l’imprenditore si
tiene stretta la sua fabbrica. Si aggira nel
capannone, dalle quattro del mattino e con
la tuta da lavoro, lottando per difendere il
suo lavoro. “I miei uomini”, esclama, “li
ho sempre pagati. Sempre!”.
Separatismo latente
Nessuno può spiegare meglio di Daniele
Marini, sociologo dell’università di Padova, specializzato nel nordest italiano, cosa
signiica la crisi per questa regione. Nel secondo dopoguerra, racconta, il Veneto era
una delle regioni più povere del paese.
Molti abitanti emigrarono per cercare for-
bilità. I pochi che nel corso degli anni hanno investito nell’azienda e si sono orientati
verso un orizzonte internazionale stanno
superando la crisi. Gli altri si sono rivelati
troppo poco innovativi. Il 90 per cento delle aziende venete conta meno di dieci dipendenti e ha trionfato sul mercato inché
la globalizzazione non gli ha fatto perdere
la posizione dominante. “Che si trattasse
di scarpe, sedie o carta”, dice Marini, gli
imprenditori veneti “di colpo si sono trovati a competere con i cinesi, che ofrivano
prodotti di qualità simile a un prezzo più
conveniente”.
Questa versione dei fatti non è molto
popolare in Veneto, dove si preferisce dare
la colpa delle diicoltà alla politica e ai meridionali. Le diferenze tra il nord ricco e il
sud povero hanno favorito in dagli anni
ottanta le ambizioni secessioniste in Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto. Da
gruppi regionali formati in quel periodo
nacque la Lega nord, un movimento popu-
In Veneto avere successo come
imprenditore è la cosa migliore
che ti possa capitare. Fallire invece
è la peggiore
tuna. Poi negli anni sessanta ci fu una rapida ripresa, grazie soprattutto alle piccole
imprese manifatturiere a gestione familiare. Fino agli anni novanta queste aziende
hanno permesso alla regione di avere tassi
di crescita annui compresi tra il 7 e l’8 per
cento. “E a questa tendenza si sono associate ascese sociali estreme”, dice Marini.
Gli imprenditori sono per il 60 per cento
ex operai che si sono messi in proprio nel
settore tessile o della lavorazione del legno,
nel settore meccanico o della produzione
della carta, guadagnando bene. Pur essendo cattolici, spiega Marini, i piccoli imprenditori hanno mostrato un’etica del lavoro
calvinista: “Hanno in comune un notevole
senso della responsabilità, uno stile dirigenziale paternalistico e un grande orgoglio per quel che hanno realizzato”.
Per questo ora la crisi è così dura da
sopportare, il loro orgoglio è ferito. Bisogna tener conto di questo per comprendere
i suicidi, spiega Marini. “In Veneto avere
successo come imprenditore è la cosa migliore che ti possa capitare. Fallire invece è
la peggiore”. Secondo il professore, gli imprenditori hanno la loro parte di responsa-
lista di destra che sostiene di lottare contro
i politici corrotti di Roma e che chiede più
autonomia per i lavoratori settentrionali.
All’inizio degli anni novanta la Lega
nord approittò dello scandalo di Tangentopoli, un intreccio di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti.
Con la disgregazione dei partiti della prima repubblica la Lega si trasformò in un
partito di massa.
Con la crisi, questo separatismo latente
che esisteva da tempo ha avuto un nuovo
slancio. Nella memoria collettiva dei veneti si agita ancora lo spettro dell’antica Repubblica di Venezia, la Serenissima, una
potenza marittima ed economica che crollò nel 1797.
Uno che da molto tempo sogna la rinascita della Serenissima è Gianluca Busato,
45 anni, imprenditore informatico, l’uomo
che ha lanciato la consultazione di marzo e
che da un anno tiene conferenze e compare regolarmente in tv. Sono passati i tempi
in cui organizzava segretamente circoli separatisti con un paio di compagni di lotta.
Busato, jeans, polo bianca e sguardo cordiale, non ha l’aria dell’agitatore. A metà
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Visti dagli altri
degli anni novanta fu espulso dalla Lega
nord perché il suo impegno militante per
l’indipendenza dell’Italia del nord non rientrava più nella linea del partito, che nel
frattempo aveva costituito una coalizione
di governo con Forza Italia e con Alleanza
nazionale, partito radicato soprattutto
al sud.
Busato non ha mai smesso di battersi
per raggiungere il suo obiettivo. Nel 2012
ha cercato di ottenere una prima consultazione popolare. Ha raccolto irme per una
petizione che ha presentato alla giunta regionale e all’Unione europea. Non avendo
avuto successo ha deciso di agire di propria
iniziativa, mettendo in piedi un sito dove i
cittadini del Veneto registrandosi potevano votare. Il risultato è stato annunciato il
21 marzo scorso davanti a duemila persone
esultanti in piazza dei Signori, a Treviso.
“È stato un grande momento”, ricorda.
Per i veneti è insopportabile essere trascinati nel baratro “da uno stato che è uno
Anche l’ex imprenditore Massimo Colomban, 66 anni, è stanco della politica.
Vuole cambiare il paese e insieme ad altri
imprenditori veneti, manager, presidenti
di associazioni e delle camere di commercio, ha fondato Si Salviamo l’Italia, una
rete di oltre trenta associazioni per elaborare proposte di legge subito attuabili.
Per incontrare Colomban bisogna arrivare ino a Cison di Valmarino, un antico
borgo ai piedi delle Dolomiti. Da qui si
prende una funicolare ino a un magniico
castello che ai tempi dei romani era una
fortezza e oggi ospita un albergo di lusso
con parchi sterminati e diversi musei. Colomban ha acquistato la tenuta alcuni anni
fa e l’ha restaurata, spendendo 40 milioni
di euro. È diventato ricco grazie all’impresa edile Permasteelisa, fondata negli anni
settanta e diventata una multinazionale.
Oggi Colomban lavora come investitore e
consulente. Sorseggia il suo martini con
ghiaccio nel bar dell’albergo mentre lascia
Molti sindaci sono stati eletti per la
loro ostilità nei confronti dello stato
centrale e consolidano la loro
popolarità con campagne d’odio
dei più indebitati del mondo e che ogni anno sottrae al Veneto 21 miliardi di euro in
imposte per tappare buchi di bilancio da
qualche altra parte”, si sfoga Busato. Per
“afamare la bestia”, come dice, ha esortato i veneti a smettere di pagare le tasse. Busato dice che alle elezioni regionali, issate
per maggio, ci sarà un’altra opzione oltre ai
soliti partiti: l’indipendenza. E poi? “La realizzeremo”. E se lo stato italiano non lo
permetterà? “Lotteremo”.
Ad aver perso la iducia nello stato non
sono solo separatisti fanatici come Busato.
L’Italia di oggi è “un paese frastornato, in
cui i cittadini non sanno più a cosa devono
credere”, aferma il sociologo Ilvo Diamanti. Una volta all’anno il suo istituto di ricerca fa un’inchiesta sul rapporto che gli italiani hanno con lo stato. Tra il 2001 e il 2010
circa il 30 per cento degli intervistati si idava delle istituzioni. Una percentuale bassa
che però nell’ultimo sondaggio (a dicembre del 2013) è precipitata al 19 per cento.
Anche la iducia nelle amministrazioni regionali e comunali e nell’Unione europea si
sta esaurendo, mentre nei partiti crede ormai solo il 5 per cento degli italiani.
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vagare lo sguardo sull’ampia vallata. “Senza corruzione in Italia non funziona nulla.
L’Italia è diventata la faccenda privata di
una casta di politici, impiegati e funzionari
corrotti”, dice. E aggiunge che un imprenditore deve sempre pagare, fare favori,
proteggere i igli di qualcuno. Ogni anno
questa situazione costa 60 miliardi di euro
allo stato.
Il peso del isco
Una delle leggi proposte da Colomban e
dalla rete di organizzazioni riguarda la corruzione e la concussione: “Chi crea un
danno allo stato deve restituire una cifra
doppia sull’ammontare ricevuto illecitamente, oltre a essere interdetto per sempre
dai pubblici uici, dai partiti e da qualsiasi
ente o azienda con una partecipazione
pubblica”. Solo così lo stato potrà essere
risanato, spiega l’ex imprenditore. Scuola,
lavoro, sanità, giustizia: in tutti i campi occorrono nuove leggi. La burocrazia e l’alto
onere iscale devono essere ridotti. Racconta che il produttore di pasta Rana ha
dovuto trattare con le autorità per sette anni prima di poter costruire uno stabilimen-
to in Veneto, mentre negli Stati Uniti
dall’acquisto del terreno alla fabbricazione
dei primi tortellini sono passati appena undici mesi.
Alcune aziende, prosegue Colomban,
danno al isco il 70 per cento del loro guadagno lordo. Dal momento che ino al 2014
l’Irap, la tassa regionale, non prevedeva
deduzioni sul costo del personale e sulle
spese di finanziamento, le imprese con
molti dipendenti e una copertura inanziaria limitata sono state particolarmente
svantaggiate. “Siamo un paese con uno dei
tassi di disoccupazione più alti d’Europa e
ci permettiamo una tassa sull’occupazione. È una follia”.
I mezzi d’informazione seguono con
attenzione le idee escogitate da quest’uomo dietro le mura del suo castello. Nel 2013
hanno reagito con irritazione quando Colomban ha fatto incontrare nella sua tenuta
gli imprenditori locali e gli attivisti del Movimento 5 stelle, schierato apertamente
contro l’intero establishment politico. Successivamente hanno riferito che Colomban sosteneva il presidente del consiglio
Matteo Renzi nel suo impegno riformista.
Poi hanno dato la notizia che l’ex imprenditore è un simpatizzante dell’indipendentismo veneto. Il leader separatista Busato
ha annunciato con orgoglio che Colomban
ha messo il suo castello a disposizione
dell’assemblea costituente della nuova repubblica veneta.
Busato non ha più iducia nell’Italia? “Ci
troviamo in una situazione di emergenza”,
dice, “abbiamo bisogno di una ripartenza
immediata. Se il governo collaborerà, bene. Altrimenti ne faremo a meno”.
Di questi tempi in Veneto si può osservare chiaramente cosa succede in una società che ha perso la fiducia nello stato.
Oltre al separatismo, si sta affermando
l’intolleranza verso gli stranieri e gli emarginati. Questo sentimento viene alimentato da molti sindaci che sono stati eletti per
la loro ostilità nei confronti dello stato centrale e che stanno consolidando la loro popolarità con costanti campagne d’odio, in
una spirale negativa che erode ancora di
più la iducia nelle istituzioni.
Il prototipo del sindaco che s’infuria a
ogni occasione è Luca Claudio, di Abano
Terme. Il suo uicio è pieno di gagliardetti
con il ritratto del duce e altri souvenir di
Mussolini. “Un regalo dei cittadini”, spiega il politico. Per lui i suicidi degli imprenditori sono stati una manna dal cielo. In un
ProsPekt
Verona, 26 dicembre 2014. Un
autolavaggio self service sulla
tangenziale Nord
appello rivolto al presidente del consiglio e
al presidente della repubblica, inviato anche al papa e al presidente della Commissione europea, Claudio ha chiesto, facendo
clamore, misure concrete. “I suicidi si diffondono a macchia d’olio e producono un
pericoloso meccanismo di emulazione”,
aferma Claudio. Abano terme è una ricca
località termale e ha ventimila abitanti.
Quasi nessun disoccupato, poca criminalità. Questo, però, non ha impedito a Claudio di organizzare delle ronde. e di invitare
i cittadini a emigrare afermando, attraverso dei tabelloni luminosi del comune, che
lo stato tratta gli immigrati meglio degli
autoctoni. “È stata una provocazione”, dice il sindaco sorridendo.
Giovani disoccupati
Anche a Verona, la città di romeo e Giulietta, si respira da tempo il tanfo dell’intolleranza. Quando Goethe fece tappa qui,
durante il suo viaggio in Italia, descrisse
l’impressione che ebbe di Verona in questi
termini: “Del resto si grida, si scherza e si
canta per tutta la giornata fra un brulichio,
una confusione, un tripudio e risate che
non iniscono mai. L’aria mite e il vitto a
buon mercato rendono facile la vita”.
A circa 230 anni di distanza di quell’atmosfera è rimasto ben poco. Il sindaco
vuole valorizzare il centro storico. Per farlo, prima ha vietato ai cittadini di dare da
mangiare in strada ai senzatetto: chi si oppone all’ordinanza deve pagare una multa
compresa tra i 25 e i 500 euro. Poi ha fatto
togliere le panchine per evitare che i sen-
zatetto ci dormissero. “La città ha perso la
sua aria allegra”, dice Alice Peres, 39 anni,
un’artista di strada che con il compagno e il
iglio di cinque anni esegue i suoi numeri
acrobatici davanti all’Arena. La donna
estrae dallo zaino un foglio: si tratta del
nuovo regolamento che permette agli artisti di strada di usare il suolo pubblico per le
loro esibizioni solo sette giorni al mese. Il
compagno dell’acrobata ha ricevuto una
multa di 168 euro perché stava mimando
un antico romano senza licenza. Da quel
giorno la coppia ha paura di essere multata
di nuovo.
oggi fare un viaggio in questa regione
signiica attraversare una società disorientata. stefano Allievi, sociologo dell’università di Padova, vede nell’aspirazione all’indipendenza il tentativo di fuggire dai pro-
Da sapere
I consumi delle famiglie
Variazione dei consumi rispetto all’anno
precedente, %
Fonte: Unioncamere Veneto, rapporto 2013
0,9
Veneto
Italia
0,9
-0,1
-1,1
-0,3
-1,4
-3,3
2008-2009
2010-2011
-3,5
2012-2013
2014
blemi reali. “Nel Veneto di oggi”, spiega,
“non resta praticamente più nulla della
cultura cosmopolita e del primato economico dell’antica repubblica di Venezia.
Quella di oggi è una società chiusa, in gran
parte provinciale a livello economico, arretrata sul piano digitale e che conosce poco
le lingue straniere”. se i veneti vogliono
evitare un ulteriore declino, prosegue il
sociologo, devono uscire dall’ombra del
passato e aprirsi ai cambiamenti del mondo globalizzato.
Allievi ha iducia nei giovani, ma neanche per loro è facile. Davide Corporali ha
studiato economia aziendale e spiega
quanto guadagna in Italia un giovane appena entrato nel mondo del lavoro. Nei
primi sei mesi si riceve di solito solo un
rimborso spese di 500 euro, poi per i successivi tre anni si guadagna 1.000 euro.
“Però ottenere un contratto a tempo indeterminato è molto diicile”. Il 40 per cento
degli italiani con meno di venticinque anni
è disoccupato, e un laureato su quattro lascia l’Italia.
Meglio fondare un’impresa, hanno
pensato l’anno scorso Corporali e i suoi
amici. L’azienda mette in contatto i produttori locali di generi alimentari e i consumatori. Carne, frutta, verdura, pane, formaggio, pasta, vino: sul suo sito la ditta
ofre cibi freschi d’ogni tipo. I giovani hanno irmato un contratto con alcuni produttori selezionati da cui vanno a prendere
direttamente la merce per poi consegnarla
ai clienti entro tre giorni dall’ordine. L’attività è ancora in fase sperimentale. secondo Corporali, le dimensioni della città fanno di Verona il luogo ideale per questa attività, “che può facilmente essere estesa ad
altre città con dimensioni simili”. Non appena qui gli afari cominceranno ad andare
bene, il servizio potrebbe espandersi.
Questi ragazzi non ricevono aiuti. In
Italia le sovvenzioni pubbliche e i inanziatori privati sono rari, perciò molti giovani si
trasferiscono all’estero. Corporali e i suoi
soci hanno versato un capitale iniziale di
25mila euro e reinvestono tutte le entrate
nell’azienda. Per guadagnarsi da vivere per
ora fanno un altro lavoro. Corporali (per
esempio) passa le serate dietro il bancone
di un bar. “Per il momento”, dice, “mi sta
bene così”. u fp
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
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Le opinioni
Putin riscrive la storia
della guerra fredda
Natalie Nougayrède
el dibattito sull’atteggiamento che do i crimini commessi in Europa orientale, il presidente
l’Europa dovrebbe adottare nei con- rischierebbe di compromettere la sua narrativa.
A novembre Putin ha rilasciato la seguente dichiafronti della Russia è passato quasi
inosservato un importante anniver- razione a proposito della Russia: “Comprendiamo
sario: settant’anni fa Winston Chur- quanto sia pericolosa una ‘cortina di ferro’ per noi. Non
chill, Franklin Delano Roosevelt e seguiremo questa strada, nessuno ci costruirà un muro
Iosif Stalin si incontrarono a Jalta per discutere intorno”. Mi ha ricordato il ilm Goodbye, Lenin!, in cui
dell’equilibrio mondiale che sarebbe emerso dopo la una donna comunista della Germania Est entra in cosconitta della Germania nazista. Si dice spesso che a ma prima della caduta del muro di Berlino. Al suo risveJalta i tre leader si spartirono l’Europa. In realtà l’Eu- glio il iglio cerca di alleviarne il trauma producendo un
into notiziario in cui i tedeschi dell’est
ropa era già stata divisa dall’avanzata
che scappano verso l’ovest vengono dedell’armata rossa. I tre stabilirono che Come avvenuto tra
nei paesi occupati si sarebbero svolte Francia e Germania, scritti come tedeschi dell’ovest in fuga
“elezioni libere”. Stalin, però, non man- la Russia e l’Europa verso la Ddr.
Creando una realtà alternativa, Putin
tenne la promessa e instaurò ovunque potranno costruire
dipinge la Russia come una vittima, non
delle dittature comuniste.
un rapporto
come l’aggressore che in effetti è in
In seguito Roosevelt ammise privata- duraturo solo
Ucraina. In questo tentativo di ritagliarsi
mente che lui e Churchill erano stati in- quando
una zona d’inluenza in Europa, il presigenui e si erano fatti ingannare dal leader condivideranno la
dente parte dalla premessa che l’occisovietico. D’altra parte uno dei loro obietstessa versione del
dente non ha rispettato la Russia dopo la
tivi principali era assicurarsi che l’Unione
loro passato
ine della guerra fredda. C’è molta mistiSovietica partecipasse allo sforzo bellico
icazione in questa idea, anche se l’occicontro il Giappone, e Stalin chiese in
cambio il dominio sull’Europa orientale. Per gli europei dente non è esente da colpe. Come ha scritto la storica
dell’est, Jalta è diventata sinonimo del sacriicio della Mary Elise Sarotte, l’occidente non ha mai promesso di
libertà delle piccole nazioni entrate nella sfera d’in- non allargare la Nato. Gorbaciov accettò i termini della
luenza delle grandi potenze. I russi, invece, sono con- riuniicazione della Germania oferti da George Bush e
vinti di essere stati dei liberatori. Oggi la guerra in Helmut Kohl perché aveva un disperato bisogno dell’asUcraina ha riacceso il dibattito sulle “zone d’inluen- sistenza inanziaria tedesca.
Si deve però ammettere che la Russia è stata messa
za”: per una strana coincidenza lo scontro tra l’Europa
e la Russia verte proprio sul paese dove si tenne la con- in una situazione in cui una vecchia struttura della guerra fredda, la Nato, ha semplicemente continuato a
ferenza di Jalta.
In questo confronto la battaglia retorica è importan- espandersi, mentre nessuno ha pensato di creare un
te quanto quella sul campo. Vladimir Putin ha da sem- sistema per inquadrare i futuri rapporti tra Mosca e
pre l’abitudine di evocare la storia per giustiicare le sue l’Europa. Più che al cinismo dell’occidente, Sarotte atazioni. In un discorso pronunciato nel marzo del 2014 il tribuisce questo errore alla rapidità con cui si veriicaropresidente russo ha descritto l’annessione della Crimea no gli eventi tra il 1989 e il 1991.
Francia e Germania sono riuscite a riconciliarsi docome la correzione di un’ingiustizia storica. Putin ha
anche dichiarato che tutti i russi, anche quelli che vivo- po la seconda guerra mondiale anche grazie a una valuno negli altri paesi dell’ex Unione Sovietica, restano tazione comune della storia. Allo stesso modo, Russia
parte della nazione russa, sottintendendo che in futuro ed Europa potranno costruire un rapporto duraturo soMosca potrebbe “proteggere” anche loro. Questa logi- lo quando condivideranno la stessa versione del loro
ca equivale a consegnare l’intero ordine europeo basato passato. Perché questo avvenga è indispensabile che i
russi curino le ferite che si sono inlitti da soli, e in quesulle regole alla pattumiera della storia.
In tutto il mondo esiste il desiderio di proiettare la sto senso è signiicativo che Putin non abbia mai visitaconoscenza e le emozioni di oggi sugli eventi del passa- to il monumento alle vittime dei gulag a Mosca.
Per il momento non c’è da essere ottimisti. Di recento, e riscrivere così la storia. I regimi totalitari, però,
sfruttano la versione uiciale della storia e la propagan- te il presidente del parlamento russo ha condannato
da per consolidare la loro esistenza, un processo perfet- “l’annessione” della Germania Est da parte della Gertamente descritto da George Orwell. Putin sa benissi- mania Ovest nel 1990. Nel mondo di Putin, come dicemo quanto il modo in cui i russi vedono la loro storia è va una vecchia battuta sovietica, il futuro è certo, è il
importante per la sua legittimità politica. Riconoscen- passato che è imprevedibile. u as
N
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
NATALIE
NOUGAYRÈDE
è una giornalista
francese. È stata
corrispondente di
Libération e della Bbc
dalla Cecoslovacchia
e dal Caucaso e ha
diretto Le Monde dal
2013 al 2014. Scrive
questa column per il
Guardian.
Le opinioni
Il grande equivoco
del debito pubblico
Paul Krugman
Niente afatto. Una famiglia indebitata deve dei
econdo molti economisti, compresa la presidente della Federal reserve statunitense soldi a qualcun altro, mentre l’economia deve dei soldi
Janet Yellen, i guai dell’economia globale a se stessa. È vero che i paesi possono indebitarsi con
dal 2008 in poi sono dovuti soprattutto al altri paesi, ma dal 2008 l’indebitamento degli Stati
deleveraging o riduzione della leva inanzia- Uniti con l’estero è diminuito, mentre l’Europa è in
ria (ovvero il tentativo simultaneo di ridur- credito netto con il resto del mondo. Siccome sono solre il livello d’indebitamento in tutto il mondo). Perché di che dobbiamo a noi stessi, il debito non rende direttamente l’economia più povera, e rimla riduzione della leva inanziaria è un
borsarlo non ci rende più ricchi. Il debito
problema? Perché la spesa di Tizio è il Una famiglia
può rappresentare una minaccia alla
reddito di Caio e la spesa di Caio è il red- indebitata deve dei
dito di Tizio: perciò, se tutti tagliano la soldi a qualcun altro, stabilità finanziaria, ma la situazione
non migliora se per ridurlo si spinge
spesa nello stesso momento, il reddito mentre l’economia
l’economia verso la delazione e la decala in tutto il mondo. Come ha detto Yel- deve dei soldi a se
len nel 2009, “quelle che per i privati e le stessa. Il debito non pressione.
Il che ci riporta agli eventi delle ultiimprese sono giuste precauzioni – e anzi, rende l’economia
me settimane, perché c’è un collegasono essenziali per riportare l’economia
più povera, e
mento diretto tra l’incapacità di ridurre
alla normalità – purtroppo aggravano le
rimborsarlo non ci
l’indebitamento e la crisi politica che sta
diicoltà dell’economia in generale”.
emergendo in Europa. I leader europei
Quanti progressi abbiamo fatto nel rende più ricchi
sono convinti che la crisi economica sia
riportare l’economia alla “normalità”?
Nessuno. Le autorità politiche e inanziarie hanno agito stata provocata da un eccesso di spesa da parte di paepartendo da una lettura sbagliata del debito, e i loro ten- si che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilitativi di ridimensionare il problema in realtà lo hanno tà. La strada giusta, secondo la cancelliera tedesca
aggravato. Innanzitutto, i fatti: da un recente rapporto Angela Merkel, è il ritorno alla sobrietà. L’Europa, ha
del McKinsey global institute intitolato “Debito e (non detto, dev’essere parsimoniosa come la proverbiale
molto) deleveraging” emerge che il rapporto tra debito casalinga sveva.
Questo ha provocato una catastrofe al rallentatore.
complessivo e pil non si è ridotto in nessun paese del
mondo. Il debito privato è calato in alcuni paesi, spe- I debitori europei dovevano sì stringere la cinghia, ma
cialmente negli Stati Uniti, ma è cresciuto in altri, e do- l’austerità che sono stati costretti ad adottare è stata
ve c’è stata una signiicativa riduzione dell’indebita- incredibilmente brutale. Nel frattempo, la Germania e
mento delle aziende e dei cittadini il debito pubblico è altre grandi economie – che dovevano spendere di più
per compensare la contrazione nella periferia – hanno
cresciuto più di quanto è diminuito quello privato.
Qualcuno penserà che se non siamo riusciti a ridur- cercato a loro volta di spendere meno. Così si è creata
re il rapporto tra debito e pil è perché non ci abbiamo una situazione in cui ridurre il rapporto tra debito e pil è
provato: famiglie e governi non si sono impegnati abba- diventato impossibile: la crescita reale ha rallentato
stanza a stringere la cinghia, perciò ci vuole più austeri- bruscamente, l’inlazione è scesa quasi a zero e nei patà. La realtà, però, è che non abbiamo mai avuto tanta esi più colpiti è arrivata addirittura la delazione.
I poveri elettori hanno sopportato questo disastro
austerità. Come ha osservato il Fondo monetario internazionale, la spesa pubblica reale al netto degli interes- per un tempo sorprendentemente lungo, credendo alla
si è scesa in tutti i paesi ricchi: ci sono stati pesanti tagli promessa che presto i loro sacriici sarebbero stati ripanei paesi indebitati dell’Europa meridionale, ma ci so- gati. Ma dato che le diicoltà continuavano ad aumenno stati tagli anche in paesi come la Germania e gli Sta- tare senza produrre risultati, la radicalizzazione è stata
ti Uniti, che pure sono in grado di inanziarsi a tassi inevitabile. Chiunque si sorprenda della vittoria della
sinistra in Grecia o dell’avanzata delle forze anti-estad’interesse vicini ai minimi storici.
Tutta questa austerità ha peggiorato le cose. Era blishment in Spagna non è stato abbastanza attento.
Nessuno sa cosa succederà ora, anche se i bookmaprevedibile, perché l’invito a risparmiare si è fondato
su un fraintendimento del ruolo del debito nell’econo- ker considerano sempre più probabile l’uscita della
mia. L’equivoco è evidente ogni volta che qualcuno si Grecia dall’euro. Forse i danni si fermeranno qui, ma io
scaglia contro il deicit con slogan come “Smettiamo non credo: l’uscita della Grecia minaccerebbe l’intero
di rubare ai nostri igli”. Apparentemente suona bene: progetto della moneta unica. E se l’euro fallirà, sulla sua
le famiglie che s’indebitano s’impoveriscono, perciò lapide bisognerà scrivere: “Morto per un’analogia sbagliata”. u fas
vale lo stesso per il debito pubblico, giusto?
S
32
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
PAUL KRUGMAN
è un economista
statunitense. Nel
2008 ha ricevuto il
premio Nobel per
l’economia. Scrive sul
New York Times. Il
suo ultimo libro
pubblicato in Italia è
Fuori da questa crisi,
adesso! (Garzanti
2012).
In copertina
Non rispondon
John Gibler, The California Sunday Magazine,
Stati Uniti. Foto di Timothy Fadek
Il 26 settembre, nello stato messicano di Guerrero,
43 studenti sono scomparsi dopo essere stati
fermati dalla polizia. La ricostruzione di
una giornata che ha cambiato per sempre il paese
34
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
studenti scomparsi. I mezzi d’informazione
nazionali e internazionali hanno cominciato a interessarsi della questione dal 4 ottobre, dopo che la procura ha annunciato di
aver scoperto la prima di una serie di fosse
comuni alla periferia di Iguala. Quando gli
antropologi forensi hanno confermato che
il primo dei trenta corpi trovati carbonizzati non era di uno studente di Ayotzinapa, la
rabbia ha preso il sopravvento. A ottobre ci
sono state manifestazioni e presidi in tutto
il paese. A Chilpancingo, la capitale dello
stato di Guerrero, gli studenti della scuola
rurale hanno rotto le inestre e incendiato
gli ediici del governo statale. A Iguala i manifestanti hanno saccheggiato il comune.
Sequestro a tempo
Anche se non è stato un evento isolato né il
peggior massacro degli ultimi anni, quello
che è successo il 26 settembre ha colpito
profondamente la società messicana. Forse
per la ferocia e la brutalità dei fatti, perché
le vittime sono studenti, perché gli autori
materiali sono soprattutto poliziotti, perché
è probabile che dietro l’imboscata ci siano il
sindaco di Iguala, sua moglie e il capo della
polizia, per il modo in cui il governo ha gestito le indagini o per l’insensibilità mostrata verso le famiglie degli studenti. Qualunque sia la causa (forse è una combinazione
di tutte queste ragioni) l’efetto che questa
vicenda ha avuto sul paese è enorme. Iguala
è diventata sinonimo di trauma collettivo. Il
Messico è in lutto, e al centro del dolore ci
sono le 43 famiglie sul campo da pallacanestro di Ayotzinapa e la loro straziante richiesta: se li sono presi vivi, li rivogliamo vivi.
Ogni anno 140 nuovi studenti entrano
nella scuola maschile rurale per maestri di
Redux/COntRAStO
A
ll’inizio di ottobre il campo da pallacanestro della
scuola normale rurale di
Ayotzinapa, nello stato
messicano di Guerrero,
è diventato una sala d’attesa all’aperto piena di disperazione. Sotto
il tetto di lamiera del campo, le famiglie di
43 studenti scomparsi si sono ritrovate per
seguire le ricerche, le manifestazioni di protesta e le riunioni con i funzionari del governo, i difensori dei diritti umani e gli antropologi forensi. Riuniti in gruppi ai bordi del
campo, seduti sul pavimento o su sedie pieghevoli disposte a semicerchio, i genitori
parlavano tra loro a voce bassa. Molti erano
arrivati da piccole comunità indigene delle
montagne e non avevano vestiti di ricambio. Cercavano tutti i loro igli.
La notte del 26 settembre 2014 a Iguala,
a pochi chilometri da Ayotzinapa, alcuni
poliziotti hanno teso un’imboscata a cinque
autobus di studenti della scuola rurale e a
un altro su cui viaggiava una squadra di calcio. Insieme a tre sicari non identificati,
hanno ucciso sei persone, ne hanno ferite
altre venti e hanno fatto “sparire” 43 studenti. Il cadavere di una delle vittime è stato
trovato in un campo la mattina dopo. Gli
assassini hanno reso irriconoscibile il suo
volto. I soldati del ventisettesimo battaglione di fanteria, incaricati di combattere il
crimine organizzato, non sono intervenuti.
La loro caserma è a meno di tre chilometri
di distanza.
In un primo momento la notizia dell’agguato è stata accolta da una muta indignazione, soprattutto perché le informazioni
che arrivavano erano confuse. Per giorni
sono circolate cifre contraddittorie sugli
Ayotzinapa. Gli studenti provengono da alcuni dei villaggi più poveri del mondo, dove
di solito la scuola elementare è una stanza
di paglia e fango senza elettricità né acqua
corrente. Ma non c’è futuro neanche per i
ragazzi più volenterosi: molti sono destinati a entrare nel narcotraico o ad attraversare il deserto dell’Arizona per lavorare come
no all’appello
Una manifestazione per gli studenti scomparsi, il 23 ottobre 2014 a Chilpancingo
braccianti in California o come lavapiatti a
Chicago. La scuola di Ayotzinapa ofre la
possibilità di una professione. La retta, il
vitto e l’alloggio sono gratuiti, e il governo
statale paga 50 pesos (3 euro) al giorno per
studente per garantire una dieta a base di
uova, riso e fagioli. Gli studenti si occupano
delle pulizie e della mensa. Le camere dei
ragazzi che frequentano il primo anno sono
scatole di cemento senza inestre né mobili.
In ogni stanza vivono al massimo otto studenti, che di notte dormono su cartoni e
coperte. Alcuni attaccano una cassetta al
muro e la usano come comodino.
Le scuole rurali per maestri furono create dopo la rivoluzione messicana per pro-
muovere l’alfabetizzazione nelle campagne. A metà del novecento ce n’erano trentasei. Nel 1969 il governo federale chiuse
vari istituti e oggi ne restano solo quattordici. Quella di Ayotzinapa fu fondata nel 1926,
e come tutte le scuole rurali per maestri ha
una lunga tradizione di movimenti studenteschi di sinistra. I murales della scuola non
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In copertina
ritraggono solo rivoluzionari di fama internazionale come Che Guevara o il subcomandante Marcos, ma anche leader guerriglieri degli anni settanta come Lucio Cabañas Barrientos e Genaro Vázquez Rojas,
entrambi ex studenti di Ayotzinapa. Alcuni
commemorano due studenti uccisi dalla
polizia nel 2011 durante una protesta per
ottenere più risorse per la scuola.
Una delle “attività” più comuni tra gli
studenti è il sequestro degli autobus. Il tirocinio è fondamentale per il percorso di studi, ma la scuola non ha molti mezzi di trasporto per accompagnare gli studenti nei
vari istituti. All’inizio di settembre aveva
due autobus, due furgoncini e una camionetta. Così quando c’è bisogno di un mezzo
di trasporto, gli studenti vanno al terminal
più vicino o bloccano una strada, fermano
un autobus e informano l’autista e i passeggeri che il veicolo sarà usato “a ini didattici
dalla scuola di Ayotzinapa”. Ormai è diventata un’abitudine.
I funzionari del governo condannano le
azioni degli studenti e li accusano di essere
dei ladri. Gli studenti sostengono che non si
tratta di furti perché arrivano sempre a “un
accordo” che prevede un pagamento. Gli
autisti infatti non abbandonano i loro mezzi: a volte dopo aver raggiunto una scuola si
accampano lì e ricevono da mangiare per
settimane e a volte anche mesi. I blocchi
delle autostrade, invece, di solito avvengono ai caselli: gli autisti, circondati, tendono
a “devolvere” l’equivalente del pedaggio al
fondo trasporti della scuola rurale. Nessuna
di queste tattiche è esclusiva di Ayotzinapa,
ma qui sono parte integrante del funzionamento della scuola.
Nel maggio del 2013 una giornalista di
Televisa, Adela Micha, ha intervistato il governatore dello stato di Guerrero, Ángel
Heladio Aguirre Rivero (si è dimesso il 23
ottobre 2014). Micha gli ha chiesto come
mai i furti di autobus da parte degli studenti fossero così comuni. “Ayotzinapa è diventata una specie di bunker”, ha risposto
Aguirre. “Le autorità statali e federali non
riescono a entrare. Alcuni gruppi la usano
come base per indottrinare i ragazzi e alimentare il malcontento sociale”. Micha ha
chiesto: “Chi li sta indottrinando?”. “Qualche guerriglia insonne”, ha afermato il governatore.
L’azione del 26 settembre non doveva
svolgersi a Iguala. “Volevamo andare a
Chilpancingo”, mi spiega Iván Cisneros,
uno degli studenti del secondo anno che
quel pomeriggio coordinava le attività. “Le
nostre azioni si svolgono sempre lì. Ma la
situazione era molto tesa e non volevamo
36
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mettere a repentaglio nessuno, così siamo
andati a Iguala”.
La seguente cronaca di quello che è successo la notte del 26 settembre si basa sulle
interviste a quattordici studenti sopravvissuti e a una decina di abitanti della zona,
compresi quattro giornalisti presenti durante i fatti. I nomi degli studenti sopravvissuti sono stati cambiati.
Come un feudo
A metà settembre un gruppo di studenti
del secondo anno ha requisito due autobus
al terminal di Chilpancingo. Ne avevano
bisogno per andare a fare tre giorni di tirocinio. Al ritorno gli studenti si sono tenuti
gli autobus e gli autisti perché molti volevano andare a Città del Messico per la manifestazione in ricordo del massacro di
Tlatelolco del 2 ottobre 1968, in cui l’esercito uccise centinaia di studenti. Il problema era che Ayotzinapa non aveva abbastanza autobus per trasportare tutti. Così,
per trovare altri mezzi di trasporto, alcuni
studenti, quasi tutti del secondo anno,
hanno fatto un piano per il pomeriggio del
Da sapere
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Ciudad Juárez
300 km
STATI UNITI
MESSICO
Allende
San Fernando
Golfo
del Messico
Oceano Paciico
Cocula
Città San Salvador
del Messico Atenco
Guerrero
Iguala Huitzuco
Ayotzinapa
Chilpancingo
Oaxaca
Acapulco
u In un rapporto pubblicato
il 7 febbraio 2015
l’Equipo argentino de antropología forense, che
da mesi lavora al caso degli studenti scomparsi
il 26 settembre 2014 a Iguala, nello stato di
Guerrero, ha denunciato irregolarità e lacune
nell’inchiesta condotta dal governo del
Messico. Il 27 gennaio il procuratore generale
della repubblica, Jesús Murillo Karam, aveva
dichiarato che c’era ormai una “certezza legale”
sulle circostanze che avevano portato al
sequestro e all’uccisione dei 43 studenti. Ma i
genitori dei ragazzi chiedono che le indagini
proseguano: il 2 e il 3 febbraio una delegazione è
andata a Ginevra, dove il governo messicano è
comparso davanti a un comitato delle Nazioni
Unite sulle sparizioni forzate per rispondere
del massacro degli studenti. Afp
26 settembre. Non sarebbero andati a Chilpancingo perché i granaderos, i poliziotti
antisommossa, erano appostati al terminal
degli autobus. L’azione si sarebbe svolta
vicino a Huitzuco, una cittadina a un centinaio di chilometri dalla scuola.
Verso le cinque e mezzo del pomeriggio
i coordinatori hanno fatto salire a bordo dei
due autobus un’ottantina di studenti del
primo anno e sono partiti. Secondo tutte le
versioni, negli autobus c’era un’atmosfera
gioiosa. I nuovi studenti frequentavano i
corsi da un mese: quella mattina molti erano andati alla loro prima lezione e ora stavano per partecipare a uno dei riti d’iniziazione della scuola. “Non sapevamo dove fossimo diretti e perché”, mi spiega uno studente del primo anno. “Ci hanno detto solo:
andiamo”. Gli studenti si sono fermati vicino a Huitzuco e hanno chiesto donazioni in
attesa di qualche autobus. Stava facendo
buio, gli automobilisti erano ostili e gli autobus non passavano. Cisneros ha chiamato
uno dei coordinatori: “Dobbiamo rinunciare, non riusciamo a prenderne neanche
uno”. Proprio quando i coordinatori stavano per annunciare la decisione di tornare
ad Ayotzinapa, è passata una corriera. I coordinatori si sono messi d’accordo con l’autista, che li ha fatti salire e ha chiesto di poter passare prima a Iguala, a venti minuti di
distanza, per lasciare gli altri passeggeri. La
corriera è arrivata nella città alle otto di sera. Sono scesi tutti, tranne i nove studenti
che l’avevano sequestrata. L’autista gli ha
spiegato che, prima di ripartire serviva
un’autorizzazione. “Aspettatemi un momento”, ha detto.
