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Shakespeare`s Globe - Ezio Fiorillo

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Shakespeare`s Globe - Ezio Fiorillo
Ezio Fiorillo
Shakespeare’s Globe
As You Like It, o Come mi piace interpretare
ALL’INSEGNA DEL MATAMOROS
MILANO
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
© 1999 Ezio Fiorillo, fraz. Pagliaro 7, 24010 Algua (Bergamo).
Questa indagine riguardante la costituzione del Globe Theatre, nella ricorrenza del
quattrocentesimo anniversario, fa parte integrante di Eziopatogenesi* (Secondo l(u)ogo, parte
dedicata “a Demetra”), di Ezio Fiorillo, un libro imperniato sull’aspetto acroamatico di The
Tempest**, di William Shakespeare.
* Uno studio “che raccoglie il graduale concretarsi e organizzarsi (génesis) dell’opera nel pensiero dell’autore, in
riferimento a ciò che l’ha appassionato (páthos) nell’individuare il carattere del concetto di t e a t r o , risalendo a
ciò che ne è la causa (aítion) originaria” (Ivi, Premessa). In preparazione.
** La materia dell’arte che vi è sottesa, espressa oltre la sua natura discorsiva, è molto ardua, al punto che “solo un
oracolo potrebbe illuminare la nostra mente” (La Tempesta, V, I, 244-245).
Allorquando verrà bandito un concorso, ovvero lanciata una sfida internazionale, per risolvere
l’enigma (“riddle”, Pericle, I, I, Coro, 38) posto in La Tempesta, saremmo lieti di partecipare e
rivelare “ciò che contiene, qualcosa di raro accorrerà alla conoscenza” (Il racconto d’inverno, III,
I, 20-21).
-2-
Ercole Farnese, Milano, Accademia di Belle Arti di Brera. Copia in gesso da marmo
(Napoli, Museo Nazionale, Altezza m. 3,17).
-3-
L’amore fa dono a chi ama di un occhio sì acuto
che un occhio d’aquila n’è abbacinato, se prova a fissarlo.
L’orecchio di chi ama avverte ogni suono, anche il più impercettibile;
quello che elude sinanco l'orecchio guardingo del ladro.
Il tatto di chi ama si fa delicato e vibrante,
tenero e sensitivo come le antenne di una lumachina.
Il suo palato è assai più raffinato di quello di Bacco;
ed il suo ardire, poi, val bene quello di un Ercole
eternamente a caccia dei pomi delle Esperidi.
L’amore è enigmatico come la Sfinge, soavemente armonioso,
come il radioso Apollo, che suona la lira sui suoi stessi capelli.
William Shakespeare, Pene d’amor perdute [Love’s Labour’s Lost],
IV, I (IV, III), 332-342. Traduzione di Andrea Cozza.
[“It adds a precious seeing to the eye:
A lover’s eyes will gaze an eagle blind.
A lover’s ear will hear the lowest sound
When the suspicious head of theft is stopped.
Love’s feeling is more soft and sensible
Than are the tender horns of cockled snails.
Love’s tongue proves dainty Bacchus gross in taste.
For valour, is not Love a Hercules,
Still climbing trees in the Hesperides?
Subtle as Sphinx; as sweet and musical
As bright Apollo’s lute, strung with his hair”].
-4-
L’orrendo supplizio di Giordano Bruno è presente nella coscienza collettiva: la
mattina del 17 febbraio “da’ ministri di giustitia fu condotto in Campo di Fiori, e
quivi spogliato nudo e legato a un palo fu bruciato vivo, accompagnato sempre
dalla nostra Compagnia cantando le litanie, e li confortatori sino a l’ultimo punto
confortandolo a lasciar la sua ostinazione, con la quale finalmente finì la sua misera
et infelice vita” (Dal “GIORNALE” DELL’ARCICONFRATERNITA DI S.
GIOVANNI DECOLLATO IN ROMA, 16-17 febbraio 1600, in Luigi Firpo, Il
processo di Giordano Bruno, p. 347). Quel giorno coincideva con il Giovedì
grasso.1
Dagli atti del processo dell’Inquisizione, è stato dedotto che Giordano Bruno non
fu imprigionato “per la sua fede copernicana, ma per il suo panteismo e le sue idee
eretiche2 […]. Da allora in poi, tuttavia, le tesi copernicane furono strettamente e
quasi inscindibilmente legate all’eresia” (Cambridge University, Storia del mondo
moderno, Vol. III, Cap. XV, a cura di M. B. Hall, p. 594).
L’anno era il 1600, tuttavia per gli inglesi di quell’epoca era ancora il 1599, poiché
la datazione cominciava ufficialmente il 25 marzo (Lady Day) — in Scozia dal 1°
gennaio del 1600 —, essendo ancora in vigore il calendario giuliano.3
Se La Tempesta fosse stata rappresentata la prima volta il 1° novembre del
1611, sarebbero trascorsi d o d i c i anni dalla morte di Sycorax (Cfr. La
1. Per far immaginare il clima della situazione, si riporta un passo che riguarda il periodo di questa festività, che
Frazer suppone derivi dai saturnali romani, e che si concludeva sostanzialmente nello stesso modo in varie parti
d’Europa. “A Frosinone, nel Lazio, a circa mezza strada fra Roma e Napoli, la pesante monotonia della vita di una
città di provincia italiana, fino a pochi anni fa, veniva nell'ultimo giorno di carnevale piacevolmente interrotta dalla
vecchia festa conosciuta sotto il nome di Radica. […] Finalmente, dopo che il corteo è passato così maestosamente
in parata per le vie principali, l’effigie del carnevale [un uomo di stucco alto circa tre metri dall’aspetto sorridente e
rubicondo] viene portata nel centro di una piazza, spogliata dei suoi ornamenti, posta su una catasta di legna e
bruciata fra le grida della moltitudine che, facendo echeggiare ancora una volta la canzone del carnevale, scaglia le
così dette radiche sul rogo e si abbandona senza alcun ritegno alla gioia della danza” (James G. Frazer, Il ramo d'oro,
Cap. XXVIII, p. 468-470). E’ presumibile che il popolo si preparasse con lo stesso fervore, durante la partecipazione
all’esecuzione della condanna, come se fosse un’estensione del rito.
2. “Corollario inevitabile della identificazione tra chiesa e stato fu che l’eresia venne considerata tradimento: come
traditori i missionari cattolici in Inghilterra subirono la barbara pena dell’impiccagione e dello squartamento”
(Cambridge University, Storia del mondo moderno, Vol. III, Cap. I, a cura di R. B. Wernham, Introduzione, p. 12).
3. Nel 1582 papa Gregorio XIII promulgò la correzione del calendario, tuttora in vigore.
-5-
Tempesta, I, II, 279). La sorte di Giordano Bruno ebbe una risonanza in tutta
Europa, seguita dal silenzio. Bruno aveva soggiornato in Inghilterra dal giugno
1583 all’ottobre 1585. Pare logico supporre che un pubblico teatrale attento
associasse un episodio frutto di fantasia (la fine della strega Sycorax4) con un fatto
di cronaca. La durata di dodici anni si riferisce sia alla storia di “quello che accadde
in quest’isola” di Prospero (Ib., V, I, 302-304), sia al lasso di tempo della
permanenza vitale di Shakespeare al Globe Theatre. La Tempesta racchiude
momenti della sua epopea. Bisognerà pertanto rintracciarne l’origine.
Alla seconda metà del 1599, viene datata la commedia As You Like It [Come vi
piace]; di certo “fu, se non scritta per intero, almeno completata” (Giorgio
Melchiori, Introd. a Come vi piace, p. 429). L’anno è quello di inaugurazione del
Globe.5 Nel testo si accenna ad un tempo che varia dal gelido inverno al tepore
della primavera (“the winter’s wind”, “the spring”, As You Like It, II, I, 7; V, III,
20), la stagione più adatta per rappresentare una festa, quando la Natura si risveglia
sotto il segno dell’Ariete.
Qualsiasi spettacolo (ópsis, visione) della commedia6 non rende il senso cifrato,
intelligibile ma imperscrutabile, che invece si avverte sfogliando il testo, come se
ogni figura si riferisse segretamente a qualcosa d’altro da ciò che rappresenta in
apparenza.
Attenti: esercitate adesso
un po’ di fantasia; quel che è oscuro
nella scena che segue, lo illustrerò io stesso.
William Shakespeare, Pericle, III, Coro, 12-14.
Trad. Giorgio Albertazzi.
La commedia, solo “attraverso la lettura, in realtà, si manifesta per quella che è”
(Aristotele, Dell’arte poetica, 23, 3; 1462 a 12).
Suggestiona l’idea che il massimo poeta inglese l’abbia voluta trasmettere agli
attori della rappresentazione, affinché potessero attingere ad un significato che
4. Allo stesso modo gli spettatori avrebbero potuto associare la figura di Prospero de La Tempesta con quella di
John Dee, “il grande mago matematico che senza dubbio Shakespeare dovette conoscere” (Frances Yates, Gli ultimi
drammi di Shakespeare, Cap. IV, p. 89). Del resto il pubblico ottiene la perfetta sincronia tra realtà e finzione nel
momento in cui è stato sollecitato a trovare una coincidenza tra il presente scenico dei personaggi e il tempo
concesso agli spettatori, “dentro il limite di una sola giornata” (Aristotele, Dell'arte poetica, V, 1449 b 13), tra le
due del pomeriggio e le sei (v. The Tempest, I, II, 240).
5. “Nell’inventario in data 16 maggio 1599 dei beni di sir Thomas Brend (era stato suo figlio Nicholas a dare in
affitto il terreno) il Globe viene descritto come eretto da poco — “de novo edificata” — e occupato da William
Shakespeare e da altri — “in occupacione Willelmi Shakespeare et aliorum”. Se a quest’epoca non era ancora
pronto, lo sarebbe stato nell’autunno” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 228).
6. Esiste in commercio una scialba edizione in VHS di Basil Coleman (BBC 1989) — l’unica facilmente reperibile
in Italia — da un adattamento teatrale di Alan Shallcross. Tra le edizioni cinematografiche, oltre a quella dovuta alla
regia di Paul Czinner (1936), è notevole quella di Michael Elliott (1963) per avere Vanessa Redgrave nella parte di
Rosalind; trasposizione dello spettacolo prodotto nel 1961 dalla National Shakespeare Company. Formidabile infine
è il film di Kenneth Branagh (2006), che è riuscito a mantenere vivo il rapporto tra autore e pubblico in modo
stupendo e impeccabile.
-6-
sarebbe sfuggito agli spettatori e che fosse recuperabile solo attraverso la lettura del
copione (book), di modo che fossero vissuti due spettacoli: uno rivolto al pubblico
per coinvolgere i sensi7, ed un altro più cerebrale, offerto all’individualità8 dei
membri della compagnia. Se così non fosse il significato criptico avrebbe raggiunto
l’autore nella tomba9 (crypté). La compagnia nel celebrare la propria festa
(l’inaugurazione di un nuovo playhouse) avrebbe ricevuto in dono un divertimento
per l’ingegno (wit), affinché traesse piacere dall’interpretazione, a dimostrazione
“del sottinteso ironico: quel che piace a voi non è necessariamente quel che piace a
me” (Giorgio Melchiori, Introd. a Come vi piace, p. 431). Ovverosia, pare che il
poeta abbia pensato in modo più articolato parole del genere: “Ma pensi chi vuol
quel che gli pare e piace, ch’alfine, o voglia o non, per giustizia la deve ognuno
intendere e definire come l’intendo e definisco io” (Giordano Bruno, De gli eroici
furori, Argomento del Nolano, p. 6).
La commedia verrà ora guardata come se volesse appunto celebrare il momento
storico della Compagnia che prendeva possesso del nuovo insediamento;
quantunque sia “sempre pericoloso leggere i drammi di Shakespeare come pièces a
clèf” (S. Schoenbaum, Shakespeare, Cap. VI, p. 84). Il suo significato di manifesto
d’arte poetica, avviluppato dentro una storia molto nota,10 distoglie da altri rimandi
riferibili alla vita teatrale dell’epoca. Si vedrà che l’operazione dell’autore, di
presentare una riduzione teatrale di un romanzo, si avvicina a quella forma artistica
che va sotto il nome di “ready-made”, del tipo rettificato, per aver rielaborato
concettualmente un libro d’uso comune. L’invenzione del ready-made, in epoca
moderna, è dovuta a Marcel Duchamp (già cit. in Eziopatogenesi, a proposito di
Belle Haleine, nel Primo l(u)ogo, parte dedicata “a Ermes”), pertanto le
osservazioni verranno effettuate in ossequio alle considerazioni che Duchamp
stesso ha trasmesso con la propria poetica.11
7. Cfr. “Il popolo giudica con gli occhi, non con la ragione” (“the distracted multitude. Who like not in their
judgement but their eyes”, Hamlet, IV, III, 4-5).
8. Cfr. “What a piece of work is a man. How noble in reason, how infinite in faculties” (Hamlet, II, II, 309-310).
“Haec tibi, non multis; satis enim magnum alter alteri theatrum sumus” (Giordano Bruno, De gli eroici furori, II, II,
p. 104. “A te, non a molti, dico questo: perché l’uno all’altro siamo abbastanza vasto teatro” [NdC.]).
9. Cfr.: “ogni tre pensieri , uno sarà per la mia tomba” (“grave”, The Tempest, V, I, 312).
10. “Per una volta tanto l’accertamento delle fonti di questa commedia shakespeariana non presenta problemi: il
drammaturgo ha seguito con sostanziale fedeltà, riproducendo tutte le situazioni e gli incidenti della trama, un’unica
fonte facilmente accessibile. Si tratta di un romanzo scritto da Thomas Lodge nel 1586-87 e pubblicato nel 1590, con
tanto successo che dovette essere ristampato nel 1592, nel 1596 e nel 1598. Il titolo è significativo Rosalynde.
Euphues golden legacie: found after his death in his Cell at Silexedra. Bequeathed to Philautus sonnes noursed up
with their father in England. Fetcht from the Canaries. By T. L. Gent. Si tratta di un vero e proprio manifesto
letterario: Lodge finge di pubblicare un’opera postuma del celebre Euphues, lasciata in retaggio ai figli del suo amico
italiano Philautus, che lo aveva accompagnato nei sui viaggi. Euphues e Philautus non sono però personaggi
realmente esistiti, ma i protagonisti dei due più famosi romanzi inglesi del Cinquecento [di John Lyly], Euphues, or
the Anatomy of Wit (1578), e Euphues and his England (1580)” (Giorgio Melchiori, Introd. a Come vi piace, p.
429-430).
11. “Somme toute, l’artist n’est pas seul à complir l’acte de création car le spectateur établit le contact de l’œuvre
avec le monde extérieur en déchiffrant et en interpétant ses qualifications profondes et par là ajoute sa propre
contribution au processus créatif” (Marcel Duchamp, Marchand du Sel, p. 172. Da ‘Art News’, estate 1957. Testo
-7-
“The only source for the text of As You Like It is the Folio of 1623” (The Arden
Edition of the Works of Wiliam Shakespeare, Introduction to As You Like It, p.
ix).12 “Si tratta nel complesso di un testo piuttosto accurato, certamente non
ricavato da una brutta copia di mano dell’autore; le didascalie sono essenziali ma
precise, i prefissi nominali sempre corretti. Con ogni probabilità è una trascrizione
in bella di un copione usato per la scena” (Giorgio Melchiori, Introd. a Come vi
piace, p. 436). Elementi che inducono a supporre che fosse destinato ad
un’eventuale stampa.
Ci si rende partecipi dell’intenzione dell’autore che ci induce a leggere il testo
secondo le indicazioni che susseguono ad una logica. Quanto si va costituendo ora
è un commento che accompagna la lettura del testo shakespeariano, affinché si
possa scoprire in quale modo, con quale method, la follia viene resa manifesta.13
Un buon cimento.
Come ardito campione io scendo in lizza,
mi siano uniche guide la lealtà e il coraggio.
William Shakespeare, Pericle, I, I, 62-64.
Paragone [Touchstone]
Il guaio peggiore è che i buffoni non possano parlare saggiamente delle buffonate che
fanno gli uomini saggi.
Celia
Hai ragione, da quando la poca saggezza dei pazzerelli è stata messa a tacere, quel poco
di pazzia che i saggi hanno s’impone fin troppo apertamente.
William Shakespeare, Come vi piace, I, II, 85-89.
Trad. di Antonio Calenda e Antonio Mediani.
Nel ripercorrerlo si userà il criterio di non seguire i passi in modo scorrevole, ma si
procederà a piccoli balzi. Si cercherà di sondare il suolo su cui poggia per prendere
contatto col substrato di fondazione onde determinare lo sfondo — sarà poi
compito dello scenografo di erigerlo —, di modo che lo sguardo abbia una
direzione e la percezione delle parole maggiore risalto; “laddove il discorso è privo
d’una esposizione fatta da Marcel Duchamp davanti alla Conferenza della Federazione Americana delle Arti, riunita
a Houston (Texas) e dedicata allo studio del “processo creativo”. La traduzione francese di questo testo è stata
eseguita da Duchamp stesso.
12. La numerazione delle righe che vengono citate nel presente contesto è talvolta diversa da questa edizione o da
altre tradotte, ma di poco. “Ogni traduzione, anche la cosiddetta versione letterale, è una forma di interpretazione”
(Hans Georg Gadamer, Verità e metodo 2, II, Cap. V, 23, Testo e interpretazione [1985], p. 303).
13. “Shakespeare assume la follia come elemento compositivo del dramma in un periodo relativamente circoscritto
della sua produzione (tra il 1599 e il 1606 circa). […] Infatti, la maggior parte delle opere di questo periodo (tra cui
includiamo anche Timon of Athen, di data incerta) mostra la tendenza, nella commedia, a condensare gli umori della
follia, con gradazioni differenziate, in due personaggi stravaganti che costituiscono la coppia su cui variamente si
misurano i protagonisti [Soprattutto in As You Like It con Touchstone e Jaques (NdA.)]” (Vanna Gentili, La recita
della follia, IV, p. 102-103).
