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l`ultimo copaxone
L'ULTIMO COPAXONE
“I medici debellano una malattia cronica progressiva ogni cent'anni e in genere per
caso. Dunque, è molto probabile che la tua te la porterai nella tomba”
(Leo T.)
“L'ultimo copaxone” sarà il mio prossimo, breve romanzo di (tras)formazione. In
esso analizzerò, con la serietà che caratterizza la maggior parte dei miei lavori, il
rapporto che intercorre tra l'uomo che si ammala di qualcosa ed i farmaci che assume.
Come penso di procedere? Non lo so. Vorrei tanto mettermi dalla parte dei farmaci,
ma saprò essere sufficientemente empatico? A proposito di empatia maledico adesso
il mio pensiero laterale, obliquo ed invariabilmente autoreferenziale: avete fatto caso
che tutti quelli che enfatizzano il valore dell'empatia complicano la vita di almeno i
due terzi degli abitanti della loro città di residenza? A mio avviso nei piani regolatori
occorrerebbe assegnare zone di edificabilità concepite apposta per mettere assieme
tutti gli empatici: sono loro la vera emergenza ecologica. Se conosceste a fondo un
empatico, chi vi sta antipatico diverrebbe d'incanto l'amico del cuore. Cosa c'entra
questa digressione con il mio prossimo romanzo? Non me lo ricordo. Anzi sì: non
sapevo come schierarmi empaticamente con i farmaci. Soluzione: far parlare
direttamente loro, con un escamotage letterario vecchio come il cucco ma sempre
comodo. Vediamo come potrei costruire qualcosa di credibile: il romanzo si apre con
questa presentazione introduttiva scritta però da Robin Joan Asimov, perché se non è
morta mi piacerebbe conoscerla per chiederle se suo padre amava di più lei o la
fantascienza. Robin Joan, se è viva, si attribuisce con generosità la presentazione e
prepara il setting del primo dialogo. Stessa cosa se è morta.
Setting:
un uomo che ha da poco oltrepassato i cinquanta, magro, moro, affascinante e
profumato oppure grasso, calvo, brutto e puzzolente apre il frigorifero e piange.
Piange perché il frigorifero è vuoto e non ha di che sostentare la moglie ed i sette
nani? No, l'uomo non ha sposato Biancaneve e piange perché deve tirare fuori dal
cassetto delle verdure la quotidiana siringa pre-riempita di glatiramer acetato, meglio
noto come “Copaxone”, un farmaco che nel trenta per cento dei casi rallenta la
progressione della disabilità nella sclerosi multipla recidivante remittente. L'uomo
parla alla sua sclerosi e le chiede: “Sclerosi mia, credi davvero di chiamarti
recidivante - remittente?”. La sclerosi risponde: “Penso di no, caro sfigato”. Il povero
protagonista, in lacrime, prova a spaventare la sclerosi, minacciando di mettere in
discussione la diagnosi. La sclerosi, beffarda, gli fa notare che lui è un homo sapiens
sapiens e non una bobina di una macchina per la risonanza magnetica e nemmeno un
neuro radiologo. Il tristo uomo si arrende provvisoriamente, si asciuga le guance ed
estrae dalla scatola una siringa. A questo punto il gatto di casa miagola ed all'uomo
viene in mente di aprire l'intera confezione di siringhe pre-riempite e di iniettarle sul
dorso del felino, il quale cerca disperatamente di sottrarsi al progetto scientifico del
protagonista del romanzo, ma l'abilità di Robin Joan Asimov riassetta una trama
troppo poco fantascientifica e così il gatto si trasformerà nell'eroe di una trilogia
galattica di amplissimo respiro che venderà milioni di copie ed io ci rimarrò
malissimo. In compenso mi è permesso di iniziare un dialogo tra il protagonista
lasciatomi in eredità da Robin Joan Asimov e la siringa di Copaxone.
“Perché piangi?”, domanda la siringa.
“Piango perché la mia è una vita di merda, per colpa tua”, risponde l'uomo.
La siringa pre-riempita sospira, e con voce suadente risponde: “Suvvia, non è che
prima stavi da dio: sei malato da una vita”.