A pochi isolati da lì i vertici politici di
Iguala e quattromila acarreados (persone
fatte arrivare per riempire la piazza) erano
riuniti nella Plaza cívica de las tres garantías
per ascoltare il secondo rapporto annuale
della sede locale del Sistema nazionale per
lo sviluppo integrale della famiglia. È diiGUATEMALA
cile
che un’agenzia di sviluppo regionale
abbia soldi da sperperare in iori, luci, musica, cose da mangiare e gruppi musicali per
presentare un rapporto annuale. Secondo i
giornalisti presenti, il ritrovo era in realtà
una festa elettorale per la moglie del sindaco, María de Los Ángeles Pineda, che voleva candidarsi per succedere al marito. In
piazza c’era anche un colonnello del ventisettesimo battaglione di fanteria.
José Luis Abarca è stato eletto sindaco
nel 2012, ma da tempo lui e la moglie trattavano Iguala come un feudo. Negli ultimi
anni avevano comprato 31 appartamenti,
nove negozi e tredici gioiellerie. L’esercito
messicano aveva donato alla città un terre-
REDUx/CoNTRASTo
Un altare nella palestra della scuola di Ayotzinapa, il 24 ottobre 2014
no di periferia e la coppia ci ha costruito un
centro commerciale da 23 milioni di dollari.
In diverse occasioni la procura statale e
quella federale hanno accusato i genitori di
Pineda e i suoi tre fratelli (due sono stati uccisi) di essere a capo del gruppo criminale
Guerreros unidos. A Iguala polizia e Guerreros unidos sono sinonimi. Una volta Pineda ha minacciato un giornalista pubblicamente: “Se continui a scrivere di certi argomenti ti taglio le orecchie”.
Abarca è stato accusato dell’omicidio
dell’attivista Arturo Hernández Cardona,
nel 2013. Un testimone ha dichiarato davanti alla procura federale che Abarca ha sparato a Hernández Cardona colpendolo in faccia e al petto. L’attivista era scomparso da
quattro giorni quando il suo cadavere è stato trovato sul ciglio di una strada con evidenti segni di tortura. I nove studenti che
aspettavano il ritorno dell’autista erano
all’oscuro delle accuse contro il sindaco di
Iguala e la moglie, e non sapevano che si
trovavano lì vicino.
I ragazzi vedevano l’autista discutere
con le guardie del terminal e le guardie parlare per telefono e alla radio. Temendo che
l’autista si riiutasse di risalire sull’autobus,
hanno chiamato i loro compagni ancora
sull’autostrada. La loro risposta è stata im-
mediata: hanno preso dei sassi, sono saliti
sui due pullman e sono partiti verso Iguala.
Quando sono arrivati, hanno parcheggiato
lungo la strada e si sono lanciati verso il terminal, con i volti coperti dalle magliette. I
nove studenti rimasti ad aspettare l’autista
hanno abbandonato l’autobus e, insieme ai
compagni, ne hanno sequestrati altri tre.
A quel punto gli studenti avevano cinque autobus e in giro non si vedevano poliziotti. Hanno chiesto agli autisti di farli
uscire dalla città il prima possibile: due autobus sono andati verso est, in direzione del
Periférico sur, un viale che costeggia il centro e porta all’autostrada, gli altri tre si sono
diretti a nord su calle Galeana, verso Plaza
cívica. Senza dar retta agli studenti, che
chiedevano di accelerare, l’autista in testa
avanzava a passo d’uomo. Erano le nove e
mezzo. In piazza i discorsi erano initi e stava suonando la banda.
Quando i tre autobus sono passati per
Plaza cívica sono arrivate le camionette
della polizia a sirene spiegate. Una si è piazzata davanti al primo autobus, bloccando il
passaggio. Gli studenti sono scesi per cercare di liberare la strada. Sono arrivati altri
poliziotti e hanno cominciato a sparare in
aria. Gli studenti di Ayotzinapa davano per
scontato che combattere contro la polizia
fosse come giocare al gatto e al topo: se ti
prendevano ti picchiavano e ti arrestavano,
ma le pallottole non facevano parte del gioco. Si sono lanciati contro la camionetta
prendendola a sassate e obbligando l’autista a fare marcia indietro. “Ero sul terzo
autobus. Siamo scesi appena abbiamo sentito gli spari”, racconta Ernesto Guerrero,
uno studente del primo anno. “Un compagno del secondo anno ci ha detto: ‘Non vi
preoccupate, sparano in aria’. Ma avvicinandoci abbiamo capito che sparavano
contro la corriera e contro di noi. Allora abbiamo deciso di difenderci: ho trovato quattro sassi e glieli ho lanciati addosso”.
Dopo aver liberato la strada, i tre autobus hanno proseguito su calle Juan N. Álvarez, una strada che porta al Periférico
norte. Le camionette della polizia li hanno
inseguiti, arrivando dai lati e da dietro, e
sparando. Gli autobus si trovavano a pochi
metri dall’incrocio con il Periférico norte
quando una camionetta gli ha tagliato la
strada. L’autista del primo autobus ha abbandonato il mezzo e, quando gli studenti
sono scesi per spingere la camionetta della
polizia e liberare il passaggio, i poliziotti
hanno aperto il fuoco. Una pallottola ha
colpito alla testa Aldo Gutiérrez Solano.
Nella confusione gli studenti l’hanno quasi
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REDUx/CoNTRASTo
In copertina
La polizia comunitaria sorveglia l’entrata della scuola di Ayotzinapa, il 24 ottobre 2014
investito. “Alla ine l’hanno visto a terra
che sanguinava”, racconta Edgar Yair, del
primo anno. “Lo volevamo portare via, ma
i poliziotti si sono messi a sparare ancora
di più”.
A quel punto tutte le regole erano saltate. Gli studenti si sono messi a correre, qualcuno è salito di nuovo sul primo autobus,
altri si sono nascosti tra il primo e il secondo. Sono arrivati altri poliziotti, che hanno
sparato ma da lontano. Gli studenti chiedevano un’ambulanza, ma quando alla ine è
arrivata, la polizia le ha impedito di avvicinarsi. Il veicolo ha fatto il giro da dietro e i
paramedici hanno portato Gutiérrez Solano all’ospedale, dov’è stata dichiarata la sua
morte cerebrale.
Molti poliziotti si sono piazzati dietro il
terzo pullman, intrappolando gli studenti
all’interno. “Dopo un po’ abbiamo sentito
delle grida”, racconta Jorge Vázquez, un ragazzo del primo anno che si era nascosto in
fondo al primo autobus. “Dal inestrino ho
visto i poliziotti che facevano salire vari
compagni sulle camionette per portarli
via”. Nei novanta minuti successivi gli
agenti hanno obbligato gli studenti del terzo autobus a stendersi per terra a faccia in
giù e con le mani sulla nuca, poi li hanno fatti salire sulle camionette e se ne sono anda-
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
ti. Erano tra i 25 e i 30 ragazzi. Da quel momento sono tutti scomparsi”.
Mentre succedeva tutto questo, i due
autobus che stavano uscendo da Iguala si
sono divisi. Uno aveva a bordo quattordici
studenti e seguiva il pullman della squadra
di calcio di serie C della città, los Avispones,
di rientro a casa dopo aver vinto contro la
squadra di Iguala. “Eravamo sull’ultimo
cavalcavia”, mi spiega Alex Rojas, uno dei
quattordici ragazzi. “All’improvviso sotto di
noi abbiamo visto un autobus, moltissime
camionette e i fucili spianati”. Era il quinto
autobus. Gli studenti a bordo sono tra quelli scomparsi.
Spari e grida
L’autista dell’autobus su cui viaggiava Rojas
si è accorto del posto di blocco e ha cercato
di tornare indietro, ma la polizia l’ha costretto a fermarsi. Gli studenti si sono incamminati in direzione opposta. Alle loro
spalle hanno sentito i poliziotti gridare:
“Toglietevi dai coglioni o siete morti”. Inseguiti dalla polizia, i quattordici ragazzi sono
scappati in un campo vicino. Nelle tre ore
successive hanno provato a raggiungere gli
autobus in calle Álvarez ma la polizia ha
aperto il fuoco e li ha inseguiti su una collina, dove sono rimasti ino alla mattina. Al-
cuni sicari hanno attaccato l’autobus della
squadra di calcio e hanno ucciso l’autista,
un giocatore di 14 anni e una donna che passava in taxi. Almeno altre nove persone sono rimaste ferite.
Alle undici e mezzo di sera, dopo aver
raccolto i bossoli e aver ripulito le strade dal
sangue, la polizia ha lasciato la scena del
primo attacco. Poco a poco gli studenti sono
usciti dai loro nascondigli e, per preservare
la scena del crimine, hanno montato la
guardia, ammassando pietre e riiuti intorno ai bossoli e alle macchie di sangue rimaste. L’interno del terzo autobus, da cui la
polizia aveva prelevato tutti gli studenti, era
cosparso di sangue. Poco dopo sono arrivati due furgoncini di studenti da Ayotzinapa,
qualche giornalista e alcuni abitanti della
zona.
Verso mezzanotte i giornalisti hanno
chiesto un’intervista al presidente del comitato studentesco della scuola. Le telecamere e i registratori erano in funzione da
quattro minuti quando si sono sentite delle
raiche di spari: “Erano colpi di mitragliatrice. Sentivamo il ischio delle pallottole e
il rumore dei vetri delle inestre che scoppiavano. Ci siamo messi a correre verso gli
autobus”, racconta uno dei reporter. Due
continua a pagina 40 »
L’opinione
Colpiti al cuore
Diego Enrique Osorno per Internazionale
Il sequestro e l’uccisione
degli studenti di Ayotzinapa
ha risvegliato la coscienza
di molti messicani
l Messico sta vivendo da tempo
una grave crisi. Ma a livello internazionale questa crisi è diventata visibile soprattutto dopo
la scomparsa di 43 studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa, nello
stato di Guerrero. L’ultima cosa che
sappiamo con assoluta certezza è che
questi ragazzi poveri, di sinistra e in
gran parte igli di contadini sono stati
arrestati da un gruppo di poliziotti la
notte del 26 settembre 2014 a Iguala.
I
Buco nero
La sparizione di questi studenti è un
caso eccezionale? Sfortunatamente
no. La situazione ha cominciato a peggiorare nel 2006, e da allora molti cittadini e varie organizzazioni sociali e
politiche messicane sono state vittime
di una repressione continua e illegale
da parte dello stato. Durante il governo di Vicente Fox Quesada (20002006, del Partito d’azione nazionale)
diversi minatori furono uccisi dalla polizia durante uno sciopero.
Nello stesso periodo alcuni ragazzi
morirono durante l’assalto della polizia a San Salvador Atenco, nello stato
di México, dove un centinaio di persone fu arrestato e torturato brutalmente
e varie donne furono stuprate dalla polizia. Inine nella città di Oaxaca più di
venti attivisti che si opponevano al governatore dell’epoca, Ulises Ruiz Ortiz, morirono sotto i colpi degli agenti
e dei militari.
Dal 2007 al 2012, durante il mandato di Felipe Calderón, la crisi umanitaria si è aggravata e l’espressione
“guerra al narcotraico” è entrata a far
parte della narrativa uiciale. Migliaia
di omicidi, sparizioni forzate, torture, arresti illegali e decine di massacri sono avvenuti nella più totale impunità.
Nel novembre del 2010 due studenti
dell’Instituto tecnológico y de estudios
superiores di Monterrey, Jorge Jorge Antonio Mercado e Javier Francisco Arredondo, sono stati uccisi da un commando
dell’esercito, che ha sigurato i loro volti
presentandoli alla stampa come presunti
criminali del gruppo Los Zetas.
Nel marzo del 2011 ad Allende, nello
stato di Coahuila, il cartello degli Zetas
ha sequestrato e ucciso trecento persone,
tra cui donne e bambini.
Nel 2012 Enrique Peña Nieto, del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), è
stato eletto presidente. L’uccisione di almeno dodici civili a Tlatlaya, a giugno del
2014, e la sparizione dei 43 studenti a
Iguala sono gli episodi più gravi avvenuti
inora durante il suo mandato. La lista,
però, è lunga e comprende sia massacri
su cui la stampa non ha pubblicato inchieste o commenti sia centinaia di arresti illegali di attivisti in varie zone del paese, in particolare nello stato di Tamaulipas, un vero e proprio buco nero della realtà messicana.
La responsabilità di questa crisi, denunciata da tempo dalle organizzazioni
non governative, dagli intellettuali e dai
giornalisti, è di tutti i partiti, non solo del
Pri. In alcuni stati, tra cui quello di Guerrero, i cittadini vogliono sabotare le ele-
La responsabilità
della crisi dei diritti
umani che sta
attraversando il paese
è di tutti i partiti, non
solo del Pri che oggi è
al governo
zioni municipali che si terranno a giugno. E per la prima volta c’è la possibilità che ci riescano davvero.
Visto con gli occhi di oggi, il Movimiento por la paz con justicia y dignidad nato nel 2011 e guidato dal poeta
Javier Sicilia ha avuto il merito di cambiare l’idea dominante secondo cui
tutti i morti del narcotraico sono
“colpevoli” in quanto criminali o persone coinvolte in attività illecite. In
quel periodo il movimento ha dato visibilità alle vittime e ha commosso
gran parte della società. Ha anche portato la parola pace nel dibattito pubblico. È stato un risultato molto importante anche se poi lo stato si è impossessato di una parola che, con la presidenza di Peña Nieto, ha perso il suo signiicato.
Un motivo per rilettere
A diferenza di quello di Sicilia, il movimento nato dopo il 26 settembre
2014 non cerca di dare visibilità solo
alle vittime, ma anche ai loro carneici,
per denunciarli. Se il Movimiento por
la paz ci ha colpiti al cuore, i genitori
dei ragazzi di Ayotzinapa ci stanno
spingendo a fare una profonda rilessione critica.
In un paese segnato dalla barbarie,
inora non è stato facile capire da dove
arrivasse esattamente la violenza,
mentre per lo stato era semplice dare
tutte le colpe al narcotraico. A poco a
poco la situazione sta cambiando e il
Messico comincia a farsi delle domande. Questa è una buona notizia, nonostante la tragedia di Iguala. ◆ fr
Diego Enrique Osorno è un giornalista messicano nato a Monterrey nel
1980. In Italia ha pubblicato Z. La
guerra dei narcos (La Nuova Frontiera
2013) e Un cowboy attraversa la frontiera in silenzio (La Nuova Frontiera
2014).
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In copertina
studenti, Daniel Solís Gallardo e Julio César
Ramírez Nava, sono morti. Coyuco Barrientos, un ragazzo del primo anno, è tra i
pochi ad aver visto i sicari. Dice che erano
tre, erano vestiti di nero, avevano il volto
coperto e sparavano con i fucili d’assalto a
mezz’aria. “Il primo ha cominciato a sparare in aria, poi ha puntato l’arma verso di noi.
Mi sono voltato e ho visto chiaramente le
scintille dei proiettili che toccavano terra:
sembravano petardi di capodanno. Ci siamo messi a correre. Sono scesi altri due uomini e ci hanno sparato con delle armi automatiche”. Molti studenti si sono rifugiati
nelle case vicine: i proprietari li hanno accompagnati nelle stanze più isolate e hanno
spento le luci.
Juan Pérez, uno studente del primo anno colpito al ginocchio da una pallottola,
stava correndo quando un suo compagno è
caduto. Gli avevano sparato in bocca. Alcuni ragazzi hanno aiutato Pérez a portare via
l’amico ferito. Da una finestra del primo
piano una donna gli ha oferto riparo, ma
loro hanno riiutato e le hanno chiesto indicazioni per raggiungere l’ospedale. In quella stessa strada c’era una piccola clinica
privata: i ragazzi hanno bussato e due donne li hanno fatti entrare. Altre venticinque
persone, tra studenti e abitanti della zona,
hanno provato a entrare, ma le donne hanno detto che era un laboratorio radiologico,
non una clinica. Gli studenti hanno chiesto
di poter chiamare un’ambulanza.
Dopo venti minuti qualcuno ha bussato
alla porta: erano i soldati del ventisettesimo
battaglione di fanteria in tenuta da combattimento. Quando gli studenti hanno aperto,
i soldati gli hanno puntato il fucile contro e
hanno ordinato a tutti di gettarsi a terra. “Ci
hanno preso i cellulari e hanno scattato delle foto”, racconta Yair. “Il comandante ci ha
spiegato che non avevamo motivo di essere
lì e che stavamo cercando di farci ammazzare. Gli abbiamo detto che eravamo studenti della scuola di Ayotzinapa, ma per lui
eravamo solo delinquenti”. A un certo punto, tra mezzanotte e mezza e l’una, è arrivato il direttore della clinica che non ha voluto
visitare gli studenti feriti. Aiutato dai soldati, ha sbattuto tutti fuori. A pochi isolati dalla clinica una famiglia ha accolto alcuni
studenti, mentre un altro gruppetto ha preso un taxi per portare il compagno ferito in
ospedale.
All’una e mezzo di notte il primo gruppo
di giornalisti di Chilpancingo è arrivato
all’incrocio tra il Periférico norte e Juan N.
Álvarez. I reporter hanno trovato i cadaveri
dei due studenti riversi a terra, gli autobus,
le macchine crivellate dai proiettili e i solda-
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
ti a volto coperto fermi vicino alla scena del
crimine. La mattina dopo gli studenti si sono presentati alla procura di Iguala. Hanno
identiicato ventidue poliziotti, hanno parlato con alcuni difensori dei diritti umani e
hanno steso una lista delle persone scomparse. A quel punto hanno saputo che gli
studenti costretti dalla polizia a scendere
dall’autobus non erano mai arrivati in carcere. Ai loro telefoni non rispondeva nessuno. All’inizio gli studenti scomparsi sembravano cinquantasette, poi si è saputo che
quattordici erano fuggiti verso la periferia.
Verso le sette di mattina sui social network ha cominciato a circolare una foto.
Julio César Mondragón Fontes, uno studente del primo anno di Città del Messico, era
stato visto per l’ultima volta verso mezzanotte in calle Álvarez. Aveva parlato con
Juan Ramírez, un altro alunno del
primo anno, ed era spaventato.
“Mi aveva detto che il giorno dopo sarebbe tornato a casa perché
non voleva rischiare la vita. Pensava alla famiglia, alla moglie e
alla iglia”. Poco dopo i tre sicari a volto coperto avevano aperto il fuoco. Nella foto, la
camicia rossa di Mondragón Fontes è alzata
ino al petto e si vedono i lividi sul corpo. Gli
hanno tagliato via il volto e le orecchie, e gli
hanno strappato gli occhi. Gli amici l’hanno
identiicato dalla sciarpa grigia intorno al
collo.
Quando sono arrivati i primi rapporti su
Iguala, in teoria il Messico stava vivendo il
suo grande momento. A due anni dall’inizio
del suo mandato, il presidente Enrique
Peña Nieto aveva promosso la riforma
dell’istruzione e dell’energia, e aveva fatto
arrestare Joaquín “el Chapo” Guzmán, il
narcotraicante più ricercato del paese. Gli
Da sapere
Persone scomparse
Sparizioni in Messico dal 2007 a oggi
Fonte: Registro nacional de personas extraviadas, The Telegraph
2007
749
2008
862
2009
2010
2011
2012
2013
2014
Presidenza
Felipe Calderón
2006-2012
1.338
2.739
3.957
3.353
Presidenza
Enrique
Peña Nieto
2013-oggi
4.514
5.098
episodi di violenza che avevano segnato la
precedente amministrazione di Felipe Calderón non occupavano più le prime pagine
dei giornali. A febbraio 2014 la rivista statunitense Time ha dedicato la copertina a
Peña Nieto con il titolo “Saving Mexico”
(Salvare il Messico). Le notizie di un massacro commesso dall’esercito a giugno a Tlatlaya, nello stato di México, avevano portato
all’arresto dei soldati coinvolti, un epilogo
impensabile sotto il governo Calderón.
Una lunga lista
Da lontano sembrava che il Messico stesse
uscendo da uno dei suoi periodi più bui. Negli ultimi otto anni, a causa della guerra al
narcotraffico, centomila messicani sono
stati uccisi e almeno ventimila persone sono scomparse (per le organizzazioni dei
diritti umani la cifra è più alta). E
il numero non tiene conto delle
decine di migliaia di migranti
centroamericani e sudamericani
uccisi e scomparsi in Messico nello stesso periodo. La lista dei
massacri è talmente lunga che non fa più
efetto. Nel settembre del 2008 sono stati
trovati 24 cadaveri in un parco fuori Città
del Messico: dieci erano stati decapitati.
Nel gennaio del 2010 alcuni sicari hanno
fatto irruzione in una casa dove si stava
svolgendo una festa, uccidendo quindici
studenti di Ciudad Juárez. Nell’agosto del
2010 i cadaveri di 72 migranti sono stati rinvenuti in un granaio a San Fernando, nello
stato di Tamaulipas. Nessuno di questi
massacri ha scatenato una protesta nazionale. A marzo del 2011 le manifestazioni
seguite all’omicidio di sette persone (tra cui
il iglio del poeta Javier Sicilia) nello stato di
Morelos hanno dato voce al dolore del paese, ma hanno perso forza quando i tentativi
di negoziare con il governo si sono arenati.
L’idea che le autorità siano uicialmente impegnate in una guerra contro la droga
ha spinto molte persone a considerare normali gli omicidi, le stragi, le sparizioni, la
tortura e un sistema politico che non si limita a garantire l’impunità di questi crimini,
ma spesso li approva. Nel rapporto del 2014
Amnesty international ha documentato un
uso difuso della tortura da parte dell’esercito e della polizia messicana. Il concetto
stesso di corruzione è diventato antiquato:
nella maggior parte del paese le autorità e i
narcos sono pienamente integrati, e nessuno dei grandi partiti politici si salva. Iguala
è stata la goccia che ha fatto traboccare il
vaso: ha spazzato via l’insistenza con cui il
governo continua a dire che nella guerra
contro la droga c’è una distinzione netta tra
Uno degli studenti di Ayotzinapa sfuggiti all’agguato della polizia
che di Iguala. Dopo il ritrovamento delle
fosse comuni, il comitato di genitori ha tenuto una conferenza stampa ad Ayotzinapa
e ha lanciato un appello al governo per cambiare i metodi della ricerca. Decine di uomini e donne in preda all’angoscia erano
seduti in ila dietro ai tre familiari scelti per
parlare a nome di tutti: “Sappiamo che i nostri igli sono stati portati via dal governo e
dai suoi poliziotti. Loro sanno dove si trovano”, ha detto Manuel Martínez. “Continueremo a protestare inché non rivedremo i
nostri igli a casa, vivi”. Una squadra indipendente di antropologi forensi argentini
avrebbe rappresentato i genitori nell’inchiesta del governo.
Nelle settimane successive i genitori
hanno organizzato molte manifestazioni.
Insieme agli studenti hanno bloccato le
strade dello stato, hanno marciato nelle città, hanno rotto vetri e incendiato il parlamento di Guerrero e il palazzo del governo.
Quando l’analisi del dna ha confermato che
i resti trovati nelle fosse comuni non erano
degli studenti, le proteste si sono estese a
tutto il paese. Il 23 ottobre il governatore
Aguirre si è dimesso e sei giorni dopo i genitori hanno incontrato il presidente Peña
Nieto: gli hanno detto che, se non avesse
trovato gli studenti vivi, avrebbe dovuto fare come Aguirre.
ReDUx/CoNtRASto (2)
L’efetto opposto
I genitori di uno degli studenti scomparsi. Ayotzinapa, ottobre 2014
buoni e cattivi, tra legge e illegalità.
Il 27 settembre 2014 la polizia locale ha
arrestato i ventidue agenti di Iguala identiicati dagli studenti. Il 30 settembre il sindaco Abarca, la moglie e il capo della polizia sono fuggiti. Il presidente Peña Nieto
ha cancellato un viaggio in programma
nello stato di Guerrero parlando di condizioni meteorologiche sfavorevoli, ma dando l’impressione che gli omicidi e le scomparse non lo riguardassero. Ha detto a un
giornalista: “Le autorità dello stato devono
assumersi le loro responsabilità”. La ricerca della prima settimana si è svolta così: i
poliziotti portavano i genitori in giro per
Iguala, ogni tanto si fermavano davanti a
una casa e suggerivano ai familiari degli
studenti di bussare alla porta e chiedere se
i loro igli fossero nascosti lì. Il 4 ottobre il
procuratore statale ha annunciato che era-
no state scoperte quattro fosse comuni sulle montagne vicino a Iguala. Gli scavi iniziali hanno portato alla luce un numero
indeterminato di resti umani carbonizzati.
La polizia avrebbe scoperto il luogo delle
fosse clandestine grazie a testimonianze
ottenute con la tortura. “Hanno messo sotto torchio un poliziotto locale”, racconta
un uiciale, “e lui ha cantato”.
Il giorno dopo il procuratore ha dichiarato che uno degli agenti arrestati aveva
confessato di aver ucciso, bruciato e sepolto gli studenti in quelle fosse. Aveva agito
insieme a un gruppo criminale. A quel punto il governo federale ha preso in mano
l’inchiesta, esercitando la facoltà di assumere la giurisdizione sui casi che coinvolgono la criminalità organizzata: un tacito
riconoscimento del fatto che non era più
possibile ignorare le conseguenze politi-
A novembre la vicenda di Iguala si è trasformata nella crisi peggiore dell’amministrazione Peña Nieto. Fin dal primo momento il
governo ha sottovalutato la rabbia scatenata dalla sparizione degli studenti e ha cercato di controllare gli eventi, spesso in modo
confuso. Il 4 novembre le autorità federali
hanno arrestato a Città del Messico il sindaco Abarca e sua moglie. Il 7 novembre il procuratore generale della repubblica, Jesús
Murillo Karam, ha annunciato in una conferenza stampa che il governo aveva il video
delle confessioni di tre uomini dei Guerreros unidos.
Secondo Murillo Karam, la notte del 26
settembre la polizia ha consegnato gli studenti a tre narcotraicanti che li hanno portati in una discarica alla periferia di Cocula,
a qualche chilometro da Iguala. Quando
sono arrivati alla discarica a cielo aperto i
tre uomini hanno scoperto che quindici studenti erano già morti o incoscienti. Hanno
chiesto agli altri che ci facevano a Iguala.
“Dicevano che erano venuti per la moglie di
Abarca”, ha dichiarato uno degli uomini. I
ragazzi sono stati uccisi, i cadaveri gettati
nella discarica e bruciati usando legno,
pneumatici, benzina e gasolio. Quindici ore
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41
In copertina
dopo restavano solo frammenti di ossa e
cenere. I criminali hanno messo i resti in
sacchi della spazzatura e, a eccezione di
due, li hanno svuotati tutti nel vicino iume
San Juan. Quei due sacchi, sostengono, li
hanno gettati senza aprirli. Murillo Karam
ha spiegato che gli agenti federali avevano
ritrovato i sacchi con dentro minuscoli
frammenti ossei. I resti sono stati inviati a
un laboratorio dell’università di Innsbruck,
in Austria, per essere sottoposi all’esame
del dna. A 58 minuti dall’inizio della conferenza stampa, dopo aver parlato delle confessioni dei narcos, Murillo Karam ha interrotto la domanda di un giornalista dicendo: “Mi sono stancato”. E poco dopo se
n’è andato.
Se lo scopo della conferenza stampa era
chiudere il caso e mettere a tacere le proteste, l’efetto è stato opposto. Le parole del
procuratore generale sono state subito riprese dai social network: dopo qualche ora
su Twitter infuriava l’hashtag #YaMeCanse. Tra i commenti più diffusi: “Se ti sei
stancato, vattene”, “Mi sono stancato della
paura” e “Mi sono stancato dei politici”. La
versione di Murillo Karam ha sollevato più
domande di quelle a cui ha risposto. Come
hanno fatto tre uomini a tenere a bada 43
giovani attivisti? Come hanno potuto bruciare 43 cadaveri sotto la pioggia? Perché
nella discarica non sono state trovate tracce
di ibra di acciaio dei pneumatici usati per il
fuoco? Perché i criminali avrebbero dovuto
svuotare sei sacchi di cenere e resti umani
nel iume e gettarne due chiusi? Perché gli
studenti avrebbero dichiarato di essere a
Iguala per protestare contro la moglie del
sindaco se non avevano mai avuto in programma di farlo? Inoltre, è rimasta in sospeso una domanda ancora più preoccupante: perché il governo non ha presentato
i video con le confessioni dei ventidue poliziotti identiicati dagli studenti come loro
assalitori? Perché non ha reso pubblici i tabulati dei cellulari della polizia di quella
sera né quelli di Abarca e Pineda?
Per molti osservatori, la versione del governo è troppo facile: Murillo Karam si è
concentrato così tanto sui tre presunti sicari
da lasciare Abarca, Pineda e la polizia sullo
sfondo. Le contraddizioni e le anomalie
della versione uiciale hanno alimentato il
sospetto che il governo fosse più interessato
a coprire la verità che a condurre un’inchiesta rigorosa. L’indagine avrebbe dovuto tenere conto dei numerosi documenti sulla
natura criminale della polizia di Iguala. Secondo un giornalista locale, “la polizia è
solo una facciata: gli agenti sono narcotraficanti in uniforme, che usano le armi e i
42
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mezzi delle forze dell’ordine. Si chiamano
los bélicos. Sono polizia nella polizia”. Secondo un funzionario della città, “i bélicos
sono comandati dal fratello di Pineda. Hanno camionette e uniformi, ma si muovono
di notte a volto coperto, sequestrando le
persone per strada e chiedendo un riscatto
di diecimila pesos entro un’ora”. Un’inchiesta servirebbe a capire perché Iguala si è
trasformata in una “narcocittà” e solleverebbe questa domanda: come può esistere
una città di narcotraicanti vicino a una base militare?
Chiudere il caso
Il giorno successivo alla conferenza stampa
i genitori dei ragazzi scomparsi guardavano
gli studenti di Ayotzinapa prendere a sassate le inestre del congresso di Guerrero e
incendiare le camionette della polizia. Poco
dopo, familiari e studenti sono partiti con
tre pullman per percorrere il paese in cerca
di sostegno. Il 20 novembre, nel 104° anni-
La polizia è solo una
facciata: gli agenti
sono narcotraicanti
in uniforme
versario della rivoluzione messicana, sono
arrivati nella piazza dello Zócalo, a Città del
Messico. Con loro c’erano decine di migliaia di persone.
Prima e dopo la manifestazione, Ayotzinapa era ovunque: sulle prime pagine dei
giornali, nei programmi radiofonici, nelle
conversazioni ascoltate di sfuggita e nei
graiti. Nel quartiere Roma, una zona elegante della capitale, c’era un altare pieno di
candele e cartelli che chiedevano giustizia
per i 43 studenti. Su un muro di Obrera, una
zona popolare, c’era scritto a lettere rosse:
“Ayotzinapa: la colpa è dello stato”. Il quotidiano sportivo Récord è uscito con la prima
pagina nera e il titolo: “#indignazione. Il
Messico è stufo. Il Messico è in lutto”. Le
voci più diverse, come quella di papa Francesco, del calciatore Javier Hernández Balcázar, noto come Chicharito, e del gruppo
Calle 13 hanno espresso il loro sostegno alle
famiglie degli studenti. Una domenica mattina centinaia di persone hanno organizzato una corsa spontanea di solidarietà lungo
avenida Reforma: portavano tutti il pettorale con il numero 043.
Il 6 dicembre il laboratorio austriaco ha
confermato che l’identità di uno dei frammenti ossei corrisponde ad Alexander Mora Venancio, 19 anni, uno degli studenti
scomparsi. In una conferenza stampa Murillo Karam ha riassunto l’inchiesta del governo dicendo che erano stati arrestati ottanta sospetti tra cui Abarca, Pineda e più di
quaranta poliziotti. “Questa prova scientiica conferma che i resti rinvenuti su una
delle scene coincidono con le prove dell’inchiesta e con le dichiarazioni degli arrestati,
nel senso che in tale luogo e secondo tali
modalità il gruppo di persone è stato privato
della vita”. Le parole del procuratore hanno
confermato le peggiori paure di molti osservatori: il governo stava facendo il possibile
per chiudere il caso. Gli antropologi forensi
argentini che avevano lavorato con il governo hanno preso subito le distanze da Murillo Karam. In un comunicato stampa del 7
dicembre hanno scritto: “Per ora non ci sono suicienti certezze scientiiche o prove
materiali del fatto che i resti recuperati nel
iume San Juan corrispondano a quelli trovati nella discarica di Cocula, come indicato dalle persone che la procura generale ritiene responsabili”.
A più di quattro mesi dalla sparizione
degli studenti, i genitori non hanno molte
informazioni in più sui loro igli rispetto ai
primi giorni dopo la scomparsa. Questo è
quello che sappiamo: con l’aiuto di alcuni
sicari la polizia ha ucciso tre persone, ne ha
ferite più di venti e ne ha fatte sparire altre
43. Tre sicari, a volto coperto e in abiti civili,
sono tornati sulla scena di uno degli attacchi, hanno ucciso due studenti e ne hanno
feriti altri. Qualcuno ha ucciso e mutilato
Julio César Mondragón Fontes. Qualcuno
ha ucciso e bruciato Alexander Mora Venancio. L’esercito ha prelevato con la forza
alcuni studenti feriti da una clinica privata,
ma non ha fatto altro. Tutto quello che potrebbe essere successo agli studenti dopo
che la polizia li ha prelevati si basa su voci e
speculazioni o su confessioni poco aidabili. In risposta alla dichiarazione di Murillo
Karam, i genitori hanno annunciato altre
proteste. Durante una manifestazione a
Città del Messico, Felipe de la Cruz, uno dei
genitori, ha gridato alla folla: “Non ci siederemo a piangere, continueremo a lottare
per ritrovare vivi gli altri quarantadue”. Ormai quella lotta non riguarda solo i figli
scomparsi di Ayotzinapa, ma dà voce al desiderio profondo di strappare il Messico da
quest’orrore. u fr
L’AUTORE
John Gibler è un giornalista che vive tra il
Messico e la California. Da anni si occupa di
movimenti sociali in Messico. Il suo ultimo
libro è To die in Mexico. Dispatches from inside
the drug war (City Lights 2011).
Kazakistan
Minoranza
silenziosa
co del paese e afermano che prima dell’arrivo dei russi qui esisteva già uno stato: il
Khanato kazaco.
Contrariamente a quanto succede in
Ucraina, però, per il Kazakistan nessuno
oggi parla di una soluzione federale. Qui i
monumenti a Lenin, che in Ucraina hanno
cominciato a essere abbattuti solo dopo le
proteste di Euromaidan, sono scomparsi
già da tempo. Nella piazza centrale di UstKamenogorsk, al posto di Lenin c’è una statua del poeta kazaco Abaj Kunanbaev.
Discriminazioni e nazionalità
Testo e foto di Ilja Azar, Meduza, Lettonia
In Kazakistan vivono più di tre milioni di russi.
Dietro una calma apparente, le tensioni con i kazachi
non mancano. E la crisi ucraina rischia di farle
esplodere. Reportage da Ust-Kamenogorsk
onosce la storia?
Una rana viene
buttata in una
pentola di acqua
bollente, si scotta
e salta subito fuori. Allora ne viene buttata un’altra, che comincia lentamente a cuocere senza nemmeno un fremito delle zampette. La prima
rana sono i russi in Ucraina, noi siamo la seconda”. Così descrive la situazione della
minoranza russa in Kazakistan Oleg Maslennikov, presidente della comunità russa
della regione orientale di Rudnyj Altaj. Maslennikov è convinto che in Ucraina, durante i 23 anni d’indipendenza, “la gente sia
stata educata all’odio contro la Russia e i
russi”. E pensa che questo sia il vero motivo
della guerra nel Donbass. In Kazakistan,
secondo lui, sta succedendo la stessa cosa,
ma più in sordina.
Il Rudnyj Altaj è la parte sudoccidentale
della catena dei monti Altaj e appartiene
alla provincia del Kazakistan orientale, che
ha come capoluogo Ust-Kamenogorsk. Secondo i dati delle autorità locali, nel 2013 in
Kazakistan i russi erano il 21 per cento della
popolazione, una cifra che saliva al 38 per
cento nelle zone orientali del paese e al 58
per cento a Ust-Kamenogorsk. La storia
delle regioni kazache ai conini con la Russia è simile a quella della Crimea, mentre la
loro composizione etnica ricorda quella del
Donbass, nell’Ucraina orientale.
I russi di Ust-Kamenogorsk sono convinti che i nomadi kazachi non avessero un
“C
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
loro stato prima di insediarsi in questa città,
sorta intorno a una fortezza costruita nel
1720 dall’esercito russo alla conluenza tra
i iumi Ulba e Irtyš. All’inizio del novecento
nell’attuale Kazakistan orientale e settentrionale i kazachi erano in maggioranza:
nella regione di Semipalatinsk arrivavano
all’88 per cento della popolazione.
Le statue di Lenin
Successivamente però, sotto il dominio
dell’Impero russo e poi nell’Unione Sovietica, la presenza russa aumentò rapidamente. Negli anni venti fu creata la Repubblica
Socialista Sovietica Autonoma Kirghiza
(nei fatti kazaca) con capitale Orenburg,
che nel 1936 divenne uicialmente la Repubblica Socialista Sovietica Kazaca. Nel
1989 il 40 per cento della popolazione della
repubblica era russo. “Ai tempi dell’Urss le
probabilità di incontrare un kazaco da queste parte erano le stesse di incontrare un
nero”, dice Andrej, che fa l’operaio. “Ci
hanno traditi”, aggiunge Oleg Navozov, del
Movimento slavo del Kazakistan Lad (Armonia), un’associazione della minoranza
russa. “Non so proprio perché Lenin abbia
regalato il Rudnyj Altaj ai kazachi”, gli fa
eco Maslennikov che, rispetto ai colleghi
delle altre organizzazioni russe, spicca per
la sua giovane età: ha meno di cinquant’anni. Le autorità kazache, a diferenza dei nazionalisti locali, non mettono in dubbio i
meriti della Russia e il contributo dato allo
sviluppo della regione. Ma, come in tutti gli
stati nazionali, insistono sul carattere kaza-
L’eredità dell’Unione Sovietica non è l’unico problema dei russi del Kazakistan. Nelle
regioni orientali del paese la loro condizione è peggiore di quella dei russi nel Donbass
e in Crimea prima della crisi ucraina: si può
dire che i russi non sono rappresentati né
nell’apparato statale né negli uici giudiziari e nemmeno nelle forze di sicurezza. Nel
maslichat di Ust-Kamenogorsk, l’assemblea
rappresentativa cittadina, i russi invece sono quasi la metà degli eletti. “Ma sono scelti in modo da escludere chi ha posizioni
nazionaliste”, spiega Nikolaj Plachotin,
presidente della sede locale della Fondazione Russkij mir (Mondo russo). “E nessuno
di loro difende davvero i russi”, aggiunge
risentito Navozov, del movimento Lad. Per
il direttore della piccola casa editrice Region, Evgenij Čerkašin, il motivo dello squilibrio tra russi e kazachi negli organi istituzionali è invece di ordine puramente pratico: “La legge impone che tutti i funzionari
siano bilingui. E i kazachi lo sono quasi tutti, mentre i russi no”. Ma in altri ambiti lavorativi in Kazakistan non ci sono discriminazioni in base alla nazionalità.