-8-
di arte non c’è bisogno d’arte neppure per comprendere” (Friedrich
Schleiermacher, Ermeneutica, I, 3, 1, p. 201).
L’atteggiamento che verrà assunto, su queste righe di fronte al testo, sarà
analogo a quello adottato riguardo The Tempest, che ha richiesto un impegno
considerevole di interpretazione. Qui, ora, anche se si presenta una situazione
piuttosto tortuosa (tipo gimcana), la richiesta di abilità nel districarsi fra le
continue allusioni è minima. Se là il fondo era disseminato da asperità montuose,
per cui a volte è stato necessario inerpicarsi per passare oltre, qui al paragone ci si
trova su una pista ben tracciata, su un prato disteso, quant’anche abbia l’erba alta,
per il fatto di non essere frequentata dalle greggi (Cfr. “i diritti di pascolo sono ora
in vendita”, Come vi piace, II, IV, 81-82). Dopo la sua lettura, La Tempesta aveva
assunto il carattere pretenzioso di una proclamazione normativa. A seguito di
quella fatica, qui vi si trova in tono minore un divertimento per la mente, “anche
senza esecuzione e senza attori” (Aristotele, Dell’arte poetica, VI, 1550 b 18-19). Il
procedimento di analisi del testo deve avanzare speditamente, cercando di non
alterarne il carattere frivolo.
La corsa è un’intuizione, un’invenzione sul tema, partendo da una posizione
ermeneutica, precaria di per sé, anche quando viene assunto un tono assertorio da
parte dell’interprete.14 Si fa un tentativo,15 una prova (trial).
Ezio Fiorillo su moto-trial, Performance all’isola d’Elba (1974)
14. “E’ costitutivo della finitezza storica della nostra esistenza l'esser consapevoli che, dopo di noi, altri
interpreteranno in modo sempre diverso. Ma altrettanto indubitabile, per la nostra esperienza ermeneutica, è il fatto
che sempre e identica è l’opera la cui ricchezza di significati si dispiega nelle vicende mutevoli delle interpretazioni,
come sempre e identica è la storia che, attraverso i suoi sviluppi, si viene di continuo ulteriormente determinando e
difinendo” (Hans Georg Gadamer, Verità e metodo, Parte seconda, II, 3 c, p. 431).
15. “Dunque, o Socrate, se dopo molte cose dette da molti intorno agli dèi e all’origine dell’universo, non riusciamo
a presentare dei ragionamenti in tutto e per tutto concordi con se medesimi e precisi, non ti meravigliare. Ma se
presenteremo ragionamenti verosimili non meno di alcun altro, allora dobbiamo contentarci, ricordandoci che io che
parlo e voi che giudicate abbiamo una natura umana: cosicché, accettando intorno a queste cose la narrazione
probabile, conviene che non ricerchiamo più in là” (Platone, Timeo, V; 29 c-d].
-9-
Il riferimento all’io, che giustamente è stato riconosciuto proprio di ogni significare, vuol
dire, per quanto riguarda il fenomeno ermeneutico, che ogni senso trasmessoci dal passato
acquista solo in rapporto all’io comprendente la sua concretezza, nella quale viene
compreso, e non, per esempio, nella ricostruzione di un ipotetico io dell’intenzione
significativa originaria.
Hans Georg Gadamer, Verità e metodo, Parte terza, 3 c, p. 540.
L’interpretazione necessaria alla natura del testo è nuovamente metateatrale,16 allo
scopo di trovare alla commedia un senso diverso da quello noto e di scovare nuove
risorse per una messa in scena. L’impresa consiste nel mantenere in equilibrio il
mezzo che si cavalca (un veicolo metaforico), lungo un percorso logico, quando
alla metafora è affidato il compito del trasportare oltre (metaphorá), ricordando che
“usare bene la metafora significa il percepire con la mente il concetto affine”
(Aristotele, Dell’arte poetica, 22, 6; 1459 a 7-8). Il successo del comportamento è
conquistato se si evita di farsi disarcionare dal posto di guida. “L’interprete non ha
altra funzione che scomparire completamente un volta riuscita la comunicazione”
(Hans Georg Gadamer, Verità e metodo 2, Cap. V, Ermeneutica e
decostruzionismo, § 23, p. 311).
Minutolo
Andiamone raggionando per il cammino.
Severino
Come ti piace.
Giordano Bruno, De gli eroici furori. Parte II, Dialogo IV, p.149.
In Come vi piace, al di sotto del senso letterale delle parole di Touchstone,17 si
palesa un aspetto ironico che illumina una diversa dimensione della realtà testuale.
Ciò accade in una scena impegnativa, ingarbugliata da significati appartenenti a
piani diversi, quando appunto lo stesso Touchstone cerca di indurre un certo
William (a country youth, di 25 anni) ad abbandonare la società di quella femmina,
di cui sta parlando, la quale “comunemente si dice donna” (“in the common is
'woman'”, As You Like It, V, I, 50), nel senso di ordinaria, semplice, ma anche di
16. In riferimento a quel tipo di teatro che sottende per argomento l’attività teatrale.
17. La traduzione di Touchstone con Paragone (pietra di), richiama l’attenzione sul termine medesimo — cfr.
Pericle, II, II, 37 — in quanto è il punto di riferimento (termine di paragone), attraverso il quale saggiare il valore, la
capacità degli attori nel sostenere le loro parti, durante un confronto serrato. Egli ha grande importanza perché “Così
nelle tempeste della fortuna il valore reale si distingue dal valore apparente” (Troilo e Cressida, I, III, 46-47), la
sagacia dall’ottusità. Il ruolo del personaggio di Touchstone, the clown or Court fool, pare si addica a Robert Armin.
Fino ad allora le parti comiche furono appannaggio di William Kemp, che “lasciò la compagnia dei Chamberlain’s
Men nei primi mesi del 1599” (Giorgio Melchiori, Introd. a Come vi piace, p. 429), sebbene rimanesse come
azionista del Globe fino al 1602. La abbandonò con un certo rancore, visto che in Kemp Nine Daies Wonder [I nove
giorni meravigliosi di Kemp (1600)] affermò di essere “una lezione vivente per tutti quelli che lo avevano buttato
fuori, e in particolare per una certa persona definita “il mio illustre Scuotistracci”” (Anthony Burgess, Shakespeare,
p. 209), con allusione al nome deformato di Shakepeare (“Shakerags”).
- 10 -
“donna che appartiene alla comunità” (Cfr. “Doll Common”, in Ben Jonson, The
Alchemist), perché ciò equivale a “fare compagnia” (“'company'”, Come vi piace,
V, I, 49), da intendersi “società teatrale”. Egli usa un’espressione falsamente
grossolana — gente come lui “deve sempre prendere in giro qualcuno, non può
farne a meno” (Ib. V, I, 11-12), con una raffinatezza umoristica bislacca —
affinché lo “zotico”, chiamato “clown” (Ib., V, I, 11, 51) perché non è istruito — e
difatti William stesso18 non può dire di essere un saggio (“wise”, Ib., V, I, 28) —
afferri l’idea (l’allusione sofisticata), non avendo nessun diritto (“interest”,
interesse) al mondo (“in the world”, Ib., V, I, 8-9), cioé sulla donna di cui sta
parlando.
La donna in questione si chiama Audrey, non è una donna di facili costumi,
come “Doll Common” (in Ben Jonson, The Alchemist), con cui sembra
imparentata, ma un’onesta campagnola, che non sa neppure cosa “vuol dire
poetica” (“poetical”, Ib., III, III, 16). E che questo sia un riferimento all’arte
poetica è accertato dalla dichiarazione che ne fa Touchstone affermando: “la
poesia più è vera più è finta” (“the truest poetry”, Ib., III, III, 18-19), in allusione ad
un passo della Poetica di Aristotele, ove viene chiarito “che l’opera del poeta non
consiste nel riferire eventi reali, bensì fatti che possono avvenire e fatti che sono
possibili, nell’ambito del verosimile [eikós] o del necessario” (Aristotele, Op.cit., 9,
1 [1451 a 37-39]).
In questa trasposizione metateatrale, quella della fanciulla diventa l’immagine
personificata del teatro rinnovato, che ha riacquisito la primitiva ingenuità (“A poor
virgin”, Ib., V, IV, 58), come è possibile accada solo ad una n i n f a , termine
designato per divinizzare una natura marina, fluviale, oppure silvestre.19 Nome
“che originariamente significava colei che sempre rinnova la propria verginità”
(Mario Untersteiner, Le origine della tragedia e del tragico, p. 152).
Il teatro, per sua natura, deve concedersi più volte alla collettività per il proprio
sostentamento, al “pubblico carnefice” (“The common executioner”, Come vi
piace, III, V, 3). Non solo periodicamente, ma ad ogni replica il teatro si ripropone
18. Il nome coincide con quello dell’autore, il quale, se avesse voluto proiettarsi nel personaggio, si sarebbe riferito
agli anni 1589-90 quando aveva venticinque anni, all'epoca cioè del suo tirocinio di attore-drammaturgo. L’accenno
biografico era velato da un diverso aspetto altrettanto appariscente. Il finanziatore del Globe, grande amico di
Cuthbert e Richard Burbage, si chiamava allo stesso modo, “William Smith of Waltham Cross” (E. K. Chambers,
Elizabethan Stage, II, p. 399), ed era abbastanza ricco per partecipare all'affare; così Touchstone chiede: “sei
ricco?”, William: “Così così, signore” (“Art rich?” - “Faith, sir, so so”, As You Like It, V, I, 25-26). Se questo Smith
avesse ricoperto il ruolo, egli avrebbe potuto cogliere un momento di gloria, facendo da trait d’union con la realtà
del mondo delle cose. La sua comparsa in scena avrebbe potuto distogliere l’attenzione del pubblico di allora sui
riferimenti biografici del poeta. Se la sua presenza fosse stata anche fisica, la grossolanità dei modi sarebbe stata
fonte di ilarità maggiore che se la parte fosse stata affidata ad un qualunque sprovveduto attore che ammiccasse al
vero William Smith, presente in sala come spettatore.
19. Le più famose erano le ninfe della leggendaria valle di Nisa, che allattarono Dioniso “nell’antro odoroso” (Inno
omerico XXVI, A Dioniso, 6. Cfr. Ovidio, Metamorfosi, III, 314). Sono le stesse ninfe nutrici che accompagnano
“Dioniso nelle sue orge”, in riti misteriosi (Sofocle, Edipo a Colono, 678), che consistono in “ciò che non si deve
vedere” (Euripide, Baccanti, Quarto episodio, 912). Altre tengono un comportamento più esplicito, come le ninfe
Oreadi, devote ad Afrodite, che “si uniscono in amore nel profondo delle piacevoli grotte” con i Sileni, oltre che con
Ermes (Inno omerico V, A Afrodite, 268).
- 11 -
come se quanto successo la volta precedente non fosse mai accaduto, o come se le
vittime non fossero perite nonostante il sangue versato, mentre il campo d'azione
sconquassato dalle battaglie rimane sempre intatto. All’attore capiterà, diventando
un “servo” della Compagnia, di perdere la propria libertà, la propria vita, per
assumere quella del personaggio e di essere ucciso; ma anche quando gli verrà
somministrato il veleno, subirà torture, sarà trafitto da una lama, rimarrà vittima di
un complotto o cadrà in un tranello, anche allora ne uscirà incolume, fosse pure
eliminato in centocinquanta modi diversi (“a hundred and fifty ways”, As You Like
It, V, I, 57).
La commedia Come vi piace, registrata il 4 agosto 1600, sicuramente fu
rappresentata al Globe Theatre. “Lo costruirono sugli orti e terreni della parrocchia
di St. Saviour, nelle vicinanze del Rose [Theatre] e del giardino degli orsi, e della
bella grande chiesa di St. Mary Overy [attualmente St. Saviour]”, sulla riva destra
del Tamigi sul Bankside (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 227). Il 21 febbraio
1599 era stato stipulato un contratto, con il quale i membri della Compagnia del
Lord Ciambellano avrebbero fruito di un terzo degli utili ricavati dal nuovo teatro.
C’è una relazione tra il nuovo teatro e l’aspetto giovanile della ninfa. Le
leggiadre Ninfe che abitano su “l’erbose sponde” dello stesso Tamigi, furono
invitate alla scoperta di quello che si rivelerà il “sommo bene in terra”, in
Giordano Bruno, De gli eroici furori (Parte seconda, Dialogo quinto, p. 153 e
154). Bruno stesso aveva sciolto il significato allegorico delle ninfe, che vanno
intese come “le beate e divine intelligenze che assisteno ed amministrano alla
prima intelligenza la quale è come la Diana tra le nimfe de gli deserti” (Giordano
Bruno, De gli eroici furori, Argomento del Nolano, p. 15). Nel nominare Diana
Bruno faceva riferimento alla regina Elisabetta, in un paragone dello stesso
Argomento (Id., p. 19), altrove chiamata Cinzia, Vergine, Astrea.
La vista del corpo procace delle Ninfe eccita fantasie erotiche, desideri lascivi.
Pur essendo creature del sommo piacere, non è preclusa loro la maternità, spesso
conseguenza di uno stupro. Come è ovvio le Ninfe hanno una consistenza illusoria:
vivono solo tramite l’immaginazione dei poeti. Diana20 amava adunarle “intorno a
fresche fonti, o all’ombria | di verdi fronde, al tempo ch’a scaldare | comincia il sol
la state, com’è usanza; | e di verno al caldin facean stanza. | E quivi l’ammoniva
tutte quante | nel ben perseverar verginitate” (Giovanni Boccaccio, Il Ninfale
fiesolano, XIV-XV, in Opere minori in volgare, III - Cfr. Tiziano, Diana e
Atteone).
Parolles [rivolto ad Helena ]
[…] Non è politico, nella Repubblica della Natura, tesaurizzare la verginità. Perdita
della verginità equivale a incremento della razionalità; infatti, non si può dar vita a una
vergine se prima non si è perduta la verginità. Voi stessa siete fatta della lega con cui si
20. “Diana : il mio tempio è in Efeso” (Pericle, V, I, 233).
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fanno le vergini. La verginità, una volta perduta, si riproduce dieci volte, mentre quando
la si conserva ne va perduto per sempre lo stampo.
William Shakespeare, Tutto è bene quel che finisce bene,
I, I, 128-133. Traduzione di Giorgio Melchiori.
Ruffiana [rivolta a Marina]
[…] e falla finita con la verginità.
William Shakespeare, Pericle, IV, VI, 59.
Allusioni ai teatri di Londra, alle intelligenze che vi dimorano, si possono intuire
dalla trama di Come vi piace.
Si capisce che quando il personaggio di Celia,21 figlia del Duca Frederick
(usurpatore del titolo del fratello esiliato) si rivolge a Rosalind (figlia dell’ex duca),
chiamandola ripetutamente “my sweet Rose, my dear Rose” (Come vi piace, I, II,
21-22) abbia voluto fornire la chiave per raggiungere il significato nascosto, che
consiste nell’aver sottolineato cioè un riferimento al Rose Theatre e alla vicinanza
del Swan (un altro teatro), tanto vicini da sembrare due cigni (“swans”, Ib., I, III,
73), se non fosse precisato con una circonlocuzione che quello è il nome della sola
Celia (“thy name”, Ib, I, III, 78).
Insieme le due fanciulle decidono un gioco (“sport”, Ib., I, II, 27), che consiste
nel canzonare, allusivamente, con ingegno (“wit and fortune”, Ib., I, II, 111), il
Fortune22 (“the good housewife Fortune”, Ib., I, II, 31), ovvero quel teatro distante
circa mezzo miglia dal vecchio Curtain Theatre, situato nella zona a sinistra del
fiume, che si sarà notato in lontananza quando la bandiera era issata per segnalarne
l’attività.23 Lo scherzo inizia quando Celia dice (per sottintesi, s’intende) che la
21. “Celia” è il femminile di Celio — cfr. “Celio” (Urano), in Giordano Bruno, Spaccio de la bestia trionfante,
Dialogo primo, parte prima in Opere…, p. 477) —, dal lat. Coelius derivato dall’aggettivo di caelum, “celeste”.
Come termine lessicale sta per “scherzo, per lo più improvvisato durante la conversazione, basato sull’adozione di un
atteggiamento o comportamento ingannevole o burlesco” (Dizionario Devoto, ad vocem). Era lo pseudonimo di una
attrice della Commedia dell’arte, Maria Malloni (nata nel 1599), che raggiunse la maggiore notorietà con i
Confidenti di Flaminio Scala, dal 1618. “Maria Malloni era figlia d’arte, sua madre Virginia avendo militato tra gli
Uniti e i Gelosi” (Siro Ferrone, Attori mercanti corsari, p. 184). Poiché gli storici hanno confuso a volte la loro
identità, è probabile che Virginia abbia interpretato in precedenza il ruolo di un personaggio di nome Celia, un tipo
da repertorio. In Volpone (1606), di Ben Jonson, sarà il nome della moglie del mercante Corvino, mentre un
personaggio di nome Touchstone — inventato da Shakespeare — compare in Every Men in his Humour, ad indicare
la probalità di un dialogo sotterraneo tra i due autori, barricati dietro poetiche divergenti.
22. Rosalind e Celia si coalizzano cioè, per fronteggiare un altro teatro, senza che questo se ne avveda (“La Fortuna
è cieca”, Thomas Kyd, La tragedia spagnola, I, III; in Teatro elisabettiano, p.15) — “La natura unisce da pari a pari
persone lontanissime fra loro | per condizione di fortuna [fortune]; si baciano come nate insieme” (Tutto è bene quel
che finisce bene, I, I, 224-225) — e si meravigliano: “Per quanto la Natura ci abbia dato lo spirito per burlarci della
Fortuna, non è forse la Fortuna che ci manda questo buffone [fool] per troncare i nostri discorsi” (Come vi piace, I, II,
44-46), ovvero Touchstone. Se, come è possibile, Robert Armin recitò nella parte del fool Touchstone nel 1599,
avrebbe avuto circa trentuno anni; doveva aver fatto esperienza altrove della sua arte. Il suo maestro Richard Tarlton,
morto nel 1588, faceva parte della compagnia dei Queen’s Men, formatasi nel 1583.