“Almeno fisicamente non avevo problemi. Ero forte. Correvo. Correvo e mi
dimenticavo”, replica singhiozzando il cinquantenne.
“Questo lo posso capire. Ma mettiti un po' nei miei panni: non parlo mai con nessuno.
Noi siringhe di glatiramer acetato siamo mute ed io passo la giornata al freddo sino a
quando non mi tiri fuori dal frigo. Ed a volte sei depresso, altre incazzato ed altre
ancora depresso ed incazzato. E' la prima volta che spendi un po' del tuo tempo per
parlare con me. Parlano tutti di me, neurologi e malati, ma nessuno parla con me.”.
Ed ora sospendo il pre romanzo congratulandomi con me stesso per questo primo
spezzone di empatia oggettuale” (non so esattamente cosa intenda significare: forse
la locuzione “empatia oggettuale” è una emersione dal profondo, una concrezione di
più fantasie che vedevano il filosofo Federico Leoni tessere una relazione
significativa con una piccola caffettiera napoletana).
“L'ultimo Copaxone” non tratterà esclusivamente di farmaci e malattie orribili, ma si
soffermerà anche sui problemi agghiaccianti che devono affrontare gli essere umani
quando sentono il bisogno di essere definiti da qualcosa: da diagnosi ma anche da
ideologie, da uniformi ma anche da talari, da foto formato tessera ma anche da selfie.
Si parlerà persino della desolante perversione di un blogger che esplorerà sensazioni
di solitudine mai narrate prima: un grafomane internettiano afflitto da isolamento
esistenziale che invia il link dei suoi post mentre gioca partite di scacchi on line alle
due di notte. (Minchia, l'inglese ci ha ormai colonizzato). Il blogger ha scelto “Molt
Brav” come pseudonimo sulla piattaforma di gioco degli scacchi on line. Molt Brav
gioca partite lampo di cinque minuti e perde sempre, ma coltiva l'illusione di essere
un formidabile scacchista giustificando le sconfitte col fatto che si distrae inviando
agli avversari, in chat, il link ai suoi post. Dio mio che bella trama! Quasi quasi la
isolo e ne traggo un romanzo incompiuto a parte. Titolo: “La solitudine del blogger”.
I titoli con “solitudine” dentro hanno sempre buone probabilità di successo in termini
di vendite. Vi siete mai chiesti perché? No? Meglio così.
“L'ultimo Copaxone” sarà bellissimo: farà ridere, farà piangere, farà ridere e piangere
e farà persino cagare. Sono già pronti gli spot televisivi: c'è Chiellini o qualcun altro
della Juve (la squadra più indicata trattandosi di cacca) che sorride col libro in mano e
dice: “Intestino pigro? Colon irritabile? Leggete “L'ultimo Copaxone”, un rimedio
naturale che riattiva la flora intestinale!”. (Dietro uno scrittore che vende di solito c'è
sempre una grande promozione ed un'ottima distribuzione: è il circuito del nulla).
Non mancheranno momenti di alta intensità lirica: nel capitolo novecentosette il
cinquantenne si alzerà di buon mattino e lo trasformerà in un mattino pessimo
dedicando alla sua compagna gli ermetici versi “I need pax/ Stop copax/ I need a
spot/ to post on a blog”. La compagna lo guarderà e gli sussurrerà: “Domani è un
altro giorno”. Lui risponderà: “Sì, ma adesso sono le sette del mattino”. Lei lo
rassicurerà dicendogli: “E' lo stesso”. Quindi il protagonista inizierà a ruminare
ossessivamente: “Questa donna ha una storia con qualche oggetto”. Saltando al
capitolo novecentoquindici assisteremo agli sviluppi di un tragico menage a trois che
coinvolge una siringa pre riempita di copaxone, una antica caffettiera napoletana ed
una terza persona indicata da Robin Joan Asimov.
Nel capitolo novecentosettantadue il realismo magico la farà da padrone. Il
cinquantenne che intenderebbe sospendere la terapia col copaxone per la sua sclerosi
multipla ne parla con un neurologo idealizzato. Ecco un breve scambio di battute:
Cinquantenne: “E' il caso ch'io la smetta di bucarmi tutte le sere?”