Uno dei più noti consiglieri russi del maslichat di Ust-Kamenogorsk è Stanislav Karimov, 30 anni, laureato all’università tecnica di Novosibirsk, in Russia. A diferenza
della maggior parte dei suoi connazionali,
dopo gli studi è tornato in Kazakistan. Ma
non può essere deinito un “russoilo” nel
senso in cui i “russi di professione” intendono il termine. “Nel Kazakistan orientale
l’amministrazione pubblica è a corto di risorse umane. È un problema di natura tecnica, non di appartenenza nazionale. Vi
garantisco che il governo è favorevole alla
parità tra russi e kazachi”, aferma Karimov,
che ha rinunciato a una carriera di imprenditore per la politica e fa parte del Nur Otan,
la formazione del presidente kazaco Nursultan Nazarbaev. Gli chiedo con insistenza
se nel partito ci sono molti russi, ma lui aggira la domanda. “Forse qualcuno. E comunque il mio caso dimostra che non esiste
Ust-Kamenogorsk, settembre 2014
un reale problema in tal senso. Io non ho
avuto nessuna diicoltà a iscrivermi”, dice
alla ine. Ma più di ogni altra cosa i russi del
Kazakistan orientale sono preoccupati per
il lento ma ostinato processo di ridenominazione delle città dal russo al kazaco: UstKamenogorsk, per esempio, è sempre più
spesso chiamata Öskemen. “I nuovi nomi
sono solo il risultato della scorretta pronuncia kazaca dei toponimi originali russi. Non
signiicano nulla”, dice Plachotin, il rappresentante di Russkij mir. Su Google maps
Ust-Kamenogorsk è ancora indicata con il
nome russo, mentre la vicina Semipalatinsk
è diventata Semey. Secondo Plachotin in
questo modo i kazaki cercano di rivendicare il Kazakistan orientale come terra di loro
proprietà. Ai russi sembra ancora più assurda la proposta di Nazarbaev di cambiare il
nome del paese in Kazak eli (Patria dei kazaki). “È un modo per dire ai russi che non
ne fanno parte”, dice Plachotin.
Tutti bilingui
Ust-Kamenogorsk, settembre 2014
Secondo molte persone che incontro una
delle principali cause del conlitto in Ucraina è “l’attacco della giunta fascista di Kiev
alla lingua russa”. In realtà né nel Donbass
né in Crimea ci sono state restrizioni all’uso
del russo. E lo stesso vale per il Kazakistan
orientale, dove sia il kazaco sia il russo sono
lingue uiciali, anche se la seconda è la più
usata. A Ust-Kamenogorsk sembra di essere in una qualsiasi cittadina della provincia
russa. I cafè e i negozi hanno nomi tipicamente russi, come “Il bolscevico”, “Svjatoslav” o “Da Ivan”. Le presentatrici della tv
locale sono una kazaca bruna e una russa
con i capelli biondi. E nella regione, come in
tutto il paese, il russo rimane la lingua più
usata. “La lingua di lavoro delle élite kazache è il russo, non il kazaco”, conferma il
giornalista Arkadij Dubnov. Neppure in
parlamento si parla kazaco, con grande disappunto di alcuni politici, tra cui il deputato e poeta Muchtar Šachanov che nel 2013
ha cercato, senza successo, di organizzare
una manifestazione in difesa della lingua
kazaca. Secondo Plachotin, tuttavia, le autorità della capitale Astana “sostengono
implicitamente” la posizione del poeta.
Sergej, un piccolo commerciante russo, aggiunge che questo processo di “kazachizzazione” è già in corso. “Fanno dei cambiamenti e aspettano le reazioni. Nella nuova
sede del tribunale regionale, per esempio,
non c’è nemmeno un’insegna in russo”,
racconta.
In realtà il Kazakistan non sembra avere
nessuna fretta di tradurre in kazaco i documenti amministrativi uiciali, nonostante
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
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Kazakistan
dal 1997 sia in vigore una legge che impone
l’uso di entrambe le lingue negli uici pubblici. “In Ucraina c’erano degli eccessi. Per
esempio i siti delle amministrazioni erano
solo in ucraino. Qui non è così”, conclude
con orgoglio Karimov, il consigliere di UstKamenogorsk. Nei cinema kazachi, inoltre,
i ilm russi sono proiettati in lingua originale, e nel paese ci sono diversi giornali e canali tv in lingua russa. L’imprenditore russo Aleksandr Čilikin
ammette che “il problema della
transizione dal russo al kazaco
esiste”, ma rimane moderatamente ottimista: “Spero che le
nostre autorità mostrino buon senso, si rendano conto di quanto è accaduto in Ucraina
e riconoscano al russo lo stesso status del
kazaco. Sembra brutto dirlo, ma per noi è
positivo che in Ucraina sia successo quello
che è successo”.
Un’altra cosa è l’insegnamento in russo,
che in Kazakistan è meno difuso di quanto
non lo fosse in Ucraina. Anche in questo caso le regioni orientali sono l’eccezione, con
molte scuole e università che continuano a
tenere i corsi in russo. Inoltre i libri di testo
in lingua russa sono ancora considerati migliori di quelli in kazaco. “In alcune scuole
russe ormai si studia in kazaco, ma il motivo
è che i kazachi hanno un tasso di natalità
più alto, mentre i bambini russi sono sempre di meno”, conferma Valerij Čmutov,
uno dei capi della comunità cosacca locale.
A Ust-Kamenogorsk, comunque, nonostante gli alunni kazachi siano ormai più della
metà, su 52 scuole solo in nove si studia in
kazaco. C’è però un inconveniente: è sempre più difficile trovare insegnanti russi.
Inoltre, accusa Plachotin, “le scuole dove si
studia in russo non sono scuole russe”.
“Non si studiano la storia e la letteratura
russa. E con poche ore a disposizione, è impossibile imparare bene la lingua. A Guerra
e pace gli insegnanti dedicano una sola
ora!”, aggiunge Maslennikov, il rappresentante della comunità russa di Rudnyj Altai.
visto che in Russia gli stipendi sono in media più alti del 30-40 per cento. E li imitano
anche i kazachi. Questa fuga di cervelli comincia a preoccupare le autorità, che stanno mettendo a punto un programma per
creare posti di lavoro e trovare alloggi per i
russi che vogliono tornare in Kazakistan.
Ma se il kazaco diventerà davvero l’unica
lingua uiciale, saranno pochi quelli che
rientreranno. Lo ammette anche
un russo tutt’altro che nazionalista, l’editore Čerkašin: “Se succedesse una cosa del genere, piuttosto che cominciare a studiare il
kazaco ci trasferiremmo tutti a
Mosca”. I “russi nazionalisti” usano termini
più duri: “È in atto un lento genocidio, sono
già quasi cinque milioni quelli che se ne sono andati e ora è cominciata la quarta ondata”, dice Maslennikov. Chi ha deciso di rimanere sostiene invece che in Kazakistan
non si sta peggio che in Russia. A dirlo sono
soprattutto gli imprenditori: a sentir loro in
Kazakistan c’è meno burocrazia e accedere
al credito è più facile.
Molti russi, inoltre, sono convinti che la
politica del Kazakistan sulla questione delle
nazionalità sia estremamente ragionevole.
Lo dimostrerebbe il fatto che qui non ci sono grandi conflitti. A Ust-Kamenogorsk,
per esempio, c’è una “casa della pace” che
dà alle due comunità la possibilità di incon-
Da sapere
Nel cuore dell’Asia centrale
I russi se ne vanno
“In Kazakistan i russi non hanno futuro”,
dice Svetlana Pankratova, docente all’istituto di economia e inanza di Ust-Kamenogorsk. “Io non so il kazaco. Voglio parlare
nella mia lingua, ma è sempre più diicile.
Amo e rispetto i kazachi, ma qui non mi sento a mio agio”. I russi che si trasferiscono
nelle più vicine città della federazione, Barnaul, Omsk Novosibirsk o Tomsk, o addirittura a Mosca, sono sempre più numerosi.
Ad andarsene sono soprattutto i giovani, la
maggior parte per studiare, ma non solo,
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
u Il Kazakistan ha 17,4 milioni di abitanti e un
pil pro capite di 12.708 dollari (2013).
Indipendente dall’Unione Sovietica dal 1991, è
sempre stato guidato con metodi autoritari dal
presidente Nursultan Nazarbaev, il cui attuale
mandato scade nel 2016. Nel paese vive una
minoranza russa di circa tre milioni e 400mila
persone, concentrate nelle regioni del nordest.
u Nel maggio del 2014 il Kazakistan è entrato a
fare parte dell’Unione economica eurasiatica,
voluta da Mosca e comprendente anche
l’Armenia e la Bielorussia.
trarsi e organizzare iniziative comuni. Il direttore, Eldar Toleubekov, fa anche da mediatore nelle piccoli liti tra vicini di nazionalità diverse. “Non mi sembra che qui stia
covando un conlitto. Se fosse così, i segnali sarebbero evidenti, mentre la situazione
sembra tranquilla”, dice il moscovita Boris
Zolotarev, in Kazakistan per lavoro. In effetti ogni anno la casa della pace organizza
conferenze sulla lingua russa e celebra il
giorno delle letterature slave. Negli ultimi
tempi in tutto il paese si sono moltiplicate le
iniziative per favorire la convivenza paciica, come l’istituzione di cattedre di “tolleranza” in diverse università. Anche Karimov, di Ust-Kamenogorsk, lo ammette:
dopo l’annessione della Crimea alla Russia,
nel marzo del 2014, “la autorità locali hanno capito che per evitare problemi con la
minoranza russa dovevano essere più accomodanti e rispettare la sua lingua”.
In apparenza nel capoluogo del Kazakistan orientale le relazioni tra i kazachi e i
russi sono del tutto amichevoli. Ma secondo
il commerciante Sergej quest’idillio è illusorio: “Se un giornale pubblica qualcosa di
positivo sui russi, immancabilmente a ianco deve esserci una notizia simile sui kazachi”. Tutto dev’essere bilanciato, insomma.
In uno dei parchi cittadini, tutti inaspettatamente curati e accoglienti, ho ascoltato il
concerto di un’orchestra di cui facevano
parte anche alcuni musicisti kazachi. In repertorio c’erano vecchie canzoni russe o
sovietiche, ma di tanto in tanto sul palco
compariva una solista kazaca per intonare
qualche brano nella lingua nazionale. Tuttavia, sottolinea Arkadij Petrovič, un pensionato russo, “oggi non ci sono più matrimoni misti tra kazachi e russi. In silenzio,
senza dare nell’occhio, loro fanno i padroni.
E il nazionalismo kazaco è in crescita”.
Il Kazakistan ha reagito subito all’annessione della Crimea da parte della Russia: le autorità hanno inasprito le pene per
chi fa propaganda separatista e sul social
network Vkontakte sono state oscurate le
pagine di alcuni gruppi nazionalisti russi.
Allo stesso tempo il presidente Nazarbaev
ha cercato di mettere un freno anche al nazionalismo kazaco. Ma è anche arrivato a
minacciare l’uscita di Astana dall’Unione
eurasiatica voluta da Mosca. Secondo Plachotin, “questa presa di posizione è servita
soprattutto per placare i nazionalisti kazachi, che temono un ritorno dell’Unione Sovietica”. Nazarbaev ha poi chiesto ai suoi
connazionali “di cercare di non inasprire
ulteriormente la situazione”. “Il presidente
ha detto che non bisogna insistere a chiedere che il kazaco sia l’unica lingua uiciale,
Ust-Kamenogorsk, il monumento al poeta Abaj Kunanbaev
altrimenti si finirà come in Ucraina. E la
gente sembra dargli ascolto”, spiega il giornalista Dubnov.
Per adesso Nazarbaev è riuscito a tenere
sotto controllo anche il radicalismo islamico. A Ust-Kamenogorsk ci sono tre moschee
(solo due sono attive) e sette chiese ortodosse. La voce del muezzin si difonde per il
centro della città come nelle capitali del
Medio Oriente, anche se tra i palazzi sovietici l’efetto è surreale. Ma i miei interlocutori russi non sembrano turbati. “Non ci
sono problemi per quanto riguarda la religione. A Pasqua e a Natale l’akim (il sindaco) della città visita le chiese per fare gli auguri ai credenti”, dice con orgoglio il cosacco Čmutov.
La pace e la stabilità
Ust-Kamenogorsk, settembre 2014
I russi di Ust-Kamenogorsk sono convinti
che la stabilità del paese e le loro speranze
per il futuro siano legati a Nazarbaev. Votano per lui e lo appoggiano incondizionatamente. Secondo Sergej, tuttavia, il suo invito a rispettare i russi e la loro lingua non è
stato recepito da tutti: “I nazionalisti kazachi stanno alzando la testa e il presidente è
sempre più debole”. “In campagna elettorale per gli altri candidati noi russi non esistiamo. Quindi alla ine votiamo tutti per
Nazarbaev”, dice Plachotin.
Il capo di stato kazaco ha creato un sistema di potere fortemente autoritario: sotto
questo aspetto il Kazakistan è molto diverso
dall’Ucraina. Nel 2011 la protesta degli operai del settore petrolifero di Žanaozen, nel
sudovest del paese, è stata soffocata nel
sangue. E i russi sono convinti che nel caso
di una loro sollevazione il presidente userebbe gli stessi metodi. “Se l’organizzazione Lad non è ancora stata messa fuori legge,
è solo perché le autorità la usano per sondare gli umori dei russi”, dice Plachotin. Mentre Navozov precisa che “in base al suo statuto, la Lad dovrebbe occuparsi anche di
politica, ma le viene impedito di farlo”.
Il giornalista Igor Severjanin è fuggito
dal Kazakistan nel 2011. Faceva parte del
partito Alga, che dopo i fatti di Žanaozen è
stato bandito. “Tutte le organizzazioni nazionali sono controllate dal Knb, i servizi
segreti locali”, dice. “E l’opposizione è stata
messa deinitivamente fuori gioco”. Secondo il suo collega Dubnov, quando Nazarbaev dovrà uscire di scena per via dell’età,
potrebbero esserci dei problemi. Ma per
adesso il presidente “ha la situazione in pugno. Per lui è importante non solo garantire
gli interessi dei vari clan, ma anche rimanere il padre e il fondatore del Kazakistan,
com’è sancito dalla costituzione, che lo deInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015
47
Kazakistan
inisce elbasy, cioè leader, della nazione”.
“Per ora restiamo neutrali”, dice Arkadij,
un pensionato russo. “Ma se Nazarbaev cominciasse a comportarsi come ha fatto in
Georgia il presidente Mikheil Saakašvili
(noto per le sue posizioni iloccidentali), ci
schiereremmo subito con la Russia. Il presidente è il garante della pace e della stabilità.
Se uscirà di scena e il suo posto verrà preso
dai nazionalisti, le cose peggioreranno. Ma
per ora i nazionalisti kazachi tacciono, perché il Knb lavora molto bene”. In efetti l’eficienza dei servizi di Astana è innegabile:
la sera stessa del nostro incontro uno dei
miei interlocutori ha ricevuto una telefonata da un agente che gli chiedeva informazioni su quello che ci eravamo detti. Tutti i
rappresentanti delle organizzazioni russe
che ho incontrato hanno paura di essere
convocati e interrogati dal Knb.
Il cosacco bellicoso
Comunque sia, neanche il rapporto tra i
russi del Kazakistan e il Cremlino è idilliaco. “Non riusciamo a capire cosa vuole da
noi Mosca: non sappiamo se dobbiamo rimanere qui come bastione della Russia o
tornarcene nel nostro paese d’origine”, afferma Plachotin. I rappresentanti delle organizzazioni russe, inoltre, si lamentano
che gli aiuti provenienti dalla madrepatria
“sono miseri e del tutto insuicienti. Non si
tratta di soldi, abbiamo bisogno di un sostegno morale. Putin, per esempio, dovrebbe
venire da queste parti e incontrarci”, continua l’esponente di Russkij mir. “Mosca
considera il territorio in cui viviamo come
un paese straniero”, aggiunge risentito Maslennikov. “Ma non è giusto. Al momento
dell’annessione della Crimea, Putin ha detto che avrebbe difeso i russi in tutto il mondo. Evidentemente di noi non ha afatto bisogno”. Nel complesso, tuttavia, i russi del
Kazakistan amano sinceramente la Russia,
e con lei Putin. “Viviamo per la Russia, siamo tutti fratelli. La Russia è una e noi siamo
molti, è diicile ricordarsi di tutti. Sì, Mosca
ci ha abbandonati, ma questo non signiica
che noi non continuiamo a vivere per la
Russia”, dice il cosacco Čmutov.
I russi di Ust-Kamenogorsk discutono
animatamente di quanto succede nel Donbass e appoggiano la politica del Cremlino
sulla crisi ucraina. Secondo l’editore
Čerkašin a Kiev c’è stato un cambio di regime del tutto illegittimo, ed è questa la vera
diferenza con il Kazakistan: “Se un giorno
i nazionalisti kazachi manderanno a casa il
presidente Nazarbaev qui ci sarà un altro
Donbass. Ma a meno di un cambiamento
illegittimo ai vertici del potere, non riesco a
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
immaginare che la Russia invii qui i suoi
soldati”. Quello che succede in Ucraina è
opera degli statunitensi, sostengono i russi
del Kazakistan, e Mosca si sta solo difendendo. Quasi tutte le persone con cui ho
parlato a Ust-Kamenogorsk a un certo punto mi hanno bollato come un “provocatore
pagato dalla Cia”. Sono convinti che Washington destabilizzerà il Kazakistan orientale, come ha fatto con l’Ucraina.
Ma Dubnov non è d’accordo: uno scenario simile a quello ucraino a Ust-Kamenogorsk è impensabile perché, nonostante la
città sia considerata la culla del separatismo
nel paese, qui il nazionalismo russo non è
abbastanza difuso. Alla ine degli anni novanta un gruppo di russi cercarono di fon-
“Ci saranno dei
problemi. E noi
combatteremo”, mi
dice un capo cosacco
dare un proprio stato: Russkaja Zemlja,
terra russa. Poi, nel novembre del 1999, furono arrestate ventidue persone (dodici
delle quali avevano la cittadinanza russa),
accusate di avere organizzato un’“insurrezione della popolazione russa”. Il loro leader ha sempre respinto le accuse, dichiarandosi vittima di una macchinazione dei
servizi segreti.
Anche lo scrittore russo Eduard Limonov è stato arrestato da queste parti nel
2003, per detenzione illegale di armi. Oggi
è un sostenitore dei ilorussi del Donbass e
aferma che “i kazachi non possono vantare
nessun diritto sulle città vicino al conine
con la Russia. Non le hanno costruite, le
hanno ottenute solo per una serie di coincidenze. Il principio di giustizia è stato tradito
quando milioni di russi sono rimasti fuori
dai conini del loro paese”. “Così dopo il
Donbass sarà il turno del Kazakistan?”, gli
chiedo. “Il Donbass ha seguito l’esempio
della Crimea. Ora forse il Kazakistan seguirà l’esempio del Donbass, vedremo”.
La gente del posto, tuttavia, non crede
all’arrivo degli “omini verdi”, come sono
stati chiamati i militari russi senza insegne
di riconoscimento che erano presenti in
Crimea prima dell’annessione a Mosca.
“Putin non ha bisogno di noi. L’Ucraina è
un’altra cosa, per via del gas, della presenza
della lotta russa e dell’accesso al mare. A
chi può interessare la nostra città, che molti
ritengono la più brutta del mondo?”, dice
l’insegnante Svetlana Pankratova. Secondo
il giornalista Severjanin, “il 90 per cento
dei russi del Kazakistan orientale sarebbe
felice di vedere arrivare qui gli ‘omini verdi’.
Ma, appunto, nessuno ci crede davvero”.
Forse, però, le cose stanno cambiando.
“Fino a qualche anno fa eravamo sicuri che
se la popolazione russa avesse organizzato
una protesta, Mosca avrebbe aiutato Astana a sofocarla. Ora non ne siamo più così
convinti”, dice Plachotin, di Russkij Mir.
Che poi aggiunge: “Allo stesso tempo ci
sentiamo più insicuri”. Sergej, il commerciante, usa parole più forti: “Se la Russia
vuole prendersi questo territorio, troverà di
sicuro degli alleati in città. Per Putin saremmo subito pronti a mobilitarci”.
Secondo Severjanin, Nazarbaev ha creato una situazione che potrebbe portare a
un intervento di Mosca. “La violazione dei
diritti civili dei russi e l’aumento del potere
delle élite kazache sono i due assi nella manica di Putin. Quando Nazarbaev uscirà di
scena, le cose andranno così: se Astana non
cederà subito agli ultimatum di Putin, le tv
di stato russe cominceranno a trasmettere
reportage sulle disgrazie dei russi in Kazakistan. E poco dopo arriveranno gli ‘omini
verdi’ del Cremlino”, dice il giornalista. Il
suo collega Dubnov, invece, ritiene che a
Putin non convenga “alimentare il separatismo in Asia centrale, perché questo potrebbe causare a sua volta una rinascita
delle spinte separatiste all’interno della federazione, negli Urali o in Siberia”.
Poiché non sono riuscito a incontrare
nemmeno un vero militante separatista a
Ust-Kamenogorsk, chiedo a Čmutov se da
queste parti ci sono molti cosacchi. “In caso
di bisogno siamo abbastanza”, risponde laconico. “Bisogno di cosa?”, gli chiedo.
Čmutov rimane in silenzio. Ma quando stiamo per salutarci si avvicina un uomo in pelliccia con un cappello cosacco in testa e la
bocca piena di denti d’oro. Čmutov me lo
presenta come un suo collega, un altro capo
cosacco. “Ci saranno dei problemi. E noi
combatteremo”, mi dice l’uomo con un ampio sorriso. “Sono pronto a tutto per la patria”, conclude. “Sta’ zitto, è un giornalista”,
lo interrompe bruscamente Čmutov. u af
L’AUTORE
Ilja Azar è un giornalista russo. Nel marzo del
2014 è stato licenziato dal giornale online
Lenta, insieme alla direttrice Galina Timčenko,
per le sue cronache della crisi ucraina. Questo
articolo è stato pubblicato sul sito
d’informazione Meduza, fondato alla ine del
2014 da Timčenko, Azar e da una ventina di ex
giornalisti di Lenta a Riga, in Lettonia, per
aggirare le restrizioni in vigore in Russia
sull’informazione online.
Economia
PANoS/LUzPhoto
Nairobi, Kenya, 2014. Promozione di BebaPay, il sistema di pagamento digitale di Google
I risparmi
nel telefonino
The Economist, Regno Unito. Foto di Sven Torinn
Nel mondo 2,5 miliardi di adulti non hanno un conto in banca. Ma con i servizi
inanziari oferti sul cellulare non ne hanno bisogno
e porte del gigantesco ediicio si aprono e la gente si riversa all’interno. Guardie
in divise cachi brandiscono
antichi fucili britannici,
mentre uomini dai freschi
dhoti bianchi e donne in sari colorati indirizzano il lusso dei clienti verso i 14mila
dipendenti che lavorano qui, alla iliale di
Mumbai della State Bank of India. I compratori d’oro vanno a sinistra, dove gli vengono oferte monete o lingotti autenticati
L
50
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
dentro scatole di plastica sigillate. Una decina di uiciali della marina aspettano pazientemente i loro stipendi che, come quelli di molti dipendenti pubblici, sono pagati
attraverso questa banca. A uno sportello al
piano di sopra gli impiegati aiutano i lavoratori analfabeti immigrati dal Nepal a mandare i loro soldi a casa. Questo è un modo di
ofrire servizi inanziari a chi non ha un conto. I sostenitori di questo sistema dicono
che serve a portare la popolazione senza un
conto in banca nel sistema inanziario isti-
tuzionale, abituandola a usare le banche
invece dei canali informali. Ma è un sistema
costoso (ci vogliono molti soldi per aprire
una iliale e per assumere il personale) e
ineiciente. In India solo una minoranza
ricca ha un conto in banca, mentre due terzi
degli adulti – molti dei quali sono poveri e
vivono in campagna – non hanno accesso ai
servizi inanziari. Perché, quindi, dovrebbero perdere tempo, fatica e soldi per andare in banca se esistono delle alternative?
Sulle rigogliose colline della provincia del
Capo Orientale, in Sudafrica, gli anziani
fanno la ila sotto il sole cocente in attesa di
premere le dita su uno scanner per il riconoscimento delle impronte digitali, installato
sul retro di un pulmino. Dopo questa operazione ricevono una smart card emessa dal
governo e collegata a un conto su cui ogni
mese lo stato gli versa la pensione. La conversione è stata rapida. Con il pagamento
elettronico gli anziani non devono più stare
in ila per ore ogni mese. E non rischiano di
essere rapinati per strada.
Il Kenya ha fatto un passo ulteriore con
M-Pesa. Si tratta di un servizio di trasferimento del denaro attraverso il cellulare
usato dal 75 per cento dei keniani adulti: i
soldi possono essere inviati da un telefono
all’altro grazie a un semplice sms. M-Pesa è
così difuso che secondo qualcuno la metà
del pil del paese ormai circola in questo modo. Può essere usato per pagare la bolletta
della luce o il taxi e perino per comprare la
verdura al mercato. Ne sono spuntate delle
copie in tutta l’Africa, soprattutto in paesi
come lo Zimbabwe e la Somalia, che hanno
più o meno abbandonato le rispettive monete per passare al dollaro. In questi paesi,
dove i poveri guadagnano appena un dollaro o due al giorno, non conviene usare le
banconote per le piccole transazioni, e ci
sono poche monete in circolazione. Invece,
le banconote depositate nelle agenzie al
servizio delle compagnie telefoniche e trasformate in moneta mobile possono essere
spese facilmente per comprare, per esempio, una busta di pomodori, spiega Ismail
Ahmed, di WorldRemit, una società che si
occupa di rimesse all’estero.
Si tratta quasi sempre di piccole transazioni, ma negli ultimi anni alcune giovani
aziende hanno capito che servire milioni di
persone che hanno pochi soldi può essere
molto redditizio. Nel mondo 2,5 miliardi di
adulti (più della metà della popolazione
adulta globale) non hanno un conto in banca. Con l’adozione generalizzata dei telefoni cellulari e il progresso delle tecnologie di
cloud computing e analisi dei dati, le aziende
trovano modi sempre nuovi e vantaggiosi
di prestare denaro a miliardi di persone e di
spostarlo e custodirlo per loro. Grazie a
queste innovazioni stanno spuntando nuovi servizi inanziari, dai pagamenti mobili
alle assicurazioni sui raccolti e a nuove tipologie di microcredito.
Più che portare chi non ha un conto in
banca nel sistema inanziario, questi servizi
estendono il sistema a chi non ha un conto
in banca. Arjan Schutte, della Core, una società d’investimento specializzata in aziende tecnologico-inanziarie, dice che “il ruo-
lo delle banche è dato in gran parte per
scontato. Ma una grande tendenza di
quest’epoca è proprio l’erosione dell’importanza delle banche”.
I servizi tradizionalmente offerti da
questi istituti – credito, deposito, pagamenti – oggi sono oferti separatamente. I
risparmiatori del mondo ricco fanno prestiti direttamente attraverso siti
peer to peer. Alcune aziende permettono ai loro clienti di inviare
denaro ai parenti a casa usando
canali che scavalcano le banche
e altri intermediari tradizionali,
contribuendo all’abbassamento delle pesanti commissioni applicate dagli operatori. Questa rivoluzione dovrebbe migliorare
la vita dei poveri, anche se mette in crisi e
sconvolge il modello degli istituti di credito tradizionali.
Alternative poco convenienti
A chi non ha un conto in banca non sono
mai mancate le alternative per accedere ai
servizi inanziari. Il problema è che queste
alternative non sono convenienti. In molti
paesi in via di sviluppo i poveri ancora non
hanno accesso ai prodotti di risparmio e assicurativi. E i soldi nascosti sotto il materasso non solo rischiano di essere rubati, ma
non maturano interessi e non possono essere investiti attraverso il credito, come avviene grazie alle banche. Il denaro si sposta in
contanti, alimentando la criminalità e sfuggendo al isco.
Un settore della inanza alternativa che
ha registrato i progressi più rapidi è quello
del credito. Alcuni importanti operatori di
microcredito, come la Grameen Bank e
l’Opportunity International, sono attivi in
dagli anni settanta. Ma è negli ultimi tempi
Da sapere
Soldi sotto il materasso
Adulti con un conto in banca, 2011, %
0
20
40
60
80
Paesi ad alto
reddito
Asia dell’est
e del Paciico
Mondo
Paesi emergenti europei
e Asia centrale
America Latina
e Caraibi
Asia
del sud
Africa
subsahariana
Medioriente
e Nordafrica
Fonte: The Economist
100
che le imprese più virtuose del settore si
stanno distinguendo per la loro professionalità. I più entusiasti fanno l’esempio del
Ghana, dove le donne possono prendere in
prestito piccole somme di denaro per rifornire i banchi di verdura nei mercati. In alcuni casi, però, i microcreditori hanno esagerato, favorendo bolle creditizie e fallimenti.
Inoltre, tra gli economisti si continua a discutere se i prestiti siano
un bene per i poveri. I dati emersi
da paesi come il Malawi dicono
che è più vantaggioso aiutare un
agricoltore a risparmiare il necessario per seminare il raccolto dell’anno successivo piuttosto che farlo indebitare a un
tasso d’interesse del 30 per cento.
Per di più, la copertura oferta dai microcreditori è a macchia di leopardo. Molti
poveri in tutto il mondo sono ancora costretti a chiedere prestiti a tempo, come un
anticipo sulla busta paga, o a rivolgersi a
prestatori informali che chiedono interessi
esorbitanti. Su questo problema non sono
mancate le polemiche neanche nei paesi
ricchi. Nel Regno Unito la Wonga è stata
criticata per aver applicato un tasso d’interesse sui prestiti a breve termine che, se annualizzato, ammonterebbe a più del 4.000
per cento all’anno (l’azienda ha replicato
che queste cifre non hanno senso, perché i
suoi prestiti normalmente sono ripagati entro un mese, inoltre gli interessi smettono
di sommarsi una volta che un credito è scaduto da almeno 60 giorni).
Le banche tradizionali hanno avuto dificoltà a servire i clienti delle fasce di reddito più basse. I costi legati al funzionamento
delle iliali rendono diicile guadagnare sui
piccoli prestiti o sui piccoli depositi. E con i
tassi d’interesse così bassi, per le banche è
praticamente impossibile fare soldi con i
depositi, perché si è ridotta la diferenza tra
il tasso pagato sui depositi (di solito zero o
quasi) e quello praticato a chi chiede un prestito. Secondo la società di consulenza Oliver Wyman, le banche statunitensi sono in
perdita sul 37 per cento dei conti correnti,
tra cui quelli di molti risparmiatori con un
reddito medio.
Di solito, comunque, i poveri non hanno
un conto in banca. Nei paesi in via di sviluppo il 20 per cento più ricco della popolazione ha più del doppio delle probabilità di
aprire un conto rispetto al 20 per cento più
povero. A livello mondiale meno del 25 per
cento delle persone che guadagnano al
massimo due dollari al giorno ha un conto
in banca. Quando il reddito giornaliero medio supera i dieci dollari, il tasso di bancarizzazione sale al 60 per cento. Tra le persoInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015
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Economia
ne senza un conto in banca ci sono la maggior parte degli abitanti dell’America Latina, del Medio Oriente, dell’Africa subsahariana e di molte zone dell’Asia, oltre a quasi
la metà della popolazione dell’Europa
dell’est. In alcuni paesi africani il tasso di
bancarizzazione è praticamente insigniicante: in Sudan, per esempio, è inferiore al
7 per cento. Nei paesi dell’Ocse il tasso è del
92 per cento, anche se con forti diferenze:
superiore al 90 per cento nei paesi nordici,
poco più del 70 per cento in Italia – che ha
una consistente economia sommersa basata sui contanti – e meno del 50 per cento in
Messico.
Nel 2013 almeno una famiglia statunitense su 13 non aveva un conto in banca,
mentre tra quelle con un reddito inferiore ai
15mila dollari all’anno il rapporto era di una
su quattro. Un terzo delle popolazione non
bancarizzata degli Stati Uniti è nera o ispanica. La spiegazione più frequente per la
mancanza di un conto in banca è la convin-
un sovrapprezzo per il credito o per il risparmio, ma spesso sono praticamente tagliati
fuori da altri servizi inanziari come l’assicurazione sui raccolti, sul bestiame o sulla
vita. Questa impossibilità di coprirsi dai rischi ha delle conseguenze. In Tanzania i
piccoli agricoltori non assicurati tendono a
seminare prodotti che possono consumare,
anche se rendono meno rispetto alle colture
commerciali. In Uganda i coltivatori poveri
che non possono issare i prezzi futuri dei
raccolti hanno molte meno opportunità di
investire nella redditizia produzione del
cafè, perché non sanno con certezza quanto saranno pagati.
Nei paesini più sperduti
Le preoccupazioni legate all’accesso ai servizi inanziari non sono nuove. Nel novecento i governi hanno afrontato il problema in due modi. Il primo, meno fortunato,
è stato nazionalizzare le banche o comunque obbligarle a servire i poveri. L’India,
Nel Regno Unito centinaia di
migliaia di poveri vivono in zone
dove non ci sono iliali bancarie né
sportelli automatici gratuiti
zione di non avere abbastanza soldi. Altri
motivi sono la volontà di non avere a che
fare con le banche e la lontananza dalle
agenzie.
Per chi invece ha un conto in banca, i livelli del servizio possono variare enormemente. Nel Regno Unito, per esempio, i
politici si sono lamentati dell’esistenza di
circa 270 “deserti bancomat”, zone in cui
abitano centinaia di migliaia di poveri e non
ci sono iliali bancarie né sportelli automatici gratuiti. Questo obbliga spesso a usare
gli sportelli degli operatori non bancari, che
impongono delle commissioni.
In molte parti del mondo in via di sviluppo, per i risparmiatori fare una camminata
per raggiungere uno sportello automatico è
l’ultimo dei problemi. Alcuni sono disposti
perfino a rinunciare agli interessi pur di
avere un conto, perché tenere il denaro in
casa li espone ai furti e alle richieste dei parenti. In Ghana e in altri paesi dell’Africa
occidentale la gente versa i propri risparmi
presso i Susu, delle banche informali che
accettano piccoli depositi giornalieri e custodiscono il denaro per i clienti in cambio
di una commissione. Conti informali di
questo tipo esistono anche in India e nelle
Filippine.
I poveri non sono solo costretti a pagare
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che nel 1969 nazionalizzò le sue quattordici
banche più grandi, è l’esempio principale di
questo metodo. Anche se in seguito il sistema bancario è stato liberalizzato, il paese
ancora oggi obbliga le banche a garantire i
servizi nei paesini più sperduti. Nonostante
questo, nel 2011 solo il 35 per cento degli indiani adulti aveva un conto in banca. In Europa molti paesi hanno obbligato gli istituti
di credito a ofrire gratuitamente ai poveri
conti “di base” o si sono serviti di aziende
pubbliche come gli uici postali.
Il secondo metodo è stato non fare niente, a parte stracciarsi le vesti di tanto in tanto. Ha funzionato meglio di come ci si potrebbe aspettare. In molti paesi la crescita
economica ha fatto spesso molto di più di
qualsiasi intervento del governo per portare
i cittadini nel sistema bancario. Ma la recente combinazione di telefonia mobile,
cloud computing e nuovi modelli aziendali
potrebbe avere un impatto maggiore sia
della pianiicazione dall’alto sia dell’efetto
volano prodotto dalla crescita economica.
Alla ine del 2013 c’erano 219 operatori di
moneta mobile in 84 paesi, con più di 60
milioni di conti. Più della metà degli operatori erano nell’Africa subsahariana. Alcuni
si stanno espandendo: in Afghanistan, per
esempio, M-Pesa è usato per pagare gli sti-
pendi della polizia. All’inizio molti agenti
pensavano addirittura di aver ricevuto un
aumento perché le loro buste paga non venivano più “alleggerite” dai funzionari addetti al pagamento.
Grazie ai servizi via cellulare spostare
denaro è diventato abbastanza conveniente e ha favorito delle innovazioni inanziarie in grado di migliorare la vita dei poveri,
dice Jim Roth, della LeapFrog Investments.
La Bima, per esempio, è un’azienda svedese che vende assicurazioni sulla vita, contro
gli infortuni e contro le malattie attraverso
i telefoni cellulari. I bassi costi di distribuzione consentono di ofrire una copertura
assicurativa a fronte di un premio di appena sei dollari all’anno. AllLife, un’azienda
sudafricana che propone assicurazioni sulla vita a persone afette da aids, riduce il rischio inviando ai clienti dei messaggi per
ricordargli di prendere le medicine. Il servizio M-Shwari permette ai suoi clienti di
usare i telefoni cellulari per depositare i loro risparmi su conti “bloccati” che si liberano solo in una data speciica, per esempio
quando bisogna pagare le rette scolastiche.
I dati via cellulare sono usati anche per aiutare gli operatori finanziari a valutare la
solvibilità dei potenziali clienti. L’organizzazione non proit Accion lavora con alcune
aziende in grado di stabilire se un cliente è
aidabile controllando se raggiunge a intervalli regolari il limite massimo della sua
carta di credito e se attraversa i campi di più
di due ripetitori telefonici durante la settimana. I clienti che spendono regolarmente
e viaggiano molto sono considerati debitori migliori di chi se ne sta a casa e usa la carta in modo imprevedibile.
Il passaggio a M-Pesa e ad altri strumenti simili è stato più rapido nei paesi
poveri, dove questi servizi non devono
competere con un modello bancario consolidato e i risparmiatori devono scegliere
tra la moneta mobile e i soldi sotto il letto.
C’è però spazio per l’inventiva anche nei
paesi ricchi. Progreso Financiero, un operatore di credito statunitense attivo in Texas, California e Illinois, ofre prestiti tra i
250 e i 3.500 dollari soprattutto agli immigrati latinoamericani che non hanno un
conto in banca. Per valutare la solvibilità di
un potenziale cliente l’azienda usa un algoritmo più complesso di quelli dei tradizionali istituti di credito. E applica interessi
più alti rispetto alle banche, ma molto più
bassi rispetto ad altri operatori alternativi.
In sette anni ha concesso più di 500mila
prestiti e il responsabile dell’azienda, Raul
Vazquez, dice che i tassi d’insolvenza sono
“a una sola cifra”.
PANOS/LUzPHOtO
Nairobi, Kenya, 2014. Un chiosco di M-Pesa, il sistema di pagamento dal cellulare
Le banche, forse tardivamente, stanno
cominciando ad adeguarsi e a servire
clienti a basso reddito, di solito proponendo le carte prepagate. Per molti anni il mercato del prepagato è stato un far west: sostanzialmente non regolamentato, con
numerose e salate commissioni nascoste e
nessuna assicurazione sui depositi dei
clienti. Ora le cose stanno cambiando, non
tanto per l’intervento dei governi, ma per
la concorrenza. Bluebird, per esempio, una
carta prepagata emessa dall’American Express e da Walmart, gira la somma versata
dal cliente su un conto di deposito presso
una banca con assicurazione annessa. La
Jp Morgan Chase ofre una carta prepagata
low cost chiamata Liquid, che dà agli utenti libero accesso alla sua vasta rete di sportelli automatici per depositare e ritirare
denaro, ma non richiede l’apertura di un
conto presso la banca.
La Regions Bank, attiva nel sudest degli
Stati Uniti, va addirittura oltre, ofrendo a
chi non ha un conto non solo carte prepagate, ma anche il trasferimento di fondi, le rimesse all’estero e l’incasso di assegni a
commissioni basse: sostanzialmente tutto
quello che fa un normale servizio di incasso
assegni, ma a costi notevolmente più bassi.