23. “La Fortuna si mette a farmi la sgualdrina?”, chiede Pistol, in Enrico V (V, I, 83), uno spettacolo rappresentato
fra l’aprile e l’agosto 1599, sebbene il titolo fosse registrato il 4 agosto del 1600, assieme a Come vi piace.
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Compagnia del Lord Ammiraglio (Admiral’s Men), che dall’autunno del 1600 si
insedierà al Fortune Theatre,24 “favorisce di meno le donne” (Ib., I, II, 36);
probabilmente perché nei drammi da loro rappresentati i personaggi femminili
compaiono raramente. Si veda la citazione, in Come vi piace, III, V, 82, di un passo
tratto da Hero and Leander di Cristopher Marlowe (morto il 30 maggio 1593), che
era il poeta che aveva portato al successo il capo degli Admiral’s Men. Le due
amiche insistono nella burla incolpando allusivamente la Compagnia appunto del
“Fortune” di aver “una creatura fatta bella dalla Natura cadere nel fuoco” (Ib., I, II,
43-44). Questa non potrebbe essere se non l’anima di Faustus (“poore soule”,
Cristopher Marlowe, Doctor Faustus, 1707), creata appunto bella. Dopo quella
riprovazione, ogni attore che l’impersona “deve considerare la bellezza nelle anime
più apprezzabile di quella che è nel corpo” (Platone, Simposio, XXVIII, 210 b). La
prima rappresentazione documentata di questa celebre tragedia è del 30 settembre
1594 — anche se questa “non può essere stata la prima volta che il dramma
apparve sulle scene” (Mario Praz, Nota a Marlowe, Il Dottor Faust, in Teatro
elisabettiano, p. 191) — per opera della compagnia degli Admiral’s Men25 al Rose
Theatre, e ripetuta poi fino al 1597. “Dopo il 1600 gli Admiral’s Men recitarono al
Fortune Theatre, dove il dramma fu a lungo popolare grazie soprattutto alle
apparizioni dei demoni coi razzi in bocca” (Idem, p. 191).
Particolare del riquadro aggiuntivo del 1600 a John Norden,
Civitas Londini, del 1593 (Biblioteca Reale, Stoccolma).
Nella veduta della città di Londra in basso al centro, il teatro contrassegnato con
“The Stare” è quello generalmente riconosciuto come il Rose (cfr. R. A. Foakes,
24. I lavori erano iniziati i primi giorni dell'anno. Da allora rappresentò il teatro rivale del Globe (Cfr. “The slings
and arrows of outrageous fortune”, Hamlet, III, I, 58).
25. Nel 1590 si era combinata con quella del Lord Strange. “La rottura di Marlowe con Lord Strange per il suo
“ateismo”, di cui la Compagnia che andava sotto il nome di quel lord era divenuta involontariamente veicolo, fece sì
che Marlowe non scrisse più drammi per l’attore Alleyn” (Mario Praz, Nota introduttiva a Il Dottor Faust di
Cristopher Marlowe, in Teatro elisabettiano, p. 187).
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Illustration of the English Stage. 1580-1642, p. 13); mentre alla estrema sinistra
della stessa sponda è riconoscibile il Swan dalla forma cilindrica.
Il Rose, che era sorto “d o d i c i anni prima” del Globe, nel 1587, su un
“appezzamento di terra all’angolo di Rose Alley e Maiden Lane, dove in
precedenza era fiorito un giardino di rose” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 228,
153 — il risalto tipografico è aggiunto), fu inaugurato il 19 febbraio 1592 dalla
compagnia degli Admiral’s Men, con L'Ebreo di Malta di Marlowe, protagonista
Edward Alleyn.26 Il Rose era un teatro un po’ più vecchio del Swan — come
appunto Rosalind nei riguardi di Celia27 —, che verrà aperto al pubblico nell’estate
del 1596; la data si basa sulla famosa testimonianza di Joannis De Witt.
La Compagnia degli Admiral’s Men continuava a mietere successi. “In 1598 the
Rose Theatre staged plays on the life and death of Robin Hood” (nota al v. 116, in
The Arden Edition, As You Like It), per cui gli attori vivevano in un mondo d’oro
(“in the golden world”, Come vi piace, I, I, 118), dovuto agli incassi. La sua allegra
brigata va individuata per quella dell’ex duca (“old Duke”, Ib., I, I, 112), il quale
evidentemente comandava l’allegra Compagnia degli Admiral’s Men.
Dalla commedia di Shakespeare, si deduce per iperbole che alla fine del secolo
nel Curtain c’era un assembramento notevole. Vi stavano operando probabilmente
gli attori della Compagnia di Lord Pembroke, che per un breve periodo avevano
occupato il Swan,28 eretto per volontà di Francis Langley. In tempi precedenti gli
stessi membri della Compagnia s’erano uniti o ricongiunti agli Admiral’s Men al
Rose, fin quando per un litigio di Langley venne a mancare l’accordo (v. E. K.
Chambers, Elizabethan stage, II, p. 412). Nella finzione, il contrasto tra Duke
Senior e Duke Frederick, accaduto a Corte, ricorda quel dissidio o uno analogo,
che doveva essere stato la causa di una separazione definitiva. Quando poi la
Compagnia degli Admiral’s Men andò a fondare il nuovo teatro, il Fortune, il Rose
fu abbandonato al suo destino,29 forse per carenza di attori affidabili. E’ noto che
questi indossassero le livree, quando si mostravano al seguito del Lord protettore;
difatti Rosalind (ovvero la personificazione del Rose) afferma di essere stata
26. Questi sposerà il 22 ottobre 1592 la figliastra di Philip “Henslowe che era rimasto l’unico padrone del Rose”
(S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 153).
27. In una scena (I, II, 267) Celia è detta “in realtà [indeed], la più alta”, mentre Rosalind afferma di essere “più alta
del comune” (I, III, 113) e maggiormente adatta a trasformare il proprio aspetto. Se non si tratta di una svista, la
contraddizione potrebbe nascondere un riferimento alla realtà fisica imponente dell'edificio del Swan, e viceversa
all’importanza del Rose, che si erge al di sopra della media durante la finzione scenica. Oliver, in cerca della giovane
Celia, chiederà di “the woman low” (VI, III, 88).
28. Probabilmente fu a seguito della rappresentazione di The Isle of Dogs, del luglio 1597, una commedia di Ben
Jonson e Thomas Nashe andata perduta, aspramente censurata, che successivamente il Concilio Privato della Corona
(Privy Council) pretese con un ordine del 19 febbraio 1598 che il teatro fosse chiuso. Dopo un uso per
intrattenimenti occasionali, non organizzati da Compagnie stabili, il 15 maggio 1600 il Concilio ne permise l’attività
a Peter Bromwill (v. E. K. Cambers, Op. cit., II, p. 413).
29. Dopo un lento decadimento, verrà demolito nel 1606.
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liquidata: “one out of suits whith fortune”30 (Come vi piace, I, II, 240 — “ossia
“non avendo più livree (suits) di fortuna” come un servitore licenziato dal
padrone”; ndt. al verso). Non poteva essere più esplicita per spiegare la sua
presenza al Curtain.
“Il mondo è tutto un palcoscenico” (“All the world’s a stage”, As You Like It
[Come vi piace], II, VII, 140). Se si inverte la proposizione, coloro che calcano la
scena sono rappresentativi della collettività, sono tutto un mondo da esplorare. Ci si
propone quindi di continuare ad esporre rapidamente alcune notizie riguardanti i
vari teatri di Londra, che si desumono dalla “lettura” di Come vi piace, con
particolare attenzione agli spostamenti dei gruppi che hanno avuto rapporti con
Shakespeare, quelli cioè che si sono scissi dalle loro Compagnie per confluire al
Globe. E’ irrilevante, al fine del senso della commedia, una loro meticolosa
identificazione, che richiederebbe un accurato approfondimento, per avere
maggiori riscontri storici.31
Quella parte del Swan, che praticamente è nata al Curtain,32 va ad unirsi ad una
parte del Rose (alias Rosalind). Rosalind era stata accolta (“detained”, Come vi
piace, I, II, 269) ed era cresciuta a Corte (“Court”), capeggiata dal duca Frederick.
Se ora si usa la chiave di cui sopra (l’assioma), da uno scherzo si scoprirà che in
inglese “court” si avvicina per pseudo-omofonia alla troncatura (abbreviatura) della
parola “curtain” (trad. it.: tenda, sipario; cfr. Twelfth Night, I, V, 236), in modo da
rendere accettabile la proporzione: Rosalind sta al Rose, come Court sta al
Curtain.33 Celia invece è il Swan per definizione testuale (Ib., I, III, 78, — già cit.).
Quando poi Rosalind viene invitata a lasciare la “corte” (Ib., I, III, 40), anche la
figlia di Frederick si unisce nel girovagare, incontrando altri giovani, inesperti o
malpagati, che hanno rotto con la loro compagnia, ma che sono infervorati dalla
30. Cfr. “La Fortuna da vera sgualdrinaccia [whore] | ai poveri sbatte la porta [Ne’r turns the key ] in faccia” (Re
Lear, II, IV, 51-52). Cfr.: “E’ una baldracca [strumpet], la Fortuna” (Amleto, II, II, 235-236). Cfr. “la Fortuna
arridendo alla sua [di Macdonwald] impresa maledetta, si comporta come la sgualdrina d’un ribelle” (Macbeth, I, II,
14-15).
31. “Se è praticamente impossibile delineare con certezza la storia individuale di ogni autore e di ogni attore o la
storia certa di ogni gruppo d’attori e del suo repertorio, sulle compagnie, è possibile fornire alcune indicazioni”
(Anna Anzi, Storia del teatro inglese dalle origini al 1660, p. 66).
32. “The Curtain aprì i battenti nell'autunno del 1577, cioè pochi mesi dopo che il Theatre aveva sicuramente
cominciato la sua attività. Il teatro prese il nome dal fatto che si trovava nel curtain close, cioè la zona dei teatri,
circa duecento metri a sud del Theatre, dall’altra parte del vicolo Holywell” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 150).
Doveva essere decorato, dipinto pomposamente (Cfr. Come vi piace, II, I, 3), secondo le osservazioni di testimoni:
““guardate i sontuosi teatri, monumenti duraturi alla prodigalità e alla follia di Londra”” (T[homas] W[hite], A
Sermon preached at Pawles Crosse on Sunday the thirde of November 1577, in the time og the Plague, 1578, p. 47;
Chambers, Elisabethan Stage, IV, p. 197; in S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 150; citazione da un sermone
domenicale, tenuto presso la croce di St. Paul, il 3 novembre 1577).
33. Va sottolineato che John Stowe, quando nel 1598 pubblicò il suo Survey of London, trascrisse il nome del
teatro suddetto una volta “Curtine” ed un altra “Courtein”, (Shakespeare Survey, i, 93; ii, 73; riportato in E. K.
Chambers, Elizabethan Stage, II, p. 363); pertanto la ricostruzione del gioco basato sulla omofonia tra court e curtein diventa più accettabile. Non si tratta di un caso infrequente di storpiatura grafica di una pronuncia astrusa, dato
che nei documenti riguardanti la famiglia Shakespeare si trova: Shackspere, Shakesper, Shakspeare, Shackspeere (v.
S. Shoenbaum, Shakespeare, p. 40-41), nonché Shaxpere e Saxpeare.
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stessa passione (Ib., II, IV, 39, 59), finché trovano una nuova sede in un luogo
sperduto (“desert place”, Ib., II, IV, 70) e decidono l’acquisto di una capanna, da
intendersi come il Globe, di cui si sa, da una testimonianza di Thomas Platter di
Basilea, avesse il “tetto di paglia” (Ernst Schanzer, Thomas Platter’s Observations
on the Elizabethan Stage, in Notes and Querries, CCI, 1956, p. 466; riportato in S.
Shoenbaum, Shakespeare, p. 228). Le notizie della distruzione del Globe,
nell’incendio del 1613, riportano che le fiamme si propagarono rapidamente a
causa del tetto coperto di paglia.
I figli di Sir Rowland de Boys rappresentano gli attori nati dal Theatre,34 nome
del teatro in assoluto. Quello minore è trattato come un bue (“an ox”, Ib., I, I, 10.
Cfr. “a calf”, un vitello, Hamlet, III, II, 107), ovvero al Curtain gli viene affidata la
parte più gravosa. Egli rappresenta quell’attore fortemente dotato che aveva
recitato sia al Theatre che al Curtain, nel periodo in cui la compagnia del Lord
Strange si era unificata agli Admiral’s Men (1590). Ma l’idillio “non durò a lungo:
nel maggio del 1591 [Edward] Alleyn ebbe uno screzio con [Richard] Burbage e
con tutti gli attori si trasferì presso il teatro rivale, il Rose di Henslowe” (S.
Schoenbaum, Shakespeare, p. 185), anche se bisogna pensare che qualche elemento
rimanesse affascinato dalla bravura di Burbage. Questi nel 1594 fonderà i
Chamberlain’s Men (v. E. K. Chambers, Elizabethan Stage, II, p. 307).
Oliver, il primogenito di Sir Rowland de Boys, è un attore superbo e senza
rispetto (“reverence”, Ib., I, I, 51), fin quando poi si sarà umiliato a fare il pastore,
unendosi a Celia, ovvero l’ultima parte della compagnia che si era staccata dal
Curtain, e che già aveva costituito autonomamente il Swan Theatre (chiuso nel
1598, come riferito sopra, alla nota 29). Invece Rosalind rappresenta la parte più
intraprendente del Rose Theatre35 che, raggiunta ormai la popolarità (“the people
praise her for her virtues”, Ib., I, II, 275), si unirà ad Orlando, uomo generoso nelle
34. Sir Rowland de Boys — nella sua lingua (Ib., I, I, 140), il francese, verrebbe pronuciato come se fosse letto
“Roland de Bois”, che significando “Rolando da Bosco” si addice ad un boscaiolo — cela l'identità del vecchio
costruttore del Theatre, fondato nel 1576, edificato in legno (in fr.: bois). “James Burbage “il primo costruttore di
teatri” [morto alla fine di gennaio 1597], faceva di mestiere il falegname” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 149), e
come tale avrà frequentato qualche bosco speciale, per procurarsi il materiale necessario per consacrare il suo teatro,
al fine di mantenersi in sintonia con la località di Holywel (o Holywell), che prendeva il nome da un antico pozzo
sacro (v. Ib., p. 149). Frances Yates ipotizza un influsso del matematico e astrologo John Dee per la sua
progettazione, in L’arte della memoria (XVI, p. 356), avendo egli conoscenza del trattato di Vitruvio
sull’architettura. Il padre del Theatre, già attore della Compagnia dei Leicester’s Men dal 1572, aveva coperto ruoli
importanti, e i suoi figli erano “the boys”: Cuthbert, che non era attore, e Richard, il più giovane. Quest’ultimo aveva
i capelli fulvi come Orlando (Cfr. Ib., III, IV, 7); lo si è visto nel film di John Hadden, Shakespeare in love [1999].
La trama riguarda la vita del bardo dall’anno 1593, nel passaggio dal Rose al Curtain, ove avvenne la
rappresentazione di Romeo e Giulietta (normalmente datata al 1597). Un film formidabile per la dovizia di
particolari, tant’è che ci si aspettava un'inquadratura di primissimo piano sul viso di Richard (il suo ritratto si trova a
Dulwich College, pubblicato in B. K. Chambers, Shakespeare, tav. VII), per poter giustificare l’aspetto bizzarro di
un Caliban lentigginoso (“freckled”, The Tempest, I, II, 283); ma si viene consolati ammirando l’incantevole
espressione dall’attrice Gwyneth Paltrow, nella parte di Viola De Lesseps.
35. “Il Rose è anche legato a Shakespeare: il 24 gennaio del 1594, quando era la sede del conte di Sussex,
Henslowe prese nota sul suo Diario di una rappresentazione del Tito Andronico” (S. Schoenbaum, Shakespeare,
p.154. Cfr. p. 183). Shakespeare non era ancora trentenne.
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sue fatiche fisiche e mentali, sollevato dalla sua condizione subalterna (“servitude”,
Ib., I, I, 23) — Oliver lo riteneva un malvagio (“villainous”, Ib., I, I, 152) pieno
d’ambizione, ragione per cui l’odiava — per fondare il Globe assieme a Oliver,
dopo che questi verrà spiazzato dal duca Frederick, ovvero dal Curtain36 (“in our
territory”, Ib., III, I, 8), in cui pur si era ambientato completamente, a seguito della
chiusura nel 1598 del vecchio Theatre. Il duca Frederick, infine, convertito per
opera di un vecchio religioso (Ib., V, IV, 162), si ritira, lascia “l’impresa e il vano
mondo (“the world”, Ib., V, IV, 163) per una vita più spirituale (“a religious life”,
Ib., V, IV, 183), offrendo il proprio riconoscimento all’ex Duca, cui cede la
supremazia (“His crown”, Ib., V, IV, 164). Questi ne approfitta per dedicarsi
nuovamente al Fortune37 (“returnèd fortune”, Ib., V, IV, 175). Agli eredi di Sir
Rowland de Boys (il Theatre), viene lasciato il campo (“all their land”, Ib., V, IV,
165) e il comando (il ducato). Orlando quindi ha ottenuto un teatro pari al
Fortune38 (“I will buy my fortunes”, Ib., I, I, 73) per poter competere con gli altri
teatri, comprandolo con il denaro ereditato e grazie al contributo di “cinquecento
corone” (Ib., II, III, 39), risparmiate in diciassette anni di servizio (Ib., II, III, 71) dal
settantenne Adam, il servo rimasto alle dipendenze dei discendenti di Sir Rowland
de Boys (il Theatre). Il servo si chiama così per indicare che lui era il capostipite
(“unico regnante sull’universo”, Edoardo III, II, I, 265) — come è noto, dai
frontespizi dei drammi inglesi, editi all’epoca, tutti gli attori sono “servants”39 —
per il quale l’erezione del Fortune avrebbe rappresentato la sua fine (As You Like It,
II, III, 75).
