La traduzione. Teorie e metodologie a confronto - LED
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La traduzione. Teorie e metodologie a confronto - LED
Argoni-fronte 14-06-2005 9:25 Pagina 1 TRADUZIONE TESTI E STRUMENTI LA TRADUZIONE TEORIE E METODOLOGIE A CONFRONTO A cura di Mirella Agorni INDICE Ringraziamenti 7 Mirella Agorni Introduzione 9 I. L’assetto disciplinare: dal presente al futuro dei translation studies Mona Baker Pragmatica della comunicazione interculturale e false dicotomie in traduzione (Trad. Letizia Cirillo) 69 Maria Tymoczko I corpora computerizzati e il futuro dei translation studies (Trad. Federico Gaspari) 83 II. Funzioni, equivalenze, valutazioni: la traduzione come processo e come prodotto Werner Koller Il concetto di equivalenza e l’oggetto della traduttologia (Trad. Elisabetta Zoni) 99 Ernst-August Gutt Gli aspetti pragmatici della traduzione: osservazioni sulla teoria della pertinenza (Trad. Maria Fontana D’Elia) 117 Juliane House Valutazione della qualità della traduzione: descrizione linguistica e valutazione sociale (Trad. Rachele Antonini) 133 5 Indice III. Norme, skopos: traduzione e ricezione Gideon Toury Alcuni paragrafi su traduzione e norme (Trad. Elena Di Giovanni) Hans J. Vermeer Smettiamola di interrogarci sull’oggetto della traduttologia (Trad. Luca Onnis) 155 177 IV. Ideologie, potere: l’ideologia della traduzione e la traduzione dell’ideologia Ian Mason Discorso, ideologia e traduzione (Trad. Cecilia Pozzi) 195 Peter Fawcett La traduzione e l’esercizio del potere (Trad. Viviana Balestracci) 213 V. Nazioni, culture, rivendicazioni: identità e trasformazione Susan Bassnett Quando una traduzione non è una traduzione? (Trad. Diana Bianchi) Michael Cronin Storia, traduzione, postcolonialismo (Trad. Costanza Peverati) Luise von Flotow Dis-unità e pluralità: approcci femministi ai translation studies (Trad. Nadia Pagani) 237 259 275 VI. Questioni di etica: la traduzione nella società Andrew Chesterman Per un giuramento di San Girolamo (Trad. Ira Torresi) 291 Anthony Pym Sulla cooperazione (Trad. Federico Zanettin) 309 APPENDICE – La parola ai traduttori 325 Indice dei nomi 357 6 INTRODUZIONE 1. PLURALISMO E CONVERGENZA NELLA RICERCA SULLA TRADUZIONE L’interesse per la traduzione, intesa sia come processo che come prodotto, è aumentato notevolmente negli ultimi anni: la tendenza si rileva a livello internazionale ed è testimoniata dall’incremento di pubblicazioni nel settore, dai numerosi dibattiti, conferenze e simposi e soprattutto dalle offerte formative a livello universitario (pre- e postlaurea) che si sono recentemente moltiplicate in numerosi paesi, compreso il nostro. Allo stesso tempo, il significato del termine traduzione ha acquisito innumerevoli nuove sfaccettature, diventando un’unità sempre più complessa. Alla distinzione fondamentale tra traduzione scritta e orale (o interpretazione) ha fatto seguito una graduale parcellizzazione in aree sempre più specifiche: traduzione letteraria, traduzione tecnica e/o scientifica, traduzione multimediale, localizzazione, ecc. Sul piano della didattica si rilevano ulteriori suddivisioni, che molto spesso corrispondono a corsi specifici in ambito universitario: storia della traduzione, teoria della traduzione, traduzione e corpora, traduzione assistita ecc. I sussidi predisposti dalle case editrici internazionali – che non sempre e non solo sono i giganti dell’editoria 1 – alimentano e quindi favoriscono questa tendenza diasporica. Di fronte alle dimensioni sempre più macroscopiche assunte da questo fenomeno viene spontaneo chiedersi se e in quale modo la progressiva settorializzazione della traduzione rappresenti una novità positiva nei confronti di un’attività che ha un ruolo fondamentale nel———————— 1 Un esempio è rappresentato dalla piccola casa editrice inglese St Jerome, che pubblica esclusivamente testi sulla traduzione e sull’interpretazione. 9 Mirella Agorni le realtà moderne, ma che tuttavia viene valorizzata solo di rado. Due sono le risposte possibili a questo interrogativo: da una parte si schierano gli scettici, che negano alla traduzione persino una dimensione ontologica, e sostengono che sia solo una pratica ancillare, al servizio di attività più importanti che ne segnano modalità e caratteristiche – vedi per esempio la traduzione cosiddetta tecnica o scientifica al servizio di attività varie, quali la medicina, l’economia, il settore giuridico, la traduzione letteraria al servizio del mondo della letteratura, e così via. Dall’altra parte della barricata invece stanno coloro che leggono la parcellizzazione della traduzione come un segno positivo, che indica non solo un graduale incremento di visibilità delle pratiche traduttive propriamente dette nella società contemporanea, ma anche e soprattutto il fatto che il concetto di traduzione, inteso come simbolo e metafora della dimensione interculturale, permea una grande varietà di fenomeni ai nostri giorni 2. Sia la prima che la seconda risposta hanno delle ripercussioni notevoli all’interno della comunità scientifica internazionale, poiché interessano lo statuto disciplinare: è possibile considerare la traduzione come un ambito disciplinare a sé stante, o la crescente diversificazione di questa attività è da intendersi come segno inequivocabile della sua natura ibrida e secondaria rispetto a discipline