La Regions ofre poi un conto di risparmio
gratis ai possessori delle sue carte prepagate. Questa formula del conto legato alla
carta prepagata è in crescita anche in Europa e nei paesi poveri. Altre banche sono
costrette a rispondere con le stesse armi
alla rivoluzione della moneta mobile. In
Kenya la Equity Bank permette ai clienti di
usare i suoi servizi bancari via cellulare in
concorrenza con M-Pesa. In Europa la Bnp
Paribas ha lanciato Hello, una banca a cui si
accede via smartphone in quattro paesi.
Certiicati di nascita
Nonostante tutto, i progressi sono poco
omogenei. Uno studio della Banca mondiale mostra che paesi con livelli simili di
reddito spesso hanno livelli diversi di inclusione inanziaria. Il motivo principale è
la politica dei governi. In molti paesi la regolamentazione tiene le persone ai margini del sistema finanziario. Negli slum
dell’India o della Nigeria molta gente non
è in grado di esibire un certiicato di nascita o le bollette, come prevedono le norme
contro il riciclaggio di denaro. In altri paesi
leggi discriminatorie come il divieto per le
donne di sottoscrivere un contratto contribuiscono al notevole divario di genere
nell’accesso ai servizi bancari. Quando le
regole non ostacolano direttamente l’in-
clusione inanziaria, comunque la scoraggiano. In molti paesi dove i governi hanno
cercato di ampliare l’accesso al sistema
bancario imponendolo dall’alto le banche
statali distribuiscono in modo ineiciente
il credito e ne determinano il prezzo in modo non ottimale, congelando l’innovazione
e costringendo anche gli istituti privati ad
alterare il costo dei prestiti per restare
competitivi. L’imposizione di quote per le
iliali e le restrizioni all’ingresso nel settore
(anche per le banche straniere) aggravano
il problema. Di contro, i paesi che incoraggiano l’innovazione e aiutano le banche e
le imprese a superare gli ostacoli normativi
(per esempio, emettendo carte d’identità
uiciali che permettono alle banche di individuare i clienti) sono più abili a includere i poveri nel sistema inanziario.
Per i governi ci sono altri modi di facilitare il processo. Il primo è rendere elettronici i pagamenti dei sussidi. Un altro è fare
più chiarezza sulle regole della moneta mobile, per incoraggiare un numero maggiore
di banche a entrare nel mercato e placare i
timori delle compagnie telefoniche sui rischi legati ai servizi inanziari. I vantaggi di
portare nel sistema inanziario uiciale una
bella fetta di tutti gli adulti senza un conto
in banca sarebbero enormi. u fsa
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Scienza
Il circo
dei sensi
Shruti Ravindran, Aeon, Regno Unito. Foto di Kathy Klein
La sinestesia è un fenomeno percettivo che mescola i sensi e permette di vedere
la musica e sentire il sapore delle parole. Secondo alcuni studi siamo tutti
sinestetici, anche se in gradi diversi. Ma solo alcuni se ne rendono conto
na volta Vladimir Nabokov deinì il suo personaggio più famoso, Lolita, “un piccolo fantasma
dal colorito naturale”.
Quel colorito era particolarmente vivido anche grazie a una peculiarità neurologica che faceva vedere a Nabokov dei lampi colorati ogni volta che si
afacciava alla sua mente una lettera dell’alfabeto. Nella sua autobiograia, Parla, ricordo (Adelphi 2010), ne riporta qualche esempio: “La b ha quella sfumatura che i pittori
chiamano terra di Siena, la m è un panneggio di lanella rosa, e oggi ho inalmente
abbinato alla perfezione la v con il ‘rosa
quarzo’ del Dizionario dei colori di Maerz e
Paul”. Questo particolare fenomeno percettivo, che mescola i sensi e permette alle
persone di vedere la musica o di sentire il
sapore degli oggetti guardandoli, si chiama
sinestesia.
I sinestetici come Nabokov vedono le
lettere e i numeri in colori che sono sempre
gli stessi e spesso molto personali. La sinestesia grafema-colore, come viene chiamata, è la forma più comune e riguarda quattro
persone su cento. È anche la più studiata.
Altre forme piuttosto difuse sono la cromastesia e la sinestesia spaziotemporale. Nella
prima certe tonalità o certe note generano
lampi di colore, e una sinfonia può evocare
un paesaggio tridimensionale. Nell’altra i
secondi, i giorni, i mesi o gli anni avvolgono
le persone come anelli planetari. Esiste anche la sinestesia lessico-gustativa, che attribuisce a ogni parola un sapore forte e speciico, rendendone alcune più dolci e altre
U
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troppo amare per essere pronunciate. Altri
sinestetici parlano anche di una personiicazione ordinale-linguistica, in cui alle lettere e ai numeri vengono attribuiti un genere, un colore e una personalità: il 4 può essere un uomo irascibile e meschino che litiga
sempre con la moglie, il 6 una signora distinta dai modi squisiti.
Non c’è nulla di più intensamente soggettivo e indescrivibile del modo in cui
ognuno di noi percepisce il mondo. Perciò
molti sinestetici possono passare tutta la
vita senza rendersi conto che le loro esperienze sensoriali quotidiane sono insolite o
eccezionali. Quelli che se ne accorgono, vivono istanti di allarmata presa di coscienza
quando i loro amici non capiscono di cosa
stiano parlando e dicono: “Cosa signiica
che il mio nome sa di crema di piselli?”.
Questi momenti di illuminazione sono diventati sempre più comuni da quando, negli
anni ottanta, sono stati concepiti i primi test
per valutare l’autenticità di certe afermazioni e poi, a metà degli anni novanta, la
misurazione delle onde cerebrali ha per-
Molte persone
possono passare tutta
la vita senza
accorgersi che le loro
esperienze sensoriali
quotidiane sono
insolite o eccezionali
messo di cominciare a studiare la isiologia
delle varie forme di sinestesia. Nel 2013 Richard Cytowic, un neurologo che studia la
sinestesia alla George Washington university, ha descritto nel suo Oxford book of synesthesia “la sorpresa e l’entusiasmo” dei sinestetici quando i test confermavano che
non si stavano “inventando tutto”.
Vedere le lettere a colori
Da quando un numero sempre maggiore di
sinestetici si rende conto di questa anomalia, stanno emergendo anche nuove forme
di questo fenomeno. Nel 2008 due neuroscienziati dell’università della California a
San Diego, V.S. Ramachandran e David
Brang, si sono imbattuti nel primo caso di
sinestesia tattile-emotiva: una ragazza che
reagiva in modo viscerale ai tessuti. Se
n’era resa conto quando aveva raccontato a
Brang che da bambina scoppiava a piangere ogni volta che i genitori le facevano indossare i jeans, perché trovava quel tipo di
tessuto ripugnante e deprimente. Toccare
la cera, invece, la imbarazzava terribilmente, mentre la seta le provocava un’intensa
sensazione di gioia.
I ricercatori hanno scoperto anche che
in un individuo possono convivere varie
forme di sinestesia. La stessa persona che
trova ripugnante un certo tessuto può vedere le lettere e i numeri a colori. La sinestesia
è spesso ricorrente all’interno delle famiglie. Il padre e la madre di Nabokov vedevano le lettere a colori, e la madre vedeva nuvole di colore anche quando ascoltava una
musica. La moglie di Nabokov, Vera, e il iglio Dmitri condividevano lo stesso tipo di
sinestesia grafema-colore. Per dirla con le
parole dello scrittore: “Una lettera che lui
(Dmitri) vede viola, o forse malva, è rosa
per me e blu per mia moglie. È la lettera m.
In altre parole, nel suo caso il rosa e il blu,
combinandosi, hanno dato il lilla. Come
dire che i geni umani dipingono ad acquerello”. Ma ormai sembra che i sinestetici
non appartengano più a un circolo così
esclusivo come si pensava un tempo.
Anche se non siamo parenti di Nabokov,
tutti noi potremmo leggere un libro a colori.
Le complessità ancora poco studiate della
normale percezione, secondo alcuni neuroscienziati e psicologi dello sviluppo, fanno
pensare che, come i Nabokov, tutti siamo
più o meno sinestetici. Per veriicarlo basta
tornare a quando eravamo neonati e il nostro cervello si stava sviluppando.
Le percezioni dei neonati
Il primo a intuire questa possibilità fu il ilosofo Jean-Jacques Rousseau nel suo romanzo Emilio (1762). Rousseau ipotizza che un
bambino nato già grande, con le dimensioni di un adulto e le facoltà di un neonato,
avrebbe avuto pochissima consapevolezza
di sé e le sue impressioni sensoriali sarebbero state mescolate, in una sorta di protosinestesia. Scrive infatti: “Con l’occhio cieco a ogni colore, con l’orecchio sordo a ogni
suono, i corpi che toccasse non sarebbero
in contatto col suo, anzi neppure saprebbe
di averne uno proprio. Tutte le sensazioni
convergerebbero in un solo punto, esisterebbero solo nel comune sensorium”. Nel
1818 fu questa idea a ispirare la descrizione
che ci dà Mary Shelley della prima esperienza sensoriale di un altro insolito neonato.
“Una strana molteplicità di sensazioni
s’impadronì di me”, dice il mostro del suo
romanzo, Frankenstein, “e io vidi, udii, e
odorai, tutto insieme; e passò, credo, molto
tempo, prima che imparassi a distinguere le
diverse funzioni dei miei sensi”.
Nei suoi Princìpi di psicologia (1890),
William James dipinge in modo simile il
mondo sensoriale del neonato. Scrive infatInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015
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Scienza
ti che “un numero qualsiasi di impressioni,
provenienti da un qualsiasi numero di fonti
sensoriali, che vada a colpire simultaneamente una mente che non le ha ancora percepite separatamente, si fonderà in un unico oggetto indiferenziato”. Di conseguenza, “il bambino, assalito contemporaneamente da occhi, orecchie, naso, pelle e viscere, sente tutto come una grande ronzante confusione; e ino alla ine della vita, la
nostra tendenza a collocare ogni cosa in un
unico spazio è dovuta al fatto che l’estensione o la grandezza originaria di tutte le sensazioni che abbiamo provato simultaneamente si è agglomerata nello stesso spazio”.
Se il modello percettivo jamesiano fosse
valido, se la maggior parte di noi separasse
i sensi via via che matura, la sinestesia non
potrebbe essere semplicemente un residuo
di quella fusione che la maggioranza degli
individui si lascia alle spalle? In altre parole,
tutti i neonati sono sinestetici?
Questo concetto è stato ripreso nel 1988
in un libro intitolato Il mondo dei neonati
(Muzzio 1991). Gli autori, la psicologa dello
sviluppo Daphne Maurer della McMaster
university, nell’Ontario, e il marito Charles
Maurer, scrittore, ipotizzano un mondo dei
sensi del neonato che ricorda la protosinestesia dell’Emilio di Rousseau. “Il suo mondo ha lo stesso profumo del nostro, ma non
percepisce gli odori come se venissero solo
dal naso. Li ode, li vede e li palpa. Se potessimo entrare nel mondo del neonato, penseremmo di essere in
una profumeria allucinogena”.
Secondo i Maurer tutti i neonati sono sinestetici e le numerose connessioni tra le regioni del
loro cervello trasformano i vari stimoli in
percezioni. L’acceso dibattito tra queste varie zone del cervello, dicono, probabilmente dà luogo a un sensorium infantile sinestetico. Charles Maurer ebbe per la prima volta
quest’idea mentre leggeva Viaggio nella
mente di un uomo che non dimentica nulla
(Armando Editore 2004) dello psicologo
sovietico Aleksandr Lurija. Il protagonista
di questo libro del 1968 ricorda le “vaghe
sensazioni sinestetiche” della sua prima
infanzia, quando “una nebbia e poi una
massa di colori” indicavano la presenza di
un rumore, forse di qualcuno che parlava.
Così Charles chiese a sua moglie, che
all’epoca stava studiando lo sviluppo della
vista nei neonati, se era possibile che tutti
fossero sinestetici. “Lasciami pensare a come si manifesterebbe e poi andrò a rivedere
i dati”, fu la sua risposta. “E quando li rividi”, racconta oggi, “pensai che fosse un’ipotesi sensata”. Le prove le aveva trovate in
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Se potessimo entrare
nel mondo di un
neonato,
penseremmo di
essere in una
profumeria
allucinogena
una serie di studi degli anni ottanta e novanta sull’anatomia del cervello, dai quali
risultava che dall’infanzia all’età adulta il
numero e l’estensione delle connessioni
neurali andava gradualmente diminuendo.
Grazie alla marcatura anatomica – una tecnologia nuova che permetteva di contrassegnare gruppi di neuroni e seguire la loro
traiettoria di sviluppo – gli studi avevano riscontrato che nel cervello dei gattini, dei
cuccioli di macaco reso e dei neonati umani
certe reti neurali si riducevano e alcune abilità inivano per prevalere sulle altre. Studi
più recenti hanno dimostrato che questa
regolazione neurale avviene soprattutto tra
i sette e i nove anni.
Analizzando i risultati degli esperimenti
comportamentali, Maurer ha trovato prove
convincenti a sostegno dell’ipotesi che la
sinestesia vada scemando a mano a mano
che il cervello del bambino matura e le connessioni neurali si riducono. Uno
dei primi studi sul tema nel quale
si è imbattuta è stato quello condotto nel 1974 dai ricercatori della facoltà di medicina di Harvard.
“Se si posizionano due elettrodi
sulla testa di un neonato e si stimola il polso,
si verifica un aumento dell’attività della
corteccia tattile”, mi ha detto. “E se interviene un rumore bianco, si osservano ulteriori variazioni nella corteccia tattile”. In
altre parole, nel cervello del neonato tatto e
udito si amplificano a vicenda. Ma nella
stessa regione del cervello adulto, che non
elabora i suoni, quell’aumento di attività
non si veriica.
Questa scoperta ha raforzato le ipotesi
che Maurer aveva formulato nei tanti anni
passati in ospedale a studiare lo sviluppo
della vista nei neonati. La psicologa ricorda
che quando in corsia c’era chiasso i bambini
“cominciavano a piangere e si chiudevano
in se stessi”, mentre quando provavano una
sensazione piacevole, sentivano una voce
dolce o il tocco di una coperta posata delicatamente su di loro, si aprivano in un sorriso.
Sembra che i bambini reagiscano al livello
di stimoli complessivo, indipendentemente
dalla loro provenienza. È come se il sistema
nervoso sommasse udito, vista e tatto.
Nel corso del tempo tende però a prevalere la speciicità. Helen Neville, una neuroscienziata dell’università dell’Oregon,
nel 1995 ha dimostrato che nei bambini di
sei mesi la voce umana genera onde cerebrali nelle regioni uditive e visive del cervello. Ma questo effetto diminuisce gradualmente e, intorno ai tre anni, la voce
provoca attività solo nelle regioni uditive.
Questi e altri studi hanno portato Maurer a
concludere che nel corso del tempo le itte
reti neurali osservate nei neonati diminuiscono o vengono ridimensionate dall’ambiente e dall’esperienza. Secondo lei questo ridimensionamento ha l’efetto di eliminare i fenomeni psichedelici, ma non nei
sinestetici, nel cui cervello il fascio di connessioni si rinforza.
Triangoli rossi
È impossibile riprodurre esattamente
l’esperienza fenomenologica di un neonato, ma di recente due psicologhe dell’università della California a San Diego hanno
riprodotto la sinestesia in atto. Katie Wagner e Karen Dobkins hanno fatto vedere a
un gruppo di bambini di due, tre e otto mesi
e a un gruppo di adulti alcuni cerchi e triangoli scuri su uno sfondo colorato: rosso e
verde o blu e giallo. L’ipotesi di partenza era
che i bambini sinestetici che associavano i
triangoli al rosso avrebbero guardato di più
quelli che si stagliavano sullo sfondo verde,
più o meno come gli adulti. Dopo aver analizzato i risultati di un centinaio di questi
test, Wagner e Dobkins hanno riscontrato
che questo si veriicava nei bambini di due
e tre mesi, mentre quelli di otto mesi e gli
adulti non mostravano alcuna associazione
o preferenza. I risultati dello studio dimostrano che le associazioni sinestetiche cominciano nei primi mesi e scompaiono con
il passare del tempo, confermando così
l’ipotesi di Maurer.
Altre ricerche hanno dimostrato che la
sinestesia infantile si riconigura verso i due
o tre anni. A fare questa scoperta è stata Julia Simner, una neuroscienziata dell’università di Edimburgo che ha cercato di catturare l’evoluzione di questo processo. Nel
2009, nell’ambito di uno studio pubblicato
sulla rivista Brain, ha chiesto a 615 bambini
di sei anni di accoppiare 13 colori con le 26
lettere dell’alfabeto e con i numeri da 0 a 9.
Dopo dieci secondi li ha interrogati sui loro
accoppiamenti. I 47 che avevano riportato
il miglior punteggio sono stati messi alla
prova di nuovo un anno dopo. Nel frattempo le loro associazioni si erano raforzate,
consentendole di osservare in tempo reale
come progredisce la sinestesia. Quando, tre
anni dopo, ha controllato di nuovo i suoi
presunti sinestetici, di dieci o undici anni,
Simner ha scoperto che le loro associazioni
erano rimaste invariate e anzi si erano rafforzate.
Anche Daphne Maurer sta conducendo
uno studio simile. Segue tre igli di donne
sinestetiche grafema-colore da quando
avevano tre o quattro anni. Chiede ai piccoli di scegliere tra 96 matite colorate diverse
quelle che associano alle lettere dell’alfabeto, ai numeri da 0 a 9 e a quattro forme base.
L’esperimento viene ripetuto varie volte a
distanza di qualche settimana. Finora ha
scoperto che i bambini non sinestetici scelgono ogni volta matite diverse, mentre i igli
di madri sinestetiche accoppiano alle lettere, ai numeri e alle forme sempre gli stessi
colori. L’anno dopo la coerenza delle scelte
aumenta, passando dal 40 al 75 per cento.
Maurer è rimasta colpita dalle sfumature
che assumono le associazioni, molto simili
a quelle dei genitori sinestetici. Un bambino, per esempio, si è lamentato del fatto che
la tonalità di verde associata a una certa lettera non era quella giusta.
Gli esperimenti che cercano di fotografare le varie tappe del processo e che durano
tutta la vita si sono dimostrati diicili e costosi, perciò gli studiosi della sinestesia si
stanno sempre più concentrando su quella
che chiamano integrazione cross-modale:
il modo in cui il cervello combina input sensoriali diversi come odori e suoni. Probabilmente siete convinti che i sensi funzionino
indipendentemente l’uno dall’altro, come
raggi laser che si concentrino su un singolo
suono o su un’immagine. In realtà i nostri
sensi sono costantemente collegati tra loro
per poter catturare in modo più vivido il
mondo che ci circonda.
Pensate alla sensazione di avere in bocca del cotone che avete provato l’ultima
volta che avete mangiato qualcosa quando
eravate raffreddati, o al fatto che sapete
esattamente in che direzione scappare
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Scienza
quando sentite un cane che ringhia. Nel nostro cervello i suoni, le immagini, gli odori e
tante altre percezioni si mescolano.
Queste interazioni tra i sensi producono
le cosiddette “percezioni extrasensoriali”.
Per esempio, si può avere la sensazione che
la fonte di un guaito acuto sia una creatura
più piccola e meno minacciosa di quella che
emette un ringhio profondo. Queste corrispondenze intersensoriali furono scoperte
nel 1929 da Edward Sapir, un linguista
dell’università di Chicago, e da Wolfgang
Köhler, uno psicologo dell’università di
Berlino. Sapir chiese ai volontari che partecipavano al suo studio di attribuire due parole senza signiicato, mil e mal, a due tavoli, uno dei quali era più piccolo dell’altro.
Tutti i volontari tranne uno attribuirono mil
al tavolo più piccolo. I partecipanti allo studio di Köhler, invece, dovevano accoppiare
due parole inventate, takete e maluma, a
due forme, una ameboide e bitorzoluta, e
l’altra ailata e puntuta come una scheggia.
La maggior parte di loro era sicura che takete fosse la forma ailata e maluma quella
grumosa. Da studi successivi è emerso che
sia i bambini sia gli adulti tendono ad associare la luminosità a un rumore assordante
e una pallina a un suono acuto.
I ricercatori vorrebbero scoprire se queste interazioni si collocano su un continuum, cioè se sono più forti nei sinestetici e
solo più deboli negli altri. Questo indicherebbe che tutti abbiamo accesso alla ricchezza percettiva che accompagna la sinestesia. Secondo Daphne Maurer, le corrispondenze sono dovute alle connessioni
tra le varie zone del cervello che non sono
state eliminate durante lo sviluppo. La pensa così anche il neuroscienziato Edward
Hubbard dell’università del Wisconsin a
Madison. “La nostra esperienza del mondo
è comunque integrata, combina continuamente le informazioni provenienti dai diversi organi sensoriali”, dice. “Nella sinestesia assistiamo a una versione potenziata
di questa combinazione”. Un esempio di
questo fenomeno è l’efetto McGurk, una
bizzarra illusione percettiva scoperta dallo
psicologo britannico Harry McGurk nel
1976. Se la voce registrata di una persona
che ripete la sillaba “ba” viene sovrapposta
al ilmato senza audio di qualcuno che ripete la sillaba “ga”, nella nostra mente il suono diventa una via di mezzo tra le due sillabe: “da”. “Questo dimostra che la percezione linguistica è un fenomeno multisensoriale, una fusione degli input che ci arrivano da vari sensi”, dice Hubbard.
Nel 2001 una serie di esperimenti di
Hubbard e Ramachandran ha rivelato qua-
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le potrebbe essere il nodo cerebrale attraverso il quale passano le connessioni: la
circonvoluzione angolare, una piccola zona
vicina alle regioni più importanti del cervello che elaborano le esperienze tattili,
uditive e visive. Per trovare conferma alla
loro ipotesi, Hubbard e Ramachandran
avevano mostrato a tre pazienti che avevano subìto danni alla circonvoluzione angolare due forme astratte da associare ai nomi buba e kiki, la loro versione di maluma e
takete. “I pazienti avevano più diicoltà a
riconoscere il grumo come buba e la scheggia come kiki”, dice Hubbard.
Hubbard e Ramachandran avevano poi
chiesto di spiegare il signiicato di alcune
metafore e igure retoriche. Com’era prevedibile, i pazienti incontravano diicoltà
in quello come in altri compiti
linguistici. A causa del danno alla
circonvoluzione angolare avevano perso la capacità extrasensoriale, non erano più in grado di
associare “acuto” sia alla forma
di un oggetto sia a un suono come quello di
un accordo di chitarra o della parola kiki. I
ricercatori sono arrivati alla conclusione
che l’universalità di questa capacità intersensoriale, e il fatto che forse dipende dalla
nostra anatomia, potrebbe renderci tutti
“sinestetici in incognito”.
Flusso continuo
È possibile che la sinestesia sia il vero motore delle metafore e dell’arte. Se non ci
credete, chiedetelo a Megan Hart. “Per me
la parola amore ha sempre avuto il sapore e
l’odore dell’inchiostro fresco. Come una
poesia appena scritta”, dice nel suo romanzo del 2013 Tear you apart. La poesia, come
il romanzo, è intrinsecamente sinestetica,
e la sua fonte segreta è l’io sinestetico.
L’esistenza di un continuum sinestetico è
stata al centro della conferenza della Society for neuroscience che si è svolta a Washington a novembre del 2014, durante la
quale diversi ricercatori hanno ipotizzato
che questa capacità potrebbe spiegare per-
I bambini autistici
sono più lenti nel
mettere insieme
quello che vedono con
quello che sentono,
in particolare quando
si tratta di parole
ché le persone che sofrono di un qualsiasi
deicit sensoriale se la cavano comunque
abbastanza bene. Jenessa Seymour, una
dottoranda dell’università dell’Illinois a
Urbana-Champaign, ha raccontato di un
esperimento per dimostrare che gli individui nati sordi hanno una visione periferica
più acuta, particolarmente utile quando c’è
poca luce. Questa super-visione, ha spiegato, ha origine nella regione del cervello che
normalmente viene usata per combinare
vista e udito, la circonvoluzione temporale
superiore posteriore.
Ryan Stevenson, un neuroscienziato
dell’università di Toronto, ha individuato
in particolare una zona di questa regione
del cervello: il solco temporale superiore,
che è coinvolto nella percezione della lingua orale e delle espressioni facciali, nell’interpretazione delle
emozioni e nella comprensione
delle intenzioni degli altri. Tutte
queste funzioni, osserva, nelle
persone autistiche sono più deboli. Nel corso di un esperimento ha confrontato la capacità di bambini autistici e
non autistici di combinare informazioni
uditive e visive. Prima ha verificato con
quanta chiarezza erano in grado di percepire suoni non linguistici come bip e ischi.
Poi gli ha chiesto di combinare udito e vista
in un test sull’efetto McGurk. Gli ha mostrato il ilmato di una persona che pronunciava la sillaba “ga” con l’audio di una che
diceva “ba”. E ha veriicato che, mentre entrambi i gruppi erano in grado di distinguere i bip e i ischi, i bambini autistici tendevano a non sentire la combinazione di suoni “da”, molti di loro dicevano di aver sentito solo “ba”. Stevenson ne ha dedotto che
i bambini autistici sono più lenti nel mettere insieme quello che vedono con quello
che sentono, in particolare quando si tratta
di parole.
“Tutti capiamo meglio quello che dice
una persona in una stanza rumorosa se vediamo il movimento delle labbra”, spiega
Stevenson. “Ma i bambini autistici hanno
più diicoltà a sovrapporre quello che sentono e quello che vedono”.
Questi studi dimostrano che siamo tutti più o meno sinestetici in incognito. È solo
una questione di gradi. La sinestesia ci
mette in contatto con la nostra mente, e
con quella degli altri. Questo circo dei sensi inluisce sul nostro primo sviluppo e determina la nostra umanità. Ripensando
alla mente della nostra infanzia, quando la
sinestesia era al culmine, forse potremmo
ampliicare il continuo lusso di informazioni che ci arriva dal mondo. u bt
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tutte le foto: Alfredo d’AmAto (pAnos)
Portfolio
60
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
Vivere
a Capo Verde
Il fotografo Alfredo D’Amato ha documentato la vita
quotidiana nell’ex colonia portoghese, che è rimasta molto
legata alla società e alla cultura europea
C
apo Verde è indipendente dal 1975
ma i suoi abitanti continuano a
sentirsi un po’ europei, avendo
mantenuto uno stretto legame con
la società e la cultura portoghese. I
capoverdiani sono poco più di un milione e circa
la metà di loro vive all’estero. Negli ultimi anni
l’economia del paese africano ha registrato una
forte crescita, grazie soprattutto al turismo e alle
rimesse dei cittadini emigrati. Gli esploratori portoghesi scoprirono l’arcipelago di Capo Verde nel
1456 e ne fecero un importante porto commerciale e un centro per la tratta degli schiavi. u
Alfredo D’Amato è nato a Palermo nel 1977. Questo reportage è stato realizzato tra il 2013 e il 2014.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
61
Portfolio
62
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
Alle pagine
60-61, foto
grande: nella
capitale
Praia,
sull’isola di
Santiago. A
pagina 61,
foto piccola:
sulla spiaggia
di Gamboa,
vicino al
porto vecchio
di Praia. In
queste
pagine, in
alto, da
sinistra:
lezione di
boxe sulla
avenida
Combatentes
liberdade da
patria; una
venditrice
ambulante di
piante
davanti a un
murale
dedicato
all’eroe della
lotta anticolonialista
Amílcar
Cabral;
Cyntia e
Marina, 18
anni,
studentesse.
In basso, da
sinistra:
Carlos, 76
anni, davanti
alla sua casa;
all’alba sulla
spiaggia di
Quebra
Canela; corso
di chitarra a
Praia.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
63
Portfolio
Sopra: su un terrazzo a Cidade
Velha, sull’isola di Santiago. Qui
accanto, da sinistra: il busto di
Caetano Alexandre de Almeida e
Albuquerque, governatore
portoghese di Capo Verde
nell’ottocento, in un parco a Praia;
una casa di Assomada, sull’isola di
Santiago.
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
Sopra: tra le rovine della cattedrale
di Cidade Velha. Qui accanto, da
sinistra: una madre nutre la iglia
grazie alla banca del latte
dell’ospedale Agostinho Neto, a
Praia; gemelli al porto vecchio della
capitale.
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Ritratti
YanisVaroufakis
Efetto domino
Paulo Pena, Público, Portogallo. Foto di Ben Sklar
Il ministro delle inanze
del nuovo governo greco ha
il compito di scongiurare
l’insolvenza del paese e una
crisi dell’euro. Le sue idee poco
ortodosse potrebbero ofrire
una soluzione
“C’
è una diferenza
abissale tra
quello che diciamo e quello
che la stampa
internazionale
sostiene che diciamo. Noi non vogliamo
entrare in guerra con l’Unione europea. Noi
non bluiamo. Noi non minacciamo nessuno. Non vogliamo nemmeno negoziare.
Vogliamo decidere insieme. Non vogliamo
imporre le nostre idee al resto d’Europa.
Siamo troppo piccoli e troppo deboli per farlo”. Questa dichiarazione di Yanis Varoufakis, che smentisce molto di quanto è stato
detto dopo la vittoria di Syriza alle elezioni
del 25 gennaio in Grecia, è stata rilasciata il
28 gennaio al cellulare. Il nuovo ministro
delle inanze stava guardando “attraverso
una inestra del parlamento”, durante una
pausa dal ritmo frenetico di quei giorni.
L’intervista concessa al canale australiano
Abc ha una spiegazione afettiva. Varoufakis ha il doppio passaporto, greco e australiano, e ha vissuto a Sydney, dove risiede
ancora sua iglia. Chi lo conosce sa che ogni
mese ci sono alcuni giorni in cui “non è disponibile” per incontri e riunioni, perché
deve stare con lei.
Tuttavia non è solo per questo che
Varoufakis è ascoltato con attenzione a migliaia di chilometri di distanza. Il giornalista della Abc lo ha paragonato a Obama
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perché il cambiamento politico in Grecia
potrebbe far rinascere “la speranza” in Europa e nel mondo. Varoufakis però respinge
il paragone. Sul suo blog, dopo la vittoria di
Syriza e prima ancora di essere indicato come ministro delle inanze, ha fatto riferimento a una famosa poesia di Dylan Thomas: “Oggi la democrazia greca ha scelto di
non andarsene docile in quella buona notte.
La democrazia greca ha deciso di infuriare
contro il morire della luce”.
La scelta di quella poesia non sorprende. “Ha una grande cultura letteraria”, spiega l’economista britannico Stuart Holland.
C’è un’altra citazione letteraria nel suo percorso politico. Nel novembre del 2010 Holland e Varoufakis hanno pubblicato Una
modesta proposta per uscire dalla crisi dell’euro. La “modesta proposta” originale è quella scritta nel 1729 da Jonathan Swift, che
non parlava né di euro né di inanze. O meglio, ne parlava in termini molto diversi. Il
titolo completo era Una modesta proposta:
per evitare che i igli degli Irlandesi poveri siano un peso per i loro genitori o per il paese, e per
renderli un beneicio per la comunità. Diversamente da quella di Varoufakis e Holland,
la proposta di Swift era satirica: i bambini
dei poveri irlandesi avrebbero dovuto essere venduti come cibo per i ricchi.
Dai tempi di Swift qualsiasi “modesta
proposta” è associata alla satira, ma non
Biograia
◆ 1961 Nasce ad Atene.
◆ 1989 Insegna all’università di Sydney.
◆ 2004 Diventa consigliere economico del
governo di George Papandreou.
◆ 2010 Pubblica Una modesta proposta per
uscire dalla crisi dell’euro con Stuart Holland.
◆ Gennaio 2015 È nominato ministro delle
inanze nel governo di Alexis Tsipras.
intesa come un invito sottilmente ironico,
bensì come una completa, pesante e irrispettosa soluzione burlesco-politica.
Varoufakis ha scelto ugualmente di deinire
la sua proposta “modesta”. Ma nessuno l’ha
presa sul ridere.
La proposta di Varoufakis e Holland non
chiedeva la “solidarietà” del Nordeuropa
né una “ripartizione” del debito tra gli stati
(nessun contribuente europeo di un paese
ricco doveva inanziare i debiti di altri paesi). Al contrario, chiedeva un “avallo” della
Banca centrale europea (Bce) sul debito degli stati dell’eurozona ino a un limite del 60
per cento rispetto al loro pil (per rispettare i
criteri di Maastricht). Questo avallo si traduce in un “conto” aperto da ogni stato
presso la Bce. Il debito resta, ma viene garantito dalla Bce.
La prima tessera
Abbiamo incontrato Varoufakis e Holland a
Bruxelles nel dicembre del 2011 all’apice
della crisi del debito. Stavano cercando di
convincere i gruppi parlamentari europei a
seguire la loro idea, dopo gli interventi della
troika (Unione europea, Fondo monetario
internazionale e Bce) in Grecia, Irlanda e
Portogallo e quando si temeva un “contagio” delle grandi economie di Spagna e Italia. Si sono seduti insieme a noi in un rumoroso bar del parlamento europeo e hanno
cominciato a spiegare il signiicato dell’aggettivo “modesta” riferito alla loro idea.
Varoufakis era appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti, dove aveva incontrato
alcuni rappresentanti dei fondi d’investimento (tra cui Pimco) e altri pezzi grossi di
Wall street per presentare la sua proposta
sul debito europeo. Il futuro ministro delle
inanze greco era stato elogiato dai vertici
della Federal reserve statunitense. “Quando abbiamo visto che la nostra proposta ot-
teneva consensi in ambiti così diversi, dai
comunisti alla banca svizzera Ubs passando
per Wall street, la prima cosa che abbiamo
capito è che il piano era razionale. La secon­
da è che i problemi dell’euro sono più sem­
plici di quanto si pensi”.
Parlando con Varoufakis si scopre che
gli piace molto ridere, anche di se stesso, e
che ama le contraddizioni. “Sono un marxi­
sta liberista, anche se so che è una contrad­
dizione”, ha dichiarato dopo le elezioni. In
precedenza si era deinito un “marxista er­
ratico” e un “economista accidentale”. Og­
gi quando gli chiedono cosa si prova a esse­
re ministro dice: “Sono sbalordito. È la di­
mostrazione che il mondo è alla rovescia”.
Varoufakis ama illustrare il suo pensiero
con immagini chiare e originali. “La Grecia
è un paese caratterizzato dall’ineicienza e
dalla corruzione in dall’ottocento. Ma se
ne parla solo ora che l’Unione europea è in
crisi. Noi siamo responsabili per la caduta
della prima tessera, ma non per l’efetto do­
mino”, ha spiegato alla radio australiana.
La sua soluzione per evitare la reazione a
catena è impedire la caduta del primo tas­
sello. La sua “modesta proposta” è stata
sottoscritta da inluenti politici europei co­
me Jacques Delors, Felipe González e Giu­
liano Amato. Ma il sostegno non è arrivato
solo da sinistra. Hanno irmato il testo di
Varoufakis anche l’ex primo ministro belga
Guy Verhofstadt, il conservatore Giulio
Tremonti e perino David Cameron, che
oggi si mostra scettico a proposito della vit­
toria di Syriza ma che aveva chiesto a Varou­
fakis di sviluppare la sua proposta per per­
mettere al governo britannico di appoggiar­
la. Bisognava “arrestare una caduta libera”
e per questo era importante rivolgersi a tut­
to lo spettro politico, spiega Varoufakis. “La
nostra proposta è la cosa più vicina a una
soluzione tecnica che superi le ideologie”.
Fuori dal bozzolo
Varoufakis è laureato in matematica stati­
stica e ha ottenuto un dottorato in econo­
mia all’università di Essex. Poi si è trasferito
a Sydney, dove si è sposato, ha avuto una i­
glia ed è rimasto ino al divorzio, nel 2000.
All’inizio del nuovo millennio è tornato ad
Atene. Un giorno gli hanno chiesto di rila­
sciare un’intervista diversa dal solito. L’ar­
tista greca Danae Stratou stava preparando
un’installazione e voleva parlare con alcuni
studiosi del suo progetto. L’idea era che i
muri e le frontiere stavano tornando in tutto
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Ritratti
il mondo dopo un periodo in cui sembravano condannati a diventare una reliquia del
passato. Danae aveva invitato giuristi e architetti, e qualcuno le aveva suggerito il nome dell’economista. Pochi mesi dopo erano
in viaggio insieme: dal Kosovo a Israele,
dall’Egitto all’Etiopia, dagli Stati Uniti al
Kashmir. Lei fotografava e ilmava, lui scriveva. Oltre a un’installazione e a un libro
(Globalising walls), quell’intervista ha prodotto anche un matrimonio.
Poi è arrivato l’ennesimo colpo di scena
nella già rocambolesca vita da giramondo
di Varoufakis. La crisi inanziaria partita dagli Stati Uniti nel 2007 ha colpito l’Europa.
E la Grecia è stata la prima “tessera del domino” a cadere. Per due anni, dal 2004 al
2006, Varoufakis era stato consigliere del
primo ministro Giorgios Papandreou, e conosceva da vicino la realtà greca. Era proprio quello di cui il resto del mondo aveva
bisogno: un economista greco che parlasse
un ottimo inglese (nonostante l’accento).
Le tv internazionali hanno cominciato a invitarlo sempre più spesso: Cnn, Bloomberg,
Bbc. “Ero diventato una piccola celebrità”,
scrive Varoufakis sul suo blog. “Fino al
2009, quando è scoppiata la crisi dell’euro,
ero solo un professore di economia. Mi occupavo delle mie teorie, scrivevo tesi oscure
e libri esoterici letti da qualche decina di
matti come me. Stavo benissimo nel mio
bozzolo accademico. In quel periodo non
mi passava nemmeno per la testa di non rispondere a un’email”. Finché la sua vita “è
cambiata da un giorno all’altro”.
La teoria dei videogiochi
Uno degli “effetti secondari” di questo
cambiamento è stato proprio la quantità di
email in arrivo. Quando erano troppe era
costretto a cancellarle. Una di quelle che si
sono salvate, quasi per caso, cominciava
così: “Sono il presidente di un’azienda di
videogiochi”. Era un’oferta di lavoro proveniente dagli Stati Uniti. Il caso ha voluto
che Varoufakis e la moglie avessero già prenotato un viaggio oltreoceano per promuovere il loro libro. Una leggera deviazione gli
ha permesso di passare due giorni a Seattle,
dove hanno conosciuto la misteriosa azienda Valve. Al primo incontro Varoufakis ha
capito che quelle persone “non erano solo
vagamente strane, erano un gruppo meraviglioso”. Inoltre la comunità economica
creata dalla Valve con i suoi giochi “era il
sogno di qualsiasi economista”. Varoufakis
spiega perché: “Chiariamo una cosa: l’econometria (la disciplina che si occupa della
misurazione dei fenomeni economici) è un
travestimento, inge di avere un legame con
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la realtà e la statistica ma è più che altro
un’astrologia da computer”. Questo, spiega
Varoufakis, signiica che i metodi econometrici non possono valutare dei “se” molto
importanti: e se non ci fosse stato il new deal? E se non avessimo iniettato denaro pubblico nella crisi dei subprime?