La foresta di “Arden”40 (Ib., I, I, 114) era la più adatta affinché ogni situazione
potesse capovolgersi, perché luogo d’incantesimi — vi era nato William (“I thank
God”, Ib., V, I, 24).
Il teatro è un luogo leggendario, ove le battute si ricordano (per passione), ma
anche si dimenticano (per detestazione): i personaggi si attraggono o respingono,
36. Dal 1583, per un contratto di sette anni con il proprietario di famiglia dei Burbage aveva partecipato degli utili
ricavati da questo teatro. “La compagnia del Lord Ciambellano, la compagnia di Shakespeare, recitò quasi
sicuramente al teatro di Lanman [il Curtain] dal 1597 al 1599” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 151). L’esperienza
al Rose va ricordata insieme a quella del Curtain. In quest’ultima sede deve essere pur sorto qualche dissapore
riguardo le capacità istrioniche. Non c’è rosa senza spine, “è giusto che questo spino s'accompagni alla rosa di
gioventù” (“rose of youth”, Tutto è bene quel che finisce bene, I, III, 128-129).
37. “Il teatro che issava la bandiera della Signora Fortuna, aprì nell’autunno del 1600 e rimase un'istituzione di
Finsbury per due decadi” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 229). Philip Henslowe, che già possedeva il Rose, ne era
il proprietario. “La Fortuna, diceva, non era una dea” (Tutto è bene quel che finisce bene, I, III, 111). Bisogna
immaginare che attori di importanza marginale provenienti da altri teatri fossero sospettati come spie, suscitando
interrogativi, del tipo: “cosa avete fatto alla Fortuna ch’ella vi manda in prigione qui?” (Amleto, II, II, 240-242). La
battuta per lo meno esprime il vivo timore di una loro infiltrazione.
38. “colui tra’ mortali si può con verità chiamare beato che, senza invidia dell’altrui grandezze, con modesto animo
de la sua fortuna si contenta” (Iacopo Sannazzaro, Arcadia, A la sampogna, 22-24).
39. “E poi scusate, non ci hanno sempre detto che tutti i figli di Adamo sono fratelli?” (Molto rumore per nulla, II,
I, 60).
40. Piuttosto che la “mitica foresta delle Ardenne immaginata dal Lodge”, sarebbe quella “dei cittadini incontrati da
Shakespeare nelle campagne e nei boschi di Arden presso Stratford-upon-Avon” (Giorgio Melchiori, Introd. a Come
vi piace, p. 432).
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come nel bosco (labirinto naturale) di Sogno di una notte di mezz’estate; luogo di
attrazione e repulsione, alternanza tra concordia (amore) e astio (villania), φιλία
(έρως) e νεικος — tanto per usare la lingua dei personaggi di Atene.
E questo hanno causato due fontane
che di diverso effetto hanno liquore,
ambe in Ardenna, e non sono lontane:
d’amoroso disio l’una empie il core;
chi bee de l’altra,* senza amor rimane,
e volge tutto in ghiaccio il primo ardore
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, I, LXXVIII, 1-6.
“Merlin fu quel che l’ebbe edificata”
(Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato, I, III, 33).
La rivelazione dello zotico di essere nato nella foresta di Arden equivale alla
dichiarazione del poeta di essere stato generato una seconda volta, artisticamente,
in teatro. Per coincidenza, la madre di Shakespeare si chiamava Mary Arden. Quel
teatro è un mondo immaginario, fuori dallo scorrere delle stagioni (v. Come vi
piace, II, I, 6), la cui vita non è esibita in pubblico (“exempt from public haunt”,
Ib., II, I, 15); è un luogo deserto (Ib., II, VI, 15), ideale, come un paesaggio
arcadico. E’ un teatro che sta al di là di un teatro semplicemente mostrato agli
spettatori: un ultrateatro. L’assenza del pubblico pagante nella commedia scritta è
assicurata dalla similitudine con la mancanza delle greggi di pecore,41 come invece
compariranno in tempi successivi.42 Il paragone non è irriguardoso, dacché ogni
vescovo (epískopos) ha il suo uditorio così composto, cui badare; “poi al posto del
tempio c’è il bosco e al posto degli invitati delle bestie con le corna” (Ib., III, III,
48-49).
Per continuare a dare una versione allegorica e trarre “una morale da quello
spettacolo” (Come vi piace, II, I, 44), bisogna prendere in considerazione la
visione riportata da Oliver,43 figlio maggiore di Sir Rowland de Boys, perché lo
indurrà ad una conversione e quindi alla riconciliazione col fratello Orlando,
continuamente bistrattato, costretto anch’egli a girovagare faticosamente come un
41. Cfr. “La mia più grande aspirazione è di vedere [to see] le mie pecore pascolare e i miei agnelli poppare. […]
Su raggiungiamo il gregge” (Come vi piace, III, II, 76-7; III, V, 80). Il paragone del poeta al pastore va rafforzata
dall’allusione a Marlowe (Ib., III, V, 81, già cit.), che scrisse The Passionate Shephered To His Love [Il pastore
appassionato dall'amor suo], lirica pubblicata postuma nel 1599-1600.
42. Cfr. “Vieni, dà il benvenuto ai tuoi tosatori perché il tuo buon gregge prosperi” (Il racconto d'inverno, IV, IV,
68-70).
43. Va ricordato che il conte Oliver è chiamato “frere” da Rollant, suo “cumpainz”, in La chanson de Roland
(1866, 1670). Roland (Rollant) è il nome primitivo del campione della cristianità, che in italiano viene chiamato “
Orlando ”; ciò sta a significare che l’Orlando della commedia è quello più simile al padre, così come Richard
Burbage, il grande attore che allora aveva circa trentaquattro anni — il personaggio di Orlando, molto più giovane,
viene chiamato “boy” in I, I, 51 — assomigliava al padre James. Sotto metafora: il nuovo teatro ha le sembianze di
quello vecchio; ne aveva “l’aspetto vivido e vero” (“his effigies”, Come vi piace, II, VII, 197).
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“lumacone”, trascinando “il suo destino” (Ib., IV, I, 52, 55),
dell’apparato scenico.
Oliver narra l’episodio che gli ha riferito il fratello.
il fardello
Oliviero
e sentite cosa vide [Orlando]: sotto un’annosa quercia
dai vasti rami coperti di muschio,
la cima spoglia e rinsecchita dal tempo,
un povero straccione, tutto irsuto,
stava dormendo, esausto. Intorno al collo
gli si era attorta una serpe dorata
e color verde, che con la sua testa minacciosa
strisciava verso la sua bocca aperta.
D’improvviso, vedendo Orlando, si sciolse
e in mosse sinuose fuggì in un cespuglio.
All’ombra del cespuglio stava accovacciata
una leonessa, dalle mammelle secche, senza latte.
Testa a terra, è in attesa felina del risveglio
del disgraziato. Voi sapete che l’istinto regale
di quella bestia non permette d’attaccare
ciò che sembra morto. Orlando, a quella vista,
si accosta all’uomo, e scopre
che è suo fratello, il fratello maggiore.
William Shakespeare, Come vi piace, IV, III, 104-121.
La natura di Orlando, che lo porta a non approfittare dell’occasione per vendicarsi,
infine, “lo spinse ad affrontare la leonessa, e in un batter d’occhio la uccise”,
facendo un rumore tale da svegliare Oliver (Ib., IV, III, 130-133), che prende
coscienza. Il modo di raccontare in terza persona, mostra che Oliver fosse come in
estasi (ek-stasis), ovvero di fronte al proprio stesso corpo assopito, per un esame,
un’investigazione, o come se avesse visto un proprio sogno, premonitore dei
pericoli cui andava incontro.44
Il quadro scenico è emblematico, e richiede uno sforzo di interpretazione
aggiuntivo.
Fate che i vostri begli occhi e i vostri auguri m’accompagnino nella prova (trial)
William Shakespeare, Come vi piace, I, II, 179-181.
Il serpente che si avvicina alla bocca sta ad indicare, per allegoria, in che modo le
parole velenose si stessero insinuando impedendogli il riposo, facendo di lui un
rappresentante dell’Invidia. Va sottolineato che da principio era Oliver a ritenenere
44.
Cfr. la visione di Carlo Magno, il difensore del mondo cristiano, apparsa in sogno, in La Chanson de
Roland, LVII, 724-733.
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Orlando invidioso (“an envious”, Ib., I, I, 141). Dalla letteratura latina si viene a
conoscenza che la personificazione dell’Invidia non “conosce il beneficio del
sonno, sempre agitata com’è da pensieri che la tengono desta; con dispiacere vede i
successi della gente, al vederli si strugge, e rode gli altri e insieme rode se stessa, e
questo è il suo tormento” (Ovidio, Metamorfosi,45 II, 779-782); simbolicamente si
comprende la “Invidia che mangia carne di vipera, con la quale alimenta il suo
vizio” (Idem, 768).
Giotto, Invidia, Cappella degli Scrovegni, Padova.
L’Invidia è ritratta da Giotto in preda alle fiamme mentre una serpe le esce dalla
bocca, al posto della lingua, per rivoltarsi contro, e che nonostante ciò tiene stretto
in pugno il guadagno della maldicenza, ottenuto con la sua capacità di captare i
fatti altrui, come mostrano i padiglioni auricolari particolarmente sviluppati.
È un vizio che prende coloro che non si placano del successo altrui: Orlando,
costretto in una sfida, aveva abbattuto Charles, l’attore-atleta che primeggiava sulle
scene, campione del Duca Frederick, riducendolo emblematicamente al silenzio
(“He cannot speak, my lord”, Come vi piace, I, II, 212), il peggio che potesse
capitare ad un istrione. A corte regnava l’invidia (“the envious court”, Ib., II, I, 4), e
per primo il suo capo è un invidioso46 (“envious”, Ib., I, II, 236). Frederick, quando
45. Ovidio, “il più capriccioso dei poeti”, è nominato in Come vi piace, III, III, 7. Il prezioso libro delle “Ovid’s
Metamorphoses” viene sfogliato da Lavinia per rivelare lo scempio che ha subito, in Titus Andronicus, IV, I, 42.
Probabilmente faceva parte della biblioteca del poeta, sin da giovane, forse regalato dalla madre (Cfr. Ib., IV, I, 43).
46. All’uso della parola “envy” viene attribuita una rilevante importanza nel Prologo di Eastward Ho [1604], una
city comedie di Chapman, Jonson, Marston; in particolare una nota del testo spiega che “con questo termine si fa
riferimento all'animosità insorta fra alcuni commediografi e B. Jonson nella cosiddetta Guerra dei Teatri” (Ivi, a cura
di Maura Ricci Miglietta, p. 187). “La “ guerra ” iniziò tra Jonson e Marston, accusato di fare un uso sbagliato degli
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sospettò delle doti di Oliver, lo cacciò dalla corte, mettendo sotto sequestro “his
house and lands”47 (Ib., III, I, 17), affinché andasse nella foresta alla ricerca del
proprio fratello “vivo o morto” (Ib., III, I, 6), ovverosia per potersi vendicare
dell’umiliazione subita, spinto dall’invidia.
Lo stesso Ovidio descrive i sintomi dell’Invidia, lo struggimento e il lento
logorio, causato dalla felicità del rivale, che “la brucia a poco a poco, come quando
si mette un fuoco sotto degli sterpi freschi, i quali non fanno fiamma ma si
consumano in fiacco tepore” (Ovidio, Metamorfosi, II, 810-811), e che
pittoricamente è impossibile rendere appieno.
La leonessa, invece, rappresenterebbe l’idea di una Chiesa puritana che assedia il
Teatro (l’attore incarna l’impresa) quando è inerme, che sembra morto durante
l’inattività (riposava), per aggredirlo con censure quando si presenterà in atto.
Secondo la stessa interpretazione la fiera sarebbe una rielaborazione della lupa
dantesca, che rappresenterebbe allegoricamente la Chiesa cattolica, ovvero la
Curia. La Chiesa, con la riforma protestante di Enrico VIII, era diventata “regale”
(Come vi piace, IV, III, 118), ma stava per assumere simbolicamente le sembianze
di una bestia pericolosa.48 In araldica la figura del leone è quella che ricorre con
maggiore frequenza per simboleggiare il potere del sovrano.
La belva è apparsa “smunta e affamata” (Idem, 127), quanto quella “che di tutte
brame sembrava carca nella sua magrezza, e molte genti fe’ già viver grame”
(Dante Alighieri, La Divina commedia, Canto primo, 49-51); la mancanza di latte
della leonessa fa presumere che non fosse in grado di soddisfare le esigenze della
prole, quindi dei fedeli, i figli della Chiesa.
E’ noto come i Puritani avversassero i teatri e facessero battaglia per farli
chiudere per sempre, soprattutto in occasione dei periodi di peste, quando gli attori
ripetutamente erano inattivi e le sedi sbarrate per decreto del Consiglio Privato
della Corona,49 come quello del 28 gennaio 1593 o quello del 3 febbraio 1594, ed
“ umori ” che erano invece così ben delineati, secondo Jonson, nella loro natura e nella loro funzione, in Every Man
in His Humour. La scintilla che fece scoppiare la guerra fu la revisione attuata da Marston della satira anonima
Histriomastix [1599], nella quale Jonson si riconobbe nei panni di Crysoganus, un personaggio non di suo gusto”
(Anna Anzi, Storia del teatro inglese dalle origini al 1660, Cap. III, p. 151).
47. Il 13 aprile 1597 era scaduto il contratto di affitto del terreno su cui erano stati costruiti il Theatre e le case
circostanti.
48. “A parte l'ordinamento e la liturgia, la chiesa elisabettiana era mal vista dai puritani, non senza ragione, a causa
dei suoi molti abusi amministrativi” (Cambridge University, Storia del mondo moderno, Vol. III, Cap. IV, a cura di
T. M. Parker, p. 130). Capo della corrente oltranzista puritana, che tendeva “a considerare il sistema calvinista ancor
più essenziale di quanto non lo proponesse lo stesso Calvino” (Idem., p. 129) era Thomas Cartwright, che in “A
seconde admonition to parlament (“Seconda ammonizione al parlamento”) affermava che lo stato deve essere in
armonia con la chiesa, e il governo dell'uno col governo dell'altra” (Ib., Cap. XVI, p. 634). John Whitgift, il futuro
arcivescovo di Canterbury, allineato sulle posizioni della regina Elisabetta, “attaccò Cartwright con la sua Answere
(“Risposta”) e Defence of the answere (“Difesa della risposta”) entrambe del 1572” (Ib., p. 635). Alcuni anni dopo
Cartwright fu arrestato sotto l’accusa di aver predicato illegalmente e di non voler rivelare i nomi degli autori di
libelli che attaccavano i vescovi, “ma alla fine Cartwright e altri elementi puritani come lui imprigionati fecero atto
di obbedienza alla supremazia regale e furono liberati nel 1592” (Ibidem, Cap. IV, p. 132).
49. Il Consiglio “contava tra i suoi membri principali alcuni uomini di tendenze puritane” (Cambridge University,
Storia del mondo moderno, Vol. III, cap. IV, p. 131).
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obbligati a lunghe tournées, lontani da Londra. La riprova degli attacchi dei
puritani contro la poesia drammatica spiega il ricorso a pubblicazioni nel 1595 che
ne difendessero i valori, come quelle di Philip Sidney, autore insigne di poesia (v.
The Defence of Poesie, ed. W. Ponsonby, An Apologie for Poetrie, ed. H. Onley —
un libro composto forse nel 1580), John Harington (Apologie of Poetrie), Samuel
Daniel (Defence of Ryme). Successivamente, nel 1598, il trattatello di Sidney verrà
pubblicato di nuovo insieme alla terza edizione di Arcadia e Astrophel and Stella.
Nella primavera del 1594, quando i teatri riaprirono i battenti, i censori saranno
stati in agguato. “Alcuni anni prima, predicando [nel camposanto] presso la croce
di S. Paolo [che si trovava sul lato nord-est della chiesa], il reverendo T.
Wilcocks,50 aveva dimostrato con un ferreo sillogismo che “a ben guardare la causa
della peste è il peccato, e che la causa del peccato è il teatro: perciò la causa della
peste è il teatro” [cit. da F. P. Wilson, The Plague in Shakespeare London, Oxford,
1927, p. 52]” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 186).
Che il serpente si allontanasse alla vista di Orlando sarebbe comprensibile se
egli, da personaggio più giovane, rappresentasse nel contempo anche quello più
potente. Con Ercole potrebbe esclamare: “Ma vincere i serpenti è un lavoretto che
facevo quand’ero nella culla”51 (Ovidio, Metamorfosi, IX, 67). Fra le diverse
fatiche impostegli, Ercole aveva abbattuto il leone di “Nèmea”52 (Pindaro, Istmica
6, 63) strangolandolo con le sue possenti braccia (“pressus lacertis gemuit Herculei
leo”, Seneca, Hercules furens, 225). L’invincibile eroe è riconoscibile dalla sua
possente mole ricoperta dalla pelle di leone, “ottima difesa alle ferite in guerra”
(Teocrito, Idilli, XXV, 279-280), e dall’uso delle “fauci spalancate come elmo”
(Apollodoro, I Miti greci [Biblioteca], II, 4 [10]). Come lui Orlando è in grado di
annientare ogni belva del genere, sebbene a costo di un dispendio d’energie (“and
now he fainted”, As You Like It, IV, III, 149).
