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Il mare in letteratura
Il mare
in letteratura
di Massimiliano Caruso
I
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storia dell’umanità (databile tra il 2600 e il
2500 a.C.); nella Bibbia;
nel mito greco di Deucalione e Pirra; nella mitologia etrusca; in Cina
nello Shu Jing (500 a.C.
ca.); nella mitologia degli aborigeni australiani;
in quella delle civiltà
precolombiane, e, ancora, nel Corano.
Da strumento divino
contro i peccati dell’uomo, il mare diviene, nei testi sacri della cultura mediterranea, l’ostacolo che
gli eroi devono superare per compiere le loro imprese: l’Odissea di Omero (IX sec. a.C. ca.), l’Eneide di Virgilio (29 - 19 a.C.) e le Argonautiche di
Apollonio Rodio (III sec. a.C.). Nell’Odissea, in
particolare, il mare rappresenta l’insidia, l’incognita, la sorpresa che può arrivare da un momento all’altro ad interrompere il nostro viaggio.
Ma se dal mare vengono i pericoli, dal mare vengono anche le possibilità di conoscenza. Tuttavia,
ci insegna Dante, non bisogna superare il limite
della conoscenza umana imposta dagli Dei. E lo sa
bene il poeta fiorentino che condanna Ulisse nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, tra
i consiglieri fraudolenti (canto XXVI della “Divina
Commedia”).
Un viaggio
alla scoperta di alcune
delle più note opere
letterarie che hanno
contribuito ad accostare
l’uomo al mare
l mare, quest’elemento misterioso e
affascinante che tutti noi amiamo, è stato
sin dagli albori della civiltà uno dei topoi più
utilizzati in letteratura.
Raramente (per ovvi
motivi) è stato il soggetto principale, in senso
proprio, di opere letterarie ma, spesso, ha contribuito a determinare
le vicende e la sorte dei vari protagonisti.
Caricato, generalmente, di significati metaforici o
allegorici, il mare, nei romanzi e in poesia, ha tendenzialmente assunto una natura ambivalente,
con connotazioni ossimoriche, in cui è possibile
cogliere il dualismo stesso della dinamica universale. Ma quali sono state le opere letterarie che,
maggiormente, hanno contribuito ad esaltarlo?
Chi sono stati gli autori che l’hanno più celebrato? Chi quelli che l’hanno più temuto? E quali sono stati, soprattutto, i maggiori significati che gli
sono stati attribuiti? Imbarcatevi con noi in questo viaggio e cercheremo di scoprirlo insieme.
Nelle prime opere che ci sono pervenute, il mare è
strumento della collera divina per punire l’umanità dei suoi peccati e, allo stesso tempo, per consentirne la purificazione attraverso un processo di rigenerazione: il mito del “diluvio universale”, presente in tutte le civiltà più antiche e le leggende
note che sono più di 560.
Se ne parla già, per citarne solo alcune, nell’epopea
babilonese di Gilgamesh, primo poema epico della
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Il mare strumento divino
Con Dante, che si rifà ad Ovidio, il mare diviene
così, nuovamente, anche strumento della collera
divina per punire l’uomo/Ulisse, che muore in un
“Ulisse e le sirene”, mosaico rinvenuto a Thugga (oggi Dougga), in Tunisia, e conservato a Tunisi, al Museo del Bardo; in apertura, la
copertina di un’edizione americana di “Robinson Crusoe”, di Daniel Defoe
naufragio subito dopo aver avvistato la montagna
del Purgatorio, visione non concessa agli esseri
umani. Eppure Dante, in realtà, non riesce a condannare Ulisse del tutto e quasi si imbarazza di
fronte a quello che è l’eroe per eccellenza della letteratura e lascia che sia Virgilio ad interrogarlo.
Perché il viaggio di Ulisse per il mare è il viaggio
dell’intero mondo occidentale verso la conoscenza. Perché il personaggio di Ulisse, in fondo, è
espressione di un’intera civiltà che vuole evolversi. Celebre è il verso “Fatti non foste a viver come
bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” con cui
Ulisse incita i compagni d’avventura a valicare i
confini conosciuti.