fondamentali, quali linguistica, letteratura (spesso comparata), studi di tipo sociologico, ecc.? Di fatto questo interrogativo compare spesso nella letteratura specializzata, ed è un nodo centrale nelle discussioni che riguardano l’apparato teorico. La traduzione è stata definita una casa con tante stanze (Hatim, 2001), e l’idea che esista un’unica teoria onnicomprensiva è stata abbandonata da tempo. Infatti è sempre più comune parlare di approcci alla traduzione o modelli di ricerca, termini che sembrano sottolineare la pluralità di prospettive dalle quali è possibile esperire questa attività. Tutto questo va di pari passo con le discussioni che sottolineano la natura interdisciplinare della traduzione, un concetto che parrebbe risolvere in modo positivo l’intera questione della sua natura ibrida. Se, da ———————— 2 L’avvento della corrente critica decostruzionista ha contribuito notevolmente all’impiego della traduzione in senso metaforico. Per il filosofo francese Jacques Derrida (1985) la traduzione è simbolo principe dell’indeterminatezza imprescindibile dei fenomeni linguistici. 10 Introduzione una parte, occorre precisare che la trasversalità disciplinare è un tema che negli ultimi anni ha interessato un gran numero di settori (non solo umanistici, cfr. Baker, in questa raccolta), dall’altra il rischio é quello di ridurre l’apparato teorico ad una sorta di ricettacolo di speculazioni contingenti, la cui natura metodologica dipende unicamente dalle condizioni materiali entro le quali ha luogo la pratica traduttiva. Coloro che intendono la traduzione semplicemente come attività ancillare ad altri campi di ricerca potranno obiettare che se questa pratica è così fortemente incarnata nella materialità dell’esperienza che la contiene, risulta impossibile elaborare una vera teoria traduttologica, basata su presupposti «interni» al settore. È quindi necessario chiedersi se l’astrazione teorica sia totalmente impraticabile in una ricerca di questo tipo, e in tal caso dovremmo concludere che l’operazione del tradurre è priva di qualsiasi valore scientifico. Ed è forse per questo motivo che sorge la necessità di appoggiarsi a campi di ricerca esterni e diversificati? Domande di questo tipo gettano un’ombra preoccupante sulla vocazione interdisciplinare della ricerca sulla traduzione, che improvvisamente si evidenzia come un percorso obbligato per coloro che desiderano lavorare in questo settore, invece di essere un’opzione, più o meno salutare. Non sorprende pertanto se l’unico elemento che accomuna gli studiosi della traduzione sembra essere una sorta di strategia difensiva che li porta a continuare a celebrare la diversità, soprattutto a livello teorico e metodologico, a scapito di qualsiasi concezione di unità di fondo. Un percorso di questo genere può essere molto rischioso per la credibilità della ricerca sulla traduzione. Una risposta a tutti questi interrogativi è data dalla mossa strategica che ha visto alcuni studiosi parlare di una «multidisciplina», «interdisciplina» o addirittura «metadisciplina» della traduzione. Secondo Jeremy Munday infatti: I translation studies costituiscono un esempio eccellente di un settore disciplinare capace di raccogliere approcci diversi provenienti da numerosi ambiti linguistici e culturali e di modificarli e rielaborarli al fine ottenere nuovi modelli che rispondono alla specificità delle proprie esigenze. (2001: 182, trad. M. A.) Margherita Ulrych e Rosa Maria Bollettieri Bosinelli definiscono la traduzione come una metadisciplina, «in grado di accogliere al suo interno 11 Mirella Agorni diverse discipline, con i loro presupposti teorici e metodologici» (1999: 237, trad. M. A.). Questo sarebbe possibile grazie alla capacità «osmotica» della disciplina di assorbire la linfa (teorica, metodologica) dagli altri settori, e trasformarla in un materiale nuovo, al servizio della ricerca sulla traduzione, pronto a rispondere alle sue necessità specifiche. Ed è proprio questa capacità «trasformativa» la caratteristica primaria attorno alla quale il settore disciplinare potrebbe raccogliersi (Agorni, 2002a; 2002b): che la traduzione abbia la capacità di trasformare il testo fonte in materiale altro, non soltanto dal punto di vista linguistico, ma anche ideologico, politico, economico, ecc., sembrerebbe una considerazione difficile da negare. Forse sarebbe possibile estendere questa sua capacità anche all’apparato teorico, e sostenere quindi che la ricerca della traduzione utilizza strumenti mutuati da altri campi disciplinari, ma li trasforma, rendendoli propri e adatti a soddisfare le esigenze degli studiosi dei fenomeni traduttivi? La capacità della traduzione di modificare, plasmare il materiale di partenza (il testo originale, ma potremmo aggiungere anche le teorie e le metodologie mutuate da discipline affini) in nuove entità è stata equiparata alla funzione performativa del linguaggio (Hermans 1999, Tymoczko 1999), in cui la lingua diventa essa stessa azione. La pratiche traduttive, infatti, non solo mettono in circolazione tutta una serie di significati che giacevano inerti nel materiale di partenza, attivando delle potenzialità inespresse, ma sono di per sé delle dichiarazioni d’intenti, per il solo fatto di presentarsi come traduzioni. I testi che si definiscono tali hanno notoriamente una ricezione diversa rispetto ai cosiddetti originali, come