50. Edmund K. Chambers attribuisce il sermone a Thomas Withe, obiettando: “The sermon is sometimes claimed
for Thomas Wilcox: but he was in ecclesiastical disgrace in 1577 and unlikely to have access to Paul’s Cross”
(Elizabethan Stage, IV, p. 197). Altra parte della predica stessa è stata considerata in precedenza, riguardo l’aspetto
dei teatri.
51. L’infanzia di Ercole che “entra, strangola il serpente” è menzionata in Pene d’amor perdute, IV, II, 128-129.
52. Amleto per esaltare la robustezza delle proprie arterie le ha paragonate ai “nervi del leone di Nemea” (Amleto,
I, IV, 83; nello stesso dramma v. il paragone a “Hercules”, I, II, 153).
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Eracle contro Gerione (X fatica). Vaso del pittore Euphronios.
(Monaco, Antikensammlungen).
Senza descrivere la dinamica degli avvenimenti, né indugiare sull’aspetto
prettamente filosofico — se la poetica “ha a che fare con la verità” (Come vi piace,
III, III, 17) — ora vengono indicati sommariamente gli altri spunti della
concordanza di personaggi della commedia con le figure del teatro elisabettiano, a
cavallo del secolo. La trama nascosta è più forte di quella manifesta.
Il giovane Orlando, proprio come il furioso eroe dell’Ariosto, rispondendo a
qualunque sfida (Ib., I, II, 163, 211), sbaraglia l’avversario ad ogni incontro di lotta,
e va quindi considerato ancor meglio un Ercole, una figura invocata da Rosalind
(“Now Hercules be thy speed”, Ib., I, II, 204) per la sua forza tremenda,
normalmente ritenuto figlio (“fruit”) di Giove53 (Ib., III, II, 238).
Si immagina che anche Orlando si sarà presentato all’annuncio dell’incontro (“to
perform it”, Ib., I, II, 141) con quella targa (“With bills”, Ib., I, II, 119) che
contrassegnava il teatro Globe per gli annunci dello spettacolo — l’universo era “il
suo carico” (Amleto, II, II, 367) — e sulla quale probabilmente era raffigurato
Ercole con accanto l’arco e le frecce (“his bow and arrows”, Come vi piace, IV, III,
4). L’arco era l’arma usata dall’eroe tebano (Cfr. Euripide, Eracle, 1098) per
colpire da lontano, mentre per le distanze ravvicinate si avvaleva della pesante
clava54 (“rópalon”, Sofocle, Le Trachinie, 513, in Tragedie, Vol. I).
Orlando rappresenta la rude possanza dell’attore protagonista nel rigoglio della
propria giovinezza, “senza aver mai studiato, è colto; pieno di nobiltà” (Come vi
53. Touchstone, nella sua veste gioviale di clown, viene assimilato a Giove (Come vi piace, II, IV, 1) in compagnia
del suo bel Ganimede, che così s’era fatta chiamare Rosalind sotto mentite spoglie.
54. Nello stesso passo il Coro ricorda di quando l'eroe scuoteva anche le lance, che invece appartengono
all’equipaggiamento dell’oplita (cfr. Euripide, Eracle, 190), e generalmente non sono contemplate nelle iconografie
che lo riguardano.
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piace, I, I, 163-164), ma piuttosto impreparato per comporre versi — v. le pagine,55
i “cattivi frutti” (Ib., III, II, 117) del teatro. I fogli che costellano i rami
corrispondono alle foglie che danno ombra e refrigerio nel bosco.
Orlando
[…] gli alberi saranno i miei libri,
e sulla scorza scriverò i miei pensieri:
chiunque volga lo sguardo in questa foresta
veda la sua virtù [di Rosalind] testimoniata ovunque.
William Shakespeare, Come vi piace, III, II, 5-8.
(“Il dardo di Cupido disintegra persino la clava di un Ercole”,
William Shakespeare, Pene d’amor perdute, I, II, 168).
Si arguisce che il Globe, oltre ad essere simile ad una capanna (“Besides, his cote”
Ib., II, IV, 81), fosse costituito (acquistato) con il contributo di una parte dei
componenti che agiva al Swan e al Rose, che si trovava a vagare come altri,
all’avventura (Ib., II, IV, 44). Il motivo era che gli attori avevano rotto con la loro
“compagnia” (Ib., II, IV, 39), e sebbene fossero spiantati tuttavia erano appassionati
(Ib., II, IV, 59), come Silvius. I finanziamenti li forniranno Celia e Rosalind (“with
your gold”, Ib., II, IV, 98), che rappresentano i giovani dei due ricchi teatri, oltre al
contributo sostanzioso risparmiato dal vecchio Adam (il residuo del Theatre),
come si è già accennato.
Tra tutti i teatri, tuttavia, il più grande e il più sontuoso è quello la cui insegna è un cigno,
chiamato in inglese Swan Theatre.
Ex Observationibus Londinensibus Joannis De Witt,
riportate in: S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 155.
Del Globe Theatre si viene inoltre a sapere che era stato eretto di recente, tanto che
i pannelli di legno erano ancora freschi, verdi (“green”, Come vi piace, III, III, 85).
Era stato costruito sfruttando in parte il materiale smantellato dal vecchio
Theatre.56 L’operazione era consentita da un articolo del vecchio contratto.
L’edificio era “all’aperto” (Ib., III, II, 17), in campagna, sorto su un suolo
attorniato da orti e “ulivi” (Ib., III, V, 75). Questi ultimi notoriamente necessitano
di un clima temperato, e quindi normalmente non vengono coltivati oltre La
Manica, sebbene a quei tempi il clima fosse più mite; sono tipici del Mediterraneo.
55. Cfr. gli scritti di Medoro per amore di Angelica, incisi sulle cortecce degli alberi, che provocarono profonda
afflizione in Orlando. “Rimase al fin con gli occhi e con la mente | fissi nel sasso, al sasso indifferente” (Ariosto,
Orlando furioso, XXIII, CXI, 7-8).
56. “L'episodio viene descritto da Giles Allen [il vecchio affittuario del terreno, avaro e puritano, convinto che “i
diritti e gli interessi del detto Theatre fossero per legge e per coscienza” in suo possesso] che, tre mesi dopo
l’accaduto [marzo 1599], nutriva ancora una rabbia impotente” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 227).
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I loro rami sono un simbolo di pace per il mondo cristiano, come sanno pure i
pagani.
Branches d’olive en voz mains porterez:
Ço senefiet pais e humilitét.
La Chanson de Roland, 71-72. [“Rami d’ulivo in mano porterete:
ciò significa pace e umiltà” (Trad. di Graziano Ruffini)].
Ciò non di meno l’arma di cui è dotato Ercole (Eracle) consiste in un tronco
d’ulivo, “divelto con tutte le dense radici” (Teocrito, Idilli, XXV, 210) dalle
pendici del monte Elicona, per essere usato a mo’ di clava nei duelli corpo a corpo,
come s’è visto in modo evidente nel vaso del pittore Euphronios e nell’Ercole
Farnese. Infatti “la clava e la pelle di leone” (Aristofane, Le Rane, 495) sono gli
elementi che permettono di distinguere Eracle. Di un abbigliamento simile si era
servito Dioniso, il dio del teatro, per mascherarsi in modo ridicolo (Aristofane, Le
Rane, 45-8 – già cit.).
L’esibizione di un campo “with olive-trees” (As You Like It, IV, III, 78) dimostra
la capacità del Globe Theatre di avvalersi di un potenziale armamentario in caso di
guerra — il legno d’ulivo oltre ad essere nodoso è particolarmente duro —, e
rappresenta un avvertimento per dileggiatori come Jonson, che, in Every Man out
of His Humour [1599], “deride sotto sotto le pretese nobili di Shakespeare (Non
Senza Mostarda)” (Anthony Burgess, Shakespeare, p. 211), in sarcastico
riferimento alla professione di suo padre, al quale da poco era stato riconosciuto il
rango nobiliare dei gentilmen, per cui poteva fregiarsi del blasone accompagnato
dal motto “NON SANZ DROICT”. L’allusione è presunta.57
In La dodicesima notte “oliva” (olive) è metatesi di “Viola”, nome della
protagonista, la quale nella commedia viene sospettata di essere “un commediante”
(Ivi, I, V, 184), per aver mandato a memoria il discorso. Con se stessa Viola, nei
panni di Cesario, in qualità di portavoce (“messenger”, Ib., I, V, 208), offre
simboli-camente una volontà di pace, che corrisponde a quella del Globe Theatre di
Shakespeare di evitare scontri.
Viola
Io non reco né dichiarazioni di guerra, né imposizione di tributi,
ma solo olivo di pace [I hold the olive in my hand].
William Shakespeare, La dodicesima notte, o quel che volete,
I, V, 213-214.
57. ”Non troviamo nessun motto al di sopra dello stemma scolpito sul monumento a Shakespeare nella chiesa
[Holy Trinity] di Stratford” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 250).
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La dichiarazione va messa in rapporto alla cosiddetta war stage, o poetomachia,
sopra accennata; anche se la critica in generale, ad ogni latitudine, non ha afferrato
le sottili frecciate di Shakespeare, ma ha solo accusato le sciabolate di Jonson,
vibrate dal pulpito dei suoi prologhi.58 La guerra era scoppiata a causa di
Histriomastix [Il fustigatore degli istrioni (1599?)], scritto da John Marston per i
St. Paul Boys, poiché consisteva in “un attacco contro le compagnie di attori
professionisti che vengono definite bande di ignoranti e incompetenti” (Anna Anzi,
Storia del teatro inglese dalle origini al 1660, Cap. III, p. 162). Altra menzione
della battaglia viene rintracciata in La dodicesima notte (1601), allorché Viola,
sotto mentite spoglie maschili, viene coinvolta in un duello ridicolo, senza la sua
volontà, come risulta dalla sua dichiarazione desolata (“I do assure you, ’tis agains
my will”, Ivi, III, IV, 316). Il conflitto verrà risolto poi dal fratello gemello, per
uscirne “sano e salvo” (“with wit and safety”, Ib., V, I, 212). I rancori di un
acerrimo conflitto (“quarell”, Ib., III, III, 31), sono ricordati come sfondo dal
personaggio Antonio della commedia stessa, quando la lite era già stata ricomposta
(Id., 33).
Come s’è detto, il personaggio del vecchio Adam (menzionato anche
nell’Edoardo III), rappresenta il capostipite degli attori di professione, dell’epoca
in cui tutto l’universo teatrale era rappresentato dal (al) Theatre. Con la sua fatica
di potare “un albero marcio”, in riferimento al riadattamento di drammi del vecchio
repertorio, inutilmente riproposti per mancanza di successo (come appunto il
remake di Edoardo III), egli non riesce a ottenere “neanche un fiore” (Ib., II, III,
63), e di conseguenza neppure frutti. I frutti sono quelli che danno la forza di
recitare, non vanno toccati (“But forbear, I say, | He dies that touches any of this
fruit”, Ib., II, VII, 98-99). Sono quelli offerti dalle altre compagnie (“Sit down and
feed”, Ib., II, VII, 105) o scaturiti di sana pianta — come si suol dire — come le
pagine scritte, che sono state giudicate pessime (“bad fruit”, Ib., III, II, 117), appese
agli alberi della foresta da Orlando. I versi potrebbero migliorare con l’esercizio
della viva voce, ma questo “lasciate che lo giudichi la foresta” (“let the forest
judge”, Ib., III, II, 123).
Se Shakespeare ha voluto comparire allusivamente con il personaggio di
William, è perché ha scelto di mettere la sua firma; c’è da credere quindi che tutti i
componenti del Globe compaiano, nel modo a loro congeniale, a sottoscrivere la
costituzione del nuovo teatro, per siglare un accordo che rimanga a memoria
imperitura del più celebre teatro della sua epoca, se non il più famoso teatro del
mondo, dopo quello di Dioniso ad Atene, s’intende.59
58. L’ultima stoccata è indirizzata agli ultimi drammi di Shakespeare, in cui vengono rappresentate delle
“tempests”, in Ben Jonson, Bartholomew Fayre. (The induction on the stage, 131). La commedia fu rappresentata nel
1614.
59. Dioniso è la divinità del mascheramento. Nelle Baccanti di Euripide si mostra ai mortali nei panni dello
Straniero e manifesta la propria potenza destinando al sacrificio Penteo, travestito da donna. Il dilaniamento delle
carni (σπαραγµος, sparagmós) è la sorte della vittima, che in questo modo viene accomunata a Dioniso stesso. La
sua testa — nella finzione scenica è la maschera — viene portata in trionfo “come fosse il cranio di un leone di
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Touchstone
O signore, noi litighiamo soltanto con lo stampato a portata di mano, con l’occhio al
libro*
William Shakespeare, Come vi piace, V, IV, 91-92.
Trad. Gabriele Baldini.
[“O sir, we quarrel in print, by the book;
as you have book for good manners”].
[La supervisione dell’opera sarà officiata al momento giusto (l’indomani) da uno migliore di Sir
Oliver Martext (a country vicar), che unirà Touchstone a Audry, la quale desiderava tanto
“essere una donna di mondo” (“of the world”,
Come vi piace, V, III, 4-5)], per combinare attore e scena nello spettacolo.
* “book” è anche il termine usato ad indicare il copione.
Tanto basta per essere satolli di questo gustoso scherzo metateatrale, fatto di
innumerevoli similitudini (“similes”, Ib., II, I, 45) che fanno parte di una messa in
scena ultraterrena, ordita in onore di Celia; un personaggio, che dalla scelta di farsi
chiamare emblematicamente “Aliena” (Ib., I, III, 126) — dal lat. “alienus”, estraneo
—, esprime il suo allontanamento dalle origini materiali, e con la sua estraneità
dichiara di far parte di un’altra dimensione, di aver la possibilità di essere
trasformata “in mostro” (“monster”, Ib., I, II, 21; dal lat. monstrum), appartenendo
ad un teatro piuttosto strano,60 che si distacca da se stesso per osservarsi.61 Non di
meno il nuovo nome potrebbe riferirsi alla disciolta compagnia di Lord Strange, il
quale ha per significato “strano”.62 Il suo ruolo era affidato ad un attore, come
rivela quello che impersona Rosalind nell’epilogo (Cfr. “If I were a woman”, Ib.,
V, IV, 216), sottolineando di appartenere alla realtà camuffata del teatro.
Il successo dello spettacolo era garantito “apostrofando Madonna Fortuna in
dotti accenti, dotti e sofistici” (“And railed on Lady Fortune in goods terms | In
good set terms”, Ib., II, VII, 16-17).
William
Ay, sir, I have a pretty wit.
William Shakespeare, As You Like It, V, I, 29.
[“Ho abbastanza spirito, signore”].
montagna” (Euripide, Baccanti, 1542). “Ad Atene il “ dio maschera ” era la statua cultuale nel Lenaion, il tempio in
cui veniva celebrato il compleanno del dio” (Karl Keréni, Dioniso, p. 263).
60. “Ciò che aliena e rende incomprensibile un testo deve essere superato dall’interprete” (Hans Georg Gadamer,
Verità e metodo 2, Cap. V, § 23, Testo e interpretazione, p. 311).
61. Come vi piace rappresenta una svolta decisiva nell’esperienza del suo autore. “Il nucleo dell’opera
shakespeariana e di tutto il dramma moderno è formato dal processo dell’autoconoscenza, e il valore etico del
problema, così come la tragedia lo formula, sta nell’esclusione del compromesso, che rifiuta la semplice parvenza e
rivela l’eroe nela sua vera natura, in primo luogo a se stesso” (Arnold Hauser, Il Manierismo, VII, L’alienazione,
chiave del Manierismo, p. 105).
62. Vedi il gioco di parole fra “stranger” e “strange” in Cymbeline (II, I, 33-36).
- 28 -
C’è da giurare che l’invisibile mago di Come vi piace, se lo si fossse convocato per
alcuni chiarimenti — “Wit, whither wilt?” (Ib., IV, I, 162) — sarebbe comparso
col nome di “Atlante”. Qualcuno potrebbe obbiettare che “il Fattore e il Padre di
questo universo è molto difficile trovarlo e, trovatolo, è impossibile parlarne a tutti”
(Platone, Timeo, 28 c). È vero. Difatti egli stesso si rivelerà solo a quegli animi
nobili che verranno purificati dei loro errori durante il percorso63 (v. The Tempest,
V, I, 106-107) — secondo le considerazioni già esposte a riguardo de La Tempesta.
La fotografia della scultura più sotto mostra “Atlante che il cielo [caelum] col
capo sostiene” (Virgilio, Eneide, IV, 247); “questa sorte infatti a lui assegnò il
saggio Zeus” (Esiodo, Teogonia, 520). Appena si presentò Ercole, il titano colse
l’occasione per tentare di liberarsi per sempre di tutta la fatica del globo.
Atlante Farnese, Museo Nazionale di Napoli.
E’ sottinteso che l’autore (poietes, il creatore) di Come vi piace, che dal 159064
frequentava il Rose (Ivi, V, IV, 33), ha fatto la sua bella fatica a produrre la mole di
lavoro65, prima di affidarlo all’interprete. Sostanzialmente il poeta opera all’oscuro,
63
“Ma se non è purificato il cuore [pectus], in quali battaglie allora e in quali pericoli dobbiamo contro voglia
addentrarci! Che aguzzi stimoli di desiderio straziano allora l’uomo inquieto, e insieme quali timori! E la superbia, la
sordida avarizia, l’insolenza? Quali devastazioni fanno! E il fasto e l’inerzia?” (Tito Lucrezio Caro, La natura, V,
43-46).
64. La data si basa sulla congettura che il Rose Theatre era stato fondato nel 1587 e che Rosalinde (ancora il Rose)
dichiara di aver avuto familiarità col mago (il poeta), “a great magician” (As You Like It, V, II, 61), dall'età di tre
anni. Il giovane attore che interpretava il personaggio femminile doveva avere non meno di tredici anni; spesso ne
aveva quattordici, ma non più di quindici, come il peronaggio di Miranda richiede (Cfr. The Tempest, I, II, 41).