Nel Medioevo, il mare diventa l’ostacolo da superare per raggiungere e scoprire nuovi Paesi da conquistare. È il tempo della Saga nordica sull’esplorazione vichinga del Nord America di Erik il Rosso
(databile intorno al XIII sec., ben prima di Cristoforo Colombo quindi) e, soprattutto, de “Il Milione” di Marco Polo (1298 ca.) che descrive il viaggio in Oriente dell’esploratore veneziano. Sono i
secoli delle esplorazioni e il mare, in letteratura,
rappresenta una sorta di sfida verso l’ignoto ma,
specie nei racconti di origine nordica, è anche dimora di mostri fantastici come quelli contro cui
devono combattere gli eroi del “Beowulf”, il più
lungo poema epico anglosassone giunto a noi dalla metà dell’VIII secolo circa.
La ricerca per mare di nuove terre, anche “ideali”
diventa un’ossessione in un periodo buio come è
quello del Medioevo ed acquista una nuova luce
nel Rinascimento, in cui diventa speranza di salvezza. Ecco, allora, che riemergono miti come
quello di Atlantide, raccontato per la prima volta
da Platone nei “Dialoghi” di Timeo e Crizia (360
a.c.), e che riecheggia ora nelle opere utopiche di
scrittori come Francis Bacon che, con “La nuova
Atlantide” (1626), narra il naufragio di 50 viaggiatori nell’isola di Bensalem, nei mari del Sud.
L’espediente narrativo del naufragio, spesso utilizzato in letteratura come metafora della condizione
umana, impotente di fronte al destino e sempre
esposta ad eventi imprevedibili, apre anche uno
dei primi lavori di Shakespeare, “La commedia degli errori” (1594 ca.) e la sua penultima opera “La
Tempesta” (1610-1611).
Ma come esperienza di vita, nonostante la sua carica di morte, il naufragio è soprattutto al centro
della “Ballata del vecchio marinaio” di Samuel
Taylor Coleridge (1798), manifesto della letteratura romantica inglese. Con quest’opera, che rac-
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La copertina dell’ edizione BUR de “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge con illustrazioni di Gustav Doré
conta l’espiazione per l’uccisione di un albatro da
parte di un marinaio, il viaggio per mare diventa
un percorso allegorico di formazione attraverso
cui il protagonista impara che tutte le cose in natura sono collegate da un rapporto mistico che deve essere rispettato.
William Wordsworth, nello stesso periodo, scrive
che il mare e la montagna sono le “due voci possenti del mondo” (“Descriptive Sketches”, 1793) e
invita l’uomo a riscoprirle per trovare consolazione e tranquillità.
I grandi romanzi mix di realtà
e fantasia
Con il ‘700, tornando alla prosa, i racconti sulle
grandi spedizioni per mare cedono il passo ai
grandi romanzi di avventura in cui la realtà è sapientemente mescolata con la fantasia da maestri
quali Daniel Defoe ed Herman Melville. Con “Robinson Crusoe” (1719), Defoe inaugura la stagione
del romanzo moderno ed il mare è, qui, un elemento ostile che porta il protagonista ad un naufragio in cui l’eroe inglese è l’unico sopravvissuto.
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Eppure il naufragio permette a Defoe anche di far
riflettere il lettore su valori che stavano scomparendo nella società del tempo, come la famiglia, la
religione e la propria Patria.
Con Moby Dick (1851), uno dei più grandi capolavori della letteratura marinaresca e non, l’intero
viaggio per mare, invece, è un’allegoria e il naufragio rappresenta l’impossibilità dell’uomo a superare le difficoltà della sua condizione: il mare di Melville è un mare tempestoso che incute timore ma
che, al tempo stesso, tenta chi lo sfida; la balena
bianca, che il capitano Achab cerca di catturare,
rappresenta i limiti dell’uomo, l’inconoscibile (o,
secondo altri, la sua parte oscura, il male); l’uomo
ne è attratto e, pur consapevole che non riuscirà
mai a sconfiggerla, la affronta andando incontro
al suo destino, la morte, nel tentativo di riscattare
il senso di una vita inutile.
Il mare, in questa fase della letteratura, è sempre
più simbolo dell’ignoto e di ciò che l’uomo non
può dominare. Questo senso di impotenza e di angoscia è lo stesso che ritroviamo nel “Manoscritto
trovato in una bottiglia” di Edgar Allan Poe (1833)
e, soprattutto, nei romanzi di Joseph Conrad: “Il
mare non è mai stato amico dell’uomo” scrive quest’ultimo, “Tutt’al più è stato complice della sua irrequietezza” (“Lo specchio del mare”, 1906).