Nell’ambiente virtuale, con la complessa rete economica creata dalla comunità dei
giocatori, Varoufakis poteva fare due cose:
“oltrepassare la frontiera tra economia reale e digitale” e raccogliere importanti “lezioni di economia politica”. Così Varoufakis
ha accettato l’oferta ed è diventato uno dei
primi economisti a lavorare stabilmente in
un’azienda di questo tipo (il primo è stato
l’islandese Eyjólfur Guðmundsson, che Varoufakis ringrazia “perché al confronto il
mio nome sembra quasi pronunciabile”).
La Valve non è un’azienda come le altre. Ha
“In fondo
l’econometria è più
che altro un’astrologia
da computer”
un’organizzazione orizzontale in cui non
esistono gerarchie. La produzione di videogiochi non nasce da una pianiicazione centrale. L’azienda si divide in squadre, e ognuna decide cosa fare. È quello che Varoufakis
chiama “ordine spontaneo alternativo”,
che contrasta con la tradizionale organizzazione aziendale. “L’attuale sistema di governo delle imprese è obsoleto, schiacciato
da gerarchie che impediscono l’espressione
del talento e dell’energia, sono piene di inanze tossiche, dipendono da strutture politiche sempre meno legittime. Prima o poi
si affermerà una nuova forma d’impresa
postcapitalista e decentrata”.
Così la pensa l’uomo che sta per entrare
nell’Eurogruppo. Un ministro convinto che
abbiamo bisogno di “un new deal basato
sull’investimento pubblico” per superare
tre crisi: quella del debito, quella della crescita e quella bancaria. A questo proposito,
Varoufakis è convinto che “abbiamo bisogno di banche noiose”. Noiose? Varoufakis
ha pronunciato questa frase dopo una notte
quasi insonne. Aveva dormito tre ore, e la
Grecia aveva rischiato il colpo di stato dopo
che l’allora primo ministro conservatore
Antonis Samaras aveva deciso di chiudere
la televisione pubblica (che Syriza ha promesso di riaprire). Varoufakis doveva registrare un’intervista per un documentario,
ma i fatti di quel 12 giugno 2013 avevano fatto saltare la registrazione. La troupe era di-
sponibile solo per il giorno seguente, alle 8
del mattino. Varoufakis ha registrato due
versioni della sua dichiarazione, una in inglese e l’altra in greco, spiegando cosa voleva dire quando parlava di banche “noiose”.
Le banche noiose sono quelle che prendono
in prestito il denaro dai cittadini con un basso tasso di interesse, lo prestano alle aziende, allo stato e alle persone con un interesse
più alto, e questo gli basta per vivere.
Il peso delle aspettative
Questa non è l’unica teoria di Varoufakis
che spinge i mercati a sospettare del suo
“radicalismo” molto più che della sua “moderazione”. La priorità del suo governo è
combattere la “crisi sociale e umanitaria”
aumentando il reddito dei cittadini e la spesa pubblica. Uno scontro frontale con la
troika, insomma, e con le scadenze che incombono. La Grecia deve restituire 6,7 miliardi di euro in due scadenze, il 20 luglio e
il 20 agosto. È come avere di fronte un’idra,
dice: “Tagli una testa e ne spunta un’altra”.
Prima Varoufakis viveva un’esistenza
tranquilla. Insegnava alla Lyndon B. Johnson school of public afairs, in Texas, dove i
suoi studenti lo hanno eletto “miglior professore”. Portava avanti il suo impegno civile e politico, ma non doveva rinunciare a
tutto il resto, ai viaggi in Australia per stare
con la iglia e allo studio. Ora dovrà sospendere anche le polemiche intellettuali. Pochi
mesi fa è stato uno dei pochi economisti di
sinistra a criticare l’economista Thomas
Piketty per il suo libro Il capitale nel XXI secolo (Bompiani 2014). Con una vasta argomentazione teorica, ha accusato il collega
francese di presentare “una visione ipersempliicata del capitalismo”.
D’ora in poi per lui il mondo sarà sempre
dall’altra parte della inestra, come quella
del parlamento da cui parlava al telefono
con l’Australia, o quelle delle sale di riunione di Bruxelles. Tra i problemi che dovrà
afrontare ce n’è uno che non è stato creato
da lui né da nessun altro greco: “Il peso delle aspettative”. Varoufakis sa che molte persone si aspettano cambiamenti concreti.
Durante la campagna elettorale ha rilasciato un’intervista a un giornale spagnolo che
aveva portato un interprete greco. Dopo
l’intervista, l’interprete gli ha raccontato in
greco, senza farsi sentire dai giornalisti, che
prima della crisi era stato professore di lingua. Poi era rimasto disoccupato, aveva
perso la casa e viveva di lavori saltuari.
Forse il fardello è troppo pesante. “Ma
noi vogliamo aprire una piccola porta per
far entrare la luce di Dylan Thomas”, spiega
il ministro delle inanze della Grecia. u as
Viaggi
L’arcipelago
vichingo
Tra le falesie e lungo i prati
delle isole Fær Øer. La nebbia,
il vento e una luce particolare
modiicano in continuazione
il paesaggio
impossibile perdersi. Basta
partire dalla Scozia e andare
verso nord, navigando per
duecento miglia. Salpando
dalla Norvegia e andando verso l’isola di Terranova bisogna
percorrerne trecento. Invece partendo dalla Danimarca e proseguendo in direzione
dell’Islanda sono più di seicento. L’arcipelago delle Fær Øer è al centro dell’universo
vichingo. Sono il posto ideale per varare un
drakkar, rifornirsi di acqua, arrostire un
agnello o bersi qualche birra. Ecco perché le
isole Fær Øer sono state popolate dai feroci
navigatori vichinghi. Finora non esistono
prove di eremiti irlandesi vissuti qui.
L’arcipelago è composto da diciotto isole. Ha una supericie totale di 1.400 chilometri quadrati, simile a quella di Città del
Messico, ma è abitato solo da cinquantamila persone. Due quinti della popolazione
vive nella capitale, Tórshavn. Chi visita
queste isole avrà la sensazione di avere
molto spazio a disposizione per correre e
l’oceano all’orizzonte, l’assenza di alberi e
le valli profonde scavate dai ghiacciai aumentano questa impressione. L’oceano invade le valli, crea iordi e separa le isole. Le
pareti rocciose si trasformano in falesie epiche, imponenti, vertiginose e mortali, cariche di un tenebroso magnetismo. La nebbia
e il vento alterano continuamente il panorama. Le montagne vanno a caccia delle
nuvole che corrono sull’Atlantico e si ammassano sui versanti ventosi. Dove non
soia il vento invece brilla il sole e il paesaggio si moltiplica ino a diventare ininito.
Anche il tempo qui acquista una consistenza diversa. Forse è ammorbidito
dall’indolenza delle pecore al pascolo,
è
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un’altra costante di questi luoghi. Non è un
caso che il nome danese delle Fær Øer signiichi “isole delle pecore”. Ma il paesaggio è inluenzato soprattutto dalla luce nordica, che d’estate allunga le ore ino a inghiottire la notte e d’inverno rattrappisce il
giorno unendo l’alba e il tramonto in un unico scenario. Le isole Fær Øer si trovano a
una latitudine più alta di quanto potrebbe
far pensare il loro clima temperato. Grazie
alla corrente del golfo del Messico, anche
negli inverni più rigidi la temperatura in
media non scende sotto lo zero.
Considerando i mutamenti dello spazio,
del tempo e della luce, un isico potrebbe
concludere che è un posto perfetto per capire la teoria della relatività di Einstein. Ma
un’equazione non basta a spiegare cosa si
prova stando in quest’arcipelago, le sensazioni che si hanno quando si naviga immersi nella nebbia ascoltando il fragore delle
onde contro i faraglioni, quando si segue il
volo impacciato di centinaia di pulcinella di
mare, si ripercorre la storia che nascondono
queste case di legno coperte di erba, o si osserva un uragano in cima a una falesia.
Legati al mare
Con un po’ di fortuna, chi arriva alle isole
Fær Øer in aereo può sperare di vederle
dall’alto tra un mare di nuvole. Spiccano come scogli enormi, con le loro pareti di basalto. In alcuni punti la roccia cede spazio
all’erba. A volte si vede anche qualche paese che sorge vicino al mare, con una piccola
cala o un porto.
Le case sono dipinte di rosso, di nero, di
bianco. Molti tetti hanno ancora un rivestimento d’erba, come vuole una tradizione
ancestrale, e di solito sono isolati. Non ci
sono case lussuose e la chiesa spesso si distingue con diicoltà dagli altri ediici: per
individuarla bisogna cercare un tetto a due
spioventi e un campanile discreto. L’interno della chiesa è altrettanto austero, simile
a quello di un’antica scuola, con ile di banchi, inestre e qualche quadro. Le principali
vie di comunicazione tra i diversi villaggi
DANIEL KrEHEr (IMAGEBroKEr/CorBIS/CoNTrASTo)
Raimon Portell, Mg Magazine, Spagna
sono sempre state via mare. Ancora oggi
sono i traghetti a imbastire la trama delle
isole. Ci sono anche due tunnel che uniscono l’isola Vágar con l’isola Streymoy e un
altro tunnel che collega le due isole Eysturoy e Borðoy. C’è anche un ponte sullo stretto tra Streymoy ed Eysturoy. In poco più di
un’ora è possibile percorrere il tragitto tra
l’aeroporto di Vágar e la città di Klaksvik, a
tre isole di distanza. Ma gli abitanti delle
isole Fær Øer non abbandonano mai il mare, lo portano nel sangue. I bambini imparano a remare anche prima di andare in bicicletta, mentre gli adulti sanno che il mare è
il principale mezzo di sostentamento: più
del 90 per cento delle esportazioni dell’arcipelago dipende dall’oceano.
Per sentire il mare basta imbarcarsi su
un’antica goletta di legno al porto di Tórshavn e circumnavigare l’isola di Nólsoy:
falesie, fari, erba verde, basalto nero, mare
plumbeo.
È un viaggio di piacere, al contrario di
quello che collega Sørvágur all’isola di Mykines. In questo caso la piccola imbarcazione trasporta merci e passeggeri. Aggira i
Isole Fær Øer. Una cascata sull’isola di Vágar
Informazioni
pratiche
u Arrivare e muoversi Il prezzo di un volo
dall’Italia per le isole Fær Øer (Atlantic Airways,
Sas) parte da 442 euro a/r. Il modo più semplice
per spostarsi è noleggiare un’auto: alcune isole
sono collegate da ponti. Su altre si arriva solo
via mare, come a Mykines, e non ci sono auto.
u Dormire Gli alberghi sono pochi. La
soluzione migliore è pernottare a Tórshavn,
che ha gli hotel e i ristoranti migliori. Da lì si
possono raggiungere quasi tutte le altre isole.
u Clima La stagione migliore per visitare
l’arcipelago è l’estate, perché la temperatura
non è troppo fredda e ci sono venti ore di luce.
In inverno le ore di luce sono cinque.
u Leggere Johan Harstad, Che ne è stato di te,
Buzz Aldrin?, Iperborea 2008, 16,50 euro.
u La prossima settimana Di notte in pullman
da Konya a Gaziantep, in Turchia. Avete
suggerimenti su posti dove mangiare o dormire,
libri? Scrivete a [email protected].
faraglioni e costeggia il litorale. Gabbiani,
berte minori atlantiche, procellarie e stercorari antartici sorvolano le onde. All’improvviso la barca entra in una cala molto
stretta. Il mare è calmo, ma l’attracco è rischioso, con il mare mosso dev’essere impossibile. Pacchi e borse vengono lanciati
fuori dall’imbarcazione e saranno trasportati lungo la salita, ino alle prime case, con
un montacarichi. I passeggeri invece dovranno farsela a piedi.
D’inverno a Mykines restano solo dieci
persone. D’estate le case che sono state
chiuse per alcuni mesi riprendono vita. Tornano i discendenti degli antichi abitanti.
Arrivano turisti, fotograi e ornitologi. Molti di loro fanno l’escursione d’obbligo ino al
faro più a occidente dell’arcipelago. La strada si snoda a picco sul mare. Sui suoi prati i
pulcinella di mare hanno scavato tane per i
loro piccoli.
Migliaia di volatili scrutano la zona, planano a terra, riprendono il volo. Nelle falesie si annidano gabbiani, sule e fulmari. C’è
anche l’uccello delle tempeste codaforcuta,
che passa molto tempo a sorvolare il mare
per poi tornare a terra di notte solo per prendersi cura dei suoi piccoli.
La gita dà un’idea di come doveva essere la vita a queste latitudini, soprattutto
quella delle famiglie a guardia dei fari, ma
non solo. Un monumento ricorda le vittime
del mare: da una parte si commemorano i
naufraghi, dall’altra le persone cadute in
mare cercando di recuperare un uovo, un
pulcinella di mare o una pecora. Chi restava
a terra doveva sopportare lunghi inverni
senza quasi nulla da mettere nel camino. Le
case più antiche di Tórshavn sono minuscole proprio per essere riscaldate più facilmente.
Per secoli la capitale occupò la piccola
penisola di Tinganes. Qui c’era il parlamento dei primi abitanti e sulle rocce i capi incisero la loro irma, decidendo di sostituire le
vecchie divinità con il dio cristiano. Questo
avvenne intorno all’anno mille, e di lì a poco
il re Sverre di Norvegia prese il potere e stabilì a Kirkjubøur, più a sud, la sede episcopale. Una delle sue chiese medievali è ancora in uso. Poi le isole Fær Øer passarono
sotto la corona danese. Quando il re si con-
vertì al protestantesimo, requisì la residenza del vescovo e cedette gli ediici e le terre
della curia a un fattore. I suoi discendenti
abitano ancora lì. La fattoria ha un salone di
legno vecchio di novecento anni, un fatto
insolito in un paese in cui le abitazioni sono
andate a fuoco molte volte per colpa degli
incidenti domestici o degli attacchi di pirati
e corsari. Ci furono anche visitatori più
tranquilli che arrivavano in estate dall’Islanda, dalla Scozia e dalla Norvegia, mercanti
della lega anseatica e pescatori baschi. Gli
scambi cessarono quando la corona danese
stabilì il monopolio sul commercio e ripresero a metà dell’ottocento, creando una
iorente industria della pesca. Durante la
seconda guerra mondiale, mentre la Danimarca era occupata dai tedeschi, le isole
Fær Øer restarono in mano ai britannici.
Alla ine della guerra alle isole fu concessa
una grande autonomia. Gli abitanti non
fanno parte dell’Unione europea e non hanno un esercito, ma hanno una nazionale di
calcio. I prati enormi in cui giocare non
mancano, anche se è diicile trovare terreni
pianeggianti. u fr
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
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Graphic journalism
NON LONTANO DA
NOVI SAD C’È IL
VILLAGGIO DI MAGLIC.
POCHI IN SERBIA
SANNO CHE NEGLI
ANNI QUARANTA FU
IL TEATRO DI UN
ESPERIMENTO
SOCIALE UNICO...
IL VILLAGGIO UN TEMPO SI CHIAMAVA BULJKES. FINO AL 1944 I SUOI ABITANTI
ERANO IN GRAN PARTE TEDESCHI. COME IN ALTRI PAESI DELL’EUROPA
DELL’EST, SUBIRONO UNA PUNIZIONE COLLETTIVA PER AVER COLLABORATO CON GLI OCCUPANTI
NAZISTI E FURONO ESPULSI IN GERMANIA...
DOPO L’INIZIO DELLA GUERRA CIVILE IN
GRECIA, MOLTI MEMBRI DELLA RESISTENZA
COMUNISTA (ELAS) TROVARONO RIFUGIO
NELLA JUGOSLAVIA DI TITO. NEL 1945 LE
AUTORITÀ JUGOSLAVE CEDETTERO IL
VILLAGGIO ABBANDONATO DI
BULJKES ALLA COMUNITÀ
GRECA. CIRCA 4.000
PERSONE FORMARONO UNO
STATO NELLO STATO, GUIDATO
DA UN LORO COMITATO...
72
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
QUESTA REPUBBLICA COMUNISTA GRECA IN
MINIATURA AVEVA UNA VALUTA PROPRIA (CHE
OGGI È UN TESORO NUMISMATICO), LABORATORI,
SCUOLE, UN CORPO DI POLIZIA, TEATRI,
CINEMA, LIBRERIE, GIORNALI, PERFINO UNA
RIVISTA PER BAMBINI. TUTTO IN GRECO,
NONOSTANTE LA DISTANZA DALLA GRECIA...
PUR ESSENDO STATA PROGRAMMATA
PER ESSERE AUTOSUFFICIENTE,
L’ECONOMIA DIPENDEVA MOLTO
DAGLI AIUTI DEL GOVERNO
JUGOSLAVO. LA VITA AVEVA UN
ORIENTAMENTO COLLETTIVISTA. NON
SI MANGIAVA IN CASA: I PASTI,
PREPARATI PER TUTTE LE FAMIGLIE
DEL VILLAGGIO, ERANO SERVITI
NELLE CUCINE COMUNI. L’IMMAGINE
DI UNA CUCINA COLLETTIVA ERA
ADDIRITTURA STAMPATA SULLA
BANCONOTA DA 5 DINARI.
L’INTERO PROGETTO FINI
CON LA CRISI TRA
TITO E STALIN.
LA MAGGIOR PARTE
DEGLI ABITANTI DI BULJKES,
CONSIDERANDO REVISIONISTA
LA NUOVA POLITICA
JUGOSLAVA, CHIESE DI
POTERSI TRASFERIRE IN
CECOSLOVACCHIA A METÀ
DEL 1949. SOLO 800 GRECI
RIMASERO NEL VILLAGGIO. DOPO
LA FINE DELL’INSEDIAMENTO
GRECO, BULJKES FU
NUOVAMENTE OCCUPATA DA
FAMIGLIE POVERE PROVENIENTI DA
VARIE ZONE DELLA JUGOSLAVIA E CAMBIÒ
NOME DIVENTANDO MAGLIC. IL RICORDO
DI QUELL’INSEDIAMENTO UNICO E
AUTOGOVERNATO È SCOMPARSO, ANCHE
SE PROBABILMENTE È STATO QUANTO DI PIÙ
VICINO A UN IDEALE PROGETTO COMUNISTA CHE
I BALCANI ABBIANO MAI CONOSCIUTO...
Aleksandar Zograf è un autore di fumetti nato a Pančevo, in Serbia, nel 1963.
Il suo ultimo libro è Segnali (Coconino press/Fandango 2011).
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Cultura
Guy LE QuErrEC (MAGNuM/CoNTrASTo)
Musica
Abdullah Ibrahim e la Kalahari Liberation Opera nel 1982
Melodie
di protesta
Lindokuhle Nkosi, Mail & Guardian, Sudafrica
Per capire la storia sudafricana
è utile risalire alle origini delle
canzoni che hanno contribuito
a sconiggere l’apartheid
el 1962 Ben Turok, attivista
antiapartheid veterano
dell’African national congress (Anc), fu incarcerato
nel penitenziario centrale
di Pretoria. Nel 1964 raccontò la sua storia
sulla rivista dell’Anc, Sechaba.
“Ieri sera è stato molto triste: con un
canto dolce e malinconico, i detenuti nel
braccio della morte hanno comunicato agli
altri che la loro ine era vicina. Era notte
fonda quando il canto si è interrotto, e la prigione è piombata in un silenzio pregno di
inquietudine. Ero già sveglio quando hanno
N
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
ripreso a cantare, di prima mattina. Ancora
una volta, quella musica struggente e bellissima ha attraversato le sbarre alle inestre,
ha echeggiato per il cortile dell’ora d’aria e
si è dispersa nei grandi piazzali della prigione. Poi, all’improvviso, la voce di Vuyisile
Mini ha rimbombato per i corridoi vuoti.
Evidentemente era salito su uno sgabello
per raggiungere con la faccia il condotto di
ventilazione della cella. Con la sua inconfondibile voce bassa ha scandito in lingua
xhosa il suo messaggio d’addio al mondo.
Era una voce carica d’emozione ma ostinatamente ribelle, ha parlato della lotta
dell’Anc, convinto che alla ine sarebbe stata vittoriosa. E poi è stato il turno di Wilson
Khayinga, seguito da Zinakile Mkaba. Anche loro hanno sidato le regole del carcere
per gridare discorsi di commiato. Poco dopo ho sentito le porte delle loro celle che si
aprivano e i tre hanno cominciato a cantare
un’ultima, commovente canzone che pareva riempire l’intera prigione, per poi aievolirsi lentamente nei recessi del braccio
della morte. Mini ha camminato verso il patibolo, con le mani ammanettate dietro la
schiena, e ha cantato, come aveva promesso, ino a che il cappio intorno al collo non
l’ha ucciso”.
Mini cantava Naants’ indod’ emnyama
Verwoerd (Stai attento arriva l’uomo nero,
Verwoerd). È ancora oggi la sua canzone
più popolare.
Armi non convenzionali
La musica è un’arma. Mini, l’uomo che oggi
è considerato il progenitore dei canti di protesta, lo sapeva. Lo sapeva quando compose quelle melodie per esortare gli altri a organizzarsi. Lo sapeva quando stava percorrendo gli ultimi passi della sua vita, mentre
gli stringevano il cappio attorno al collo. Sapeva che nelle note e negli schemi compositivi c’è un linguaggio. C’è un’emozione
che non si può esprimere; parole che non si
possono scrivere. Nella musica c’era la lotta
e nella lotta c’era la musica.
Mini, Mkaba e Khayingo furono tra i primi esponenti dell’Anc condannati a morte
dal governo dell’apartheid. Erano passati
101 anni da quando la nave degli invasori, la
Css Alabama, era approdata a Città del Capo, ispirando una canzone che si canta ancora oggi, Daar kom die Alibama (Arriva
l’Alabama). Ne erano trascorsi 73 da quando
AP/ANSA
Marzo 1960. Una manifestazione dell’Anc a Orlando East, Johannesburg
Enoch Sontoga aveva composto Nkosi sikelel’ iAfrica (Dio benedica l’Africa), che sarebbe diventato l’inno nazionale di cinque
paesi africani, e ne erano passati 51 dall’approvazione del Native land act, che avrebbe
spianato la strada all’apartheid, depredando i sudafricani nella loro stessa terra. E
nove anni dai primi trasferimenti forzati di
neri dalle loro case di Sophiatown.
La resistenza a quegli abusi è stata resa
immortale da Meadowlands di Strike Vilakazi. La canzone tradusse in musica un sentire comune e risuonava dodici anni prima
che gli studenti di Soweto scendessero in
strada, prima che venissero falciati dalla
polizia dell’apartheid, prima che portassero
il paese alla paralisi, prima che gli esiliati
mandati in Zimbabwe introducessero una
nuova danza di protesta, il toyi-toyi. La lotta
del Sudafrica contro la dominazione della
minoranza bianca è scandita dalla musica.
Quando ci si chiede cos’è la musica di
protesta, la risposta a prima vista appare
abbastanza chiara. Ma è diicile classiicarla. Le chiese aprono le porte e raggiungono
la strada, il toyi-toyi risuona nei cortili delle
scuole e sui palchi di tutto il mondo e i musicisti esiliati diventano specchi che rilettono la realtà delle atrocità commesse in Sudafrica.
E allora, di nuovo: cos’è esattamente la
musica di protesta? “La musica di protesta
è una musica che dà forma, o che prende
forma dalla protesta. A volte è composta,
come quella di Vuysile Mini. In altri casi nasce spontaneamente proprio durante le lotte”, dice Masello Motana, attrice, autrice
satirica e storica del canto. “Da sempre le
due tipologie sono separate da una linea
molto sottile. Una melodia magari è stata
composta, ma poi spunta qualcuno che dice: ‘Ero lì quando è nata per la prima volta
questa canzone… ma dov’era?’”.
Nascita di una canzone
Al momento Motana sta lavorando a un
progetto, Ntyilo Ntyilo, per ricostruire l’archivio musicale del Sudafrica. “Una canzone, ingoma, può riportare in vita le cose. Ma
c’è una diferenza tra le parole ‘ingoma’ e
‘canzone’, che ha a che vedere con il modo
in cui la prima si forma e viene alla luce, già
nel vocabolario. Dicono che è una persona
a comporre una canzone. Ma da dove arriva? Arriva da un luogo che le parole non
possono raggiungere. È per questo che attraverso la musica i cuori riescono a unirsi
così rapidamente. Basta una nota per entrare in comunione spirituale con una o cento
persone”. Motana comincia a cantare The
land act, un medley che combina tre canzoni: Meadowlands, Not yet uhuru di Letta
Mbulu e Thina sizwe. Tutte e tre, nate in
epoche diverse, parlano di privazione delle
terra, espropriazioni e repressione.
Il progetto di Motana vuole ricomporre
la memoria delle township attraverso le
canzoni. Spesso si tende a pensare che la
gente abbia cominciato a vivere nelle township volontariamente. E la nuova tendenza
per cui “il ghetto è un posto igo”, a volte,
minimizza le ragioni per cui la gente ci vive.
“Uno stravolgimento della storia imperdonabile. Canzoni come Meadowlands e Shosholoza, che erano rispettivamente la colonna sonora delle espropriazioni e della
sottomissione, ormai si suonano come se
fossero canzoni di festa. Per questo ho voluto restituire a Meadowlands la sua tristezza, riportarla nel suo contesto. Nessuno ha
voglia di festeggiare quando viene buttato
fuori di casa”.
Motana non è l’unica artista che vuole
ripristinare la memoria di quella che ora
chiamiamo musica di protesta. Il progetto
del compositore e librettista Neo Muyanga,
Revolting songs, si preigge lo stesso scopo.
Muyanga ha passato l’ultimo anno e mezzo
ad analizzare la musica di protesta cercando, come dice lui, quello che “la motiva a
livello estetico”.
Entrambi i progetti mettono in discussione la nozione comune di musica di protesta, obbligandoci a vederla in dialogo con
le nostre vite, non come qualcosa di stagnante, come una storia ormai conclusa e
immobile. Come dice Abdullah Ibrahim in
Amandla! A revolution in four part harmony,
il documentario di Lee Hirsch del 2002:
“La rivoluzione in Sudafrica è l’unica in
tutto il mondo che si è compiuta con un’armonia in quattro parti”. u nv
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
77
Cultura
Cinema
Italieni
Dagli Stati Uniti
I ilm italiani visti da
un corrispondente straniero.
Questa settimana Vanja
Luksic del settimanale francese L’Express.
Una piccola speranza
78
Una strana stagione dei premi
che portano all’Oscar diventa
ancora più strana. Dopo essere stato scelto come miglior
ilm dalle associazioni dei registi, dei produttori e degli attori americani (Dga, Pga e
Sag), Birdman sembra correre
da solo verso il premio più
ambito. È successo una sola
volta che un ilm vincitore di
quei tre premi non abbia vinto l’Oscar (Apollo 13, nel
1993). Ma, invertendo la tendenza, ai British academy of
ilm and television award co-
Boyhood
me miglior ilm ha vinto
Boyhood. Questo può cambiare le carte in tavola? I Bafta
sono una buona indicazione
per capire chi otterrà l’Oscar?
L’ultimo giro di votazioni per
l’Academy award comincia il
13 febbraio, quindi ancora tutto è da decidere. In più negli
ultimi anni i criteri di assegnazione dei premi sono diventati praticamente identici.
E il fatto che dal 2001 i Bafta
siano assegnati prima della
notte degli Oscar (in precedenza avveniva dopo) può inluenzare qualche componente dell’Academy ancora indeciso. Tra l’altro, anche se nella categoria come miglior ilm
i premiati diicilmente corrispondono, nelle altre categorie, in particolare quella degli
attori, spesso i vincitori sono
gli stessi. L’unico Bafta vinto
da Birdman è quello per la fotograia.
Scott Feinberg,
The Hollywood Reporter
Massa critica
Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo
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Il nome del iglio
Di Francesca Archibugi.
Italia 2015, 96’
●●●●●
Le prénom (uscito in Italia con
il titolo Cena tra amici), versione cinematograica di una
famosa commedia teatrale di
Alexandre de la Patellière e
Matthieu Delaporte, ha avuto un enorme successo in
Francia. Con Il nome del iglio
Francesca Archibugi ci ofre
una rivisitazione italiana di
questa commedia che riprende un po’ il tema classico del
Grande freddo. Un gruppo di
amici si ritrova a cena, in una
casa romana tutta libri e terrazzo (al Pigneto, ovviamente). Si comincia scherzando,
poi l’atmosfera si fa sempre
più tesa. Con un momento di
distensione, grazie a una
canzone di Lucio Dalla che
farà rivivere il passato comune, spensierato e felice. Questa commedia agrodolce,
molto francese perché molto
parlata, è da vedere. Non solo per i dialoghi che sono curati e pungenti o per la regia
di una grande professionista.
Ma anche e soprattutto per
gli attori bravissimi. Le due
attrici, in particolare, sono
eccezionali. Valeria Golino è
Betta, una donna tenera, piena di frustrazioni acuite
dall’angoscia della premenopausa. Micaela Ramazzotti è
Simona, irresistibile ragazza
di borgata, autrice di un best
seller e incinta del suo primo
iglio. L’annuncio del nome
del bimbo innesca il dramma. La sua nascita dà inizio a
una nuova speranza.
La vittoria di Boyhood ai
Bafta potrebbe riaprire la
corsa all’Oscar
Media
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La TeORia DeL TuTTO
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Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo
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1ccc1
I consigli
della
redazione
Timbuktu
Abderrahmane Sissako
(Francia/Mauritania, 97’)
Birdman
Alejandro
González Iñárritu
(Stati Uniti, 119’)
In uscita
Timbuktu
Di Abderrahmane Sissako. Con
Ibrahim Ahmed, Layla Walet
Mohamed, Toulou Kiki.
Francia/Mauritania 2014, 97’
●●●●●
L’avanzata dei jihadisti da una
quindicina d’anni a questa
parte mette in discussione la
nostra idea di umanità. Abbiamo aspettato a lungo un ilm
che deinisse la misura artistica – e non solo sociologica, politica o spettacolare – di questi
eventi, l’opera che potesse riempire il vuoto e rappresentare un fenomeno che invece
della nostra idea di umanità
non si preoccupa afatto. Vecchio dilemma quello dell’arte
che si confronta con la mostruosità. Come cogliere l’una
senza tradire l’altra? Come
mostrare una realtà orribile
senza edulcorarla? Sono poche le opere che ci sono riuscite. Timbuktu aggiunge a un’eccezionale qualità artistica
l’eco funesta dell’attualità.
L’azione si svolge a Timbuctù
nel periodo in cui è stata occupata da una coalizione di gruppi jihadisti, cioè tra l’aprile del
2012 e il gennaio del 2013. In
pochi mesi i miliziani hanno
imposto la sharia, hanno bruciato tombe e manoscritti dal
valore inestimabile, hanno
fatto regnare il terrore in nome della fede. Il regista ci mostra questo momento particolare attraverso due strade parallele che iniranno tragicamente per incrociarsi. Da una
parte gli estremisti islamici
impongono la loro legge,
dall’altra il destino di una solare famiglia tuareg che vive nei
dintorni della città. E questo è
tutto. Il resto è solo intelligenza e bellezza. L’intelligenza di
mostrare i carneici per quello
che sono, non demoni (e quindi creature divine), ma sem-
Timbuktu
plici uomini. Grotteschi, cinici, ipocriti, quasi inconsapevoli del male che commettono. Il
fanatismo come registro terribile della stupidità, e la stupidità come fonte inesauribile e
universale di umorismo. Ma
attenzione perché dietro
l’umorismo c’è l’orrore in agguato. Di fronte a questo pozzo di idiozia e atrocità risplende la bellezza di chi è schiacciato ma resiste grazie al suo
spirito: una coppia tuareg che
con dignità e grazia tiene alta
la testa per guardare negli occhi il suo oppressore, una specie di stregona che insulta le
pattuglie dei jihadisti, gli adolescenti che aggirano il divieto
di giocare a calcio facendo una
partita senza pallone e anche
l’imam che ricorda con coraggio i valori della tolleranza
dell’islam.
Jacques Mandelbaum,
Le Monde
Whiplash
Di Damien Chazelle. Con Miles
Teller, J.K. Simmons, Paul Reiser. Stati Uniti 2014, 105’
●●●●●
Andrew (Miles Teller) frequenta il prestigioso Shafer
conservatory di New York.
Studia per diventare un batterista. La batteria è uno strumento divertente e i batteristi
sono tipi socievoli. Almeno
così si potrebbe pensare. Ma
quest’idea è messa a dura prova dalla prima scena del ilm,
dall’ultima e da tutto quello
che c’è in mezzo. Perché Andrew sembra suonare da solo
anche quando è circondato da
molti altri musicisti. La buona
notizia è che Andrew viene selezionato nella migliore jazz
band della scuola. La cattiva
notizia è che la band è condotta dal formidabile Fletcher
(J.K. Simmons), che spara i
suoi giudizi sugli studenti con
la foga di un istruttore dei marines ed è pronto a mettere in
risalto le loro debolezze al
punto di farli scoppiare in lacrime davanti a tutti se questo
aiuterà la causa della musica.
L’unica cosa che per lui conta
davvero. Quello che dà al ilm
la sua originale verve non è
tanto la musica jazz quanto il
perverso gioco di potere che ci
può essere tra maestro e allievo oltre a una rara onestà nel
valutare il prezzo del voler
raggiungere l’eccellenza a
ogni costo. Facciamo il tifo per
Whiplash
Turner
Mike Leigh
(Regno Unito/Germania/
Francia, 149’)
Andrew, ma Teller fa in modo
di non farcelo stare sempre
simpatico. Simmons è teso come una corda di violino, vibrando continuamente tra impazienza e intolleranza. Bello
il primo piano di Paul Reiser
verso la ine del ilm. Sorride
vedendo quanto è migliorato
il iglio, ma il suo sorriso
scompare via via che cresce il
ritmo della batteria. Il iglio si
perde nel ritmo e lui capisce di
averlo perso.
Anthony Lane,
The New Yorker
Selma. La strada
per la libertà
Di Ava DuVernay. Con
David Oyelowo. Stati Uniti/
Regno Unito2014, 123’
●●●●●
C’è un motivo per cui il ilm di
Ava DuVernay si intitola Selma e non Dr. King. Infatti non
vuole essere una biograia del
grande Martin Luther King,
interpretato con solenne autorevolezza dal magniico David
Oyelowo. Non vedremo molti
momenti cardinali della vita
del reverendo perché l’azione
è focalizzata su un preciso arco di tempo. Questo perché
non è un ilm su un uomo ma
su un movimento, e così la regista è libera di esplorare le
idee che ispirarono il movimento per i diritti civili senza
dover per forza mettere in
scena i momenti storici che
molti conoscono. In più, concentrandosi sul potere di inluenzare con intelligenza
l’opinione pubblica attraverso
azioni collettive, Selma raggiunge una rilevanza rispetto
alla nostra contemporaneità
che pochi drammi storici possono vantare, specialmente
quelli costruiti intorno a igure
reali (come quella di Martin
Luther King) spesso impastati
di agiograia.
Dana Stevens, Slate
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
79
Cultura
Libri
Italieni
Africa
I libri italiani letti da un
corrispondente straniero.
Questa settimana
Frederika Randall, che
scrive per The Nation.
Un venerdì nero
80
Un fulmine ha colpito il mondo della letteratura africana.
Venerdì 6 febbraio Assia Djebar, 78 anni, è morta in un
ospedale parigino. Poche ore
più tardi, in volo tra Amsterdam e Città del Capo, è morto
André Brink, 79 anni. Due
scrittori che hanno conquistato milioni di lettori con la magia e il potere evocativo dei loro libri. Molto giovane, scrivendo La soif Fatima Zohra
Imalayène (Assia Djebar era
lo pseudonimo usato per evitare ritorsioni) ha avuto subito
successo e ha aperto degli
squarci inediti sulla vita quotidiana degli algerini. Ha avuto
una carriera magniica e
l’onore di entrare nell’Accade-
Assia Djebar
ALBErTO CONTI (CONTrASTO)
Nadia Terranove
Gli anni al contrario
Einaudi, 144 pagine,
16 euro
●●●●●
Gli “anni al contrario” sono gli
anni di piombo, anni fatali, in
cui un giovane laureato e di
belle speranze poteva perdere
la bussola e sprecare la vita, se
non peggio. Succedeva anche
quando la famiglia era agiata e
politicizzata, cioè di sinistra,
con tutti i vantaggi che quelle
origini potevano conferire.
Giovanni è quel giovane e
Aurora, iglia di una storia
diversa (il padre si fa chiamare
il fascistissimo) ma
ugualmente iglia degli anni
settanta, è la sua donna. La
storia è raccontata dal punto
di vista di chi è nato in quel
famigerato 1977, o giù di lì.
Come la loro bambina Mara,
che crescendo deve afrontare
il matrimonio spezzato dei
genitori, gli ideali esausti, un
padre irresponsabile, una
madre distratta. Come
l’autrice, nata a Messina nel
1978, e qui al suo primo
romanzo, scritto con grazia e
intelligenza. Genitori
egocentrici, più preoccupati
della loro immagine di
rivoluzionari che non del ruolo
di padre o madre. Gli anni di
piombo furono poco allegri
per chi li ha vissuti da piccolo.
Oggi quei igli a loro volta
sono diventati adulti. Ma dove
si trova il coraggio di essere
genitore, sembra chiedere
questo amaro ritratto
generazionale. E potremo
aggiungere: dove si trova una
minima sicurezza economica?
Il 6 febbraio sono morti
l’algerina Assia Djebar e
il sudafricano André Brink
mia reale belga nel 1999 e
nell’Académie française nel
2005. André Brink, anche se
non è mai riuscito a vincere il
Nobel, non può essere considerato il parente povero di
Nadine Gordimer o J.M. Coetzee. Per capire la sua statura
basta leggere Un’arida stagio-
ne bianca, il suo romanzo più
famoso, ma non il suo unico
capolavoro. Djebar e Brink
erano due pilastri della letteratura di un continente in cui
scrittori e artisti pagano spesso a caro prezzo il loro impegno. Abdourahman Waberi,
Le Monde
Il libro Gofredo Foi
Nel mondo chiamato carcere
Maurizio Torchio
Cattivi
Einaudi, 182 pagine, 19 euro
La parola cattivo viene dal
latino captivus, prigioniero,
ma anche, nel signiicato
odierno, dice il Devoto-Oli,
da captivus diaboli, prigioniero
del diavolo e cioè del male. Si
presume che Torchio non sia
mai stato in prigione, ma ha
scritto uno dei libri più belli
sulla condizione carceraria o,
per estensione, sulla
condizione umana,
raccontando carcere, carcerati
e carcerieri, raccontando la
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
claustrofobia di una società
chiusa e passando dalla prima
alla terza persona e da una
parte all’altra dei conini del
carcere/isola. In coda al libro
Torchio ringrazia opere e
memorie di carcere su cui ha
ragionato, dimenticandone
varie, come i russi, Genet, e
qualche ilm (Bresson, Becker,
altri) e la constatazione di
Petroni che “il mondo è una
prigione”. Ma scava, capisce,
racconta il carcere come pochi
hanno saputo fare, e il suo è
un romanzo e un saggio (Toro,
un sequestro e un omicidio, le
donne – fuori–, Comandante,
lo spazio, i cani…) afrontati
con una scrittura secca e
staccata, dura, nuova. “Il
carcere esiste”, “Il male c’è”,
“Tutti si fanno del male”, e la
maledizione della prigione
(solo di quella?) è “non potersi
idare mai”. In mezzo alle
cento sciocchezze settimanali
degli italici scriventi, ecco uno
scrittore vero. Segnalammo
qui cinque anni fa Piccoli
animali, scene di orfanezza.