65. “Dopo Dio Shakespeare è il più grande creatore” (James Joyce, Ulisse, IX, p. 291).
- 29 -
con la propria magia, e non va ritenuto responsabile della qualità di quello che
appare in scena, e quindi non è condannabile (“damnable”, Ib., V, II, 63).
In altro contesto, di Atlante (“Atalante”) vengono sottolineate le doti di “grande
astrologo e indovino” (Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato, II, I, 77). Egli
era il mago che cavalcava l’ippogrifo (Ludovico Ariosto, Orlando Furioso,66 IV,
XVIII), “il quadrupede augello” (Ib., II, XLVI), simbolo della capacità creativa
dell’immaginazione, e che “aveva un castello | forte e ben posto, a meraviglia
bello” (IV, XLI). Con l’ippogrifo Ruggiero “sale inverso il ciel […] e per l’aria s’en
va come legno unto | a cui nel mar propizio vento spira” (Ib., IV, XLVI, L). Lo
perde e lo guarda mentre “salia in aria a più libero corso” (Ib., XI, XIII). Verrà
ritrovato da Astolfo, dopo esser riuscito, con l’aiuto di un libro contro gli
incantesimi, a far sì che ad Atlante svanisse “il palazzo in fumo e in nebbia” (Ib.,
XXII, XXIII), “into thin air” (The Tempest, IV, I, 150).
“Totus mundus agit histrionem,67 proclamava la scritta che campeggiava,
accanto alla figura di Ercole, sullo stendardo del “Globe”” (Fernando Ferrara,
Shakespeare e la commedia, II, Come vi piace, p. 347). La riproposta grafica
dell’insegna del teatro, “A Sign-Board for the Globe”, che mostra Hercules barbuto
inginocchiato mentre sorregge l’universo, è pubblicata in Irwin Smith,
Shakespeare’s Globe Playhouse, a p. 50 e nella tav. 29. La figura è stata copiata da
un arazzo fiammingo del 1550 circa.68 La scritta ai suoi piedi reca appunto tale
motto, che Edmond Malone (Variorum edition of Shakespeare’s works, London
1821, III, pp. 66-7) ha derivato per congettura, basandosi su delle note di William
Oldys (1696-1761). Nella targa Ercole non è distinguibile iconograficamente
dall’Atlante Farnese, il quale si differenzia solo per la posizione invertita del
ginocchio flesso e per il volume del globo fasciato dallo zodiaco; analoga è
l’immagine di un arazzo per la messa in scena di testi shakespeariani al Globe
Theatre ricostruito di recente (nel 1996, v. J. R. Mulryne and M. Shewring,
Shakespeare’s Globe Rebuilt, plate 26-27).
66.
Del poema “la versione inglese più nota è quella di John Harligton [o Harington] che nel 1591 fornì una
traduzione integrale dell’Orlando Furioso” (Giorgio Melchiori, Intod. a Molto rumore per nulla, p. 222). Il testo era
preceduto da una Apologie of Poetrie (già cit.), importante per il tentativo di riportare in auge l’allegorismo, che solo
più tardi trionferà nei masques; in essa “gran parte degli argomenti sono tratti dal trattatello dello Sidney” (Silvio
Polidori, Introd. a Sir Philip Sidney, La difesa della poesia, p. 15). Robert Greene ne fece una riduzione per le scene,
affidata contemporaneamente a due Compagnie. “Nel 1592 qualcuno, celandosi dietro lo pseudonimo di Cuthbert
Cunny-Catcher [in The Defence of Conny Catching], scrisse: “ Chiedi agli attori della regina se non hai venduto loro
l’Orlando Furioso per la somma di venti nobili, e quando se ne andarono in provincia vendesti la stessa opera alla
compagnia del Lord Ammiraglio per la stessa somma. Non sei forse andato a caccia di conigli [di ingenui], signor R.
G.? [Robert Greene]” (S. Schoenbaum,Shakespeare, p. 167). La parte di protagonista dell’Orlando furioso di
Greene nel 1594 era stata sostenuta da Edward Alleyn degli “Admiral’s men” (E. K. Chambers, Elizabethan Stage,
II, p. 298).
67. “La metafora del mondo come teatro, cioè pura parvenza, è antichissima, forse introdotta in Inghilterra da
Giovanni di Salisbury (secolo XII) nel cui Policraticus si trova quel motto “ totus mundus agit histrionem ” che
divenne nel 1599 l'emblema del teatro Globe” (Nota di Giorgio Melchiori in: William Shakespeare, Sonetti, p. 15).
68. Cfr.: “il rasato Ercole negli arazzi macchiati e mangiati dai vermi, con la braghetta nocchiuta come la sua
clava” (Molto rumore per nulla, III, III, 135-137).
- 30 -
Gli inglesi, attraverso il teatro di Seneca rappresentato nelle università e negli Inns
of Court, conoscevano il modo in cui Ercole si era assoggettato.
mise la testa sotto il firmamento [mundo], il peso dell’immensa mole non piegò le sue
spalle e la volta del cielo stette posata a metà del collo di Ercole.
Seneca, La follia di Ercole [Hercules furens], 70-72.
Traduzione di Giancarlo Giardina.
(Cfr. Ovidio, Metamorfosi, IV, 198).
Tempio di Zeus ad Olimpia (Mu).seo
La metopa mostra Atlante mentre consegna i pomi ad Eracle, che sorregge il globo
mantenendosi in posizione eretta (visibile è solo il cuscino di sostegno).
La leggenda di Ercole (XI fatica) che sorregge il Globo, sostituendosi
temporneamente ad Atlante affinché, secondo il suggerimento di Prometeo, gli
portasse le mele d’oro dal giardino delle Esperidi, da donare al re di Micene
Euristeo, si trova a volte descritta dai poeti in modo differente per alcuni
particolari.69 Con la dodicesima fatica, l’uccisione di Cerbero negli Inferi, Eracle
avrebbe meritato l’immortalità, profetizzata dall’oracolo di Delfi.
E’ all’attore che viene affidato l’onere enorme del teatro durante lo spettacolo.
Le sue fatiche valgono ben quelle di un Ercole.
69. “Alcuni dicono che le mele non le ebbe da Atlante, ma che le colse lui stesso dopo aver ucciso il serpente che le
custodiva” (Apollodoro, I Miti greci [Biblioteca], Libro II, 5 [121]). Emulando questa variante del mito, “Leandro
entrò nel giardino delle Esperidi, i cui frutti nessuno può descrivere, se non colui che li coglie e li scuote dall’albero
d’oro” (Cristopher Marlowe, Ero e Leandro, 753-755). Shakespeare avverte che sono “fatali al tocco: draghi di
morte ti faran tremare” (Pericle, I, I, 29).
- 31 -
Nella terza classe gli studenti facevano la conoscenza di poeti latini morali moderni come il
Palingenius70, il cui Zodiacus vitæ insegnò a Shakespeare il grande detto che tutto il mondo
è un teatro.
S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 84.
Il poemetto di Palingenio proveniva dallo stesso ambito culturale dell’Orlando
innamorato, dedicato dal Boiardo “A lo illustrissimo signor Ercole duca de
Ferrara”, il primo lettore e interprete. Così l’Orlando furioso, suo proseguimento,
fu offerto dall’Ariosto alla “generosa Erculea prole” (Ivi, I, 3), ovvero al cardinale
Ippolito d’Este. Se il richiamo del titolo dell’Ariosto fosse davvero rivolto a
Hercules furens di Seneca, egli avrebbe riconosciuto l’importanza della mole
sapenziale (enciclopedica) dell’illustre predecessore, e, identificandosi per gioco
con Atlante avrebbe potuto aspirare ad un’opera immensa, complicando e dilatando
la materia da grande prestigiatore, con continue divagazioni, sotto gli occhi dei
lettori incantati.
Il Globe. A sostegno della scelta del nome assegnato al teatro, viene fatto un
collegamento a Sphæra, l’opera di Ioannis De Sacro Bosco.71 Giordano Bruno le
dedicò un insegnamento a Tolosa nel 1580. Quando giunse a Londra nel 1583,
dopo il soggiorno a Parigi (1581-82), pare abbia tenuto delle pubbliche letture
sullo stesso argomento, in de quintuplici sphaera (Doc. Veneti, XII), secondo la sua
stessa testimonianza; e quindi bisogna pensare che il volumetto, stampato a Parigi
nel 1551, circolasse nell’ambiente culturale dell’epoca.
70. “Zodiacus vitae [1536], un poema latino in esametri, il cui autore un po’ misterioso, Marcello Palingenio
Stellato [1500/03-1543], ossia Pier Angelo Manzolli della Stellata presso Ferrara, fu nel secolo XVIII addirittura
identificato col Ficino” (Eugenio Garin, Lo zodiaco della vita, p. 119). E’ consultabile presso la Biblioteca Nazionale
Braidense di Milano, nell’edizione del 1608, suddiviso in dodici libri o capitoli; reca ancora la dedica in “Laude
dignissimum Ferrariae Ducem, Herculem secundum” (Prefatio).
“Quanto sublime ingegno crederete palesi Palingenio in quel suo dimesso poema?” (Giordano Bruno, Oratio
valedictoria [Wittenberga, 8 marzo 1588], in Opere di Bruno e di Campanella, p. 679).
71. “il suo piccolo libro sulla sfera è rimasto per quasi quattro secoli il principale trattato di astronomia elementare.
Non conosciamo quasi nulla della vita di Giovanni di Sacrobosco, o John of Holywood, tranne che morì a Parigi nel
1256 […], prima di lui nessuno scrittore europeo del Medioevo aveva dato un’esposizione sia pure elementare del
sistema tolemaico dei moti planetari” (J. L. E. Dreyer, Storia dell’astronomia da Talete a Keplero, Cap. X, p. 213).
- 32 -
Sphæra Ioannis De Sacro Bosco, p. 12 r.
Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, Milano, Fondo Morando, K 45.
La pagina riprodotta riguarda la definizione della “sfera”, tratta da Elementi di
Euclide.72 Cicerone spiega che “ex solidis globus (sic enim σϕαιραν [sphaîran]
interpretari placet) [etc.]”73 (De natura deorum [Sulla natura degli dei], II, 47) è la
forma geometrica che più si addice a considerare la figura del “mondo”
(“mundum”, Idem, 48). Infatti “Il cielo [oyranón] deve avere una forma sferica
[sphairoeidès], poiché questa è la più adatta alla sua sostanza ed è prima per
natura” (Aristotele, Il cielo, II, 4, [286 b 10]). Lo “σφαιρος [sphaîros]”, che “da
ogni parte è uguale, e senza confini per ogni dove” (Empedocle, Poema fisico, 28
[fr. 28]), corrisponde per significato all’italiano “universo”. Da ciò consegue che in
inglese il termine “Globe” sia stato scelto come sinonimo di “World”, per un teatro
72. L’opera era nota in Inghilterra dal 1570. “All’amirevole traduzione di [Sir Henry] Billingsley John Dee
aggiunse la sua influente Mathematicall Preface” (Peter French, Vita di John Dee, Cap. VII, p. 104). “In questa
prefazione Dee cita ripetutamente Vitruvio” (Frances Yates, L'arte della memoria, XVI, p. 335). “Dee fu assente
dall’Inghilterra durante la maggior parte del soggiorno di Bruno; egli partì per i suoi viaggi sul continente nella
seconda metà dell'anno (1583) in cui arrivò in Inghilterra. Nel 1585, quando Bruno era in Inghilterra, Dee si trovava
a Cracovia, dove incontrò l’ermetico Annibale Rosselli” (Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica,
cap. X, p. 210-211); ciò non di meno Giordano Bruno poté incontrarsi con il più eminente discepolo di John Dee, il
poeta Philip Sidney, che aveva studiato astronomia a Venezia nel 1573. La conoscenza del trattato di architettura,
pubblicato a Venezia nel 1556, potrebbe essere stata determinante per l’edificazione dei teatri inglesi.
73. “tra i solidi il globo, ecco c o m e m i p i a c e i n t e r p r e t a r e la parola sphaira, [ecc.]”. Il rilievo
tipografico nella traduzione vuole sottolineare come sia possibile che Shakespeare abbia voluto richiamarsi
direttamente a questo passo per il titolo della sua commedia, scritta in occasione della nascita del nuovo teatro.
Amleto deve aver studiato accuratamente gli scritti latini di Cicerone, prima ancora di quelli di Quintiliano (Institutio
oratoria), per poter impartire suggerimenti agli attori riguardo l’arte dell'interpretazione, della “recitazione”
(“playing”, Amleto, III, II, 22), dato che “Tully Orator”, in Titus Andronicus (IV, I, 14), è citato come lettura. In esso
l’oratore prende esempio dall’attore, in quanto i loro compiti sono simili, ovvero: “io parlando dell’oratore, tengo un
atteggiamento analogo a quello che adotterei se dovessi parlare dell’attore” (“histrione”, Marco Tullio Cicerone, De
oratore, III, 22 [83]).
- 33 -
che si fonda sulla parola.74 Si può quindi essere certi che in Come vi piace al Globe
Theatre venisse rappresentato, da parte degli attori, innanzi tutto il gusto di i n t e r
p r e t a r e il mondo, esattamente come piace loro.
Si può cogliere, dalla menzione all’armonia delle sfere celesti che stava per
essere compromessa (“discord in the spheres”, Come vi piace, II, VII, 6), una
probabile allusione ad una raffigurazione presente in sala, che non si accordava con
la concezione copernicana sulla disposizione delle orbite planetarie rispetto al
centro75 — come viene rappresentata in Sphæra (p. 13 r) —, circondate dopo le
stelle fisse dai segni dello Zodiaco.76 Il suo schema grafico avrebbe potuto
funzionare per affinare la capacità mnemonica degli attori. Uno studioso moderno,
L. A. Post, ha supposto che Metrodoro di Scepsi77 “si servisse delle immagini
astrologiche come luoghi che dovevano assicurare ordine nella memoria, proprio
come i luoghi normali memorizzati negli edifici assicuravano il ricordo delle
immagini poste in essi, e le cose o le parole associate con esse, nel giusto ordine.
L’ordine dei segni zodiacali, Ariete, Toro, Gemelli e così via, offre
immediatamente un ordine che si fissa agevolmente nella memoria”78 (Frances
Yates, L'arte della memoria, Cap. II, p. 39).
Non si può escludere che il firmamento del Globe, ove è stato rappresentato
l’Amleto, si richiamasse strutturalmente alla volta che è disegnata in Sphæra
(p.12v), una semisfera dell’universo che viene sostenuta da due colonne.
74. “O my good lord, the world is but a word” (Timon of Athens, II, II, 157). Un teatro che è un contenitore (un
crogiolo) di parole.
75. “’essendo già divolgata la fama de le nove supposizioni di questa opera [De revolutionibus orbium caelestium],
che vuole la terra esser mobile ed il sole saldo e fisso in mezzo de l’universo […]’” (Giordano Bruno, La cena de le
ceneri, Dialogo terzo, in Opere di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella, p. 231).
76. Cfr. ”Resta il cielo o etere che dir si voglia, il più lontano ed il più alto sopra i luoghi da noi abitati, che tutto
cinge ed abbraccia nel suo amplesso, estrema plaga ed ultimo confine del mondo in cui delle masse di fuoco
percorrono orbite mirabilmente regolari. Fra tali masse il sole, molte volte più grande della terra, percorre attorno ad
essa la sua orbita” (Marco Tullio Cicerone, Sulla natura degli dei, II, 40 [102].
77. Contemporaneo di Cicerone, fu uno dei letterati greci che Mitridate re del Ponto ospitò alla sua corte (v..
Plutarco, Vita di Lucullo).
78. “L’amico inseparabile di Sidney, Fulke Greville, figura come ospite alla misteriosa “Cena” [de le Ceneri, di
Giordano Bruno], ed è ricordato nella dedica dello Spaccio [della bestia trionfante, dello stesso Bruno]. […] è
verosimile che Shakespeare abbia conosciuto Grenville, perché entrambi provenivano dal Warwickshire [cfr. David
Lloyd, Statesmen and Favorites of England since the Reformation, 1655, citato in E. K. Chambers, William
Shakespeare, Oxford 1930, II, p. 250]: la dimora della famiglia di Greville era vicino a Stratford-on-Avon. E’
dunque possibile che, quando il giovane di Stratford giunse a Londra, abbia avuto accesso alla casa di Greville e al
suo circolo, dove può aver appreso che cosa significa usare lo zodiaco nella memoria artificiale secondo gli
insegnamenti di Metrodoro di Scepsi” (Frances A. Yates, L’arte della memoria, XIV, p. 296).
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Sphaæra Ioannis De Sacro Bosco, p. 12 v.
Amleto
[…] E anche l’eccelso baldacchino del cielo [This most exellent canopy the air], questo
firmamento stupendo, questo tetto maestoso solcato da fuochi d’oro, debbo dirvelo? non
mi pare altro che una pestilenza di vapori.
William Shakespeare, Amleto, II, II, 304-309.
Traduzione di Eugenio Montale.