Da vero uomo di mare (prestò servizio per la marina mercantile francese e per quella inglese), Conrad fu maestro nel descrivere la solitudine dell’uomo in balia delle forze del mare: un mare furioso
(magnifiche sono le sue descrizioni ne il “Tifone”
del 1903), contro cui l’uomo non può nulla ma
che, comunque sia, lo affascina. I suoi eroi solitari,
così come il capitano Achab di Mellville, sono
consapevoli dei loro limiti, eppure combattono
ugualmente con caparbietà e proprio questa lotta,
contro il mare e contro il loro destino, li esalta e
mette in evidenza la loro dignità e grandezza.
In questo stesso periodo, il mare è protagonista
anche dei romanzi di Jules Verne, padre della fantascienza moderna, che ne subì a tal punto il fascino da scrivere alcuni dei suoi capolavori a bordo di un’imbarcazione, così da avere maggiore
ispirazione: “Si! L’amo! Il mare è tutto” scrive Verne
“Copre i sette decimi del globo terrestre. Il suo alito è
puro e sano. È l’immenso deserto dove l’uomo non è
mai solo, poiché sente la vita fremere accanto a lui. Il
mare non è che il veicolo d’una sovrannaturale e prodigiosa esistenza; non è che movimento e amore; è
l’infinito vivente...”. (Da “Ventimila leghe sotto i
mari”, 1870).
Una scena della trasposizione cinematografica della Walt Disney, del 1954, di “20.000 leghe sotto i mari” con (da sinistra) Paul Lukas,
Kirk Douglas, Peter Lorre e James Mason
Sempre nel tardo ottocento troviamo due scrittori
per ragazzi come Rudyard Kipling che, con “Capitani coraggiosi” (1897), ci insegna la lealtà e la solidarietà degli uomini di mare, e Robert Louis Stevenson, autore, fra gli altri, de l’“L’isola del tesoro”
(1883).
Passando da una ciurma di pirati all’altra, altrettanto celebri sono poi i libri di Emilio Salgari
(1862-1911) che, con i suoi cicli sui pirati della
Malesia, delle Antille e delle Bermude, è sicuramente uno degli scrittori più prolifici sul mare,
sebbene in vita sua abbia navigato una sola volta.
Sempre in Italia, Giovanni Verga, nel suo più
grande romanzo che tratta di una famiglia di pescatori, scrisse: “il mare non ha paese nemmen lui, ed
è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di
là dove nasce e muore il sole” (“I Malavoglia”, 1881).
Il mare, per Verga, è sì fonte di sostentamento per
i suoi personaggi ma è anche fonte di disgrazie e
porterà al “naufragio” dell’intera famiglia protagonista del suo romanzo.
Ma il mare, nell’800 e nel ‘900, è celebrato in particolar modo dai poeti che, nel renderlo protago-
nista di alcuni loro versi, ne mettono in evidenza
la sua apparente ambivalenza di cui parlavamo all’inizio. Fra gli autori francesi celebre è l’oceano
“sonoro” di Paul Verlaine (“Marina”, 1866) e toccanti sono le riflessioni di Charles Baudelaire sul
rapporto di odio e amore che lega l’uomo al mare:
“sempre il mare, uomo libero, amerai! perché il mare è
il tuo specchio”, […] ma “discreti e tenebrosi ambedue
siete” […] “tanto gelosi siete d’ogni vostro segreto. Ma
da secoli infiniti senza rimorso né pietà lottate fra voi,
talmente grande è il vostro amore per la strage e la
morte, o lottatori eterni, o implacabili fratelli!” (da
“L’uomo e il mare”, 1857).
Fra i poeti latino americani Pablo Neruda testimoniò il suo amore per il mare in poesie come “Qui
io ti amo” (1924) e “Il tuo sorriso” (1953); mentre
Federico Garcia Lorca, in Spagna, ne diede l’immagine più poetica con versi che incantano anche il
lettore più distratto: il mare “è il Lucifero dell’azzurro. Il cielo caduto per voler essere la luce”, ma che,
nella sua “amarezza” è stato redento dall’amore e
ha partorito Venere, tanto che le sue “tristezze sono
belle” e i suoi “spasimi” “gloriosi” (“Il mare”, 1919).
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neo”, settimo elemento del celebre volume
“Ossi di seppia” (1925),
presentate sotto forma
di colloquio: si tratta di
un dialogo tra il poeta
e il mare in cui il primo
appare necessariamente succube del secondo
e in cui il mare, ancora
una volta, viene presentato come un elemento ambiguo che attrae e incute timore allo stesso tempo.