Per scrivere Cattivi Maurizio
Torchio ha speso cinque anni,
e si sente. u
I consigli
della
redazione
Ian McEwan
La ballata di Adam
Henry
(Einaudi)
I racconti
Molly Antopol
Luna di miele
con nostalgia
Bollati Boringhieri, 254 pagine,
17,50 euro
●●●●●
Il primo libro di Molly
Antopol, una raccolta di
racconti, dimostra
padronanza e serietà.
L’autrice ha viaggiato molto in
Europa orientale e alle spalle
ha una complicata storia
familiare in Bielorussia, da cui
prende frequentemente
spunto. Che i suoi racconti si
svolgano nell’Upper West
Side, a Tel Aviv, in California
o in Bielorussia, c’è sempre un
forte senso della storia dietro i
suoi personaggi e
l’impressione che gli antenati
li giudichino dalle loro tombe.
Antopol tratta l’ultimo secolo
di storia ebraica in modi che
possono essere cupamente
divertenti. Uno scrittore
dissidente, parlando
dell’interrogatorio a cui è
stato sottoposto una volta a
Praga, commenta: “Davvero
pensavano che la privazione
del sonno potesse spezzare il
padre di un neonato?”. Molti
dei racconti di Antopol hanno
a che fare con capovolgimenti
di ruolo. In un racconto due
fratelli arruolati nell’esercito
israeliano e innamorati della
stessa donna vedono
capovolgersi il loro rapporto
tormentato quando uno dei
due è gravemente ferito. In un
altro, una promettente
intellettuale dell’Europa
orientale è costretta a pulire i
pavimenti in America. In un
altro ancora, un vecchio ebreo
del Queens ha una seconda
chance in amore solo per
DEBBI CooPER
Il senso della storia
Molly Antopol
vederla crollare in modo
umiliante durante la luna di
miele a Kiev, in Ucraina. Ma
quel che più lo tormenta è che
la iglia è scappata a
Gerusalemme per sposare un
ortodosso. La politica radicale
è al centro di molti racconti.
Uno è su un attivista sindacale
con una iglia sessualmente
avventurosa; un altro è su un
attore nato in Russia la cui
carriera è rovinata, negli anni
cinquanta, dalla commissione
per le attività antiamericane.
La sua amante, una
sceneggiatrice, non solo ha
contribuito a rovinare il suo
matrimonio, ma ha anche
fatto la spia. Verso la ine del
libro si ha la sensazione di
tornare in posti dove si è già
stati. Frasi simili riappaiono in
scene simili. Piccole epifanie
sono accese come candeline.
Sembra a volte che Antopol
sia più preoccupata di non
fare errori che di coniccare a
fondo la pala nel terreno della
vita.
Dwight Garner,
The New York Times
Zaza Burchuladze
Adibas
(Meridiano Zero)
David Foenkinos
Charlotte
Mondadori, 200 pagine, 16 euro
●●●●●
Nel 1940, rifugiata nei pressi
di Nizza, la giovane Charlotte
Salomon si rinchiude in una
stanza d’albergo come in una
cella monastica. Due anni dopo ne esce con un’opera intitolata Leben? oder Theater?, una
specie di romanzo autobiograico per immagini, composto
da ottocento schizzi e testi dipinti. Aida tutto al medico
che l’ha seguita da quando è
arrivata in Francia, fuggendo
dalla Germania nazista.
Nell’autunno del 1943, a 26 anni, è arrestata, deportata e uccisa nelle camere a gas. Dopo
la guerra, il padre che è sopravvissuto in esilio nei Paesi Bassi
ritrova l’opera di Charlotte. È
così che sessant’anni più tardi
il giovane romanziere David
Foenkinos la scopre, mentre è
esposta a Berlino. Questo romanzo racconta la vita di quella donna sotto forma di un lungo poema narrativo. I versi sono liberi ma tutti brevi. Alla ine di ogni riga c’è un punto, un
espediente che sembra riprodurre il ritmo di un respiro
trattenuto. Quello di un piccolo animale sconvolto con il
cuore che batte all’impazzata,
che non vuole fare rumore perché sente un predatore in agguato: il predatore dei suoi demoni familiari. David Foenkinos apre il romanzo con la nascita della sua eroina, raccontando il segreto che lei apprenderà solo nel 1940, quando sua
nonna cercherà di impiccarsi.
Charlotte ignorava che sua
madre, morta quando lei aveva dieci anni, si era suicidata.
E prima di lei sua sorella, ma
anche la loro nonna, il loro zio
e altri ancora. Il racconto è pervaso dall’ammirazione tenera
e afascinata dell’autore per la
giovane artista. Lei gli pone
Daniel Lieberman
La storia del corpo umano
(Codice)
delle domande che rimangono
senza risposta: cosa serve per
fare un genio? E cosa fa sì che
questo genio, perennemente
sul punto di spezzarsi psicologicamente, passi all’azione e si
metta a creare? Sulla strada di
Charlotte Salomon ci furono
delle donne e degli uomini –
forse degli angeli – che credettero in lei. Al loro seguito c’è
David Foenkinos, che le rende
un omaggio molto bello.
Astrid De Larminat,
Le Figaro
Bill Dedman
e Paul Clark Newell Jr.
Dimore vuote
Neri Pozza, 496 pagine, 18 euro
●●●●●
Il cognome Clark non ha la
stessa risonanza di Carnegie o
Rockefeller. Ma all’inizio del
novecento William A. Clark –
imprenditore nel settore del
rame e senatore – era uno degli
uomini più ricchi d’America.
Bill Dedman ripercorre la sua
ascesa e si concentra su sua iglia, Huguette, morta nel 2011
all’età di 104 anni. Dopo aver
ereditato una fortuna, Huguette si appartò. Malgrado avesse
moltissime proprietà, passò i
suoi ultimi vent’anni in un
ospizio. Con l’aiuto di un suo
parente, Paul Newell, Dedman
rivela il talento artistico della
donna, la sua ossessione per le
bambole e la sua stravagante
generosità verso gli amici.
Dedman ammira la vita di Huguette, così poco convenzionale, ma forse i suoi soldi avrebbero potuto essere spesi in modo migliore. E anche se Dedman lo nega, il tipo di spese
compiute da Huguette – come
comprare dolci per le sue bambole – fa intuire qualcosa di più
di una semplice “eccentricità”.
Una potente illustrazione delle
insidie della ricchezza.
Orlando Bird,
Financial Times
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
81
Cultura
Libri
Antoine Laurain
La donna dal taccuino
rosso
Einaudi, 170 pagine, 17 euro
●●●●●
“Dimmi cos’hai nella tua borsa e ti dirò chi sei”. A partire da
questa verità, Antoine Laurain
ha costruito un nuovo libro,
semplice come una storia
d’amore. Una notte, una donna si fa rubare la borsa. Il giorno dopo un uomo la ritrova per
strada. Civile e curioso, o forse
più curioso che civile, la svuota
sul suo letto per cercare gli indizi che lo condurranno alla
sua proprietaria. I casi della vita poi s’incaricheranno di fare
il resto. In uno stile spoglio ed
elementare, Laurain ci trascina in una sorta d’indagine più
romantica che poliziesca. E ci
fa afezionare a dei personaggi
sconitti dalla vita, anche se
vogliono far credere il contrario. Si gusta questa storia
d’amore nascente e complicata tra due esseri che non si sono mai visti, letti né parlati. È
un romanzo che si legge allo
stesso modo con cui si ascolta
un’amica che ci racconta il modo improbabile in cui i suoi
nuovi vicini si sono incontrati.
Con il sorriso e la voglia di sapere come va a inire, anche se,
come in tutte le buone commedie romantiche, si intuisce
già dall’inizio.
Nicolas Roux, Elle
Martin Suter
Allmen e le dalie
Sellerio, 224 pagine, 16 euro
●●●●●
Nel 1946 Raymond Chandler
scrisse la sceneggiatura per il
leggendario noir di George
Marshall, La dalia azzurra.
L’anno successivo l’attrice Elizabeth Short fu uccisa a Hollywood ed entrò nella storia
del cinema come la Dalia nera:
Brian de Palma ha dedicato al
suo omicidio (rimasto irrisolto) un ilm, tratto da un bel romanzo di James Ellroy. Visti
questi precedenti, l’asticella
era posta molto in alto, ma il
romanzo di Martin Suter, il terzo che ha per protagonista Jo-
hann Friedrich von Allmen, ci
passa sotto con eleganza. Di
hard-boiled nel suo libro ci sono solo le uova, mangiate a colazione da questo dandy che fa
il segugio di pezzi d’arte, e dei
ilm noir solo gli interni art déco dell’hotel dove risiede la
vecchia e ricchissima Dalia
Gutbauer. Molti anni prima
uno spasimante le aveva regalato Dalie, un quadro di Henri
Fantin-Latour, che le è stato
rubato. Ma poiché quel corteggiatore si era procurato il quadro per vie non del tutto legali
la vecchia signora bisbetica
vuole che l’indagine si svolga
con discrezione. Allmen è ben
felice di accettare il caso, che
gli consente di unire l’utile al
dilettevole: si piazza in una suite dell’albergo e può risolvere
il caso standosene tra il letto e
il bar. Come spesso accade nei
divertimenti gialli di Suter, la
descrizione dell’alta società e
del suo stile di vita prevale
sull’aspetto criminale.
Martin Halter,
Berliner Zeitung
Non iction Giuliano Milani
PATRICk PoST (HoLLANDSE HooGTE/CoNTRASTo)
Il mondo di mezzo
Giampiero Calapà
Maia capitale
La Nuova Frontiera, 114 pagine,
10 euro
Questo libro ha i pregi e i difetti di un instant book. Si basa
su poche fonti (fondamentalmente gli atti giudiziari, che
non brillano per eleganza di
scrittura), usa qualche escamotage stilistico (in questo caso occhieggiando al ilone Romanzo criminale) per riempire
una certa mancanza di approfondimento, sacriica qualche
spiegazione necessaria (non
sempre è chiaro chi sia l’auto-
82
re delle frasi virgolettate).
D’altra parte, riesce a concentrare in un volumetto comodo
le informazioni oggi disponibili (chi sono i protagonisti di
questa nuova associazione a
delinquere), tiene costantemente alta l’attenzione del lettore (la materia aiuta) e fa venire voglia di approfondire. Le
indagini che hanno fatto
emergere la rete di interessi
che ruotava intorno a Massimo Carminati e a Salvatore
Buzzi tendono a mettere in
crisi le categorie che di solito
usiamo per giudicare ciò che
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
avviene in Italia. Avvicinano
ciò che di solito tendiamo a
separare: destra e sinistra, immigrazione e razzismo, assistenza sociale e speculazione,
criminalità e politica. Da qualche anno alcuni scrittori (Roberto Saviano con Gomorra,
Walter Siti con Resistere non
serve a niente) ci spiegano che
queste distinzioni sono sempre meno utili. È tempo che
sociologi, antropologi, storici
comincino a elaborare strumenti capaci di descrivere la
grande trasformazione che
stiamo attraversando. u
Francia
Virginie Despentes
Vernon Subutex, 1 Grasset
Chi è Vernon Subutex? Una
leggenda urbana, un angelo
decaduto, il testimone di un
mondo scomparso. L’ultimo
romanzo di Virginie Despentes (Nancy 1969) racconta la
deriva di un ex venditore di dischi che si fa ospitare dai vecchi amici punk dopo che è stato sfrattato.
Tiphaine Samoyault
Roland Barthes Seuil
Nel 2015 ricorre il centenario
della nascita di Roland Barthes e per l’occasione esce
questa meticolosa e poderosa
biograia del noto. Samoyault
è nata nel 1968 e vive a Parigi
dove insegna letterature comparate all’università Paris 3.
Célia Houdart
Gil P.O.L.
L’estate dei suoi 18 anni Gil, un
giovane pianista, scopre di
avere una bella voce tenorile
che gli permetterà di diventare
un grande cantante. Célia
Houdart è nata nel 1970 a
Boulogne-Billancourt.
Thomas Bronnec
Les initiés Gallimard
Nel mondo esclusivo del ministero dell’economia ogni colpo
basso è permesso. Thriller ambientato negli anni appena
successivi alla caduta di Lehman Brothers. Thomas Bronnec è un giornalista e documentarista nato a Brest.
Maria Sepa
usalibri.blogspot.com
Ragazzi
Ricevuti
Signor
dottore
Alessandro Gilioli
e Guido Scorza
Meglio se taci
Baldini e Castoldi, 159 pagine,
15 euro
La libertà di espressione in
Italia si scontra con la confusione normativa e burocratica
in materia di informazione.
Irène Cohen-Janca
L’ultimo viaggio
Orecchio Acerbo, 64 pagine,
16,90 euro
Per i bambini dell’orfanotroio di Varsavia Janusz Korczak
era semplicemente Pan
Doktor, signor dottore. Quasi
un padre, più di un padre.
Grazie a lui avevano un tetto
sulla testa, una speranza, degli uccellini cinguettanti con
cui giocare, delle lenzuola,
tanti libri, un mucchio di storie. Erano orfani certo, ma
Pan Doktor aveva dato loro il
calore di una casa vera. Poi arrivò il nazismo e dovettero lasciare quella casa. Ma “Pan
Doktor ha voluto che la nostra
partenza assomigliasse al
viaggio di una grande compagnia di teatro, e non a un misero trasloco”. Si andava
dall’altra parte, verso il ghetto
dove un potere sadico aveva
stipato tutti gli ebrei della città. Dall’altra parte… e poi
dall’altra parte… e poi di nuovo dall’altra parte, ino al campo di sterminio di Treblinka.
Pan Doktor poteva salvarsi,
dicono le cronache, ma non
volle lasciare soli i suoi bambini. La storia di una delle personalità più importanti del
novecento, che ha ispirato la
Convenzione Onu sui diritti
dell’infanzia, è raccontata da
Irène Cohen-Janca con delicatezza e un tocco di commozione. Le illustrazioni di Maurizio Quarello fanno il resto,
dando alla storia una porosità
visiva che ci permette di immedesimarci nel dolore di
una Varsavia lasciata troppo
sola dall’Europa.
Igiaba Scego
Anna Bikont
e Joanna Szczęsna
Cianfrusaglie dal passato
Adelphi, 453 pagine, 28 euro
Attingendo a conversazioni
private, testimonianze di amici, aneddoti e documenti, due
delle migliori irme del giornalismo polacco raccontano la
vita di Wisława Szymborska.
Fumetti
Ade postmoderno
Andrea Bruno
Cinema Zenit. Vol. 1
Canicola, 32 pagine, 14 euro
Il terrorismo mediorientale.
La guerra e la guerriglia in
Ucraina. Il frazionamento sociale neomedievale. Il sentimento crescente d’impotenza
politica di fronte a istituzioni
tecnocratiche internazionali
come la Bce e l’Fmi – dai modi
e dalle azioni dal crescente sapore golpista poiché pur essendo pagate dai contribuenti
dei paesi ricchi non rispondono a loro (anzi) – a rischio di
sfociare se non in un neonazismo europeo in qualcosa di simile se anche le politiche di
partiti come Syriza in Grecia e
Podemos in Spagna dovessero
fallire. Tutto questo è perfettamente metaforizzato dall’opera allegorica di Bruno, anche
al di là delle intenzioni stesse
del disegnatore. Ultimo esploratore (Caronte buono?) delle
vestigia di un mondo arcaico o
postmoderno – non si può stabilire – il suo nuovo albo in formato gigante si riallaccia in
maniera diretta a Brodo di
niente (2007), il libro che lo rivelò deinitivamente. Da allora, nulla pare cambiato e tutto
è peggio. Bruno sintetizza e
densiica tutto questo con tale
sensibilità da illuminarci, anche se ci avvolge in un’atmosfera onirica di grande poesia
dove il notturno e il diurno,
ancora una volta, non si distinguono. Volti e occhi senza orbite che paiono maschere
dell’antica Grecia (così importante nella Sicilia dove l’autore
è nato), feste paesane suicidarie che paiono uscite da un incubo allucinato, frazionamento caotico del mondo antico,
Leonida come simulacro postmoderno, spartani che non sono i 300 che furono fedeli a
Leonida, ma piuttosto quelli
vicini al persiano Serse, cosacchi a cavallo, mondo securitario (o da Securitate) da stato (o
pseudo-stato) di clandestinità
permanente. Questi frammenti di terra esplosa sono
l’incubo (o Ade) odierno.
Francesco Boille
Primo Levi
Così fu Auschwitz
Einaudi, 245 pagine, 13 euro
Trenta testi di indagine e di
approfondimento, per la maggior parte inediti, che riportano le verità più precise sulla
macchina dello sterminio
nazista.
Claudio Marinaccio
Scomparire
Cicorivolta, 94 pagine,
12 euro
Opera narrativa corale i cui
personaggi, legati casualmente al protagonista principale,
l’obeso, raccontano le proprie
vicende alternando manifestazioni nichiliste e rilessioni
ilosoiche.
Suzanne Johnson
ed Elizabeth O’ Connor
Famiglie arcobaleno
Terra Nuova edizioni,
281 pagine, 14 euro
I consigli e le testimonianze di
mamme lesbiche e single sullo sviluppo dei bambini, sul
rapporto con gli insegnanti e
con gli altri genitori e sulla
sessualità.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
83
Cultura
Musica
Dagli Stati Uniti
Architects
Roncade (Tv), 21 febbraio,
newageclub.it; Segrate (Mi),
22 febbraio, circolomagnolia.it
Una sorpresa e un debutto ai Grammy
Kodaline
Milano, 25 febbraio,
magazzinigenerali.it
Ex Hex
Milano, 26 febbraio,
lo-i.milano.it; Roma,
27 febbraio, traiclive.org;
Bologna, 28 febbraio,
covoclub.it
The Kooks
Milano, 22 febbraio,
fabriquemilano.it
Mike Joyce
Bologna, 21 febbraio,
estragon.it
Ulterior Motive
Segrate (Mi),
20 febbraio, circolomagnolia.it
Billy Cobham
Milano, 19-21 febbraio,
bluenotemilano.com
Fatso Jackson
+Yawning Man,
Ravenna, 24 febbraio,
bronsonproduzioni.com
Los Straitjackets
feat. Deke Dickerson
Roma, 19 febbraio, killjoy.it;
Bologna, 20 febbraio,
locomotivclub.it; Livorno,
21 febbraio, surferjoe.it;
Alessandria, 22 febbraio,
0131 585001
Ex Hex
84
Il disco dell’anno è di Beck,
la canzone è di Sam Smith
Vista la popolarità dei candidati, i due premi principali
dei Grammy awards del 2015
hanno colto molti di sorpresa. L’album dell’anno è Morning phase di Beck, un disco
che non aveva avuto risultati
commerciali particolarmente brillanti e che, anche se
era stato molto apprezzato
dalla critica, si segnalava per
essere uno dei più tranquilli
e malinconici nella carriera
del cantautore di Los Angeles. “Chitarra acustica, pianoforte, contrabbasso, batteria e archi sono elementi
fondamentali della musica”,
John ShEARER (AP/AnSA)
Dal vivo
Beck, 8 febbraio 2015
aveva detto Beck a chi si stupiva per il sound morbido di
Morning phase, che vince anche come miglior album
rock, battendo U2, Ryan
Adams, Tom Petty e The
Black Keys.
La canzone dell’anno è
Stay with me di Sam Smith,
giovane cantante britannico
che ha anche portato a casa i
premi dell’album pop e del
miglior nuovo artista. Syro di
Aphex Twin vince tra gli album dance/elettronica, il disco omonimo di St. Vincent è
il migliore nella categoria alternative, mentre l’album
rnb è Love, marriage & divorce di due veterani, Toni Braxton e Babyface. Un altro habitué del premio è il tastierista jazz Chick Corea, che
quest’anno vince per il miglior assolo, Fingerprints, e il
miglior album, Trilogy. Con
questi il pianista del Massachusetts ha vinto 22 Grammy, raggiungendo in classiica Stevie Wonder e gli U2.
Ben Sisario,
The New York Times
Playlist Pier Andrea Canei
Sicilia, favole e sangue
Carmen Consoli
San Valentino
La primavera è impaziente, la follia ordinaria, le melodie cosmiche e le albe suadenti; e caotica, la bellezza; ridente, la trasparenza del mare; e
noi le vogliamo bene uguale, e
rieccola stavolta con modalità
materne, narrazioni scorrevoli, una studiata naturalezza per
sidare “la furia mediatica”.
Con questa “tossicodipendenza da aggettivi” (diagnosi di
Paolo Madeddu) si può giocare
in salotto, e forse il valore aggiunto del nuovo album, L’abitudine del ritorno: la si accoglie
come una di famiglia, e una
volta ascoltati i suoi racconti,
ci si può pure scherzare.
1
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
Salvo Ruolo
Malutempu
“Ma sa missa fu’ cantata
/ e a favula cuntata / e facistu
puru tri jonna di istinu / bi dicu ca u malutempu / ’n dura
tuttu un tempu”. Come antica
profezia sicula, e meteo misto
metafora, il canto dei briganti
dei partigiani e degli anarchici
in un arduo ottocentesco dialetto siculo e antisavoiardo assai, nell’album Canciari patruni ’un è l’bittà, si lascia decifrare non senza qualche fatica,
ma il cantante indio di Barcellona Pozzo di Gotto ne cava
racconti incalzanti, e un gran
bel lavoro di folk ilologico e
vitale da sanguigno western
sudista.
2
Cesare Basile
Tu prenditi l’amore
che vuoi
“I cecchini sul giornale /
quando scostano le tende / ci
rivelano feroci / che il maioso
è il sottostante”. Eccolo, il siculo dalla vena cupa, con un
precursore in modalità Domenica delle salme dell’album, in
uscita a marzo. Un cantautore
che ribolle sotto l’Etna e forgia
musiche e pensieri ponderosi,
con strali di suggestiva minaccia che forse non illuminano il
loro arteice con la debita
chiarezza. È una cartolina
molto sicula, un panorama di
ombre in cui s’intuiscono le
scie di un magma che crea distruggendo.
3
Classica
Scelti da Alberto
Notarbartolo
Svjatoslav Richter
The complete album
collection, Rca e Columbia
(Sony Classical)
Alfredo Bernardini e Zeiro
Concerti veneziani per oboe
(Arcana)
stema. Stewart canta parole
tormentate in Neon gods e Savage messiahs. Il basso produce
parabole nervose. La chitarra
sembra simulare attacchi ae­
rei. Alcuni efetti sonori ripor­
tano all’epoca in cui i Pop
Group sono riusciti a fondere
free jazz, funk, punk, disco e
dub. Come sempre, l’ascolto è
un’esperienza mozzaiato. Che
ancora oggi ci sia in giro musi­
ca così radicale è una buona
notizia.
Christian Schachinger,
Der Standard
Napalm Death
Apex predator – easy meat
(Century)
●●●●●
Con sedici album all’attivo,
sembra impossibile che questi
teppisti abbiano ancora qual­
cosa da ofrire. Ma il loro slan­
cio ha tenuto. Emersi dal
Father John Misty
chiasso metal­hardcore­indu­
strial di Birmingham, i Napalm
Death sono rimasti in quel vor­
tice, trattando con sempre più
padronanza i generi più estre­
mi senza mai adagiarvisi. Il lo­
ro suono si è ainato, così co­
me la capacità di imbrigliare il
trambusto che risuona nelle
loro teste, anche se c’è voluto
un quarto di secolo. In un certo
senso ricordano i Fall: hanno
avuto bisogno di un periodo di
incubazione prima che gli
sguardi torvi fossero sostituiti
dalla verve. E, considerando le
loro spaventose immense di­
scograie, il suggerimento per
chi è alle prime armi sembra
andare controcorrente: partite
dall’ultimo disco.
Ben Donnelly, Dusted
The Pop Group
Citizen zombie
(Freaks R Us)
●●●●●
Nel 1980 la band post punk
britannica Pop Group pubblicò
We are time, un disco dai forti
contenuti antagonisti. In un
singolo uscito l’anno prima, We
are all prostitutes (con Marga­
ret Thatcher in copertina), il
leader Mark Stewart cantava:
“Il capitalismo è la più barbara
di tutte le religioni. I nostri igli
si ribelleranno a noi, perché la
colpa è solo nostra”. Ora, dopo
35 anni in cui queste previsioni
non si sono proprio avverate, la
band torna con Citizen zombie,
in cui dimostrano di non aver
perso la loro rabbia contro il si­
H Hawkline
In the pink of condition
(Heavenly)
●●●●●
Il musicista gallese Huw
Evans, alias H Hawkline, di­
spone di un’innata mutabilità
che rende la sua musica senza
tempo. Prodotto da Cate Le
Bon, In the pink of condition è
una giostra di pop bizzarro che
ricorda un po’ Ram di Paul
McCartney. L’album è caldo e
accogliente come le strade ba­
ciate dal sole di Los Angeles in
cui è stato concepito. Pervaso
da un’atmosfera gofa e strava­
gante che fa venire in mente
Kinks, Xtc, Ariel Pink e Belle
and Sebastian, contiene pezzi
eccentrici ma notevoli come
Everybody’s on the line e Moons
in my mirror. L’album non è
perfetto – soprattutto nella
parte centrale c’è del materia­
le inutile che non sarebbe sta­
Dr
Father John Misty
I love you, honeybear
(Bella Union)
●●●●●
In un’epoca in cui mucchi di
artisti si aidano a produzioni
vistose e a Twitter, ogni tanto
viene fuori qualcuno di vera­
mente genuino. Father John
Misty, alter ego di Joshua Till­
man, batterista dei Fleet
Foxes, è senza dubbio un gran­
de artista che abbraccia e coin­
volge il pubblico non grazie a
melodie accattivanti e parole
afabili, ma con la forza della
sua personalità e una narrazio­
ne tradizionale che non invec­
chia mai. I love you, honeybear
dipinge un ritratto intenso
dell’amore, del sesso e della
scoperta nell’America contem­
poranea, tenendo conto delle
cruciali contraddizioni che
portano con sé questi temi.
L’album è costruito e arrangia­
to splendidamente, ma sono i
testi il vero punto di forza. In
un periodo personale di stabi­
lità, Tillman rilette come un
ilosofo e si confronta con le
questioni fondamentali che ci
rendono umani. Le allusioni
nel brano conclusivo I went to
the store one day indicano l’at­
tesa trasformazione di Father
John Misty da alieno, edonista
e scettico a uomo umile, appa­
gato e curioso di vedere cosa
gli riserva il prossimo capitolo.
Uno sguardo profondo e uma­
no che si traduce nell’opera di
un artista autentico.
James Glynn, State
MAXIMILLA LUKACS
Album
H Hawkline
Grigorij Sokolov
The Salzburg recital
(Dg)
to male tagliare – ma i difetti
sono eclissati dal fascino irre­
golare della musica di Evans.
Harriet Gibsone,
The Guardian
Bobby Lance
First peace/Rollin’ man
(Real Gone)
●●●●●
Bobby Lance, soulman bianco
dalla voce ruvida e autore, tra
le altre canzoni, della hit di
Aretha Franklin The house that
Jack built, nel 1968 irmò per
l’etichetta Cotillon, sussidiaria
della Atlantic. First peace, il suo
primo album, a lungo dimenti­
cato e ristampato oggi per la
prima volta, è un disco di clas­
se e qualità notevoli: registrato
agli studi Muscle Shoals, è ar­
ricchito dalla presenza di King
Curtis al sax e dai cori delle
Sweet Inspirations. La leggen­
da vuole anche che alla chitar­
ra ci sia Duane Allman, assen­
te però dai credit dell’album.
Nonostante l’indubbia ed
emozionante qualità dei suoi
brani più groovy e di quelli
d’atmosfera, l’album fu un
iasco, come del resto il suc­
cessivo e ultimo lavoro solista
di Lance. Rollin’ man rimane
tuttavia una bel disco di rock e
soul, e completa degnamente
la raccolta.
Charles Waring, Mojo
Valentina Lisitsa
Chopin, Schumann: studi
Valentina Lisitsa, piano (Decca)
●●●●●
Lisitsa ha una bella tecnica e
valanghe di “mi piace” su
Facebook, ma non basta per
deinirla una grande artista. A
questo album io metto un
“non mi piace”: suono poten­
tissimo ma impersonale, la
mano sinistra che camufa le
imprecisioni con il pedale,
un’interpretazione piena di tic,
e molte brutalità inutili.
Luc Nevers, Classica
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
85
Cultura
Video
In rete
Money
in minutes
The director
Sabato 14 febbraio, ore 9.30
Sky Arte
Attraverso la igura di Frida
Giannini, direttore creativo di
Gucci prossima a lasciare la
casa di moda, il documentario
prodotto da James Franco ripercorre la storia del marchio
iorentino.
Muscle shoals
Sabato 14 febbraio, ore 15.50
Sky Arte
Mick Jagger, Aretha Franklin,
Bono, Steve Winwood accompagnano il regista Gregg Camalier alla ricerca del segreto
del cosiddetto Muscle shoals
sound, impronta “sudista” che
ha caratterizzato album decisivi per la storia dell’rnb.
Messner
Sabato 14 febbraio, ore 18.20
Rai 5
Dai primi exploit alpinistici alle scalate dell’Himalaya, agli
insuccessi e alle tragedie, ino
al nuovo ruolo di igura pubblica e promotore della cultura della montagna: il celebre
alpinista altoatesino si racconta ad Andreas Nickel.
Prog revolution
Mercoledì 18 febbraio, ore 21.10
Sky Arte
Milano alla vigilia degli anni
settanta si trasforma nel teatro
della sperimentazione artistica, sociale e politica del paese.
Musicisti, artisti, fotograi e discograici rievocano l’epoca
d’oro di una città in cui tutto
sembrava possibile.
Cesare deve morire
Venerdì 20 febbraio, ore 21.15
Rai 5
Tra documentario e messa in
scena, i fratelli Taviani seguono il progetto teatrale dei detenuti del carcere romano di Rebibbia sul Giulio Cesare di Shakespeare. Orso d’oro nel 2o12.
86
Dvd
Sogni e follie
I ilm d’animazione dello
Studio Ghibli hanno la rara
capacità di conquistare spettatori molto diversi: dai
bambini ai critici più esigenti. Per The kingdom of dreams
and madness Mami Sunada
ha avuto accesso al sancta
sanctorum della leggendaria
casa di produzione giapponese fondata nel 1985. Ha
potuto seguire la lavorazio-
ne degli ultimi due capolavori, Si alza il vento e La storia della principessa splendente, e ha documentato il lavoro quotidiano delle tre anime dello studio: il produttore Toshio Suzuki e i due registi Hayao Miyazaki e Isao
Takahata. Il dvd è uscito, per
ora, sul mercato statunitense e giapponese.
gkidsilms.com/kingdom
aljazeera.com
Le agenzie di trasferimento di
contanti, come Western Union
e MoneyGram, sono diventate
familiari anche a chi non usa i
loro servizi inanziari, che hanno conosciuto un boom parallelo a quello delle migrazioni
di milioni di lavoratori con familiari o debiti da ripagare nei
loro paesi di origine. Quello
delle rimesse economiche è
diventato rapidamente un business che muove circa 500
miliardi di dollari all’anno, ma
quanto è equo e trasparente? E
come è diventato un nuovo canale per il riciclaggio di denaro
sporco e oscure operazioni inanziarie? Questo fenomeno
ancora poco esplorato è l’oggetto dell’inchiesta di Monika
Hielscher e Matthias Heeder.
Presentata in diversi festival di
documentari e in una versione
ridotta dal programma Witness
di Al Jazeera.
Fotograia Christian Caujolle
Segni di modernizzazione
In Cambogia, più precisamente a Phnom Penh, la febbre
della modernizzazione è sempre più percepibile. Corrisponde ovviamente alla nascita di
una classe media. Ma anche
alle speculazioni senza limiti
di una classe dirigente corrotta, alla riproduzione di un modello che si ispira a Hong
Kong, Singapore e Bangkok e
inine alle strategie commerciali delle grandi multinazionali, che nella Cambogia vedono un potenziale mercato
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
da conquistare. E così sono
comparse anche le prime pubblicità. Le più difuse sono
quelle poste sul retro dei tuktuk, i tipici mezzi pubblici di
trasporto cambogiani: reclamizzano saloni per massaggi,
eventi culturali e locali notturni. Poi ci sono i grandi cartelloni che invitano a comprare
bevande alcoliche, considerate un bene di lusso. Queste
pubblicità suonano un po’
strane accanto a quelle delle
bibite gassate o della birra. Ma
la cosa che colpisce di più, un
po’ come la crescita smisurata
di grattacieli che spuntano
dappertutto, sono gli enormi
schermi a led, spettacolari, su
cui scorrono immagini di
smartphone, automobili costose e altri lussi ancora inarrivabili per la maggioranza dei
cambogiani. Però non esistono i classici manifesti incollati
ai muri, se non di dimensioni
minuscole. Niente carta e
colla negli spazi pubblici cambogiani. u
Cultura
Arte
Barbara Hepworth
Tate Britain, Londra
dal 24 giugno 2015
La Tate ha difuso alcuni dettagli della mostra che dedicherà
a Barbara Hepworth, una protagonista della scultura britannica del novecento. Settanta
sculture astratte, bronzi e fotograie provenienti dall’archivio
dell’artista. Ci sarà anche un
autoritratto ottenuto mettendo
la testa sulla carta fotograica e
lasciandola impressionare dalla luce. Un inedito che rivela
l’importanza di foto e collage
nella sua ricerca. Dopo Londra
la mostra si sposterà nei Paesi
Bassi e in Germania.
The Guardian
Julio Le Parc, Frappez les gradés
READS 2014 (COURTESy OF THE ARTIST)
Gesti da museo
Vincitore del premio
Duchamp nel 2014, Julien
Prévieux da più di otto anni lavora al suo “archivio di gesti
per il futuro”. Una raccolta di
gesti quotidiani legati alle nuove tecnologie, come lo scorri
per sbloccare che ogni utente di
smartphone compie più volte
al giorno. O l’operazione brevettata dalla Apple, il movimento sincronizzato di due dita per ingrandire un’immagine, che ha dato il via a un processo contro Samsung. La prima tappa del progetto è un ilm
d’animazione che raccoglie
questi gesti, ospitato sul sito
dell’uicio statunitense dei
brevetti. Alcuni li compiamo
già, ma la maggior parte è stata depositata anche se non assolve ancora a una funzione
reale. Si tratta di gesti orfani, in
attesa di un corpo, o progettati
per macchine che ancora devono essere inventate. La seconda tappa del progetto è stata presentata alla iera internazionale di arte contemporanea
di Parigi: cinque danzatori professionisti trasformano gesti
quotidiani in una coreograia.
Les Inrockuptibles
Londra
L’umorismo al potere
Julio Le Parc
Serpentine gallery, Londra, ino al
15 febbraio
Op art, pop art, arte concreta,
arte cinetica, arte spaziale, arte gestuale. Julio Le Parc è passato in mezzo a tutte queste
correnti. I temi dell’artista argentino vanno dall’esplosione
dell’arte postbellica in America Latina al sessantotto parigino ino alla discussione sul
ruolo degli artisti e delle gallerie. Anche se tutto questo suona un po’ serioso, la mostra alla Serpentine dimostra che
l’arte può essere divertente anche senza ricorrere all’ironia e
agli sberlei. Non c’è nessuna
ricercatezza da galleria qui. Si
può colpire un punchball arancione, far vibrare delle palline
da ping pong, rimbalzare su
delle molle e pizzicare delle
corde tese da pesi. Ci sono dei
bersagli con le caricature di archetipi, che si possono colpire
con una palla: il capitalista,
l’imperialista, il burocrate, il
poliziotto e così via. Qui emerge la vena provocatoria contro
il sistema che in parte causò il
breve esilio dell’artista dalla
Francia dopo i disordini del
sessantotto. A 86 anni Le Parc
concepisce l’arte come un gio-
co. L’umorismo è uno degli ingredienti e, se ben dosato, è
capace di incrinare l’autorità.
Impossibile non vedere in questo un barlume delle ambizioni
del sessantotto. Ma c’è anche
la reazione alla distanza tra
opera e spettatore, che risale
agli anni precedenti, quando si
pensava che lo spettatore sapesse troppo. L’interazione e la
sensorialità contraddicono
ogni retaggio concettuale, in
una gioiosa dimensione ludica
op pop. Bisogna entrare e gioire. Possibilmente portandosi
dietro i igli.
Financial Times
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
87
Pop
Il mio buio oltre la siepe
Chimamanda Ngozi Adichie
olti anni dopo sarei riuscita a ca- Oggi molte opere letterarie sul razzismo sono ammanpire perché Il buio oltre la siepe è tate di ironia o di tanto lirismo da diventare rarefatte.
considerato “un romanzo impor- Lee riiuta di nascondersi dietro l’estetica. La sua scrittante”, ma quando lo lessi per la tura è così bella, così ferma e piana e limpida, che le
prima volta, a undici anni, ero avrebbe permesso di non afrontare questi tribalismi di
semplicemente rapita da come petto. Invece lei lo fa.
evocava i misteri dell’infanzia, i tesori scoperti negli
Come evita di santiicare certi personaggi, anche se
alberi e i giochi insieme a un esotico amico estivo. Mi Atticus Finch ci arriva vicino. Li complica tutti: se Scout
piaceva tantissimo che il narratore fosse una ragazzina è l’adorabile narratrice con una famiglia che deplora il
dal nome stupendamente non femminile, Scout. Ado- razzismo, non ci viene permesso di dimenticare che lei
ravo il suo carattere privo di sentimentae la sua famiglia godono del privilegio di
lismi, la sua lingua tagliente, la sua volu- Ero incantata
essere bianchi. Quando il loro amico
da quanto il
bilità e il suo senso dell’umorismo.
estivo, Dill, è turbato dalla disumanità
Mi ricordava la versione immagina- romanzo, con il
con cui il nero viene interrogato in triburia di me stessa che mi piaceva di più. Il suo tono
nale, Scout dice: “È solo un negro”, con
suo saggio fratello maggiore Jem somi- impassibile, fosse
la sicurezza che deriva dall’essere comgliava molto a mio fratello Okey, di cui straordinariamente plice, solo in virtù della nascita, di un siero l’ombra felice, e la sua cittadina nel divertente,
stema di diseguaglianza istituzionalizsud degli Stati Uniti, Maycomb, era simizata. A Scout non capita mai di mettere
con scene che
le alla mia città, Nsukka, nella Nigeria
questo sistema in discussione, così come
facevano ridere ad
orientale. Era un posto di porte aperte, di
non le capita mai di mettere in discussioun’unica famiglia strana di cui tutti spet- alta voce
ne l’idea che quattro adulti neri si alzino
tegolavano, di meschine gerarchie e lealin piedi in un’aula di tribunale per cedere
tà; un posto allo stesso tempo sicuro e compiaciuto di i loro posti a dei ragazzini bianchi. Le parole più comsé. Ma Maycomb era anche molto meno soisticata del- moventi, per me, sono pronunciate dall’imputato nero
la mia città, e lo era in modo afascinante, con ragazzini Tom che, quando gli chiedono perché aveva paura anche non si facevano il bagno per settimane e patti sug- che se era innocente, risponde: “Se eri un negro come
gellati da uno sputo sul palmo della mano.
me, anche tu avevi paura”. Questa semplice afermaEro incantata da quanto il romanzo, con il suo tono zione dice tutto quello che il lettore deve sapere sul siimpassibile, fosse straordinariamente divertente, stema che Lee mette in discussione, in cui essere nero
con scene che facevano ridere ad alta voce, come quan- era sinonimo di colpa.
do la maestra di Scout a scuola inorridisce scoprendo
L’altro grande cronista degli Stati Uniti del sud,
che la sua alunna sa leggere e scrivere. A undici anni William Faulkner, scrive del razzismo come se fosse
lessi il romanzo con grande piacere. O piuttosto lessi la un fatto ineluttabile, fondamenta gettate dal cielo e
prima parte con grande piacere e per lo più saltai la se- semplicemente descritte ed esplorate nella narrativa,
conda. Forse perché non ero in grado di capirne le sfu- mentre Lee scrive con un inchiostro ardentemente
mature sociali e politiche, o perché ero impreparata progressista: nel razzismo non c’è niente di ineluttabialla sua perdita collettiva d’innocenza, quando Scout e le e le sue stesse fondamenta vanno messe in discusil fratello osservano il padre che difende un nero accu- sione. E lei lo fa con una sicurezza e un’abilità che trasato di aver stuprato una donna bianca. Il razzismo a scinano il lettore. I personaggi dei bambini possono
cui si allude nella prima parte esplode in tutta la sua essere politicamente furbi, ma rimangono comunque
barbarie e la città – che sembrava colpevole solo di una bambini, non adulti in piccoli corpi. La rabbia di Lee è
perdonabile grettezza – diventa un pozzo nero.
tangibile, il suo senso del ridicolo acuto, ma i problemi
Rileggendo il romanzo da adulta, l’ho ammirato per sono sempre delineati con meravigliosa umanità. Il
la lucida descrizione del tribalismo americano nelle razzismo è forse il più grave peccato americano – e sisue tre manifestazioni principali: razza, classe e locali- curamente è così che lo rappresenta il romanzo – ma la
smo. Ben pochi romanzi contemporanei statunitensi discriminazione di classe lo segue da vicino al secondo
hanno la stessa portata, e ancora meno hanno la forza posto. A Maycomb non sembra che ci siano neri della
di afrontare i problemi sociali come fa Harper Lee. classe media – se ci sono, Scout non li incontra – ma le
M
CHIMAMANDA
NGOZI ADICHIE
è una scrittrice
nigeriana. Il suo
ultimo libro è
Americanah (Einaudi
2014). Questo
articolo è uscito sul
Guardian con il titolo
Rereading. To kill a
mockingbird by
Harper Lee.