Altri disegni mostrano l’emisfero visto dall’alto (p. 27 r), suddiviso in dodici vele,
risultando simile alla volta della Sacrestia Vecchia, in San Lorenzo a Firenze
(1420-29) di Filippo Brunelleschi, e alla cupola costruita appositamente dallo
stesso architetto per la chiesa di S. Felice in Piazza a Firenze, in occasione della
festa della Nunziata, nel 1430-35, a rappresentare il cielo “con un’infinità di lumi,
quasi in un baleno scoprirsi e ricoprirsi” […], “la quale mezza palla era di tavole
sottili e leggieri, confitte a una stella di ferro che girava il sesto di detta mezza
palla” (Giorgio Vasari, Le vite…, Vol. II, Vita di Filippo Brunelleschi, p. 287). Pare
inevitabile che notizie degli allestimenti che si rinnovarono col tempo79
giungessero oltre La Manica. Sono avvenimenti del genere ad attirare verso la fine
del secolo giovani talenti, ansiosi di studiare gli architetti e i pittori italiani, maestri
dell’arte scenica presso le corti dei vari stati. Dai disegni che Inigo Jones produsse
per i costumi dei suoi famosi masques nella sala dei banchetti di Whitehall è
riconoscibile lo stile pittorico di Bernardo Buontalenti, che operava per conto dei
Medici.80
79. “Solo nel 1565 questi [Feo Belcari, autore di un diario di memorie fiorentine] riprese in Santo Spirito,
nell’ambito dei festeggiamenti per le nozze del principe Francesco con la regina Giovanna d’Austria, la
rappresentazione dell'Annunciazione di San Felice, riccovando e ampliando l’apparato originario; sicché, a questo
punto si pose la delicata questione filologica del distinguere, nella descrizione vasariana” […]. “Infine, anche
Bernardo Buontalenti si cimentò nella ricostruzione dell’ingegno brunelleschiano, per l’allestimento della festa
dell’Annunciazione (detta di San Felice) fattasi in Santo Spirito nel 1586, a chiusura dei festeggiamenti di Virginia
dei Medici con Cesare d’Este” (Ludovico Zorzi, Il teatro e la città, nota 29 di pag. 73, a p. 162 e p. 163).
80. “L’ultima fonte per la tecnica teatrale barocca praticata da Jones fu l’Italia e in particolare gli intermezzi
rappresentati alla corte dei Granduchi di Toscana dagli ultimi decenni del XVI secolo in poi. In quegli spettacoli si
- 35 -
Sphæra Ioannis De Sacro Bosco, p. 27 r.
Se in tempi moderni si volesse eseguire la volta di un palcoscenico, mantenendo
uno sguardo al disegno di Sphæra (p. 27 r), senza la necessità di farla ruotare o di
aprirla in due, basterebbe strutturarla con costoloni in legno di frassino o in metallo
rinforzati da cerchi paralleli degradanti, ricoperti da una tela leggera tinta di blu,
mentre gli astri verrebbero definiti con dell’oro applicato in foglie.
La struttura avrebbe maggiore consistenza se poggiasse su di una fascia per
costituire un tamburo, una base in legno, suddivisa in dodici parti per accogliere le
decorazioni dello zodiaco, come in Sphæra (p. 21 r). Inoltre la volta andrebbe
riparata da una copertura a doppio spiovente.
Sphæra Ioannis De Sacro Bosco, p. 21 r.
Poiché l’ipotesi di intendere la raffigurazione del cielo in una forma bidimensionale
è, a ragione, ben consolidata, bisogna mantenere relegata la progettazione della
volta nell’ambito della mera scenografia.
era delineata la struttura del prospetto scenico dietro il quale era disposta una serie di telari dipinti in prospettiva, con
un fondale per chiudere la veduta” (Disegni teatrali di Inigo Jones, a cura di Roy Strong, p. 18).
- 36 -
“Nella ricostruzione del Globe fatta da [John Cranford] Adams, il soffitto della
copertura della parte interna del palcoscenico è rappresentato dipinto con i segni
dello zodiaco, e alcune altre stelle vagamente sistemate entro il cerchio zodiacale81.
Naturalmente, si tratta solo di un moderno tentativo di ricostruire il soffitto: non si
è conservato nemmeno un esemplare di questi cieli teatrali dipinti” (Frances Yates,
L’arte della memoria, XVI, Il Teatro di memoria di Fludd e il Globe Theatre, p.
319).
Sicuramente al Fortune, un teatro che si distingueva per la pianta squadrata, quel
tipo di cielo sotto la tettoia avrebbe dovuto essere tolto, ad un certo momento,
lasciando solo un’ombra. Con tale termine veniva altrimenti indicata la zona —
Cfr.: “a shadowe or cover over the saide stage” (E. K. Chambers, Op. cit., II, p.
545).
L’Angelo buono
Hai perduto il cielo,
felicità indicibile, estasi infinita.
Christopher Marlowe, Il Dottor Faust [Doctor Faustus], 1899-1900.
Traduzione di Nemi D'Agostino.
[“O thou hast lost celestiall happinesse ,
Pleasures unspeakeable, blisse whithout end”].
81. In Irwin Smith, Shakespeare’s Globe Playhouse [1963], una fotografia del modello plastico (tav. 31) mostra di
scorcio un disco orizzontale, del tipo schizzato in prospettiva per il palcoscenico riferibile al secondo Globe Theatre,
secondo le indicazioni di Robert Fludd, Utriusque Cosmi Historia [1619], I, II, Ars memoriae (p. 348 e sgg.),
riprodotto in Frances Yates, Op. cit., tav. 35. Pare improbabile che lo Zodiaco disegnato da Adams, tratto da Hans
Holbein e Albrecht Dürer, potesse essere di forma ellittica con figure anamorfiche (Cfr. Irwin Smith, Op. cit., fig. 9 a
p. 154), in quanto dovrebbe implicare, a rigore, una pianta analoga di un edificio ad anfiteatro. Diversamente, altre
proposte di ricostruzione del cielo piatto, mostrano i segni dipinti dello zodiaco disposti in un circolo, inquadrato da
travi e travetti; pubblicati in J. R. Mulryne, Margaret Shewring, Shakespeare’s Globe Rebuilt (Plate 21).
- 37 -
Sphæra Ioannis De Sacro Bosco, p. 13 r.
E’ consolidata l’idea che la forma della pianta del Globe fosse circolare. “Quando
nel prologo dell’Enrico V si parla di “questo O di legno” [“this wooden O”,
Prologo, 13], il riferimento è piuttosto al Curtain che non al Globe come spesso si
pensa; il riferimento sembra teso a rendere immortale un teatro altrimenti di poca
fama” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 151). Ma i due teatri avevano aspetti simili
(v. E. K. Chambers, Elizabethan Stage, II, p. 434).
Qui piace pensare che la citazione dall’Enrico V potesse riferirsi ad una fascia
di legno — del tipo raffigurato ancora in Spæra (p. 21 r), e riproposta nella p. 35 r
— che circondava la corte (yard) all’altezza del secondo piano per congiungersi
con l’uppper stage, affinché fosse osservabile da chi recitava per sopperire alla
memoria; in tal modo avrebbe assolto ad una funzione pratica oltre che di décor.
Se fosse stata formata da una serie di pannelli, solidali ai parapetti, raffiguranti le
costellazioni, avrebbe descritto un’ellisse di sbieco e non un cerchio, come invece
richiede l’edificio. E così dovrebbe essere connotata scenograficamente la sala, per
un eventuale allestimento dello spettacolo di Come vi piace, in omaggio al Globe
Theatre, non per come sarà stato effettivamente, ma come avrebbe dovuto essere
probabilmente.
In Titus Andronicus, dopo che il protagonista si è rivolto al cielo, ove risiedono
le divinità olimpiche che presiedono i mesi dello zodiaco, le frecce vengono
scagliate dai personaggi metaforicamente in direzione della corte per colpire
l’imperatore nel suo orgoglio. E’ facilmente immaginabile che il tiro a segno
mimato avesse come bersaglio il cielo sovrastante, ma forse anche la corte degli
spettatori del Rose, se fosse stato arricchito da decorazioni.
- 38 -
Tito
[…]
ci rivolgiamo al cielo [heaven] perché gli dèi ci mandino
Giustizia a far vendetta per i torti subiti.
All’opera, dunque, Marco, voi siete un bravo arciere.
Distribuisce le frecce
Questa è per voi, ad Jovem; questa ad Apollinem;
e questa, ad Martem, penso io;
ecco, ragazzo, è per Pallade questa; e questa è per Mercurio;
e questa per Saturno, Caio, non per Saturnino;
per lui tanto varrebbe tirare contro vento.
Ragazzo, via! tu, Marco, tira quando dico io.
Parola mia, ho scritto d’impegno:
non c’è un dio ch’io non abbia sollecitato.
Marco
Puntate tutte le frecce sulla corte [court], amici:
colpiremo il sovrano nel suo orgoglio.
Tito
Signori, ora tirate. Ben detto, Lucio!
Bravo ragazzo hai colpito nel segno della Vergine: che lo dia a Pallade.
Marco
Mio signore, io ho mirato ad un miglio oltre la luna;
a quest’ora la vostra lettera ha raggiunto Giove.
Tito
Ha, ha! Publio, Publio cosa hai fatto?
Guarda, hai mozzato al Toro uno dei corni.
Marco
Era uno scherzo, mio signore: quando Publio ha tirato,
il Toro, inferocito, ha sferrato all’Ariete un tale colpo
che gli sono cadute tutte e due le corna sulla corte [court];
e chi le va a raccogliere se non lo schiavo dell’imperatrice?
William Shakespeare, Tito Andronico,
[The most lamentable Roman tragedy of Titus Andronicus:
as it was played by the right honourable the earl of Derby,
earl of Pembroke, and earl of Sussex their servants], IV, III, 51-71.
Trad. Maria Vittoria Tessitore.
Pianta ipotetica del Globe Theatre e Pianta di teatro romano, secondo Daniele Barbaro.
- 39 -
Il Globe avrebbe potuto essere esternamente “esagonale” (Frances Yates, L’arte
della memoria, XVI, p.333) ed internamente circolare suddiviso da dodici balaustre
per piano. Lo schema soprastante si richiama al teatro latino, dove “la
circonferenza di base che delimita l’orchestra ha inscritti quattro triangoli” (Marco
Vitruvio Pollione, De Architectura, Libro V, VII). “Questi quattro triangoli si
possono vedere nella ricostruzione di Palladio del teatro di Vitruvio, illustrata da un
disegno [v. fig.], nel commento di Barbaro a Vitruvio, che fu pubblicato per la
prima volta nel 1556” a Venezia, dall’editore Francesco Marcolini (Frances Yates,
L'arte della memoria, XVI, p. 330).
Diversamente avrebbe avuto una forma esterna cilindrica,82 secondo la mappa
riprodotta più sopra, oppure a pianta poligonale o ottagonale83 da altre vedute più
ricche di dettagli, riportate in R. A. Foakes, Illustration of the English Stage 15801642. La questione è controversa e non si è ancora conclusa, nonostante i reperti
archeologici, recentemente scoperti, siano rassicuranti (Cfr. J. R. Mulryne,
Margaret Shewring, Shakespeare’s Globe Rebuilt, Cap. 2, p. 27).
Ciò che ha incoraggiato la Yates a sostenere ulteriormente la propria suggestiva
ipotesi è una testimonianza risalente ad una data compresa tra il 1763 e il 1781,
ricordata da Hester Thrale Piozzi (un’amica di Samuel Jhonson84), riguardo le
macerie del Globe, che era stato demolito nel 1644. La descrizione riporta che
“C’erano resti molto curiosi del vecchio teatro Globe, che, sebbene esagonale fuori,
era circolare dentro” (da A. Hayward, Autobiography of Mrs. Piozzi, ii, 33, citata in
Edmund K. Chambers, Elizabethan Stage, II, p. 428, riportata in Frances Yates,
L’arte della memoria, p. 329).
Viceversa, la ricostruzione recente del Globe Theatre a Londra, dovuta a Sam
Wanamaker e al suo architetto Theo Crosby, si fonda sulla scoperta dell’ottobre
1989, avvenuta vicino ad Anchor Terrace in Park Street, di un breve tratto della
muratura che faceva da base alla struttura lignea (v. Ronnie Mulryne and Margaret
Shewring, Shakespeare’s Globe Rebuilt, fig. 11, p. 40). La si può ammirare nella
sua forma praticamente a pianta circolare, costituita da un poligono di venti lati
(Cfr. Ib., fig. 45, p.118).
Se fosse avallata l’ipotesi della Yates, i parapetti avrebbero potuto essere
decorati come le pareti riguardanti il Ciclo dello Zodiaco, in Palazzo Schifanoja a
Ferrara, realizzate tra il 1467 e il 1470, senza la stessa pretesa descrittiva ma con il
medesimo ordine. Nella fascia superiore è visibile ognuno dei mesi dominato dalle
rispettive divinità olimpiche su carri trionfali, secondo un abbinamento attribuito al
poeta latino Marco Manilio, che invita a “Conoscere le tutele e le potenze divine
sovrapposte ai segni | e quali segni ciascun dio ha assegnato l’universale natura, |
82.
83.
84.
Cfr. E. K. Chambers, Elizabethan Stage, II, p. 434.
Cfr. Irwin Smith, Shakespeare’s Globe Playhouse.
Il noto scrittore inglese che curò nel 1765 la famosa edizione The Plays of William Shakespeare.
- 40 -
quando dette divine sembianze alle grandi virtù | e varie forze sotto una sacra
denominazione, | perché a queste energie conferisse sostanza un’individua
fisionomia”, di modo che “La Bestia lanuta protegge Pallade, il Toro Citerea, | i bei
Gemelli Febo [etc.]” (Il poema degli astri [Astronomica], II, 434-447). In ogni
zona sottostante, come nell’Astrolabium planum, edito da Johann Engel a Venezia
nel 1494 e 1502, di cui Pietro d’Abano è ispiratore (Augusta 1488), sopra “gli
schemi oroscopici si trovano tre figure che nel linguaggio astrologico si chiamano
“decani”; si distribuiscono in gruppi di tre, nell’insieme quindi trentasei, sui segni
dello zodiaco. La ripartizione è, rispetto al sistema, di antichissima origine
egiziana” (Aby Warburg, La rinascita del paganesimo antico, p. 255). In quella
inferiore vi sono testimonianze della vita quotidiana di corte e del mondo
circostante, riferite ad ogni determinato periodo dell’anno.
Sphæra di Ioannis De Sacro Bosco, p. 35 r.
L’inquadratura originale dell’illustrazione che precede è stata qui appositamente
alterata, con l’impugnatura di sbieco.
Se il cerchio dello zodiaco appartenesse al piano orizzontale come nella
manipolazione effettuata sopra, il mondo avrebbe il proprio asse inclinato in modo
anomalo. Ne conseguirebbe che il mutare delle stagioni (“The seasons’ difference”,
As You Like It, II, I, 6), ovvero il tempo cadenzato dalla comparsa dei segni
all’orizzonte, verrebbe eliminato a causa della loro completa disponibilità, e quindi
non scorrerebbe85 (Cfr.: “we lost not our time”, As You Like It, V, III, 42-43).
L’edificio così concepito connota semanticamente il teatro. L’impatto visivo
maggiore si ha quando la scena del firmamento si protende come una eco ad
avvolgere lo spazio rappresentante l’intero mondo terrestre, che diventa anch’esso
scena (σκηνη, skené). In ogni caso, la posizione dello zodiaco avverte che ogni
ricordo, ogni tempo, viene simultaneamente presentificato (“present time”, Ib., V,
85. “Infatti, i giorni e le notti e i mesi e gli anni, che non esistevano prima che il cielo fosse generato, Egli [pathr, il
Padre, Demiurgo, Artefice, Produttore] li generò e produsse insieme alla costituzione del cielo medesimo. E tutte
queste sono parti del tempo, e l’“era” e il “sarà” sono forme generate di tempo, che non ci accorgiamo di riferire
all’essere eterno in modo corretto. […] In effetti, questi due sono movimenti” (Platone, Timeo, 37 e - 38 a).
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III, 33), e che tutti gli episodi sono in sincronia.86 A teatro come pure “nella foresta
non ci sono orologi” a imporre il ritmo, “il tempo va diversamente a seconda della
persona” (Ib., III, II, 301, 307). Riportare lo zodiaco al suo assetto primordiale,
corrisponde a mettere in scena un dramma che risulti più consono all’ordinamento
della natura, secondo un principio civico. Ma così facendo si dà adito ad un
linguaggio urbano da fiera, per eccesso di osservanza alle norme dell’imitazione
(µιµησις, mímesis, v. Aristotele, Dell’arte poetica, 6, 4 [1449 b]) come copia
pedissequa della realtà.87
Hamlet
Suit the action to the word, the word to the action — with this special observance: that
you o’erstep not the modesty of nature.
William Shakespeare, Hamlet, III, II, 18-20.
[“ accordate il gesto alle parole, la parola al gesto,
avendo cura di non superare la modestia della natura”].
Il suggerimento di Amleto agli attori trae insegnamento dalla declamazione oratoria
dei latini quale modello di recitazione. Marco Tullio Cicerone sottolinea
perentoriamente: “L’actio, intendo, è il fattore preponderante nell’oratoria”
(Dell'oratore, III, 56 [213]).
Le regole accademiche della naturalezza che si ispirano ad Aristotele, “stabilite
dalla comune ragione” (Philip Sidney, La difesa della poesia, p. 107), costituiscono
una griglia, un vincolo (una prigione), una limitazione di tempo, spazio e azione,
che non permette alla recitazione di esprimersi spontaneamente con arte, senza
richiamare sospetti continui di deviazione dalla normalità.
86. “E la sfera del tutto è parsa a taluni essere tempo, in quanto tutte le cose sono nel tempo e insieme nella sfera
del tutto” (Aristotele, Fisica, IV, 10, 218 b).
87.
“Mi sono dilungato su questo soggetto perché gli oratori, che rappresentano la realtà stessa, l’hanno
abbandonato completamente, mentre se ne sono impradoniti gli attori, che si limitano a imitare la realtà.
Senza dubbio, la realtà supera in ogni campo l’imitazione, ma se essa fosse di per se stessa abbastanza efficace
per quanto concerne l’actio [azione, gesto], di certo non avremmo bisogno dell’arte” (Marco Tullio Cicerone,
Dell’oratore, III, 57 [215]).
L’arte drammatica, specchio della natura umana, non consiste in una mera simulazione, ma fa sì che questa “si
veda più bella di quanto lo siano i suoi lineamenti” (Come vi piace, III, V, 55-56), ovvero “produce un'altra natura
nel rendere le cose migliori di quello che sono nella realtà o del tutto nuove” (Sir Philip Sidney, La difesa della
poesia. Funzione della poesia. Sua relazione col fatto e con la natura, p. 45).