è facile evincere da una serie di aspetti dell’editoria ai nostri giorni, a partire dalle prospettive commerciali (distribuzione, costi di produzione, riconoscimento sociale dei traduttori rispetto agli autori originali, ecc.) come da quelle più propriamente artistiche (prestigio letterario) 3. La traduzione, intesa sia come processo che come prodotto, si caratterizza dunque come una pratica sociale e testuale riconosciuta, inconfondibile, dotata di una propria autonomia. Secondo Anthony Pym ———————— 3 Gli studi sul concetto e la funzione delle pseudotraduzioni o traduzioni fittizie (testi che si presentano e vengono consumati come traduzioni, pur essendo invece degli originali) costituiscono un esempio particolarmente interessante dell’efficacia del concetto di traduzione, e di come possa essere posta al servizio di svariati interessi. Cfr. Bassnett, in questa raccolta, e Toury 1980, 1995. 12 Introduzione essa è una delle numerose modalità di comunicazione interculturale e si distingue nettamente dalle altre poiché comporta investimenti precisi in termini di formazione, tempi e costi (cfr. il saggio di Pym in questa antologia). Estendere la definizione di traduzione indistintamente a tutte le pratiche testuali esistenti (osservando il principio decostruzionista dell’inesistenza dell’originalità assoluta) si rivela altamente deleterio per la traduzione stessa, perché ne annulla la peculiarità. L’innegabile specificità del settore traduttologico (pur nella sua attuale diversificazione) prevede, anzi richiede, una rielaborazione massiccia delle teorie o modelli di ricerca che possono essere mutuati da discipline affini – questo principio è quanto mai evidente per quanto riguarda la ricerca sulla traduzione mediante l’uso dei corpora, ma anche l’adattamento delle teorie sistemiche, di derivazione semiotica e letteraria, o il settore della valutazione della qualità della traduzione, che fa uso di presupposti linguistici hallidayani (cfr. House in questa antologia) costituiscono validi esempi. Come qualsiasi altra disciplina di recente costituzione, la traduzione ha, in un primo momento, elaborato i suoi modelli di ricerca in un regime «ecologico», cercando di utilizzare al meglio e di adattare ai propri scopi teorie e metodologie preesistenti, di provenienza esterna. Così facendo è riuscita ad affinarle, elaborando modelli sempre più caratteristici, che al giorno d’oggi si prestano ad essere a loro volta esportati ad altre discipline 4; pertanto, se il riconoscimento del debito degli studi sulla traduzione nei confronti di discipline affini è un atto dovuto, è ora tempo di fare un bilancio e attribuire maggiore visibilità al percorso effettuato da questo settore, consolidando i suoi progressi, soprattutto in campo teorico e metodologico. Ciò che si profila in un’attenta analisi diacronica è una vivace panoramica di reciprocità intersettoriale, che attribuisce alla teoria/alle teorie della traduzione una posizione di estremo rilievo nel contesto dell’evoluzione delle discipline umanistico-sociali. ———————— 4 La prima studiosa a rilevare la capacità dei translation studies di esportare i loro modelli di ricerca fu Susan Bassnett, che nel suo lavoro Comparative Literature: A Critical Introduction (1993) sosteneva che la nuova disciplina avrebbe influito pesantemente sull’evoluzione della letteratura comparata. Successivamente (1998) la studiosa ha rilevato affinità e contatti, soprattutto a livello metodologico, anche con i cultural studies. Kirsten Malmkjær (1999) ha invece insistito sulla reciprocità che intercorre tra linguistica e translation studies. 13 Pragmatica della comunicazione interculturale e false dicotomie in traduzione 2.3. Il problema della soggettività Dalle riflessioni di natura autoreferenziale presenti in tutte le discipline trae origine un altro elemento fondamentale del dibattito intellettuale odierno: si tratta della problematizzazione della soggettività nella ricerca accademica. Due sono gli aspetti principali di cui occorre tener conto quando si considera il ruolo che il ricercatore riveste in quanto soggetto delle proprie ricerche: • l’influenza che la soggettività esercita in ogni aspetto del lavoro di ricerca; • il riconoscimento che la ricerca può diventare una forma di azione politica. Cominciamo con l’esaminare la prima questione, con il riconoscere cioè il ruolo della soggettività del ricercatore nel definire metodi e risultati della ricerca. Tra i lavori che trattano questo argomento in ambito linguistico, il volume di Blommaert e Verschueren Debating Diversity (1998) offre un’analisi dettagliata del dibattito pubblico e politico sulla diversità, affrontando i temi dell’immigrazione e integrazione degli immigrati in Belgio, soprattutto nel nord del paese, nei territori fiamminghi di lingua neerlandese. Mi concentrerò solo su una minima percentuale delle numerose pagine che Blommaert e Verschueren dedicano al problema della soggettività del ricercatore; vorrei citare le loro conclusioni in merito al «ruolo del ricercatore nel processo comunicativo oggetto di studio»: Nella comunicazione interculturale non vi sono differenze, dal punto di vista teorico, tra il parlare con l’altro e il parlare dell’altro. L’analisi linguistica stessa, in quanto strumento utilizzato per parlare dell’altro, costituisce un esempio di comunicazione interculturale