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Noi, cresciuti in un luna
1/2008 NOTIZIARIO DI STORIA E ATTUALITÀ SANTAGATESE n. 1 reg. trib. ps nr. 427 - Dir. Resp. G. Dall’Ara. Redazione Sant’Agata Feltria Fax 0541/929744 - Grafica e fotocomposizione: il Ponte - Stampa: la Pieve poligrafica editoriale, V. Verucchio - email: [email protected] Sommario 2 Senatore: Fosco Giannini 3 Eugenio Valzania 4 La torre di Petrella Guidi 5 Mille anni di storia 6 Censimento architetture 8 Antonio Tani 9 Lettere 10 Dipinti restaurati di Rocca Fregoso 11 La storia di Perticara 12 Padre Agostino ROCCA È UN’INIZIATIVA Comitato Fiere Ed Iniziative Promozionali N Noi, cresciuti in un luna-park postmoderno oi, che il disastro di «Cernobyl» vuol dire che non potevamo bere il latte alla mattina. Noi che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, la mamma te ne dava tre. Noi che nelle foto delle gite facevamo le corna ed eravamo sempre sorridenti. Noi che quando a scuola c’era l’ora di ginnastica partivamo da casa in tuta. Noi che ci siamo riempiti le braccia di lividi con le due palline del Click Clack. Noi che guardavamo «La casa nella prateria» anche se metteva tristezza. Noi che le cassette se le divorava il mangianastri, e ci toccava riavvolgerle con la bic. Noi che ci mancavano sempre quattro figurine, per finire l’album Panini. Noi che si andava in cabina a telefonare. Noi che però sapevamo che erano le 4 perché stava per iniziare «Bim Bum Bam». Noi che però sappiamo a memoria: «Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani (allenatore Bearzot)». Noi che ci emozionavamo per un bacio su una guancia. Noi che avere un genitore divorziato era impossibile. Noi che le barzellette erano Pierino, il fantasma formaggino o, un francese, un tedesco e un italiano. Noi che ci sentivamo ricchi se avevamo «parco della Vittoria e viale dei Giardini». Noi che al terzo corner è rigore, e non avevamo bisogno della moviola per capire se era gol. Noi che giocavamo a nomi, cose, animali, città… (e la città con la D era sempre Domodossola). Noi che la merenda era la girella e il Bylli all’arancia. Noi che giocavamo col tennis in bianco e nero, space invader, e il commodore a 64 colori e ci sembrava la Nasa. Liberamente tratto da un articolo di Alberto Garlini Sabato 17 novembre 2007 La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 news Franco Grazia I l 27 dicembre 2007 nel teatro di Novafeltria è stato presentato il bel libro “A Franco e altre dediche” curato da Vilma Baldinini e da Tea Giannini. Il libro è un omaggio a Franco Grazia, primo libraio di Novafeltria e animatore, con la moglie Maria, di tante iniziative culturali scomparso nel 2006, e raccoglie una serie di contributi e ricordi di scrittori, intellettuali e amici (Fabrizio Battistelli, Luca Cesari, Fioretta Faeti Barbato, Alessandro Marchi, Piero Meldini, Tonino Guerra, Pier Luigi Celli…). La pubblicazione fa parte della collana Università Aperta, curata da Vilma Baldinini, giunta così al 6° volume. Petrella Guidi ha un Senatore: Fosco Giannini Grazie ai volontari che hanno provveduto a scrivere e distribuire il giornale, grazie al lavoro di redazione di Enzo Liverani, alle fotografie di Marco Zanchini, a Paola Boldrini, a Mario Nalin, ad Alessia Dellamea, e ad Arrigo Bonci che coordina la distribuzione, e grazie ai lettori e sostenitori, numerosi come sempre. Se il giornale vi piace ditelo ai vostri amici, e chiedete loro di sottoscrivere, per ricevere regolarmente la Rocca! Se volete aiutarci a fare più bello questo giornale, inviateci articoli, fotografie, ricordi, lettere e commenti. Se non siete d’accordo con il contenuto degli articoli pubblicati, o più semplicemente volete dire la vostra opinione, scriveteci. Achille Marini Ecco una breve scheda biografica del Senatore Giannini. Nato a Sant’Agata Feltria, Petrella Guidi il 24 aprile 1952. Regione di elezione: Calabria. Residente ad Ancona. Professione: Impiegato. Elezione: 9 aprile 2006. Gruppo Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. Membro della 4a Commissione permanente (Difesa). Come Senatore ha presentato come primo firmatario i DDL S. 1697 – S. 1787, ed ha presentato come cofirmatario 61 DDL. SOTTOSCRIZIONI F ranco Dall’Ara ha scovato nella Biblioteca di Ancona una pubblicazione dell’erudito santagatese Crescentino Giannini che racconta la vita di Achille Marini. Achille era discendente del nobile casato dei Marini di San Leo, anche se nato a Fermo il 13 settembre 1819. Dieci ani dopo la nascita di Achille il padre venne ad abitare a S. Agata Feltria dove trovò lavoro come Cancelliere presso il Tribunale. Terminati gli studi ad Urbino e a Bologna, Marini si accinse a scrivere la storia del Montefeltro, e nel 1843 pubblicò un breve saggio dal titolo “Piano per una storia completa della provincia del Montefeltro”. Con questa ed altre ricerche divenne presto membro di numerose Accademie nel centro Italia. Svolse l’attività di medico per 20 anni a Montottone , località nella quale promosse l’istituzione della Cassa di Risparmio. Morì improvvisamente nel 1868. Va detto che il saggio di Marini sul Montefeltro è stato alla base di tutti gli studi che successivamente sono stati dedicati a S. Agata Feltria e al Montefeltro. La pubblicazione di Giannini è del 1869, ed ha come titolo “Vita di Achille Marini”. Il giornale del tuo paese Luciano Campitelli, S. Agata Antonio Masini, Rimini Riziero Angeli, Limbiate Maurizio Bernardini, S. Agata. Giro Frattini, S. Agata Elide