88
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
gabrIella gIandellI
diferenze di classe nel suo mondo sono eclatanti. gli
ewell sono spregevoli perché sono razzisti, ma quasi
altrettanto perché sono spazzatura. Incassano i buoni
del governo, non si fanno mai il bagno e in qualche
modo sono una forma di divertimento autocompiaciuto per i bianchi che vivono in condizioni migliori.
la donna bianca che accusa un nero di averla violentata è così disabituata a sentirsi rivolgere la parola con
cortesia che crede di essere presa in giro. I bambini
delle classi inferiori sono chiaramente marchiati, e gli
altri bambini li conoscono.
le persone che appartengono alle classi superiori
sono trattate con indulgenza: dolphus raymond è un
bianco ricco di “buona e antica famiglia” che preferisce
la compagnia dei neri. Ma non viene ostracizzato come
lo sarebbe un bianco delle classi inferiori, perché è protetto dalla sua ricchezza e dal retaggio culturale.
Forse non viene ricordato molto spesso, ma il nord
è ben presente nell’immaginario dei sudisti di lee, come un posto di gente spocchiosa che crede di saperla
più lunga degli altri, un posto dove un uomo bianco
manda a vivere i igli di razza mista perché lì potrebbero essere trattati meglio, e un posto verso cui si nutre
generalmente e genericamente rancore perché ha vinto la guerra civile.
a volte i romanzi sono considerati “importanti”
allo stesso modo delle medicine: hanno un sapore terribile e sono diicili da mandare giù, però ti fanno bene. I romanzi migliori sono quelli che riescono a essere
importanti senza essere come le medicine: hanno
qualcosa da dire, sono ampi e intelligenti ma non dimenticano mai di essere divertenti e di avere al centro
personaggi ed emozioni. Il trionfo di Harper lee è uno
di questi. u gc
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
89
Pop
NABEELAH
JAFFER
è una giornalista
britannica. Questo
articolo è uscito su
Aeon con il titolo Is
nothing sacred?
Identità
all’ultima moda
Nabeelah Jafer
o commesso il mio primo atto di appropriazione culturale quando avevo
tre anni. Mi avevano regalato una
keiyah, la sciarpa a scacchi simbolo
del nazionalismo palestinese. Mia
nonna aveva cose più importanti di
cui occuparsi della politica mediorientale e quelle
sciarpe si trovavano facilmente in tutti i mercati di Dubai, dove viveva. Diventò la mia coperta di Linus, soprattutto quando io e mia madre andammo a stare un
po’ da lei. La portai con me quando tornammo a casa
nostra, nella periferia di Londra, e me la trascinai dietro per qualche anno. A volte la usai per mascherarmi
da pastore alle recite natalizie organizzate dalla scuola.
Nel 2004, verso la ine della seconda intifada, una cugina venne a stare da noi e la vide in fondo al mio armadio. Voleva assolutamente che gliela prestassi perché a
scuola, diceva, “le sciarpe dei terroristi” erano “la moda del momento”.
A quel punto la keiyah era entrata da tempo nella
moda occidentale come simbolo del fascino del terzo
mondo. L’aveva indossata per un po’ anche Madonna e
nel 1988 la rivista Time aveva rassicurato i suoi preoccupati lettori dicendo che era “semplicemente un accessorio. Il look etnico è all’ultima moda”. La richiesta
di mia cugina mi sembrò innocua. Non mi era mai venuto in mente di chiedermi se era possibile prendere in
prestito qualcosa da un’altra cultura e attribuirgli un
signiicato diverso senza ofendere la cultura d’origine:
assumere l’identità di qualcun altro e trasformarla in
look è molto facile. Ma i simboli della nostra cultura,
religione o etnia risvegliano in noi il senso d’identità se
qualcuno li tocca e tendiamo a difenderli, anche se, viste dall’esterno, le dispute che ne nascono possono
sembrare incomprensibili o insigniicanti.
Qualche anno dopo, il capitano della squadra di
rugby della mia università difese la decisione della sua
squadra di indossare il perizoma e di annerirsi la pelle
per una festa dedicata al safari sostenendo che “erano
semplicemente in tema”, e che nessuno si era lamentato o sentito ofeso. L’università punì la squadra costringendola a seguire un seminario sulla diversità culturale, come se il loro fosse stato un gioco innocente, lo
scherzo inopportuno di un bambino.
Per la loro bufonata, i giocatori di rugby si erano
ispirati alla tradizione comica razzista dei minstrel
show. Anche se quella forma di spettacolo aveva come
protagonisti attori e cantanti bianchi, nell’ottocento e
nel novecento anche alcuni afroamericani avevano fatto carriera tingendosi la faccia di nero. Sui cartelloni
dei loro spettacoli, George Walker e il suo compagno di
palcoscenico Bert Williams rivendicavano il fatto di
essere “due veri negri”, e Walker giustiicava la scelta
H
Storie vere
In Germania è
sempre più acceso il
dibattito sulla
posizione che devono
assumere i maschi
quando urinano.
A Düsseldorf un
padrone di casa ha
fatto causa al suo
inquilino
chiedendogli 1.900
euro di danni, perché
facendo la pipì in
piedi anziché seduto
avrebbe danneggiato
il pavimento di
marmo del bagno.
Sono sempre di più i
locali tedeschi in cui è
obbligatorio sedersi
sul water, ma il
tribunale di
Düsseldorf ha
concluso che “urinare
in piedi è ancora una
pratica comune”,
quindi “fa parte delle
norme culturali
condivise”. Gli
uomini che fanno pipì
senza sedersi
“devono aspettarsi di
avere dei contrasti
con le persone che
usano lo stesso
bagno, soprattutto
con le donne”, dice la
sentenza. “Ma non
possono essere
giudicati colpevoli
degli eventuali danni
dovuti alla loro
abitudine”.
90
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
di mettere in scena certi stereotipi per far ridere la gente ricordando quante famiglie beneiciavano di quella
“istituzione razzista”. In seguito, il tentativo di introdurre nelle loro scenette dei personaggi più complessi
e delle storie d’amore fu condannata dal critico del
Chicago Tribune, che si lamentò perché “i negri dei
loro spettacoli non facevano più ridere”. È già abbastanza irritante sentire un estraneo deinire la nostra
religione o la nostra cultura, iguriamoci quando ci dice
che ci stiamo allontanando troppo dai suoi stereotipi.
Di qualsiasi tipo siano, i simboli sono solo un mezzo, servono a evocare ricordi che suscitano emozioni.
La croce evoca il cristianesimo e la passione, il nome
McDonald ci fa pensare a un panino con l’hamburger.
Usare un simbolo per uno scopo diverso ne altera in
modo irrevocabile il signiicato. Per gli induisti e i giainisti la svastica è stata per secoli un simbolo di forza e
fortuna, ino a quando per buona parte del mondo si è
legata inestricabilmente al nazismo. Oggi ci appropriamo dei simboli di altre culture per indicare esotismo,
sensualità o anticonformismo, ma neanche le migliori
intenzioni possono giustificare un commercio di
stereotipi che fanno sofrire gli altri.
Supponiamo di non commettere più appropriazioni
culturali a partire da domani. Nessun copricapo di piume apparirà mai più sulle passerelle di moda. Le facce
annerite apparterranno al passato. Solo chi vuole far
vedere che s’identiica con la lotta dei palestinesi porterà la keiyah. Ma c’è ancora un problema: visto che un
tempo quella sciarpa era solo il simbolo della virilità
araba, dovrebbero portarla solo gli uomini? Dato che
quasi ogni forma culturale è stata presa in prestito da
qualcun altro, diventa diicile dire cosa appartiene a
chi, e distinguere gli idioti che la usano in modo ofensivo da quelli che vogliono rispettosamente introdurre
un’innovazione culturale. La linea di separazione può
essere sorprendentemente confusa.
Io sono un buon esempio di questo. Dal punto di
vista etnico sono indiana, ma i miei legami con l’India
sono piuttosto remoti, i miei antenati la lasciarono più
di un secolo fa per trasferirsi in Africa orientale. A parte l’inglese, l’unica lingua che i miei genitori hanno in
comune è lo swahili ma, grazie alla convinzione piuttosto difusa in passato che se si insegnava ai bambini
più di una lingua non ne avrebbero parlata bene nessuna, io ne conosco solo poche parole. La mia mamma
poliglotta mi paragona scherzosamente a una noce di
cocco: scura fuori e bianca dentro. Questo, ovviamente, è molto comune tra gli immigrati di seconda generazione. Eppure ho ancora la sensazione che la vera iglia dei miei genitori, quella che non ha tradito la loro
cultura, sia ancora da qualche parte dentro di me, come una gemella perduta.
In realtà, non sono erede di nessuna cultura. Mi rendo conto che questo è dovuto almeno in parte alla mia
pigrizia. Mi piace l’idea di imparare a parlare swahili o a
indossare il sari, ma poi non ho la costanza per farlo. Da
adulta, ho preso qualcosa dalla cultura dei miei genitori e qualcosa da altre, scegliendo quello che mi piaceva
e scartando il resto. Non sono l’unica: probabilmente
anche voi fate parte della sempre più numerosa e con-
ALE&ALE
fusa schiera dei cosmopoliti, per i quali le culture sono
come cappotti usati, che portano l’impronta delle spalle e dei gomiti dei morti. Come Williams e Walker, mi
chiedo da che parte dello spartiacque siamo.
Torniamo all’appropriazione: e se il territorio culturale che calpestiamo fosse terreno sacro? Mi è venuto il
mente la scorsa estate, quando ho scoperto che nella
zona ovest di Londra c’era un gruppo di dervisci rotanti collegato a un’organizzazione chiamata Study society. L’unico punto fermo della mia identità è l’islam,
che è a dir poco un punto delicato. Il suismo è spesso
deinito come misticismo islamico, e quasi tutti gli ordini chiedono ai loro nuovi ailiati di giurare che credono in un unico dio e nel profeta, anche se questo può
essere soggetto a interpretazioni diverse. Io non sono
sui, ma sono rimasta afascinata quando un’amica mi
ha detto che il suismo era la sua via di fuga dalle formalità della moschea della nostra infanzia, che aveva solo
trapiantato dall’Africa orientale a Londra i suoi rituali.
Sono rimasta sorpresa quando ho scoperto che nessuno dei dervisci della Study society è particolarmente
religioso, ma molti di loro si presentano diligentemente una o due volte al mese per partecipare alla cerimonia tradizionale dell’ordine dei mevlevi, in cui la “rotazione” è inframmezzata da lunghe letture del Corano.
Da musulmana, non capivo come un non credente potesse fare regolarmente una cosa del genere.
Dopo ogni cerimonia c’era una riunione informale,
in cui l’atmosfera oscillava tra l’entusiasmo contagioso
e l’infantilismo. Durante la mia seconda visita, alcuni
dervisci hanno improvvisato un motivo sui tamburi daf
e un giovane del gruppo si è messo a ballare. Erano allegri, giocosi e totalmente ignari del mio crescente disagio davanti a quella svolta new age.
Quella sera, ho chiesto a una ragazza sui vent’anni,
che avevo visto ruotare con gli occhi chiusi e un sorriso
estatico, cosa provava. “Quando ruoto è come se fossi
innamorata”, mi ha spiegato. “È come se mi stessi par-
torendo di nuovo”. Mi sono chiesta come si era sentita
quando si era partorita la prima volta.
L’ordine dei sui mevlevi, al quale appartengono i
dervisci rotanti, fu fondato dai discepoli di Rumi nel
dodicesimo secolo. Ma nessun derviscio tradizionale
accetterebbe quello che fa la Study society a Londra. In
Turchia, la tradizione dei mevlevi è andata praticamente scomparendo a partire dal 1925, quando il regime
laico di Kemal Atatürk chiuse le logge dei dervisci e ne
dichiarò fuori legge l’ordine. Istituita in Inghilterra nel
1951 con il nome di Society for the study of normal psychology, la Study society si ispirava a P.D. Uspenskij, un
esoterista russo che aveva concepito un approccio
all’autorealizzazione rivolto agli occidentali che combinava diverse tradizioni orientali. Per imparare la cerimonia invitarono uno degli ultimi sceicchi mevlevi,
che fu contentissimo di trovare un pubblico così entusiasta e gli fece promettere di mantenere in vita quel
rituale.
In efetti lo hanno mantenuto in vita, ma svuotandolo del suo signiicato originario. L’attuale “sceicco”
della società è un afabile signore di nome Philip. Mi ha
spiegato che negli anni settanta la società era stata la
sua via di fuga da un rigido collegio del Berkshire e che
usa la rotazione quasi come una tecnica di meditazione. Per lui le letture del Corano sono un sottofondo più
gradevole di quelle della Bibbia, per esempio, proprio
perché nessuno le capisce. “Per un non musulmano”,
dice, “sono solo suoni piacevoli. Se fossero preghiere
cristiane per me sarebbe un problema, perché mi ricorderebbero la mia infanzia e la mia cultura, con tutte le
loro connotazioni. In un certo senso, abbiamo preso
quello che ci hanno dato e lo abbiamo trasformato in
qualcosa di nuovo”.
Le parole di Philip mi ricordano quelle di un ambasciatore francese a Istanbul, Édouard Thouvenel, che
nel 1902 consigliava ai suoi lettori di assistere allo
“spettacolo” dei dervisci rotanti. E aggiungeva: “I turInternazionale 1089 | 13 febbraio 2015
91
ALe&ALe
Pop
chi protesteranno nel sentire la parola ‘spettacolo’. Probabilmente per loro è una cerimonia religiosa. Per gli
europei, però, anche i turchi fanno senza dubbio parte
dello spettacolo”. Ma mentre Thouvenel si limitava a
deinirla una forma d’intrattenimento per gli europei,
la Study society ha veramente contribuito a trasformare la cerimonia in uno spettacolo. Ha preso la bella cerimonia della rotazione, ha estirpato le sue radici religiose e ha creato un’alternativa allo yoga. Non ce l’avevo con nessuno dei singoli dervisci, ma l’ultima volta
me ne sono andata dalla Study society con la sensazione che quegli hippie occidentali del ventunesimo secolo mi avessero preso qualcosa di prezioso e lo avessero
calpestato.
In uno dei suoi saggi, la storica dell’arte Deborah
Root, che vive a Toronto e studia l’appropriazione della
cultura dei nativi americani da parte degli occidentali,
racconta la storia di un autostoppista al quale aveva dato un passaggio negli anni novanta mentre viaggiava
verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Si chiamava
Karma e quando era salito in macchina aveva notato la
ruota di medicina (che nella cultura degli indigeni del
Nordamerica è un simbolo sacro) appesa allo specchietto. “Fantastico”, aveva detto, prima di spiegarle
che non si considerava un bianco perché “il suo spirito
era indigeno”, era “un indiano dalla pelle bianca”. “Ho
riso di quell’uomo”, rilette Root, “ma rimane il fatto
che anch’io sono bianca, porto le fasce sulla fronte e ho
una ruota sacra in macchina”.
Dopo aver letto questa storia, ho cominciato a chiedermi quanta parte dell’irritazione che aveva suscitato
in me la Study society fosse dovuta all’insicurezza che
provavo nei confronti della mia identità. Il modo migliore per sentirsi parte di una comunità, dopotutto, è
individuare qualcuno che chiaramente non ne fa parte. Sarebbe anacronistico dire che lo stesso Rumi non
sarebbe stato d’accordo con la mia politica identitaria.
92
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
Ma il fascino che esercita oggi Rumi è dovuto proprio al
senso d’inclusione che nasce dalla sua poesia dell’amore divino, lo stesso tono d’invito che attira tante persone verso il cristianesimo evangelico. La Study society
amava citare uno dei suoi versi più famosi: “Chiunque
tu sia, ritorna! La nostra casa non è un luogo di disperazione”. Scegliendo l’approccio tribale, sembra voler
dire, rischiamo di lasciarci sfuggire qualche opportunità importante.
La politica identitaria è la reazione di chi si sente
minacciato. Più una cultura è debole, più teme l’appropriazione, e la rabbia degli indigeni statunitensi per
l’appropriazione della loro cultura e della loro religione
ne è un buon esempio. Nel 1993 la “Dichiarazione di
guerra contro gli sfruttatori della spiritualità lakota”
metteva i seguaci velleitari come Karma sullo stesso
piano dei “proittatori commerciali e degli autoproclamati sciamani new age”. Il desiderio d’interrompere gli
scambi culturali con tutti gli estranei, indipendentemente dalle loro intenzioni, è una reazione comprensibile a una storia di brutale erosione culturale. Ma è
diicile capire come nel lungo periodo alzare il ponte
levatoio possa raforzare la comunità dei nativi americani. Alcuni indigeni sono d’accordo: due filosofi
dell’università di Victoria, James O. Young e Conrad G.
Brunk, osservano che secondo alcuni l’adozione di valori da parte di estranei è un passo necessario “se gli
uomini vogliono riportare l’armonia sulla terra”. Ma la
sopravvivenza e la difusione dei valori fondamentali
di una cultura hanno un prezzo: il rischio che vengano
almeno in parte reinterpretati.
Young e Brunk sono tra i primi ilosoi a essersi posti
delle domande sulla moralità di varie forme di appropriazione, e nel loro saggio del 2009, The ethics of cultural appropriation, afermano che è ragionevole sentirsi
ofesi davanti a una falsa rappresentazione delle proprie convinzioni religiose. Young sostiene anche che
dal punto di vista morale ofendere non è necessariamente sbagliato. Per esprimersi, il “genio artistico”
deve essere libero di appropriarsi di temi e argomenti
di altre culture. Come pare che abbia detto Picasso,
“i bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”.
La tesi di Young può essere applicata a qualcosa di
molto più comune di queste rare espressioni di incontestabile genio personale. Le culture che vogliono evitare di fossilizzarsi e diventare irrilevanti devono essere aperte a nuove espressioni del loro particolare “genio” collettivo. Così facendo corrono il rischio di spezzare i legami con alcune delle loro tradizioni, ma questo non farà che raforzare quelle che vale la pena di
salvare. Lo storico Benedict Anderson della Cornell
university ha deinito una nazione come una “comunità politica immaginata”. La sua deinizione potrebbe
essere applicata a qualsiasi comunità e alla sua cultura
condivisa: è immaginata, dice, perché anche i cittadini
della più piccola nazione del mondo non conosceranno
mai tutti gli altri, ma “nella mente di ognuno vive l’immagine della loro comunione”.
Ogni nazione, ogni comunità, ha inventato i suoi
rituali e i suoi simboli per aiutare le persone a rimanere
aggrappate a questa comunione intangibile nella loro
vita quotidiana, e questi scompaiono gradualmente
quando non svolgono più il loro compito. Al loro posto
nascono nuove pratiche più appropriate al nuovo modo
di vivere. Nell’ottocento, il romanziere Walter Scott
immaginò molti tartan degli “antichi” clan: reinventò
come simbolo dell’unità britannica quel tessuto che un
tempo era stato vietato perché simbolo del patriottismo scozzese. Probabilmente in origine la danza del
ventre mediorientale era collegata ai riti della fertilità
o ai viaggiatori che arrivavano dall’India, così come la
celebrazione del Natale discende dalla festa pagana
del solstizio d’inverno. Il rituale cristiano della confessione segreta nacque in Irlanda nel sesto secolo, poi si
difuse come sacramento nel resto d’Europa.
Tutti i rituali e i simboli sono costruiti dall’uomo, e
le tradizioni non sono sempre prova di autenticità culturale. Le religioni e le culture, come le nazioni, sono
riuscite a sopravvivere solo aprendosi a nuovi modi di
rappresentarsi. Ben pochi si sono fatti scrupoli nel
trarre ispirazione da altri per farlo. Per quanto possa
essere ofensiva e perino distruttiva l’appropriazione
culturale, è quasi impossibile separare ogni singolo
incidente da un più ampio processo di scambio e adattamento.
Mi sono riconciliata con la Study society qualche
mese dopo, quando ho visitato un ordine suita più
esplicitamente religioso e sono rimasta sorpresa nel
vedere quanto avesse preso in prestito dalla cultura occidentale. A presiedere la riunione era una sceicca in
hijab, una delle poche donne musulmane in questo paese che guidano una funzione religiosa alla quale partecipano anche gli uomini. Mi ha spiegato che, dopo
essersi trasferito in occidente negli anni novanta, il
grande sceicco dell’ordine aveva modiicato le pratiche
religiose tradizionali, riducendo le sedute di preghiera
da quattro ore a una e collaborando con sua moglie per
preparare la donne a diventare sceicche. Nel corso dei
secoli, i princìpi basilari dell’islam sono stati espressi in
Poesia
Invecchiare
è forse diventare lenti come questi gradini
dove incespica il giorno
in schizzi di fotoni
è forse diventare densi e lapidari
O invece
è questo accartocciamento di sé in sé
questo cedimento di luce
un buco nero che sfreccia sulla via
eppure è movimento ancora?
AnnEEmmAnuEllE
FOurniEr
è una scrittrice,
musicista e
traduttrice francese
nata nel 1982. Questa
poesia, ispirata alla
fotograia di Henri
Cartier-Bresson
Hyères, 1932, è uscita
sulla rivista francese
A verse nell’autunno
del 2013. Traduzione
di Francesca Spinelli.
Nella chiarezza troppo dritta della pietra
la vita umana è appena ombra cinese
Tutt’al più vacillare di una traccia
È tanto instabile la nostra materia?
Anne-Emmanuelle Fournier
tanti modi diversi, e forse è ora che ne venga introdotta
anche una versione occidentale. Non c’è niente di male nel cambiare.
Non penso che smetterò mai di arrabbiarmi per certi palesi esempi di imperialismo culturale, e non credo
che si debba smettere d’impedire che le proprie tradizioni culturali vengano svuotate di signiicato e rese
carnevalate per adulti che si divertono a mascherarsi.
Ma vale la pena di ricordare che la cultura alla quale
siamo afezionati prima o poi è stata contaminata da
altre culture. Guardate avanti: avete il potere di plasmare la cultura del futuro. Siete sicuri di non voler
trarre ispirazione dagli altri? u bt
Scuole Tullio De Mauro
Educazione per tutti. O quasi
Nel mondo sono 650 milioni i
bambini tra i sei e gli undici anni
in età di frequentare la scuola elementare e 374 milioni i ragazzi tra
i dodici e i quattordici in età di primo ciclo postelementare. Alla ine
del novecento le organizzazioni
internazionali e i singoli stati avevano preso l’impegno solenne di
eliminare dal pianeta la mancata
scolarità di bambini e ragazzi entro il 2015. Il 2015 è arrivato e dobbiamo constatare che l’impegno
non è stato mantenuto. O meglio,
dal 2000 al 2007 la percentuale di
mancata scolarità si è quasi dimezzata calando del 42 per cento
(47 per le ragazze), ma poi il progresso si è fermato. Da allora risulta che ogni anno non vanno e
forse mai andranno o torneranno
a scuola 9 bambini su cento e 18
ragazzi tra gli 11 e i 14 anni.
Sono rispettivamente 58 milioni di bambini e 63 milioni di adolescenti. Un terzo si concentra nei
paesi dell’Africa centroccidentale.
Réaliser la promesse non tenue de
l’Éducation pour tous si intitola un
ampio rapporto pubblicato a metà
gennaio dall’istituto di statistica
dell’Unesco e dall’Unicef. È una
fonte preziosa e aggiornata per
conoscere la situazione dei singoli
stati, capire caso per caso perché
persiste la mancata scolarità e per
cercare di delineare interventi eficaci. Sono diversi da paese a paese, ma con alcune costanti: aumentare gli investimenti, combattere davvero il lavoro minorile,
formare meglio gli insegnanti a
capire e seguire le strategie per includere e far studiare tutti, anche
gli ultimi. u
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
93
Scienza
LESTER V. BERGMAN (CORBIS/CONTRASTO)
Stati Uniti, 1976. Una bambina con il morbillo in quarantena
La politica nei vaccini
The Economist, Regno Unito
L’epidemia di morbillo in corso
negli Stati Uniti ha riacceso il
dibattito sui vaccini: una
discussione strumentalizzata da
politici in cerca di consenso
e che non ha nulla di scientiico
n questo periodo negli Stati Uniti non
passa giorno senza che un politico se
ne esca con una dichiarazione stupida o supericiale sui vaccini. Il senatore Rand Paul teme che possano causare disturbi mentali. Chris Christie, l’altro possibile candidato repubblicano alla presidenza, ha detto che i suoi igli sono vaccinati ma
“i genitori devono avere un margine di scelta”. Barack Obama, un tempo esitante
sull’argomento, ha sbandierato il suo sostegno al vaccino contro il morbillo per i bambini, come ha fatto Hillary Clinton. Alla radio e in rete si moltiplicano i dibattiti sulla
sicurezza dei vaccini, con posizioni favorevoli e contrarie. Secondo le autorità sanitarie, il semplice fatto che se ne discuta potrebbe spaventare i genitori e dissuaderli
dal vaccinare i igli.
Nel Regno Unito successe nel 2002, do-
I
94
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po che era circolata per la prima volta la notizia di un possibile legame tra il vaccino
contro morbillo, parotite e rosolia (Mmr) e
l’autismo. Anche se era usato in più di novanta paesi e numerose prove scientiiche
avevano dimostrato che l’Mmr era sicuro,
quello che le persone notavano è che c’erano comunque due campane. Le vaccinazioni diminuirono drasticamente (ma in seguito sono di nuovo aumentate).
Le responsabilità dei giornalisti
Da un’indagine sul calo delle vaccinazioni
nel Regno Unito si è scoperto che il problema era in parte causato dal modo in cui i
mezzi d’informazione trattavano l’argomento. Nel tentativo di fornire un quadro
completo – e di intrattenere il pubblico con
un confronto verbale vivace – i giornali e le
tv contrapposero due schieramenti con opinioni opposte. In un angolo c’erano gli
esperti sanitari favorevoli al vaccino, nell’altro medici carismatici o genitori convinti
che avesse fatto diventare i loro igli autistici (e il cui sincero dolore condizionò molti
telespettatori).
Quando gli scienziati del governo britannico difesero le vaccinazioni, la questione si spostò sul piano politico. Alcuni gior-
nali di destra scelsero l’allarmismo per attaccare il governo di sinistra che somministrava i vaccini, altri lo fecero solo perché
queste notizie vendono. All’improvviso il
premier si sentì costretto a svelare se aveva
vaccinato suo iglio.
Quando le dispute scientiiche vengono
politicizzate, a risentirne è la verità. Nel
2002, per esempio, il Sunday Times titolò:
“Il governo lancia una campagna per convincere i genitori che l’Mmr è sicuro dopo
che alcune ricerche lo hanno collegato
all’autismo e ai disturbi intestinali nei bambini”, un titolo che invitava il lettore disattento a chiedersi se doveva idarsi del governo più che dei ricercatori. Allo stesso
modo, oggi i giornali statunitensi titolano:
“Il dibattito sulle vaccinazioni s’intensiica
mentre dilaga il morbillo”, da cui si può dedurre che il dibattito sulla sicurezza del vaccino per questa malattia è legittimo.
Dal 2006 grandi epidemie di morbillo
hanno colpito Bulgaria, Francia, Ucraina,
Georgia e Turchia. La Francia è passata dai
40 casi del 2007 ai 15mila del 2011 perché
molti genitori hanno deciso di non vaccinare i igli. La iducia nei vaccini sembra essere legata alla fiducia nel governo. Da un
nuovo studio sulle vaccinazioni per la cosiddetta inluenza suina del 2009 è emerso
che negli Stati Uniti repubblicani e indipendenti, meno disposti a idarsi del governo
rispetto ai democratici, erano anche meno
pronti a dire che avrebbero vaccinato i igli.
Per Kent Schwirian, dell’università
dell’Ohio di Columbus, chi si idava del governo aveva tre volte più probabilità di vaccinarli.
Le autorità sanitarie statunitensi non
hanno ancora trovato il modo di eliminare i
dubbi. Secondo uno studio pubblicato sul
Journal of Pediatrics, nessuno dei comunicati diramati dagli esperti per sostenere la
vaccinazione ha incoraggiato le persone a
vaccinare i igli. È diicile sconiggere le
leggende, soprattutto se crederci non causa
un danno immediato. E questo spiega perché c’è ancora molta gente convinta che il
mondo sia stato creato in una settimana.
La situazione, però, è pericolosa. Secondo i Centri statunitensi per la prevenzione e
il controllo delle malattie, tra i bambini nati
nel periodo che va dal 1994 al 2013 le vaccinazioni hanno evitato 322 milioni di infezioni, 21 milioni di ricoveri e 730mila morti.
La lezione per i politici e i mezzi d’informazione è chiara. Primum non nocere. Prima di tutto non nuocere. u sdf
Salute
Sempre meno
donne in india
ambiente
tettonica neozelandese
Nature, Regno Unito
Provocando dei terremoti artiiciali è
stato possibile “fotografare” i primi
cento chilometri di strati geologici
sotto il mare della Nuova Zelanda. Il
risultato potrebbe contribuire a
spiegare come fanno le zolle della
crosta terrestre a muoversi. è infatti
noto che lo strato più esterno della
Terra, la litosfera, è diviso in zolle,
che scorrono sopra un altro strato, chiamato astenosfera. I
ricercatori hanno ottenuto delle immagini ad alta
risoluzione della zolla oceanica del Paciico, situata
accanto a quella continentale a cui appartiene la Nuova
Zelanda. Studiando anche lo strato che si trova sotto la
zolla oceanica, hanno individuato una zona di conine,
spessa meno di un chilometro, tra la litosfera e
l’astenosfera, situata sopra un canale di una decina di
chilometri. Il canale ha una bassa densità, forse perché
contiene acqua o materiale fuso, e permette di
disaccoppiare litosfera e astenosfera. Un canale simile è
già stato trovato al largo della costa rica e potrebbe essere
una caratteristica di tutte le zolle oceaniche e forse anche
di quelle continentali. I ricercatori hanno usato 12 cariche
di dinamite per provocare i terremoti. Analizzando la
propagazione delle onde sismiche in profondità è stato
possibile studiare l’interno della Terra. u
astroisica
L’aumento degli incendi boschivi nella regione di Černobyl potrebbe rigenerare nubi radioattive. Dopo l’esplosione del reattore della centrale nucleare nel
1986, altri incendi avevano già
sparso in Europa materiale radioattivo intrappolato negli strati più supericiali del suolo. Ora
però il riscaldamento climatico
rischia di peggiorare la situazione, sostiene l’équipe di Nikolaos
Evangeliou, dell’istituto norvegese per la ricerca sull’aria, perché gli incendi saranno più frequenti e più vasti.
ESA/PLANck cOLLABOrATION
incendi e nubi
radioattive
la nascita delle prime stelle
Le prime stelle hanno cominciato a illuminare l’universo circa 550
milioni di anni dopo il big bang, cento milioni di anni più tardi di
quanto inora stimato. Lo rivela uno studio pubblicato in via preliminare su arXiv.org basato sui dati raccolti da Planck. Il satellite
dell’Esa ha analizzato la luce polarizzata dei primi momenti dell’universo, cioè la radiazione cosmica di fondo (nell’immagine), dalla quale è possibile ricostruire alcune fasi della storia dell’universo. u
rIc
In India il numero di interruzioni di gravidanza legate alla selezione del sesso del nascituro
è in aumento, con efetti negativi sulle dinamiche sociodemograiche. Si stima che dal
1980 al 2010 siano stati abortiti
tra i quattro e i 12 milioni di feti
femminili. La selezione del sesso ha radici nel modello della
famiglia patriarcale, dove la
femmina rappresenta un peso
economico. Ma la difusione
degli strumenti d’indagine prenatale (ecograia e amniocentesi) ha fatto aumentare le interruzioni di gravidanza selettive.
Anche se in India è vietato usare questi test per conoscere il
sesso del nascituro, è facile trovare cliniche private pronte a
infrangere la legge, anche nei
villaggi più poveri, scrive New
Scientist. A gennaio la corte
suprema indiana ha ordinato di
bloccare le pubblicità di questi
test su Google, Yahoo e Bing.
Normalmente nelle società
umane ci sono 950 femmine su
mille maschi (sotto i sei anni).
In India, il rapporto era di 927
su mille nel 2001 e di 914 su
mille nel 2011.
geologia
biologia
la banca
dei veleni
Tutti gli animali australiani che
hanno un veleno mortale saranno collezionati, insieme ai loro
veleni, nella Victorian venom
bank di Melbourne. La raccolta
è cominciata con 12 esemplari di
serpente tigre (nella foto). Via
via si aggiungeranno diverse
specie di ragni, scorpioni, serpenti e altri animali come il polpo dagli anelli blu e l’ornitorinco
dallo sperone velenoso. La banca dei veleni servirà sia per gli
studi tassonomici e sulla biodiversità sia per la ricerca di nuovi
antidoti e farmaci.
in breve
Salute Le linee guida che invitavano a limitare i grassi nell’alimentazione, introdotte negli
Stati Uniti nel 1977 e nel regno
Unito nel 1983, non avrebbero
dovuto essere emanate, perché
si basavano su prove scientiiche
insuicienti e su studi con un
numero limitato di partecipanti,
tutti maschi. Lo sostiene su
Open Heart l’équipe di Zoë Harcombe. I medici dovrebbero essere più critici verso le linee guida alimentari, scrive la rivista, e
considerare anche i rischi
dell’eccesso di carboidrati.
Paleontologia Le scimmie
dell’America Latina derivano
probabilmente da quelle africane, scrive Nature. Sono stati trovati in Perù fossili di denti di una
nuova specie, la P. ucayaliensis,
che è più simile alle specie ancestrali dell’Africa che a quelle del
Sudamerica, viventi o estinte. I
fossili risalgono a 36 milioni di
anni fa e hanno quindi dieci milioni di anni in più di quelli inora trovati nel continente.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
95
Il diario della Terra
Ethical living
-55,0 °C
Oimjakon,
Siberia
Bulgaria
4,4 M
Nepal
4,8 M
Spagna
Stati Uniti
Guatemala
Venezuela
5,1 M
Indonesia
Brasile
Madagascar
SUTANTA ADITYA (AFP/GeTTY)
costretto le autorità a chiudere
le scuole e gli uici pubblici
nella provincia del Khuzestan,
nell’ovest dell’Iran.
Svizzera
Regno
Neve Una itta nevicata ha
Unito
paralizzato
i trasporti nel nord
3,9 M
India
Albania
della Spagna.
u Una tempesta
Macedonia
Stati Uniti
Vulcani Il vulcano Sinabung, in Indonesia, si è risvegliato proiettando cenere a
quattromila metri d’altezza.
u Il vulcano Fuego, in Guatemala, ha ricoperto di cenere le
città della zona.
Tempeste di sabbia Una
tempesta di sabbia ha
96
Ola
Piranha Una bambina è
stata uccisa da un banco di
piranha nello stato di Pará, nel
nord del Brasile. L’imbarcazione su cui viaggiava lungo il
iume Maicuru si è rovesciata.
ROB PRINGLe
Terremoti Un sisma di magnitudo 6,3 sulla scala Richter
ha colpito il nordovest dell’Argentina, senza causare vittime.
Scosse più lievi sono state registrate in Venezuela, Giappone,
Nepal e Bulgaria.
Incendi Un incendio che si
è sviluppato vicino a Perth,
nell’ovest dell’Australia, ha distrutto 80mila ettari di vegetazione.
Australia
Animali A diferenza di
altri luoghi, l’estinzione dei
di neve nella regione di
mammiferi in Australia negli
Boston, negli Stati Uniti, ha
ultimi duecento anni non è
costretto le compagnie aeree a India
4,5 M
stata causata dalla caccia o
cancellare centinaia di voli.
dalla distruzione dall’ambiente, ma dall’introduzione di
FulminiMozambico
Una donna e sei
bambini sono stati uccisi da un nuove specie, come i gatti e le
volpi, e dagli incendi. Il tasso
fulmine durante un temporale
di estinzione è più alto che in
nel distretto di Bikita, nel sud
molte altre parti del mondo ed
dello Zimbabwe.
è costante nel tempo, scrive
la rivista Pnas. Circa il 21 per
Cicloni Il ciclone Ola ha
cento delle specie terrestri è a
portato forti piogge sulla
rischio.
Nuova Caledonia.
Il Sinabung
Siccità Decine di migliaia
di persone sono a rischio a causa della siccità che ha colpito il
sud del Madagascar. Lo ha annunciato il governo malgascio.
41,4°C
Julia Creek,
Australia
Zimbabwe
Argentina
6,3 M
Stati
Uniti
5,7 M
Giappone
5,0 M
Iran
Insetti Le termiti contribuiscono a stabilizzare l’ecosistema e
a combattere gli efetti del cambiamento climatico. I nidi degli
insetti (nella foto, sulla destra) sono un concentrato di materiale
vegetale, che viene trasformato dai funghi in fertilizzante del terreno. I termitai trattengono l’acqua e attirano altri insetti, grandi
erbivori e predatori. eliminarli potrebbe aumentare il rischio di
desertiicazione dell’area in cui si trovano, scrive Science.