ed è soggetta alle 73 Mona Baker influenze, condizioni e norme che regolano gli scambi interculturali in genere. Pertanto, il linguista non sarà mai un osservatore distaccato, ma eserciterà materialmente la propria influenza sull’interazione, costruendola come oggetto sulla base delle inferenze disponibili. Questo tipo di attività non è mai priva di ripercussioni culturali, né è svincolata da fattori sociali. (ibid.: 36) Per quanto riguarda la ricerca intesa come forma di azione politica, la posizione di Blommaert e Verschueren è la seguente: Il nostro lavoro scientifico è […] una forma di azione politica, e ciò naturalmente solleva problemi di opinione […]. La nostra opinione rispecchia una posizione precisa all’interno del dibattito; riteniamo che non avremmo potuto agire altrimenti, sia dal punto di vista etico che in relazione alle norme che determinano le modalità di ricerca scientifiche. (ibid.: 190) Si noti l’uso rispettoso del termine scientifico, che non contraddice in alcun modo il riconoscimento da parte degli autori della propria soggettività, e lo si confronti con una certa inopportuna tendenza alla caricatura della ricerca scientifica (ivi compreso l’uso del dispregiativo «scientista») in alcuni lavori recenti sulla traduzione. Un esempio è rappresentato dal brano che segue: La ricerca in traduzione e la formazione professionale dei traduttori risentono della dominanza di approcci di tipo linguistico, che offrono una visione parziale dei dati che raccolgono. Nel promuovere modelli scientifici di ricerca, questi approcci si mostrano restii a considerare e analizzare i valori sociali coinvolti nel processo traduttivo e nella sua analisi. La ricerca diventa così scientista nella sua pretesa di essere oggettiva e neutrale, ignorando di fatto che la traduzione, come qualsiasi altra pratica culturale, comporta una riproduzione creativa di valori. (Venuti, 1998: 1) 74 Il concetto di equivalenza e l’oggetto della traduttologia 3. LA TRADUZIONE IN UNA PROSPETTIVA LINGUISTICA E TESTUALE: FATTORI CONDIZIONANTI, DUPLICE LEGAME E MODELLI DI EQUIVALENZA TRADUTTIVA Da un punto di vista linguistico e testuale, la traduzione può essere intesa come il risultato di un’operazione di elaborazione testuale per mezzo della quale un testo nella lingua di partenza viene trasposto in un testo nella lingua d’arrivo. Fra il testo risultante nella L2 (testo d’arrivo) e il testo nella L1 (testo di partenza) si dà un rapporto che può essere denominato rapporto di traduzione o di equivalenza. L’equivalenza è un concetto relativo sotto molti aspetti: è determinato da una parte dalle condizioni storico-culturali in cui i testi, tanto originali quanto secondari, vengono prodotti e recepiti nella cultura d’arrivo; dall’altra, è soggetta a una serie di condizioni e fattori linguistico-testuali ed extralinguistici, talora contradditori e difficilmente conciliabili, quali: • la lingua di partenza e la lingua d’arrivo con le relative proprietà, opzioni e limiti strutturali; • il «mondo», nelle diverse classificazioni che ne danno le singole lingue; • le diverse realtà, così come sono rappresentate attraverso le modalità peculiari alle rispettive lingue; • il testo di partenza e le sue proprietà linguistiche, stilistiche ed estetiche nel contesto delle norme linguistiche, stilistiche ed estetiche della lingua di partenza; • le norme linguistiche, stilistiche ed estetiche della lingua d’arrivo e del traduttore; • le caratteristiche e le qualità strutturali di un testo; • le condizioni preliminari per la comprensione da parte del lettore della lingua d’arrivo; • la propensione creativa del traduttore e la sua comprensione dell’opera; • l’esplicita o implicita teoria della traduzione adottata dal traduttore; • la «tradizione» della traduzione; • i principi dell’autore a proposito della traduzione e la sua interpretazione del testo originale; • le direttive del cliente e lo scopo dichiarato della traduzione; • le circostanze contingenti in cui il traduttore sceglie di lavorare o è obbligato a lavorare. 103 Werner Koller Di fondamentale importanza per ogni metodologia linguistico-testuale che si collochi nell’ambito della teoria descrittiva della traduzione (Descriptive Translation Studies) è l’assunto secondo cui la traduzione si caratterizza per un duplice legame: in primo luogo al testo di partenza e in secondo luogo alla situazione comunicativa del destinatario. Questo doppio legame è essenziale ai fini della definizione del rapporto di equivalenza. A un primo livello, per equivalenza (traduttiva) si intende solo che due testi, la fonte e il testo derivato, appaiono uniti da un legame speciale, che può essere definito rapporto di traduzione. La specificazione del rapporto di equivalenza si ottiene applicando alcuni modelli relazionali. Sono considerate equivalenti nella lingua d’arrivo le unità linguistico-testuali di diversa natura e ordine che corrispondono agli elementi della lingua di partenza in base ai rapporti di equivalenza specificati all’interno di una serie di modelli relazionali. Gli equivalenti nella lingua d’arrivo sono riconducibili alle unità traduttive del testo di partenza; le analogie e le differenze fra le unità della lingua di partenza e i loro equivalenti nella lingua d’arrivo risultano dalla misura in cui vengono mantenuti i valori assegnati ai modelli relazionali. In