Para, S. Agata Martino Valli, S. Agata Nevina Cappelli. Limbiate Oscar Amantini, Novafeltria Maura Urbini, Genova Le vostre foto Avete scattato delle belle fotografie? Inviatecele subito. Le pubblicheremo sul giornale e nel nostro sito web. Se è da molto tempo che non lo visitate fatelo subito! Il sito web curato da Gino Sampaoli è ora pieno di informazioni e di fotografie inedite del nostro paese. Aiutateci a realizzare la sezione in dialetto e prendete nota del nuovo indirizzo: http://santagata.altervista.org Come e quanto sottoscrivere? Ordinario 13 Euro Sostenitore 15 Euro Benemerito 25 Euro Le sottoscrizioni possono essere inviate alla redazione della Rocca, Casella Postale 26, 61019 S. Agata Feltria (Pesaro), oppure possono essere consegnate ai vari collaboratori che distribuiscono (volontariamente) il giornale. Dove trovare la Rocca: le sottoscrizioni per la Rocca possono essere effettuate anche presso la nuova cartolibraria in Piazza Garibaldi a S. Agata, dove si possono ordinare anche i vecchi numeri del giornale. Gilberto Mordini, S. Agata famiglia Barone Bolelli, San Lazzaro BO Iside Bernardini, Novafeltria Carla Toni, Ca Gianessi Rosalba Rossi, S. Agata Marco Marani, S. Agata Maria Cappelli, Cividale (UD) Gianfranca Sampaoli, Peschiera Borromeo Don Piero Brisigotti, Sant’Agata Trattoria Bossari, Sant’Agata La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 personaggi L Eugenio Valzania iliano Faenza, storico socialista riminese, nel libro “La Retata” edito da Guaraldi nel 1974, delinea il profilo di Eugenio Valzania, repubblicano e garibaldino cesenate, che aveva stretti rapporti con il santagatese Francesco Buffoni. Anzi possiamo dire che Buffoni considerava Valzania come un fratello, oltre che come il suo leader politico, al punto da chiedere di essere sepolto nella sua stessa tomba. Ma chi era Valzania? Il profilo tracciatone da Faenza getta una luce sinistra non solo sulle attività e sui “rozzi ideali” di certi repubblicani di fine ‘800, che pensavano – come vedremo - fosse legittimo farsi giustizia da soli; ma forse inquadra anche il contesto nel quale agì l’altro repubblicano (o più precisamente, iscritto al partito democratico mazziniano) famoso dei nostri monti: Martignon. Ecco, in sintesi, cosa scrive Faenza: Eugenio Valzania, detto Palanchino, aveva aderito giovanissimo alla Giovine Italia e aveva preso parte alla prima guerra di indipendenza, a numerose battaglie e cospirazioni. Fedelissimo di Garibaldi, era il leader più prestigioso delle forze repubblicane romagnole dopo il moderato Aurelio Saffi. Valzania era un possidente terriero cesenate, un uomo di estrema decisione e scaltrezza, colonnello irregolare, venuto dalla gavetta in mezzo a volontari e ad anime perse disposte al sacrificio o al delitto in nome di una idea rozzamente concepita. I mezzadri di Valzania erano necessariamente contadini-soldati tenuti a rispondere in qualunque momento alla chiamata del padrone. A Cesena, capitale “militare” della Romagna repubblicana, dove la tradizione settaria e le pratiche di sottosuolo si erano conservate ininterrotte sin dal primo pullulare delle società segrete in regime papalino, la setta, vale a dire una speciale organizzazione di ex volontari o reduci delle patrie battaglie (ma non solo di essi), secondo un documento riservato, sottratto dalla polizia dell’epoca ad un uomo di Valzania, Pietro Turchi (che diventerà poi deputato), disponeva di 400 uomini, residenti a Cesena e nel cesenate, tra il litorale e l’Appennino, e tenuti assieme da uno spirito di corpo e da un vincolo che non tollerava cedimenti e autorizzava – in seguito a verdetto di uno speciale giurì – l’accoltellamento dei voltagabbana. Valzania nella lotta politica si era trovato di fronte i repubblicani del “partito del revolver” guidati da Giuseppe Comandini, accusati di essersi posti al servizio dei Signori, e li aveva combattuti con il “partito del coltello”. Era corso sangue da tutte e due le parti. Entrambi i partiti, o le correnti del partito, avevano contato i propri cadaveri. Le forze dell’ordine a Cesena e a Forlì avevano attribuito al mandante Palanchino, a ragione o a torto, la responsabilità di 31 omicidi. Messa in latino Dal 16 settembre 2007 ogni domenica, nella Chiesa Collegiata di S. Agata Feltria, alle 18.00 si celebra la messa secondo il Rito romano Antico, con il celebrante e il popoli rivolti verso il Signore. S. Agata Feltria News Per le novità sul tuo paese visita il sito web http://www.eliverani.com Emigrazione in Francia Grazie a Josette Babbini, la nostra lettrice francese che ci segnala un sito web dove è possibile trovare molta documentazione sull’emigrazione italiana in Francia. Questo è l’indirizzo: http://www.geneaita.org/fr/ (Testo della lapide di Ancona dedicata a Lorenzo Cappelli di Romagnano) Prof. Lorenzo Cappelli - S. Agata Feltria 18-4-1857 Ancona 24-2-1949 - (grazie al dr. Piero Raggi) La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 Petrella Guidi La torre di Petrella Guidi L ’agglomerato rurale fortificato, che nei tempi moderni ha assunto la denominazione di Petrella Guidi, nel medioevo aveva il più appropriato nome di Petrella dei Tiberti: nel 1289, infatti, troviamo ricordato Timideus de Petrella Tibertorum. La località si trova sull’acclivio destro del fiume Marecchia, quasi dirimpetto a Pennabilli. La prima notizia cha abbiamo è del 1125: il «castellum quod vocatur Petrella» risulta fra le pertinenze di Pietro Vescovo di Montefeltro. Nel XIII secolo la comunità