- 42 -
Albumasar (Abû Mas’shar, Gia’far ibn Muhammad al-Balkhi),
De magnis coniunctionibus et annorum revolutionibus ac eorum perfectionibus.
Frontestpizio. Venezia, Iacobus Pentius de Leucho, 1515, 8°.
Firenze, Biblioteca Nazionale, Magl. 15.5.3423.
Il libro dell’astrologo mesopotamico Albumasar (787-886), tradotto per la prima
volta da Govanni di Siviglia e pubblicato ad Augusta nel 1489, fu fonte per lo
sviluppo del tema della divinazione astrale nella cultura tardomedievale. La sfera
armillare del frontespizio è tenuta con l’eclittica nella posizione usuale.
Hamlet
The time is out of joint. O cursed spite,
That ever I was born to set it right.
William Shakespeare, Hamlet, I, V, 188-189.
[“Il mondo è fuor di squadra: che maledetta noia,
esser nato per rimetterlo in sesto!” (trad. Eugenio Montale)].
In definitiva, l’ipotesi sin qui proposta è una fantasia, un’illusione (a vision), che
affonda le sue radici su documenti storici, certamente opera dell’influsso di un
qualche mago incantatore (un encantador). Anzi, tutta la colpa vada una volta per
sempre a Sir Rowland of Holy Wood (alias Gian Orlando de Sacro Bosco), per
“quanto il mondo corra” (Come vi piace, II, VII, 27).
L’impressione conclusiva che si trae dalla tragicommedia è che tutte le
Compagnie, non solo quelle confluite al Globe, ma anche quelle coinvolte che non
è stato possibile menzionare, abbiano partecipato materialmente allo spettacolo con
i loro rappresentanti. Dopo essere stato ritratto spiritualmente, l’insieme degli
attori, conciliati dalla teoria, accoglie l’invito (“venga qui, venga qui, venga qui”,
Come vi piace, II, V, 41) per il tripudio finale sul solito tappeto verde e, al ritmo
vivace della giga, brinda al T h e a t r e o f t h e W o r l d . “ Will you go?” (Ib.,
IV, III, 182).
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The song
[…]
Cup us till the world go round,
Cup us till the world go round!
William Shakespeare, Antony and Cleopatra, II, VII, 118-119.
[“Versa finché il mondo gira | Versa finché il mondo gira!”.
(Trad. Salvatore Quasimodo)].
Ninfe Castalie che abitate le cime del Parnaso,
forse era questo il vino che una volta, nella rocciosa grotta
di Folo, il vecchio Chirone offrì ad Eracle?
Teocrito, Idilli, VII, Le Talisie, 148-150.
La ‘Idea’ del Globe dovrebbe essere cambiata.
Frances Yates, Theatre of the World, Conclusion, p. 188.
[“The ‘Idea’ of The Globe should be changed”].
Jaques, il terzo figlio (secondogenito) di Sir Rowland de Boys, quello che era
rimasto assente per seguire gli studi (Come vi piace, I, I, 5-6), per poi comparire nel
finale a risolvere l’intreccio della rappresentazione (Ib., V, IV, 153), ha
stranamente l’identico nome del nobile melanconico che era al seguito dell’Ex duca
(Duke Senior). Quest’altro Jaques,88 che non gradiva la compagnia di Orlando
(“company”, Ib., III, II, 254) a causa dei contrasti sul mondo (“the world”, Idem,
278), per non vedere quei divertimenti passatempo (“pastime”), non partecipa ai
festeggiamenti (“these rites”, Ib., V, IV, 196, 198), all’avvenimento che
accomunava tutti gli attori, avendo scelto di ritirarsi a miglior vita (“a religious
life”, Ib., V, IV, 182), lasciando “la pomposa corte” (“the pompous court”, Ib., V,
IV, 183) insieme al duca Frederick, ovvero per raggiungere successivamente il
Rose, che come il Curtain era ormai abbandonato da tutti89 (cfr. “abandoned cave”,
Ib., V, IV, 197).
La compagnia dei Chamberlan’s Men, secondo l’esempio suggerito da Jaques,
aveva deciso di trasferirsi nell’ex convento domenicano di Blackfriars, acquistato
da James Burbage verso la fine del 1596 affinché fosse convertito in teatro, e
distante neanche trecento metri a sud-ovest della cattedrale di St. Paul, nel centro di
Londra. “Ma gli aristocratici residenti del distretto tanto alla moda, allarmati alla
prospettiva di ritrovarsi vicino un volgare teatro, protestarono presso il consiglio
88. Probabilmente va pronunciato in scena come se fosse “Jake”, una combinazione dell’inglese “Jack” (James) e il
francese “Jacques” (in it.: Giacomo, in sp.: Jaime, Jago).
89. Il 22 giugno 1600, quando il Concilio Privato della Corona cede il permesso per aprire il Fortune, accoglie la
richiesta del Master of Revels di rimpiazzare il Curtain, che doveva essere in rovina e destinato a qualche altro buon
uso (v. E. K. Cambers, Op. cit. , II, p. 403).
- 44 -
privato della corona. La spuntarono, anche se il tempo avrebbe premiato la
compagnia di Shakespeare che utilizzò bene la proprietà di Blackfriars” (S.
Schoenbaum, Shakespeare, p. 226). Shakespeare deve aver sospirato questa nuova
sede con insistenza; fu un desiderio intenso, ma naufragato prematuramente.
Hamlet
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
— Soft you now
The fair Ophelia — Nymph,* in thy orisons
Be all my sins remembered.
Get thee to a nunnery
Go thy ways to a nunnery
To a nunnery go
To a nunnery, go.
William Shakespeare, Hamlet, III, I, 88-89, 121, 130, 142, 153.
[“— Ma zitto! Ora la bella Ofelia s’avvicina — Possa tu, Ninfa, nelle preghiere ricordare i miei
peccati […] Chiuditi in un convento di suore […] Va vattene in un convento […] Va dunque,
nasconditi in un convento […] chiuditi in un convento”].
* Il termine qui sottolinea la castità, che diventerà perpetua.
Dal 2 settembre 1600 gli eredi di James Burbage avevano ceduto la probabile sede
in affitto a Henry Evans, un impresario che aveva diretto The Children of the
Chapel Revels (1605-6), una di quelle compagnie teatrali di fanciulli, “an eyrie of
children,” stigmatizzate in Amleto (II, II, 344). Un gesto di insana follia. Soltanto
nell’agosto del 1608 la Compagnia dei King’s Men (già Chamberlan’s Men) poté
ottenere la sede, quando, “a causa della peste, Evans rese il suo contratto d’affitto a
Richard Burbage” (S. Schoenbaum, Shakespeare, p. 286). Shakespeare deve aver
desiderato a lungo di abbandonare il Globe,90 prima che si liberasse il Blackfriars,
che fu occupato probabilmente soltanto nell’autunno del 1609 (v. E. K. Chambers,
Eliz. st., II, p. 510).
Più sopra si stava osservando che non ci si sarebbe aspettati l’abbandono di una
baldoria, da chi è stato un “libertino di una sensualità brutale ed impulsiva” (Come
vi piace, II, VII, 68-69), un individuo dominato dalla lussuria,91 dalla furia amorosa.
90. Cfr. “Occhi miei stanchi e troppo a lungo insonni, cogliete l’occasione di non vedere più questa mia residenza
ignominiosa. Buonanotte, fortuna; torna ancora a sorridere, gira la tua ruota” (“Fortune, good night; smile once
more; turn thy wheel”, Re Lear, II, II, 168-172). Le parole di Kent sono recitate riferendosi allusivamente al Globe,
oltre che al basso mondo (“to this under globe”, Idem, 162). Il teatro era frequentato soprattutto da “una plebe, la
quale in essere irrispettevole, incivile, rozza, rustica, salvatica e male allevata non cede ad altra, che pascer possa la
terra nel suo seno” (Giordano Bruno, La cena de le ceneri, Dialogo secondo, in Opere …, p. 221).
91. “La virtù stessa, male adoperata, può diventare un vizio, | e qualche volta il vizio si nobilita per la sua azione”
(Romeo e Giulietta, II, III, 21-22). “Ecco dunque, per venir al proposito, come questo furor eroico, che si chiarisce
nella presente parte, è differente dagli altri furori più bassi, non come virtù dal vizio, ma come un vizio ch’è in un
suggetto più divino o divinamente, da un vizio ch’è in un suggetto più ferino o ferinamente: di maniera che la
differenza è secondo gli suggetti e modi differenti, e non secondo la forma de l’esser vizio” (Giordano Bruno, Degli
eroici furori, Parte prima, Dialogo secondo, p. 36). In parafrasi: “Il furore è un vizio, nel senso che non comporta
uno stato di indifferenza, di tranquillità. Ma è un vizio, un eccesso, che differisce a seconda del soggetto cui inerisce:
- 45 -
Jaques è un melanconico che non tollera la superbia (“pride”, Ib., II, VII, 70), il
vanto, la gloria, non tanto quanto l’orditore della trama della tragedia di Othello.
Jaques
La superbia si gonfia come il mare
finché stanca ed esausta rifluisce.
William Shakespeare, Come vi piace, II, VII, 72-73.
Egli si è accorto che lo stato del mondo è preoccupante (“infected world”, Come vi
piace, II, VII, 60), con riferimento a quello che gli sta di fronte quotidianamente
(“general world”, Ib., II, VII, 69). D’altro canto il mondo particolare del teatro nel
suo insieme era infettato dal germe dell’invidia, uno dei sette vizi capitali.
“L’invidia, sempre alla virtù fatale” (Pericle, IV, Coro, 12). Questo sentimento è
dovuto ad un eccesso di orgoglio per le proprie doti per cui non vengono tollerate
quelle di altre persone che hanno avuto più successo nel mondo per meriti o
fortuna.
Invidia
Sono l’Invidia, figlia di uno spazzacamino e d’una pescivendola. Non so leggere, perciò
si dovrebbero bruciare tutti i libri. A vedere mangiare gli altri mi struggo. Venisse la
carestia nel mondo [over all the world], crepassero tutti, resterei sola e vedresti come
ingrasserei.
Cristopher Marlowe, Il dottor Faust 679-683 [scena VI] [II, II] 92.
Basta sostituire la parola “world” con il corrispettivo “Globe”, per capire come gli
incassi degli Admiral’s Men sarebbero aumentati. “Certo, se l’imperio de la fortuna
corrispondesse e fusse agguagliato a l’imperio del generosissimo spirto ed
ingegno” (G. Bruno, La cena de le ceneri, Dialogo secondo, in Opere…, p. 220).
Il Fortune Theatre equivaleva per importanza a quello rivale, e come Richard
Burbage e Edward Alleyn in comune avevano l’anno di nascita. La scelta del suo
nome trova una motivazione nella capacità del teatro di contenere al suo interno
tutti i personaggi, in modo equanime.93 Così, se Celia può vantarsi dal nome di
divino se inerisce ad un soggetto in modo divino, bestiale se inerisce ad un soggetto in modo bestiale” (Ivi, Nota a
cura di Simonetta Bassi, p. 169).
92.
Non esiste una stesura autografa dell’autore, morto nel 1593. Sia nell’edizione in-quarto del 1604 che in
quello del 1616 “il testo del Doctor Faustus appare assai corrotto: la sua stessa popolarità pare che l’abbia esposto a
una massa di adattamenti, tagli, correzioni, corruzioni, censure, aggiunte, gaggins e altre offese tipiche della
trasmissione dei testi teatrali del periodo” (Nemi D'Agostino, p 25).
93.
Cfr.: “[Io, la Fortuna] Tutti metto dentro d’un’urna, e nel ventre capacissimo di quella tutti confondo,
imbroglio ed exagito; e poi, zara a chi tocca; e chi l’ha buona, ben per lui, e chi l’ha mala, mal per lui! In questo
modo, dentro l’urna de la Fortuna non è differente il più grande dal più picciolo; anzi là tutti sono equalmente grandi
ed equalmente piccioli, perché in essi s’intende differenza da altri che da me: cioè prima che entrino ne l’urna, e
dopo che esceno da l’urna” (Giordano Bruno, Spaccio de la bestia trionfante, Dialogo II, Parte II).
- 46 -
appartenere alla sfera celeste94 (v. nota 21), parimenti la Fortuna ritiene d’esser
degna di rimanere in cielo, temendo una estromissione, poiché “Te facimus,
Fortuna, deam caeloque locamus” (Giordano Bruno, Spaccio de la bestia triofante,
II, II, p. 523).95 Per sua autorità la Fortuna rimarrà nel suo seggio in cielo, non
verrà spacciata (espulsa) da Giove. Più avanti si vedrà come Shakespeare riuscirà a
conquistare il primato sulle scene. “Il saggio invero vince con la virtù la fortuna”
(“Sapiens quidem vincit virtute fortunam”, Seneca, Lettere a Lucilio, Libro VIII,
30).
Duke Senior
This wide and universal theatre
Presents more woeful pageants* than the scene
Wherein we play in.
Jaques
All the world’s a stage
And all the men and women merely players
William Shakespeare, As You Like It, II, VII, 137-139. * Parate allegoriche.
La recitazione di As You Like It riguarda tutto il mondo teatrale. Tutto il teatro
viene rappresentato dal Globe. Il Globe rappresenta tutto il mondo. Tutto il mondo
non è che teatro.96
Che tragicomedia? che atto, dico, degno più di compassione e riso può esserne ripresentato
in questo teatro del mondo, in questa scena delle nostre conscienze
Giordano Bruno, De gli eroici furori,
Argomento del Nolano scritto al molto illustre Signor Filip Sidneo.
La vastità del Globe Theatre comprende lo spazio del pubblico, sicché è confuso
col mondo della vita, che si ripresenta per mezzo di un attore che la rappresenta. La
fusione è garantita da Dioniso, il nume tutelare del teatro, meglio noto agli
ubriaconi di buon palato per la sua invenzione che dà confusione. Egli per sua
“natura ama nascondersi” (φυσις κρυπτεσθαι φιλει), secondo quanto ha mostrato
magistralmente Aristofane, camuffandone l’aspetto (ειδος) in Le Rane. La
mancanza di differenza tra realtà e immaginario è il senso e la dimensione della
94.
L’aspetto del personaggio di Taisa in Pericle è paragoanbile a quello di Celia. “Come il cielo, il suo volto
t’invita ad ammirare i suoi splendori innumeri” (Pericle, I, I, 31). La figlia Marina è simile alla madre (Ib., V, I,
104). Così nel mare si, su cui era nata Marina (Ib., V, I, 156), rispecchia il cielo. Nel mondo greco, la divinazione del
cielo è Urano, il progenitore “degli immortali sempiterni” (Esiodo, Teogonia, 106). Cfr. nota 21.
95. La citazione è tratta da Giovenale (“siamo noi, siamo noi che ti facciamo dea, o Fortuna, e ti diamo un posto in
cielo”, Satire, X, 365-366).
96.
Ai figli di Giacomo I, re d’Inghilterra dal 1603, verrà insegnato che per dominare nel “theatrum mundi”
bisogna saper recitare, cominciando a far pratica nei Masques di Corte.
- 47 -
pazzia, nuovamente regno di Dioniso, del dio che infonde la follia (µαυια, manía ,
Euripide, Baccanti, Primo episodio, 305) e che si presenta sempre in modo
differente, in quanto egli per conto suo impersona la differenza (différence), quindi
la creatività (ποιησiς, poíesis) e la “gioia” della festa (“ευιουθεου”, Euripide,
Baccanti, Esodo, 1167), contrapposta alla monotonia quotidiana del fare (πρασσω,
da cui πραξις, prâksis).
Coro
Beato chi grida evohé
tra fiumi di vino
sdraiato a banchetto
Euripide, Ciclope, 495-497, in Tagedie, Vol. I.
Nella commedia Jaques è afflitto da una melanconia particolare, tutta sua, che
“amalgama un’infinità di elementi, distillati da tante cose” (Come vi piace, IV, I,
15-16). E sebbene fosse poco incline all’ilarità, anche a lui sarebbe piaciuto vivere
come un matto, da quando ha sentito “il matto variopinto filosofeggiare sul tempo”
(“The motley fool thus moral on the time,” Ibidem, II, VII, 29), con un pensiero che
è equivalente a: “Chi tempo aspetta, tempo perde. S’io aspetto il tempo, il tempo
non aspetta me” (Giordano Bruno, Candelaio, II, III, in Opere di Bruno e
Campanella, p. 83).
Jaques
[…]
Nobile matto, ammirevole matto:
non c’è altra veste per l’uomo che quella del matto.
[…]
Paragone [Touchstone]
Lo riconosco, ma per me è tempo perso stare
a sentire filastrocche simili [a foolish song].
Dio vi conservi e vi rimedi la voce.
William Shakespeare, Come vi piace,
II, VII, 33-34; V, III, 44-46.
Cicada
Chi dunque sarà savio, se pazzo è colui ch’è contento, e pazzo è colui ch’è triste?
Giordano Bruno, De gli eroici furori,
Parte prima, Dialogo secondo, p. 35.
- 48 -
Tiziano, Ninfa e pastore. Vienna, Kunsthistorisches Museum.
Rarissimi dico, son gli Atteoni alli quali sia dato dal destino di poter contemplar la Diana
ignuda
Giordano Bruno, De gli eroici furori,
Seconda parte, Dialogo Quarto, p. 127.
Che volete ch’io vi referisca quanto fusse e quale l’applauso de le Ninfe?
Giordano Bruno, De gli eroici furori,
Parte seconda, Dialogo quinto, p. 153.
- 49 -
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Il volume in carta è stato stampato giovedì 2 marzo 2000
dalla tipografia Grafital, Torre Boldone (Bergamo).
Disoponibile su richiesta postale a
Ezio Fiorillo, fraz. Pagliaro 7
24010 Algua (Bergamo).
www.matamoros.it
Pubblicazione All’insegna del Matamoros
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