Il mare viene visto come padre, un padre con
cui ogni figlio ha un
rapporto conflittuale
(il suo cuore è “disumano”), eppure il figlio (il
poeta) ha anche tanta
ammirazione per lui (il
mare) perché tanto gli
ha insegnato a partire
dalla presa di “coscienza
della piccolezza dell’esistere ma insieme della
necessità di risolverla in
quella infinita vastità”,
Ernest Hemingway, autore, fra gli altri suoi libri, de “Il vecchio e il mare”, fotografato nel 1950 sul suo
fino al rifiuto di ogni
yacht El Pilar
viltà e meschinità, proprio come il mare rigetta sulle rive “tra sugheri
Da Foscolo a Quasimodo
alghe asterie le inutili macerie del [suo] abisso”.
a Baricco
In prosa, invece, tra i grandi autori “di mare” del
In Italia, il mare ha da sempre esercitato un fasci‘900 il primo da ricordare è sicuramente Ernest
no senza pari per i nostri poeti e, fra gli altri, posMiller Hemingway, Premio Pulitzer per “Il vecchio
siamo citare: Ugo Foscolo che riutilizza il mito per
e il mare” (1952), un moderno Moby Dick più otcantare nuovamente di un mare portatore di vita
timista, in cui torna il tema della lotta dell’uomo
per Venere, e di morte per Ulisse (“A Zacinto”,
contro i suoi limiti, una lotta in cui l’uomo trova
1803); Giovanni Pascoli che, attraverso il mare, ci
il suo stesso scopo e che l’autore ci incoraggia ad
invita a riflettere sui misteri della vita (“Mare”,
affrontare in ogni caso, confondendoci sul signifi1891); Umberto Saba che lo amò sin dall’infanzia
cato di sconfitta o vittoria.
e che lo erge a simbolo di avventura, preferendolo
Una scrittrice innamorata profondamente del maalla tranquillità del porto (“Ulisse”, 1921); e, ancore fu, poi, Virginia Wolf per cui le onde del mare,
ra, Salvatore Quasimodo che risente nel mare l’eco
con la loro ciclicità, sono un’allegoria della vita
doloroso di un amore andato (“S’ode ancora il madell’uomo che continua ad oscillare (“Le onde”,
re”, 1947).
1931). Alla stessa immagine delle onde ricorre anMa il poeta contemporaneo che l’ha maggiormenche Thomas Mann che scrive: “le cause di ogni avte omaggiato è stato Eugenio Montale, che gli ha
venimento assomigliano alle dune del mare: una è prededicato un’intera raccolta di poesie, “Mediterraposta sempre all’altra, e l’ultimo “perché”, presso il
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Gregory Peck in una delle ultime drammatiche scene del film di John Huston del 1956 “Moby Dick”, trasposizione cinematografica
dell’omonimo romanzo di Herman Melville
quale si potrebbe riposare, sta nell’infinito” (“Disordine e dolore precoce”, 1925). Nella nostra penisola,
invece, Leonardo Sciascia rievocò il mare della sua
amata Sicilia addirittura nel titolo di diversi suoi
romanzi, un mare che “non ubriaca: si impadronisce
dei pensieri, suscita antica saggezza” (“Il mare colore
del vino”, 1973).
Tra i libri più recenti, infine, ci sembra opportuno
citare “Oceano Mare” (1993), in cui Alessandro
Baricco celebra il mare in ogni sua possibile sfaccettatura attraverso le storie dei suoi surreali personaggi, e “La grande acqua” di Roberto Alba
(2011) che evidenzia bene come, soprattutto in
questi tempi di crisi, il mare possa assecondare i
sogni dell’uomo di una vita migliore oppure distruggerli ed inghiottirli per sempre.
Per concludere, dunque, è interessante sottolineare come oggi, sebbene l’uomo non creda più negli
Dei o nei mostri marini, il mare venga ancora considerato, in letteratura, come un elemento oscuro
che, in quanto tale, ben si presta ad essere caricato
di significati allegorici anche negativi.
Ma il mare, come abbiamo visto, è anche al centro
di opere che lo esaltano per la sola sensazione di
pace che trasmette. Sono i due volti di una stessa
medaglia. Possiamo chiamarli come vogliamo:
amore e odio; tranquillità e inquietudine; vita e
n
morte; o, più semplicemente, “mare”.
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