rurale era retta da una cospicua consorteria nobiliare. Il personaggio più noto è Guido della Petrella, il quale fece parlare di sé le cronache dell’epoca, perché nel 1297 derubò un conte della Savoia che si recava in pellegrinaggio. Nel XIV secolo i figli di Guido, Nino e Francesco, tennero per lungo tempo anche la fortezza di San Leo. Nel 1329, Petrella risulta infeudata da Ludovico il Bavaro a Nerio, figlio di Uguccione della Faggiola, ed era ancora in suo possesso nel 1353, al tempo della pace di Sarzana. Due anni dopo, Guido della Petrella andò a Gubbio a lamentarsi col Legato Pontificio, perché – essendo guelfo – i conti di Urbino, Francesco della Faggiola e gli altri ghibellini, lo avevano cacciato dalle sue terre. Il Card. Albornoz non dovette tardare a recuperare il ca- stello della Petrella: infatti, nella descrizione della Massa Trabaria anche questo è incluso tra i territori del Rettorato di Sant’Agata. Nel 1362 lo stesso Albornoz intimò al conte Bisaccione Oliva di Piagnano di restituire Petrella al Rettore di Massa Tra baria, ma ancora nel 1406 apparteneva agli Oliva. Nel 1410 fu possesso per pochi anni di Paolo Correr, nipote di papa Gregorio XII e nel 1415 passò in vicariato ai Malatesta. Narra un cronista: «1458, 26 aprile: Ave (ebbe) la gente del conte Jacomo (Piccinino) la Petrella, misela a saccomanno, àrsela». Dopo la sconfitta di Sigismondo Malatesta, anche questo borgo tornò di nuovo ai conti di Piagnano. L’impianto del castello prevedeva due distinte difese: un primo girone costituito da un terrapieno poligonale irregolare, ed una seconda cerchia muraria artico- lata attorno al mastio. Di questa fortezza interna resta la porta d’accesso, vigilata dalla massiccia torre. Attualmente questa è senza copertura. Le pietre squadrate del portale, come al solito, sono state scardinate per essere utilizzate diversamente. L’arco della porta è a tutto sesto e fa pensare ad una costruzione d’epoca romanica. La conferma viene anche da due finestre: l’una cieca con un monolito a sguancio per centina; l’altra ancora semichiusa, con un monoblocco arcuato a tutto sesto. Gli spigoli esterni della torre sono in conci di arenaria ben squadrati. Le pietre delle pareti sono invece di piccolo taglio, talora appena sbozzate e gettate in filari irregolari. Si tratta di una tipologia di muratura che ricorre in altri manufatti, secondo una concezione difensiva corrente. Scheda Torre di Petrella Guidi, m. 578 s.l.m. Comune di Sant’Agata Feltria – pianta: quadrata, lato m. 13 – sviluppo parallelepipedo – altezza m. 15/12. Tratto da “Le torri del Montefeltro e della Massa Trabaria” di Francesco Vittorio Lombardi” Bruno Ghigi Editore – 1981 Recentemente la torre di Petrella è stata restaurata con i fondi stanziati dalla Comunità Montana Alta Valmarecchia e dal Comune di Sant’Agata Feltria. La lettura di Dante a S. Agata Feltria I l settimanale Panorama in un articolo di Sandra Petrignani pubblicato l’1 settembre 1995, dedicato alla passione di Vittorio Gassman per Dante Alighieri, intervista il regista Sergio Rubini. Rubini oltre che essere amico di Gassman era stato incaricato dalla Rai nel 1992 di girare le riprese della Lectura Dantis, così risponde alla giornalista: “Ci trovavamo in un paesino del Montefeltro, Sant’Agata Feltria, in un bar a gozzovigliare come ci capitava ogni tanto. Sapendo cosa stavamo cercando quelli del luogo hanno aperto sotto la neve un Teatro del ‘700 che chissà da quanto tempo era chiuso e inutilizzato. Fu un’emozione grandissima, era un posto incantato. Fu lì che girammo buona parte dell’Inferno”. Stemma della famiglia Maffei di S. Agata Feltria La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 STORIA Mille anni di storia I l 10 novembre si è tenuta nel Teatro di S. Agata Feltria, un Convegno sui mille anni di storia della Chiesa Collegiata. Riportiamo di seguito alcune considerazioni tratte dalla relazione di Franco Dall’Ara, e con l’occasione informiamo i lettori che Franco sta ultimando, in questi giorni, una ricerca sulla storia di S. Agata, che sarà pubblicata nel 2008. eretti lungo le vie delle transumanze. È normale che in una zona di pastori (l’Umbria montana, ricca di latte di cui ci parlano Marziale e Silio Italico), nel punto più riconoscibile dagli sparsi e scarsi uomini del tempo, sul Monte (che noi oggi conosciamo come Mont’Ercole) ci sia prima un’ara, un’edicola e poi un fanum al protettore dell’incontro (la fratellanza di cui ci parlano le Tavole di Gubbio) dei popoli contigui Solonate e Sarsinate. Ciò si può ricavare dal nome che prendono i torrenti (fananti, acque del fanum) che nascono dal Mont’Ercole. Esiste un nome altrettanto significativo nella geografia locale, diffuso in un vasto territorio del Montefeltro e della compositori e maestri di cappella, come si diceva allora, in parte grazie alla sensibilità ed al mecenatismo dei Fregoso. In una sua opera, Angelo Berardi pubblica un anagramma, la cui riga centrale (Sedulus dat aperte artes cantus hac in Terra egregia base) ci conferma che “tiene” scuola di teoria musicale ad una classe di scolari nella Terra di Sant’Agata. Le ultime due righe dicono: “in questa terra I Solonati palesa del canto le rare arti con eccellente Risalire alle origini della Chiesa è stafondamento il solerte Angelo”, cioè Berarto, per me, cercare l’origine stessa del di dà lezioni delle arti del canto. L’anno luogo che oggi si chiama Sant’Agata è il 1669. Feltria, paese e uomini che lo abitano. Ma la vera musica non si faceva - come Non possiamo, infatti, pensare che alpotremmo pensare - in Teatro. l’improvviso in un certo luogo, troviaIl vero Teatro, pubblico, universale, pomo un monumento, un segno, polare, è la Chiesa. Tanto nel nostro caso il monumenè vero che Angelo Mariani to-chiesa, come qualcosa che per il 4 e 5 settembre del sorge nel deserto. Quel segno, 1842, organizza le grandi piccolo all’origine, le cui radirappresentazioni musicali ci spesso si perdono nel buio nella Chiesa Collegiata, e dei tempi, in realtà è solo un il programma, en passant, momento di passaggio da… fa presente che “il primo a…, da un indefinito prima a giorno festivo avrà fine”, un più evidente poi. accanto a globi aerostatiParlare delle origini, vuol dire ci e fuochi artificiali, con cercare i documenti che le teuna “Accademia istrumenstimonino. Ma più andiamo tale e vocale che si terrà nel a ritroso nel tempo e meno pubblico Teatro”. troviamo documenti certi. E per l’occasione, nella Eppure qualche segnale resta, Chiesa Collegiata troviaper esempio nelle tradizioni. mo documentata, per gli I nomi dei luoghi ci possoeleganti addobbi, la firma no essere di aiuto. Non sono di “quel valente artista che nato a Sant’Agata, poco ci ho Bolla di Papa Bonifacio VIII - Pergamena conservata a S. Agata Feltria egli è il signor Romualdo vissuto. La mia conoscenza di Liverani Faentino”. Sant’Agata, viene molto dalle bibliote- Romagna: AUSA/Ausi. Lo spettacolo musicale si faceva in che, dalla scuola. è importante questa voce. Ausa signifi- Chiesa, e di ciò abbiamo molte notizie, Gli storici locali, dai più antichi, pre- ca fiume, acqua profonda. è un vocabolo con nomi di musicisti santagatesi che mettono alle vicende storiche due nomi: che viene da lontano, da un etimo pre- hanno iniziato la loro attività nel paeErcole e Fanante. cedente Umbri, Etruschi e Romani. se natio, poi chiamati a posti di chiara Vorrei chiarire quanto già ho scritto sul- Qui, in Ausa, l’antica strada, qui l’antica fama non solo in Italia, e diversi tornala presenza romana e prima ancora di posta, l’Ospizio di Pietro Andazzi. ti a Sant’Agata negli ultimi anni della popoli umbri nel territorio: Qui si fermò forse il popolo che primo loro vita. Angelo Berardi è il più insigne. Il Solonate, è un popolo di pastori um- abitò questa contrada? Conosciamo Giovanni Vincenzo Sarti. bri che non hanno, appunto perché pa- È certo che di qui passava la strada prin- Abbiamo poi Federigo Fregoso, amico e stori, una città, ma solo un luogo dove si cipale del territorio santagatese, che non discepolo prediletto di Berardi. incontrano per i commerci e gli scambi, è quella tortuosa attuale. La Chiesa del E prima di loro si ha notizia di fra Tomluogo che funge anche da centro religioso. Soccorso le volge infatti la schiena. (…) maso da Sant’Agata, frate francescano di Ed è d’uso comune nei punti d’incontro F.D. stretta osservanza. E ancora, i vari Casoterigere un’edicola ad Ercole, protettore del ti: Giambattista, Giuseppe; e poi i Casotti commercio-scambio. Anche a Roma l’ara La Musica a S. Agata Feltria Tosi Giuseppe, Agostino con i figli Pommassima, a lui dedicata, si trova nel Foro In Sant’Agata è fiorente una antica tra- pilio e Filippo. Pompilio è il più famoso. Boario, come edicole e templi vengono dizione musicale, che ha già espresso F.D. La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 Architettura R Invito al censimento delle architetture tradizionali iferendosi alla San Marino dell’anno 1883, Guido ZUCCONI, nel suo libro “Gino Zani, la rifabbrica di San Marino 1925 – 1943”, ebbe ad esprimersi così: “Agli occhi di chi intendesse allora avventurarsi sul monte Titano, il borgo antico non doveva apparire tanto dissimile dai paesi di collina disseminati tra la Romagna e il Montefeltro: un nucleo di case aggrappato a resti di fortificazioni più o meno conservate, attorno ad una parrocchiale neoclassica.”. Tuttavia, a differenza di San Marino, gran parte del Montefeltro presenta tuttora vivi i caratteri tipologici della vecchia architettura, che ha origini diverse a secondo delle caratteristiche orografiche e geomorfologiche del territorio e dell’uso. Le costruzioni descritte dallo ZUCCONI traggono la loro ispirazione da necessità difensive, e quindi sono arroccate su rilievi che dovevano offrire vista sulle vie d’accesso e possibilità di comunicazione visiva con le altre fortificazioni vicine, che solo in parte si presentavano come edifici esclusivamente “militari”. Il meccanismo di aggregazione degli edifici assecondava per lo più le caratteristiche del suolo e presentava grandi margini di flessibilità, in ragione della evoluzione delle esigenze e delle tecniche costruttive. In sintesi, ad un primo nucleo per lo più costituito dal presidio militare o comunque dall’edificio pubblico, andavano ad accorparsi altri edifici aderenti. Questi, poi, venivano a loro volta adeguati alle esigenze famigliari: il matrimonio della figlia spesso portava alla edificazione di nuovi locali aderenti a quelli della famiglia originaria, la nascita di un nuovo figliolo, comportava la costruzione di un nuovo locale che andava ad ampliare l’edificio originario, e così via. Il risultato è la commistione di stili, colori e modalità costruttive (spesso “naif ”, in quanto l’edilizia, non essendo ancora un affare economico, si limitava sovente all’autocostruzione), sono nel contempo il pregio estetico e il limite fruitivi, dei centri storici d’impianto medievale. Dopo il Medioevo con l’avvento del clima di rinnovamento