una prospettiva linguistico-testuale, i seguenti modelli di equivalenza risultano particolarmente rilevanti: • le circostanze extralinguistiche trasmesse dal testo; • le connotazioni (accompagnate da una pluralità di valori connotativi) espresse dal testo attraverso la modalità di verbalizzazione; • le norme testuali e linguistiche (norme d’uso) che si applicano a testi paralleli nella lingua d’arrivo; • i riferimenti al destinatario; • le proprietà estetiche del testo di partenza. I modelli di equivalenza presentati, su cui non mi soffermerò ulteriormente in questa sede 4, trovano il loro fondamento in studi teorici ed empirici sull’eterogeneità delle singole lingue nelle loro manifestazioni testuali. Se riferiti agli obiettivi teorici e descrittivi di alcune indagini nell’ambito della teoria della traduzione, compresa la critica della traduzione, questi modelli di equivalenza possono e devono essere estesi, differenziati, perfezionati, modificati e, soprattutto, messi a confronto con fenomeni traduttivi concreti. La necessità di ampliare la ricerca teo———————— 4 Per una discussione più dettagliata cfr. Koller (1992: Cap. 2.3 Differenzierung des Äquivalenzbegriffs). 104 Il concetto di equivalenza e l’oggetto della traduttologia rica in questo ambito è dimostrata dal fatto che numerosi livelli di significato si inseriscono solo a fatica all’interno dei modelli di equivalenza appena descritti, o non vi rientrano affatto. Si pensi, in particolare, ai significati interlinguistici, intratestuali e socioculturali che talvolta si rivelano autentici rompicapi per i traduttori di testi letterari, un genere in cui, peraltro, l’uso delle note è quasi sempre inappropriato (cfr. Koller, 1992: 267 s., 287 s.). Secondo il metodo che stiamo illustrando, il fattore centrale nel processo traduttivo e quindi nello studio della traduzione è il testo di partenza, con la sua struttura linguistico-stilistica e con il suo potenziale di significato. Nondimeno, a causa del legame che sussiste fra la traduzione e la situazione del destinatario, un approccio linguistico e testuale che intenda descrivere e analizzare campioni di traduzioni reali dovrà tenere conto anche degli altri fattori che concorrono alla produzione e alla ricezione di una traduzione 5. Esiste una serie di impostazioni restrittive dell’approccio linguistico ampio che stiamo illustrando. Per esempio, Wolfgang Klein (1991) ha sviluppato un modello imperniato sull’aspetto semantico del linguaggio, partendo dal presupposto che il processo traduttivo non comporta «nulla che debba condurci al di là dello studio della lingua e dell’uso linguistico» (1991: 105). In quest’ottica, l’esistenza della traduttologia come disciplina indipendente potrebbe essere giustificata da ragioni organizzative, ma non sulla base dei suoi contenuti. Secondo Klein, i «problemi specifici della traduzione» sono di natura puramente linguistica e hanno a che vedere con «il rapporto sistematico fra due testi che da un lato sono uguali in quanto esprimono gli stessi concetti, ma divergono rispetto ai mezzi mediante i quali esprimono i concetti che restano invariati» (1991: 107). In altri termini, i problemi di traduzione possono essere spiegati nel contesto delle teorie del significato e della linguistica contrastiva. La conclusione di Klein, tuttavia, è piuttosto cauta: poiché la linguistica è ben lontana dalla risoluzione dei ———————— 5 Considerare il fattore linguistico e testuale come elemento primario del processo traduttivo non significa affatto sorvolare su altri «fattori quali situazione, funzione, riceventi, cultura e così via» (Nord 1993: 105). Qui si crea un’opposizione che si sarebbe rivelata, in un certo senso, più pertinente negli anni sessanta, ai tempi d’oro delle teorie strutturaliste e generativiste (che tuttavia già in quel periodo non rendevano pienamente giustizia allo stato della ricerca), ma non riflette la situazione attuale degli studi linguistici. 105 Werner Koller propri problemi, non può fornire un contributo davvero essenziale alla traduttologia. La ragione per cui ho definito l’impostazione di Klein «strettamente linguistica» è che, rimanendo confinata nell’area della semantica, essa riconosce solo un aspetto (in verità centrale) di natura linguisticotestuale, che è una conseguenza sia del legame che unisce la traduzione al testo di partenza, che delle proprietà linguistico-stilistiche e testuali che caratterizzano la lingua di arrivo. Ciò che invece viene trascurato è il collegamento fra la traduzione e la situazione comunicativa della lingua d’arrivo, che ha ripercussioni immediate di natura linguisticotestuale e deve essere tenuto in considerazione in qualsiasi metodologia linguistica (più allargata). Con questo non si intende negare l’importanza vitale che l’orientamento semantico riveste in seno alla teoria della traduzione: se la linguistica riuscirà a trovare una risposta agli interrogativi posti da Klein a proposito della traduzione, allora avrà davvero risolto molti dei problemi fondamentali della teoria della traduzione. 