Neurologo idealizzato: “Stai setacciando internet da oltre un anno, sai come
funzionano i protocolli di ricerca, leggi gli articoli accademici dei ricercatori
americani, islandesi e nipponici, sai che le vere certezze in questo campo sono
sempre scarse, tra poco conosci più malati di sclerosi tu di me: davvero sei tanto
codardo da non risponderti da solo?”
Cinquantenne: “Lei cosa farebbe al mio posto?” (intanto una specializzanda che non
sa di essere afflitta dalla temibile malattia del motoneurone jensen e che si trova nello
studio del neurologo idealizzato, spedisce un sms al marito, un sms nel quale accenna
alla progettata gravidanza dopo l'eventuale assunzione. La Stato prende una
professionista per pagarne due. Fattene una ragione, fratello contribuente).
Neurologo idealizzato (ed intellettualmente molto onesto): “Non sono un
empatico. Di sclerosi multipla non si guarisce, vedi come puoi riuscire a stare meglio.
Di certo non ti dirò mai di sospendere la terapia, per ragioni medico legali (vale a dire
per pararmi il culo). D'altronde è capitato a te e non a me. Tutto sommato, meglio
così”.
Nel capitolo novecentonovantuno il cinquantenne si convince a sorpresa di non essere
malato di sclerosi multipla e ne parla con uno psichiatra il quale si è imposto di far
capire al cinquantenne che sta mettendo in atto una strategia difensiva, un
meccanismo di negazione. Il cinquantenne crede allo psichiatra e si rivolge al
medesimo professionista con grande educazione sillabando questa frase: “Capra che
non sei altro, la mia sarà anche una negazione, ma se mi serve per dimenticare che il
mondo è un posto dove è facile ammalarsi e persino morire male, perché mi scassi le
palle? Io nego, rimuovo e ti dico che faresti meglio a fare la stessa cosa con quel che
resta del tuo matrimonio”. Lo psichiatra si rende conto di aver sbagliato tutto nella
vita e diventa (anzi, rimane) uno spacciatore di droga, ma da quel momento venderà
solo quella ricreativa.
Nel capitolo millesettecentosei il romanzo si trasforma in un saggio, ma solo per il
breve spazio di due periodi, più che sufficienti per sintetizzare una domanda: “E'
ancora possibile una psichiatria psicodinamica ai tempi del neuroimaging?”. La
risposta è: capitolo millesettecentosette, no; capitolo millesettecentootto, sì; capitolo
millesettecentonove, sì e no (dipende da); capitolo millesettecentodieci, non ce ne
importa una mazza.
Nel capitolo conclusivo Molt Brav, lo scacchista blogger, sveglia il protagonista nel
colmo della notte per comunicargli il titolo del suo ultimo post: “La diagnosi è una
malattia”. Gli dice che ha incollato il link del post nella finestra della partita con un
italo americano che gli ha dato scacco matto in poco meno di tre minuti. Al
cinquantenne sembra di sognare (come sempre, quando è sveglio).
“Molt Brav, ti piace giocare a scacchi?”, chiede il protagonista.
“La verità è che sono una schiappa, con gli scacchi e con la scrittura. Però alcune
notti, più buie di altre notti, i due giochi mi distraggono. Questa è la verità”, risponde
il blogger.
(Segue una lunghissima pausa di silenzio, necessaria dopo un po' di verità)
...
...
“Sai qual è la verità, Molt Brav? La verità è che abbiamo paura”, concludo io, che
sono il cinquantenne e pure il protagonista del romanzo che fa ridere, piangere e
cagare.
“La verità è che tutti hanno paura, amico mio”, mi rimanda Molt Brav.
...
“Visto che siamo amici, posso suggerirti il titolo del tuo prossimo post, Molt Brav?”,
azzardo.
“Dimmi pure, my friend”, risponde Molt Brav, veramente brav.
“Intitolalo “L'ultimo Copaxone”...”
“Old man, tu ci sai fare con i titoli! Scriverò “L'ultimo Copaxone”, e parlerò di noi, se
me lo concedi. Posso?”
“Devi”.
Giancarlo A. Nicolini
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