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
Elettronica
ibrida
Per limitare il consumo di
energia in casa si dovrebbe allungare la vita degli apparecchi elettrici, aumentarne l’efficienza energetica oppure sostituirli con un solo dispositivo
multifunzione. Quello che non
si dovrebbe fare è aggiungere
sempre nuovi apparecchi, sia
pure ad alta efficienza energetica, come è successo nelle case statunitensi.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology, nel 1992 ogni famiglia americana possedeva una
media di quattro apparecchi
elettronici, nel 2007 la media
è salita a 13. Nello stesso periodo il consumo di energia è
più che raddoppiato. Anche il
tipo di apparecchi è cambiato:
nel 1992 c’erano i pc, i portatili
e i primi telefonini. Nel 1997
sono arrivate le macchine fotografiche digitali e le videocamere, nel 2002 si sono aggiunti gli smartphone, gli
schermi a cristalli liquidi (lcd)
e i lettori mp3. Infine è stato il
tempo dei tablet, dei lettori
blu-ray e di quelli per gli ebook. I nuovi apparecchi si sono
aggiunti senza sostituire quelli vecchi: in molte case ci sono
ancora televisori o schermi di
computer a tubo catodico che
consumano moltissima energia. Parallelamente è aumentato il tempo dedicato all’uso
dei dispositivi elettronici, che
è circa raddoppiato.
Secondo Science, una soluzione per risparmiare energia è l’elettronica ibrida, cioè
l’uso di apparecchi che svolgono più funzioni. Sarebbe infatti
meglio vedere un telefilm sul
portatile, piuttosto che su un
televisore lcd.
Il pianeta visto dallo spazio 05.11.2014
La barriera degli scorpioni, in Messico
Desterrada
eArthobServAtorY/NASA
Desertora
Chica
Nord
2 km
u Questa foto dell’Arrecife ala­
cranes, la scogliera degli scor­
pioni, è stata scattata il 5 no­
vembre 2014 dal satellite Land­
sat 8. Si tratta della più grande
barriera corallina del golfo del
Messico meridionale e si trova
circa cento chilometri a nord di
Isla Pérez
Pájaros
Progreso, nello stato messicano
dello Yucatán.
Per migliaia di anni varie
specie di corallo sono cresciute
insieme creando l’enorme sco­
gliera corallina, che è formata
anche da residui di alghe, fora­
miniferi e molluschi. Nel 1994
u
la zona è diventata un parco na­
zionale e nel 2006 riserva della
biosfera dell’Unesco.
La barriera comprende an­
che cinque isolette. L’Isla Pérez
è abitata e ospita alcuni monu­
menti storici, tra cui un faro del
1900.–K. Hansen (Nasa)
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
97
Tecnologia
Occhiali infranti
Nick Bilton, The New York Times, Stati Uniti
Quando sono usciti, due anni fa,
i Google glass hanno subito
suscitato un grande clamore.
Ma la strategia di rendere
pubblico il prototipo in tutta
fretta non ha funzionato
uesta è una storia che mette insieme intrighi, una tecnologia
futuristica, un laboratorio segreto, modelle, paracadutisti e una
tresca in uicio che ha distrutto il matrimonio di un miliardario. È la storia dei Google glass.
Prima di cominciare dovrei probabilmente spiegare cosa sono i Google glass.
Ma in realtà non ce n’è bisogno, perché gli
occhiali di Google hanno fatto irruzione nel
nostro mondo circondati da un clamore
pazzesco. Fin dalla loro presentazione, nel
2012, gli occhiali tecnologici sono stati considerati il gadget desiderato da tutti, dai
nerd agli amministratori delegati, dagli chef
alle persone più inluenti nel mondo della
moda. I Google glass erano il giocattolo da
avere a ogni costo, il prodotto che sarebbe
diventato il modello di eccellenza per una
nuova classe di computer indossabili.
Time li ha inclusi nella lista delle “migliori invenzioni dell’anno” e Vogue gli ha
dedicato un servizio di dodici pagine. I
Google glass sono stati il tema di una puntata dei Simpson e sono stati al centro di innumerevoli dibattiti tv e sketch comici in
programmi come Saturday night live e The
Colbert report, per non parlare dei video
pubblicati su YouTube. I capi di stato di tutto il mondo hanno voluto provarli. E come
loro anche il principe Carlo d’Inghilterra,
Oprah Winfrey, Beyoncé, Jennifer Lawrence e Bill Murray.
Sempre nel 2012, alla settimana della
moda di New York, Diane von Furstenberg
ne ha sfoggiato un paio rossi e ha fatto silare le modelle con Google glass di colori
diversi. Un altro segno dell’impatto culturale della nuova tecnologia è stato un lungo
articolo del New Yorker in cui Gary Shteyn-
Q
98
Internazionale 1098 | 13 febbraio 2015
Durante la settimana della moda
di New York, l’11 febbraio 2014
gart spiegava cosa si prova a indossare gli
occhiali. Il pezzo era irmato Google glass
explorer, cioè persona invitata da Google a
testare il prodotto. Shteyngart ricordava
una dimostrazione improvvisata sulla metro di New York: “Sono davvero loro?”, gli
aveva chiesto un uomo d’afari. “Fratello,
sono una bomba!”, aveva aggiunto uno
studente universitario. “Sei fortunato”.
Eppure il vero colpo di scena è arrivato il
15 gennaio, quando all’improvviso Google
ha annunciato che il progetto dei Glass per
come lo conosciamo verrà chiuso. Via, sparito. Tutta quella fanfara per nulla.
Deicit di attenzione
Per capire cos’è andato storto dobbiamo
tornare indietro di qualche anno e spostarci
a Mountain View, in California, dove c’è la
sede di Google. Qui, tra loghi colorati e platani ondeggianti, i fondatori dell’azienda e
un gruppo di manager idati presentarono
una lista di cento idee futuristiche. Tra le
proposte c’erano un gps indoor e un progetto chiamato Google brain, ma a suscitare le
reazioni più entusiaste fu un nuovo tipo di
computer indossabile che poteva essere
agganciato alla pelle o magari portato come un paio d’occhiali. Alla ine del 2009
l’amministratore delegato di Google, Eric
Schmidt, contattò Sebastian Thrun, un geniale e poliedrico ricercatore della Stanford
university, per chiedergli di realizzare le
idee proposte. Thrun, che doveva anche
inventare un nome accattivante per il progetto, scelse temporaneamente Google X,
nella speranza di trovare qualcosa di meglio in seguito.
Secondo diversi dipendenti di Google
che lavorarono inizialmente al progetto X
(e che hanno accettato di raccontarci quel
periodo soltanto a patto di mantenere
l’anonimato, perché sono ancora in azienda o perché hanno mantenuto rapporti
d’afari), il laboratorio venne stabilito in
segreto nel Google Campus, occupando il
secondo piano di un edificio al 1489 di
Charleston avenue. Lì nacque il primo progetto del laboratorio: un prodotto basato
sulla realtà virtuale che in seguito avrebbe
assunto il nome di Google glass. Thrun reclutò una serie di ricercatori e rock star della scienza, compresi Astro Teller e Babak
Parviz, esponenti di primo piano della tecnologia indossabile, e la designer Isabelle
Olsson. Nel giro di poco tempo entrò nel
gruppo anche Sergey Brin, cofondatore di
Google.
A questo punto è importante sottolineare due aspetti a proposito di Brin. Il primo
è che all’epoca era sposato con Anne
Wojcick, specializzata in biotecnologia e
madre dei suoi due igli. Inoltre Brin era famoso negli ambienti di Google per essere
afetto da quello che veniva deinito “un
deicit di attenzione per i progetti”: in sostanza, s’interessava in modo ossessivo a
un progetto per poi abbandonarlo all’improvviso (Brin si è riiutato di rilasciare una
dichiarazione per questo articolo).
Con Brin e Thrun alla guida, Google X e
il progetto degli occhiali restarono segreti
per più di un anno. “Ogni giorno i dipendenti di Google passavano davanti al laboratorio e non avevano idea di cosa accadesse dentro Google X”, racconta un dipendente. Poi però, nel 2011, io e la mia collega
Claire Cain Miller svelammo il segreto di
Google X illustrando alcuni dei progetti a
cui stava lavorando il gruppo.
All’epoca, senza che nessuno ne fosse a
conoscenza, si stava creando una spaccatura tra i progettisti a proposito della natura
dei Google glass. Alcuni sostenevano che
bisognasse indossarli tutto il giorno, come
un “dispositivo alla moda”, mentre altri
pensavano che andassero usati solo in alcune situazioni. In ogni caso tutti erano d’accordo su una cosa: quello che avevano tra le
mani era solo un prototipo, con un sacco di
difetti da sistemare.
Esperimenti pubblici
In realtà qualcuno che non era d’accordo
c’era: Brin. Il fondatore di Google sapeva
che gli occhiali non erano un prodotto inito, ma voleva che il loro perfezionamento
avvenisse in pubblico e non in un laboratorio segreto. Era convinto che Google X dovesse farli indossare ai consumatori e usare
i commenti e le idee degli utenti per migliorarli. Per ribadire che si trattava di un progetto in fase di sviluppo, Google decise di
non vendere la prima versione dei suoi occhiali nei negozi, ma di aidarli a Glass explorer, un gruppo selezionato di fanatici e
giornalisti che avrebbero pagato 1.500 dollari per avere il privilegio di provarli.
Questa strategia, però, si rivelò una zappa sui piedi. L’esclusività si aggiunse all’interesse smodato, e i mezzi d’informazione
specializzati pretesero di scrivere una recensione sul prodotto. Mentre l’entusiasmo
collettivo saliva alle stelle, Google non faceva altro che gettare benzina sul fuoco.
“La squadra di Google X sapeva che il
prodotto era lontanissimo da una versione
presentabile”, ricorda un ex dipendente.
Ma il settore marketing e Brin avevano altri
progetti. Nel giugno del 2012, a un convegno di sviluppatori di Google, alcuni paracadutisti con indosso i Google glass atterrarono sul tetto della sala conferenze, per poi
entrare trionfanti a bordo di rumorose motociclette tra gli applausi entusiasti della
platea (io c’ero, e vi posso garantire che è
stata una dimostrazione unica). Brin sembrava felice di tutta quell’attenzione, al
punto che qualcuno lo paragonò a Tony
“Quelli sono davvero i
Google glass? Fratello,
sono una vera bomba!
Sei fortunato”
Stark del fumetto Iron Man. Poche settimane dopo, Brin era seduto in prima ila alla
silata di Diane von Furstenberg, sfoggiando con orgoglio il nuovo prodotto. Ma questo non era esattamente il modo in cui Google voleva presentare gli occhiali. Non era
l’esperimento prudente che i progettisti di
Google X avevano voluto condurre. Per loro era come osservare una persona che spifferava un segreto con un megafono.
Tutto da capo
L’efetto inebriante provocato da modelle e
paracadutisti svanì presto. Le riviste di tecnologia, dopo aver finalmente
messo le mani sui glass, li descrissero come “il peggior prodotto di
tutti i tempi”, sottolineando che
la batteria durava pochissimo e il
software “era pieno di errori”.
Qualcuno sollevò obiezioni legate alla privacy e la gente cominciò ad avere paura di
essere ripresa nei suoi momenti più intimi,
come in un bagno pubblico (l’ho veriicato
di persona a una conferenza di Google in
cui mi sono ritrovato circondato da persone
che indossavano i suoi occhiali).
Il dispositivo fu bandito dai bar, dai cinema, dai casinò di Las Vegas e da altre
strutture dove i capi non gradivano la presenza di clienti che registrassero tutto di
nascosto. Da oggetto del desiderio, i Google glass diventarono una barzelletta. Nacque persino un Tumblr chiamato “Bianchi
che indossano Google glass”. Poi, all’inizio
del 2014, uno scandalo di bassa lega travolse i laboratori X. Tra stampanti 3d e microchip era infatti esplosa la passione tra Brin
e Amanda Rosenberg, responsabile del
marketing dei Google glass, che aveva contribuito all’organizzazione della silata di
Diane von Furstenberg.
Brin aveva deciso di lasciare la moglie
per mettersi con Rosenberg, che a sua volta voleva lasciare il suo compagno (anche
lui dipendente di Google). Vanity Fair rivelò l’ultimo dettaglio piccante della storia:
la moglie di Brin considerava Amanda Rosenberg un’amica.
Da quel momento il progetto Google
glass si spense. I primi dipendenti del laboratorio X abbandonarono l’azienda (Parviz,
per esempio, è passato ad Amazon). Brin,
alle prese con le conseguenze della sua relazione adulterina, smise di indossare gli
occhiali in pubblico.
E così arriviamo al mese scorso, quando
Google ha improvvisamente annunciato
l’intenzione di chiudere il programma
Glass explorer. Molti hanno parlato di una
campana a morto per i Google glass, ma
forse si sbagliano. La nuova vita degli occhiali tecnologici è gestita da Ivy Ross, responsabile della divisione Smart-eyewear
di Google, e da Tony Fadell, ex responsabile di produzione di Apple e creatore del termostato Nest.
“I primi Google glass hanno aperto la
strada e ci hanno permesso di capire cosa
vogliono i consumatori e le imprese”, ha
spiegato Fadell. “Sono molto emozionato
all’idea di lavorare con Ivy e usare queste
informazioni nei prodotti futuri”. Alcune persone che conoscono i piani di Fadell per i Google
glass sostengono che il nuovo responsabile vuole ridisegnare gli
occhiali da capo e li presenterà
solo quando saranno completi. “Non ci saranno esperimenti pubblici”, spiega un
collaboratore di Fadell. “Tony parte dal
prodotto, e non presenterà niente inché
non sarà sicuro che tutto è perfetto”.
Per quanto riguarda Diane von Furstenberg, dice di non avere rimpianti. In un’intervista pubblicata tempo fa, la stilista ha
dichiarato che i Google glass erano un prodotto rivoluzionario. “Per la prima volta le
persone hanno parlato di tecnologia indossabile”, ha spiegato. “La tecnologia si muove sempre più in fretta, e i Google glass resteranno nella storia”. u as
Internazionale 1098 | 13 febbraio 2015
99
Economia e lavoro
Torna la guerra
monetaria
Svalutare la propria moneta per
raforzare le esportazioni. È la
ricetta adottata da molti paesi
per uscire dalla crisi. Ma questa
strategia può avere conseguenze
gravi per l’economia globale
ell’economia mondiale si sta
aprendo un nuovo fronte. Gli
speculatori di Francoforte,
New York e Singapore scommettono già sui vincitori e sui perdenti. Da
quando, alla metà di gennaio, l’euro ha perso il 20 per cento del suo valore rispetto al
franco svizzero nel giro di poche ore, perino i tassi di cambio delle monete stabili sono fuori controllo. A Wall street non si parla
d’altro. Al recente Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, un consigliere
d’amministrazione della Goldman Sachs
ha detto: “Ci troviamo di fronte a una serie
di guerre monetarie”.
L’attacco più recente è arrivato dalla
Banca centrale europea (Bce), che ha intenzione di mettere in circolazione 1.100 miliardi di euro in più nei prossimi 19 mesi.
Tutto questo denaro nuovo di zecca riduce
il valore dell’euro rispetto ad altre monete,
favorendo le esportazioni delle imprese
dell’eurozona e danneggiando la concorrenza del resto del mondo. Con l’euro relativamente a buon mercato, per esempio, la
Bmw potrà offrire le sue auto negli Stati
Uniti a un prezzo più conveniente: oggi gli
statunitensi spendono 45mila dollari per
un’auto che in Germania ne costa 40mila,
mentre a gennaio ne dovevano pagare
48mila. Per i concorrenti statunitensi è una
situazione spiacevole, tanto più che il nuovo tasso di cambio fa aumentare il prezzo
delle loro auto in Europa.
Uicialmente la Bce non sta stampando
denaro per promuovere le esportazioni:
l’obiettivo del presidente dell’istituto, Mario Draghi, è spingere le banche a prestare
più soldi alle imprese, in modo che crescano gli investimenti e la produzione, e che
N
100
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
quindi l’economia si riprenda rapidamente.
In realtà, però, a Draghi non dispiace che
l’indebolimento dell’euro raforzi le esportazioni. “In questo momento”, ha scritto il
Wall Street Journal, “la svalutazione è la
politica di crescita dell’Europa”.
La Bce non è comunque l’unica banca
centrale che abbia avuto quest’idea: secondo molti operatori del mercato monetario,
Francoforte si è semplicemente inserita in
una guerra monetaria già in corso. Il problema è che non è una buona idea, perché
in questo tipo di conlitti sono in molti a
perderci. Più auto tedesche vendute negli
Stati Uniti signiicano che la concorrenza
statunitense registra un volume di vendite
più basso. Gli operatori del mercato monetario si aspettano che la prossima mossa sia
una reazione alla decisione di Draghi da
parte del governatore della banca centrale
giapponese, che già da tempo stampa denaro ma ora potrebbe raforzare la sua azione per far calare lo yen più di quanto non sia
successo negli ultimi due anni.
Chi vince e chi perde
All’inizio i più colpiti sono i paesi piccoli,
come dimostra la Svizzera, dove la svalutazione dell’euro signiica un calo delle esportazioni nell’eurozona e un minore alusso
di turisti stranieri. A questo punto i governatori delle banche centrali di altre economie relativamente piccole temono di inire
nelle stesse condizioni dei loro colleghi
svizzeri e da settimane si sforzano di non
far diventare più costose le loro monete.
Ecco qualche esempio: l’11 dicembre 2014
la banca centrale norvegese ha abbassato il
costo del denaro; il 7 gennaio 2015 la banca
centrale vietnamita ha svalutato il dong rispetto al dollaro; il 14 gennaio la banca centrale indiana ha ridotto il suo tasso d’interesse; il 19 gennaio la banca centrale danese ha annunciato delle misure per contrastare l’apprezzamento della corona (e il 5
febbraio ha addirittura ridotto il suo tasso
d’interesse a -0,75 per cento); il 21 gennaio
la banca centrale canadese ha abbassato il
suo tasso d’interesse; il 27 gennaio anche la
HITANDrUN/GETTY IMAGES
Die Zeit, Germania
banca centrale turca ha accennato a una
riduzione del costo del denaro; il 28 gennaio la banca centrale di Singapore ha annunciato misure per limitare l’apprezzamento
del dollaro di Singapore; il 3 febbraio la banca centrale australiana ha ridotto il tasso
d’interesse.
Queste politiche monetarie hanno tutte
lo stesso efetto: nel migliore dei casi la
moneta nazionale si avvantaggia rispetto a
quelle dei paesi con cui compete sui mercati delle esportazioni. Al momento c’è
solo una moneta che diventa sempre più
costosa: il dollaro statunitense. Per Washington la situazione non è priva di conseguenze: aziende come la Microsoft, la Pizer e la Procter & Gamble hanno già registrato una diminuzione degli utili e del
fatturato. Queste imprese non devono solo
confrontarsi con le maggiori esportazioni
della concorrenza, ma anche con il fatto
che le loro ailiate estere registrano utili in
monete che, convertite in dollari, hanno
un valore inferiore.
Il governo statunitense e la Federal reserve (Fed), la banca centrale, non vedono
alcun problema, almeno ufficialmente,
nella svalutazione dell’euro: infatti da tempo speravano che gli europei si decidessero
a stampare moneta, convinti che questa
mossa possa favorire l’economia globale.
Ma c’è da chiedersi se un atteggiamento
simile durerà ancora a lungo. Durante una
Fuori dagli Stati Uniti
sono stati contratti
debiti in dollari per
novemila miliardi
seduta che si è tenuta a gennaio, i deputati
del congresso statunitense hanno discusso
di come gli Stati Uniti possano afrontare i
“manipolatori monetari”. I deputati hanno
chiesto, tra l’altro, che nelle trattative per il
trattato di libero scambio tra Stati Uniti e
Unione europea, il Transatlantic trade and
investment partnership (Ttip), siano inseri­
te alcune clausole che impediscano le ma­
nipolazioni dei tassi di cambio.
Riduzione artiiciale
Nel 2010 la svalutazione delle monete ave­
va già spinto gli Stati Uniti sull’orlo di una
guerra commerciale con la Cina. Washing­
ton accusava Pechino di essersi procurata
vantaggi nel settore delle esportazioni at­
traverso una riduzione artiiciale del tasso
di cambio dello yuan. In seguito la Cina ha
potuto evitare dazi doganali punitivi solo
aumentando il tasso di cambio della sua
moneta.
Per paesi come la Cina, che si stanno
ancora trasformando in economie svilup­
pate, la svalutazione artiiciale della mone­
ta nazionale non è una strategia insolita.
L’economista Dani Rodrik sostiene che per
produrre benessere le economie emergen­
ti devono partire dalla creazione di un’in­
dustria manifatturiera che attiri i inanzia­
tori stranieri. A loro volta, gli investimenti
provenienti dall’estero generano una forte
domanda di moneta nazionale, che così di­
venta più costosa e di conseguenza fa au­
mentare i prezzi dei prodotti d’esportazio­
ne. Secondo Rodrik, quindi, per fare in
modo che la crescita non sia compromessa
può aver senso svalutare inizialmente la
propria moneta.
Ma, di fronte alle turbolenze di oggi, al­
cuni paesi emergenti hanno un problema
completamente diverso. A causa dei tassi
ridotti degli Stati Uniti e dell’Europa, negli
ultimi anni grandi operatori inanziari co­
me gli hedge fund e i fondi pensione hanno
cominciato a investire sempre di più in
Africa, in Asia e in Sudamerica, elargendo
gran parte di questo denaro in forma di cre­
diti e di inanziamenti a stati e imprese. I
debitori, che si sono impegnati a restituire
il prestito con un tasso d’interesse vantag­
gioso calcolato in dollari, incassano per lo
più nella moneta locale le loro entrate com­
merciali e iscali. Queste piccole economie
sono quindi sfavorite dal fatto che le grandi
banche centrali dei paesi esportatori stan­
no rendendo il dollaro più costoso.
Le somme in questione sono ingenti.
Secondo i dati della Banca dei regolamenti
internazionali (Bri), fuori dagli Stati Uniti
sono stati contratti debiti in dollari per no­
vemila miliardi, una cifra equivalente al pil
della Cina. Molti debitori dei paesi emer­
genti sono effettivamente in difficoltà.
L’apprezzamento del dollaro ha reso più
onerosi i loro impegni inanziari. L’Over­
seas development institute, un istituto di
ricerca britannico che si occupa di aiuti allo
sviluppo, ha calcolato che dal 2013 l’aumen­
to del tasso di cambio del dollaro potrebbe
essere costato undici miliardi di dollari a
paesi debitori della regione subsahariana
come la Mauritania, la Nigeria e il Ghana.
Un altro caso complicato è quello cine­
se. Secondo Hans Redeker, un esperto del­
la banca Morgan Stanley, i debiti in dollari
della Cina ammontano a 850 miliardi. Una
svalutazione dello yuan rispetto al dollaro
diventerebbe un problema. “Alcune impre­
se cinesi si troverebbero nei guai”, osserva
Redeker. È probabile che la Cina non stia
partecipando alla guerra monetaria anche
a causa dei suoi debiti in dollari. La questio­
ne è capire per quanto tempo il paese potrà
reggere se i paesi vicini come il Giappone
continueranno a ridurre artiicialmente il
valore delle loro esportazioni.
Le ipotesi possibili sono due, ed entram­
be hanno a che fare con il dollaro. Janet Yel­
len, la presidente della Fed, potrebbe au­
mentare i tassi d’interesse come annuncia­
to. In questo caso investitori e creditori co­
me i fondi pensione, le assicurazioni e i
privati cittadini pretenderebbero la restitu­
zione di una quota crescente dei dollari che
hanno prestato in tutto il mondo per farli
rientrare negli Stati Uniti. Il ministro delle
inanze brasiliano Guido Mantega ha para­
gonato il previsto aumento dei tassi d’inte­
resse a un “gigantesco aspirapolvere” che
risucchierebbe i capitali dai paesi emergen­
ti. Questo signiicherebbe che molte impre­
se non sarebbero più in grado di procurarsi
il denaro necessario per investire in fabbri­
che e macchinari. Altre aziende subirebbe­
ro un tracollo a causa dei debiti eccessivi.
Se invece Yellen non aumentasse i tassi
d’interesse, il dollaro si apprezzerebbe
quantomeno più lentamente. In questo ca­
so c’è il rischio che gli speculatori conti­
nuino a prendere in prestito denaro e fac­
ciano investimenti troppo azzardati. Sem­
pliicando un po’, si può dire che è così che
è scoppiata l’ultima crisi inanziaria: molti
statunitensi hanno chiesto inanziamenti a
buon mercato, hanno comprato case trop­
po costose e non hanno potuto saldare i
debiti.
Qualunque cosa decida Yellen, appena
gli investitori cominceranno a temere una
crisi del debito nei paesi emergenti potreb­
be scoppiare il panico, e le banche e i credi­
tori dei paesi industrializzati potrebbero
chiedere la restituzione del loro denaro,
aggravando così la situazione e registrando
a loro volta perdite. La crisi asiatica del
1997 è stata prodotta da un meccanismo
simile. Come si può evitarne un’altra?
Il problema del debito dev’essere risolto
dagli stati e dalle imprese, ma teoricamen­
te anche le banche centrali potrebbero
mettere ine alla guerra monetaria: baste­
rebbe solo che riportassero sotto controllo
i lussi di dollari. Un esempio di armistizio
in una corsa alla svalutazione esiste: nel
1985 la Francia, il Regno Unito, il Giappone
e gli Stati Uniti concordarono una lenta
svalutazione del dollaro. Ma per ottenere
un risultato del genere oggi alcune banche
centrali dovrebbero smettere di sfruttare
segretamente la loro politica monetaria per
promuovere le esportazioni. u fp
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101
Economia e lavoro
Svizzera
TECNOLOGIA
Ginevra, la sede svizzera dell’Hsbc
Aumentano
i robot operai
Nei prossimi anni i robot sostituiranno sempre più spesso gli
operai nelle fabbriche. Lo sostiene uno studio della società
di consulenza Boston Consulting Group. “Nel 2014 le vendite
di robot industriali sono aumentate del 23 per cento a livello globale e raddoppieranno entro il
2018”, spiega il Financial Times. Negli ultimi quattro anni il
loro prezzo è diminuito del 14
per cento. L’80 per cento degli
acquisti di robot è concentrato
in cinque paesi: Cina, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e
Germania. In settori altamente
automatizzati come quello automobilistico i robot svolgono l’85
per cento delle mansioni.
HAroLD CUNNINGHAM (GeTTy IMAGeS)
ROBOT
La iliale svizzera della banca britannica Hsbc “aiutava
ricchi clienti da tutto il mondo a eludere il isco del loro
paese”, scrive la Bbc. Dai documenti sottratti all’istituto
nel 2007 da un ex dipendente, Hervé Falciani, e ora
pubblicati dall’International consortium of investigative
journalists, risulta che l’Hsbc ha oferto conti esteri
protetti dal segreto bancario a 106mila clienti di 203 paesi.
La banca sostiene che ora la situazione è “cambiata
radicalmente” e che sta collaborando con le autorità.
L’istituto è sotto inchiesta negli Stati Uniti, in Francia, in
Belgio e in Argentina. u
GIAPPONE
ANGOLA
Crisi
improvvisa
Il calo del prezzo del petrolio ha
provocato una crisi economica
in Angola, dove le vendite di
greggio contribuiscono al 48 per
cento del pil. Come spiega il settimanale portoghese Expresso,
il governo ha deciso delle misure d’emergenza. “Il ministero
delle inanze sospenderà temporaneamente il rimborso del
debito estero e ridurrà di quasi il
17 per cento le spese previste nel
bilancio del 2015”. Inoltre, saranno bloccati i trasferimenti di
capitali all’estero e l’importazione di merci, in particolare dei
beni di consumo stranieri.
102
L’eccezione
giapponese
“Negli ultimi anni la disparità di
reddito in Giappone – misurata
come la quota di reddito personale complessivo detenuta dall’1
per cento più ricco della popolazione – è rimasta stabile. Anzi, è
perino scesa”, scrive il Wall
Street Journal. “Nel 2008 l’1
per cento più ricco dei giapponesi deteneva il 9,5 per cento del
reddito, mentre nel 2012 si limitava al 9 per cento”. A questa
conclusione è arrivato il World
top incomes database, un progetto coordinato dall’economista francese Thomas Piketty che
osserva l’andamento dei redditi
in trenta paesi. I dati giapponesi
in qualche modo contraddicono
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
le tesi di fondo di Piketty, secondo cui il divario tra ricchi e poveri nei paesi sviluppati è in aumento. Per l’economista francese il dato del Giappone “è probabilmente dovuto alla recessione
e potrebbe non rilettere l’andamento dei redditi nel lungo termine”. Chiaki Moriguchi,
un’economista dell’università
Hitotsubashi di Tokyo che ha
collaborato al progetto di Piketty, ritiene invece che il problema
del Giappone sia generazionale.
“Pochi tra i più giovani hanno
un lavoro con bonus e aumenti
di stipendio regolari” e molti
hanno scarsi incentivi a “lavorare duro per farcela”. Questo si rilette sui dati: nel 2012 il reddito
medio dell’1 per cento più ricco
era di 240mila dollari in Giappone e di un milione di dollari negli
Stati Uniti.
Computer
traduttori
Il settore dei software per la traduzione è in crescita e ormai genera un fatturato annuale di 37
miliardi di dollari, scrive l’Economist. Il successo è dovuto al
fatto che oggi nel mondo, soprattutto in quello degli afari,
anche lingue meno parlate sono
diventate importanti. L’Unione
europea, per esempio, ora ha bisogno di comunicare in 24 lingue. In passato in Asia contavano solo il giapponese, il cinese e
il coreano, mentre oggi è cresciuto il valore di lingue come il
vietnamita e l’indonesiano. In
Africa molte aziende usano le
lingue locali. “I software per la
traduzione sono utili”, osserva il
settimanale, “ma sono ben lontani dal sostituire gli esseri umani, soprattutto per le traduzioni
di qualità”.
UGUrHAN BeTIN (GeTTy)
KAzUHIro NoGI (AFP/GeTTy IMAGeS)
I clienti segreti dell’Hsbc
IN BREVE
Finanza Dall’inizio della crisi
globale alla ine del 2007, il totale dei debiti contratti nel mondo
– quelli di governi, imprese, banche e famiglie – è aumentato di
57mila miliardi di dollari, raggiungendo il 286 per cento del
pil mondiale. Lo hanno calcolato gli esperti della società di
consulenza McKinsey. Il rapporto tra debiti e pil è diminuito solo in pochi paesi, tra cui romania, Israele e Arabia Saudita. In
tutti i paesi più importanti, invece, è cresciuto. Tra questi ci sono gli stati più indebitati dell’eurozona, come Irlanda, Italia,
Grecia, Spagna e Portogallo.
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Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
L’oroscopo
Rob Brezsny
Quanti desideri hai? Fai un inventario approssimativo.
Individua le esperienze a cui aspiri nella tua ricerca di
sollievo, piacere, salvezza, amore e signiicato della vita. Puoi anche metterci le fantasie insoddisfatte e i sogni che potrebbero realizzarsi in futuro. Mentre scorri questo elenco, non
censurarti e non sentirti in colpa. Abbandonati a una profonda
meditazione su tutti i desideri che alimentano il tuo viaggio. Questa è la tua ricetta per la prossima settimana. Per motivi che forse
non sei ancora in grado d’immaginare, è la medicina di cui avrai
più bisogno.
ARIETE
Spero che nella tua vita ci
sia qualcuno a cui mandare
questo biglietto d’amore tratto da
Ogni cosa è illuminata di Jonathan
Safran Foer: “Ti amo più di quanto nessun altro ti ami, ti abbia
amato o ti amerà. Ti amo come
nessun altro ti ama, ti ha amato o
ti amerà. Ti amo come non amo,
non ho mai amato e non amerò
mai nessun altro”. Se quella persona ancora non c’è, sono sicuro che
la troverai entro il 1 di agosto.
TORO
“Crediamo che gli altri debbano dimostrare il loro
amore nello stesso modo in cui lo
facciamo noi”, scrive la psicologa
Amy Przeworski. “E se non rispettano questa equazione, temiamo
che non si tratti d’amore”. Penso
che tu stia per superare questo
problema, Toro. Le tue fatiche
sentimentali ti hanno reso abbastanza saggio da rinunciare alle
aspettative su come gli altri dovrebbero dimostrare il loro amore.
Presto sarai pronto per lasciare
che ti dimostrino il loro afetto nel
modo che gli viene più naturale.
Anzi, forse sei già pronto.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
GEMELLI
Vorrei benedire te e il tuo
più stretto alleato. Spero che
questo vi aiuterà a ridurre il nervosismo che a volte minaccia la vitalità del vostro rapporto. Questa è
la mia benedizione, ispirata da
una poesia di Robert Bly: seduti,
camminando o distesi uno accanto all’altro, condividerete uno stato d’animo di lieta accettazione.
Non sarete irrequieti o smaniosi,
non vi chiederete se c’è qualcosa
di meglio da fare o essere. Non
vorrete parlare di un altro argomento o provare un’emozione diversa o vivere in un mondo diverso. Sarete contenti di essere esattamente chi siete e dove siete.
travisano il ruolo dell’amore. “Ne
hanno fatto un gioco e un divertimento, perché scorgono nel gioco
e nel divertimento una felicità
maggiore che nel lavoro; ma non
esiste felicità più grande del lavoro, e l’amore, per il fatto stesso di
essere l’estrema felicità, non può
essere altro che lavoro”. Condivido il suo punto di vista con te per
due motivi, Vergine. Primo, perché tra tutti i segni sei quello che
può trarre più vantaggio da questo approccio. Secondo, perché
sei in una fase in cui la tua capacità in tal senso è al culmine. Rilke
conclude così la sua rilessione:
“Chi ama deve cercare di comportarsi come se fosse di fronte a
un grande compito”.
CANCRO
BILANCIA
Vorresti che i tuoi interludi
romantici ogni tanto fossero più selvatici? Vorresti coltivare
un tipo d’intimità che attinge di
più alla tua intelligenza animale?
Se è così, tu e il tuo partner cercate
di recitare l’uno i sogni dell’altro o
di disegnarvi a vicenda simboli
magici sul corpo. Bisbigliatevi bufi segreti all’orecchio o lottate sul
pavimento del salotto come due
innocui ubriachi. Gracchiate come
corvi. Cantate a voce alta e recitate poesie ferine. Mormorate questi
versi, adattati da una poesia di Pablo Neruda: “Il nostro amore è nato nel vento, nella notte, nella terra. E per questo l’argilla e la corolla, il fango e le radici conoscono il
nostro nome”.
Circa 2.600 anni fa la poetessa greca Safo scriveva:
“Tu mi fai bruciare”. Sarebbe bello se nei prossimi dieci giorni tu
avessi voglia di dirlo o di pensarlo
regolarmente. Anzi, prevedo che
lo farai. Sei in una fase in cui hai
più probabilità del solito di imbatterti in fenomeni che ti faranno
bruciare. Ecco qualche altro frammento di Safo che potrebbe tornarti utile per esprimere i tuoi torridi sentimenti. “Urlo con gioia
questa lasciva follia”. “Eros scioglie le membra e le agita, dolce,
amaro indomabile serpente”.
“Scuote l’anima mia Eros, come
vento sul monte che irrompe tra
le querce”.
LEONE
SCORPIONE
Potresti dire che la tua più
stretta alleanza in un certo
senso è un regalo per il mondo? Il
vostro rapporto serve da elemento energizzante per le persone
con cui entrate in contatto? Se
non è così, cerca di scoprire perché. Se invece riesci già a sfruttare queste potenzialità, è ora di
passare al livello successivo. In
questo momento avete più potere
del solito di unire le vostre energie in modo tale da emettere piccole onde di benevolenza ovunque andiate.
Nella serie tv Doctor Who,
il protagonista vive in una
macchina del tempo che è anche
una nave spaziale e si chiama Tardis. Dall’esterno non sembra più
grande di una cabina telefonica.
Ma una volta entrati, si scopre che
è un grande castello con parecchie stanze, una serra, una biblioteca, un osservatorio, una piscina
e un bar. Mi sembra un’ottima
metafora per te, Scorpione.
Chiunque voglia il tuo amore o la
tua amicizia deve rendersi conto
di quanto somigli a Tardis. Se non
capisce che dentro sei molto più
grande di quanto appari da fuori,
è improbabile che voi due possiate avere un rapporto fecondo. In
VERGINE
Il poeta Rainer Maria Rilke
diceva che molte persone
questo periodo di san Valentino,
come servizio pubblico, assicurati
che tutte le persone con cui sei seriamente coinvolto lo sappiano.
SAGITTARIO
L’amore e l’intimità assumono molte forme. Esiste
almeno un miliardo di modi diversi per sentirsi attratti da un’altra persona, e un trilione di modi
diversi per strutturare un rapporto. Forse il tuo legame speciale si
basa sul sesso. Forse è romantico
o amichevole o sacro, o tutte e tre
le cose. Avete qualcosa di importante da creare insieme, o forse
preferite alimentare l’uno i talenti
dell’altro? Il vostro compito consiste nel riverire e rispettare il modo speciico in cui vi completate,
senza cercare di adeguarvi a un
prototipo. Per celebrare san Valentino, invito te e il tuo alleato
più stretto a sperimentare queste
piacevoli possibilità.
CAPRICORNO
Nel romanzo Una spia nella
casa dell’amore, Anaïs Nin
scrive: “Mentre altre ragazze pregavano di trovare in un amante la
bellezza, la ricchezza, il potere o
la poesia, lei aveva pregato ardentemente perché fosse gentile”. In
questo momento ti consiglio lo
stesso approccio all’amore, Capricorno. La ricerca di un’attenzione
tenera e compassionevole non
deve essere sempre in cima alla lista dei tuoi bisogni, ma in questo
momento sì. Crogiolandoti nella
tenerezza riceverai una potente
carica alchemica che catalizzerà
un’importante conquista, irrealizzabile in altri modi. Chiedila.
PESCI
La parola tedesca Nachküsse si riferisce al tipo di baci
che compensano tutti quelli che
non sono mai stati dati, tutti i baci
omessi e perduti. Se è tanto tempo che non baci nessuno, hai bisogno di Nachküsse. Se ultimamente
la persona che ami non ti ha baciato con la foga e la concentrazione che vorresti, hai bisogno di
Nachküsse. Per te il periodo di san
Valentino sarà un’orgia di Nachküsse, Pesci. E ora vai a prenderti quello che ti spetta.
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105
internazionale.it/oroscopo
ACQUARIO
COMPITI PER TUTTI
Ti propongo un esperimento: compi un gesto
d’amore unico nella storia della tua vita.
kaL, the eConoMIst, regno UnIto
L’ultima
aLex, La LIbertè, svIzzera
eL roto, eL País, sPagna
“Dite al presidente che siamo sulla buona strada
per sconiggere lo stato islamico”.
“Il segreto bancario si sta sciogliendo,
c’è pericolo di valanghe”.
sIPress
eLkIn, rUssIa
hsbc. trattiamo soldi di qualsiasi provenienza: terrorismo,
crimine organizzato, evasione iscale.
“Comunque, che disonesto questo Falciani”.
Putin al summit di Minsk.
“Prendila come una cosa in meno
di cui preoccuparti”.
Le regole Neve
1 Prima di correre fuori a cantare Jingle bells assicurati che non sia grandine. 2 Il primo giorno di neve è
meraviglioso, l’ottavo è un incubo. 3 C’è davvero bisogno di metterti quel colbacco di cincillà? 4 Un
pupazzo di neve che si rispetti ha il naso a carota. 5 La neve non è una scusa per non andare in uicio.
Ma è un ottimo motivo per ingerti malato. [email protected]
106
Internazionale 1089 | 13 febbraio 2015
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