106 VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA TRADUZIONE: DESCRIZIONE LINGUISTICA E VALUTAZIONE SOCIALE 1 Juliane House Traduzione di Rachele Antonini INTRODUZIONE Come facciamo a renderci conto che una traduzione è ben fatta? Questa semplice domanda è alla base di tutte le difficoltà insite nella critica della traduzione. La possibilità di valutare la qualità di una traduzione, inoltre, è il nodo centrale di qualsiasi teoria, poiché concerne la natura stessa dei fenomeni traduttivi o, meglio, la natura della relazione tra un testo di partenza e la sua traduzione. Dato che il processo traduttivo è essenzialmente un’operazione mirata al mantenimento di un’equivalenza semantica tra unità linguistiche nel passaggio da una lingua all’altra, si possono distinguere almeno tre diverse teorie che riguardano il significato, ciascuna delle quali porta a concezioni molto diverse della valutazione della traduzione. L’approccio mentalista concettualizza il significato come una nozione che risiede nella mente dei parlanti di una certa lingua e postula l’ipotesi che una traduzione sia frutto di processi intuitivi e interpretativi. Nel caso in cui il significato venga inteso come il risultato di una reazione osservabile dall’esterno, invece, la valutazione della traduzione probabilmente utilizzerà metodi basati sugli effetti sor———————— 1 Originale: Juliane House (2001). «Translation Quality Assessment: Linguistic Description versus Social Evaluation». Meta, 46: 243-257. [N.d.C.] 133 Juliane House titi da un determinato testo. Qualora, infine, il significato sia considerato come un’entità che emerge da porzioni più ampie di lingua in uso, comprendenti sia il contesto in generale che quello (situazionale e culturale) che contiene le unità linguistiche individuali, la valutazione di una traduzione propenderà verosimilmente per un approccio basato sull’analisi del discorso. In questo articolo vorrei per prima cosa elaborare brevemente questi tre approcci alla valutazione della traduzione; in secondo luogo, presenterò le mie riflessioni e, infine, illustrerò la distinzione spesso trascurata tra descrizione linguistica e valutazione sociale. 134 DISCORSO, IDEOLOGIA E TRADUZIONE 1 Ian Mason Traduzione di Cecilia Pozzi 1. INTRODUZIONE In un’affascinante opera di critica della traduzione, Bruno Bettelheim (1983) descrive come i traduttori ufficiali inglesi di Freud abbiano stravolto la lingua – e quindi il significato – del testo di partenza, principalmente mediante scelte lessicali sistematiche mirate a rendere il testo di arrivo più clinico, più scientifico e meno soggettivo dell’originale di Freud. Mentre Freud aveva sostantivato i pronomi personali tedeschi (das Ich, das Es, das Über-Ich) per rappresentare concetti fondamentali della propria opera, i suoi traduttori preferirono le forme latine (Ego, Id, Super-Ego) ritenendole presumibilmente più adatte a un trattato scientifico in inglese. L’influenza greco-latina, tuttavia, andò oltre: Besetzung (investimento-occupazione) divenne nella traduzione cathexis, Fehlleistung (atto mancato) fu reso con parapraxis, die Seele (anima) e l’aggettivo corrispondente seelisch con «mente» e «mentale», e si potrebbero elencare molti altri esempi. Nel compiere le proprie scelte, i traduttori ufficiali di Freud erano mossi da una forte motivazione. In linea con la miglior prassi dei traduttori attenti al contesto, essi tenevano costantemente presenti i propri lettori (il Tenore nella terminologia hallidayana) e avevano un’idea ———————— 1 Originale: Ian Mason (1994). «Discourse, Ideology and Translation». In R. de Beaugrande, A. Shunnaq & M. H. Heliel eds. (1994). Language, Discourse and Translation in the West and Middle East. Amsterdam & Philadelphia: John Benjamins. 23-34. [N.d.C.] 195 Ian Mason molto chiara del linguaggio più adatto a un determinato settore di attività sociale (il Campo). Il loro scopo era rendere il testo d’arrivo più astratto, ricercato e scientifico, in modo da conquistare l’attenzione della comunità medico-scientifica anglo-americana e trasmettere una serie di concetti che, nell’originale, derivavano da una tradizione umanistica europea alquanto differente da quella anglo-americana. Pertanto, la traduzione diede origine a una percezione di Freud – basata sull’Edizione Standard delle sue opere in inglese, che gli procurarono una fama a livello mondiale – assai diversa da quella dei lettori del testo originale. Come afferma Joyce Crick (1989), queste traduzioni resero Freud l’«anatomista della mente, piuttosto che il medico dell’anima». Il testo di partenza e quello di arrivo derivano da due ideologie distinte, che Bettelheim identifica come umanesimo e comportamentismo. Per Peter Newmark (1991: 59), Bettelheim «abbandona il terreno della neutralità quando insiste sul rispetto del traduttore per l’originale, su valori al di là delle norme traduttive correlate a convenzioni culturali e sociali, sul rispetto per la verità letterale». Una simile obiezione, tuttavia, contribuisce suo malgrado a generare l’impressione che un testo possa avere un unico significato oggettivamente definito, che non dipende dalla volontà del produttore né da quella del destinatario, un punto di vista confutato da de Beaugrande (1994) e criticato dallo stesso Newmark a proposito di Bettelheim (cfr. anche Shunnaq, 1994). Dietro a questo problema, tuttavia, se ne nasconde un altro ben più noto: come si misura la fedeltà del traduttore? Sulla base di una resa letterale del testo di partenza oppure del rispetto delle aspettative dei lettori che appartengono al polo della ricezione? Come afferma Sian Reynolds (1991), la controversia continua ad