culturale, che cominciò a diffondersi intorno al quattrocento dalle città capitali ai centri minori, passando attraverso le grandi realizzazioni monumentali del Rinascimento - il tema comune alle realizzazioni architettoniche diventa anche la definizione di uno spazio urbano, tramite l’applicazione di categorie compositive della serialità e del ritmo ad una pluralità di organismi architettonici. Con la qualificazione urbanistica nascono così le piazze descritte, in Romagna e fuori, dal GALLARATI in “Architetture a scala urbana”. Le costruzioni permangono per lo più costruite in pietra locale. Nel Montefeltro, il substrato di fondazione degli edifici, è prevalentemente costituito da roccia calcarea stratificata, la stessa dei conci in pietra coi quali sono realizzati i muri che - come è noto - è sensibile all’acqua e ne può essere percorsa. Dalla letteratura di settore, si evince che la circolazione idrica in questi ammassi rocciosi, è per lo più concentrata lungo vie di flusso preferenziali e ne provoca il graduale disfacimento, sia per fenomeno fisico che - più lentamente - chimico. Ciò fornisce una prima lettura della vulnerabilità del territorio feretrano agli eventi franosi (anche se non esaustiva). Neppure l’adozione di conci sempre più perfezionati, squadrati, e talvolta, lavorati od intonacati, la diffusione industriale del laterizio, costruito non Nell’immagine: casa rurale romagnola (e feretrana di pianura) secondo la pubblicazione della Regione Emilia Romagna citata nel testo. Si noti la similitudine con l’architettura “spontanea” toscana rilevabili sul posto e nelle pubblicazioni descritte. Laddove il terreno si mostra acclive, la distribuzione volumetrica cambia, ma non l’impostazione informata a criteri di estrema semplicità e funzionalità. La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 Architettura più artigianalmente e, quindi, l’uso del mattone pieno, delle tavelle, dei coppi, di manufatti sempre più elaborati e del cemento armato, risolvono il problema. Tuttavia, anche nel Montefeltro sono ben presenti costruzioni isolate, per lo più case coloniche, che secondo me, hanno un notevole interesse architettonico, anche se non sono quasi mai state studiate e catalogate in modo sistematico. Pur nella inevitabile differenza di dignità architettonica, sotto il profilo storico, l’architettura cosiddetta “minore” non è meno degna di quella più “importante” reperibile sui libri più diffusi. Spesso, quei luoghi toscani, oggetto di cotanto studio, sono divisi dal Montefeltro, solo dai Mandrioli! Pier Niccolò BERARDI, fotografo, alla triennale del 1936, repertoriò numerosi esempi di case coloniche toscane. Si osserva che la funzionalità domina le costruzioni, che pure non mancano di elementi di pregio, tanto che il noto architetto Giovanni MICHELUCCI, precursore della nostra architettura moderna (come non ricordare la Chiesa sull’autostrada del Sole?), ipotizzò (con disegni particolarmente precisi e rappresentativi) che quelle architetture costituissero le “Fonti della moderna architettura italiana”. Ebbene, paragonando quelle architetture rurali toscane, si può verificare come esse siano appunto molto simili a quelle di pianura della Romagna e del Montefeltro. Sul 7° volume della collana dedicata alle Aree protette della Regione Emilia Romagna, sono descritte ed illustrate le caratteristiche della casa rurale, propria dei nuclei edificati sparsi, a volte ridotti a ruderi o soggetti a rilevanti trasformazioni ed ampliamenti. Essa ha pianta marcatamente rettangolare e volumetricamente contenuta. I fabbricati ospitano al piano terra stalle e depositi e al piano superiore, l’abitazione vera e propria. Vi è una precisa corrispondenza tra la stalla, dotata di finestre di piccole dimensioni, e la cucina al piano superiore, per fruire del calore prodotto dagli animali. La presenza in alcuni casi della torre colombaia, le diverse soluzioni di posizio- namento della scala, dotata o meno di tettoia, e l’eventuale porticato, designano vari tipi di transizione tra la configurazione piana e quella montana. I servizi igienici sono quelli descritti su ROCCA n. 4/2007. Nel Montefeltro, e specie in Sant’Agata Feltria e nei Comuni limitrofi, oltre alle costruzioni rurali, assistiamo anche all’edificazione di case che potremmo definire “operaie”, necessarie all’abitazione degli operatori delle miniere di zolfo, che costituiscono veri e propri nuclei abitati nuovi (vedi la località Miniera, di Perticara), oppure l’ampliamento di quelli esistenti. La storia del loro spopolamento, in seguito alla scoperta di nuove tecniche estrattive ben più economiche dello zolfo, oltreoceano (processo Frasch), sono storia recente. Tuttavia, per quanto importanti, tali emergenze storiche ed architettoniche, non sono mai state studiate e censite. Si tratta di un patrimonio che - specie nel- le aree meno pregiate e quindi di minor attrattiva economica - potrebbe andare irrimediabilmente perduto. Eppure, forse, uno studio potrebbe essere fattibile a costo (quasi) zero: sarebbe sufficiente la stipula di accordi tra Enti Locali o Associazioni culturali ed Università, in modo tale che, per esempio, gli studenti di Architettura (a Cesena c’è una sede staccata di Bologna), Storia dell’Arte, e facoltà similari, redigessero i propri elaborati (tesi, tesine, stages, tirocinii) in zona. A Sant’Agata Feltria, il meccanismo di formazione del borgo e l’evoluzione del tessuto urbano – specie in rapporto alla grande frana ed alla conseguente