infuriare proprio mentre si sta preparando l’edizione completa di Freud in francese. Mentre Jean Laplanche, co-curatore e presidente della commissione terminologica per la traduzione, parla di «restituire Freud a Freud» eliminando tutti gli interventi che hanno oscurato il testo originale e standardizzato il lessico, altri lamentano la camicia di forza terminologica in cui la traduzione rischia di essere imprigionata. Il risultato finale, temono, sarà la lingua di Laplanche, non quella di Freud. Che una simile visione univoca del significato sia infondata è argomento noto, che ho trattato io stesso in alcuni studi e che altri hanno affrontato in modo magistrale (cfr. per esempio Prince, 1981), 196 Discorso, ideologia e traduzione quindi non approfondiremo la discussione in questa sede. Ci concentreremo piuttosto su alcune delle questioni relative al problema dell’ideologia nella traduzione. Com’è possibile identificare obiettivamente le ideologie? Possono essere rivelate dall’uso di specifici elementi linguistici? Come dovrebbe comportarsi il traduttore nei confronti di quella che viene percepita come l’ideologia del testo di partenza, a prescindere dalla sua natura? In che misura la percezione dei lettori del testo di arrivo potrà corrispondere a quella dei lettori del testo di partenza? Si può cercare di dare risposte plausibili a queste domande esclusivamente attraverso l’analisi sistematica di quanto avviene nel processo di produzione e ricezione del testo. Come dimostreremo in questo articolo, le parole sono investite di significato in virtù del loro uso in un determinato contesto e del loro valore di scambio fra diversi utenti (cfr. il concetto di controllo successivo 2 proposto da de Beaugrande, 1994). Nei molteplici processi coinvolti nella traduzione (produzione del testo di partenza → ricezione del testo di partenza → produzione del testo di arrivo → ricezione del testo di arrivo), il potenziale di significato degli elementi all’interno del sistema linguistico (Halliday, 1978 – cfr. anche il controllo preventivo 3 di de Beaugrande) viene sfruttato da diversi utenti, ciascuno dei quali si situa nel proprio contesto e mira al proprio scopo. Nel caso particolare che prenderemo in considerazione, diverse visioni del mondo e differenti esperienze di discorso creano testi e discorsi ———————— 2 Consequent control, «controllo successivo», [trad. C. P.]. Nel definire la traduzione come «controllo esercitato nel discorso in due o più lingue al fine di avere accesso alla conoscenza selezionata dal produttore del testo originale», de Beaugrande delinea i concetti di «controllo preventivo» e «controllo successivo», suddivisi a loro volta in due ordini di controllo ciascuno. Con «controllo preventivo» de Beaugrande indica i sistemi di controllo insiti nell’organizzazione di un determinato sistema linguistico; il «controllo preventivo» è costituito da fonetica e grammatica (primo ordine di controllo preventivo) e dal lessico (secondo ordine di controllo preventivo). Con «controllo successivo» de Beaugrande indica, invece, il controllo esercitato sulla lingua dal produttore del testo (quindi, a sua volta, anche dal traduttore durante il processo traduttivo) nel momento in cui effettua determinate scelte generiche (baseline choices – ad esempio optando per forme non marcate) e scelte consapevoli (deliberate choices – che possono coinvolgere qualsiasi aspetto del linguaggio, inclusa la grammatica). Tali scelte generiche e consapevoli costituiscono, appunto il terzo e quarto ordine di controllo. (de Beaugrande, 1994). [N.d.T.] 3 Antecedent control, «controllo preventivo» [trad. C. P.] Cfr. nota precedente. [N.d.T.] 197 Ian Mason contrastanti, in una situazione in cui l’equivalenza viene normalmente data per scontata. 198 Per un giuramento di San Girolamo 2. DIFFICOLTÀ Oggi le questioni deontologiche creano un certo imbarazzo negli ambienti della traduttologia, per varie ragioni. Innanzitutto, le attuali tendenze in materia di etica non sono compatibili tra loro. Ciascuno dei quattro modelli descritti nella sezione precedente attribuisce priorità a un valore diverso: la verità (etica della rappresentazione), la lealtà (etica del servizio), la comprensione (etica della comunicazione) e la fiducia (etica normativa). Ma è possibile ordinare questi valori in una scala gerarchica? Forse sì, se si considera che alcuni valori conseguono da altri o, al contrario, ne implicano altri. Se si dice la verità si ha più probabilità di ottenere fiducia rispetto a chi mente, se si è leali nei confronti di qualcuno in genere se ne ottiene la fiducia (il che però non si verifica necessariamente anche con altre persone che non rientrano nel rapporto di lealtà; anzi, queste potrebbero avere un buon motivo per non fidarsi), e la verità e la fiducia possono generare comprensione. Tuttavia, nessun modello afferma chiaramente quale sia il comportamento eticamente corretto da seguire in una situazione in cui i valori (o le lealtà) entrino in conflitto. Ma sarebbe giustificabile, da un punto di vista etico, consigliare a un traduttore di passare da un modello all’altro a seconda delle situazioni? I vari modelli, comunque, hanno in effetti campi di applicazione e limiti diversi: alcuni di essi sono tradizionalmente usati per traduzioni perlopiù letterarie o bibliche; altri sono impiegati in ambito