meccanica aggregativa della ricostruzione – potrebbe ben costituire materiale per la redazione di più di una tesi di Laurea in Architettura o in Ingegneria Civile! Alessandro Croce (Per motivi di spazio abbiamo dovuto rinunciare alla pubblicazione di qualche riga. Ci scusiamo con l’autore) Inaugurazione scuole elementari di S. Agata Feltria intitolate a Suor Caterina Elkan, anno 1960 Riconoscibili: maestra Ada Solazzi, maestra Anita Botticelli, maestra Vittoria Marani, Prof. Sacchi, Nunzio Mosconi, Anna Para, Carla Paci, Leo Vitali, Tarcisio Greci, Luigi Tonetti, Pierluigi Giorgetti, Rina Mariani, Guerrina Cappelli, Grazia Guidi, Giancarlo Dall’Ara, Angelo Gregori, Pierino Cinarelli, Roberto Rinaldi, Emidio Rinaldi, Anna Marani, Bianca Cerbari, Luigi Sartini, Luciano Paci, Elvia Magnani, Franco Gostoli, Miryam Paci, … e molti ragazzi del convento di don Marella La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 Personaggi Antonio Tani (seconda parte) el 1950, anno della proclamazione del dogma dell’Assunta, Pio XII, assecondando i desideri di Mons. Tani, elevò la chiesa metropolitana di Urbino al grado di Basilica Minore. In quell’anno iniziò la “Peregrinatio Mariana”. Nella diocesi di Urbino giunse nel 1952 e fu accolta il 4 maggio in Urbino, dove, il Card. Tisserant, Decano del sacro Collegio, tenne un solenne Pontificale. Mons. Tani, ha portato sempre un grande amore ai suoi figli di Urbino, per i quali fu vero padre. E lo dimostrò non solo nel suo servizio episcopale e sacerdotale, ma in modo particolare, in momenti difficili e dolorosi, della vita urbinate, specie durante l’occupazione tedesca nel 1944, quando i giovani cadevano nelle mani dei fascisti della Camilluccia e dei tedeschi, presentandosi di persona alle autorità, per scongiurare di risparmiare la vita di quelli e per ottenere di non terrorizzare la popolazione, già tanto provata da tanti anni di guerra, di morte e di dolore. In quel periodo, aveva dato ordine di aprire le porte dei conventi, delle chiese, delle case parrocchiali e perfino dei monasteri di clausura, al fine di salvare il maggior numero di vite umane, specie degli ebrei, allora ricercati ovunque. Si recò anche personalmente al Comando Tedesco, per consegnare una lettera diretta al Generale Kesserling, perché Urbino venisse risparmiata dalle operazioni belliche, quale città artistica e centro di studi. E Mons. Tani, ebbe da Kesserling risposta rassicurante. Durante la sua missione episcopale in Urbino, non trascurava lo studio e le lettere. L’Arcivescovo di Urbino, Mons. Anacleto Cazzaniga, nel suo elogio funebre, tenuto nella Cattedrale di Urbino il 13 novembre 1966, riferendosi all’umanità del suo predecessore si espresse in questi termini: «È umanesimo l’amore N per la natura, che è creata da Dio, ed egli, figlio dei campi, umile e semplice, amava i prati, i boschi, l’erba e i fiori, ed ogni giorno faceva la sua passeggiata verso la campagna…». Frutto di questo suo amore per la natura, è la poesia che egli cantava in cuore e che fissò nelle rime di un bellissimo libro, pubblicato nel 1943 a Modena: “I canti del Montefeltro”. A quell’amore di umanista, se ne aggiungeva un altro. Era l’amore per la sua terra, per il suo paese nativo, Savignano di Rigo, per i luoghi dove trascorse la fanciullezza, Pennabilli, il Carpegna. Quando da Urbino scriveva, nelle sue lettere c’era sempre qualche frase che lasciava trasparire i suoi sentimenti: «… una fibra del mio cuore è rimasta attaccata costì e niente varrà a strapparla». Tutti i suoi scritti sono l’espressione più chiara e lampante dell’amore che egli portava alla sua terra, come “S. Francesco nel Montefeltro”, “Pennabilli e la Vergine delle Grazie”, “I Canti del Montefeltro”, ma anche “Nel solco della vita urbinate” stampato nel 1948, “Anno Santo, anno di Dio” e “Saluto a ricordo”, del 1950 e 1953. Egli diceva: «Le separazioni sono le prove più sensibili della vita. Non ci si separa dopo venti e più anni di comunanza di vita, senza sentirsi dilaniare l’anima». E questo, all’atto di dare le dimissioni dalla sede apostolica di Urbino, il 31 dicembre 1952. Mons. Tani era sofferente. La sua salute era precaria; sentiva che non poteva continuare a reggere la diocesi; che non poteva dare quanto voleva e quanto occorreva. Aveva capito che non era giusto defraudare i cristiani della presenza e della parola di un degno pastore. Una otite cronica, gli recava gravi difficoltà nel disimpegno del suo ministero, per cui aveva poste nelle mani del Santo Padre la sua rinuncia. A sostituirlo, venne nominato Mons. Anacleto Cazzaniga di Gorgonzola. Mons. Antonio Tani, moriva a Roma nell’ospedale di S. Giovanni Calibita (Isola Tiberina) il 9 novembre 1966, all’età di 78 anni. Mons. Anacleto Cazzaniga tenne l’elogio funebre il 13 novembre 1966 nella Cattedrale di Urbino, e concluse col dire: «Egli desiderava tanto la cittadinanza onoraria di Urbino, e non l’ha potuta avere; ma la cittadinanza gli è stata data da tutti voi, anche senza le formalità usuali, perché la sua salma sarà sepolta nel cimitero di Urbino coi nostri morti, e un giorno sarà portata qui, in Cattedrale, con altri Arcivescovi che già riposano nel loro Duomo; è uno dei nostri, è il veneratissimo Arcivescovo Antonio Tani, morto come è vissuto, poverissimo, un Vescovo grande, e noi lo preghiamo, che dal cielo ci consideri sempre suoi figli e ci benedica». (fine) Amedeo Varotti La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 lettere A proposito dell’impronta del piede della B. Vergine Maria È opportuno informare e precisare per i lettori della “Rocca” che la “misura o l’impronta della scarpa della Vergine Maria”, esposta nella chiesa di Cappuccini di S. Agata sotto l’antico quadro raffigurante “la Madonna che porge il bimbo Gesù all’abbraccio affettuoso di S. Felice da Cantalice” (fotografata da Enzo Liverani e pubblicata nell’ultimo numero di “Rocca”), non è solo una delle grosse balzane di false devozioni popolari a cui si è voluto dare credito con le supposte concessioni di indulgenze pontificie, ma la stessa esposizione nel suddetto quadro risale a non molti anni fa per improvvida iniziativa di un Padre Cappuccino, Superiore del Convento, prima dell’attuale P. Giacomo. Il buon Padre, infatti, l’aveva trovata tra le carte dell’Archivio del Convento e l’aveva subito appesa fuori del quadro facendomela notare, al che allora gli feci presente che non era opportuno, data la falsità del documento, esporla proprio in chiesa. Con sorpresa, invece, la vidi più tardi fatta incastonare ai piedi del suddetto quadro dal Padre, poco prima del suo trasferimento ad altra destinazione. Che l’immagine si conservasse in archivio, tra le curiosità amene del passato, andava bene, ma tenerla esposta in chiesa (anche con la semplice intenzione di curiosità) ritengo non fosse, e non sia tuttora conveniente, per due motivi: 1. per la credulità dei semplici, pur se rari ai nostri giorni; 2. per l’occasione di derisione, anche delle vere devozioni, da parte dei non credenti o dei criticoni di mestiere, in- vece assai numerosi ai nostri giorni. Questo va detto (e tolto a mio avviso per conservarlo in archivio, come avevano fatto i vecchi saggi Padri…), per non dar credito col passare del tempo, ad un pezzo di carta, (per altro abbastanza recente come stesura), come si trattasse di un documento storico!!! Don Elio Ciacci Andiamo fino a Betlemme G ià un anno sta per finire. Mentre ce ne andiamo, per essere sempre nel momento successivo presi da altra morsa o carezza della vita, ecco l’invito dei pastori, di incamminarci verso Betlemme per ascoltare un annuncio ben più promettente di quelli trasmessi con feroce insistenza dalla radiotelevisione, perché la strada della felicità non porta né a destra né a sinistra, ma nel cuore dell’uomo. “Oggi è nato il Salvatore del mondo”. Andando fino a Betlemme, troviamo la verità che ci dà la misura vera del Cielo e della terra, dell’uomo, creatura di Dio. Il Natale, la festa che gli anni affidano agli anni, teneramente, resta un invito per sempre. Leggiamo la pagina scritta da Giovanni Papini. Tra quelle righe si annidano anche i nostri ricordi più pungenti e le nostre speranze. A. M. (grazie al nostro lettore A.M.; la pagina di Papini che ci ha inviato sarà presto pubblicata sulla Rocca) Foto dell’anno scolastico 1955/56 Si riconoscono: Maestra: Rosina Pertini, o Mattioli? Bidella: Maria Giardi. Angela Monti, Angelina Simoncini, Edda Paci, Guerrina Cappelli, Mariolina Piacenti, Maria Pia Ferrari, Elide Botticelli, Anna Maria Pastorelli, Maria Marani, Paola Cappelli, Angelo Magnani, Enzo Liverani, Mario Urbini, Walter Valli, Gianni Marzocchi, Giuliano Zanotti, Antonio Sartini, Donato Donati, Otello Sartini, Luigi Santullo. Dove trovare la Rocca? Presso la nuova cartolibraria in Piazza Garibaldi a S. Agata, dove si possono ordinare anche i vecchi numeri del giornale. La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 fotocronaca I dipinti restaurati di Rocca Fregoso Due momenti del Convegno “Mille anni di storia della Chiesa Collegiata di S. Agata Feltria”, organizzato a S. Agata F. il 10 novembre 2007 dalla Parrocchia e dal Comitato per la difesa dei beni storici. Relatori Franco Dall’Ara e Manlio Flenghi, con l’introduzione del Parroco don Federico Bortoli e le conclusioni del Vescovo Mons. Luigi Negri. 10 La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 Perticara Un nuovo libro su Perticara G razie all’impegno di Manlio Flenghi e di Decio Testi che hanno messo ordine tra le carte di Don Pietro Cappella, la Pro Loco di Perticara ha potuto pubblicare postuma, la storia lasciata scritta da Don Pietro. Un bel lavoro per un bel libro. Complimenti a tutti. Il modo migliore adesso per ricordare don Pietro, sarebbe quello di cercare di fare e di finire le molte cose che ci ha lasciato in eredità: dagli scavi sul Monte Aquilone, alla valorizzazione dei personaggi del passato legati a Perticara (Pietro Pirazzoli, Amintore Galli…). Di seguito pubblichiamo poche righe del volume che è stato presentato a Perticara il 23 dicembre 2007, e che riguardano, in modo scherzoso, Maiano. Le elezioni a Maiano V iveva in quella frazione una comunità attiva; nella zona, forse, furono i primi coltivatori dello zolfo. Politicamente erano accesi comunisti. Alle prime elezioni stravinsero e, gongolando, esultavano dicendo: «Ora comandiamo noi! Faremo questo, faremo quello…» Per curiosità domandarono al cassiere: «Cosa c’è in cassa?» «Un deficit di tot lire» «Va bene! Intanto spendiamo i deficit per allargare la strada per Sant’Agata Feltria e per fare il ponte». «Ma se non c’è il fiume - commentò il cassiere – come farete a costruire il ponte?». «Faremo anche il fiume!». Sempre quelli di Maiano, un giorno scesero a Rimini per un incontro sindacale. Dinanzi al primo semaforo, che segnava verde, videro attraversare tanta gente. «Accidenti, quanti repubblicani ci sono quaggiù!». Arrivato il rosso, il Peppone disse al gruppo: «Ora tocca a noi!». Era presente un vigile che fischiò l’infrazione e fece loro la multa. Il capobanda, pagando, confidò agli amici: «Anche quaggiù iè contra mi purett!». Tratto dal libro di don Pietro Cappella “Perticara storia grande di un paese piccolo” La storia di Perticara P erticara è un castello, un Paese, una terra così modesta, che alcuni di voi forse la conoscono solo di nome e non ci saranno forse mai stati. Ritengo, perciò, opportune alcune precisazioni, perché più facilmente possiate comprendere quanto vi sto per annunciare. 