tecnicoamministrativo. Il modello rappresentazionale cede se si considerano fattori quali l’impossibilità di una rappresentazione totalmente autentica, il rapporto tra originale e traduzione e la natura illusoria della perfetta equivalenza. Come adattarlo, allora, a quei testi che richiedono una totale riscrittura o un adattamento oppure un miglioramento da parte del traduttore? Nonostante questo genere di critiche, sembra che per alcuni il modello rappresentazionale sia l’unica soluzione, visto che i problemi deontologici sono spesso discussi quasi esclusivamente da questo punto di vista (cfr. per es. Lane-Mercier, 1997). Il modello dell’etica del servizio è incentrato sulle competenze 295 Andrew Chesterman professionali, ma sembra attribuire un valore positivo anche all’invisibilità del traduttore, togliendo spazio – in una certa misura – alla sua autonomia. Si potrebbe affermare che questo modello incoraggia i traduttori ad adottare un approccio mercenario e un atteggiamento docile e passivo. Il modello comunicativo presenta il rischio di allargare la responsabilità del traduttore fino a coprire aspetti dei rapporti interculturali che potrebbero essere di pertinenza più del cliente o del lettore che del traduttore stesso. Supponiamo che la comprensione-cooperazione interculturale vada a buon fine, ma promuova scopi chiaramente immorali, per esempio se si traducessero le istruzioni per fabbricare una granata in casa. Il traduttore sarebbe da considerare parzialmente responsabile delle conseguenze? Il modello normativo appare eccessivamente conservatore e riduce di molto la possibilità di modificare o migliorare il testo. Sappiamo che invece con il passare del tempo le regole cambiano, anche per iniziativa dei traduttori stessi. Come applicare questo genere di etica a un traduttore che, magari per esplicita richiesta del cliente, ha l’obiettivo di sorprendere il lettore, di sfidare le sue aspettative? Inoltre, le nostre quattro categorie si ispirano a diversi modelli etici di base. I modelli basati rispettivamente sulle norme e sul servizio sono due esempi di etica contrattuale: vale a dire, secondo entrambi i modelli le scelte deontologicamente corrette si basano su aspettative, contratti, accordi presi in precedenza, espliciti o interiorizzati; le decisioni che contravvengono all’etica vengono dunque criticate in quanto violano una regola o un contratto. Pertanto, il traduttore si comporta in un certo modo perché così stabiliscono le regole, perché così si deve comportare il fornitore di un servizio, perché così è previsto dalle istruzioni per la traduzione. D’altra parte, i modelli della rappresentazione e soprattutto della comunicazione sono esempi di etica utilitaristica: le decisioni deontologicamente corrette hanno effetti positivi, mentre le azioni che producono risultati indesiderati contravvengono all’etica. Il traduttore, quindi, si comporta in un certo modo perché vuole facilitare la comunicazione o migliorare i rapporti interculturali: vuole ottenere un certo effetto sul suo interlocutore – il lettore. Il problema dell’incompatibilità dei modelli deontologici emerge in modo evidente nelle diverse interpretazioni del valore della chiarezza. Per molti traduttori, la chiarezza è un valore etico da promuovere 296 Per un giuramento di San Girolamo nel proprio lavoro. La sua mancanza è considerata un tradimento della lealtà nei confronti del lettore e anche del cliente, il quale presumibilmente desidera che il lettore comprenda la traduzione. Popper (1945/1962: 308) sostiene addirittura che la chiarezza sia una conditio sine qua non per ogni comunicazione razionale, senza la quale la società non potrebbe esistere. Ma cosa si intende per chiarezza? I nostri vari modelli di etica offrono interpretazioni diverse. Per il modello rappresentazionale, chiarezza significa trasparenza: nella traduzione deontologicamente corretta l’originale rimane ben visibile, l’Altro è chiaramente presente, rappresentato come tale, senza distorsioni. Questo approccio genera di solito una traduzione in certa misura estraniante. Invece, se si vuole rappresentare l’intenzione dell’autore piuttosto che il testo di partenza come tale, si presume che a dover essere resa visibile in maniera trasparente sia questa intenzione, con il rischio di produrre una traduzione addomesticante. Nell’ottica dell’etica del servizio e di quella della comunicazione, la qualità della chiarezza è intesa come accessibilità del testo, ovvero la facilità con cui il lettore può comprendere il testo stesso, il suo significato, il messaggio, l’intenzione dell’autore: una traduzione chiara può essere compresa senza eccessivo dispendio di tempo e di sforzi interpretativi. In questo caso, il livello di chiarezza influisce sul rapporto tra traduzione e lettore, non su quello tra traduzione e originale. Nel modello normativo, il concetto di chiarezza è relativizzato: la forma e il grado di chiarezza richiesti cambiano in base alle aspettative della cultura di arrivo. I quattro modelli di etica sono quindi, tutto sommato, parziali; ognuno di essi copre solo un aspetto della deontologia della traduzione in generale, e appare dunque inadeguato se considerato separatamente dagli altri. Forse è il caso di tornare all’inizio e ricominciare tutto. Nella sezione seguente verrà proposto un approccio alternativo all’etica della traduzione. 297