1. Perticara sorge tra Talamello, Sant’Agata Feltria e Sarsina; 2.È stata sede di una grandissima miniera di zolfo, gestita in ultimo dalla Società Montecatini; 3. Di questa miniera erano soci, tra gli altri, Marco Minghetti e Gioacchino Rossini, naturalmente non per motivi speculativi, ma patriottici; 4. Infatti, durante il Risorgimento i suoi cunicoli erano pieni di armi e di uomini accorsi da tutti i dintorni. L’8 settembre 1860 col nome di “Cacciatori del Montefeltro” partirono alla conquista delle Marche superiori e si congiunsero a Castelfidardo, col Generale Cialdini; 5. Qui a Perticara, nacque Amintore Galli, l’autore dell’inno dei lavoratori; 6. A tre chilometri da Perticara, a Savignano di Rigo, c’è la tomba di Decio Raggi, la prima Medaglia d’Oro della prima Guerra Mondiale; 7.Ha come trama e come luogo Perticara e la sua gente, il romanzo di Francesco Sapori “La casa dei nonni”, di cui fra breve uscirà la quarta ristampa; 8. Perticara ha il suo Passatore… poco cortese, però, nella persona di Martino Manzi, chiamato “Martignon”; 9. Ai piedi del nostro monte scorre il più breve raccordo fra la Valmarecchia e la Valle del Savio, tragitto percorso dalle truppe di Roma, di stanza a Rimini, accorse per sedare l’insurrezione dei sarsinati. Intorno al Mille, a Perticara esistevano queste tre realtà: una Pertica enorme, che inizialmente non era né Castello, né Paese; un Paese chiamato Montefeltro, non si sa perché; un Monte, che dal suo proprietario fu nominato Mondazzo. Queste notizie sono tutte inedite, bisognose, però, di essere approfondite. (Con queste righe don Pietro nel 1998, proprio su questo giornale, iniziò a scrivere e pubblicare per la prima volta le sue scoperte sulla storia di Perticara). 11 La Rocca Gennaio/Febbraio 2008 personaggi Padre Agostino e gli applausi in Duomo « Chi in Pisa volesse scrivere la cronaca del giorno senza parlare di Padre Agostino, potrebbe fare a meno di prendere la penna, perché questo argomento è il solo importante, o per meglio dire, l’unico di cui ci sia da occuparsi. I treni di stamani hanno portato a Pisa un gran numero di persone, ed alla nove non si trovava più in Duomo né un posto nelle panche, né una sedia. Oltre le persone di fuori, il maggior contingente degli uditori era fornito dagli operai per i quali, appunto, Padre Agostino annunziò di fare la conferenza d’oggi. Alle undici erano in Duomo circa sedicimila persone e si udiva da un capo all’altro del vasto tempio, un mormorio indistinto, che dava l’idea di un rombo sotterraneo. Padre Agostino è comparso sul pulpito, e, come accade tutti i giorni, quel mormorio indistinto si è calmato istantaneamente ed in guisa da far credere che il Duomo fosse rimasto sgombro dalle persone che prima vi erano. Padre Agostino ha cominciato a parlare colla sua voce simpatica e vibrante, enunciando la tesi della sua odierna conferenza, cioè: Il riposo festivo. Non vi starò a dire con quale sublimità di concetti Padre Agostino abbia svolto il suo argomento, appoggiandosi alla religione che lo comanda e lo vuole. Non vi dirò con quale efficacia abbia esso parlato dei doveri che spettano ai ricchi e di quelli degli operai, i quali hanno diritto a questo riposo, e coma abbia stigmatizzato chi impone il lavoro nei giorni in cui l’operaio dovrebbe riposarsi. Accennerò soltanto come in un punto dei più salienti, a metà di un periodo, è scoppiato un applauso lungo, insistente, accompagnato da molte voci che gridavano: «Bravo! Bravo!». Padre Agostino si è allora interrotto e rivolgendosi calmo all’uditorio, ha detto: «Fratelli miei! Calmatevi, ve ne prego!» In queste parole e più dal tono con cui sono state pronunciate, si rivelava il dispiacere che Padre Agostino provava per quegli applausi. Padre Agostino da Montefeltro, lo ripeto, è un uomo del nostro tempo, ma l’anima sua è così piena di giovani entusiasmi, che, se fosse vissuto nell’XI secolo, Pietro l’Eremita l’avrebbe avuto compagno, brandendo la Croce, traversando a piè nudi paesi inospitali per sollevare i popoli alla conquista di Gerusalemme; se fosse stato contemporaneo del Poverello d’Assisi avrebbe immolato se stesso per la carità e per l’amore; se fosse stato cittadino della repubblica del Savonarola, sarebbe oggi un martire della libertà. Sotto Luigi XIV, pur emulando Massilon e Bossuet, egli forse avrebbe meritato l’esilio, perché la sua eloquenza non piega dinanzi ai grandi della terra, e perché se una orazione funebre avesse pronunziato, egli avrebbe parlato sulla bara di un onesto operaio Dal Telegrafo (12,13 aprile 1886, n.101) Tempo da lupi Quando hanno aperto la finestra della loro camera da letto - situata all’interno dell’agriturismo Montalcino a Sant’Agata Feltria, nel cuore dell’Alta Valle del Marecchia - Alessandra Fantini e Danilo Miliani, giovane coppia che gestisce la struttura, non credevano ai propri occhi. Due lupi erano all’inseguimento di un bell’esemplare di capriolo. Immediata la reazione. Macchina fotografica e clic.. Ecco le immagini. 12